Italia politica e dei ladri, dei parassiti, dei fanfaroni

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Messaggioda Berto » mer ago 22, 2018 6:24 am

Come siamo arrivati a questo punto
Marcello Veneziani
20 agosto

http://www.marcelloveneziani.com/artico ... esto-punto

Diciamo la verità, noi italiani siamo diventati irriconoscibili. Se dovessimo incontrarci per strada noi di oggi con quelli che eravamo appena dieci anni fa, non ci riconosceremmo e forse nemmeno ci saluteremmo. Ma come siamo arrivati a questo punto? Per capire il presente facciamo un salto indietro nel passato. Dunque dieci anni fa, di questi tempi, era diventato premier per la quarta volta Silvio Berlusconi. Era con lui al governo il granduca di Padania Umberto Bossi. Fini era diventato Presidente della Camera e delfino, successore in pectore. A Roma era stato eletto sindaco Gianni Alemanno. In quel tempo esisteva ancora Alleanza Nazionale. Lo sconfitto di quel tempo si chiamava Walter Veltroni. Non era ancora nato il Movimento 5 stelle, Di Maio era una maschera da stadio e Renzi non esisteva, un po’ come adesso; era una specie di boy scout, non era ancora sindaco di Firenze. Un altro mondo, la preistoria.

Ma cosa è successo per arrivare a questo punto? Mille sono i fattori, e non ne faremo tutta la storia. Ma vorremmo soffermarci su un particolare. L’Italia si era stancata della sinistra, allora come ora, era rimasta delusa dal suo ennesimo governo e si era votata ancora una volta al centro-destra e al suo Re, Berlusconi. Cosa è successo, a quel punto? Dovrei raccontare due storie, anzi tre.

La prima storia è che si scatenarono gli elementi contro quel governo. Crisi economiche mondiali, dall’America a noi; guerre economiche europee, primavere arabe che si abbattevano su di noi, guerre giudiziarie contro Berlusconi, complotti politici interni e internazionali, campagne di stampa. Insomma un triennio malvagio che poi finì col noto golpe bianco che estromise il governo Berlusconi. La sinistra non sa governare e non sa essere popolare, ma sa distruggere, ha un terribile potere d’interdizione e d’intimidazione.

La seconda storia è che il centro-destra era una formidabile macchina da guerra elettorale ma poi al governo fece poco e niente, e si era già visto col governo-record di legislatura dal 2001 al 2006. Non cambiava nulla, lasciava gli assetti e i potentati precedenti, non realizzava le cose che aveva annunciato e per le quali era stato votato: rivoluzione fiscale e liberale, risveglio nazionale e riforma sociale, ordine, valori e sicurezza. Un flop a livello nazionale, come a livello locale. Roma in testa, per non dire poi della Regione Lazio. Un mezzo disastro. Da qui è passata la destra, e non ha lasciato nulla. Non causò le catastrofi denunciate dalla sinistra ma nemmeno le promesse annunciate. Il centro-destra è stato solo il sipario del Silvio Show. One-man-show. Era un’alleanza politica, diventò un Fatto Personale.

La terza storia è la più delicata, perché tocca il privato. I capi del centro-destra persero la testa. Uno aspirò a diventare Priapo Re di Troia, e si circondò di una comitiva di zoccole, papponi e faccendieri, più qualche vecchio cortigiano. Ebbe storie rovinose, più rovinosamente concluse. Ma quello diventò il Tema Permanente del Paese, il nostro distintivo nel mondo. Italiani bunga bunga… Concorse in modo determinante a questa riduzione dell’Italia a un allupato lupanare l’opera insostituibile dei magistrati e dei media. Altrove scoppiava la crisi economica, qui il tema era se Noemi c’era stata, quanto aveva preso la d’Addario e se lui sapeva che Ruby era minorenne. Non si parlava d’altro, ogni altra emergenza passava in second’ordine. Il paese si paralizzò, perse la facoltà di intendere e volere, diventò un enorme ballatoio per gossip sull’erezione diretta del premier.

Ma se il re perdeva la testa, anche il duca di Padania non scherzava col suo cerchio magico, i suoi portentosi figli, le megere e le casse della Lega usate come bancomat di famiglia. Di Fini sappiamo come è andata a finire, all’epoca c’era ancora Daniela, anche se lui spasimava per Stefania. Col finale horror, demenziale e affaristico che ben conosciamo. Storie private di cui non parleremmo se non avessero avuto quella rovinosa ricaduta sulla politica.

Insomma quelle tre storie intrecciate produssero la fine indecorosa di quel mondo. Dopo il governo, Berlusconi dette il peggio di sé al punto da far rimpiangere il tempo di Zoccolandia. Sbagliò tutto, trescò con tutti, sostenne e attaccò tutti i governi, assunse tutte le posizioni e il loro contrario in un kamasutra politico che somiglia a un harakiri, riuscì a sfasciare tutto quel che aveva creato, cacciò, epurò, scelse i peggiori. Fini non ruppe solo con la moglie, col premier e gli alleati, ma ruppe pure con la destra e il suo elettorato, e fu ricambiato con un odio che rischia di sopravvivere a lui. Bossi passò da capo della Lega a capo d’accusa contro la Lega, di cui Salvini ancora sconta le conseguenze. Alemanno finì nel nulla, non lasciò tracce di sé al Campidoglio, o almeno così spera. Il centro-destra finì male, senza rimpianti. I suoi leader si bevvero il cervello, o almeno quel che avevano al suo posto.

Ora forse cominciamo un po’ a capire perché un paese che non voleva finire a sinistra e che si è trovò questa specie di centro-destra, poi si sia buttato dopo il vano intermezzo di speranza renziano, sul populismo, il sovranismo e il bufalismo, nel senso dell’incazzatura generale. Ingrillito, incinghialito, inferocito, ma che altro poteva fare? Insomma se siamo arrivati a questo punto, e se noi stessi siamo irriconoscibili e ci dobbiamo mostrare i documenti per capire chi siamo, forse la colpa non è tutta solo del Popolo Sovrano e Sottano. La storia non fa salti ma procede per gradi e soprattutto per degradi.
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Messaggioda Berto » sab ott 27, 2018 8:56 am

Salvini, via alla nuova Lega: sovranista per statuto e senza Alberto da Giussano
Marco Cremonesi
26 ottobre 2018
https://milano.corriere.it/notizie/poli ... c00a.shtml

MILANO — I soci fondatori, oltre a Matteo Salvini, sono il ministro Lorenzo Fontana, il sottosegretario Giancarlo Giorgetti, il tesoriere Giulio Centemero e Roberto Calderoli. Sono loro che hanno costituito la Lega per Salvini premier, il partito destinato a sostituire in tutto e per tutto la vecchia Lega Nord per l’Indipendenza della Padania fondata da Umberto Bossi. E sono loro che rappresenteranno in tutto e per tutto il consiglio federale, l’organo massimo della nuova Lega, in attesa che i congressi ne eleggano i nuovi rappresentanti.

Il nuovo simbolo della Lega Il nuovo simbolo della Lega
Lo Statuto

L’avvio del nuovo partito, il cui Statuto è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il 14 dicembre dell’anno scorso, è ormai imminente. In Lega si riteneva che Matteo Salvini ne avrebbe cominciato a parlare al consiglio federale convocato per oggi, a prescindere dalla formulazione dell’ordine del giorno che — quella sì — non cambia mai: «Comunicazioni del segretario federale». In realtà, il leader leghista pare che per oggi preferisca limitarsi a fare il punto politico della situazione all’indomani delle elezioni per la Lega vittoriose in Trentino e in Alto Adige. Quella che un tempo si chiamava «l’analisi del voto»: «Sono tre mesi che non ci vediamo tutti insieme— avrebbe spiegato — e dunque era venuto il momento».

Via la parola «Nord»

Però, appunto, è ormai questione se non di giorni, al massimo, di settimane. Poi, appunto, la parola Nord scomparirà per sempre dall’orizzonte del nuovo partito, che peraltro nazionale lo è ormai da un pezzo. L’articolo 1 dello Statuto non parla più dell’indipendenza della Padania: la «Lega per Salvini premier è un movimento politico confederale costituito in forma di associazione non riconosciuta che ha per finalità la trasformazione dello Stato italiano in un moderno Stato federale attraverso metodi democratici ed elettorali». In compenso, nella carta fondante del partito salviniano entra in modo esplicito il sovranismo: sempre all’art.1 si sancisce che la Lega «promuove e sostiene la libertà e la sovranità dei popoli a livello europeo».

La struttura della «Lega per Salvini premier» per qualcuno curiosamente ricorda addirittura «quella del Partito democratico, con un partito holding a cui poi si agganceranno le associazioni territoriali a livello regionale». In realtà, non soltanto quelle: l’idea è che alla confederazione leghista possano legarsi anche realtà di tipo partitico o forze politiche locali. Per esempio, resta da capire se il Partito sardo d’azione entrerà formalmente nella Lega. Di certo, i gruppi parlamentari hanno già assunto la nuova denominazione. Mentre il simbolo — da non confondere con il contrassegno elettorale — è destinato a cambiare: il guerriero di Legnano (quello comunemente chiamato l’Alberto da Giussano) esce di scena. Sostituito da un semplice rettangolo «di colore blu in cui campeggia la scritta «Lega per Salvini premier» in bianco, circondata da una sottile cornice sempre di colore bianco». Cosa diversa è il contrassegno elettorale in cui «l’Albertino» potrebbe continuare ad apparire.

Tutti i militanti si iscriveranno al nuovo partito, in modo tale che la vecchia Lega risulterà, semplicemente, svuotata. Di anzianità, dunque, sarà impossibile parlare. I militanti del sud, che nella vecchia Lega sarebbero «giovanissimi», avranno la stessa età d’iscrizione di chi è leghista da 25 anni. Resterà, però, l’attuale divisione tra «soci sostenitori» e «soci ordinari militanti». In cui i primi sono in una sorta di periodo di prova, prima di diventare militanti a tutti gli effetti con «diritto di intervento, di voto e di elettorato attivo e passivo». Resta il divieto di iscrizione a segrete, «occulte o massoniche». Formalmente, in capo alla vecchia Lega resta anche la rateazione dei 49 milioni per i fondi che sarebbero stati percepiti illecitamente dal partito tra il 2008 e il 2010 e per cui è stato condannato Umberto Bossi.
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Messaggioda Berto » dom dic 09, 2018 9:06 pm

Una congiura in Vaticano contro Matteo Salvini: Antonio Socci rivela il piano (sporco) dei vescovi
9 Dicembre 2018
di Antonio Socci

https://www.liberoquotidiano.it/news/po ... ISGHqxJ3os

È un paradosso. Mentre Matteo Salvini riempie Piazza del popolo a Roma, ricordando la festa dell' Immacolata, citando De Gasperi e Giovanni Paolo II e, anzi, facendone il punto di riferimento ideale, la burocrazia ecclesiastica della Cei organizza una crociata politica proprio contro la Lega di Salvini, tanto che, sempre ieri, il Fatto quotidiano titolava in prima pagina: «I vescovi tornano a far politica». E nell'interno: «Il progetto di Bassetti: così la Chiesa prepara il ritorno in politica». In realtà nella storia del cattolicesimo politico non sono mai stati i vescovi a prendere l' iniziativa partitica, quindi più che un ritorno sarebbe un' assoluta (e catastrofica) novità.

L' articolista del "Fatto" spiega che il cardinal Bassetti ha messo all' ordine del giorno del consiglio permanente della Cei di gennaio la nascita di uno strumento di intervento politico: «Così la Chiesa si organizza per dare un' opposizione all' Italia». È un paradosso perché la Lega si sta candidando a rappresentare l' asse della politica italiana come una sorta di DC del terzo millennio (e non a caso i sondaggi la collocano sulle percentuali della DC).

Ma l'establishment ecclesiastico si contrappone proprio a questa Lega con un manifesto politico sull' Europa (e sull'emigrazione) che ricalca gli argomenti di "Più Europa", di Emma Bonino, e spazza via i tradizionali temi cattolici.

TELEFONATE AI VESCOVI
Resta da capire e da vedere se veramente l' attivismo del cardinal Bassetti, che telefona continuamente a tutti i vescovi per mobilitarli, sfocerà in qualche iniziativa politica che possa poi trasformarsi in lista, alle elezioni Europee, oppure se sceglieranno di non farsi contare, per evitare pessime figure e anche per evitare contestazioni relative al Concordato del 1984, dove Chiesa e Stato si riconoscono indipendenza e sovranità, ciascuno nel proprio ordine, e non ammettono interferenze dirette.

Per evitare conflitti istituzionali di questo genere tutto l' agitarsi convulso dei vescovi, alla fine, potrebbe servire semplicemente a cercare di smuovere le parrocchie a favore del Pd o del possibile, eventuale, partito di Matteo Renzi. Il quale peraltro ha messo i semi del suo possibile partito con i cosiddetti "comitati civici" che - già dal nome - evocano l' iniziativa di Luigi Gedda e dell' Azione Cattolica nelle elezioni del 1948.

A dire il vero non è chiaro quale sia l'analogia fra quelle straordinarie e storiche elezioni e la situazione attuale dell' Italia. A quel tempo era una questione di vita o di morte, sia per l' Italia che per la Chiesa. I "comitati civici" si mobilitarono a favore della Dc contro il comunismo che era arrivato, con le sue armate, fino a Trieste e che, il 18 aprile 1948, rischiava di prevalere nelle urne in tutta Italia. Fu una difesa della democrazia e della civiltà cristiana, una battaglia a protezione della Chiesa e della democrazia italiana.

BRUXELLES LAICISTA
Nel caso odierno invece la Cei e le associazioni cattoliche ufficiali si schierano in difesa di un' Europa laicista che ha rinnegato le "radici cristiane", mentre Giovanni Paolo II e Benedetto XVI - a suo tempo - criticarono duramente questa Europa tecnocratica per il suo laicismo e per il dilagare di una mentalità e di politiche nichiliste. L' iniziativa del presidente della Cei peraltro è non solo un rinnegamento dei precedenti pontificati, ma è anche un rinnegamento del Concilio Vaticano II che ha proclamato la responsabilità del laicato cattolico nel campo della politica.

È anche un colossale rovesciamento di posizioni (non dichiarato) nei confronti della cosiddetta "scelta religiosa" che l' Azione Cattolica fece già negli anni Settanta per giustificare l' abbandono della presenza culturale e sociale (in anni in cui dilagava il conformismo marxista). Nel caso in cui il soccorso della Cei sia indirizzato al Pd o al (possibile) partito di Renzi i vescovi dovranno anche spiegare l' appoggio a chi, quando era al governo, ha promosso leggi contrapposte alla sensibilità cattolica.
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Messaggioda Berto » dom dic 30, 2018 9:34 pm

Manovra, sì definitivo della Camera. Pd e Leu non partecipano: "Il governo ha ferito la democrazia"
di CARMINE SAVIANO
30 dicembre 2018

https://www.repubblica.it/politica/2018 ... -215511977

Alla Camera arriva anche il premier, Giuseppe Conte, per il sì definitivo alla manovra dopo il voto di fiducia di ieri. Entra in aula quando stanno cominciando le dichiarazioni di voto finali. Successivamente si presentano il vicepremier, Luigi Di Maio, e i ministri Bonadefede e Fraccaro. Il via libera definitivo - a poche ore dall'esercizio provvisorio - arriva quando sono passate le 16.30, con 313 sì e 70 no. Tre ore dopo, la notizia della firma da parte del capo dello Stato, Sergio Mattarella. Ma in aula è andato in scena lo strappo, con buona parte dell'opposizione che ha deciso di non partecipare all'ultimo passaggio della legge di bilancio a Montecitorio: dal Pd a Leu (ieri la scelta era stata annunciata anche da +Europa).

"Rimarremo in quest'aula per il rispetto che portiamo al tempio della democrazia che è il parlamento, ma non parteciperemo al voto, non vogliamo essere i vostri complici in questo disegno", ha detto il deputato Pd, Emanuele Fiano, protagonista di uno dei più accesi momenti di scontro alla Camera, durante l'esame della manovra. "Quando è un deputato della Repubblica che non può intervenire sulla manovra è il popolo che non può intervenire", conclude.

"Non abbiamo avuto la possibilità di discutere, il nostro gruppo non parteciperà al voto , resteremo in aula, ma il passaggio parlamentare della manovra ha costituito uno strappo gravissimo a livello costituzionale", annuncia per Leu Stefano Fassina nelle sue dichiarazioni di voto.

I tempi dell'approvazione si sono allungati per gli interventi di moltissimi deputati dell'opposizione a titolo personale.

TUTTE LE MISURE

Per tutta la mattinata i deputati erano stati impegnati nell'esame degli ordini del giorno, con il caos esploso per il post pubblicato sul Blog delle Stelle in cui si parlava di democrazia sotto attacco e di un "terrorismo mediatico e psicologico". Un post poi rimosso. Decisivo, per riportare la calma in aula, l'intervento di Roberto Fico: "La democrazia non è sotto attacco, l'opposizione fa il suo lavoro", ha detto il presidente della Camera.

Ma la tensione è rimasta altissima, in particolare tra Forza Italia e Lega. Matteo Salvini ha attaccato: "Ridicole le opposizioni checontestano una manovra economica che rimette nelle tasche degli Italiani più di 20 miliardi di euro. Gli Italiani non hanno nostalgia di Monti, Renzi e Fornero, avanti tutta!". Il ministro dell'Interno decisamente non ha gradito la protesta vivace dei deputati forzisti, muniti di gilet azzurri, nella seduta di ieri. Ma anche gli interventi duri pronunciati da esponenti forzisti, a partire dal portavoce Giorgio Mulè. Molto critici anche gli interventi di Fratelli d'Italia con Meloni che - nell'intervento finale - ha detto: "Anche questa manovra, come quella di Renzi, è rispettosa dei tecnocrati di Bruxelles". I rapporti interni al centrodestra, alla vigilia del nuovo anno, sembrano farsi più complicati.

Scene di esultanza sui banchi del governo. Festeggia il ministro dell'Economia, Giovanni Tria. "La manovra è quella che tutti noi abbiamo voluto". E conferma, come anticipato a Repubblica, che non ha alcuna intenzione di dimettersi. "Non vedo perché non dovrei restare", dice lasciando l'aula di Montecitorio. "Le voci di dimissioni sono state smentite". E infine, forse lanciando una frecciata a qualche sovranista della maggioranza, dice: "È stata fermata la corsa dello spread ed è stata fugata in concreto qualsiasi ombra di Italexit". Esulta anche il premier: "L'Italia è pronta a ripartire. E a tornare grande", dice Giuseppe Conte. E Luigi Di Maio: "È la prima manovra scritta con il cuore".

Ma intanto si leva una voce dal cuore dell'Unione. È quella del commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici. "L'Italia ha adottato la legge di bilancio, dopo lunghe discussioni e momenti difficili. Ne seguiremo attentamente l'esecuzione. Ribadisco di nuovo che il dialogo con la Commissione Ue si è concentrato unicamente sul rispetto delle regole comuni, mai sulle misure individuali!".
Il tutto sui social, lo strumento più amato dai protagonisti del governo gialloverde. L'ultimo a parlare è il presidente della Camera, Roberto Fico, che si difende rispetto alle accuse di conduzione parziale dei lavori arrivate soprattutto dal Pd: "Se oggi mi si critica perché sono stato parziale, sono stato fazioso, vi dico che questo non è assolutamente vero. Non mi sono voluto prendere la responsabilità, che sarebbe stata assolutamente assurda, di mandare il nostro paese in esercizio provvisorio allungando i tempi della discussione", dice in una diretta Facebook.




Dallo stop agli aumenti Iva al taglio delle pensioni più alte: le misure più importanti della manovra 2019
di FLAVIO BINI
29 dicembre 2018

https://www.repubblica.it/economia/2018 ... -215409054

MILANO - Dallo stop agli aumenti Iva per il 2019 al taglio delle pensioni più alte, dalla estensione dell'aliquota agevolata per le partite Iva agli sconti per l'acquisto di veicoli a basse emissioni.
È lunghissimo l'elenco di misure inserite nella Manovra, che dopo avere ricevuto il via libera del Senato ha avuto anche il semaforo verde della Camera sullo stesso testo. Un testo completamente stravolto rispetto a quello discusso e approvato in prima lettura a Montecitorio lo scorso 8 dicembre, e che si compone - ad eccezione delle parti relative al bilancio di previsione - di un solo articolo e ben 1143 commi.
Grandi assenti quota 100 e Reddito di cittadinanza, che dovrebbero arrivare a inizio 2019 con un provvedimento ad hoc, ma per cui la Legge di Bilancio ha già accantonato le risorse necessarie.
Ecco alcuni dei provvedimenti più importanti approvato nel testo.

Stop aumenti Iva, ma rischio stangata dal 2020
La stop agli aumenti Iva ereditati dai precedenti governi è in assoluto la misura più dispendiosa dell'intera Manovra. L'esecutivo ha dovuto impiegare quasi 12,5 miliardi per impedire che le aliquote salissero già dal prossimo anno. La trattativa con Bruxelles e la necessità di reperire risorse per il futuro ha però appesantito ulteriormente l'onere per il prossimo anno: nel 2020, soltanto per impedire i nuovi aumenti, il governo dovrà trovare oltre 23 miliardi di euro.

Fisco più leggero per le partite Iva
Impropriamente definita "flat tax", la misura introdotta dal governo a sostegno delle partite Iva estende la platea dei beneficiari del regime agevolato rispetto a quanto previsto da una norma già in vigore. Salvo alcune eccezioni, potranno infatti accedere al trattamento fiscale di vantaggio, che prevede di pagare soltanto il 15% di tasse, le partite Iva con ricavi fino a 65 mila euro. Prima, il limite era fissato in un intervallo tra 25 mila e 50 mila a seconda del tipo di attività.

Nuova web tax contro i colossi digitali
Arriva la nuova "imposta sui servizi digitali", che prevede una nuova tassa del 3% sui ricavi delle aziende "che prestano servizi digitali e che hanno un ammontare complessivo di ricavi pari o superiore a 750 milioni di euro, di cui almeno 5,5 milioni realizzati nel territorio italiano". Una misura cucita addosso soprattutto ai cosiddetti Over the Top, giganti del web come Google o Facebook, che grazie alle loro complesse strutture societarie riescono a fare figurare gran parte dei loro ricavi e dei loro profitti in società domiciliate in Paesi con fiscalità molto vantaggiose, riducendo al minimo i versamenti nel nostro Paese. Dalla misura, il governo spera di incassare almeno 150 milioni il prossimo anno e oltre 600 negli anni successivi.

Pensioni/1, tagli sopra i 100 mila euro. Ma flop gettito per lo Stato
Arriva il taglio alle cosiddette pensioni d'oro. Il contributo sarà del 15% per i redditi tra 100.000 e 130.000 euro e andrà a salire fino ad arrivare al 40% per quelli superiori a 500.000 euro con un prelievo del 25% per i redditi tra 130.001 e 200.000 euro, del 30% per i redditi tra 200.001 e 350.000 euro e del 35% per i redditi tra 350.001 e 500.000 euro. Contrariamente a quanto ribadito tante volte da Di Maio, il governo con questo intervento arriva ben lontano dal miliardo di euro che sperava di incassare. Secondo i dati della relazione tecnica il gettito finale sarà, al netto degli effetti fiscali visto che pensioni più basse significa anche meno tasse per lo Stato, appena 76 milioni di euro nel 2019, e riguarderà appena 24 mila assegni.

Pensioni /2, ridotti gli aumenti per oltre 4 milioni di pensionati
Di ben altro impatto invece l'intervento che taglia le rivalutazioni degli assegni poco sopra i 1500 euro lordi circa a partire dal 1 gennaio. In questo caso non si tratta di tagli ma di minori aumenti che erano previsti dovessero partire dal prossimo anno. In altre parole si percepirà di più, ma l'incremento sarà inferiore a quanto atteso. La sforbiciata, secondo i calcoli dello Spi Cgil, dovrebbe andare dai 70 euro lordi annui per una pensione di 2537 euro mensili (sempre lordi) ad un massimo di 483 euro annui per assegni di 8119 euro. Considerando le cifre nette, per una pensione mensile di circa 2500 euro, il mancato aumento è di circa 14 euro al mese. Da questo intervento lo Stato incasserà, al netto degli effetti fiscali, 253 milioni nel 2019, 745 milioni nel 2020 e 1228 nel 2021. Secondo i dati 2016 del casellario dell'Inps, sopra i 1505 euro lordi, nella fascia cioè interessata dall'intervento, ci sono oltre 4 milioni di pensioni.

Sconti per le auto meno inquinanti, nuova tassa per i Suv
Entrata in Manovra già in commissione alla Camera e poi corretta al Senato, arriva la norma che introduce sconti fino a 6000 euro per chi acquisterà veicoli elettrici o ibride e rottamerà un veicolo tradizionale. Allo stesso tempo si prevede una nuova tassa di immatricolazione destinata però solo ai veicoli più inquinanti, dai 1100 ai 2500 euro

Condono fiscale per chi è in difficoltà
Come annunciato in autunno arriva il saldo e stralcio delle cartelle tra il 2000 e il 2017 per chi è "difficoltà economica" con un Isee entro i 20 mila euro. Si prevede l'estinzione dei debiti per omessi versamenti di tasse e contributi pagando il 16% con Isee non superiore a 8.500 euro, il 20% con Isee fino a 12.500 euro e il 35% con Isee fino a 20mila euro. Il debito può essere pagato senza sanzioni e interessi, in un'unica soluzione, entro il 30 novembre del 2019 oppure in 5 rate con importi diversi rispetto alla prima versione.


Raddoppio Ires per enti no profit, ma il governo si prepara alla retromarcia
È stato l'ultimo casus belli della Manovra. La norma approvata al Senato prevede la cancellazione dell'agevolazione dell'Ires al 12%, anziché al 24%, per gli enti no profit. Fino all'ultimo anche la vice ministra dell'economia Laura Castelli ha difeso la norma, ma il vice premier Luigi Di Maio ha invece promesso che la norma verrà corretta al primo provvedimento utile.

Spiagge, concessioni rinnovate per 15 anni alle stesse condizioni
Novità anche per gli stabilimenti balneari. La Manovra proroga per 15 anni tutte tutte le concessioni in essere, che in molti casi negli anni passati erano già state prorogate al 31 dicembre del 2020, termine entro il quale sarebbero dovuti essere sottoscritti nuovi accordi, migliorativi per le casse pubbliche. Dalle attuali concessioni lo Stato incassa ogni anno appena 103 milioni di euro

Famiglia, mamme al lavoro fino al nono mese
Nutrito anche il pacchetto di misure destinate alle famiglie. Cambiano le regole per l'accesso alla maternità: le nuove norme danno la facoltà, su richiesta delle lavoratrici, di restare al lavoro fino al nono mese, usufruendo per intero del periodo di stop dal lavoro dopo il parto. Sale poi da 4 a 5 il numero di giorni di congedo obbligatorio per i padri. Incrementata infine da 1000 a 1500 euro la dote per il bonus asilo nido.
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Messaggioda Berto » mar mar 05, 2019 7:20 pm

"Ci hanno rovinato in tre mesi E nasceranno nuovi leader"
Sabrina Cottone - Mar, 05/03/2019

http://www.ilgiornale.it/ci-hanno-rovin ... 56746.html

Il sociologo: «Impoveriti dalle incertezze sulla nascita del governo. Volti emergenti in gruppi lontani dai salotti»

Professor Luca Ricolfi, sociologo dell'Università di Torino e presidente della Fondazione Hume, dire dopo una manifestazione di piazza che «l'accoglienza, evocata dal Papa, è un'idea molto cristiana ma non è di sinistra», può impressionare.

«Il Papa e l'Onu possono permettersi il lusso di rivolgersi all'umanità intera, come se vivessimo sotto un unico super-regime mondiale, più o meno orwelliano. I governanti, finché ci sono gli Stati nazionali, hanno il dovere di difendere i propri cittadini, da cui sono stati eletti. Se sono di sinistra, hanno il dovere di occuparsi degli ultimi: operai, disoccupati, precari, esclusi, svantaggiati. Se non lo fanno, e tendono a sostituirsi al Papa e all'Onu, vengono puniti dai loro elettori. Il governo gialloverde non è una meteora, ma la logica conseguenza della rinuncia dell'establishment progressista ad occuparsi degli ultimi».

Ministri fuori dai ministeri, politici fuori dalle Camere e dentro social e in tv. Degenerazione senza via di uscita o mutamento dell'idea di rappresentanza?

«Come mutamento dell'idea di rappresentanza mi pare poco riuscito, almeno nel caso dei Cinque Stelle: il 98% dei votanti per i 5S non è iscritto alla piattaforma Rousseau».

E chi ci governa davvero, dal momento che chi dovrebbe farlo è impegnato a comunicare ciò che non ha più il tempo di fare?

«In realtà il tempo per il fare lo trovano. Solo che è un fare demoralizzante: nomine, spartizioni, lottizzazioni, regole su misura di lobby varie (taxisti, per esempio) e di segmenti elettorali più o meno di nicchia. Tutto per acchiappare consenso, non per affrontare i problemi del Paese».

È trascorso un anno dal 4 marzo 2018, voto che a suo dire ha sconquassato le modalità della lotta politica. La ritiene solo imbarbarita o è una mutazione genetica più profonda? Si può tornare indietro?

«La mutazione riguarda la società italiana, prima ancora della politica. Quindi suppongo che non si possa tornare indietro. A meno che per tornare indietro si intenda un ritorno della sinistra al governo, evento perfettamente possibile».

La ricchezza del Paese in quest'anno è sensibilmente diminuita. Gli ultimi dati parlano però di un bilancio degli operatori finanziari tornato positivo. Vuol dire che si allarga la forbice tra chi perde e chi guadagna? O si intravedono segnali di ottimismo?

«Contrariamente a quanto dicono le opposizioni, non è vero che sul piano economico tutto va male da quando c'è il governo Conte: va male quasi tutto, non tutto. Fra le cose che non vanno male ci sono l'occupazione (stabile da qualche trimestre) e la ricchezza finanziaria, minore di com'era il 4 marzo dell'anno scorso, ma maggiore (per un ammontare di 21 miliardi) di com'era a fine maggio, quando si è insediato il governo gialloverde. Il colpo più micidiale alla ricchezza finanziaria del sistema-Italia non l'ha dato la polemica sull'Europa (quelle perdite virtuali sono già state riassorbite) ma il trimestre di incertezza nella formazione del governo, culminato con l'azzardo Cottarelli».

Il reddito di cittadinanza, è una delle sue tesi più note, sta creando cittadini assistiti più ricchi dei lavoratori atipici e sottopagati. Teme che questa contraddizione deflagri in scontro sociale?

«Me lo auguro, a condizione che il conflitto resti pacifico. Chi come me è contro i privilegi e le diseguaglianze ingiustificate non può veder bene l'emergere di una frattura sociale, quella che separerà chi guadagna sudando e chi nullafacendo».

La Lega ha capitalizzato la fiducia degli italiani nonostante sulla sicurezza non sembra siano stati fatti passi avanti e sull'immigrazione non si intravedano politiche nuove.

«La gente non era arrabbiata perché criminalità e immigrazione dilagano, ma perché il precedente governo negava l'esistenza del problema. È possibile che prima o poi anche a Salvini venga chiesto il conto, ma si dimentica spesso una cosa: per mettere in crisi Salvini bisognerebbe strillare che la criminalità e gli ingressi irregolari sono in aumento, e questa è la cosa che i media progressisti sono propensi a non fare, sia quando l'allarme è giustificato sia quando non lo è. Fossi Salvini dormirei ancora per un po' fra due guanciali (però non metterei l'immagine su internet)».

Rispetto al Contratto, che è stato un grave vulnus nell'idea di rappresentanza, vede promesse mantenute?

«Sì, ne vedo, anche se in modo alquanto parziale: reddito di cittadinanza al 30%, Fornero e quota 100 al 25%, flat tax al 2%».

Come si esce dal trash politico? In questa mediatizzazione, l'elezione di Zingaretti dipende dall'effetto Montalbano?

«No, penso sia una conseguenza della disciplina del popolo di sinistra».

Considera innaturale un'alleanza Pd-5Stelle, come ha dichiarato ancora una volta Renzi?

«No, purtroppo è abbastanza naturale»

Si attende la nascita di nuovi leader?

«Sì, mi attendo che qualcuno ci provi».

In quale area esiste il vuoto da cui può nascere un volto nuovo e rappresentativo?

«L'area in cui può nascere qualcosa di nuovo è una sola: l'area degli smarriti».

E cioè?

«Gente semplice, che non frequenta i salotti, ma viene disprezzata perché non urla e conserva un po' di educazione».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Messaggioda Berto » lun ott 28, 2019 6:54 am

Risultati elezioni Umbria, la destra trionfa: Tesei al 58%. Sconfitta la coalizione Pd-M5S. Salvini e Meloni: "Li mandiamo a casa"
Grande distacco tra i due principali candidati. Salvini: "Impresa storica". Fratelli d'Italia raddoppia i consensi e supera il M5s, che non arriva al 10%. Anche il Pd in calo. L'alleanza giallo-rossa finisce sotto accusa. Forte aumento dell'affluenza: alle 23 è del 64,42 per cento
a cura di ALESSIO SGHERZA
27 ottobre 2019

https://www.repubblica.it/politica/2019 ... 239683842/


C'era una volta l'Umbria rossa. La regione vira nettamente a destra ed elegge come nuovo presidente Donatella Tesei, candidata di una coalizione a guida nettamente leghista (La Lega prende circa il 38%, quando lo spoglio si avvia verso la conclusione) e di orientamento nettamente a destra. Oltre alla Lega, è infatti Fratelli d'Italia a fare un exploit: il partito di Giorgia Meloni ottiene il 10% dei voti, così che Lega e Fdi insieme ottengono praticamente la metà dei voti totali.

Risultati delle elezioni in Umbria: lo spoglio

Gli exit poll e le proiezioni di Consorzio Opinio per la Rai e di Swg per La7 hanno da subito delineato la netta vittoria dell'alleanza che sosteneva la Tesei, confermando le previsioni della vigilia. Una vittoria netta e larga, con un margine di oltre 20 punti percentuali sull'esperimento di alleanza giallo-rossa a sostegno di Vincenzo Bianconi (Pd, M5S, Sinistra civica verde, Energia verde) che si è fermato sotto il 40%.

Le liste: il Pd intorno al 20%, il M5s sotto il 10
Si tratta di un voto che rischia di avere pesanti ripercussioni sul governo. E non solo perché Lega e Fratelli d'Italia hanno subito sottolineato come questo voto sia un messaggio per Palazzo Chigi.

Si tratta di un risultato negativo molto negativo per l'alleanza giallo-rossa, i cui partiti peggiorano il dato delle Europee quando il Pd era arrivato al 23,98 per cento e i 5Stelle al 14,63. Il Pd fa registrare una leggera flessione, ma il calo è netto rispetto ai risultati che storicamente il partito ha ottenuto in regione. Ancora peggio il Movimento che oscilla tra il 7 e l'8%, dimezzato rispetto alle europee e addirittura 20 punti più basso del risultato delle politiche 2018.

Per la prima volta una giunta regionale umbra non sarà guidata dal centrosinistra (quindi da 50 anni a questa parte, anche se alle ultime europee la Lega aveva il 38 per cento e giunte a trazione leghista controllano già il 62 per cento del territorio).

Il centrodestra: "Sonoro ceffone al governo giallo-rosso"
Matteo Salvini ha festeggiato appena usciti gli exit poll: "A occhio fatta un'impresa storica". Poi da Perugia è intervenuto al fianco della neogovernatrice Tesei. "Qualcuno stanotte a Roma avrà qualcosa su cui riflettere", ha detto Salvini. "Gli italiani - ha aggiunto - non amano i traditori e i poltronisti".

Secondo Salvini se la Lega risultasse avere il doppio di voti del Pd nella roccaforte rossa "qualcuno al Governo dovrebbe ritenersi abusivo".
Salvini: "Lezione di democrazia a Pd e M5s, Conte un omino"

Giorgia Meloni esulta su Facebook mentre arriva a Perugia: "Espugnata la roccaforte della sinistra: ora liberiamo l'Italia!". Il risultato di Fratelli d'Italia, che arriva al 10%, supera il M5s e doppia quasi Forza Italia, è "entusiasmante" per la leader del partito.

"Dall'Umbria dopo mezzo secolo una svolta storica - scrive su twitter Silvio Berlusconi, presidente di FI - anche nelle tradizionali Regioni rosse il centro-destra unito rappresenta l'ampia maggioranza degli elettori. La nostra alleanza è il futuro dell'Italia e ha il diritto-dovere di governare il Paese". Arriva anche un primo commento di Antonio Tajani per Forza Italia: "Gli italiani vogliono un governo di centrodestra".

L'alleanza giallo-rossa messa sotto accusa
Il primo a prendere posizione è stato Andrea Marcucci: "Sconfitta che impone una riflessione ben più approfondita sulle alleanze". Anche il governatore della Toscana Enrico Rossi è critico: "Il voto della protesta grillina mal si amalgama con quello della sinistra riformista di governo".

Il M5s è lapidario: "Il patto civico per l'Umbria lo abbiamo sempre considerato un laboratorio, ma l'esperimento non ha funzionato".

Regionali in Umbria, Conte: “Non ci si ferma per una sconfitta”. Ma ora il governo trema
di TOMMASO CIRIACO

Per ora solo il segretario Pd Nicola Zingaretti ha deciso di difendere l'intesa con il Movimento: "La sconfitta è netta e conferma una tendenza negativa del centrosinistra consolidata in questi anni in molti grandi comuni umbri che non si è riusciti a ribaltare. Il risultato conferma, malgrado scissioni e disimpegni, il consenso delle forze che hanno dato vita all'alleanza".

"Ringrazio Bianconi per la sua generosità, per essersi messo a disposizione negli ultimi giorni utili e a tutti gli elettori e i militanti che si sono battuti in una condizione difficile se non drammatica in quella regione. Ovviamente - aggiunge Zingaretti - rifletteremo molto su questo voto e le scelte da fare, voto certo non aiutato dal caos di polemiche che ha accompagnato la manovra economica del governo. Sicuramente anche se in una situazione difficile è stato giusto metterci la faccia e combattere. Organizzeremo l'opposizione in consiglio regionale e nella società per contrastare questa deriva".

Duro commento anche dal segretario di Più Europa, Benedetto Della Vedova."Ha un po' peccato di superbia chi predicava che un governo improvvisato, compromesso con quello precedente nello stesso primo ministro e nei programmi, avrebbe comunque costituito un argine a Salvini. Lontano dal Viminale, il leader leghista non si è sgonfiato: tutt'altro".

Rilevante l'incremento dell'affluenza. Alle 23 è del 64,42. Alle 19 era pari al 52,8% rispetto al 39,9 delle regionali 2015. Quasi 13 punti percentuali in più. Nella provincia di Perugia ha votato il 53,09 per cento (contro il 40,63). Nella provincia di Terni il 51,9 contro il 37,9.

In corsa c'erano anche altri 6 aspiranti governatori: Claudio Ricci (Italia civica): Rossano Rubicondi (Partito comunista), Giuseppe Cirillo (Partito delle buone maniere), Emiliano Camuzzi (Potere al popolo e Pci), Martina Carletti (Riconquistare l'Italia), Antonio Pappalardo (Gilet arancioni).
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Messaggioda Berto » sab dic 07, 2019 9:15 am

Il mistero della villa di Renzi: la Finanza non trova le fatture
Chiara Giannini - Mar, 07/02/2017

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 60373.html

I pm indagano sulle ricevute dei lavori di ristrutturazione fatti dall'amico Andrea Bacci, già vittima di un agguato

Nei giorni scorsi qualcuno aveva esploso dei colpi di pistola contro la Mercedes di Andrea Bacci, l'imprenditore fiorentino amico dell'ex premier Matteo Renzi, indagato peraltro dalla Guardia di Finanza per una questione legata al ricorso abusivo al credito.

Uno dei proiettili era rimbalzato e aveva infranto il vetro di una finestra della sua ditta di pelletteria, non procurando fortunatamente alcun ferito. Ora la storia si fa più intricata, perché gli inquirenti avrebbero messo sotto la lente di ingrandimento proprio i rapporti tra l'uomo e l'ex capo del governo.

L'attenzione sarebbe puntata in modo particolare sulla ristrutturazione alla villa di Renzi, di cui proprio Bacci si occupò nel 2004. Che fine hanno fatto le fatture relative ai lavori? Fonti vicine a chi indaga fanno sapere che non si troverebbero. Il dubbio è quindi lecito: sono semplicemente sfuggite a un occhio attento o l'imprenditore ha fatto le manutenzioni alla casa dell'amico gratis o al nero? C'è chi in passato ha avuto guai per essersi fatto installare una parabola senza pagare la manodopera, figuriamoci se si parla della ristrutturazione di un'intera villa. Peraltro, sono anche al vaglio i legami di Bacci con ambienti connessi con la malavita locale. Quegli spari prima alla sua auto, poi a un cartello della Ab Florence, azienda di pelletteria da 130 dipendenti di proprietà dell'uomo, fanno sorgere molti dubbi.

Negli ambienti dell'imprenditoria toscana si vocifera che l'amico di Renzi abbia contratto numerosi debiti e sia stato costretto a chiedere dei soldi agli strozzini. La mancata restituzione avrebbe fatto irritare i creditori. Ecco perché Bacci è attualmente sotto scorta, su decisione della Procura. La notizia, comunque, è passata quasi sotto silenzio ed è stata riportata da pochi quotidiani, per lo più locali. Se fosse accaduto in Sicilia o in Calabria, con ogni probabilità, sarebbero partite indagini della Dia, ma nel Granducato, terra comunque in cui le infiltrazioni di cosche mafiose sono comprovate, l'attenzione è rimasta puntata solo sugli spari.

Bacci, che è anche patron della Lucchese calcio, risulta indagato con altre sei persone, proprio per l'emissione di fatture false e ricorso abusivo al credito, quale amministratore della Coam, una società che si occupa di edilizia che ha sede, guarda caso, a Rignano sull'Arno, paese di Renzi, attualmente in regime fallimentare.

L'amicizia con l'ex premier risale ai tempi in cui lo stesso era presidente della Provincia e, quindi, sindaco. Bacci deteneva, infatti, una quota della Nikila invest, che possedeva il 40 per cento della Party, società al cui vertice c'era Tiziano Renzi, padre del politico, al quale lo stesso prestò 75mila euro, assieme ad altre persone, per riscattare l'ipoteca sulla casa. Fu proprio Matteo Renzi a nominare l'imprenditore nel cda della Centrale del latte di Firenze, la Mukki e in altre partecipate. «Ancora una volta - spiega il capogruppo in consiglio regionale di Fratelli d'Italia, Giovanni Donzelli - diventa più urgente e necessario che si chiarisca chi ha sparato a Bacci e quali sono i motivi. I suoi strettissimi legami con il capo del partito di governo in Italia costringono gli italiani a chiedere trasparenza completa sulle persone frequentate e i rapporti tra eventuali personaggi malavitosi e Bacci».
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Messaggioda Berto » lun gen 27, 2020 8:25 am

Due scenari per capire cosa può succedere dopo il voto di domenica
24 Gennaio 2020
Alessandro Maran

https://www.ilfoglio.it/lettere/2020/01 ... mJ4gcwb8iw

Al direttore - Come ci mancherà lo sguardo intenso e penetrante del gerarca maggiore che annunzia la buona novella dell’èra pentastellata senza povertà, decapitata dei parlamentari fannulloni e profittatori, privati di poltrone e vitalizi, del Parmigiano Reggiano come centro della politica estera, e delle 40 leggi che hanno rivoluzionato la storia d’Italia. Ora dovremo accontentarci della liturgia del “gerarca minore”. Un saluto.

I governi di solito cadono quando uno dei partiti che fanno parte della maggioranza è tentato dal capitalizzare il proprio consenso. Se Salvini vincerà in Emilia-Romagna, difficile ma non così impossibile, i tre azionisti di maggioranza del governo, M5s, Pd e Italia viva, usciranno indeboliti a tal punto da essere disposti a qualsiasi cosa pur di non avvicinare la data delle elezioni. Il governo può cadere dunque a due condizioni, in caso di sconfitta di Bonaccini. O perché la Lega riuscirà a fare uno shopping fruttuoso all’interno del gruppo parlamentare del M5s al Senato (così grosso da rendere ininfluente il sostegno di un pezzo di Forza Italia al governo). Oppure perché, in caso di collasso del Pd, uno dei partiti della maggioranza potrebbe essere tentato di staccare la spina e provare a capitalizzare le difficoltà del suo alleato, magari sfruttando il fatto che andare a votare presto prima del referendum significherebbe andare a votare per eleggere un Parlamento non ancora ridotto dal taglio dei parlamentari. E se questo partito, ovvero quello di Renzi, fosse tentato da una mossa del genere, difficile però a oggi da credere, potrebbe anche usare il tema della prescrizione per fare crollare tutto. Chissà.

Al direttore - Perché il rango internazionale dell’Italia, si è chiesto ieri Ernesto Galli della Loggia sul Corriere, “ha subìto il tracollo drammatico di cui è testimone così evidente in queste settimane la crisi in Libia”? Colpa della deriva “oggettivamente anti italiana” dell’Unione a trazione franco-tedesca? Ma mi faccia il piacere, direbbe Totò. Perfino una persona mite e gentile come Carmelo Papa, l’altro giorno è sbottato e ha twittato: “Alla conferenza sulla Libia la posizione italiana è chiara: non sappiamo che cazzo dire né che cazzo fare, ma siamo fermi nell’idea che i pasti gratis, nella politica interna come in quello internazionale, ci spettino di diritto”. Il fatto è che in passato il nostro paese è stato molto protetto dall’esterno; e oggi non sappiamo che pesci pigliare. Ci frena il nostro “cieco supereuropeismo”? Macché. Semplicemente non vogliamo assumere rischi e non vogliamo investire (energia, uomini, risorse); e se non siamo disposti a investire e ad assumere rischi la nostra non può che essere la politica estera di un paese di seconda fila. Oggi sull’Europa continua a gravare una preoccupante crisi di coesione e l’America non ha più la forza e neppure il consenso interno per reggere il mondo sulle spalle come Atlante, fungendo contemporaneamente da locomotiva economica e da garante della sicurezza militare. Oltretutto, per gli Stati Uniti il medio oriente ha perso importanza: dopo la rivoluzione dello shale, gli Stati Uniti non dipendono più dal petrolio del medio oriente e i mercati mondiali sono meno vulnerabili agli choc (quando in settembre gli strike iraniani hanno bloccato il 50 per cento della produzione saudita il prezzo del petrolio ha registrato solo un’increspatura insignificante); e anche la sopravvivenza di Israele non è più in discussione: il paese vanta un’enorme preponderanza militare, armi nucleari, trattati con i vicini e solide relazioni strategiche con Arabia Saudita, Egitto, ecc. In queste condizioni, prima ci togliamo dalla testa l’idea che i pasti gratis ci spettino di diritto e meglio è. Anche per “stringere un rapporto significativo con gli Stati Uniti più stretto e concertato di quello attuale” bisogna darsi una mossa (ad esempio, mandare le nostre truppe in Libia) e toglierci dalla testa che qualcuno ci porti la colazione a letto.

Ma per cambiare le vecchie abitudini bisogna dire agli italiani le cose come stanno (è sempre colpa di qualcun altro: gli americani, la perfida Albione e, appunto, l’asse franco-tedesco). Ad esempio, non sarebbe male se qualcuno lo dicesse in tv: “Vogliamo davvero fermare gli scafisti? Ci mettiamo 10 minuti. Ma c’è un prezzo da pagare: 50 mila uomini in Libia. Ci mandiamo tuo figlio? Leva 2000? Se mi rispondi no, vedi allora di piantarla con il piagnisteo sugli immigrati”. E si potrebbe continuare: “Italiani! Elettori! Inquilini, coinquilini, casigliani! Quando andate a casa e accendete la luce vi chiedete da dove viene? Perché i guai, se continuiamo a dipendere da Russia, Libia e Algeria, ce li andiamo a cercare. Non vogliamo il nucleare, ma possiamo almeno trivellare il gas e il petrolio quando li abbiamo, come in Adriatico e in Basilicata? E il Tap, il gasdotto che trasporterà gas naturale dal mar Caspio in Europa e qualche rigassificatore, per far sì che il gas liquefatto non ce lo portino con le navi, li vogliamo fare o non li vogliamo fare? O ce lo impedisce l’asse franco-tedesco?”. Il punto è che non vogliamo niente – neppure la pace, vogliamo solo essere lasciati in pace – e per questo non contiamo niente. Un grande autore russo ha dato un nome a un sintomo che conserva un carattere universale, al di là dello spazio e del tempo: l’oblomovismo. Un termine che denuncia apatia, alienazione e immobilismo. Per molti italiani, Oblomovka è la vera patria. Per questo, quando c’è di mezzo l’interesse nazionale, solo l’Italia fa eccezione. L’asse franco-tedesco è l’ultimo dei problemi.



I risultati definitivi delle elezioni in Emilia-Romagna e Calabria
27 gennaio 2020

https://www.corriere.it/elezioni/notizi ... 9cfa.shtml

Domenica 26 gennaio si è votato in due Regioni italiane, l’Emilia-Romagna e la Calabria. Entrambe erano amministrate, fino a ieri, dal centrosinistra: i governatori erano Stefano Bonaccini e Mario Oliverio. I risultati del voto — ancora non definitivi: ma mancano, almeno nel caso dell’Emilia-Romagna, pochissime sezioni, e le proiezioni sono ormai molto solide — hanno confermato Bonaccini in Emilia-Romagna, mentre il governo della regione Calabria passa al centrodestra, dove a vincere è stata una coalizione guidata da Jole Santelli (Forza Italia). Santelli è la prima donna governatrice di una Regione meridionale.

In Emilia-Romagna, dove le sezioni scrutinate sono oltre 4420 su un totale di 4520, Bonaccini è al 51,4 per cento; Borgonzoni al 43,68; Simone Benini (Movimento 5 Stelle) al 3,46%. Il Partito democratico si conferma primo partito, con il 34,6 per cento; la Lega è seconda con il 31,96 per cento. I 5 Stelle sono fermi al 4,7 per cento: alcuni elettori pentastellati hanno votato in modo disgiunto (la lista del partito, ma Bonaccini presidente). In ogni caso, il risultato del Movimento, in una delle Regioni storicamente più importanti per i 5 Stelle, è drammatico.

In Calabria, dove le sezioni scrutinate sono invece ancora meno di 2000 su 2420, Santelli è al 55,95 per cento, Filippo Callipo (centrosinistra) al 30,2%; Francesco Aiello (5 Stelle) al 7,4%. Il primo partito è, anche qui, il Pd, con il 15,78%; Forza Italia è seconda con il 12,6%, seguita dalla Lega al 12,2 per cento e da Fratelli d’Italia (11,14%).

L’importanza del voto di ieri era più ampia dell’orizzonte regionale, come sottolinea qui il direttore del Corriere Luciano Fontana: il leader della Lega e della coalizione di centrodestra, Matteo Salvini, aveva spiegato di voler trionfare in Emilia-Romagna per dare «un avviso di sfratto» al governo guidato da Giuseppe Conte e sostenuto da Movimento 5 Stelle, Partito democratico, Liberi e Uguali e Italia Viva. Quella «spallata» contro il governo nazionale è stata respinta, come scrive oggi nell’editoriale Massimo Franco. Il leader del Pd, Nicola Zingaretti, è riuscito dunque a «fermare l’onda salviniana in un passaggio decisivo». Il presidente del Consiglio Conte può tirare un sospiro di sollievo, anche se — come scrivono Alessandro Trocino e Francesco Verderami — dovrà fare i conti con la crisi dei 5 Stelle, crollati in entrambe le Regioni.

A legittimare queste analisi è anche un’impennata della partecipazione, specie in Emilia-Romagna, dove l’affluenza è stata del 67,1 per cento: quasi il doppio rispetto alla precedente tornata. Secondo le prime valutazioni dell’Istituto Cattaneo, l’incremento avrebbe premiato entrambi in contendenti, come effetto della polarizzazione del voto sui due principali schieramenti (nel caso del centrosinistra, decisive sono state le «Sardine», cui è andato il ringraziamento di Zingaretti). Ma a votare di più sono state le città di Bologna, Modena e Ravenna, dove il Pd è più forte. In Calabria l’affluenza è stata comunque molto bassa: 44,32 per cento, di un soffio più alta di 5 anni fa.




Elezioni regionali, tracollo Cinque stelle: dalla culla alla tomba
In Emilia Romagna il Movimento va peggio persino di dieci anni fa: 5 per cento secondo le proiezioni, alle origini nel 2010 conquistò il 7 per cento. A lumicino pure in Calabria. I 309 parlamentari M5S, da ora, sono tecnicamente dei morti viventi. Da domani tutto balla. Anche le caselle del governo?
di Susanna Turco
27 gennaio 2020

http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... a-1.343497

Il tracollo è verticale, spaventoso. Si può dirlo anche senza attendere il commento di Vito Crimi, da tre giorni reggente in luogo del dimissionario Luigi Di Maio e della sua cravatta. I numeri allontanano ancora la fotografia del voto delle politiche 2018, che immortalava una situazione completamente diversa da quella di oggi. A nulla può valere che l'ulteriore calo fosse prevedibile e ampiamente previsto. In Emilia Romagna, secondo le proiezioni, i Cinque stelle conquistano il 5 per cento: il candidato governatore Simone Benini agguanta a mala pena il 4 per cento, ed ha il coraggio di dirsi soddisfatto («volevamo esserci e ci siamo», proclama).

In realtà sono percentuali mai viste dal M5S in Regione, «culla e tomba» dei Cinque stelle. Record negativi che non furono toccati nemmeno nel movimento delle origini: dieci anni fa, 2010, sempre alle regionali il Movimento guidato da Beppe Grillo prese il 7 per cento – come ricorda l'oggi ex Giovanni Favia, che condusse l'impresa. Per non parlare dell'ultimo biennio: il 27,5 per cento il 4 marzo 2018, già sceso al 12 per cento alle europee del 2019. «I numeri sono impietosi, li condannano all'irrilevanza», commenta Silvio Berlusconi, peraltro dall'alto del 2,5 per cento raccolto nella regione più rossa d'Italia. In effetti, nella corsa a perdifiato verso il nulla, il partito del dimissionario Luigi di Maio va più forte persino del partito azzurro del Cavaliere - che pure è in disfacimento da tempo (si salva solo in Calabria, grazie alla candidata unitaria del centrodestra Jole Santelli).

Ancora più drammatico il crollo in Calabria: il 6,3 per cento ottenuto dai Cinque stelle secondo le prime proiezioni è sorprendente, a paragone del 26,7 per cento conquistato soltanto un anno fa. Per non parlare del fantasmagorico 43,4 per cento delle politiche 2018. È rimasto un voto su otto, di quelli di allora. E meno male che il reddito di cittadinanza doveva essere la chiave di volta per conservare i consensi raccolti al Sud.

Elezioni regionali Calabria: Jole Santelli e il centrodestra vincono di oltre venti punti
Battuto l'imprenditore Filippo Callipo sostenuto dal Pd (che ha sconfessato il suo governatore uscente). Crollano i 5 Stelle

Da domani, è il minimo, si moltiplicheranno i mal di pancia degli ondivaghi trecento parlamentari dei Cinque stelle (210 deputati e e 99 senatori). Eletti che non hanno allo stato praticamente alcuna probabilità di tornare in Aula, tecnicamente dei morti viventi nel Palazzo, forse pronti a tutto pur di sopravvivere.

Da domani – se non il governo stesso, così tanto cambiato nei pesi interni in soli quattro mesi – sono destinati ad essere presi d'assalto i punti più molli della maggioranza giallo-rossa. A partire dalla legge elettorale proporzionale e dalla mediazione sulla nuova prescrizione. Un riequilibrio pro-Pd sarebbe da immaginarsi, anche dal punto di vista della composizione dell'esecutivo: il guardasigilli Bonafede, l'unico che (insieme con Conte) ricopre il medesimo incarico che aveva nel precedente governo, riuscirà ad esempio a restare al suo posto? E il premier stesso, non ha nulla da temere?

A rigor di logica, visto il crollo di quello che era il primo partito della maggioranza, un terremoto dovrebbe essere alle porte. Eppure non sono pochi quelli che invitano a non sottovalutare la scarsità di mezzi, e ampiezza di manovra, di questo consesso umano. Insomma, in questo caos, anche trovare qualcuno in grado di mettere in piedi una strategia non sarà facile.
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