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Esclusivo: anche Matteo Salvini ha usato i soldi rubati da BossiGiovanni Tizian e Stefano Vergine
2017/09/28
http://espresso.repubblica.it/inchieste ... i-1.311009Cinque anni fa, quando tutto ebbe inizio, Umberto Bossi usò un’immagine biblica per spiegare il suo intento. «Ho fatto come Salomone: non ho voluto tagliare a metà il bambino», disse mentre si apprestava a lasciare le redini del partito a Roberto Maroni.
Erano i giorni in cui i giornali pubblicavano le prime notizie sullo scandalo dei rimborsi elettorali leghisti, quelli incassati gonfiando i bilanci e usati per pagare le spese personali del Capo e della sua famiglia, come la laurea in Albania del figlio Renzo o le multe del primogenito Riccardo.
Il senso della metafora bossiana era chiaro: piuttosto di dividere la Lega tra chi sta con me e chi contro di me, il Senatùr si diceva pronto a lasciare pacificamente il potere al suo storico rivale. Da allora in poi l’intento di chi è succeduto a Bossi, prima Maroni e oggi Salvini, è sempre stato quello di differenziarsi, di creare compartimenti stagni tra il partito dell’Umberto e quello di oggi, tanto che all’ultimo raduno di Pontida al fondatore non è stato nemmeno concesso il tradizionale discorso dal palco.
I conti sequestrati sono solo l'ultimo problema in ordine temporale del Carroccio. Che dalla tangente Montedison al crack della CrediEuroNord ha mostrato di essere ladrona non meno di altri partiti.
Gli immigrati al posto dei meridionali, il nazionalismo in sostituzione del secessionismo. Pure un nuovo marchio, Noi con Salvini, dotato di satelliti sparsi dal Centro al Sud e rappresentato da personaggi della destra, come in Calabria, o vecchi democristiani votati all’autonomia, come in Sicilia. Nuovi volti (per modo di dire) e nuovi ideali sostenuti con forza proporzionale all’incedere delle inchieste giudiziarie sui fondi elettorali.
Se è vero che negli ultimi anni molto è in effetti cambiato all’interno del Carroccio, c’è qualcosa che è rimasto segretamente invariato. Roberto Maroni preferisce non dirlo, Matteo Salvini lo nega categoricamente. Insomma, gli eredi del Senatùr sostengono di non aver visto un euro di quegli oltre 48 milioni rubati da Bossi e Belsito. «Sono soldi che non ho mai visto», ha scandito di recente l’attuale segretario federale commentando la decisione del Tribunale di Genova di sequestrare i conti correnti del partito dopo la condanna per truffa di Bossi.
I documenti ottenuti da L’Espresso dimostrano però che esiste un filo diretto tra la truffa firmata dal fondatore e i suoi successori. Tra la fine del 2011 e il 2014, infatti, prima Maroni e poi Salvini hanno incassato e usato i rimborsi elettorali frutto del reato commesso dal loro predecessore. E lo hanno fatto quando ormai era chiaro a tutti che quei denari rischiavano di essere sequestrati.
Per scoprire i retroscena di questo intrigo padano bisogna tornare al 5 aprile del 2012. E tenere a mente le date. Quel giorno, a poche ore dalla perquisizione della Guardia di Finanza nella sede di via Bellerio, a Milano, Bossi si dimette da segretario del partito. È la prima scossa del terremoto che sconvolgerà gli equilibri interni alla Lega.
A metà maggio diversi giornali scrivono che a essere indagato non è solo il tesoriere Francesco Belsito, ma anche il Senatùr. Il reato ipotizzato è quello di truffa ai danni dello Stato in relazione ai rimborsi elettorali. Il primo di luglio Maroni viene eletto nuovo segretario del partito. E quattro mesi dopo, il 31 ottobre, passa per la prima volta alla cassa. Come certifica un documento inviato dalla ragioneria del Senato alla Procura di Genova, quel giorno l’attuale governatore della Lombardia riceve 1,8 milioni di euro. È il rimborso che spetta alla Lega per le elezioni politiche del 2008, quelle vinte da Berlusconi contro Veltroni. Il primo di una lunga serie. Da qui in poi a Maroni verranno intestati parecchi bonifici provenienti dal Parlamento.
A fine 2013, cioè al termine del mandato di segretario, Bobo avrà così ricevuto 12,9 milioni di euro. Tutti rimborsi relativi a elezioni comprese tra il 2008 e il 2010, quando a capo del partito c’era Bossi e a gestire la cassa era Belsito. Insomma, proprio i denari frutto della truffa ai danni dello Stato.
Che cosa cambia quando Salvini subentra a Maroni? Niente, se non le cifre. A metà dicembre del 2013 Matteo viene eletto segretario del partito. L’inchiesta sui rimborsi elettorali intanto va avanti, e a giugno del 2014 arrivano le richieste di rinvio a giudizio: i magistrati chiedono il processo per Bossi. Un mese e mezzo dopo, il 31 luglio, Salvini incassa 820mila euro di rimborsi per le elezioni regionali del 2010. Perché allora il segretario della Lega e aspirante candidato premier per il centro-destra continua a sostenere che lui quei soldi non li ha mai visti? E se li ha visti, come poteva non sapere che erano frutto di truffa?
Due mesi dopo aver incassato gli oltre 800 mila euro, Salvini e la Lega si costituiscono infatti parte civile contro i compagni di partito. Si sentono vittime di un imbroglio, di una truffa che ha sfregiato il vessillo padano. E vogliono essere risarciti. La nuova dirigenza è dunque consapevole della provenienza illecita del denaro accumulato sotto la gestione di Bossi. Ma il 27 ottobre, solo venti giorni dopo l’annuncio di costituirsi parte civile, Salvini fa qualcosa che appare in netta contraddizione con quella scelta: ritira altri soldi. Questa volta la somma è piccola, poco meno di 500 euro: l’ultima tranche di rimborso per le elezioni regionali del 2010.
La sostanza però non cambia. Sono denari ottenuti con la rendicontazione gonfiata firmata da Belsito. Fatto di cui a quel punto è dichiaratamente convinto anche Salvini. Il quale, due giorni dopo l’ultimo prelievo, riceve persino una lettera dallo storico avvocato di Bossi, Matteo Brigandì. «Ti diffido dallo spendere quanto da te dichiarato corpo del reato», si legge nella missiva con la quale la vecchia guardia lancia un messaggio chiaro al nuovo gruppo dirigente: voi ci accusate di aver rubato quattrini, allora sappiate che i soldi che avete in cassa sono il profitto della truffa, e usarli vuol dire diventare complici del reato.
Il denaro, più che l’ideologia, è dunque il collante tra l’epoca di Bossi, l’interregno di Maroni e il presente firmato Salvini. Le tre età del partito della Padania intrecciate attorno a una vicenda che tutti vogliono dimenticare in fretta. Talmente in fretta da ritirare persino la costituzione di parte civile davanti al giudice.
Già, perché solo un mese dopo essersi dichiarato vittima della truffa targata Bossi-Belsito, Salvini fa marcia indietro. Come a dire: chiudiamola qua, scordiamoci il passato e andiamo avanti. Una scelta travagliata, non da tutti condivisa. All’interno della Lega, infatti, nei primi mesi del 2014, c’era chi voleva mostrare pubblicamente la rottura col passato. Altri, invece, parteggiavano per la politica della rimozione. In questo contesto matura l’accordo di conciliazione”con l’avvocato di Bossi, nel quale la Lega rinuncia a costituirsi parte civile. A un patto però: il legale di fiducia del Senatùr avrebbe dovuto accantonare ogni pretesa di denaro che il partito gli doveva, circa 6 milioni di euro. Infine, a Bossi sarebbe andato un lauto vitalizio.
Tutto risolto, dunque? Macché. Salvini e Maroni vengono meno al patto. E danno mandato all’avvocato Domenico Aiello, legale del governatore lombardo, di procedere con la costituzione di parte civile. Uno smacco al vecchio amico Bossi, a cui poco dopo segue un altro colpo di scena. A novembre durante l’udienza preliminare contro B&B, Aiello ritira l’atto di costituzione. In pratica la Lega non chiede più i danni per la truffa. Un’idea di Salvini, motivazione ufficiale: «Non abbiamo né tempo né soldi per cercare di recuperare soldi che certa gente non ha», spiegò l’europarlamentare appena eletto segretario del Carroccio. Una mossa che sorprese persino il governatore della Lombardia, Maroni, che con Aiello aveva fatto il possibile per chiedere i danni agli imputati leghisti.
La sensazione di chi il partito lo frequenta da venti e passa anni è che sia stata una ritirata strategica, per rappacificare le opposte fazioni ed evitare rivelazioni scomode. Soprattutto in merito ai soldi lasciati in cassa da Bossi, quelli finiti al centro delle inchieste di tre procure.
I bilanci della Lega raccontano, infatti, meglio di qualsiasi dichiarazione politica che cosa è successo in questi anni ai soldi dei Lumbard, o meglio di tutti i contribuenti italiani. Il primo dato evidente è che le cose andavano molto meglio, almeno dal punto di vista finanziario, quando sulla plancia di comando c’era Bossi. Con lui al vertice i bilanci degli ultimi anni si sono infatti chiusi sempre in positivo. Le cose cambiano nel 2012, quando arriva Maroni: per la prima volta la Lega chiude i conti in rosso, con una perdita di 10,7 milioni di euro. L’anno seguente, il primo interamente firmato da Bobo, le cose vanno persino peggio: il bilancio evidenzia una perdita di 14,4 milioni. Colpa della diminuzione dei rimborsi elettorali e del calo delle donazioni private, si legge nei resoconti padani. Ma non è solo questo.
Nonostante i dipendenti diminuiscano, i costi sostenuti dalla Lega aumentano. In particolare alcune voci, come quella denominata “spese legali”, per cui il partito arriva a sborsare oltre 4,3 milioni di euro tra il 2012 e il 2014. Un bella somma, oltretutto senza neppure essersi costituita parte civile nel processo contro Bossi e Belsito.
Com’è possibile allora aver speso tutti quei soldi in avvocati? I bilanci non lo spiegano, ma un documento ottenuto da L’Espresso aiuta a capire meglio come sono andate le cose. È un contratto datato 18 aprile 2012. Bossi si è dimesso da due settimane e il Carroccio è retto dal triumvirato Maroni-Dal Lago-Calderoli. Sono loro ad affidare la consulenza legale allo studio Ab di Domenico Aiello, già avvocato personale di Maroni e in ottimi rapporti con il magistrato milanese che sta seguendo l’inchiesta, Alfredo Robledo. Nel contratto si specifica che la consulenza riguarderà proprio i procedimenti penali che coinvolgono Bossi e i rimborsi truccati. Si tratta delle indagini in corso a Milano, Napoli, Genova e Reggio Calabria, ciascuna segnalata con il relativo numero di fascicolo.
Un lavoro ben pagato: per Aiello la tariffa sarà di 450 euro all’ora, costo che sale a oltre 650 euro se si aggiungono - come da prassi - spese generali, contributi previdenziali e imposte. Insomma non male per l’avvocato calabrese che, qualche anno dopo, Maroni piazzerà nel consiglio d’amministrazione di Expo, mentre la moglie, Anna Tavano, finirà per un periodo in Infrastrutture Lombarde, società controllata direttamente dalla Regione.
Va detto che Aiello, così come la moglie, ha un curriculum di tutto rispetto. Tra i suoi clienti più celebri, oltre a Bobo Maroni spicca l’ex presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua. Poi ci sono gli incarichi negli organismi di vigilanza: Consip, Siemens, Conbipel, Veolia e la Sparkasse di Bolzano. In quest’ultima banca il presidente del Consiglio di amministrazione si chiama Gerhard Brandstätter. Brillante avvocato del Sudtirolo, che con Aiello, nel 2011, ha fondato lo studio associato AB, lo stesso scelto dalla Lega.
Con Maroni traghettatore, le camice verdi apriranno anche un conto “easy business” e un conto deposito presso la banca altoatesina, depositando in totale qualche milioncino. È il periodo in cui si tentava di mettere al sicuro il patrimonio del partito, dalle cordate bossiane e forse anche dai giudici. Matura così l’idea, poi tramontata, di creare un trust in Sparkasse per blindare quasi 20 milioni.
I bilanci non confermano solo questo. Spiegano anche perché oggi i conti del partito sono a secco. E quale la strategia scelta per evitare il sequestro effettivo dei soldi. Nel 2015, quando è Salvini a comandare, la ricchezza della Lega cala, infatti, vistosamente. Il patrimonio netto passa da 13,1 milioni dell’anno precedente a 6,7 milioni. Il motivo è spiegato chiaramente nella relazione sulla gestione finanziaria: i soldi del partito sono stati trasferiti alle sezioni locali, 13 in tutto, dotate nel frattempo di codici fiscali autonomi.
È così ad esempio che due giorni prima di Natale la sezione Lombardia, fino ad allora sprovvista di risorse finanziarie, diventa titolare di un patrimonio da 2,9 milioni di euro. Custoditi per lo più su conti correnti bancari e postali. Una partita di giro, insomma. Il risultato? Al termine del 2016 la Lega aveva una disponibilità liquida di soli 165mila euro, mentre le sue 13 sezioni locali messe insieme registravano somme per 4,3 milioni. La nuova architettura finanziaria non ha però impedito ai magistrati di sequestrare le ricchezze del Carroccio. Come ha dichiarato lo stesso Salvini, al momento non è stato bloccato il conto corrente della Lega nazionale, ma quelli delle sezioni locali. «Un punto su cui daremo battaglia in sede legale», assicura una fonte del Carroccio che non vuole essere nominata.
C’è però ancora una questione da risolvere. Il tribunale di Genova, nei giorni scorsi, ha deciso di bloccare il sequestro. I giudici hanno annunciato di aver congelato poco meno di 2 milioni. Eppure, come detto, alla fine dell’anno scorso sui conti della Lega c’erano 4,3 milioni. Mancano dunque all’appello oltre 2 milioni. Possibile che la Lega li abbia spesi in questo 2017. O anche che siano stati trasferiti su altri conti. Un’ipotesi, questa, impossibile da verificare. Perché “Noi con Salvini”, il movimento creato tre anni fa dal nuovo leader del Carroccio per conquistare il Centro-Sud, non ha mai pubblicato un bilancio.
Dubbi e interrogativi sollevati dai nemici interni del leader in felpa. Salvini potrà dire che a lui certe questioni “politichesi” non interessano e che preferisce parlare di immigrazione, euro, lavoro. Ma all’interno del suo partito i bossiani non dimenticano. E i mal di pancia iniziano a diventare veri e propri tumulti silenziosi. Pare che siano persino pronti a muoversi autonomamente per le prossime elezioni politiche. Una forza che ruberebbe al Capitano il 2-3 per cento.
Del resto non è facile disfarsi del Senatur, fu il primo a dare avvio a una tipica usanza leghista: scaricare i compagni di partito che osavano mettere in dubbio la sua autorità. Bossi fece così con l’ideologo della secessione Gianfranco Miglio. Con la stessa moneta lo hanno ripagato Maroni e Salvini. E ora sotto a chi tocca.
Salvini con Telese e Parenzo su La 7https://www.facebook.com/salviniofficia ... 9894008155 Il sequestro di 49 Milioni alla Lega è un'assurdità giuridica.1) Il denaro è stato regolarmente versato dal Parlamento alla Lega, come a tutti gli altri partiti eletti: in base ai voti ottenuti.
2) La procura sostiene che alcuni individui all'interno della
Lega abbiano usato questi fondi per scopi personali.
3) Se fosse così il denaro andrebbe sequestrato a questi individui per essere restituito alla Lega.
Come funzionavano i rimborsi elettorali:
http://www.lavoce.info/archives/27655/c ... elettoraleRicostruzione un po' decente della vicenda:
https://www.ilpost.it/2018/07/04/storia ... 49-milioniCOME FUNZIONA IL "RIMBORSO" ELETTORALEGuido Zichichi
http://www.lavoce.info/archives/27655/c ... elettorale Nell’arco di una legislatura lo Stato elargisce ai partiti più di un miliardo a titolo di rimborso di spese elettorali . Come si arriva a questa cifra? Dopo l’abolizione per via referendaria del finanziamento ai partiti, varie leggi hanno continuato a gonfiare questo importo, fino a perdere ogni legame con la logica del rimborso. Per tornare allo spirito originario, non bastano le recenti riduzioni, ma occorre un nuovo meccanismo.
Nell'arco di una legislatura lo Stato elargisce ai partiti più di un miliardo a titolo di rimborso di spese elettorali . In che modo si arriva a questa cifra? Ogni volta che si tiene un'elezione viene istituito un fondo annuo, calcolato moltiplicando il numero degli elettori potenziali alla Camera (circa 50 milioni di persone) per un euro, arrivando a un totale di 50 milioni di euro. Questo meccanismo funziona per ciascuna delle elezioni alla Camera, al Senato, europee e regionali. Quindi la cifra di 50 milioni di euro va moltiplicata per quattro, portando l'esborso oltre i 200 milioni di euro l'anno. Questo avviene per cinque anni, portando la spesa dello Stato sull'arco di una legislatura canonica a 1 miliardo di euro. Ciascun fondo viene ripartito in modo proporzionale tra i partiti che hanno partecipato alle elezioni ottenendo almeno l'un per cento dei voti.
COME CI SIAMO ARRIVATI?
Dopo il referendum del 1993 che aboliva il finanziamento pubblico ai partiti, ci sono stati vari tentativi per non interrompere il flusso di soldi che a questi arrivano dallo Stato. Nel 1999 è stato istituito il meccanismo valido ancora oggi, a cui sono state apportate alcune modifiche successivamente.
Mentre la legge del 1999 istituiva un fondo attivo per un solo anno, il cui ammontare era stabilito moltiplicando gli elettori per 4.000 lire (cioè 2,07 euro) già nel 2002 veniva modificata 'riducendo' il costo di un elettore a 1 euro, ma attivando la ripetizione annua per tutta la durata della legislatura, perciò aumentando potenzialmente il costo a 5 euro ad elettore.
E' significativo che il numero di elettori non sia stato stabilito in base a quanti votino di fatto alle elezioni, ma guardando al numero di potenziali elettori, cioè anche a chi sceglie di non votare. La scelta di fare sempre riferimento all'elettorato della Camera è dovuta al fatto che si tratta dell'elettorato più numeroso.
Nel 2006, prima dell'inizio della successiva legislatura, c'è stata una piccola ma significativa modifica: il fondo sarebbe stato versato ai partiti per cinque anni, indipendentemente dalla durata della legislatura. Questo ha fatto sì che i rimborsi dovuti per elezioni politiche del 2006 si sommassero a quelli per le elezioni del 2008, aumentando il totale dei contributi annui di circa 100 milioni di euro all'anno per tre anni, dal 2008 al 2010.
I TAGLI
Nel 2007 le autorizzazioni di spesa vengono ridotte di 20 milioni (circa il 10 per cento), ma all'arrivo della crisi si capisce che altri interventii sono necessari. Così nel 2010 il fondo viene ridotto del 10 per cento. Di nuovo nel 2011 viene introdotta una nuova riduzione dei fondi del 10 per cento. Nonostante queste riduzioni, peraltro attive dalle elezioni successive, il conto rimane salatissimo: circa 140 milioni all'anno (salvo interruzioni di legislatura, nel qual caso i fondi si sommano tra loro, raddoppiando se non triplicando una cifra già altissima: così configurato il meccanismo sembra un incentivo alla caduta dei governi).
Non si dovrebbero chiamare questi costi 'rimborsi per le spese elettorali' ai partiti, perché non si spiegherebbe come mai le spese dei partiti in occasione delle elezioni non superino il 20 per cento dei soldi ricevuti dallo Stato. Una proposta concreta sull'ammontare di giusti rimborsi per le spese elettorali, fatta su queste pagine, potrebbe consistere nella costituzione di un fondo ottenuto moltiplicando un costo realistico di spesa (ad esempio i 52 centesimi spesi in media dalla Lega) per il numero di voti effettivamente ricevuti.
Fonte: Rapporto della Corte dei Conti (2010)
Leggi di riferimento:
Legge 3 giugno 1999, n. 157, articolo 1, comma 5
Legge 26 luglio 2002, n. 156, articolo 2, comma 1 e 3
Legge 23 febbraio 2006, n. 51
Legge 24 dicembre 2007, n. 244, articolo 2, comma 275
Legge 30 luglio 2010, n. 122, capo II, articolo 5
Decreto Legislativo 6 luglio 2011, n. 98, articolo 6, comma 1
La storia dei soldi della Lega, dall'iniziomercoledì 4 luglio 2018
https://www.ilpost.it/2018/07/04/storia ... 49-milioni Cosa ha deciso la Cassazione, come ci si è arrivati e cosa dicono invece Matteo Salvini e gli avvocati del suo partito
Un momento del raduno della Lega a Pontida, Bergamo, 1 luglio 2018 (ANSA/ PAOLO MAGNI)
La principale notizia sulle prime pagine dei giornali di oggi è la sentenza con cui la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dalla procura di Genova che chiede di estendere il blocco dei fondi della Lega anche al denaro che arriverà in futuro al partito. Nelle sue motivazioni, la Cassazione ha stabilito quindi che ogni somma di denaro riferibile alla Lega, il partito guidato dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, può essere sequestrata “ovunque venga rinvenuta” d’ora in poi: su conti bancari, libretti o depositi.
È una storia che comincia da lontano, e che riguarda il più grave scandalo che abbia coinvolto la Lega. Nel luglio del 2017 infatti il tribunale di Genova aveva condannato per truffa ai danni dello Stato il fondatore della Lega Nord, Umberto Bossi, e l’ex tesoriere del partito, Francesco Belsito, oltre a tre dipendenti del partito e due imprenditori. Il procedimento riguardava i rimborsi elettorali ricevuti dalla Lega – che allora si chiamava Lega Nord – tra il 2008 e il 2010, che erano stati utilizzati invece per spese personali. Lo scandalo era nato nei primi mesi del 2012, quando Belsito venne indagato per la sua gestione dei rimborsi elettorali ricevuti dal partito, trasferiti in alcuni casi all’estero dove erano stati investiti in varie attività, tra cui l’acquisto di diamanti. La vicenda aveva portato alle dimissioni di Bossi dalla carica di segretario e alla sua condanna a 2 anni e 6 mesi. L’allora tesoriere del partito, Francesco Belsito, era stato condannato a 4 anni e 10 mesi.
Sempre nel 2017 e nell’ambito del processo per truffa, il tribunale di Genova aveva deciso di procedere alla confisca al partito di circa 49 milioni di euro (48 milioni e 969 mila e 617 euro, per la precisione), a titolo di risarcimento per i rimborsi ingiustamente utilizzati: quale «somma corrispondente al profitto, da tale ente percepito, dai reati per i quali vi era stata condanna». Il 4 settembre del 2017 la procura di Genova aveva chiesto e ottenuto con un decreto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca della somma, ma nei conti correnti della Lega erano stati trovati solo circa 2 milioni di euro. Non era chiaro se il decreto dovesse riguardare solo i fondi che già si trovavano sui conti al momento del provvedimento di sequestro (come sostengono gli avvocati della Lega) o anche le somme depositate successivamente. La procura aveva richiesto di estendere l’esecuzione del sequestro anche alle somme che sarebbero arrivate da lì in poi alla Lega fino al raggiungimento della somma stabilita, cioè circa 49 milioni, ma il tribunale del Riesame aveva respinto la richiesta.
I pubblici ministeri di Genova avevano allora presentato un ricorso in Cassazione che, lo scorso 12 aprile, si era pronunciata: solo ieri, però, sono state depositate le motivazioni. La Cassazione ha accolto il ricorso e ha annullato con rinvio al Riesame l’ordinanza con la quale, in base al decreto già emesso in settembre, era stato fermato il sequestro delle somme future. Il Riesame dovrà ora emettere un nuovo provvedimento tenendo però in considerazione le indicazioni e le motivazioni della Cassazione, che sono vincolanti.
Nelle motivazioni della sentenza di Cassazione si legge che «la fungibilità del denaro e la sua stessa funzione di mezzo di pagamento non impongono che il sequestro debba necessariamente colpire le medesime specie monetarie illegalmente percepite», ma «la somma corrispondente al loro valore nominale, ovunque venga rinvenuta, una volta accertato, come nel caso in esame, il rapporto pertinenziale quale relazione diretta, attuale e strumentale, fra il danaro oggetto del provvedimento di sequestro ed il reato del quale costituisce il profitto illecito». Il senso della sentenza della Cassazione è dunque che quella somma deve essere recuperata dallo Stato, poiché ingiustamente utilizzata dalla Lega: se al momento del decreto del 4 settembre i soldi sui conti della Lega non c’erano, quella cifra sarà messa insieme con i nuovi soldi che entreranno.
Nel frattempo, sempre a Genova è stata aperta un’indagine per riciclaggio a carico d’ignoti sui soldi spariti, o almeno su una parte: l’ipotesi della procura è che la Lega – non è chiaro quando ma durante le gestioni successive a Bossi, quindi quelle di Roberto Maroni e Matteo Salvini – abbia cercato di nascondere parte dei propri soldi per evitare che venissero sequestrati, trasferendoli in Lussemburgo per poi farli rientrare in Italia. A segnalare alle autorità antiriciclaggio italiane queste manovre finanziarie è stato lo stesso Lussemburgo, che ha considerato sospetto il rientro in Italia della somma. Secondo la procura, la banca dalla quale i soldi sono stati trasferiti e poi rimpatriati sarebbe la Sparkasse, la Cassa di Risparmio di Bolzano.
Poche ore dopo il deposito delle motivazioni della Cassazione, ospite a In Onda, programma su La7, Matteo Salvini ha detto che quei 49 milioni di euro «non ci sono: posso fare una colletta, ma è un processo politico che riguarda fatti di 10 anni fa su soldi che io non ho mai visto». E ancora: «Se ci sono fatti di dieci anni fa, si pensi a quelli che c’erano dieci anni fa; i milioni di italiani che col 2 per mille danno un contributo al nostro partito non c’entrano. Siamo sereni». Alcune inchieste giornalistiche avrebbero però scoperto che sia Salvini che Maroni avrebbero utilizzato una parte dei 49 milioni di euro frutto della truffa tra il 2011 e il 2014.
Le parole di Salvini sulla «colletta», sostiene oggi Repubblica, «non sono distanti dai ragionamenti in corso in via Bellerio. Siccome tutti gli eletti, dai parlamentari ai consiglieri regionali, da sempre versano una quota della propria indennità al partito, un’idea è far finanziare le iniziative della Lega direttamente dagli eletti. (…) Senza dimenticare il nuovo soggetto politico, la “ Lega per Salvini premier”, il cui statuto è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Formalmente un partito diverso dalla Lega. Sul quale, sperano i vertici del Carroccio, la procura genovese potrebbe non avventarsi».
Rimborsi alla Lega: lingotti, diamanti, soldi in Tanzania E c’è anche il filone sul dopo BossiGiuseppe Guastella
5 luglio 2018
https://milano.corriere.it/notizie/cron ... c055.shtmlSei anni di indagini e processi sembrano aver ancora fatto luce definitiva su come siano stati utilizzati tutti i 49 milioni di euro di rimborsi elettorali ottenuti gonfiando i bilanci dalla Lega Nord tra il 2008 e il 2010 quando saldo alla guida del Carroccio c’era il fondatore Umberto Bossi. Gran parte di quel fiume di denaro è evaporata in mille rivoli per mandare avanti il partito, ma ce n’è un’altra che, secondo la magistratura, non si sa ancora dove sia finita.
L’indagine si concretizza a fine del 2011 a Milano nell’ufficio dell’allora procuratore aggiunto Alfredo Robledo che apre un fascicolo «Lega Nord» (la sede del partito è a Milano) con i sostituti Paolo Filippini e Roberto Pellicano. Dentro ci finiscono gli atti arrivati dalle procure di Napoli e Reggio Calabria che in due diverse indagini avevano intercettato l’allora tesoriere Francesco Belsito che parlava di soldi e di affari. All’inzio di aprile del 2012, la Guardia di Finanza accede all’ufficio di Belsito in Senato a Roma, apre una cassaforte e trova un cartellina rossa con scritto “The family” in cui c’è una lunga serie di spese (mezzo milione di euro) pagate dal partito per le esigenze personali del Senatùr e della sua famiglia, a partire dai figli Renzo e Riccardo, per il quale resta memorabile la laurea farlocca comprata in Albania. Dall’analisi dei conti della Lega emergono milioni spesi in diamanti e lingotti d’oro o investiti tra Cipro e la Tanzania. Una perizia sulla documentazione relativa ai rimborsi ottenuti dal partito apre la strada all’accusa di aver usato «artifici e raggiri» per riuscire ad ottenere circa 40 milioni dal Parlamento. Bossi è costretto a dimettersi dalla carica di segretario della sua creatura politica che viene affidata a Roberto Maroni. A fine 2013 i pm chiudono l’inchiesta accusando il Senatùr di truffa aggravata ai danni dello stato con Francesco Belsito e tre componenti del comitato di controllo contabile del partito. Per Bossi, i suoi due figli e Belsito c’è anche l’accusa di appropriazione indebita.
Il processo, però, si divide in due all’udienza preliminare quando il gup decide di trasmettere il filone sui rimborsi elettorali per competenza a Genova, dove ha sede la banca in cui fu accredita a Belsito l’ultima trance dei rimborsi elettorali, proprio quei 5,7 milioni finiti misteriosamente in Tanzania passando per le banche dell’isola di Cipro. Nel processo di primo grado che resta a Milano, il 10 luglio del 2017 Umberto Bossi sarà condannato a due anni e tre mesi di reclusione, Renzo a un anno e sei mesi, Belsito a due anni e sei mesi, mentre con il trito abbreviato Riccardo Bossi aveva già preso un anno e 8 mesi di carcere nel marzo del 2016.
A Genova il processo si chiude 14 giorni dopo, ed è una nuova mazzata per l’anziano ex leader del Carroccio: condanna a 2 anni e mezzo per lui, a 4 anni e 10 mesi per Francesco Belsito e confisca di 49 milioni ai danni della Lega Nord. La procura di Genova, infatti, aveva fatto altre indagini arrivando ad ipotizzare che la truffa dei rimborsi raggiungesse i 56 milioni, tetto che però il giudice aveva ritenuto di dover fare scendere fino a 49. I pm, che riescono a sequestrare a malapena tre milioni e mezzo di euro nelle casse esangui della Lega e degli imputati, vogliono cercare ancora, e a tappeto, i soldi che mancano per colmare il danno subito dalle casse dello Stato per i pregressi versamenti concessi al Carroccio. Vogliono poter bloccare ogni fondo riferibile al partito oggi guidato dal ministro dell’interno Matteo Salvini. Dopo che il Tribunale del riesame dà loro torto, sostenendo che non può essere fatto, la Cassazione ribalta questa decisione dando ragione ai pm che intanto hanno aperto un’ altra inchiesta, questa per riciclaggio, sull’ipotesi di un reimpiego occulto dei rimborsi illeciti anche dopo l’era Bossi.
Sequestro Lega, Nordio: "Ha ragione Salvini, è atto politico"Sabato 16 Settembre 2017
http://www.lapresse.it/sequestro-lega-n ... lvini.html "Ha ragione Salvini che parla di atto politico", lo ha dichiarato Carlo Nordio, in un'intervista a QN in cui definisce "pericoloso" il protagonismo di chi indaga. Così l'ex procuratore aggiunto di Venezia ha commentato il sequestro conservativo da 49 milioni di euro disposto dal Tribunale di Genova sui beni della Lega Nord dopo la condanna di Umberto Bossi e l'ex tesoriere Francesco Belsito per i rimborsi elettorali.
"Bisogna andarci cauti con provvedimenti di questo tipo - ha spiegato - che incidono sullo svolgimento della dialettica politica. Vanno adottati solo se strettamente necessari: non mi pare che lo fossero. Così si rischia di alterare il gioco democratico. In questo senso, ha ragione Salvini che parla di atto politico". Più in generale ha poi affermato che "la politica deve recuperare fiducia in se stessa se vuole ristabilire il primato sull'azione giudiziaria, altrimenti restera' subordinata alla magistratura, come succede dal 1993, ovvero da quando è scoppiata Mani Pulite".
Le dichiarazioni di Salvini - Il sequestro di 49 milioni di euro alla Lega è "una follia. L'eventuale erroneo uso da parte del tesoriere della vecchia dirigenza ammonta a poco più di 300mila euro. Giurisprudenza alla mano, una volta condannato in via definitiva doveva restituire quelli. Da 300mila a 48 milioni balla molto...". Così aveva dichiarato in giornata segretario della Lega. "Non abbiamo una lira, da due anni non riceviamo alcun finanziamento pubblico. Se qualcuno ha sbagliato, vadano a chiedere a questo qualcuno e non a noi". La Lega non si è costituita parte civile nel processo del Tribunale di Genova contro Umberto Bossi e Francesco Belsito da cui è derivato il sequestro di 49 milioni di euro "perché contavamo che in Italia ci fosse giustizia, ci ritenevamo parte lesa".
"Sono sicuro che alla fine ci daranno ragione - ha spiegato Salvini - ma non vorrei che fosse troppo tardi". "Non vorrei - ha aggiunto - che i giudici ci dessero ragione tra un anno o due anni" a elezioni avvenute, quando la Lega ormai non sarà più in grado di operare. "È in evidente attacco politico - ha spiegato -. Non è che qualcuno vuole bloccare la Lega perché sta crescendo troppo?". "Sui conti della Lega oggi ci sono 30 mila euro - ha sottolineato Salvini - stanno sequestrando soldi che sono stati recuperati da militanti" nelle feste del Carroccio "vendendo salamelle e friggendo patatine". Per Salvini l'iniziativa del Tribunale di Genova è "in perfetto stile fascio comunista e mette fuori legge un partito che rappresenta alcune decine di migliaia di cittadini italiani". "Questo - ha concluso - è un esproprio proletario".
"Per la scelta politica di un giudice ci sono milioni di persone che rischiano di rimanere senza voce. Sembra di essere su scherzi a parte ma è la realtà. Qui non si parla di toghe rosse ma ultrarosse". Lo dice il leader della Lega Nord, Matteo Salvini, a Radio Padania in merito al blocco dei fondi del partito. "E' chiaro - aggiunge - che a Pontida dovremo fare delle scelte importanti ed impegnative". Quello che è successo "neanche in Turchia o in Venezuela. Pensate - continua Salvini - se l'attività del terzo partito nazionale fosse bloccata in Francia o in Germania. È una cosa che quando la racconto ai miei colleghi del parlamento Ue non ci credono. Vediamo se qualcuno avrà la dignità di correggere questo errore", aggiunge.
"Piaccia o non piaccia a questo giudice noi arriveremo a governare. Noi vinceremo e cambieremo l'Italia a partire dal sistema della giustizia che è folle. Siamo trattati peggio dei mafiosi perché facciamo paura".
Fondi della Lega, Salvini: "Vedrò Mattarella". Ma il Colle: "All'oscuro di tutto"
Sergio Rame - Gio, 05/07/2018
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 49461.htmlSalvini al lavoro per incontrare Mattarelle e parlare dell'inchiesta sui fondi della Lega. Ma il Colle: "Siamo all'oscuro di tutto". E Bonafede attacca: "Rispettare le sentenze"
Sono fonti vicine alla Lega a far trapelare che sono già in corso contatti tra il partito e il Quirinale e che al rientro dalla missione dalla Lituania di Sergio Mattarella ci sarà la possibilità di individuare una data per un incontro con Matteo Salvini.
Quest'ultimo vorrebbe affrontare col capo dello Stato la decisione della Cassazione di dare il permesso ai pm di Genova di sequestrare i fondi della Lega, andando a cercarli "ovunque siano", fino a raggiungere 49 milioi di euro. Dal Quirinale, però, fanno sapere che, oltre a essere "impegnato in una visita all'estero", il presidente della Repibblica "è all'oscuro di ogni contatto".
È a Villa Taverna, poco prima del ricevimento del 4 luglio, che Salvini ribadisce il desiderio di incontrare Mattarella per parlare, faccia a faccia, della decisione della Cassazione sul sequestro dei fondi della Lega. Una sentenza che non fatica a bollare come un mezzo per "mettere fuori legge quello che viene indicato come il primo partito d'Italia". Una sentenza "politica", insomma. Ed è per questo che la vuole portare all'attenzione del capo dello Stato. "Ora è all'estero - spiega Salvini ai giornalisti - è impegnato in altro". Ma, aggiunge, "so che già in passato è stato sensibile al fatto che ci sia diritto di parola, libertà di espressione e di azione politica per tutti". Dal Palazzo del Quirinale, però, arriva nel giro di poco tempo una sonora smentita. "Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella - si limitano a comunicare dal Colle - è impegnato in una visita all'estero ed è all'oscuro di ogni contatto". Niente di più. Abbastanza, però, per aumentare le tensioni che si erano già venute a creare all'interno della maggioranza per lo strappo del Guardasigilli (grillino) Alfonso Bonafede che, due giorni dopo il deposito delle motivazioni da parte della Suprema Corte sulla causa che ha coinvolto Umberto Bossi e il tesoriere del Carroccio Belsito, ha scandito che, per quanto ognuno possa difendere fino all'ultimo grado di giudizio, "le sentenze vanno rispettate" enon vanno "evocati scenari che sembrano appartenere più alla Seconda Repubblica".
Quello cheSalvini non riesce proprio a mandare giù è che alla Lega vengano contestati addebiti risalenti a due lustri fa. "Se qualcuno in passato ha speso in maniera errata 300mila euro, perché di questo si sta parlando, e verrà condannato in via definitiva - dice il responsabile del Viminale - di quella cifra, anche se non c'entro nulla, sono personalmente disposto a farmi carico". Ma, ci tiene a metterlo in chiaro da subito, "se questo significa attaccare politicamente un partito che sta conquistando la fiducia della gente, ne parlerò con Mattarella" e "sarà lui a decidere se c'è in ballo la democrazia o è tutto normale". Adesso non resta che vedere se il capo dello Stato vorrà prendere in analisi il caso. Intercettato dall'agenzia Agi, mentre lasciava Villa Taverna, Salvini ha confermato: "Con il Quirinale ha parlato Giorgetti. Sono sicuro che l'incontro con Mattarella ci sarà".
Se Lega non querela, stop processo BossiIl 10/10 fissato appello Milano, ma con nuova norma è a rischio
25 giugno 2018
http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews ... 3ba00.html (ANSA) - MILANO, 25 GIU - È stato fissato per il prossimo 10 ottobre ma, per effetto di una modifica al codice penale entrata in vigore con il governo Gentiloni, rischia di chiudersi con un non luogo a procedere il processo d'appello milanese 'The Family' nel quale Umberto Bossi, il figlio Renzo e l'ex tesoriere del Carroccio Francesco Belsito sono stati condannati nel luglio dell'anno scorso rispettivamente a 2 anni e 3 mesi, 1 anno e 6 mesi e 2 anni e 6 mesi per aver usato i soldi del partito per fini privati. Infatti in base alla nuove norma entrata in vigore lo scorso maggio, per fare in modo che il processo vada avanti, la Lega dovrebbe sporgere querela per il reato di appropriazione indebita con l'aggravante contestata a Bossi, attualmente senatore e presidente del partito, al figlio e a Belsito, e che in passato ha permesso ai pm di procedere d'ufficio. Querela che al momento, da quanto è stato riferito, non è stata presa in considerazione. Dunque, se così fosse, il processo si chiuderebbe per un difetto di procedibilità.