I primati dello stato italiano in Europa e nel Mondo

Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel Mondo

Messaggioda Berto » lun nov 13, 2017 7:36 pm

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I nuovi parassiti


LA BEATA IGNORANZA DI LUIGI DI MAIO
di MATTEO CORSINI
22/11/2017

https://www.miglioverde.eu/la-beata-ign ... luigi-maio

Durante la sua recente visita negli Stati Uniti, Luigi Di Maio ha detto di ispirarsi alla (ipotetica) riforma fiscale di Trump. Quanto alle tasse “sarà una riduzione significativa”, ha detto. Di riduzioni significative ci sarebbe indubbiamente bisogno, ma la modalità di finanziamento della riduzione in questione non farebbe altro che portare nel baratro i già scassati conti pubblici. Afferma Di Maio, infatti: “Penso a una manovra shock per abbassare le imposte sulle imprese attingendo anche a risorse in deficit”. E, per quanto possa apparire controintuitivo, il deficit è visto come via per ridurre il debito: “Il debito pubblico macina record su record: noi diciamo che per riuscire a invertire la tendenza serve fare deficit per ripagare il debito con investimenti produttivi”.
Evidentemente questa è una fissazione della versione pentastellata del keynesismo. Già pochi giorni fa ho avuto modo di commentare l’idea di ridurre il debito mediante l’introduzione del reddito di cittadinanza. Operazione che aumenterebbe la spesa di 17 miliardi ma, grazie all’incremento del Pil potenziale e, quindi, dell’output gap, darebbe all’Italia la possibilità di fare più deficit, dal quale dovrebbe derivare, con una sorta di moltiplicazione dei pani e dei pesci, un incremento di Pil e gettito fiscale tali da ridurre il rapporto tra debito e Pil.
Anche nel caso in questione pare funzionare lo stesso ragionamento: un taglio delle tasse in deficit dovrebbe spingere Pil e gettito fiscale, con conseguente miglioramento dei conti pubblici. Purtroppo le cose non funzionerebbero come prospettato da Di Maio e colleghi. Se non si trattasse di favole, l’Italia dagli anni Settanta del secolo scorso in poi avrebbe accumulato molto più Pil che debito. Purtroppo si è verificato l’esatto contrario.
L’unica via per abbassare strutturalmente le tasse, a maggior ragione partendo da un debito pubblico superiore al 130% del Pil, consiste nel ridurre altrettanto strutturalmente la spesa pubblica. Chiunque prometta di risolvere i problemi con un taglio di tasse in deficit o è in malafede, oppure non sa di cosa parla.
Nel caso di Di Maio e colleghi propenderei per la seconda ipotesi, anche se, tra chi li consiglia in materia, probabilmente ci sono persone in malafede. Pensare che circa un terzo dei votanti pare intenda affidarsi a questi signori mi pare agghiacciante.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel Mondo

Messaggioda Berto » lun nov 13, 2017 7:36 pm

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Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel Mondo

Messaggioda Berto » lun nov 13, 2017 7:36 pm

Norvegia, il fondo sovrano vale mille miliardi. Ogni cittadino nasce con un patrimonio da 161mila euro
Fabrizio Arnhold
27 settembre 2017

https://it.finance.yahoo.com/notizie/no ... 13263.html

Ogni norvegese ha un credito di 161mila euro. Altro che debito pubblico, il fondo sovrano norvegese ha sfondato quota mille miliardi di dollari. E’ il fondo sovrano tra i più ricchi al mondo in assoluto e “appartiene al popolo norvegese”, si legge sul sito di Norges bank investment management.

La storia del successo. Tutto è iniziato nel 1998 quando fu costituito il “Norges bank investment management”, poi diventato il fondo sovrano più grande al mondo. Merito del greggio, certo. Ma non solo. Del totale degli investimenti, il 65 per cento sono azioni, dal “gettone” di 7,4 miliardi di dollari puntato su Apple, ai 5,5 miliardi su Alphabet (Google). Un altro 32 per cento è rappresentato da obbligazioni, mentre la quota di investimenti immobiliare è quasi irrilevante (3 per cento).

Oltre 400 miliardi di dollari sono stati investiti a Wall Street, in Europa è rimasto il 36 per cento del forziere, mentre il 18 per cento è finito in Asia. Il rimanente 4 per cento si divide tra Sud America, Africa e Oceania. Dalle piattaforme dell’oro nero nel Mar del Nord, fino alle aziende della Silicon Valley: chi nasce in Norvegia ha già una discreta dote finanziaria.

Il Prodotto interno lordo dalle parti di Oslo viaggia spedito, il debito pubblico è tra i più contenuti del Vecchio continente. Insomma, sui fiordi non c’è il sole che risplende a Roma, ma sicuramente ci sono più soldi. Se facessimo il paragone tra la quota di debito pubblico pro capite in Italia (38mila euro) e quella del credito del fondo sovrano norvegese (161mila euro pro capite), salterebbe all’occhio uno spread di 199mila euro. Un gap che neanche il sole riuscirà a colmare facilmente.
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Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel Mondo

Messaggioda Berto » sab dic 02, 2017 9:22 am

L'Italia percepita vale più di quella reale. Cosa c'è nel rapporto Censis
2017/12/01

http://www.ilfoglio.it/societa/2017/12/ ... ale-166710

C'è un'Italia che si rialza, cresce, riprende a correre dopo gli anni della crisi. E poi c'è l'Italia del malumore, che continua ad avvitarsi su se stessa. Un'Italia reale e una percepita. Peccato che il percepito abbia ormai superato la realtà. A dirlo è il rapporto Censis 2017 presentato questa mattina.

“Manifatturiero, filiere italiane nelle catene globali del valore e turismo da record sono i baricentri della ripresa - si legge nel comunicato diffuso dall'Istituto -. Attraverso i consumi torna il primato dello stile di vita: ora gli italiani cercano un benessere soggettivo nella felicità quotidiana”. Purtroppo prosegue, “l'immaginario collettivo ha perso la forza propulsiva di una volta e non c'è un'agenda sociale condivisa. Ecco perché risentimento e nostalgia condizionano la domanda politica di chi è rimasto indietro”. Insomma, per dirla con le parole del Censis, “la ripresa c'è e l'industria va, ma cresce l'Italia del rancore”.

Industria e export. Ovviamente non si tratta di un'analisi astratta. A sostegno di questa lettura della società italiana del 2017 ci sono anzitutto i dati. Nel comparto industria, ad esempio, l'unica voce negativa è quella relativa agli investimenti pubblici, scesi del 32,5 per cento in termini reali nell'ultimo anno. A questo fanno da contraltare l'incremento della produzione industriale (+4,1 per cento nel terzo trimestre), ma anche la quota dell'Italia sull'export manifatturiero del mondo che è arrivata al 3,4 per cento con numeri record nei materiali da costruzione in terracotta (23,5 per cento), nel cuoio lavorato (13,2 per cento), nei prodotti da forno (12,2 per cento), nelle calzature (8,1 per cento), nei mobili (6,8 per cento), nei macchinari (6,4 per cento). Aumentano, allo stesso tempo, anche le aziende esportatrici che nel 2016 sono 215.708, circa 10 mila in più rispetto al 2007.

I consumi delle famiglie E ancora, tra il 2013 e il 2016 la spesa per i consumi delle famiglie è cresciuta complessivamente di 42,4 miliardi di euro (+4 per cento in termini reali nei tre anni). Nell'ultimo anno gli italiani hanno speso 80 miliardi di euro per la ristorazione (+5 per cento nel biennio 2014-2016), 29 miliardi per la cultura e il tempo libero (+3,8 per cento), 25,1 miliardi per la cura e il benessere soggettivo (parrucchieri 11,3 miliardi, prodotti cosmetici 11,2 miliardi, trattamenti di bellezza 2,5 miliardi), 25 miliardi per alberghi (+7,2 per cento), 6,4 miliardi per pacchetti vacanze (+10,2 per cento). E tutto questo può essere sintetizzato in un numero: il 78,2 per cento degli italiani si dichiara molto o abbastanza soddisfatto della vita che conduce.

Positivo è anche il confronto con altri paesi europei. Negli ultimi dieci anni le famiglie italiane hanno destinato ai servizi culturali e ricreativi una spesa crescente: +12,5 per cento nel periodo 2007-2016, contro il -9,6 per cento nel Regno Unito, -8,1 per cento in Germania, -7 per cento in Spagna. Solo in Francia si è registrato un +7,7 per cento che resta comunque distante dal dato italiano.

Ottima anche la performance del turismo: nel 2016 gli arrivi complessivi hanno sfiorato i 117 milioni e le presenze i 403 milioni (i visitatori stranieri sono stati il 49 per cento del totale). Rispetto al 2008 l'incremento degli arrivi è stato del 22,4 per cento e dei pernottamenti del 7,8 per cento. Insomma, anche se pensiamo il contrario, il nostro paese resta ancora attrattiva per i turisti.

L'Italia del rancore. Ciò nonostante le note negative non mancano. “Non si è distribuito il dividendo sociale della ripresa economica - sottolinea il Censis - e il blocco della mobilità sociale crea rancore”. Ecco quindi che l'87,3 per cento degli italiani appartenenti al ceto popolare pensa che sia difficile salire nella scala sociale, esattamente come l'83,5 per cento del ceto medio e il 71,4 per cento di quello benestante. “La paura del declassamento - si legge nel rapporto - è il nuovo fantasma sociale. Ed è una componente costitutiva della psicologia dei millennials: l'87,3 per cento di loro pensa che sia molto difficile l'ascesa sociale e il 69,3 per cento che al contrario sia molto facile il capitombolo in basso”.

Il risultato di questo “malessere” è ovviamente una modifica, profonda, del nostro immaginario collettivo che “ha perso forza propulsiva”. Al primo posto ci sono i social network (32,7 per cento), seguiti dal “posto fisso” (29,9 per cento), dallo smartphone (26,9 per cento), dalla cura del corpo (i tatuaggi e la chirurgia estetica: 23,1 per cento) e dal selfie (21,6 per cento), prima della casa di proprietà (17,9 per cento) e del buon titolo di studio come strumento per accedere ai processi di ascesa sociale (14,9 per cento).

Resta altissima, in questo quadro, la sfiducia nei confronti della politica e delle istituzioni. L'84 per cento degli italiani non ha fiducia nei partiti politici, il 78 per cento nel governo, il 76 per cento nel Parlamento, il 70 per cento nelle istituzioni locali, Regioni e Comuni. Il 60 per cento è insoddisfatto di come funziona la democrazia nel nostro paese, il 64 per cento è convinto che la voce del cittadino non conti nulla, il 75 per centro giudica negativamente la fornitura dei servizi pubblici. E poco importa che l'economia abbia ripreso a crescere.



Rapporto Censis, l'Italia cresce ma blocco della mobilità sociale crea rancore. Oltre 1,6 milioni di famiglie in povertà assoluta
1 dicembre 2017

https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/1 ... ta/4012875

Secondo l'istituto di ricerca non si è "distribuito il dividendo sociale della ripresa economica" e "la paura del declassamento" diventa "il nuovo fantasma sociale". Gli immigrati? "Quasi tutti operai, segregazione professionale. Manca una visione strategica". Totale sfiducia verso politica e istituzioni. Intanto calano i reati e un italiano su due acquista in nero

Nonostante la ripresa ci sia, cresce l’Italia del rancore e 1,6 milioni di famiglie vivono in condizioni di povertà assoluta. È la fotografia scattata dal Censis e riassunta nel Rapporto sulla situazione sociale del Paese. L’analisi dell’istituto di ricerca evidenzia la persistenza di “trascinamenti inerziali da maneggiare con cura: il rimpicciolimento demografico del Paese, la povertà del capitale umano immigrato, la polarizzazione dell’occupazione che penalizza l’ex ceto medio”. In sintesi: “Non si è distribuito il dividendo sociale della ripresa economica e il blocco della mobilità sociale crea rancore”. Così “la paura del declassamento” diventa “il nuovo fantasma sociale”.

LA SCALA SOCIALE? DIFFICILE SALIRE
Quasi 9 italiani su dieci appartenenti al ceto popolare pensa che sia difficile salire nella scala sociale, così come l’83,5% del ceto medio e anche il 71,4% del ceto benestante. Il percorso contrario, invece è ritenuto possibile dal 71,5% del ceto popolare, il 65,4 per cento del ceto medio, il 62,1% dei più abbienti. I dati sono simili tra i giovani: l’87,3 per cento dei Millenials ritiene infatti che sia “molto difficile” l’ascesa sociale, mentre lo scivolamento è uno scenario ritenuto probabile dal 69,3 per cento dei giovani.

POVERTA’ ASSOLUTA
In basso, molto in basso, ci sono già oltre 1,6 milioni le famiglie. Tante nel 2016 erano in condizioni di povertà assoluta, con un boom del +96,7% rispetto al periodo pre-crisi. Gli individui in povertà assoluta sono 4,7 milioni, con un incremento del 165 per cento rispetto al 2007. Il numero dei poveri è raddoppiato al Sud ed è aumentato del 126 per cento nel Centro Italia. Secondo il rapporto, il boom della povertà assoluta rinvia a una molteplicità di ragioni, ma in primo luogo alle difficoltà occupazionali, visto che tra le persone in cerca di lavoro coloro che sono in povertà assoluta sono pari al 23,2 per cento. I dati mostrano un altro trend il cui potenziale sviluppo può avere gravi implicazioni nel futuro: l’etnicizzazione della povertà assoluta. Nel 2016 il 25,7% delle famiglie straniere era in quelle condizioni di povertà assoluta contro il 4,4% delle famiglie italiane, mentre nel 2013 erano rispettivamente il 23,8% e il 5,1%. E l’immigrazione evoca sentimenti negativi nel 59 per cento degli italiani, con una percentuale che sale quando si scende nella scala sociale: la paura dello straniero colpisce infatti poco più del 70 per cento di casalinghe e disoccupati e il 63 per cento degli operai.

LA CLASSE OPERAIA NON PARLA ITALIANO
Sempre in tema di immigrazione, il Censis afferma che la classe operaia non parla più italiano. L’88,5 per cento dei dipendenti stranieri (circa 1,8 milioni di persone) fa l’operaio, mentre tra gli italiani la quota è del 41 per cento. Tra gli stranieri occupati solo il 9,9% lavora come impiegato, contro il 48% degli italiani. La “segregazione professionale”, che costringe gli stranieri in profili prettamente esecutivi, osserva il Censis, emerge anche dal dato sui quadri stranieri, che sono appena 11.618 e rappresentano lo 0,6% del totale dei lavoratori. Una percentuale che scende ancora per i dirigenti: 9.556 contro i 391.585 italiani. “Manca una visione strategica che, al di là dell’emergenza e della prima accoglienza, valuti nel medio-lungo periodo il tema della povertà dei livelli di formazione e di competenze del capitale umano che attraiamo”, dice il rapporto. Ad esempio solo l’11,8% degli immigrati che arrivano in Italia è laureato, contro una media europea del 28,5%.

LAVORO E DONNE – Secondo il Censis, negli ultimi mesi, è anche migliorata la condizione occupazionale delle donne: “Tra il primo semestre 2016 e il primo semestre 2017 il successo nella ricerca di un lavoro ha premiato 133mila donne, con un incremento dell’1,4% delle donne occupate a fine periodo. Il tasso di occupazione sale di quasi un punto, due decimali in più rispetto all’aumento del tasso di occupazione maschile”. Se “nel 1977 il divario tra il tasso di occupazione maschile e quello femminile era pari a 41,4 punti percentuali”, rileva il Rapporto, nel primo semestre di quest’anno “ci consegna un’immagine ancora non positiva, poiché i punti del divario si sono ridotti notevolmente, ma la distanza da colmare è ancora di ben 18 punti”.

SFIDUCIA NELLA POLITICA
Si confermano pesanti i dati sulla sfiducia verso la politica e le istituzioni: “L’onda di sfiducia – si legge nel Rapporto – che ha investito la politica e le istituzioni non perdona nessuno”. L’84 per cento degli italiani non crede nei partiti politici, il 78% nel governo e il 76% nel Parlamento. Non se la passano bene anche Regioni e Comuni, viste di cattivo occhio da 7 persone su 10. Il problema principale riguarda la fornitura dei servizi pubblici, giudicata negativamente da tre italiani su quattro: il 52,1 per cento crede che la Pubblica amministrazione abbia “problemi importanti nel suo funzionamento” e il 18 per cento lo ritiene “pessimo”. Mentre il 64% è convinto che la voce del cittadino non conti nulla. “Non sorprende – scrive il Censis – che i gruppi sociali più destrutturati dalla crisi, dalla rivoluzione tecnologica e dai processi della globalizzazione siano anche i più sensibili alle sirene del populismo e del sovranismo“. Il “rigetto del ceto dirigente” è chiaro nell'”astioso impoverimento del linguaggio” che evidenzia anche “la richiesta di attenzione da parte di soggetti che si sentono esclusi dalla dialettica socio-politica“.
video di Angela Gennaro

OLTRE 2 MILIONI DI REATI
Nel 2016 i reati denunciati in Italia sono stati 2.487.389, l’8,2% in meno rispetto al 2008. In cima alla graduatoria per numero di reati denunciati si trovano Milano con 237.365 reati (ma in diminuzione del 15,5% rispetto al 2008) e Roma con circa 10mila in meno (in diminuzione del 3,3% nel periodo considerato). Torino si ferma a 136.384 (-11,7%), mentre a Napoli ne vengono denunciati poco più di 136mila, in calo del -4 per cento. Se si considera il «peso» della criminalità sul territorio, cioè l’incidenza dei reati sulla popolazione, al primo posto rimane Milano con 7,4 reati ogni 100 abitanti, seguita da Rimini (7,2), Bologna (6,6) e Torino (6). In particolare, diminuiscono omicidi, rapine e furti, ma crescono i borseggi, i furti in abitazione, le truffe tradizionali e sul web.

VACCINI E SISTEMA SANITARIO
Il Rapporto contiene anche i dati legati a vaccini e fiducia nel Sistema sanitario nazionale. Nel 2016, dice il Censis, l’incremento della copertura antinfluenzale ha subito un rallentamento tra gli adulti passando dal 19,6% del 2009-2010 al 15,1% del 2016-2017, tra i bambini l’antipolio passa dal 96,6% del 2000 al 93,3% del 2016, quella per l’epatite B scende dal 94,1% al 93%. Riguardo alle disfunzioni del sistema sanitario, il Rapporto pone l’accento sulle liste di attesa: nel 2014-2017 si rilevano +60 giorni di attesa per una mammografia, +8 giorni per visite cardiologiche, +6 giorni per una colonscopia e stesso incremento per una risonanza magnetica. “Un’altra disfunzione in evidente peggioramento – osserva il Censis – è la territorialità della qualità dell’offerta”. Circa il 64 per cento dei cittadini è soddisfatto del servizio sanitario della propria regione, quota che scende però al 46,6% nel Sud. Durante l’ultimo anno il servizio sanitario della propria regione è peggiorato secondo il 30,5% degli italiani, con una quota che sale nel Sud al 38,1 per cento.

ACQUISTI IN NERO
Circa un italiano su due ha acquistato in nero un servizio o un prodotto nel 2016: sono infatti 28,5 milioni le persone che dichiarano di aver comprato almeno una volta senza scontrino o fattura. La maggior parte dei pagamenti in nero avviene con idraulici, elettricisti, imbianchini o altri artigiani (35,6%), seguiti da 22,1% di professionisti e strutture sanitarie. Il 20,3 per cento ha invece consumato in nero in bar o pizzerie, il 19,1% presso ristoranti, trattorie o enoteche.



Censis, la ripresa corre ma lascia indietro i giovani, l'ex ceto medio e il Mezzogiorno
di ROSARIA AMATO

http://www.repubblica.it/economia/2017/ ... ews/censis
_un_italia_sempre_piu_frammentata_che_si_aggrappa_ancora_al_mito_del_posto_fisso-182542861

ROMA - L'Italia si risolleva: corre la produzione industriale, con performance che superano anche quella tedesca, volano gli investimenti, almeno quelli privati. E così nel Rapporto Censis 2017 tornano finalmente i consumi, cresciuti del 4% negli ultimi tre anni, e soprattutto il piacere di consumare: si spende di nuovo in cultura, parrucchieri, prodotti cosmetici e trattamenti di bellezza, pacchetti vacanze (il 10,2% in più nel biennio 2014-2016. "Torna il primato del benessere soggettivo": una svolta positiva, ma non del tutto. Si accentua sempre di più il divario tra chi ha compiuto finalmente il balzo in avanti, liberandosi dalle strettoie della crisi, e una maggioranza rabbiosa che è rimasta indietro. "Non si è distribuito il dividendo sociale della ripresa economica e il blocco della mobilità sociale crea rancore".

E' il primo rapporto senza Giuseppe De Rita, fondatore del Censis, ideatore e relatore del Rapporto Annuale per 50 anni. Questa cinquantunesima edizione segna l'esordio di Giorgio De Rita, figlio di Giuseppe, segretario generale, che nel suo intervento ha sottolineato l'incapacità del Paese di "immaginare il futuro", un rischio e un limite, che ci riporta a "un futuro appiccicato al presente", in cui resistono pochi miti vecchi, tra i quali svetta quello del posto fisso, e svettano pochi miti nuovi, i social network, che però non riescono a creare un nuovo progetto di società. Più che di fronte a un ciclo nuovo, dunque, siamo di fronte all'esaurirsi di un ciclo vecchio, in cui la rabbia sociale non si tramuta ancora in una frattura che dà anche il via all'inizio di qualcosa di diverso.

Un Paese senza giovani. Il più forte squilibrio di questa ripresa ineguale, denuncia il direttore generale del Censis Massimiliano Valerii, è il "degiovanimento" del Paese: "La riduzione del peso demografico dei giovani è una miccia accesa che sta per accendersi in futuro. Nel momento in cui si inverte quella che non ha più senso chiamare piramide demografica si crea un grave problema per il Paese. Oggi i Millennials tra i 18 e i 34 anni sono 11 milioni rispetto a 50 miloni di elettori, e quindi l’offerta politica non li guarda con sufficiente attenzione, si parla molto di più di pensioni che di disoccupazione giovanile. Il problema dei giovani in Italia è che non contano perché sono pochi".

Ascensore sociale sempre più fermo. Unaparte enorme della popolazione italiana guarda con invidia un ascensore sociale irrimediabilmente rotto: l'87,3% degli appartenenti al cento popolare pensa che sia difficile risalire nella scala sociale, una posizione condivisa dall'87,3% del ceto medio e persino dal 71,4% del ceto benestante. Tutti invece pensano che sia estremamente facile scivolare in basso nella scala sociale, compreso il 62,1% dei più abbienti.

Record di immigrati con basso titolo di studio. E in quest'Italia sempre meno coesa, che si guarda in cagnesco, bloccata dalla paura di perdere quel poco o quel molto che ha, cresce un'immigrazione che si candida ogni giorno di più alla marginalizzazione. Nel nostro Paese arrivano gli immigrati più poveri e meno qualificati: a fronte di un dato medio degli extracomunitari con istruzione terziaria in Europa pari al 28,5% (ma con punte del 50,6% nel Regno Unito e del 58,5% in Irlanda), da noi ci si ferma al 14,7%. Nel 2016 su 52.056 nuovi permessi rilasciati dalla Ue a lavoratori qualificati, titolari di Carta blu e ricercatori, appena 1.288 erano per l'Italia, a fronte di 11.675 per i Paesi Bassi.

Lavoro, scompaiono le figure intermedie. E siccome il lavoro in Italia si va sempre più "polarizzando" tra professioni intellettuali e impieghi non qualificati, è sempre più difficile attrarre immigrati perché si assottigliano posizioni mediane come quelle di operai, artigiani e impiegati. In cinque anni operai e artigiani diminuiscono anzi dell'11%, a fronte di una crescita dell'11,4% delle professioni intellettuali ma anche dell'11,9% delle professioni non qualificate. Vince la gig economy: nell'ultimo anno l'incremento di occupazione più rilevante riguarda gli addetti allo spostamento e alla consegna delle merci, più 11,4%. Mentre si assottigliano in maniera preoccupante i professionisti: 10 punti persi in meno di dieci anni per gli under 40.

Crollo di iscritti ai sindacati confederali. La crisi del lavoro si traduce anche in una crisi dei sindacati tradizionali: tra il 2015 e il 2016 Cgil Cisl e Uil hanno subito una contrazione di 180 mila tessere. Su 11,8 milioni di iscritti alle tre sigle, 6,2 milioni sono costituiti da lavoratori attivi (+0,2%) e 5,2 milioni da pensionati (-3,9%). Secondo il Censis, si manifesta quindi "l'esigenza di una maggiore inclusione da parte dei soggetti di rappresentanza verso categorie e segmenti non tradizionalmente coperti dall'azione sindacale".

Pochi laureati, sempre più in fuga verso l'estero. Siamo penultimi in Europa per numero di laureati, con il 26,2% della popolazione di 30-34 anni, una situazione aggravata dalla forte spinta verso l'estero, che assorbe una buona quota di giovani qualificati. Infatti nel 2016 i trasferimenti dei cittadini italiani sono stati 114.512, triplicati rispetto al 2010. Quasi il 50% dei laureati italiani si dice pronto a trasferirsi all'estero anche perché, calcola il Censis, la retribuzione mensile netta di un laureato a un anno dalla laurea si aggira intorno a 1344 euro corrisposti per una assunzione nei confini nazionali ma arriva a 2.200 euro all'estero.

E sempre meno giovani. Gli over 64 intanto hanno superato i 13,5 milioni, il 22,3% della popolazione, mentre le previsioni annunciano oltre 3 milioni di anziani in più già nel 2032, quando saranno il 28,2% della popolazione complessiva. Si è ridotto anche l'apporto delle donne straniere, prezioso negli ultimi anni: nel 2010 il numero di nascite per le extracomunitarie era in media di 2,43, ma nel 2016 è sceso a 1,97, mentre per le italiane è di 1,26 figli per donna.

Il Sud abbandonato. La polarizzazione non è solo tra chi gode dei benefici della ripresa, e chi è rimasto indietro, ma anche tra un Nord Italia e una capitale sempre più attrattivi e un Sud che offre sempre meno e che si sta letteralmente desertificando. Tra il 2012 e il 2017 nell'area romana gli abitanti del capoluogo sono aumentati del 9,9% e quelli dell'hinteland del 7,2%. A Milano l'incremento demografico è stato rispettivamente del 9% e del 4%, a Firenze del 7% e del 2,8%. Si spopolano invece le grandi città del Sud, a cominciare da Napoli, Palermo e Catania, dove affonda anche il Pil. Ma va male anche alle città intermedie come Torino, Genova e Bari.

Nel vuoto di aspirazioni resiste il mito del "posto fisso". Attento da sempre all'"immaginario collettivo", inteso come "l'insieme di valori e simboli in grado di plasmare le aspirazioni individuale e i percorsi esistenziali di ciascuno", punto di partenza indispensabile per "definire un'agenda sociale condivisa", il Censis trova che ormai i vecchi miti appaiano stinti, ma i nuovi siano privi di forza aggregatrice. Infatti per gli under 30 al primo posto ci sono i social network. Per la media degli italiani resiste invece un mito vecchissimo, davvero duro a morire nonostante i colpi bassi delle leggi Fornero e del Jobs Act: il posto fisso, al primo posto per il 38,5%. E a sopresa, il posto fisso si piazza al secondo posto anche per la fascia più giovani, anche se è quasi a pari merito con lo smartphone.
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Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel Mondo

Messaggioda Berto » mer dic 13, 2017 9:52 pm

Eurostat: l'Italia è il paese che ha più poveri in Europa
di Tiziana Di Giovannandrea
12 dicembre 2017

http://www.rainews.it/dl/rainews/artico ... 420c1.html

I dati sono proprio sconfortanti. Secondo Eurostat l'Italia è il Paese che conta, in valori assoluti, più poveri in Europa. È quanto emerge dalle analisi dall'Ufficio Statitico dell'Unione Europea sul tasso di privazione sociale. Nel 2016 i poveri erano quasi 10,5 milioni. La classifica è stata redatta basandosi su una serie di indicatori che valutano le possibilità economiche e di situazione sociale delle persone.

Le spese prese in considerazione da Eurostat permettono di valutare quando si entra nella categoria di deprivazione materiale e sociale se non ci si può permettere almeno cinque delle spese sotto elencate:

• affrontare spese impreviste;

• una settimana di vacanza annuale fuori casa;

• evitare arretrati (in mutui, affitti, utenze e / o rate di acquisto a rate);

• permettersi un pasto con carne, pollo o pesce o equivalente vegetariano ogni secondo giorno;

• mantenere la propria casa adeguatamente calda;

• una macchina / furgone per uso personale;

• sostituire i mobili logori;

• sostituire i vestiti logori con alcuni nuovi;

• avere due paia di scarpe adeguate;

• spendere una piccola somma di denaro ogni settimana su se stesso ("paghetta");

• avere attività ricreative regolari;

• stare insieme con amici/famiglia per un drink pasto almeno 1 volta al mese;

• possedere una connessione Internet.

Anche secondo i dati resi noti dall'Istat sulle condizioni di vita degli italiani, nel 2016 si registra il record storico sia per le persone a rischio di povertà (20,6%) sia per quelle a rischio di povertà o esclusione sociale (30%).La stima delle famiglie a rischio povertà o esclusione sociale per il 2016 è infatti del 30% e qui ad essere registrato è un peggioramento rispetto all’anno precedente quando la percentuale era del 28,7.

Secondo il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali la povertà è un fenomeno complesso che dipende da vari fattori in quanto non deriva solo dalla mancanza di reddito ma anche dalle scarse probabilità di partecipare alla vita economica e sociale del Paese.

Secondo quanto riportato dall’Istat, il rischio di cadere nella condizione di povertà riguarda sia gli individui considerati singolarmente (e si passa dal 19,9% al 20,6%), sia coloro che vivono in famiglie con pochi mezzi (e qui si passa dall’11,5% al 12,1%), sia infine persone che vivono in nuclei a bassa intensità lavorativa. Le aree più esposte al fenomeno sono quelle meridionali ma anche il Centro del Paese non se la passa bene infatti un quarto dei residenti è a rischio povertà.

Per l'Unione Nazionale Consumatori: "Non solo i dati peggiorano rispetto al 2015, ma mai si era registrato un dato così negativo dall'inizio delle serie storiche, iniziate nel 2003" afferma Massimiliano Dona presidente dell'UNC. "Sono dati da Terzo Mondo, non degni di un Paese civile. Non si tratta solo di una priorità sociale e morale, ma anche economica. Fino a che il 30% degli italiani è rischio povertà o esclusione sociale è evidente che i consumi delle famiglie non potranno mai veramente decollare e si resterà intorno all'1 virgola" prosegue Dona. "I dati ci dicono che non basta varare il Rei (Reddito di inclusione sociale, ndr) cercando di tamponare l'emergenza. Bisogna evitare che le file dei poveri assoluti continuino ad ingrossarsi, risolvendo i problemi di chi, pur stando ora sopra la soglia di povertà assoluta o relativa, rischia di finire sotto perché non riesce a pagare le bollette o ad affrontare una spesa imprevista di 800 euro" conclude Dona.
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Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel Mondo

Messaggioda Berto » mar dic 26, 2017 9:49 pm

All'origine della nostra povertà, del naturale rancore e del più che giusto ribaltamento:


LA NATURA CLASSISTA DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
di GUGLIELMO PIOMBINI

https://www.miglioverde.eu/la-natura-cl ... e-italiana

In questo libro davvero meritevole di lettura, Costituzione, Stato e crisi. Eresie di libertà per un paese di sudditi,lo studioso padovano Federico Cartelli disseziona con cura la nostra carta costituzionale, rilevando tutti i suoi caratteri illiberali, statalisti, accentratori. Le sue critiche trovano piena conferma nell’inarrestabile processo di espansione dello Stato avvenuto dal dopoguerra a oggi sotto l’egida di una Costituzione che non ha mai frenato l’aumento della tassazione, della spesa pubblica, del debito pubblico, della burocrazia, dell’alluvione legislativa.

A cosa dovrebbe servire, invece, una Costituzione?
A proteggere coloro che sono senza potere da coloro che esercitano il potere pubblico. Storicamente i ceti operosidella società (il “Terzo Stato”) hanno visto nelle costituzioni uno strumento per difendersi dalla spogliazione dei frutti del proprio lavoro da parte delle classi politico-burocratiche parassitarie. Infatti, come testimonia la storia dei regimi socialisti, quando l’esercizio del potere politico non conosce limiti legali, le nomenklature che controllano le leve fiscali e redistributive dello Stato possono procurarsi ogni genere di privilegio sfruttando in maniera illimitata i produttori di ricchezza.

L’esistenza di uno Stato, democratico o meno che sia, divide sempre la società in due grandi classi: quella dei pagatori di tasse che si guadagnano da vivere producendo beni e servizi richiesti dal mercato, e quella dei consumatori di tasse mantenuti dalle imposte. Nella regolazione dei rapporti fra questi due ceti sociali, come ha operato fino a oggi la Costituzione italiana?
Se escludiamo i primi decenni del “miracolo economico”, quando gli apparati fiscali e burocratici non avevano ancora avuto il tempo di ampliarsi e organizzarsi, la Costituzione ha di fatto ha sempre funzionato a vantaggio della classe che vive di trasferimenti statali, e a svantaggio della classe che opera nel settore privato dell’economia.
Questa tendenza ha avuto un’accelerazione negli ultimi decenni, durante i quali si è avuto un colossale travaso di ricchezze dal settore privato al settore statale. Nel 1996 le entrate dello Stato italiano ammontavano a più di 450 miliardi di euro, nel 2003 hanno raggiunto i 600 miliardi, e nel 2013 i 760 miliardi. L’aumento della spesa è stato ancora più rapido di quello delle entrate. La spesa pubblica, che nel 1996 superava di poco i 500 miliardi di euro, ha raggiunto i 600 miliardi nel 2001, ha quasi toccato i 700 miliardi nel 2005, per poi superare gli 800 miliardi nel 2013.

Questi numeri rivelano che nell’arco di una ventina d’anni, caratterizzati da una bassissima crescita economica, i privati sono stati costretti a suon di campagne intimidatorie e denigratorie orchestrate dall’alto (“evasori”, “bottegai”, “parassiti”) a versare nelle mani dei membri dell’apparato statale 300 miliardi aggiuntivi all’anno, oltre ai 500 miliardi che già pagavano!
Se escludiamo le esperienze storiche delle rivoluzioni comuniste, probabilmente non si è mai verificata un’espropriazione di ricchezze private così rapida e imponente. Grazie dunque alla “Costituzione più bella del mondo” il peso fiscale complessivo sulle imprese ha raggiunto, nel corso degli anni, il 70 per cento degli utili: un livello di depredazione che non ha eguali al mondo.
Questo processo è stato favorito dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, la cui linea interpretativa sembra infatti congegnata apposta per favorire, sempre e comunque, gli interessi di coloro di coloro che vivono di spesa pubblica. Le recenti dichiarazioni di incostituzionalità del mancato adeguamento delle pensioni più elevate o degli stipendi dei dipendenti pubblici, ad esempio, seguono una linea che favorisce, per partito preso, le categorie dei consumatori di tasse a danno delle categorie dei pagatori di tasse.

Per la Corte i benefici che il potere politico attribuisce, anche una tantum, ai consumatori di tasse rimangono tali per sempre. Poiché è impossibile trovare nel testo della Costituzione questo principio, la Corte ha dovuto creare una dottrina su misura, quella dei “diritti acquisiti”, che sancisce ufficialmente una pesante discriminazione a danno dei produttori privati di reddito. La Corte infatti non riconosce un analogo diritto in capo ai pagatori di tasse privati, perché se il governo riduce un’imposta o aumenta una detrazione fiscale, questa non diventa mai un “diritto acquisito” in capo al contribuente. Il governo può tranquillamente revocarla in qualsiasi momento, anche retroattivamente, senza incorrere in censure di incostituzionalità.

Nell’ordinamento italiano, quindi, non c’è nessuna previsione che possa anche solo rallentare la progressiva invadenza del settore pubblico a danno del settore privato. Le imposte, la spesa pubblica, il debito pubblico e la burocrazia possono solo aumentare, mai diminuire, mentre le misure di segno opposto rischiano sempre la bocciatura per incostituzionalità, dato che danneggerebbero questo o quel “diritto acquisito”. Vitalizi, pensioni retributive e stipendi degli statali sembrano dunque diventati variabili indipendenti dall’economia. Se anche il prodotto interno lordo italiano dovesse dimezzarsi, i ceti produttivi dovranno saldare questi impegni fino all’ultimo euro.
In questo modo l’Italia è diventata un inferno fiscale, uno stato di polizia tributaria nel quale fare attività d’impresa è diventato molto pericoloso. Aprire la partita IVA significa diventare un bersaglio dello Stato, che può saltarti addosso con tutto il suo apparato e un po’ alla volta portarti via la tranquillità personale, i risparmi, l’attività, la casa e nei casi più tragici anche la vita.

Sfogliando le pagine economiche dei quotidiani si possono trovare appaiate quasi ogni giorno due generi di notizie: da un lato nuovi privilegi, aumenti e benefit concessi a questa o quella categoria statale; dall’altra nuove tasse, multe, sanzioni e restrizioni imposte alle categorie private. Le pagine di cronaca riportano frequenti casi di sanzioni stratosferiche a imprenditori, professionisti, artigiani o commercianti per questioni formali della minima importanza, e numerosi casi di totale impunità per i dipendenti statali responsabili di mancanze gravissime o addirittura reati: pare che nemmeno chi venga scoperto commettere furti o rapine sul luogo di lavoro possa essere licenziato. Queste misure discriminatorie hanno determinato una situazione fortemente sbilanciata.

Fino a qualche decennio fa, invece, c’era un certo equilibrio tra le condizioni di impiego nel settore privato e nel settore pubblico. Soprattutto nelle regioni del nord il settore privato garantiva gli stipendi più elevati, tanto che, negli anni Sessanta, un operaio della Fiat guadagnava più di un impiegato pubblico. Oggi una situazione del genere è diventata impensabile. In Italia, come ricordava Oscar Giannino in una recente trasmissione radiofonica, la retribuzione lorda è mediamente di € 33.000 nel settore pubblico e di € 23.400 nel settore privato; in Francia è di € 35.000 nel pubblico e di € 34.000 nel privato; in Gran Bretagna è di € 34.000 nel pubblico e di € 38.000 nel privato. Anche per quanto riguarda le pensioni, in Italia quelle degli statali sono del 72 % più alte rispetto a quelle dei privati, malgrado la crescente esosità dei contributi previdenziali imposti a questi ultimi.

Solo in Italia esiste una distinzione di rango così marcata tra chi lavora dentro e chi lavora fuori dal perimetro della pubblica amministrazione. Al vertice della casta statale si trovano circa un milione di persone retribuite mediamente cinque volte di più rispetto agli altri paesi occidentali, con redditi e pensioni superiori dalle 10 alle 30 volte quelle di molti lavoratori privati. Sono queste le persone che nel corso degli ultimi decenni hanno edificato il debito pubblico attraverso sperperi e folli deficit, e che si sono assicurate un flusso crescente di entrate personali per mezzo di metodi fiscali incivili e vessatori sanciti dalla legge a danno dei lavoratori non garantiti: solve et repete,accertamenti induttivi fondati su semplici presunzioni, spesometro, redditometro, tassazione su redditi non conseguiti, ecosì via.

Questa persecuzione fiscale delle attività private ha arricchito notevolmente le categorie che vivono di spesa pubblica, ma ha prodotto delle conseguenze rovinose sull’economia del suo complesso. Negli anni ’50 e ’60, quando le tasse erano basse e i controlli fiscali molto blandi, l’economia cresceva a due cifre e gli italiani sono passati dalla miseria al benessere; negli anni ’70 e ’80 le tasse e la spesa pubblica sono aumentate e la crescita è diminuita; negli anni ’90 e 2000 tasse e spese sono ulteriormente aumentate e la crescita si è arrestata; oggi l’imposizione fiscale e la spesa pubblica sono elevatissime, il paese è in recessione perenne e gli italiani si stanno impoverendo.
Questa guerra scatenata dallo Stato contro l’apparato produttivo del paese, tuttora in pieno svolgimento, non ha alcuna giustificazione razionale, né dal punto di vista politico, né dal punto di vista economico. La spesa pubblica italiana era considerata eccessiva già negli anni Novanta; pochi ne chiedevano l’ulteriore aumento, nessuno chiedeva di raddoppiarla in meno di vent’anni. Nella società italiana non è mai esistita una domanda di “maggior Stato” tale da giustificare quell’elenco interminabile di nuove tasse introdotte negli ultimi anni.

Anche dal punto di vista economico questa offensiva fiscale non sembra avere una legittimazione plausibile. La decisione delle classi governanti di dare il via all’escalation di tasse e spesa pubblica non ha migliorato il livello qualitativo di nessun servizio pubblico rispetto a vent’anni fa, ma ha aumentato a dismisura le occasioni di spreco e di corruzione, la corsa ai privilegi odiosi e ingiustificati, ha distrutto una larga fetta del tessuto produttivo privato costringendo alla chiusura centinaia di migliaia di piccole imprese, ha provocato l’aumento della disoccupazione e più in generale l’abbassamento del tenore di vita delle famiglie.

Quando la tassazione supera un certo livello, l’equilibrio pacifico tra la classe dei pagatori di tasse e quella dei consumatori di tasse si rompe, e i ceti produttivi diventano le vittime sacrificali delle caste legate allo Stato. Oggi infatti viviamo in uno Stato classista che perseguita e depreda i lavoratori del settore privato, cioè gli unici che di fatto producono ricchezza e sopportano per intero il carico fiscale, per tutelare e mantenere legioni di statali improduttivi supertutelati, pensionati d’oro o baby, membri privilegiati della casta e altri sprechi colossali. Ma quando il numero dei consumatori di tasse diventa troppo alto rispetto a quello dei produttori, la società muore.

In definitiva, è difficile chiamare “Costituzione”, almeno nel senso classico del termine, una carta che tutela solo i membri dell’apparato statale a scapito del resto della popolazione. Fino ad oggi la Costituzione della Repubblica Italiana non è mai stata intesa dei politici, dei magistrati e dei giuristi come uno strumento di protezione della società civile dal potere, ma come base di partenza ideologica per la sua progressiva espansione. Tutto questo non dipende solo da un’interpretazione deformante del testo costituzionale, ma anche dai difetti genetici del dettato costituzionale, così nitidamente messi in luce da Federico Cartelli.


L'orrenda costituzione italiana
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Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel Mondo

Messaggioda Berto » gio feb 15, 2018 8:26 pm

“Troppi atti vandalici”: l’azienda di bike sharing Gobee lascia l’Italia
2018/02/14

http://www.lastampa.it/2018/02/14/socie ... agina.html

Gobee bike, società di Hong Kong di bike sharing, presente da alcuni mesi a Firenze, Roma e Torino, lascia l’Italia e l’Europa. Motivo, il vandalismo contro le proprie flotte di biciclette, che ha reso economicamente insostenibile la prosecuzione delle attività. A renderlo noto, lo stesso colosso asiatico, con una mail inviata a tutti i propri utenti. Gobee bike ringrazia i Comuni «che hanno riposto fiducia nel progetto» e comunica di aver già chiuso gli account degli iscritti, provvedendo a rimborsare ogni eventuale credito.

«Con tristezza annunciamo ufficialmente alla nostra comunità di utenti la fine del servizio di Gobee bike in Italia, oggi 15 febbraio 2018 - si legge nel messaggio del colosso di Hong Kong - Lo scorso autunno Gobee bike ha iniziato la sua avventura in diverse città europee. Abbiamo dovuto affrontare una serie di ostacoli, e purtroppo, tra tutte queste sfide, una in particolare ha rappresentato un problema che non potevamo superare: nelle ultime settimane i danni alla nostra flotta hanno raggiunto limiti che non possiamo più contenere con le nostre forze e con le nostre risorse».

Durante i mesi di dicembre e gennaio, spiega ancora la società, «le nostre biciclette sono diventate il bersaglio di sistematici atti di vandalismo, trasformandosi così in oggetti da distruggere per puro divertimento. Mediamente, il 60% della nostra flotta europea ha subito danneggiamenti, vandalismi o è stato oggetto di fenomeni di privatizzazione. Per questi motivi non c’è stata nessun’altra opzione se non procedere al termine del servizio a livello nazionale e continentale. Una decisione sofferta dal punto di vista morale, umano e finanziario».
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Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel Mondo

Messaggioda Berto » mar apr 10, 2018 12:50 pm

La lagna sudista

La lagna sudista per spillare risorse a fondo perduto, racconta la falsa storiella che il sud sarebbe un'area geograficamente svantaggiata ai fini economici perché distante dalle aree industrializzate d'Europa, per cui dovrebbe essere sostenuta innanzi tutto da una fiscalità ridotta, di vantaggio.

Se fosse vero che la distanza geografica influenza negativamente l'economia perché Israele che non solo è geograficamente distante e periferico, molto più del sud Italia, della Sicilia e della Sardegna, e che è anche inserito in un'area sub continentale ove mancano completamente le infrastrutture per lo sviluppo industriale con l'aggravante di un contesto politico di paesi ostili e violenti che attentano quotidianamente alla sua esistenza, perché ciononostante è uno dei paesi più sviluppati culturalmente, scientificamente, economicamente del mondo e certamente molto ma molto di più del sud Italia e delle sue isole?


Confronto tra Israele e la Sicilia:
la Sicilia ha un territorio leggermente più grande di Israele; ha 5 milioni di abitanti contro gli 8,3 milioni di Israele quindi molto più della metà e un PIL che è 1/3 di quello Israeliano (compreso il falso PIL dato dal reddito dei dipendenti pubblici e dai trasferimenti statali).



Israele
https://it.wikipedia.org/wiki/Israele

Teeritorio
Totale 20.770 / 22.072 km² (151º)
Popolazione
Totale 8 345 000 ab. (2015) (96º)
Densità 402 ab./km²
Tasso di crescita 2% (2015)

PIL (nominale) 257 480 milioni di $ (2012) (40º)
PIL pro capite (nominale) 33 433 $ (2012) (26º)
PIL (PPA) 260 909 milioni di $ (2012) (49º)
PIL pro capite (PPA) 33 878 $ (2012) (25º)


Sicilia
https://it.wikipedia.org/wiki/Sicilia
Superficie 25 832,3 km²
Abitanti 5 031 453 (31-10-2017)
Densità 194,77 ab./km²
PIL (nominale) 87.383 mln € (2015)
(PPA) 83.956 mln €



Indro Montanelli
"Finalmente in Israele ho visto documentata nei fatti una verità nella quale, sotto sotto, avevo sempre creduto, ma di cui mi mancava la prova: e cioè che non sono i paesi a fare gli uomini, ma gli uomini a fare i paesi. Sicché quando si dice “zona sviluppata”, si deve sottintendere uomini e popoli energici e attivi; e quando si dice “zona depressa”, si deve sottintendere uomini e popoli depressi. Tutte le altre ragioni della depressione – clima, idrografia, orografia, eccetera – sono soltanto delle comode scuse quando non sono addirittura il frutto dell’incapacità e dell’accidia umane".





Il sud della penisola italica - i meridionali
viewtopic.php?f=139&t=2581

Mafie e briganti terronici
viewtopic.php?f=22&t=2259
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Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel Mondo

Messaggioda Berto » mar giu 19, 2018 7:21 am

Spagna, Rajoy rifiuta onori e vitalizio: «Ritorno a lavorare al catasto»
lunedì, 18 giugno 2018

https://www.newsstandhub.com/it-it/seco ... al-catasto

Addio Moncloa, destinazione catasto. C’è chi la sobrietà la predica e chi la pratica. Chi, in ossequio alla propaganda, sbandiera ai quattro venti il proprio «francescanesimo a puntate» (copyrightDe Andrè) e chi, in nome dello Stato, rinuncia a benefit, onori e prebende. Parliamo di Mariano Rajoy, già premier della Spagna e ora politicamente disoccupato dopo che meno di un mese un voto delle Cortès, il parlamento iberico, lo ha disarcionato dalla guida del governo per issarvi – in Spagna vige l’istituto della sfiducia costruttiva – il socialista Pedro Sanchez.
Rajoy ha rinunciato il posto al Consiglio di Stato
Come tutti quelli che lo hanno preceduto alla Moncloa, anche a Rajoy il rango di ex-premier avrebbe consentito un ruolo di tutto rispetto: il posto a vita nel Consiglio di Stato, con un appannaggio da 100mila euro annui, cui si sarebbero aggiunti altri 80mila di vitalizio, sempre annui. Invece, con una mossa a sorpresa, Rajoy ha dato un bel calcione a tutto questo ben di dio (compresa la carica di presidente del Partido Popular, il centrodestra spagnolo) per ritornarsene al suo posto di funzionario del catasto dopo ben 28 anni di aspettativa. Rajoy vi entrò giovanissimo (il più giovane di sempre), a 24 anni.

A giorni riprenderà servizio in una piccola cittadina

Tanto stupore, ma anche tanta ammirazione per questa sua non facile scelta. La fase di questa “nuova” vita lo porterà ora a Santa Pola, cittadina balneare di 30mila abitanti affacciata sul Mediterraneo in provincia di Alicante. È quella la sede che dovrà occupare. Arriverà da semplice funzionario del catasto. Ma fino a ieri ha guidato la Spagna. E scusate se è poco.
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Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel Mondo

Messaggioda Berto » sab ago 25, 2018 7:31 am

Mostruosità italiane o italiche
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