I primati dello stato italiano in Europa e nel Mondo

Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel mondo

Messaggioda Berto » mar apr 18, 2017 8:58 pm

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dopo i paesi dell'est e della Grecia è il paese con più poveri e disoccupati della UE e di tutto l'occidente;


Censis: "Figli più poveri dei loro nonni"
02/12/2016

http://www.adnkronos.com/soldi/economia ... frEZM.html

In Italia i nostri figli sono più poveri dei loro nonni: nel nostro paese si registra un vero Ko economico dei giovani. Nel Rapporto 2016 sulla Situazione Sociale del Paese diffuso oggi, il Censis disegna a tinte forti questo quadro. "Sono evidenti gli esiti di un inedito e perverso gioco intertemporale di trasferimento di risorse che ha letteralmente messo ko economicamente i millennial" annota l'istituto. Rispetto alla media della popolazione, oggi le famiglie dei giovani con meno di 35 anni hanno un reddito più basso del 15,1% e una ricchezza inferiore del 41,1%, rileva il rapporto.

Nel confronto con venticinque anni fa, sottolinea il Censis, i giovani di oggi hanno un reddito del 26,5% più basso di quello dei loro coetanei di allora, mentre per gli over 65 anni è invece aumentato del 24,3%. La ricchezza degli attuali millennial è inferiore del 4,3% rispetto a quella dei loro coetanei del 1991, mentre per gli italiani nell’insieme il valore attuale è maggiore del 32,3% rispetto ad allora e per gli anziani è maggiore addirittura dell’84,7%. Il divario tra i giovani e il resto degli italiani si è ampliato nel corso del tempo, perché venticinque anni fa, valuta il rapporto, i redditi dei giovani erano superiori alla media della popolazione del 5,9% (mentre oggi sono inferiori del 15,1%) e la ricchezza era inferiore alla media solo del 18,5% (mentre oggi lo è del 41,1%).

Migranti in testa a paure per 44%, terrorismo per 34% - Sono l'immigrazione e il terrorismo le due questioni che più preoccupano l'Europa e l'Italia: la prima è segnalata come principale paura dal 48% degli europei e dal 44% degli italiani, il secondo è indicato dal 39% dei cittadini dell'Unione e dal 34% di quelli italiani. Secondo quanto rileva il Censis, in base a un'indagine realizzata su un campione nazionale di cittadini subito dopo le stragi del 13 novembre 2015 a Parigi, emerge come il 65,4% degli italiani abbia modificato le proprie abitudini a causa delle nuove paure. Nell'immediato, il 73,1% ha evitato di fare viaggi all'estero, il 53,1% ha evitato luoghi percepiti come possibili bersagli di attentati (piazze, monumenti, stazioni), il 52,7% ha disertato luoghi affollati (cinema, teatri, musei, sale per concerti, luoghi della movida), il 27,5% non ha preso la metropolitana, il 18% ha evitato di uscire la sera.


Situazione sociale, Censis: “Cresce il disagio, più difficile curarsi e scegliere di avere figli. L’Italia rischia il declino”

Il cinquantesimo rapporto del centro studi evidenzia che se non ci fossero gli stranieri nella Penisola vivrebbero "oltre 2,5 milioni di minori e under 35 in meno”. Senza "politiche di sviluppo e di disincentivo della fuga altrove" andiamo verso "una situazione di ristagno". Le famiglie in deprivazione abitativa sono 7,1 milioni e quelle che hanno difficoltà ad acquistare beni durevoli 2,5 milioni
di Luisiana Gaita | 2 dicembre 2016

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/12 ... no/3231730

Privati della possibilità di vivere in una casa sicura, di potersi curare, di mantenere i figli. La crisi economica, il conseguente restringimento del welfare e l’andamento del mercato del lavoro hanno conseguenze sulle famiglie italiane. Sono sempre più numerose quelle che, con meno opportunità occupazionali, restano senza redditi da lavoro. Eppure quello economico è solo uno degli aspetti del disagio sociale, che riguarda anche i nuclei al di sopra della soglia di povertà. E senza stranieri il rischio è il declino. Basti pensare che nel 2015 gli italiani che si sono trasferiti all’estero sono stati 102.259: una cifra praticamente raddoppiata negli ultimi quattro anni e che ha avuto una crescita del 15,1% solo nell’ultimo anno. “Immaginare un’Italia senza stranieri vorrebbe dire pensare a un Paese con oltre 2,5 milioni di minori e under 35 in meno”. Questi alcuni dei temi su cui si sofferma il cinquantesimo rapporto del Censis sulla situazione sociale.

In Italia sono in condizioni di ‘deprivazione materiale grave’ 6,9 milioni di persone (dati del 2014): sono 2,6 milioni in più rispetto al 2010. E uno zoccolo duro di 4,4 milioni vive in questa situazione almeno da sei anni. Le famiglie in deprivazione abitativa sono 7,1 milioni (+1,7% rispetto a dieci anni prima). Quelle in severa deprivazione abitativa sono 826mila (+0,4% rispetto al 2004). Circa il 20% ha problemi di umidità in casa, il 16,5% di sovraffollamento e il 13,2% di danni fisici alla casa dove vive. Le famiglie che hanno difficoltà ad acquistare beni durevoli sono 2,5 milioni nel 2014, di queste 775mila sono in gravi condizioni di deprivazione. Le famiglie in povertà alimentare sono oltre 2 milioni nel 2014 (pari all’8% del totale). E i minori in povertà relativa nel 2015 sono oltre 2 milioni, il 20,2% del totale.

L’ITALIA NON È UN PAESE PER GENITORI – Secondo una indagine del Censis, l’87,7% degli italiani pensa che il nostro Paese sia afflitto dalla scarsa natalità. Per l’83,3% la crisi economica ha reso più difficile la scelta di avere figli anche per chi li vorrebbe. Il problema principale, però, riguarda gli interventi di sostegno ai genitori: sussidi, asili nido, sgravi fiscali, orari di lavoro più flessibili, permessi per le esigenze dei figli. “Il 60,7% degli italiani – spiega il rapporto – è convinto che, se migliorassero gli interventi pubblici su vari fronti, la scelta di avere un figlio sarebbe più facile”. Pesa però anche la presa di coscienza tardiva circa la presenza di eventuali problemi di infertilità, che allunga i tempi di accesso alle cure e quindi la loro efficacia. Non solo le coppie che si sottopongono alle tecniche di Pma (procreazione medicalmente assistita) devono affrontare un percorso molto complesso, ma accesso e opportunità non sono uguali per tutti. Secondo il Censis il 76% delle coppie in trattamento pensa che chi ha problemi di questo genere in Italia sia svantaggiato rispetto a chi vive in altri Paesi europei e il 79,5% pensa che non in tutte le regioni sia assicurato lo stesso livello di qualità nei trattamenti, così come la gratuità dell’accesso alle cure (74,3%).

LA SCURE NON GUARIRÀ LA SANITÀ – Il progressivo restringimento del welfare cambia le dinamiche della spesa sanitaria. Intanto, dal 2009 al 2015 si registra solo una lieve riduzione in termini reali della spesa pubblica. “Nello stesso arco di tempo la spesa sanitaria privata – spiega il Censis – dopo una fase di crescita significativa, si riduce a partire dal 2012, per riprendere ad aumentare negli ultimi due anni (+2,4% dal 2014 al 2015), fino a raggiungere nel 2015 i 34,8 miliardi di euro, cioè poco meno del 24% della spesa sanitaria totale”. Significativo l’aumento della compartecipazione dei cittadini alla spesa: +32,4% in termini reali dal 2009 al 2015 (con un incremento più consistente per quanto riguarda nello specifico la spesa farmaceutica: 2,9 miliardi, +74,4%). “Gli effetti socialmente regressivi delle manovre di contenimento – si legge nel rapporto – si traducono in un crescente numero di italiani (11 milioni circa) che nel 2016 hanno dichiarato di aver dovuto rinunciare o rinviare alcune prestazioni sanitarie, specialmente odontoiatriche, specialistiche e diagnostiche”. Anche l’offerta ospedaliera mostra una progressiva riduzione dei posti letto (3,3 per mille abitanti in Italia nel 2013 secondo i dati Eurostat, contro i 5,2 in media dei 28 Paesi Ue, gli 8,2 della Germania e i 6,3 della Francia).

I POPOLI DELLE PENSIONI – I nuovi pensionati sono più anziani rispetto al passato e hanno anche redditi pensionistici mediamente migliori “come effetto di carriere contributive più lunghe e continuative nel tempo – spiega il rapporto – e occupazioni in settori e con inquadramenti professionali migliori”. Tra il 2004 e il 2013 l’incidenza dei nuovi pensionati di vecchiaia che hanno versato contributi per non più di 35 anni scende dal 54,9% al 37,5%, quella di chi ha versato contributi per un periodo compreso tra i 36 e i 40 anni dal 37,6% al 33,7%, mentre per chi ha percorsi contributivi superiori ai 40 anni l’incidenza si quadruplica, passando dal 7,6% al 28,8%. Migliorano le condizioni socio-economiche dei pensionati: negli anni 2008-2014 il reddito medio del totale delle pensioni è passato da 14.721 a 17.040 euro (+5,3%). Per 3,3 milioni di famiglie con pensionati le prestazioni pensionistiche sono l’unico reddito familiare e per 7,8 milioni i trasferimenti pensionistici rappresentano oltre il 75% del reddito familiare disponibile. Così, si stimano in 1,7 milioni i pensionati che hanno ricevuto un aiuto economico da parenti e amici. Ma i pensionati non possono essere considerati solo come recettori passivi di risorse e servizi di welfare, perché sono anche protagonisti di una redistribuzione orizzontale di risorse economiche: sono 4,1 milioni quelli che hanno prestato ad altri un aiuto economico.

SICUREZZA E CITTADINANZA – Nell’ultimo anno l’allarme demografico ha raggiunto il suo apice: diminuisce la popolazione (nel 2015 le nascite sono state 485.780, il minimo storico dall’Unità d’Italia a oggi), la fecondità si è ridotta a 1,35 figli per donna, gli anziani rappresentano il 22% della popolazione e i minori il 16,5%. “Senza giovani né bambini – sottolinea il Censis – il nostro viene percepito come un Paese senza futuro”. Ne è prova il boom delle cancellazioni dall’anagrafe di italiani trasferitisi all’estero. In un Paese in cui la piramide generazionale si è rovesciata gli stranieri rappresentano un importante serbatoio di energie. Proprio grazie a loro dal 2001 a oggi la popolazione è aumentata del 6,5%, raggiungendo gli attuali 60 milioni e 666mila abitanti: la presenza di stranieri si è quasi triplicata negli ultimi quindici anni (+274,7%). Ma l’effetto combinato del prolungamento della vita media e dell’omologazione dei comportamenti demografici degli stranieri a quelli degli italiani “se non affrontato da politiche di sviluppo e di disincentivo della ‘fuga altrove’ – spiega il Censis – potrebbe determinare, anche nel futuro, una situazione di ristagno per il nostro Paese”.


Crisi, raddoppiate le famiglie povere tra il 2007 e il 2014
Le persone in povertà assoluta hanno superato nel 2014 i 4 milioni, con un incremento di quasi il 130% rispetto al 200
12 giugno 2016

http://www.ansa.it/sito/notizie/economi ... 72e4e.html

Le famiglie italiane in condizione di povertà assoluta sono quasi raddoppiate negli anni della crisi: +78,5%, con una incidenza sul totale passata dal 3,5% pre-recessione al 5,7% del 2014. Lo segnala un'indagine dell' Ufficio studi della Confcommercio.

Le persone in povertà assoluta hanno superato nel 2014 i 4 milioni, con un incremento di quasi il 130% rispetto al 2007, arrivando a sfiorare il 7% della popolazione. Le famiglie assolutamente indigenti erano oltre 823mila nel 2007, sono salite a quasi 1,5 mln nel 2014.

In tema di pressione fiscale, Italia batte Germania 43,6% (del Pil) a 39,5%. Ma è un primato che non piace affatto a imprese e famiglie. Se l'Italia infatti avesse avuto la stessa pressione fiscale della Germania nel 2014, ci sarebbero stati 66 miliardi di euro in meno di prelievo fiscale, ''vale a dire 23 miliardi in meno di Irpef e altrettanti di imposte indirette, nonchè 20 miliardi in meno di carico contributivo su imprese e lavoratori''. Secono lo studio, tra 2010-2014 ci sono segnali di miglioramento, nel confronto Italia-Germania su qualità del capitale umano e carico eccessivo di tasse ''i divari restano molto ampi''.

''L'eccesso di pressione fiscale in Italia presenta una connotazione strutturale per l'incapacità di procedere a una serie revisione della spesa pubblica che riduca eccessi e sprechi'' afferma l'Ufficio studi. Fino ad oggi, ''gli unici tagli hanno riguardato la spesa in conto capitale, cioè di fatto gli investimenti pubblici''. Infatti, ''tutte le componenti di spesa corrente derivanti da scelte discrezionali di policy sono in crescita tra il 2015 e il 2017, anche se con incrementi leggermente inferiori a quelli del Pil nominale''.



Sanità, Censis-Rbm: “L’anno scorso 12,2 milioni di italiani non si sono curati per motivi economici”
Il risultato, secondo il Rapporto Censis-Rbm, è che la spesa sanitaria privata è lievitata a 35,2 miliardi di euro, con un aumento del 4,2 per cento in tre anni (2013-2016)
di Chiara Daina | 7 giugno 2017

https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/0 ... ci/3642687

Nel 2016 12,2 milioni di italiani hanno rinunciato o rinviato le cure sanitarie per motivi economici. Una fetta di emarginati che è notevolmente cresciuta rispetto al 2015 (più 1,2 milioni). E’ quanto emerge dal Rapporto Censis-Rbm. Considerando anche i cittadini che hanno avuto difficoltà economiche e si sono impoveriti per sostenere di tasca propria le spese mediche (intramoenia o in strutture private), la cifra sale a 13 milioni. Di questi, 7,8 milioni sono stati costretti ad attingere ai risparmi di una vita o addirittura a indebitarsi con parenti e amici, fino ad aprire un mutuo in banca. E 1,8 milioni sono precipitati nella fascia di povertà.

Il risultato, si legge nel Rapporto, è che la spesa sanitaria privata è lievitata a 35,2 miliardi di euro, con un aumento del 4,2 per cento in tre anni (2013-2016). In assoluto, secondo il sondaggio Rbm, l’impegno più oneroso è per le visite specialistiche (74,7 per cento), seguito dall’acquisto dei farmaci o dal pagamento del ticket (53,2), dagli accertamenti diagnostici (41,1), prestazioni odontoiatriche (40,2), analisi del sangue (31), lenti e occhiali da vista (26,6), riabilitazione (14,2), protesi, tutori e ausili vari (8,9) e spese di assistenza sociosanitaria.

Il motivo principale per cui si ricorre sempre più spesso al privato sono le liste di attesa troppo lunghe nel pubblico. Queste in parte dipendono dal sott’organico cronico di personale e dall’impatto dell’invecchiamento della popolazione sull’organizzazione socio-sanitaria. Con evidenti disomogeneità locali. Qualche esempio: “Per una mammografia si attendono in media 122 giorni (60 in più rispetto al 2014) e nel Mezzogiorno l’attesa arriva a 142 giorni. Per una colonscopia l’attesa media è di 93 giorni (più 6 giorni rispetto al 2014), ma al Centro di giorni ce ne vogliono 109. Per una risonanza magnetica si attendono in media 80 giorni (6 giorni in più), ma al Sud ne sono necessari 111. Per una visita cardiologica l’attesa media è di 67 giorni (più 8 giorni), ma l’attesa sale a 79 giorni al Centro. Per una visita ginecologica si attendono in media 47 giorni (nel 2014 erano otto in meno), ma ne servono 72 al Centro. Per una visita ortopedica 66 giorni (18 giorni in più), con un picco di 77 giorni al Sud”.

La spending review in sanità, si ricorda nel Rapporto che cita la Corte dei Conti, ha fatto ridurre la spesa sanitaria pubblica pro-capite dell’1,1 per cento l’anno in termini reali dal 2009 al 2015. Diversamente da quanto è accaduto nello stesso periodo in Francia, dove è cresciuta dello 0,8 per cento l’anno, e in Germania (più 2 per cento annuo). La differenza è lampante anche se si osserva l’incidenza della spesa sanitaria rispetto al Pil: il 6,8 per cento da noi, l’8,6 in Francia e il 9,4 in Germania.




Istat: 18 milioni persone a rischio povertà o esclusione sociale
6 dicembre 2017

http://www.affaritaliani.it/economia/is ... guaglianze

Il 30,0% delle persone residenti in Italia è a rischio di povertà o esclusione sociale, registrando nel 2016 un peggioramento rispetto all'anno precedente quando tale quota era pari al 28,7%. Lo rileva l'Istat in un report sul reddito delle famiglie. Aumentano sia l'incidenza di individui a rischio di poverta' (20,6%, dal 19,9%) sia la quota di quanti vivono in famiglie gravemente deprivate (12,1% da 11,5%), così come quella delle persone che vivono in famiglie a bassa intensita' lavorativa (12,8%, da 11,7%).
Istat: 18 milioni persone a rischio povertà o esclusione sociale - Mezzogiorno area più a rischio

Il Mezzogiorno resta l'area territoriale più esposta al rischio di povertà o esclusione sociale (46,9%, in lieve crescita dal 46,4% del 2015). Il rischio è minore, sebbene in aumento, nel Nord-ovest (21,0% da 18,5%) e nel Nord-est (17,1% da 15,9%). Nel Centro un quarto della popolazione (25,1%) permane in tale condizione.
Istat: 18 milioni persone a rischio povertà o esclusione sociale - le famiglie con 5 componenti

Le famiglie con cinque o più componenti si confermano le più esposte al rischio di povertà o esclusione sociale (43,7% come nel 2015), ma è per quelle con uno o due componenti che questo indicatore peggiora (per le prime sale al 34,9% dal 31,6%, per le seconde al 25,2% dal 22,4%).
Istat: a 20% popolazione piu' povera va 6,3% reddito totale

Al 20% più povero della popolazione italiana va poco più del 6% del reddito totale. È quanto rivela l'Istat nel report 'Condizioni di vita, reddito e carico fiscale delle famiglie' riferito al 2016. Se si fa riferimento alla distribuzione dei redditi individuali equivalenti, senza la componente degli affitti figurativi, si nota che il 20% più povero della popolazione dispone soltanto del 6,3% delle risorse totali (nella situazione ipotetica di perfetta eguaglianza ogni quinto della popolazione disporrebbe di una quota di reddito pari al 20% del totale), mentre all'opposto il quinto piu' ricco possiede quasi il 40% del reddito totale (equivalente).
In altri termini, spiega l'Istat, il reddito totale dei piu' benestanti e' pari a 6,3 volte quello degli individui appartenenti al primo quinto. L'inclusione degli affitti figurativi riduce la distanza fra ricchi e poveri, portando i cittadini più ricchi a percepire nel complesso un reddito pari a 5,3 volte quello degli appartenenti al primo quinto.
Istat: in Italia metà famiglie vive con 2.016 euro al mese

Metà delle famiglie residenti in Italia vive con un reddito di 2.000 euro al mese. E' quanto si evince da un report dell'Istat. Quello medio, e' invece di 2.500 euro ossia 29.988 euro all'anno (+1,8% in termini nominali e +1,7% in termini di potere d'acquisto rispetto al 2014).
I redditi, spiega l'Istat, risentono del "sensibile incremento della fascia alta dei redditi da lavoro autonomo, in ripresa ciclica dopo diversi anni di flessione pronunciata". Quindi, "esclusi gli affitti figurativi, si stima che il rapporto tra il reddito equivalente totale del 20% più ricco e quello del 20% più povero sia aumentato da 5,8 a 6,3". Meta' delle famiglie residenti in Italia invece percepisce un reddito netto non superiore a 24.522 euro l'anno (circa 2.016 euro al mese: +1,4% rispetto al 2014). Il reddito mediano cresce nel Mezzogiorno in misura quasi doppia rispetto a quella registrata a livello nazionale (+2,8% rispetto al 2014), rimanendo pero' su un volume molto inferiore (20.557 euro, circa 1.713 mensili).
L'aliquota media del prelievo fiscale a livello familiare è 19,4%, in lieve calo rispetto al 2014 (-0,25 punti percentuali). Si riduce il carico fiscale sulle prime due classi di reddito (0-15.000, 15.000-25.000 euro) delle famiglie con principale percettore un lavoratore dipendente, per gli effetti della detrazione Irpef di 80 euro.





Povertà e miseria
viewtopic.php?f=161&t=2444
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel mondo

Messaggioda Berto » mar apr 18, 2017 9:05 pm

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è il paese dove i salari e le paghe da lavoro dipendente sono le più basse di tutto l'occidente rispetto al costo della vita, nonostante vi siano le maggiori associazioni sindacali e i maggiori partiti politici che si professano difensori dei lavoratori; nonostante il primo articolo della Costituzione italiana stabilisca che la "Repubblica è fondata sul lavoro" e nonostante sia il paese più cattolico dell'occidente la cui dottrina sociale dovrebbe avere tra i suoi valori principali quello di difendere il lavoro e i lavoratori;



La gaffe del governo Renzi: "Stranieri, investite in Italia. Gli stipendi sono bassi..."
Il governo svende così i giovani lavoratori italiani: "Grazie al Jobs Act li potrete licenziare facilmente". Bufera su Renzi
02/10/2016

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 13446.html


"Eccola la grande idea di Renzi e del governo per superare la crisi economica: svendere l'Italia e i lavoratori italiani".

A denunciare l'ultimo strafalcione di Matteo Renzi e compagni è Nicola Fratoianni dell'esecutivo nazionale di Sinistra Italiana. È stato lui ad accorgersi che una brochure del ministero dello Sviluppo economico, distribuita nei giorni scorsi a Milano, durante la presentazione del piano nazionale Industria 4.0, invitava gli stranieri a "investire in Italia" dove "gli stipendi sono più bassi della media europea".

Nei giorni scorsi, durante l'evento di presentazione di Industria 4.0, i giornalisti si sono ritrovati nella cartella stampa una brochure prodotta dal ministero per lo Sviluppo economico e rivolta alle multinazionali e alle imprese straniere. Dice a chiare lettere: "Investite in Italia perché i lavoratori costano meno che negli altri Paesi europei". Non solo. Sul depliant era addirittura possibile leggere l'esempio, evidentemente positivo per il Mse, degli ingegneri italiani che guadagnano 38mila euro all'anno, mentre i loro colleghi europei guadagnano 48mila. In un altro capitoletto della pubblicazione c'è, poi, scritto chiaramente anche che dopo il Jobs Act si può licenziare facilmente.

Dopo gli strafalcioni del ministero della Saluta con il Fertility Day, un altrio dicastero del governo si trova nel vortice delle polemiche. "Vergognosi e sciacalli - tuona Frantoianni - mettono in vendita l'Italia sulla pelle dei lavoratori. Poi si aprono i dibattiti pubblici dove ci si chiede stupiti come mai in Italia ci sono gli stipendi fra i più bassi di Europa. Stiano tranquilli dalle parti del governo - conclude Fratoianni - anche di questo ne dovranno rendere conto nei prossimi giorni in Parlamento: il tempo delle bufale e degli inganni è terminato...". Dall'Ice, però, controbbatono facendo presente che l'obiettivo della guida Invest in Italy è "attrarre in Italia più investimenti stranieri di qualità e dunque aumentare la domanda di posti di lavoro qualificati, migliorandone nel tempo anche la remunerazione". "Il rapporto tra qualità e costo del personale - spiegano - è un dato che viene considerato molto rilevante per decidere in quale paese localizzare un investimento e per questa ragione la maggior parte delle guide internazionali lo includono".


Mazzata sui lavoratori: tasse alte, stipendi bassi
I dati Ocse stroncano il nostro welfare: in cinque anni il cuneo fiscale è cresciuto dell'1,8% E le buste paga ne risentono: sono inferiori di 3mila dollari alla media degli altri Stati
Gian Maria De Francesco - Lun, 23/05/2016

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 62331.html

Il lavoro in Italia perde valore sotto tutti i punti di vista, in primo luogo da quello meramente retributivo.

Da una parte i redditi sono compressi da un carico fiscale che non ha pressoché uguali in Europa, dall'altra parte la penalizzazione della produttività e la crisi hanno dato il colpo di grazia alle buste paga.

Non si tratta, in questo caso, di replicare pedissequamente le lamentele della Cgil, che troppo spesso è ancorata ai concetti di uguaglianza e di redistribuzione, totalmente sganciati dalla quotidianità del mondo del lavoro contemporaneo. Si tratta solo di osservare i numeri e vedere cosa non funziona. E in questo caso, un'ottima base di dati è fornita dalle statistiche dell'Ocse, rielaborate dall'agenzia Adnkronos. In Italia il cuneo fiscale sui lavoratori dipendenti, cioè il prelievo costituito da tasse e contributi, è aumentato di 1,8 punti percentuali in 5 anni passando dal 47,2% del 2010 al 49% dello scorso anno. Tale incremento è dovuto all'incidenza crescente dell'Irpef che, nel periodo considerato, è passata dal 15,7 al 17,5% del totale. Una crescita che si può spiegare con due fenomeni: da una parte la sostanziale stabilità delle retribuzioni (agganciate a un tasso di inflazione che oramai si è fermato) e dall'altra parte il boom delle addizionali comunali e regionali che, in assenza di fasce di salvaguardia, colpiscono proprio i redditi più bassi come quelli dei dipendenti.

Rispetto alla media dei Paesi Ocse, che si ferma al 35,9%, il fisco ha un'incidenza maggiore sulle retribuzioni di 13,1 punti percentuali. Negli anni la forbice si è allargata di un punto: nel 2010, infatti, era di 12,1 punti. Demerito dell'Irpef, come dicevamo, ma anche di contributi previdenziali e assistenziali monstre. Il 24,3% del reddito è rappresentata dalla parte a carico dell'azienda, mentre il 7,2% è quanto versato dal lavoratore. Risultato: la busta paga si alleggerisce di circa un terzo.

Fondamentalmente, la perdita di competitività e la recessione dell'Italia sono tutte condensate qui. In ambito Ocse ci sono solo quattro Paesi che hanno un carico sul lavoro maggiore del nostro: Belgio, Austria, Germania (dove però il maggior carico è ripartito equamente su tutte e tre le voci) e Ungheria. Francia e Repubblica Ceca sono invece i due Paesi con prelievi previdenziali e assistenziali a carico delle aziende maggiori di quello italiano. Inutile dire che il welfare della concorrenza funziona meglio e, quindi, supplisce anche a eventuali carenze delle retribuzioni che però a Berlino, Bruxelles e Vienna sono di gran lunga superiori a quelle italiane. Nel nostro Paese, invece, chi lavora finanzia la spesa corrente delle pubbliche amministrazioni e il disavanzo dell'Inps.

Come si evince dai dati Ocse la «pacchia» per lo Stato non potrà continuare a lungo. Il salario medio in Italia è di 27.808 dollari (24.775 euro) ed è inferiore di 3.074 dollari rispetto alla media dei paesi Ocse (30.882 dollari) Nel periodo 2010-2015 i redditi dei dipendenti italiani sono cresciuti in media di 2.536 dollari lordi, contro i 3.762 dollari della media Ocse. Non sorprende, perciò, che la detassazione dei premi di produttività prevista dall'ultima Stabilità abbia determinato la corsa agli incentivi in natura (totalmente detassati) come i rimborsi per baby sitter o badanti. Iniziativa lodevole, ma Renzi e Padoan stanno finendo le munizioni.




Stipendi, media italiana 1.560 euro al mese: Paese al nono posto in Ue
Stefano De Agostini
16 febbraio 2015


http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/02 ... ue/1430406

Il rapporto Jp Salary Outlook 2015: "Siamo abbondantemente dietro i nostri principali competitor come Francia e Germania, ma siamo dietro anche all’Irlanda e solo poco più avanti della Spagna". E la situazione peggiora se si tiene conto del cuneo fiscale

Nel 2014, la retribuzione media di un italiano è stata pari a 28.977 euro lordi all’anno, cioè 1.560 euro netti al mese, ma con “una differenza notevole in base al ruolo ricoperto e al livello contrattuale”: lo stipendio di un amministratore delegato arriva ad essere equivalente a 11,2 volte quello di un operaio. A fotografare il mercato delle retribuzioni in Italia è il Jp Salary Outlook 2015, rapporto redatto dall’Osservatorio di JobPricing, portale che fa riferimento alla società di consulenza Hr Pros.

I quasi 29mila euro di retribuzione annua lorda collocano l’Italia al nono posto tra i 15 Paesi della zona euro, in linea con i dati Ocse. “Siamo abbondantemente dietro i nostri principali competitor come Francia e Germania – si legge nel rapporto -, ma siamo dietro anche all’Irlanda e solo poco più avanti della Spagna (rispettivamente ottava e decima, ndr), Paesi che hanno subito più di noi gli effetti della grande crisi in atto dal 2008″. E la situazione peggiora se si tiene conto dello stipendio netto da lavoro dipendente, “dove invece l’Italia si trova agli ultimi posti, a causa del cuneo fiscale e indipendentemente dalla situazione familiare del lavoratore”.

Analizzando le differenze retributive per qualifica professionale, poi, emerge un netto divario tra i dirigenti, che guadagnano in media 107mila euro lordi all’anno, i quadri con poco meno di 54mila euro, gli impiegati con 31mila euro e, infine, gli operai che portano a casa quasi 24mila euro. In poche parole, chi occupa una posizione dirigenziale guadagna oltre quattro volte un operaio, oltre tre volte un impiegato e due volte un quadro. Il divario si allarga ulteriormente tenendo conto del “multiplo retributivo“, cioè l’indicatore che mette a confronto la fascia più bassa di stipendi operai con quella più alta per le retribuzioni degli amministratori delegati: si passa da 18mila a 210mila euro, con una differenza pari appunto a 11,2 volte.

Da non trascurare, poi, l’ormai storico divario geografico: i lavoratori occupati nel Nord guadagnano mediamente il 4,4% in più rispetto ai colleghi del Centro e il 19,8% rispetto al Sud e alle Isole. Il rapporto spiega questa differenza con la maggiore concentrazione di grandi aziende multinazionali e, di conseguenza, di più alti profili manageriali al Settentrione, aggiungendo che al Sud il costo della vita è inferiore e, pertanto, si abbassa anche il livello retributivo offerto. La Regione dove si guadagna di più è la Valle d’Aosta (oltre 31mila euro lordi all’anno), seguita da Trentino Alto Adige e Lombardia. In Calabria invece si trovano le retribuzioni più basse, circa 22mila euro, con Sardegna e Basilicata rispettivamente al penultimo e terzultimo posto. Milano è la provincia dove le buste paga sono più ricche, con un indice pari a 125,3 se si considera 100 il valore medio in Italia, con Roma e Trieste a seguire in classifica. Eppure, se si rapportano gli stipendi al costo medio della vita, la classifica cambia volto: la capitale balza al primo posto, con Firenze seconda e Venezia terza.

Le retribuzioni si differenziano, naturalmente, anche a seconda del settore dove si lavora. A dominare la classifica è ancora il segmento banche e società finanziarie, dove lo stipendio medio annuale si attesta a quota 41mila euro. Seguono le società di ingegneria, farmaceutica e assicurazioni, con valori medi che si aggirano sui 38mila euro. Se si isolano invece le retribuzioni dei dirigenti, si scopre invece che il manager di un’azienda del settore moda e lusso guadagna in media 130mila euro all’anno. In fondo a questa graduatoria, si trovano invece i lavoratori dell’agricoltura e dell’allevamento, con stipendi da circa 22mila euro annui, seguiti dai dipendenti che forniscono servizi alla persona e, poi, alle imprese. In questi calcoli, bisogna tenere conto del differente grado di specializzazione richiesto dai vari comparti: nell’agricoltura, il 90% dei lavoratori sono operai, nei servizi finanziari il 73% sono impiegati.

Per quanto riguarda le differenze di genere, invece, gli uomini guadagnano in media 29.981 euro contro i 27.890 euro delle donne, un dato che evidenzia un divario del 7,2 per cento. Questo divario, sottolinea il rapporto, è tra i più bassi all’interno dell’Unione Europea: meglio di noi fanno solo Slovenia, Malta e Polonia, anche se, è bene ricordarlo, il dato riportato dallo studio risale al 2012. Anche l’età e il grado di istruzione fanno la differenza in busta paga. Nel dettaglio, il rapporto parla di un gap retributivo generazionale pari al 107%, mettendo a confronto i valori medi degli stipendi di chi ha appena cominciato a lavorare e di chi sta per andare in pensione: basti pensare che un operaio ventenne guadagna 20mila euro all’anno, mentre un manager di 65 anni porta a casa oltre 122mila euro. Sul fronte dell’istruzione, infine, il conseguimento della laurea determina, in media, una busta paga più ricca del 58%: chi ha frequentato l’università guadagna in media 41mila euro l’anno, contro i 26mila di chi non è in possesso di un titolo accademico.


Sì al nono posto come quantità di euro ma molto più indietro come potere di acquisto in considerazione del costo della vita e della imposizione fiscale indiretta


Costo della vita in 37 nazioni europee
Aldo Mencaraglia
5-6 minuti
http://www.italiansinfuga.com/2015/09/2 ... ni-europee

Sono stati utilizzati i prezzi di 2.400 beni di consumo e servizi in 37 nazioni europee.

Queste comprendono 28 nazioni dell’unione europea oltre a Islanda, Norvegia, Svizzera, Montenegro, Macedonia, Albania, Serbia, Turchia e Bosnia Erzegovina.

Nel 2014 i prezzi all’interno dell’Europa divergevano parecchio.

I prezzi più alti all’interno dell’Unione Europea sono stati osservati in Danimarca (38% più alti rispetto alla media dell’Unione) mentre i prezzi in Bulgaria erano del 48% più bassi rispetto alla media dell’Unione Europea.

Ecco la classifica utilizzando le ventotto nazioni dell’Unione Europea come indice di riferimento (100).

Svizzera 154
Norvegia 148
Danimarca 138
Svezia 125
Finlandia 123
Regno Unito 122
Irlanda 121
Lussemburgo 120
Islanda 117
Paesi Bassi 111
Belgio 109
Francia 108
Austria 107
Italia 102
Germania 102 (?)
Spagna 93
Cipro 80
Grecia 86
Slovenia 83
Malta 83
Portogallo 81
Estonia 79
Lettonia 72
Slovacchia 69
Croazia 67
Repubblica ceca 64
Lituania 64
Turchia 61
Ungheria 57
Montenegro 57
Polonia 56
Romania 54
Serbia 53
Bosnia Erzegovina 53
Albania 50
Bulgaria 48
Macedonia 47





Classifica del potere di acquisto in 195 città europee
Aldo Mencaraglia

http://www.italiansinfuga.com/2015/08/2 ... ta-europee


Non sempre le mete estere più gettonate e alla moda consentono di vivere permettendosi una qualità di vita ottimale.

Sappiamo, ad esempio, quanto sia ambita Londra ma quanto sia costoso viverci e, di conseguenza, difficile permettersi sfizi dopo aver pagato vitto, alloggio e trasporti.

Quali sono quindi le città europee migliori sotto questo punto di vista?

Ho analizzato per te i dati messi a disposizione da Numbeo.

Numbeo è un sito che permette agli utenti di inserire dati relativi al costo di un paniere di beni e servizi e, anche, relativi allo stipendio ricevuto in una particolare città.

Grazie all’input da parte di migliaia e migliaia di utenti in tutto il mondo, Numbeo è in grado da calcolare, tra le altre cose, un indice del potere di acquisto nelle principali città.

A New York City viene assegnato il valore di 100 e a tutte le altre città viene assegnato un valore proporzionale.

Ad esempio, Mannheim in Germania ha un indice del potere di acquisto pari a 201.8. Ciò significa che il lavoratore medio a Mannheim può permettersi di acquistare il doppio rispetto al suo equivalente a New York City.

Sottolineo che stiamo parlando di medie. Non necessariamente una media rappresenterà la tua realtà, anzi. È però un punto di partenza.

Inoltre, non necessariamente la tua professione ti consentirà di trovare opportunità di lavoro in tutte le destinazioni.

Se sei un programmatore, è probabile che Dublino offra molte più opportunità lavorative rispetto a Derby, città a caso, quindi il fatto che quest’ultima offra un potere di acquisto maggiore perde di importanza.

Detto ciò, ecco la graduatoria.

1. Zug, Svizzera -> 321.04
2. Berna, Svizzera -> 251.03
3. Jyvaskyla, Finlandia -> 214.85
4. Zurigo, Svizzera -> 208.12
5. Mannheim, Germania -> 201.79
6. Ginevra, Svizzera -> 196.76
7. Augusta, Germania -> 194.55
8. Lugano, Svizzera -> 192.64
9. Basilea, Svizzera -> 186.45
10. Losanna, Svizzera -> 184.31
11. Karlsruhe, Germania -> 183.24
12. Groningen, Paesi Bassi -> 175.93
13. Malmo, Svezia -> 174.67
14. Heidelberg, Germania -> 172.52
15. Stoccarda, Germania -> 172.29
16. Derby, Regno Unito -> 170.68
17. Colonia, Germania -> 170.4
18. Graz, Austria -> 169.99
19. Monaco di Baviera, Germania -> 166.59
20. Dusseldorf, Germania -> 164.78
21. Göteborg, Svezia -> 164.24
22. Leida, Paesi Bassi -> 164
23. Norimberga, Germania -> 161.75
24. Nimega, Paesi Bassi -> 161.39
25. Lussemburgo, Lussemburgo -> 160.97
26. Tampere, Finlandia -> 159.04
27. Francoforte, Germania -> 158.93
28. Arhus, Danimarca -> 158.09
29. Newcastle Upon Tyne, Regno Unito -> 158.09
30. Liverpool, Regno Unito -> 156.16
31. Glasgow, Regno Unito -> 153.95
32. Aalborg, Danimarca -> 153.29
33. Galway, Irlanda -> 153.25
34. Aquisgrana, Germania -> 153.21
35. Plymouth, Regno Unito -> 152.82
36. Eindhoven, Paesi Bassi -> 152.49
37. Nantes, Francia -> 151.99
38. Marsiglia, Francia -> 151.11
39. Nottingham, Regno Unito -> 150.88
40. Amsterdam, Paesi Bassi -> 149.41
41. Uppsala, Svezia -> 149.26
42. Copenhagen, Danimarca -> 149.05
43. Edinburgo, Regno Unito -> 147.87
44. Stoccolma, Svezia -> 147.63
45. Coventry, Regno Unito -> 147.21
46. Oslo, Norvegia -> 146.91
47. Odense, Danimarca -> 144.37
48. Tromso, Norvegia -> 143.7
49. Birmingham, Regno Unito -> 143
50. Amburgo, Germania -> 142.87
51. Bologna, Italia -> 139.78
52. Cork, Irlanda -> 139.56
53. Helsinki, Finlandia -> 138.22
54. L’Aia, Paesi Bassi -> 138.01
55. Berlino, Germania -> 137.21
56. Trondheim, Norvegia -> 136.28
57. Bergen, Norvegia -> 135.8
58. Bristol, Regno Unito -> 135.36
59. Belfast, Regno Unito -> 134.38
60. Vienna, Austria -> 132.45
61. Friburgo, Germania -> 132.1
62. Leeds, Regno Unito -> 131.87
63. Strasburgo, Francia -> 131.74
64. Dublino, Irlanda -> 131.21
65. Rotterdam, Paesi Bassi -> 130.81
66. Nizza, Francia -> 130.51
67. Parigi, Francia -> 129.83
68. Turku, Finlandia -> 129.75
69. Bruxelles, Belgio -> 129.46
70. Limerick, Irlanda -> 129.39
71. Valencia, Spagna -> 128.49
72. Treviso, Italia -> 128.35
73. Lione, Francia -> 128.31
74. Bilbao, Spagna -> 128.02
75. Southampton, Regno Unito -> 127.18
76. Lilla, Francia -> 126.45
77. Tolosa, Francia -> 126.14
78. Alicante, Spagna -> 125.51
79. Cambridge, Regno Unito -> 124.41
80. Barcellona, Spagna -> 123.9
81. Norwich, Regno Unito -> 123.08
82. Brescia, Italia -> 122.02
83. Malaga, Spagna -> 119.84
84. Oulu, Finlandia -> 119.61
85. Trieste, Italia -> 119.39
86. Leicester, Regno Unito -> 119.28
87. Stavanger, Norvegia -> 119
88. Limassol, Cipro -> 118.69
89. Aberdeen, Regno Unito -> 118.27
90. Utrecht, Paesi Bassi -> 118.12
91. Sliema, Malta -> 117.84
92. Dresda, Germania -> 117.19
93. Anversa, Belgio -> 116.28
94. Manchester, Regno Unito -> 116.21
95. Santa Cruz De Tenerife, Spagna -> 116.18
96. Oxford, Regno Unito -> 115.8
97. Trento, Italia -> 113.93
98. Olomouc, Repubblica Ceca -> 113.42
99. Madrid, Spagna -> 112.27
100. Northampton, Regno Unito -> 111.97
101. Espoo, Finlandia -> 111.95
102. Saragozza, Spagna -> 109.91
103. Brno, Repubblica Ceca -> 109.38
104. Milton Keynes, Regno Unito -> 109.06
105. Cracovia, Polonia -> 107.79
106. Modena, Italia -> 107.47
107. Lipsia, Germania -> 106.57
108. Siviglia, Spagna -> 106.15
109. Lubiana, Slovenia -> 106.11
110. Genova, Italia -> 106.01
111. Torino, Italia -> 105.56
112. Innsbruck, Austria -> 104.99
113. Bordeaux, Francia -> 104.66
114. Las Palmas, Spagna -> 103.86
115. Milano, Italia -> 103.65
116. Reading, Regno Unito -> 103.58
117. Firenze, Italia -> 102.96
118. Montpellier, Francia -> 102.93
119. Salisburgo, Austria -> 102.47
120. Praga, Repubblica Ceca -> 102.41
121. Danzica, Polonia -> 101.56
122. Londra, Regno Unito -> 100.61
123. Brighton, Regno Unito -> 99.51
124. Katowice, Polonia -> 99.31
125. Larnaca, Cipro -> 98.86
126. Verona, Italia -> 98.68
127. Palma De Mallorca, Spagna -> 97.82
128. Varsavia, Polonia -> 96.07
129. Bournemouth, Regno Unito -> 95.69
130. Exeter, Regno Unito -> 95.07
131. Porto, Portogallo -> 94.49
132. Lisbona, Portogallo -> 94.27
133. Roma, Italia -> 93.63
134. Padova, Italia -> 92.52
135. Venezia, Italia -> 92.26
136. La Canea, Grecia -> 91.92
137. Poznan, Polonia -> 89.01
138. Lublino, Polonia -> 88.92
139. Pisa, Italia -> 88.41
140. Bratislava, Slovacchia -> 85.4
141. Breslavia, Polonia -> 85.39
142. Ostrava, Repubblica Ceca -> 85.08
143. Maribor, Slovenia -> 83.23
144. Tallinn, Estonia -> 82.29
145. Tartu, Estonia -> 80.31
146. Cagliari, Italia -> 80.02
147. Coimbra, Portogallo -> 79.41
148. Gdynia, Polonia -> 79.07
149. Kosice, Slovacchia -> 78.95
150. Szczecin, Polonia -> 78.51
151. Zagabria, Croazia -> 77.99
152. Corfu, Grecia -> 77.73
153. Patrasso, Grecia -> 77.54
154. Osijek, Croazia -> 77.38
155. Braga, Portogallo -> 76.93
156. Sibiu, Romania -> 75.74
157. Sofia, Bulgaria -> 74.77
158. Napoli, Italia -> 74.13
159. Tessalonica, Grecia -> 73.65
160. Klaipeda, Lituania -> 72.15
161. Aveiro, Portogallo -> 71.61
162. Budapest, Ungheria -> 71.47
163. Riga, Lettonia -> 68.65
164. Lodz, Polonia -> 68.65
165. Atene, Grecia -> 68.3
166. Banja Luka, Bosnia Erzegovina -> 66.95
167. Cluj-napoca, Romania -> 66.64
168. Vilnius, Lituania -> 66.33
169. Timisoara, Romania -> 64.24
170. Bucarest, Romania -> 63.55
171. Zadar, Croazia -> 62.46
172. Debrecen, Ungheria -> 62.15
173. Sarajevo, Bosnia Erzegovina -> 62.14
174. Podgorica, Montenegro -> 61.33
175. Kaunas, Lituania -> 60.8
176. Rijeka, Croazia -> 60.68
177. Split, Croazia -> 60.21
178. Constanta, Romania -> 59.48
179. Plovdiv, Bulgaria -> 59.41
180. Bitola, Macedonia -> 58.69
181. Iasi, Romania -> 57.63
182. Nis, Serbia -> 56.91
183. Belgrado, Serbia -> 54.92
184. Varna, Bulgaria -> 52.63
185. Craiova, Romania -> 51.79
186. Brasov, Romania -> 51.66
187. Novi Sad, Serbia -> 50.4
188. Oradea, Romania -> 46.75
189. Skopje, Macedonia -> 46.35
190. Tirana, Albania -> 43.39
191. Dnipropetrovsk, Ucraina -> 34.73
192. Chisinau, Moldavia -> 33.11
193. Lviv, Ucraina -> 32.7
194. Odesa, Ucraina -> 28.69
195. Kharkiv, Ucraina -> 26.62


Costo della vita: Italia, Germania
https://www.facebook.com/LambrenedettoX ... 3659043701
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel mondo

Messaggioda Berto » mar apr 18, 2017 9:06 pm

11
è il paese dopo la Grecia con il maggior numero di parassiti e di privilegiati che vivono del lavoro e delle imposte degli altri cittadini;
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel mondo

Messaggioda Berto » mar apr 18, 2017 10:34 pm

12
è il paese dell'occidente con il maggior numero di morti per incidenti stradali e dove ti uccidono maggiormente sulle striscie pedonali mentre attraversi la strada;



Morti per 1 miliardo veicoli•km anno 2003

https://it.wikipedia.org/wiki/Incidenti ... _in_Europa

Finlandia 7,6
Regno Unito 7,6
Paesi Bassi 7,7
Australia 8,0
Norvegia 8,3
Svezia 8,3
Svizzera 8,8
Canada 8,9
Stati Uniti 9,4
Danimarca 9,7
Germania 9,7
Francia 10,9
Irlanda 10,9
Italia 10,9
Giappone 11,2
Austria 11,7
Nuova Zelanda 12,4
Islanda 16,0
Belgio 16,3
Slovenia 16,7
Corea 26,0
Grecia 26,7
Repubblica Ceca 31,7
Slovacchia 46,9


Incidenti stradali mortali, l’Italia ha un triste primato (seconda in Europa)
rapporto della Commissione Ue - 7 aprile 2016

Nel 2014 i decessi sono stati 3.381, più che dimezzati rispetto ai 7.096 del 2001.
Ma da tre anni il numero diminuisce troppo poco: colpa anche degli smartphone

http://www.corriere.it/salute/neuroscie ... 5502.shtml

L’Italia è stata seconda in Europa per numero di vittime negli incidenti stradali nel 2014, sebbene abbia registrato una significativa riduzione del 18% negli ultimi 5 anni, in linea con la media Ue. È quanto emerge dal rapporto della Commissione Ue sulla sicurezza stradale, che evidenzia anche la preoccupante stagnazione a livello europeo degli ultimi tre anni nella riduzione del numero di morti sulle strade, imputandolo tra le altre cause all’uso sempre crescente degli smartphone come fonte di distrazione dalla guida. Nel 2014 sono stati 3.381 i morti sulle strade italiane, più che dimezzati rispetto ai 7.096 del 2001. La tendenza negli ultimi 15 anni è stata sempre al ribasso, scendendo sotto quota 4mila nel 2011 per arrivare progressivamente ai 3.401 del 2013 sino ai 3.381 dell’anno successivo. Il Paese che da anni mantiene il primato di vittime in termini assoluti è la Francia, che però sta avvicinandosi sempre più all’Italia con 3.384 morti nel 2014 contro gli 8.162 del 2001 (-15% tra 2010-2014). La Germania è terza, appena subito dopo l’Italia, con 3.377 vittime (-7%, nel 2001 invece 6.977).

Alcol, sms, radio: le 15 abitudini che fanno rischiare un incidente (più una sorpresa)
Essere sotto l’effetto di alcol o droghe
Meno risorse economiche, più distrazione

«Negli ultimi decenni siamo riusciti a ridurre il numero di vittime della strada in maniera impressionante, ma l’attuale rallentamento è allarmante», ha dichiarato la commissaria Ue ai trasporti Violeta Bulc, invitando gli Stati membri a «fare molto di più, se l’Europa vuole raggiungere l’obiettivo di dimezzare il numero di vittime della strada entro il 2020». Sono inoltre 135mila i feriti calcolati per la prima volta, grazie all’invio di dati comparabili da parte dei 28 Stati, di cui una proporzione importante è rappresentata dagli utenti vulnerabili come pedoni e ciclisti. Tra le cause del rallentamento della riduzione delle vittime degli incidenti stradali, secondo lo studio di Bruxelles, vi sono le risorse finanziarie inferiori investite nella manutenzione delle strade a causa della crisi economica, maggior circolazione sulle strade in inverno per il clima diventato più mite, ma anche un 10%-30% di distrazioni “da smartphone” sul 90% di incidenti dovuti a comportamenti scorretti da parte dei guidatori.


Connubio tra non-luogo e tempo «accelerato»

«Qui a Roma una persona su tre alla guida ha il telefonino all’orecchio, sono pochissime le persone che usano il vivavoce o l’auricolare in auto - spiega Federico Tonioni, psichiatra e responsabile dell’ambulatorio per la dipendenza da internet presso il Policlinico Gemelli di Roma -. Noi che oggi siamo adulti abbiamo conosciuto il mondo senza internet, ma in vent’anni tutto è cambiato, soprattutto il nostro modo di vivere il tempo e lo spazio. Lo “spazio digitale” non ha un luogo fisico perché con il cellulare posso parlare ovunque io sia. Le relazioni sono senza luogo, sempre portabili. E il tempo digitale è più intenso. Il connubio tra non-luogo e tempo “accelerato” ha compromesso due conquiste fondamentali dell’uomo: la capacità di stare da soli e il saper aspettare. Ecco che quindi se suona il cellulare o riceviamo un messaggino mentre siamo in auto non possiamo rimandare a quando avremo parcheggiato e ci sentiamo in dovere di rispondere subito. Bisogna poi ricordare che il tempo digitale è circolare, ovvero passa e non ce ne accorgiamo, come quando si fa un sogno ad occhi aperti».


Ogni tanto spegniamo il cellulare

Secondo Tonioni, è molto difficile rimanere concentrati alla guida nell’epoca dell’iper-connessione e della reperibilità h24. «Come dicevo, non siamo più capaci di aspettare e il messaggino dobbiamo leggerlo subito, ma le vere urgenze sono un centesimo di tutto quello che ci arriva. Essere sempre raggiungibili condiziona la vita, ci aspettiamo che succeda qualcosa da un momento all’altro e questo è fonte di enorme distraibilità e di uno stato dissociativo, uno scollamento tra mente e corpo, perché la comunicazione digitale esclude tutto ciò che è corporeo ed emozionale». Come si potrebbe affrontare il problema degli incidenti stradali causati dall’uso degli smartphone? «Le campagne educative servono a poco - spiega il professor Tonioni -, punterei piuttosto a produrre solo macchine predisposte per il vivavoce e a inasprire le pene per chi usa il telefonino in auto, abitudine che andrebbe punita così come la guida sotto effetto di stupefacenti: il risultato è lo stesso, il guidatore “non ci sta con la testa”. Molto più in piccolo, basta ricordarsi prima di accendere l’auto che è necessario stare attenti e che guidare può essere molto molto pericoloso. Infine, un consiglio: proviamo ogni tanto a uscire senza telefonino o a spegnerlo quando siamo in auto. O addirittura, proviamo a stare senza cellulare per un paio di giorni: si sta benissimo e ci si sente meno “perseguitati”. Quando siamo liberi dalla schiavitù della reperibilità h24 riusciamo a fare molte più cose; non è vero che passando la giornata a rispondere a mail, telefonate e messaggini la nostra produttività aumenta, anzi».


Dal 6 al 12 maggio la Settimana mondiale indetta dalle Nazione Unite
Emergenza sicurezza stradale, ogni settimana 11 pedoni morti in Italia

http://www1.adnkronos.com/IGN/Sostenibi ... 32821.html

Roma, 3 mag. (Adnkronos) - "Ogni settimana sulle strade italiane perdono la vita 11 pedoni, che nell'ultimo anno hanno fatto complessivamente registrate 589 vittime e oltre 20mila feriti. Numeri che richiamano l'attenzione su quella che è una vera e propria emergenza sia a livello nazionale, sia a livello mondiale. Non è un caso che, proprio in questi giorni e su questo tema, sia arrivato un appello anche dalle Nazioni Unite". Ad affermarlo è il segretario generale della Fondazione Ania, Umberto Guidoni, intervenendo alla vigilia della Seconda Settimana mondiale della Sicurezza Stradale indetta dalle Nazione Unite dal 6 al 12 maggio del 2013 e che, quest'anno, sarà dedicata alla sicurezza dei pedoni.

L'iniziativa rientra nel programma del "Decennio della Sicurezza Stradale 2011-2020", per il quale le Nazioni Unite hanno fissato l'obiettivo di dimezzare il numero delle vittime per incidente stradale a livello mondiale. A livello statistico, una persona su quattro che muore negli incidenti stradali nel mondo è un pedone: un totale di 270mila morti ogni anno.
In Italia la percentuale è del 15%, ma il nostro Paese risulta uno dei peggiori in Europa, classificandosi al terzo posto per numero di pedoni morti, preceduto solo da Polonia e Romania (fonte: Care 2010).

"Il confronto con l'Europa e le statistiche mondiali - prosegue Guidoni - ci debbono spingere ad affrontare il problema della tutela dei pedoni e, più in generale, degli utenti deboli della strada. Per quanto riguarda il nostro Paese, è indispensabile avviare un processo che porti ad un cambiamento radicale del modo di pensare, inculcando una profonda cultura del rispetto delle regole della strada".

"In altri paesi d'Europa, le strisce pedonali sono un 'territorio blindato', - continua Guidoni - un luogo dove il pedone è protetto. Da noi ancora non è così e dobbiamo lavorare per convincere tutti che le regole vanno sempre rispettate. Per fare ciò, è fondamentale un impegno condiviso con azioni che coinvolgano il settore pubblico, quello privato e, non da ultimi, i media che svolgono un ruolo prioritario nell'opera di sensibilizzazione ed informazione della collettività".

Un terzo dei pedoni morti in Italia è stato travolto proprio mentre era su un attraversamento pedonale. Tra le varie iniziative portate avanti dalla Fondazione Ania in favore delle utenze deboli, si ricorda il finanziamento per il ripristino di oltre 650 attraversamenti pedonali pericolosi a Roma, inserito tra i progetti di un protocollo di intesa con il Comune della Capitale.

"Il progetto delle strisce pedonali a Roma - conclude Guidoni - rappresenta un positivo esempio di come si possa intervenire a tutela dei pedoni. Nella Capitale il numero dei pedoni morti è sceso di un terzo in due anni, passando da 65 a 44. Non possiamo certo illuderci che ciò sia stato possibile solo grazie alla nostra opera sulle strisce pedonali, ma da questa esperienza è arrivato un segnale chiaro: creando un dibattito sul tema, stimolando le pubbliche amministrazioni e sensibilizzando i cittadini, è possibile ottenere risultati tangibili".


Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... radali.jpg



È sulle strisce in carrozzina Investito: grave - Piovene Rocchette
20.07.2017

http://www.ilgiornaledivicenza.it/terri ... -1.5846543

PIOVENE ROCCHETTE. Stava attraversano la strada sulle strisce pedonali con la sua carrozzina elettrica quando è stato investito da un furgone: ora è ricoverato in gravi condizioni.
È accaduto alle 10 in via Roma di Piovene Rocchette, all'altezza dell'intersezione con via Monte Cengio. L'autocarro Renault Truck condotto da S.N., 22enne di Thiene, proveniente da Cogollo del Cengio e diretto verso Santorso, per cause ancora in fase di accertamento ha investito un 87enne Piovene Rocchette, che seduto sulla propria carrozzina elettrica, stava attraversando la carreggiata sulle striscie pedonali. Dopo l'incidente sono accorsi gli agenti della polizia locale e i soccorritori del Suem che hanno trasportato il ferito all'ospedale di Santorso. Le sue condizioni sono gravi ma non è in pericolo di vita.
A causa dell'incidente non sono mancati disagi alla circolazione stradale, anche a causa dell'intenso traffico presente durante i rilievi.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel mondo

Messaggioda Berto » mar apr 18, 2017 10:58 pm

13
l'Italia è al 77esimo posto per libertà di stampa;

Libertà di stampa, l’Italia crolla: ora è al 77° posto
Nella classifica stilata da Reporter senza frontiere perdiamo 4 posizioni. Fra le cause i giornalisti intimiditi o minacciati di morte. Meglio di noi anche Burkina Faso e Botswana

http://www.lastampa.it/2016/04/20/ester ... agina.html

Brutte notizie per l’Italia sul fronte della libertà di stampa. Nell’annuale classifica di Reporters sans Frontieres il nostro Paese perde quattro posizioni, scendendo dal 73° posto del 2015 al 77° (su un totale di 180 Paesi) del 2016. L’Italia è il fanalino di coda dell’Ue (che è comunque l’area in cui c’è maggiore tutela dei giornalisti), seguita soltanto da Cipro, Grecia e Bulgaria.

Classifica: ecco le prime 10 posizioni (Fonte: rsf.org)



GIORNALISTI NEL MIRINO

Fra i motivi che - secondo l’organizzazione con base in Francia - pesano sul peggioramento, il fatto che «fra i 30 e i 50 giornalisti» sarebbero sotto protezione della polizia per minacce di morte o intimidazioni. Nel rapporto vengono citati anche «procedimenti giudiziari» per i giornalisti che hanno scritto sullo scandalo Vatileaks. I giornalisti in maggiore difficoltà in Italia, dunque, sono quelli che fanno inchieste su corruzione e crimine organizzato

DIETRO BENIN E BURKINA FASO

Per farsi un’idea dell’allarmante situazione italiana basta dare un’occhiata alla classifica: ci precedono Paesi come Tonga, Burkina Faso e Botswana.



INCHIESTA Così l’Egitto sorveglia dissidenti e giornalisti (di Carola Frediani)



L’Italia si piazza al 77° posto, tra Moldova e Benin (Fonte: rsf.org)



L’AFRICA SORPASSA L’AMERICA

La libertà di stampa è peggiorata quasi ovunque nel 2015. Ma per la prima volta, da quando Rsf ha cominciato nel 2002 a elaborare la sua classifica, l’Africa mostra una situazione migliore che l’America, piagata dalla «violenza crescente contro i giornalisti in Latinoamerica», mentre l’Asia continua a essere il continente peggio valutato. L’Europa rimane l’area in cui i media sono più liberi, anche se Rsf nota un indebolimento del suo modello.



FINLANDIA IN TESTA

Dei 180 Paesi valutati, la Finlandia continua ad essere quello in cui le condizioni di lavoro per i giornalisti sono migliori (è in cima alla classifica accade dal 2010; seguita da l’Olanda, che guadagna due posti, e la Norvegia, che ha perso la seconda posizione. Russia, Turchia ed Egitto sono rispettivamente al 148°, 151° e al 159° posto. Fanalini di coda Turkmenistan (178°), la Corea del Nord (179°) e l’Eritrea (180°). I balzi più grandi in classifica sono stati quelli di Tunisia (dal 126° al 96°) e Ucraina (dal 129° al 107°).

Classifica: le ultime 10 posizioni (Fonte: rsf.org)


IL RAPPORTO Nel 2015 110 giornalisti uccisi: 2 su tre non erano in Paesi in guerra
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Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel mondo

Messaggioda Berto » mer apr 19, 2017 7:41 am

14
è tra gli ultimi in Europa in fatto d'istruzione; dove le università sono il regno dei baroni e dove si vendono le lauree;


Ocse: in Italia l’istruzione è sotto la media dei paesi avanzati
martedì, 9 settembre 2014
Andrea Mollica

http://www.gadlerner.it/2014/09/09/ocse ... i-avanzati

L’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e per lo sviluppo economico, ha diffuso un’analisi sul livello dell’istruzione nei paesi industrializzati.
L’Italia, come da diverso tempo, rimane in fondo alla graduatoria dei Paesi con i migliori livelli di istruzione. I

l report “Uno sguardo sull’Istruzione 2014: indicatori Ocse” rileva miglioramenti registrati nel nostro sistema educativo, che però non hanno modificato una situazione complessiva che rimane sotto la media europea o dei paesi industrializzati.
Una situazione difficile da invertire, visto che tra i 34 Paesi Ocse presi in esame, l’Italia è l’unico che registra una diminuzione della spesa pubblica per le istituzioni scolastiche tra il 2000 e il 2011 (-3%, la media Ocse registra +38%). Il rapporto registra che tra il 1995 e il 2011 la spesa per studente nella scuola primaria, secondaria e post secondaria non terziaria è diminuita del 4%.
Un calo che è stato contenuto dalla crescita della spesa privata. Nonostante alcuni trend positivi registrati negli ultimi anni, l’Ocse rimarca come ” i giovani italiani hanno livelli d’istruzione inferiori ai loro coetanei della maggior parte degli altri Paesi. Nel 2012, la percentuale di 25-34enni in Italia senza diploma del secondario superiore (28%) era la terza più alta dei Paesi EU21, dopo Portogallo (42%) e Spagna (35%) ed era molto più alta rispetto alla media dell’OCSE del 17,4% e alla media del 15,7% degli EU21. Nel 2012, il tasso di laureati tra i 25-34enni è stato il quartultimo dei Paesi dell’OCSE e del G20 con dati disponibili (per i tassi di laureati l’Italia si colloca al 34° posto su 37 Paesi).
In media, i tassi di laureati hanno registrato un maggiore aumento nei Paesi dell’OCSE (+13,2 punti percentuali) rispetto all’Italia (+11,8 punti percentuali) tra il 2000 e il 2012, partendo da un livello più alto (26% di laureati in media nei Paesi dell’OCSE rispetto all’11% in Italia nel 2000).
Sebbene le donne siano chiaramente sottorappresentate tra i nuovi laureati in alcune discipline, quali informatica (con il 25% di laureate), ingegneria (40%) e scienze fisiche (42%), in Italia le differenze di genere nelle diverse aree disciplinari sono spesso meno grandi rispetto a quelle osservate in altri Paesi dell’OCSE. Un dato particolarmente preoccupante per il futuro è la crescita dei giovani che rinunciano all’istruzione. In due anni tra il 2010 e il 2012 il numero dei 15-19enni non iscritti al sistema di istruzione è cresciuto.
Nel 2010 il tasso di iscrizione era dell’83%, poi è sceso fino all’80% (contro la media Ocse dell’83%).
Nel 2012 solo l’86% dei 17enni era ancora a scuola e si stima che soltanto il 47% dei 18enni si iscriverà all’università. Secondo i test “Pisa” per la matematica, tra il 2003 e il 2012 è diminuita dal 32% al 25% la percentuale dei quindicenni che ottengono un punteggio basso.
Inoltre, i risultati dello studio del 2012 sulle competenze degli adulti (Piaac) mostrano che i 25-34enni italiani ottengono migliori risultati in lettura e matematica rispetto alle generazioni precedenti (35-44 anni). Per l’Ocse questo risultato deriva da “una migliore istruzione di base“. Tuttavia, sottolinea il rapporto, “il livello medio di competenze in Italia resta basso rispetto ad altri Paesi”.
I risultati medi ottenuti nelle prove matematiche dei 25-34enni in Italia, ad esempio, si collocano in penultima posizione. Solo i giovani adulti spagnoli hanno ottenuto risultati inferiori. Punteggio più basso, invece, per i giovani italiani sulla comprensione di un testo scritto.



Nel rapporto alunni-insegnanti solo la Grecia peggio dell’Italia
di Claudio Tucci 02 aprile 2017

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... id=AE4mPqx

Quando uscì la prima fotografia della scuola italiana dopo il taglio di 87mila cattedre operato da Tremonti-Gelmini creò molto scalpore: nonostante la più corposa sforbiciata all’organico docente di tutti i tempi, il rapporto alunni/insegnanti, che partiva da 9 a 1, si attestò a 12 a 1; un valore che continuava a essere inferiore alla media Ue, e piuttosto distante da Francia, Germania, Regno unito, Spagna. Il nostro sistema scolastico si assestò e andò avanti, riducendo un bel po’ di “sprechi e inefficienze”.

Con la maxi-infornata di circa 90mila professori precari realizzata nel 2015 dal governo Renzi si sono riportate le lancette indietro al 2010, tornando addirittura ai livelli pre Tremonti-Gelmini: nella primaria il rapporto alunni/insegnanti è sceso a 9,75 a 1; nella secondaria 9,83 a 1, agli ultimi posti nell’Ue. E in vista di settembre il Miur sta premendo sul Mef per ottenere altre 25mila stabilizzazioni.

Un’operazione, la trasformazione dell’organico di fatto in posti stabili, che costa 400 milioni l’anno, e ha l’unico obiettivo - e non è detto - di far rientrare vicino casa poche migliaia di insegnanti assunti a tempo indeterminato dal governo Renzi; a cui si aggiungerà il normale turn-over, e quindi all’inizio del nuovo anno scolastico potrebbero esserci altre 30-40mila immissioni in ruolo, abbassando ulteriormente il rapporto alunni/insegnanti - senza che esista alcuna evidenza empirica che dimostri che meno studenti per docenti migliori il livello medio degli apprendimenti.

Il ministero dell’Istruzione non ha mai fornito ufficialmente i dati sul rapporto alunni/insegnanti dopo il maxi piano assunzionale del 2015, ma con non poca fatica, e una calcolatrice alla mano, si possono desumere lo stesso dalle statistiche ministeriali.

Partiamo dalla situazione precedente alla legge 107. Nell’ultimo report dell’Ocse «Education at a glance 2016», si fotografa proprio il 2014: ebbene, nella primaria si confermava un rapporto alunni/insegnanti di 12 a 1; così come nella secondaria, 12 a 1. Contro una media europea di 14 a 1 nella primaria, 12 a 1 nella secondaria. Nel confronto internazionale restavamo sempre indietro: in Francia, per esempio, il rapporto alunni/insegnanti nel 2014 si attestava a 19 a 1 nella primaria, 13 a 1 nella secondaria. In Germania, 15 a 1, nella primaria, 13 a 1 nella secondaria; in Spagna, nei due gradi di istruzione, 14 a 1, 12 a 1; nel Regno unito, si registrava, rispettivamente, 20 a 1; 16 a 1. Il nostro paese, quindi, già tre anni fa, non se la passava poi così male, avendo uno dei rapporti alunni/insegnanti tra i più bassi al mondo (e si tenga conto che il dato italiano 2014 non teneva conto dei professori di religione, stimati in circa 30mila - aggiungendo questi si tornava sotto 12 a 1).

Nel 2016, dopo la tornata di stabilizzazioni (costo per l’Erario 2,2 miliardi a regime) il quadro è il seguente: nella primaria il rapporto alunni/insegnanti è sceso a 9,75 a 1; nella secondaria 9,83 a 1. Anche qui non si tiene conto dei circa 30mila professori di religione (con loro saremmo ancora più bassi). Nella scuola primaria, prendendo per ancora valido il dato Ocse del 2014, l’Italia diventerebbe penultima in Europa: peggio di noi farebbe solo la Grecia (9 a 1). Nella secondaria saremmo terz’ultimi: ci supererebbero Austria e Lettonia, entrambi con un rapporto alunni/insegnanti di 9 a 1.

Alla luce di questi dati, rischia di apparire davvero incomprensibile la “querelle” Miur-Mef, innescata da Valeria Fedeli per ottenere dal collega Pier Carlo Padoan una nuova stabilizzazione di 25mila cattedre, di cui, a oggi, non ce ne è bisogno.

Formazione in azienda

Il punto, spiega Attilio Oliva (TreeLLLe e Ocse), è che «serve puntare sulla qualità, non sulla quantità di docenti. E tagliare gli eccessi con una vera spending review». Quello che colpisce da questi numeri, aggiunge Daniele Checchi (università di Milano) è «l’apparente impossibilità di programmazione. Ci si sarebbe aspettati che le assegnazioni dei nuovi professori fossero andate laddove il divario tra organico di diritto e organico di fatto fosse più pronunciato. Ma evidentemente così non deve essere avvenuto. Bisogna adesso che il Miur si doti di un modello previsivo del fabbisogno insegnanti a medio termine. E che poi riesca ad attenersi a quelle previsioni, resistendo alle richieste particolaristiche di riavvicinamento di una frangia più o meno ampia del mondo insegnante».
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Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel mondo

Messaggioda Berto » lun apr 24, 2017 11:45 am

15
è tra i 4 peggiori pagatori europei ai fornitori di materie e servizi, le cui imprese sono fatte fallire, gli imprenditori costretti alla disperazione e i lavoratori alla disoccupazione;


Pagamenti - UE boccia Italia per ritardi PA
16 Febbraio 2017

https://www.fasi.biz/it/notizie/novita/ ... di-pa.html

Italia nel mirino della Commissione Ue per il mancato rispetto della direttiva europea sui ritardi di pagamento.

La Commissione europea ha richiamato Grecia, Italia, Slovacchia e Spagna per la cattiva applicazione della direttiva 2011/7/UE sui ritardi di pagamento, che definisce misure rigorose per scoraggiare i pagamenti tardivi in Europa.

In base al testo:

le amministrazioni pubbliche devono pagare i beni e i servizi acquistati entro 30 giorni o, in casi eccezionali, entro 60 giorni;
nelle transazioni tra imprese il limite è di 60 giorni, a meno che non sia stato esplicitamente concordato altrimenti.

In caso di pagamenti effettuati in ritardo rispetto a quanto concordato i creditori hanno automaticamente il diritto di chiedere interessi per i ritardi di pagamento (a un tasso superiore almeno dell'8% al tasso di riferimento della Banca centrale europea) e un risarcimento minimo di 40 euro per ogni fattura non pagata, oltre al rimborso di tutte le altre spese legate ai costi di recupero.

In base alla relazione adottata lo scorso agosto dalla Commissione Ue sull'attuazione della direttiva, i ritardi nella pubblica amministrazione sono mediamente diminuiti di 10 giorni rispetto alla situazione esistente prima dell'entrata in vigore della normativa. Tuttavia nel documento si evidenzia la necessità di compiere ulteriori progressi nell'attuazione della normativa.

Commissione Ue richiama 4 Stati membri

La situazione rimane particolarmente critica in alcuni Paesi e in questi giorni la Commissione ha invitato Grecia, Italia, Slovacchia e Spagna a prendere provvedimenti per garantire la corretta applicazione della direttiva sui ritardi di pagamento. In particolare:

alla Grecia è stata avviata una lettera complementare di costituzione in mora dal momento che la nuova legislazione nazionale abolisce il diritto dei creditori ad ottenere interessi e risarcimenti;
all'Italia è stato inviato un parere motivato, secondo step della procedura di infrazione, per il persistere di ritardi di pagamento eccessivi da parte delle amministrazioni pubbliche;
in Slovacchia è stata avviata una procedura per i ritardi di pagamento eccessivi nel settore della sanità pubblica;
la Spagna ha ricevuto una lettera di costituzione in mora perchè la legislazione nazionale proroga sistematicamente di 30 giorni il termine legale di pagamento.

Gli Stati membri hanno due mesi di tempo per comunicare alla Commissione Ue i provvedimenti adottati per evitare che le rispettive procedure di infrazione si aggravino. Nel caso dell'Italia, giunta alla seconda fase del procedimento, il Collegio dei commissari può decidere, in mancanza di risposte adeguate, di ricorrere alla Corte di giustizia dell'Ue.Rifiuti, ambiente e mafie



BANKITALIA: i debiti della Pubblica amministrazione sono 64 miliardi di euro
1 Giu 2017

http://www.lindipendenzanuova.com/banki ... di-di-euro

Secondo la Relazione annuale presentata dalla Banca d’Italia (*), lo stock di debiti commerciali contratto dalla nostra Pubblica amministrazione (Pa) nei confronti dei propri fornitori ammonta a 64 miliardi di euro; 4 in meno rispetto al dato 2015. Di questi 64, 30 sarebbero di natura fisiologica e gli altri 34 ascrivibili ai ritardi nei pagamenti. La CGIA, che da anni denuncia questa cattiva abitudine della nostra Pa, segnala che…

“Sebbene ci sia una leggera diminuzione della stima prudenziale effettuata dalla Banca d’Italia attraverso l’annuale indagine campionaria – commenta il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – anche i ricercatori di via Nazionale tornano a sottolineare che nel confronto con gli altri Paesi europei l’Italia presenta tempi di pagamento mediamente più lunghi e un ammontare complessivo di debiti da onorare che non ha eguali. Ma – prosegue Zabeo – la cosa inaccettabile di tutta questa vicenda è che la nostra Pa, nonostante siano ormai trascorsi 2 anni dall’introduzione della fattura elettronica nelle transazioni commerciali tra quest’ultima e i fornitori, non conosca ancora adesso quanti soldi debba onorare ufficialmente ai propri fornitori”.

E per chi lavora con la Pa le cose negli ultimi anni si sono fatte sempre più difficili. Dall’inizio del 2015, infatti, ha fatto il suo “debutto” lo split payment.

Questa novità obbliga le amministrazioni centrali dello Stato (e dal prossimo 1° luglio anche le aziende pubbliche controllate dallo stesso) a trattenere l’Iva delle fatture ricevute e a versarla direttamente all’erario. L’obbiettivo di questa misura è stato quello di contrastare l’evasione fiscale, ovvero, evitare che una volta incassata dal committente pubblico, l’azienda fornitrice non la versi al fisco.

Il meccanismo, sicuramente efficace nell’impedire che l’imprenditore disonesto non versi l’Iva all’erario, ha però provocato molti problemi finanziari a tutti coloro che con l’evasione, invece, nulla hanno a che fare. Vale a dire la quasi totalità delle imprese.

“La nostra Pa – segnala il Segretario della CGIA Renato Mason – non solo paga con un ritardo che non ha eguali nel resto d’Europa e quando lo fa non versa più l’Iva al proprio fornitore. Insomma, oltre al danno anche la beffa. Pertanto, le imprese che lavorano per lo Stato, oltre a subire tempi di pagamento spesso irragionevoli, scontano anche il mancato incasso dell’Iva che, pur rappresentando una partita di giro, consentiva alle imprese di avere maggiore liquidità per fronteggiare i pagamenti di ogni giorno. Questa situazione, associandosi alla contrazione degli impieghi bancari nei confronti delle imprese in atto dal 2011, ha peggiorato la tenuta finanziaria di moltissime aziende, soprattutto quelle di piccola dimensione”.



Ue deferisce l’Italia per «ritardi sistematici pagamenti» della Pa alle imprese
Beda Romano
2017-12-07

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/20 ... d=AE7SBkOD

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE DA BRUXELLES - L'annosa questione dei ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione italiana è tornata improvvisamente d'attualità. La Commissione europea ha annunciato oggi di rinviare il governo italiano davanti alla Corte europea di Giustizia per violazione di una direttiva che stabilisce un termine massimo di 60 giorni per il pagamento di beni e servizi da parte della mani pubblica. La decisione giunge dopo che l'apertura tre anni fa di una procedura di infrazione.

“Secondo la direttiva sui ritardi di pagamento, le amministrazioni pubbliche sono tenute a pagare le merci e i servizi acquistati entro 30 giorni o, in circostanze eccezionali, entro 60 giorni dal ricevimento della fattura”, nota l'esecutivo comunitario in un comunicato. “A più di tre anni dall'avvio della procedura di infrazione, tuttavia, le amministrazioni pubbliche italiane necessitano ancora in media di 100 giorni per saldare le loro fatture, con picchi che possono essere nettamente superiori”.

La direttiva era stata presentata dalla Commissione nel 2011 e doveva essere recepita nei diritti nazionali entro marzo 2013. Il testo prevede non poche misure. Oltre a quella già citata, ve ne sono altre due importanti: le imprese sono tenute a saldare le fatture entro 60 giorni, a meno che non sia stato esplicitamente concordato altrimenti e purché ciò non sia iniquo; ogni ritardo di pagamento conferisce il diritto agli interessi di mora e a un minimo di 40 euro quale risarcimento delle spese di recupero.
Tajani: «Bloccati ancora 50 miliardi di pagamenti Pa»

Negli ultimi anni, l'esecutivo comunitario ha preso atto degli sforzi della pubblica amministrazione nel pagare le fatture, ma evidentemente l'Italia non ha fatto abbastanza per rispettare le regole comunitarie. Nel 2014, Bruxelles aveva inviato una lettera di messa in mora e poi successivamente nel febbraio scorso un parere motivato, che ha portato oggi alla decisione di rinviare la questione alla Corte europea di Giustizia (si veda Il Sole/24 Ore del 16 febbraio scorso).
È da ricordare che nel 2013, il governo italiano e la Commissione europea avevano trovato un accordo sul pagamento di molte fatture arretrate, in concomitanza con l'uscita del paese dalla procedura per deficit eccessivo. “La puntualità dei pagamenti è particolarmente importante per le piccole e medie imprese, che confidano in un flusso di cassa positivo per assicurare la propria gestione finanziaria, la propria competitività e, in molti casi, la propria sopravvivenza”, spiega ancora la Commissione.

Un recente rapporto della società di consulenza Intrum Justitia, con sede a Stoccolma, osserva che il ritardo dei pagamenti non riguarda solo la pubblica amministrazione, ma anche le imprese private. In un sondaggio, il 40% delle aziende ammette di pagare in ritardo i propri fornitori. Sempre secondo il rapporto 2017 di Intrum Justitia, il 60% delle piccole e medie imprese dice di accettare termini di pagamento più lunghi delle attese, rispetto a una quota del 40% l'anno scorso.
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Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel mondo

Messaggioda Berto » lun apr 24, 2017 8:32 pm

16
è tra i paesi europei dove maggiormente i cittadini sono costretti a proteggere le loro case e i loro ambienti di lavoro, negozi e attività produttive, con recinzioni, protezioni blindate, impianti di allarme, cani da guardia, telecamere e servizi di sorveglianza;

Estate: l’Italia al secondo posto nella UE per i furti nelle case
1 agosto 2014
Aumentano i furti nelle abitazioni - Lombardia al primo posto per numero di furti
Articolo a cura di: Assiv Informa

http://www.assiv.it/2014/08/estate-lita ... nelle-case

L’estate è la stagione più favorevole ai ladri d’appartamento, soprattutto in Italia che è fra paesi europei con il più alto numero di furti nelle abitazioni. Secondo i dati Eurostat, elaborati dall’Osservatorio sulla sicurezza sussidiaria e complementare dell’Assiv-Confindustria, l’Italia con 240.846 furti nelle abitazioni denunciati nel 2012 è al secondo posto nell’Unione europea, preceduta dal Regno Unito con 298.881 furti. Seguono poi la Germania con 144.117 furti denunciati, la Francia con 135.402, la Spagna con 126.422 e i Paesi Bassi con 112.105 furti. L’Italia anno per anno sembra conquistare nuove posizioni in questa classifica negativa. Nel 2012 infatti con circa 250 furti nel nostro paese si registra un aumento del 15% rispetto ai 207.749 furti denunciati nel 2011 e del +40,3% nei confronti dei 171.269 furti del 2010.

La classifica cambia se si rapportano i furti al numero degli abitanti. In questo caso l’Italia con 285 furti per 100 mila abitanti si colloca al settimo posto fra i paesi Ue, sotto la media che è pari a 317 furti. Il vertice della graduatoria è interamente occupato dai paesi dell’Europa occidentale. Al primo posto c’è la Danimarca con 790 furti per 100 mila abitanti, seguita dalla Grecia con 785 furti, dal Belgio con 754, dai Paesi Bassi con 683 furti, dall’Irlanda con 618 e, al sesto posto, dal Regno Unito con 484 furti. Gli ultimi posti sono invece occupati da paesi dell’est europeo, con la Slovacchia come fanalino di coda con 32 furti per 100 mila abitanti, preceduta dalla Romania con 74, dalla Repubblica Ceca con 92, e dalla Lituania con 106 furti.

Più confortanti invece i dati sui furti negli esercizi commerciali del nostro Paese censiti dall’Istat, pari nel 2012 a 98.581 con un aumento del 6,3% sul 2011 e dell’8,8% sul 2010.

La differenza fra le due tipologie è evidente se si considera la statistica dei furti di cui si è scoperto l’autore, pari a 2,9 per 100.000 abitanti per le abitazioni e a 21,9 per gli esercizi commerciali. A livello territoriale il primo posto è occupato dalla Lombardia con 51.420 furti nelle abitazioni e 22.075 negli esercizi commerciali. A seguire, per i furti nelle abitazioni vengono il Piemonte (24.465), l’Emilia Romagna (23.543), il Lazio (20.535) e il Veneto (20.191). Nella tipologia di furti nei negozi, dopo la Lombardia vengono le stesse regioni ma in ordine leggermente diverso: il Lazio al secondo posto (10.660), poi l’Emilia Romagna (10.429), il Piemonte (9.356) e il Veneto (8.661).


http://ec.europa.eu/eurostat/statistics ... tistics/it
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Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel mondo

Messaggioda Berto » lun apr 24, 2017 8:32 pm

17
è il paese dell'occidente dove i cittadini sono tra i meno tutelati e garantiti dalle leggi sulla legittima difesa,; dove il cittadino è gravemente impedito e ostacolato nell'esercizio naturale del diritto universale alla legittima difesa della sua persona, della sua casa, dei suoi beni;


La legittima difesa non solo è pienamente umana ma è anche pienamente cristiana e rientrante nei diritti e doveri umani universali
viewtopic.php?f=141&t=2540
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Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel mondo

Messaggioda Berto » mer apr 26, 2017 3:22 pm

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è il paese più litigioso d'Europa e col maggior numero di avvocati che contribuiscono ad aumentare questa litigiosità e la malagiustizia;

DATI STATISTICI SULLA CRISI DELLA GIUSTIZIA IN ITALIA E I RELATIVI RIFLESSI ECONOMICO-SOCIALI

http://justice.luiss.it/files/2013/05/F ... ociali.pdf
Secondo l’ultimo rapporto internazionale CEPEJ, con oltre 2,8 milioni di nuove cause in ingresso in primo grado, l’Italia è uno dei Paesi più litigiosi d’Europa, atteso che vengono iscritte a ruolo 3.958 cause ogni centomila abitanti, il doppio della Germania e il 43% in più della Francia. Nel nostro Paese, pertanto, si assiste ad una progressiva e costante escalation delle dispute private: si litiga in azienda, nei condomini, etc. e sembra quasi che di fronte ad una lite gli Italiani non riescano a fare a meno di ricorrere alle cause, agli avvocati e ai tribunali!
Nello specifico, si scopre che la domanda di giustizia –in costante crescita a partire dagli anni Settanta, salvo brevi interruzioni -è concentrata soprattutto in cause di basso valore svolte innanzi al Giudice di Pace e in controversie in tema di lavoro e previdenza. Essa, inoltre, si caratterizza per l'elevata variabilità territoriale, tant’è che la litigiosità dei distretti del Mezzogiorno supera di circa il 50% il valore medio nazionale. Si riscontra, infine, la concentrazione di taluni tipi di controversie nell’ambito delle stesse circoscrizioni giudiziarie: si pensi, in proposito, che nel 2010, il 52% di tutte le cause di RC auto davanti al Giudice di Pace iniziate in Italia si è concentrato nel distretto di Napoli, così come il 30% di quelle in
tema di previdenza si è svolto in Puglia.All’elevato tasso di litigiosità dei cittadini italiani si accompagna un sistema di giustizia civile del tutto inefficiente. Il recente Rapporto“Doing Business 2013”
realizzato dalla Banca Mondiale colloca l'Italia al 160° posto su 185 Paesi esaminati per ciò che concerne l’esecuzione dei contratti, che costituisce uno degli indici di valutazione di un’economia
mondiale.(4)
Come evidenziato dal Primo Presidente della Corte di Cassazione,G.SANTACROCE, al convegno
“L’arbitrato: un’altra strada”tenutosi il 6 maggio 2013 presso la Corte d’Appello di Roma, vi è la necessità nel nostro Paese di procedere ad una drastica limitazione del ricorso al giudice, riducendo il flusso delle controversie in entrata e contrastando la convinzione tutta italiana che rivolgersi al giudice statale sia l’unico rimedio a disposizione del cittadino per ottenere il riconoscimento e l’affermazione dei propri diritti. All’estero funzionano da tempo istituti come l’arbitrato e la mediazione, che da noi hanno rivestito invece sempre un ruolo di carattere sussidiario e subalterno. La realtà giudiziaria ha dimostrato da tempo l’infondatezza della tesi dell’esclusività giurisdizionale e dello stesso postulato del monopolio statale del diritto e della giurisdizione per cui“il giudice e soltanto il giudice possa dichiarare il diritto nei rapporti tra
i privati”.La realizzazione dell’ordinamento giuridico in relazione ai singoli, concreti episodi della vita può infatti avvenire non solo con lo spontaneo adeguamento dei consociati, ma anche quando le
parti, di fronte all’insorgenza di un conflitto, impegnandosiin un’opera di buona volontà, riescano a porre in essere atti tendenti a comporre la lite, escludendo il ricorso alla giurisdizione dello Stato. E’ in questo contesto che si colloca la categoria degli “equivalenti giurisdizionali”creatamdamCarnelutti o, se si vuole,
dei negozi di composizione o prevenzione di controversie giuridiche e, in epoca più recente, degli strumenti alternativi per la soluzione delle controversie (noti con l’acronimo ADR: Alternative Dispute Resolutions). Cfr. anche CARMINE PUNZI, il “Disegno sistematico dell’arbitrato”, Cedam, 2012, 91, secondo cui, se appare essenziale al nascere dello Stato il monopolio della forza nell’attuazione coattiva dei diritti e se può apparire essenziale il monopolio legislativo, non altrettanto essenziale è l’affermazione del monopolio della composizione delle controversie e in particolare del potere di risolverle e deciderle mediante lojus dicere.

Analizzando nello specifico questa classifica, l’Italia risulta preceduta da alcuni Stati africani quali il Ghana (48° posto) e il Gambia (65° posto), riuscendo a stento a superare l’Afghanistan che si colloca dopo di noi al 164° posto. Ma ciò che fa più riflettere è la posizione occupata dai nostri competitors: troviamo il Regno Unito al 21° posto, la Germania al 5°, gli Stati Uniti d’America e la Francia,
rispettivamente, al 6° e all’8° posto. Vi sono, quindi, ben 150 posizioni da recuperare!
Ma cosa vuol dire in concreto essere al 160° posto? Significa che in Italia occorrono mediamente 1.210 giorni per recuperare un credito contrattuale, ossia quasi tre anni e mezzo, con un anticipo di spese pari al 29,9% del valore della causa; ciò, tradotto in soldoni, significa che se un imprenditore vanta in Italia un credito di 5.000 Euro, dovrà sostenere spese pari a 1.500 Euro, per poi recuperare la somma rivendicata dopo ben tre anni e mezzo!
Detto in altri termini, se all’estero le aziende ottengono un risarcimento danni -mediamente –nell’arco di un anno, le imprese italiane devono attendere, invece, ben quaranta mesi.
Questa situazione è lo specchio di un sistema caratterizzato da un sovraccarico di lavoro dei Tribunali e dalla conseguente grande difficoltà per gli operatori del settore di gestire un numero di controversie in costante aumento.
In Italia si assiste, invero, ad una vera e propria “litigation explosion” che l’attuale sistema giudiziario non è in grado di fronteggiare in maniera adeguata e soddisfacente. I tempi medi di definizione di un processo civile (per i tre gradi di giudizio) sono pari a sette anni e tre mesi (2.645 giorni) e l’arretrato che i nostri giudici sono chiamati a smaltire consta di ben 5,4 milioni di procedimenti civili.
...

I motivi dell'elevata litigiosità in Italia vanno rinvenuti anche nell’eccessivo numero degli avvocati
, nel carattere farraginoso della normativa sostanziale e processuale e nelle continue oscillazioni degli orientamenti giurisprudenziali.Nel confronto internazionale, il nostro Paese si segnala per l'elevato numero di avvocati in rapporto alla popolazione, con un trend di crescita sviluppatosi soprattutto negli ultimi
anni (nel periodo 1992-2006 tale numero si è quasi triplicato). Oggi gli avvocati italiani sono 247.000,
il numero di avvocati più alto di Europa, un quarto dei legali europei: si consideri, ad esempio, che a Milano vi sono più di 20.000 avvocati, quasi la metà di quanti ve ne sono in tutta la Francia (47.000), un avvocato ogni 65 abitanti.



Malagiustizia e abuso del processo
Marcello Adriano Mazzola
Avvocato, rappresentante istituzionale avvocatura

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/01 ... sso/186916

Il primo presidente della Corte di Cassazione ha inaugurato l’anno giudiziario. Uno sfoggio di ermellini e l’ennesimo grido di dolore che si sente da anni: così non va!

L’Italia è il paese che per la malagiustizia si trova in fondo alla classifica mondiale, tanto per i tempi quanto per la qualità della giustizia erogata.

Più che inaugurazione ieri è stato così celebrato l’ennesimo funeral party. Non c’è nulla da celebrare. Nell’occasione non si è dato spazio all’autocritica. Parrebbe difatti tutta colpa del legislatore o dell’amministrazione carente di risorse economiche. Ancor di più da anni si addossa la colpa della malagiustizia all’”abuso del processo” e su tale versante, in particolare all’avvocatura.

Il seme della grave disinformazione si è oramai annidato nell’opinione pubblica: ci sono troppi avvocati, ergo si litiga troppo perché incentivati al contenzioso dagli stessi. L’equazione è quindi “tanti avvocati/tante cause”. Ieri si è pure imputato il dissesto al ricorso eccessivo a 3 gradi di giudizio, giustificabile solo per le cause più importanti.

Cerchiamo di fare chiarezza, con onestà. La situazione è gravissima, perché la “giustizia” sorregge, e ne è la struttura portante, lo Stato di diritto, la democrazia e dunque il sofisticato meccanismo di efficienza della tutela dei diritti. Senza un buon sistema giustizia v’è dunque un simulacro, uno scheletro, un alone di tutto ciò. Inoltre, indissolubilmente, ciò è legato all’economia del Paese intero. Senza giustizia l’economia non solo non cresce ma decresce, perché si incrina e smarrisce la fiducia “economica” (negli investimenti, nella tutela di un credito, nella tutela dei diritti patrimoniali etc.).

Per tali motivi la riforma della giustizia avrebbe dovuto essere una priorità di questo governo. Altro che le farlocche liberalizzazioni alla Monty Python! Invece tale priorità non compare nell’agenda ma anzi il Guardasigilli (che appunto li guarda ma non li tocca…) ritiene prioritario svuotare le carceri.

Quali le cause della malagiustizia? Chi la frequenta quotidianamente, le vive sulla propria pelle, le critica costantemente e in modo propositivo, conosce bene i motivi.

Il primo è la pessima amministrazione della giustizia. La giustizia non può essere amministrata da giudici che nulla sanno di governante. Quei pochi giudici che l’hanno saputo fare con eccellenti capacità (tra i pochi esempi, Barbuto a Torino) ha dato il nome appunto ad un modello di efficienza (c.d. Barbuto), dimostrando che avere una giustizia celere e di qualità è possibile. Sarebbe interessante sapere perché non sia stato chiamato al Ministero della Giustizia, ad insegnare a tutti come si governano i tribunali.

In ciò si inserisce certo uno scarso afflusso di risorse finanziarie, irragionevole e illogico per almeno due motivi. Da un lato le risorse che entrano come “spese per il processo” non vengono destinate alla Giustizia se non in parte; dall’altro questo Stato ridicolo preferisce spendere decine di milioni ogni anno per indennizzi ex lege Pinto (durata eccessiva dei processi) invece di ristrutturare la giustizia!

Affrontare solo questo profilo significherebbe risolvere il 60% dei mali della giustizia.

Il secondo, anche conseguente al primo, è rendere efficienti i giudici. Chi frequenta le aule di giustizia sa bene che nel civile i giudici tengono udienza 3 volte a settimana (perché?), spariscono alle 12,30/13 (perché?), non hanno praticamente vincoli di orario (perché?), non hanno termini perentori (perché?), non rispondono mai dei propri errori (perché?), rinviano le cause a proprio piacimento e senza nemmeno avvisare le parti (perché?).

L’elenco potrebbe essere infinito.

Il terzo, importante, è un sistema processuale dispendioso, incerto, inefficiente. Il legislatore invece di riformarlo definitivamente lo tampona, lo modifica ogni 2/3 anni, lo rappezza. Dunque lo peggiora.

Il quarto motivo, è certo l’abuso del processo che è imputabile: a) all’eccesso di litigiosità degli italiani, per “cultura” e soprattutto per la stessa inefficienza della pubblica amministrazione e a causa dell’incertezza del diritto (legislazione e giurisprudenza sfarfallante); b) anche all’eccesso del numero di avvocati, che invece di calmierare (facendo emergere i migliori o i più motivati) il Monti style ha deciso di “liberalizzare” distruggendone i principi fondanti. In realtà occorre sottolinearlo, gli avvocati più che sobillare le cause, fanno aprire gli occhi ai soggetti deboli. E in ogni caso non incidono sulla lunghezza del processo (la gestione è del giudice), che anzi subiscono spesso protestando.

Quindi invece di dotarsi della medicina per risolvere il male grave, si persiste a lamentarsi. Inutilmente.



L’avvocato non può difendere gratis
di Guglielmo Saporito 25 aprile 2017

http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e- ... m=facebook

Non esistono liti giudiziarie dall’esito scontato.
Ad affermarlo è il Tar Milano (sentenza 19 aprile 2017 n. 902) risolvendo un conflitto tra avvocati che si contendevano l’incarico di un Comune. L’ente locale doveva riscuotere una somma di danaro, e aveva invitato più legali a formulare un’offerta per ottenere l’incarico di difesa, offerta da esaminare con il criterio “prezzo più basso”. L’offerta più conveniente era risultata quella di un legale che chiedeva, come corrispettivo, il solo pagamento delle spese “vive”.
La lite sarebbe costata al Comune il solo importo del contributo unificato che l’avvocato avrebbe dovuto versare allo Stato.

L’esiguità dell’offerta non ha convinto un altro legale, che si è rivolto al Tar contestando la motivazione addotta dal collega per motivare l’assenza di retribuzione: il vincitore della gara affermava infatti di avere «certezza della vittoria processuale» e, quindi, prevedeva una favorevole liquidazione delle spese da parte del giudice ed a carico della parte sconfitta (articoli 91- 93 del Codice di procedura civile). Questa era la motivazione della gratuità del servizio legale offerto al Comune iniziando gratis la causa, gratuità quindi solo apparente, perché la prevista condanna dell’avversario al pagamento delle spese di lite avrebbe avvantaggiato il professionista che aveva solo iniziato gratis la causa.

Il ragionamento non è stato condiviso dal Tar, che ha applicato alla gara dell’ente locale i criteri degli appalti pubblici, escludendo le offerte antieconomiche (anomale) perché prevedibilmente dannosa per l’ente locale, sotto l’aspetto della qualità della prestazione (da presumersi effettuata al risparmio).
Anche se le tariffe professionali sono venute meno con la riforma Bersani , rimangono in vigore i criteri generali relativi all’anomalia di offerte di importo ingiustificatamente basso.
La gara è stata annullata perché non vi erano «ragioni peculiari per le quali la prestazione professionista intellettuale potesse essere di fatto gratuita».
I giudici non hanno poi condiviso la possibilità che il legale ottenesse comunque un importo economico, attraverso il previsto provvedimento del giudice che, concludendo la lite, ponesse a carico della parte avversaria (se sconfitta) le spese di lite.
Osserva infatti il Tar che ogni azione giurisdizionale ha inevitabilmente un margine più o meno ampio di incertezza.

Quindi, niente gratuità della prestazione né previsione di esser soddisfatti a carico dell’avversario. In altri casi, i giudici amministrativi hanno ammesso (Consiglio di Stato, 2455/2006) prestazioni legali gratuite, ma in un contesto di assoluta accessorietà ad importanti (e remunerati) lavori pubblici (nel caso specifico, di ristrutturazione edifici e vendita della ex borsa merci di Firenze).
La temporanea gratuità e il pagamento differito ad eventi futuri, è oggetto di una recente integrazione al codice degli appalti (50/ 2016), perché la legge in corso di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale vieta (articolo 14) alle stazioni appaltanti di subordinare la corresponsione del corrispettivo per servizi di architettura e di ingegneria all’ottenimento del finanziamento dell’opera.



QUEL PORTO DELLE NEBBIE di EUGENIO SCALFARI
17 marzo 1996

http://ricerca.repubblica.it/repubblica ... ebbie.html

FA BENE il procuratore-capo di Roma, Coiro, a difendere il suo ufficio, la sua Procura contro attacchi indiscriminati e sospetti generalizzati. In parte quella difesa è un atto dovuto perché un capo, fino a prova del contrario, deve dar fiducia ai suoi collaboratori, molti dei quali impegnati in inchieste delicate e complesse che non potrebbero esser condotte a termine da magistrati frustrati e non credibili; ma soprattutto è vero - e risulta in concreto dai comportamenti di molti di quei magistrati - che la Procura di Roma guidata da Coiro è molto diversa da quel "porto delle nebbie" di infausta memoria che per anni ed anzi per decenni abbiamo conosciuto.

Ma il "porto delle nebbie" non è stato un' invenzione giornalistica né, tantomeno, una trovata lessicale dei savonarola arroccati a Milano nel "pool" di Mani pulite. Bisognerà scriverla prima o poi la storia di quel "porto" e Coiro potrebbe esserne una delle fonti principali perché per lunghissimo tempo pagò di persona, vittima d' un ostracismo tenace, il suo rifiuto di conformarsi al "rito romano" prevalente nel ventennio degli anni Settanta-Ottanta.
Si fa un gran parlare da tre anni a questa parte della politicizzazione faziosa dei magistrati del Pubblico Ministero che scoperchiarono le fogne di Tangentopoli e a furia di lanciare contro di essi accuse e vere e proprie campagne di delegittimazione quello slogan ha finito per far breccia e quasi per diventare una verità in tutto quel vasto settore della pubblica opinione che si riconosce nella leadership di Silvio Berlusconi e nei suoi alleati. Ma non si è mai sentito dire con la stessa veemenza che se c' è stato un macroscopico fenomeno di politicizzazione durato a dir poco vent' anni e con effetti giudiziari rilevantissimi, esso nacque nella Procura, nell' ufficio Istruzione ed anche in alcune sezioni giudicanti del Tribunale e della Corte d' appello di Roma, in stretto raccordo con la prima sezione della Corte di Cassazione.

La funzione che quei magistrati esercitarono si potrebbe definire come quella degli "alani" del potere: cani da guardia non già delle istituzioni e dell' amministrazione imparziale e rigorosa della giustizia, ma degli interessi personali e di gruppo di chi quelle istituzioni aveva occupato e da quelle posizioni democraticamente raggiunte aveva derivato gli strumenti per costruire un meccanismo di inamovibilità e di impunità.

L' IMPUNITA' era la condizione principale dell' inamovibilità; di qui il controllo diretto dell' azione penale e la pratica diffusa dell' aggiustamento dei processi; in una parola l' influenza politica sulla giurisdizione: a questo servivano gli "alani" e questo fecero.

Del resto Coiro lo sa benissimo per averne fatta diretta esperienza e per aver tentato di ribellarsi all' inquinamento diffuso e prolungato, e con lui lo sanno molti sostituti procuratori e moltissimi magistrati del Tribunale romano che non esitarono a denunciare anche pubblicamente quell' intollerabile stato di cose. Chi parla ora di politicizzazione dei magistrati di Mani pulite farebbe bene a documentarsi meglio su quanto accadde a Roma, e non solo a Roma ma a Palermo, a Napoli e in alcuni settori della stessa magistratura milanese prima che il ciclone di Mani pulite sconvolgesse equilibri collaudati e saldissimi. E se quel ciclone, che ha avuto certo aspetti anche inquietanti e meritevoli di critiche che dal canto nostro non abbiamo risparmiato, è partito così in ritardo rispetto ad una prassi criminosa in atto da tempo, gli "alani" della magistratura ne portano diretta e personale responsabilità, come la storia di molte inchieste importanti insegna ampiamente. Basterebbe il nome di Carmelo Spagnolo, per lunghi anni potentissimo capo della Procura romana, a dare il tono e il senso di come il "porto delle nebbie" fu pensato e costruito. Michele Sindona e i suoi protettori politici erano tra i suoi referenti principali. Si erano costituiti in quel periodo - parliamo sempre del ventennio Settanta-Ottanta - due gruppi di potere di rilevantissima forza, che avevano come massimi referenti politici Giulio Andreotti e Bettino Craxi e addentellati robusti nei principali uffici giudiziari. La tecnica usata con frequenza dagli "alani" era quella dell' avocazione delle inchieste nate in altre Procure o a ridosso delle Commissioni parlamentari d' inchiesta quando esse venivano insediate per far luce sugli scandali di maggior rilievo. Per avocare, talvolta s' invocava la competenza territoriale assorbente di Roma in quanto centro dello Stato, ma più spesso l' avocazione veniva proposta e ottenuta - quasi sempre con il "placet" della Suprema Corte - rilanciando la pubblica accusa con un reato di maggior gravità di quello contestato in origine da altre Procure. Laddove si ipotizzava un reato di corruzione Roma rilanciava con ipotesi di concussione; laddove il reato riguardava imputati e circostanze ben definite Roma rilanciava contestando l' associazione per delinquere; laddove si era partiti dall' appropriazione indebita Roma proponeva il peculato e così via. Ma procura e ufficio Istruzione di Roma non si limitavano ad avocare per poi seppellire e infine archiviare: prendevano iniziative per ridurre alla ragione chi tentasse di rompere l' equilibrio costituito. Oltre agli "alani" da guardia c' erano anche i "dobermann" di attacco. Da questo punto di vista fu esemplare l' azione penale intrapresa contro la Vigilanza della Banca d' Italia, colpevole d' aver esercitato i suoi doveri ispettivi nei confronti di Roberto Calvi e del suo Banco Ambrosiano, di non avere accettato il piano di salvataggio di Sindona, d' aver portato in luce le malefatte dell' Italcasse. Problemi grossi, intrecci perversi tra affari e politica che furono "regolati" con l' arresto di Sarcinelli e con l' incriminazione del governatore Baffi sottoposto all' oltraggio del ritiro del passaporto: una ferita ancora aperta nella coscienza civile del paese, verificatasi quando imperavano negli uffici giudiziari romani magistrati dello spicco e della natura di Claudio Vitalone e Alibrandi. I due gruppi di potere spesso si fronteggiavano e battagliavano l' un contro l' altro, ma altre volte erano accomunati dal prominente interesse di "richiamo all' ordine", cioè dal fine di impedire che una giurisdizione imparziale andasse a cercare la verità. Il percorso politico degli "alani" è stato, dopo di allora, univoco: caduti Andreotti e Craxi, il punto di riferimento diventò il Cossiga degli ultimi due anni del settennato presidenziale e poi, trascorso anche quel periodo, Berlusconi e infine negli ultimi tempi l' astro nascente di Gianfranco Fini nonostante i suoi "trascorsi" di difensore di Mani Pulite. Non è questo del resto l' identico percorso di molti intellettuali che da posizioni di sinistra - e talvolta di estrema sinistra - hanno seguito la stessa strada e toccato le medesime stazioni? Craxi, Cossiga, Berlusconi, Fini: molti nomi sonanti e molte candidature elettorali dell' ultim' ora stanno a dimostrarlo. Noi non sappiamo se il giudice Squillante, oggi imputato dalle procure di Milano e di Perugia, sia colpevole dei gravi reati che gli vengono ascritti. La presunzione d' innocenza gioca per ora, anche per noi, in suo favore. Sappiamo però storicamente che di quel gruppo di "alani" egli faceva organicamente parte e che anche lui seguì lo stesso e assai battuto percorso che dall' obbedienza craxiana conduce fino a Berlusconi e Fini con relative offerte di candidatura. Tutto ciò è storia e non "pochade" come ama definirla il leader di Forza Italia. Storia dolente e oscura d' un paese umiliato, di istituzioni inquinate e di giurisdizione deviata. Può darsi che gli indizi raccolti dalla procura di Milano siano insufficienti; può darsi che le testimonianze a carico siano labili. Si vedrà. Ma la storia politica di vent' anni di giurisdizione romana è quella che abbiamo qui delineato. Il procuratore Coiro lo sa. Se volesse fornire oggi, assieme alla giusta difesa dell' opera sua, anche la sua preziosa testimonianza su quel "porto delle nebbie" nel quale lui stesso rischiò di soffocare, renderebbe al paese un grande servigio.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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