Casta ogneversedara e i baroni

Casta ogneversedara e i baroni

Messaggioda Berto » sab dic 21, 2013 10:09 pm

Casta ogneversedara e i baroni
viewtopic.php?f=22&t=231
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Casta ogneversedara

Messaggioda Berto » gio gen 09, 2014 7:56 am

Università italiana, un pachiderma che si mangia miliardi di euro

http://www.lindipendenza.com/universita ... di-di-euro


di ALESSANDRO SCOLARI

Finalmente gli abitanti di questo paesecominciano a scendere in strada, a far capire che la crisi ha messo in ginocchio quasi tutti, a gridare ad alta voce POLITICI TUTTI A CASA. In testa dal nostro punto di vista “devono esserci” i giovani, i NEET,quelli che non hanno un lavoro, non studiano, non stanno imparando un lavoro. In Italia sono 2,5 milioni, dicono le stime. A questi, aggiungiamo noi, devono unirsi un milione settecentocinquantaseimilacinquecentoventisei, 1.756.526, studenti universitari della penisola. I dati che riportiamo sono quelli presi dalla guida pubblicata da Alpha Test, QUALE UNIVERSITA’, anno accademico 2013/2014. Se facciamo bene i conti sono OLTRE 4 I MILIONI DI GIOVANI a cui ci sentiamo di appellarci perchè scendano in piazza, in strada, con il movimento del 9 dicembre, ma anche oltre. Questo articolo ha l’obiettivo di informare gli studenti universitari su “alcune ragioni” per noi forti che in Italia oggi non funzionano.

Il Sistema delle Università in Italia ha 157 tipologie di lauree, cioè percorsi di studio che i giovani possono scegliere dopo aver conseguito il “diploma di maturità”. Gli Atenei con una sede fisica(esistono anche le università telematiche, via internet)sono 30 nelle regioni del Nord, dall’Emilia Romagna in su, 26 in quelle del Centro, 24 gli Atenei nelle sedi del Meridione. Al Centro e nel Meridione ci sono quasi tutte quelle che telematiche. I 157 percorsi di studio si moltiplicano in 5960 corsi di studio effettivi in tutti gli Atenei, dando lavoro a oltre 110 mila insegnanti universitari, rigorosamente suddivisi in quattro tipi di contratti. Molti autori, essi stessi professori all’Università, da anni mettono in evidenza l’esistenza di un fenomeno chiamato baronaggio. Essere insegnanti all’Università non è solo questione di insegnare, studiare e ricercare per fare nuove ricerche scientifiche, ma si tratta anche di gestire i finanziamenti pubblici, organizzare concorsi pubblici attraverso cui “selezionare” i nuovi insegnanti, prendere decisioni come: quali corsi organizzare? Cosa offrire ai giovani che vogliono studiare per costruire la loro vita futura? E tante altri aspetti di cui si potrebbe parlare,ma il più importante che non vogliamo tralasciare è quello di una rigida gerarchia di ruoli. L’Università oggi è soprattutto un elefante burocratico dove valgono molte delle regole feudali. Chi ci insegna può farlo con 4 diversi tipi di contratto, ma il lavoro è sempre lo stesso: insegnare nuove cose ai giovani, formarli. I 4 tipi di contratto somigliano a 4 classi sociali, passare da una all’altra è…difficilino. Figuriamoci come può essere per i giovani! I 4 contratti sono: Professore Ordinario o l’equivalente Straordinario, Professore Associato, Ricercatore, Professore a contratto. L’ordine è dato in base all’importanza, alle responsabilità(potere?), possibilità di fare e far fare carriera ad altri e, non ultimo, in base a quanti soldi s guadagnano a fine mese. Da svariate migliaia di euro al mese, a poco più di mille, netti, a carico del Bilancio di Roma. Ora il problema che poniamo è questo. Un PACHIDERMA BUROCRATICO che costa alle casse pubbliche oltre 7 miliardi di euro annui, ha pensato ai giovani o ha dovuto dare lavoro agli insegnanti universitari?

Vediamo più nel dettaglio i “numeri” di personale con contratto a tempo indeterminato dell’Università. Nel 2008/2009 c’erano 18965 professori ordinari, 18282 professori associati, 24438 ricercatori, più 50 mila(circa)insegnanti a contratto. La spesa complessiva per i loro stipendi copre quasi per intero i 7 miliardi citati sopra. I mali dell’Università non sono solo questi certo, ma è cominciando a contestare questi numeri, queste regole che i giovani di oggi, disoccupati, studenti o altro che siano, possono sperare di avere un futuro indipendente, autodeterminato.I frutti di libertà e pace: considerazioni su alcune realtà accademiche americane
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Casta ogneversedara e i baroni

Messaggioda Berto » dom mar 27, 2016 8:04 am

http://www.lindipendenza.com/i-frutti-d ... -americane


di PAOLO L. BERNARDINI

Dalla prospettiva privilegiata da cui guardo il mondo ora – sto aiutando a costruire una piccola università d’eccellenza nell’Asia centrale – e lieto di poter contribuire alla celebrazione dei due anni di vita de “L’indipendenza”, vorrei soffermarmi brevemente su alcuni dati, non sempre noti abbastanza al mondo italiano (o europeo in generale). Come ogni anno, nel 2013 il giornale americano di larga diffusione USNEWS ha pubblicato la statistica dei migliori atenei a stelle e strisce, con i soliti nomi noti e qualche outsider che meritoriamente si piazza nei primi venti o primi cento. Sono lieto ad esempio che un’università cui sono molto legato, Notre Dame nell’Indiana, sia collocata al 18° posto. Ma anche altre università di cui conservo felice ricordo, e dove ho lavorato in anni remoti, come Brown, sono eccellentemente collocate. Ora, io sono convinto che sottratte alla maledizione dello stato le università italiane potrebbero rinascere comela Feniceda un mare di cenere, visto il serbatoio di talenti che ancora offrono al mondo. Processo lungo, ma che auspico ex imo corde, una volta che il Veneto, ad esempio, ola Sardegna, saranno divenuti indipendenti.

Ma tra i tanti aspetti che colpiscono confrontandoci con una situazione cotanto diversa, vorrei soffermarmi su di uno solo, il concetto di “endowment” di “dotazione economica”, e lo faccio in riferimento a Harvard, al secondo posto dopo Princeton nella classifica di USNEWS, e quella dotata, per dir così, di maggior dote, o se vogliamo, semplicemente, superdotata! Parlo di Harvard perché di recente alcuni commentatori dell’Università di Padova, riferendosi ad un articolo di ROARS, hanno fatto notare come da sola Harvard spenda in ricerca in un anno il 44% di quanto spendono tutti i settanta e passa atenei italiani. (VEDI QUI)

Ora, ovviamente le cifre di Harvard sono in ogni caso da capogiro, e verrebbe anche da chiedersi perché si sia scelto un solo parametro per una comparazione impietosa, ma è già bene farle, perché tutte le università italiane – o piuttosto tutta l’Italia “officiale” – ama evitare le comparazioni, “nemo miser nisi comparatus” diceva Seneca ma il mondo è globale e le conoscenze girano velocissime e spesso precise, tanto che agli scrittori come me, quando scrivo per questo giornale o altri, non resta che captarle, presentarle, commentarle, e trarne le dovute conseguenze senza tanta fatica.

Orbene, per chi voglia avere una visione sinottica dell’ateneo di Cambridge (MA), ecco quello che USNEWS fornisce: (VEDI QUI). Come si noterà, la dotazione di Harvard è di circa 30 miliardi di dollari. Molte università americane sono state colpite dal ciclone Madoff, e hanno perso molto fidandosi del finanziere. Non so Harvard. Ma altre si sono ottimamente riprese. Ora, per noi poveri mortali che quando andiamo al bancomat siamo terrorizzati dopo aver premuto la parola “saldo”, suonerà singolare che il presidente di Harvard vada al bancomat e si trovi la cifra di 30 miliardi di attivo. Anche se non tutto è in “cash”, ovviamente. Al che, ed anche per rispondere ai critici di ROARS e agli straniti giornalisti di Padova (ve ne accorgete adesso?), vorrei proporre le considerazioni che seguono.

Nel bene e nel male, ma soprattutto nel bene, Harvard è istituzione a. privata; b. centenaria, in quanto fondata da pochi volenterosi nel 1636.
Harvard non è mai stata soggetta a guerre, invasa, depredata. Accumula fama e ricchezza dal 1636, ma da notare che tale dotazione è un “by-product”, ovvero Harvard è privata, ma non è una società che debba produrre ricchezza, è not-for-profit. Produce sapere.
Da questo consegue che tutti i teorici del bene della guerra (e quindi dello Stato) per l’economia dovrebbero, ad esser teneri, suicidarsi subito. Se lasciate alla loro pacifica vita, famiglie, istituzioni, dinastie, e quant’altro possono prosperare nei secoli, anche se il loro scopo non è l’aumento della ricchezza, o la creazione di profitti: se mai contribuiscono a “intangible assets” del mondo, oltre ovviamente a costruire ricchezza con brevetti, tecnologie, scoperte, e quant’altro. Ci sono anche stati che hanno accumulato ricchezze nei secoli, comela Svizzera, ma per fortuna tali ricchezze sono soprattutto private; altri stati, comela Norvegia, o comela Scoziache verrà, mettono insieme fondi di emergenza nazionale, hanno insomma fondi di vario tipo per il futuro. Ma la ricchezza degli Stati, tesori o tesoretti, è sempre e solo frutta della fiscalità, una rapina che può essere moderata e accettabile, o mostruosa, come in Italia, e inaccettabile: oltretutto, non contribuisce, in Italia, alla creazione di nessun fondo o tesoretto stile norvegese, ma solo ad arricchire miserabili nullafacenti, come sappiamo bene.

Con questo, sono ben lungi dal venerare il modello americano, sia chiaro. Condivido le critiche alla dilagante “political correctness” nei campus – Harvard compresa – dove sono pochi i pensatori liberali classici, e gli umanisti amano farsi cuocere nel calderone variopinto del marxismo mal digerito, fa chic e assicura carriere. Condivido ad esempio le critiche di Alan Charles Kors, docente alla University of Pennsylvania, espresse in The Shadow University: The Betrayal of Liberty on America’s Campuses, già nel 1998. Sono rimasto poi annichilito dalla lettura di un libro più recente, The Third Reich in the Ivory Tower, di Stephen Norwood, del 2009, che racconta di quanti elogi ottenessero i nazisti da parte dei dirigenti e di alcuni accademici nelle più prestigiose università americane. Ciechi o furbi?

Certamente, fa piacere sapere che i 30 miliardi di dollari della dote di Harvard non sono che una parte minima della ricchezza che Harvard ha dato al mondo, e continua a dare, e senz’altro NON sono il suo prodotto più importante. Se il mondo non avesse conosciuto guerre dal 1636, quanta ricchezza avremmo noi? Meglio non pensarci. Se il mondo non avesse mai conosciuto Stati, ognuno di noi sarebbe un piccolo Creso. I terremoti, le sciagure, le inondazioni, messe tutte insieme, nella storia umana, non hanno mai creato che una frazione minima del disastro che gli Stati – da scrivere con S maiuscolo, come le SS che ne hanno rappresentato storicamente uno dei migliori prodotti – ci hanno costretto a subire, sottraendoci di volta in volta vita e ricchezza.

Harvard non è mai stata invasa, e non ha mai fatto guerre. Dal 1636. Auguriamoci che continui a non esserlo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Casta ogneversedara e i baroni

Messaggioda Berto » dom mar 27, 2016 8:24 am

L’università è dominata dai baroni? No - Il Fatto Quotidiano
Fabio Sabatini
Ricercatore in Economia politica
19 marzo 2015

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/03 ... no/1516424

Da qualche giorno è molto popolare sui social un’intervista dal titolo: “Università, altro che merito. E’ tutto truccato” pubblicata su l’Espresso. L’intervistato è Matteo Fini, ricercatore in “Metodi quantitativi per l’economia”, che ha scritto un libro sui mali dell’università. Il giornalista de l’Espresso lascia intendere che il libro sia talmente scomodo che qualcuno ne sta osteggiando la pubblicazione, al punto che non si sa se lo scandaloso testo vedrà mai la luce.

Premesso che il libro – di cui pare si trovino alcuni stralci solo su Facebook – potrebbe essere ben altra cosa, l’intervista disegna un ritratto caricaturale e superficiale dell’università italiana del quale è bene diffidare. Vediamo perché.

Il pezzo inizia descrivendo l’accesso all’università. Un professore che ti coopta in un dottorato e l’ingresso in un sistema “che non puoi cambiare, immutabile”, in cui sai “che la tua carriera è totalmente indipendente da quello che dici o che fai: conta solamente che qualcuno voglia spingerti avanti”.

Certamente esistono atenei e settori in cui funziona così. Certamente ne esistono altri in cui la possibilità di fare carriera indipendentemente dal merito, da “quello che fai”, è sempre più rara. In economia politica, materia assai vicina alle competenze dell’intervistato (che dunque dovrebbe conoscerne le pratiche), “quello che fai” conta più di ogni altra cosa. La ricerca insomma. Se non fai ricerca e non mostri di saper contribuire al dibattito scientifico internazionale, la carriera per te sarà molto difficile.

Naturalmente esistono ancora casi di concorsi pilotati. Ma siamo sicuri che facciano parte di un sistema che non si può cambiare? Sì che si può, e le esperienze di SECS in the Cities che abbiamo raccontato qui sul mio blog su ilfattoquoidiano.it lo hanno dimostrato.

Esistono nuove generazioni di ricercatori precari e non, e soprattutto di professori, che non hanno alcuna intenzione di perpetuare le pratiche medievali descritte nell’articolo, e che gestiscono la didattica, la ricerca e il reclutamento nella più totale trasparenza. Insomma no, il “sistema” non è granitico né immutabile.

L’autore però rincara la dose. Dichiara di aver avuto un protettore che, dopo averlo sfruttato fino all’osso, è scomparso improvvisamente. Così il concorso “che avrei dovuto vincere io” va in fumo. Lo vince qualcun altro. La prima cosa che ci si domanda è: perché quel concorso avrebbe dovuto vincerlo lui? C’era un accordo privato in tal senso? Era un candidato così eccellente che nessun altro avrebbe potuto competere con lui?

Sempre nel virgolettato il ricercatore afferma che quel concorso avrebbe assegnato “il posto a cui lavoravo da otto stagioni”. In che modo si lavora a uno specifico concorso? Nel nostro mestiere per avere la pretesa di vincere un concorso bisogna fare soprattutto una cosa: ricerca. Scrivere, scrivere, scrivere. Presentare i propri lavori a conferenze. E pubblicarli su riviste scientifiche. Erano così tante e buone le pubblicazioni del candidato da giustificare la sensazione che il posto fosse “suo”? Uno sguardo ai suoi profili su ResearchGate e su Ideas, il più importante database online di articoli e working paper di economia e statistica, suggerisce il contrario.

Dalla sua esperienza specifica, l’autore del libro sembra poi trarre conclusioni piuttosto generali: “In Italia, prima si sceglie un vincitore e poi si bandisce un concorso su misura per farlo vincere. Anche per un semplice assegno di ricerca. All’università è tutto truccato”. Allora, intendiamoci: questo succede, certo che succede, e non lo denunceremo mai abbastanza. I lettori di questo blog sanno che denunciare i casi in cui prima si sceglie un vincitore e poi si bandisce un concorso su misura è stata a lungo un’occupazione importante per me e alcuni coraggiosi compagni di viaggio. Ma che sia tutto truccato è falso.

Nell’intervista si offre un racconto dettagliato di un concorso per borse di studio che Fini ha perduto contro candidati appena laureati ed evidentemente meno titolati di lui, già in possesso, invece, del titolo di dottore di ricerca. Non stento a credere che il caso specifico sia stato scandaloso, ma in linea di principio che una borsa di studio non venga assegnata al candidato con più titoli è assolutamente normale, ed è sbagliato farne oggetto di scandalo a beneficio dei media. Le borse di studio e gli assegni di ricerca – non i concorsi da ricercatore, si badi bene – servono – allo svolgimento di progetti specifici, per i quali sono inevitabilmente richieste competenze specifiche. Se ho bisogno della collaborazione di uno statistico che svolga un certo tipo di analisi dei dati, è necessario che assegni la borsa a chi sa fare quel tipo di analisi, anche se è “soltanto” laureato, anziché a un dottore di ricerca che magari sa fare solo analisi di tipo completamente diverso.

È ora di smetterla di piangersi addosso e di raccontare al pubblico che l’università è un fortino inespugnabile militarmente occupato dai baroni e dalle loro legioni di portaborse. Esiste una quota sempre più ampia di accademici che fanno le cose per bene, che vincono fondi di ricerca internazionali, che partecipano al dibattito scientifico internazionale con ricerche di altissimo livello, che pubblicano sulle più importanti riviste del mondo, e che selezionano le nuove leve di ricercatori solo in base al merito. Che non sfruttano dottorandi e assegnisti per la didattica e che mettono a disposizione il loro materiale didattico gratuitamente, anziché lucrarci sopra con la complicità di case editrici compiacenti. Non so se tale quota di bravi docenti comprenda il dieci, il cinquanta, o l’ottanta per cento degli accademici italiani. So però che sono questi i docenti che vanno presi come punto di riferimento da chi voglia iniziare la carriera accademica.

I giovani ricercatori devono sapere che non è inevitabile diventare servi della gleba, “prendere o lasciare” come suggerisce Fini. Si può scegliere, invece, tra due modi di fare carriera. Servire fedelmente un protettore, e rimanerne schiavo tutta la vita nella speranza che questi abbia un giorno la voglia e il potere di ricambiare la fedeltà con l’assegnazione di un posto pubblico. Questo modo non solo non è onesto ma è anche più rischioso, perché i soldi – e i posti, di conseguenza – sono sempre meno, e il protettore nella maggior parte dei casi non ha il potere che millanta di avere. Millanta perché ne ha bisogno, perché è l’unico modo di ottenere servizi (didattica, ricerca, commissioni varie) a costo zero da giovani ricercatori precari e vulnerabili. Di solito dopo un po’ di tempo (e di lavoro gratuito) tali protettori scompaiono nel nulla lasciando l’allievo in mutande, come mostra l’esperienza di Fini.

Oppure si può scegliere un’alternativa meno rischiosa, forse più faticosa ma foriera di qualche soddisfazione. Cercare il proprio supervisor tra i tanti accademici corretti che non sfruttano i loro allievi e che, invece, sono in grado di insegnare come si partecipa al dibattito scientifico internazionale. Senza aspettarsi di essere premiati con la manipolazione di un concorso pubblico a proprio favore. Il premio sarà, invece, un cv più ricco, col quale ci si costruirà una reputazione internazionale e si potrà partecipare con qualche speranza di vincere a più di un concorso. Di accademici che si sono formati così ne conosco tanti. Non perché sia particolarmente selettivo nelle amicizie, ma perché sono proprio tanti.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Casta ogneversedara e i baroni

Messaggioda Berto » dom mar 27, 2016 8:25 am

I baroni regnano sull'università
Raccomandazioni, scambi di favori, meriti negati, titoli ignorati. 
Il concorsone per scegliere i professori 
è sommerso di ricorsi. Il consiglio di stato ha accolto le proteste di un bocciato e potrebbe annullare l’intera tornata di nomine. Ecco come naufragano gli atenei italiani
di Emiliano Fittipaldi

12 maggio 2014

http://espresso.repubblica.it/inchieste ... a-1.164632

Ah porci!”, esclamò Perpetua. “Ah baroni!”, esclamò don Abbondio». I lanzichenecchi che distrussero la Lombardia nel 1630 Alessandro Manzoni li chiama proprio così, «baroni». Dal latino “baro - baronis”, termine che, dice la Treccani, indicava “il briccone, il farabutto, il furfante”. I mammasantissima delle nostre facoltà non hanno portato la peste come i soldati tedeschi che assediarono Mantova, ma di certo il loro dominio incontrastato ha contribuito a devastare l’università italiana. Dove, al netto delle eccellenze e dei tanti onesti, è sempre più diffuso il morbo del familismo, della raccomandazione e del corporativismo, a scapito del merito, delle capacità dei più bravi, della fatica dei volenterosi.

Per i baroni la strada maestra per mantenere il potere e gestire il reclutamento è, ovviamente, quella di controllare i concorsi. Come dimostra l’inchiesta “Do ut des” della procura di Bari, che sta indagando per associazione a delinquere decine di professori di diritto costituzionale: «Carissimo, consegno un’umile richiesta al pizzino telematico. Ti chiederei il voto per me a Roma... sono poi interessato a due concorsi di fascia due, d’intesa con Giorgio che ha altri interessi. Scusa per la sintesi brutale, ma meglio essere franchi. A buon rendere. Grazie», si legge in una mail che il bocconiano Giuseppe Franco Ferrari ha mandato qualche anno fa a un collega, missiva ora al vaglio della Guardia di Finanza.

SENZA DIRITTO
La riforma Gelmini varata nel 2010 doveva mettere fine agli scandali e modernizzare finalmente gli italici atenei, da tempo in coda a ogni classifica delle eccellenze europee. Ahinoi, non sembra essere andata come si sperava. La nuova abilitazione scientifica nazionale (che ha da poco chiuso la tornata del 2012: i promossi a professori di prima e seconda fascia sono quasi 24 mila, i bocciati circa 35 mila) è stata un flop colossale. Nonostante un costo stimato superiore ai 120 milioni di euro, il concorso ha generato proteste a catena, incredibili favoritismi, migliaia di ricorsi al Tar e - come risulta a “l’Espresso” - anche i primi esposti mandati alle procure.

La lista di presunti abusi basta leggere le accuse che arrivano da ricercatori esclusi, docenti e persino premi Nobel - è impressionante: se in qualche caso sono stati promossi candidati che vantano solo dieci citazioni (in articoli e pubblicazioni varie) a discapito di altri che ne hanno oltre seicento, tre commissari di Storia medioevale avrebbero truccato i propri curriculum attribuendosi monografie mai scritte pur di far parte della “giuria”. A Storia economica, invece, sono stati esclusi specialisti apprezzati in tutto il mondo, ma privi evidentemente dei giusti agganci: un gruppo di dodici studiosi stranieri, tra cui un Nobel, hanno così spedito al ministro Stefania Giannini una lettera indignata in cui si dicono «inquietati» dall’esito delle selezioni. I casi sono decine: da archeologia a biochimica, da architettura a chirurgia, passando per storia economica e latino, quasi in ogni settore sono stati denunciati giudizi incoerenti e comportamenti al limite dell’etica. Che spesso nascondono, sussurrano i ricercatori frustrati, la volontà dei baroni di cooptare, al di là delle reali capacità dei singoli, i predestinati e gli “insider”, cioè i candidati già strutturati nelle facoltà.

Andiamo con ordine, partendo dal concorso di Diritto privato. L’abilitazione è finita sulle pagine di cronaca perché il commissario straniero (il membro Ocse è una delle novità più rilevanti della riforma) parlava solo spagnolo. Come abbia fatto Josè Miguel Embid a leggere e valutare i complessi tomi di diritto prodotti dai candidati è un mistero. “La conoscenza della lingua italiana”, ha spiegato in una nota il ministero dell’Istruzione, “non è prevista dalla legge”. I giudici del Consiglio di Stato si sono però fatti beffe delle giustificazione, hanno accolto un ricorso sul merito e sospeso tutto.

Le stranezze non si contano. Se il commissario Maria Rosaria Rossi, ordinaria a Perugia, prima di essere sorteggiata componente della commissione aveva annunciato di voler sabotare la riforma Gelmini («a chi lavora nell’università spetta ora il compito di operare interstizialmente tra le pieghe della legge e oltre la legge stessa e sperimentare pratiche quotidiane di sabotaggio dell’ideologia che la sostiene», ha ragionato carbonara sul “Manifesto”), il ricercatore napoletano Andrea Lepore è stato promosso anche se il giudizio scritto, inizialmente, sembrava ipotizzare ben altro epilogo: «La qualità della produzione è limitata sotto il profilo dell’originalità e dell’innovatività, nonché per il rigore metodologico... Si rinvengono, tra l’altro, ampie frasi riprodotte alla lettera da lavori di altri autori precedentemente pubblicati». Andrea Lepore, in pratica, è accusato di essere un copione. Da promuovere, però, «all’unanimità».

LA RAGNATELA DEI DOCENTI
Francesco Gazzoni, professore della Sapienza e maestro indiscusso della materia (è suo il manuale di Diritto privato più venduto d’Italia), all’abilitazione nazionale ha dedicato un saggio, intitolato “Cooptazioni: ieri e oggi”: «Il potere accademico è una vera e propria piovra mafiosa», si leggeva sulla rivista online “Judicium” prima che l’articolo fosse repentinamente rimosso. «Cooptare, in sé, non è un male, lo diventa quando la scelta avviene, come sempre avviene, in base a criteri che prescindono dal merito... I professori di università sono novelli Caligola, con in più il fatto di promuovere, all’occorrenza, anche asini patentati in difetto di cavalli».

Il luminare fa nomi e cognomi, e se la prende con l’intera commissione di Diritto privato «inidonea a giudicare, essendo priva di autoritas sul piano scientifico». I più bravi, in sintesi, sarebbero stati bocciati perché «non avevano un’adeguata protezione accademica e perché non tutti i commissari erano in grado di leggere e capire i loro titoli». Forse il professore esagera, ma di certo qualche candidato di Diritto privato è stato più fortunato di altri. Come l’avvocato Claudia Irti, che ha scoperto che il presidente della commissione, Salvatore Patti, era stato suo tutor alla tesi di dottorato. Un conflitto di interesse non da poco per il docente, tanto più che è la Irti in persona a rispondere al telefono della sede milanese dello studio Patti: «Sì, sono stata promossa, ma ci tengo a dirle che io non lavoro per il professore. Perché rispondo al telefono del suo studio? È una situazione particolare, a Milano presidio la sede, ma faccio solo da rappresentanza. Il professore si sarebbe dovuto astenere dal giudicarmi? Significa che tutte le persone che collaborano con i membri della commissione non avrebbero dovuto presentare domanda al concorso. Le assicuro che sono tante».

È il sistema, dunque, a permettere che possa accadere di tutto: se Patti, oltre alla Irti, ha potuto valutare i titoli di tre magistrati di Cassazione che potenzialmente possono essere giudici delle sue cause (tutti abilitati), il collega Francesco Prosperi dell’Università di Macerata ha promosso a ordinario il giovane Tommaso Febbrajo, un tempo suo allievo, e figlio dell’ex rettore dell’ateneo dove lo stesso Prosperi insegna.

Non è un caso che il concorso di diritto privato conti già un centinaio di ricorsi al Tar. Un professore associato dell’università di Tor Vergata, Giovanni Bruno, ha già avuto soddisfazione dal Consiglio di Stato. I magistrati hanno accolto alcune censure decisive, tanto che qualcuno ipotizza che l’intero svolgimento dell’abilitazione nazionale sia a rischio: il regolamento ministeriale pubblicato nel 2011 sarebbe illegittimo, perché avrebbe dato alle commissioni un eccesso di discrezionalità nella valutazione dei candidati. Bruno ha pure mandato un esposto alla procura di Roma, accusando Prosperi di non aver partecipato a una delle riunioni in cui si definivano i giudizi: a leggere un programma accademico dell’Università di Macerata, risulta che il 29 novembre 2013 il sociologo abbia partecipato (almeno fino alle 13) a un convegno nelle Marche. Anche un altro candidato trombato, l’avvocato Giuseppe Palazzolo, ha mandato una denuncia ai pm (stavolta a Napoli) in cui chiede il sequestro della piattaforma elettronica usata dai membri della commissione. Già, alcuni candidati avrebbero voluto controllare se i loro giudici hanno davvero letto i loro titoli (mandati in formato elettronico) o abbiano promosso e bocciato alla cieca, senza nemmeno effettuare il download. Il ministero ha rigettato, però, tutte le richieste d’accesso ai tabulati.

«LA CANDIDATA NON È SCEMA»
Nel 1898, in una cronaca del “Corriere della Sera”, si raccontava che il ministro della Pubblica istruzione del governo Pelloux, Guido Baccelli, “impaurito e seccato dagli scandali occorsi nelle commissioni chiamate a giudicare pe’ i concorrenti alle cattedre vacanti d’università, abbia in animo di abbandonare il sistema adottato quest’anno per l’elezione delle commissioni”. Cos’era successo? “Qualche concorrente” spiegava il cronista “non aveva trovato miglior mezzo per riuscire, di domandare la mano di sposa alla figliola di un commissario: il matrimonio si combinava per il dopo concorso; il fidanzato, manco a dirlo, riusciva primo, e festeggiava in un giorno medesimo la cattedra e la moglie”. Dopo centosedici anni e una quindicina di riforme, dopo gli scandali dell’ultimo ventennio (citiamo quelli che travolsero il concorso nazionale del 1993, le inchieste che hanno svelato le appartenenze militari alle cosiddette “scuole” e le tristi vicende dei concorsi locali, dove spesso e volentieri il candidato indigeno vince a mani basse), il legislatore sembra aver toppato anche stavolta. La legge 240, quella della riforma Gelmini, ha sì previsto dei parametri oggettivi che gli aspiranti avrebbero dovuto superare per passare l’esame (le cosiddette “mediane”), ma molti professori hanno deciso come sempre: di testa loro.

In effetti gli studiosi della “Voce.info” hanno scoperto che per i concorrenti con un profilo scientifico più debole “la conoscenza di un membro della commissione ha migliorato significativamente le chance di successo”. A parità di curriculum, per esempio, in Politica economica “gli insider hanno avuto il 14 per cento di probabilità in più” di passare rispetto a coloro che non frequentano gli atenei, una percentuale che sale al 23 per cento in Scienza delle finanze. Polemiche a go-go anche nella macroarea di Archeologia, dove un gruppo di accademici (tra cui Salvatore Settis, Fausto Zevi ed Ermanno Arslan) hanno scritto una lettera in cui prima attaccano «lo strumento mostruoso delle mediane, ridicolo artifizio blibliometrico che rinuncia alla qualità e fa discendere i giudizi delle quantità», poi se la prendono con i colleghi della commissione, che avrebbero aiutato le scuole più forti «privilegiando alcuni candidati, non sempre di evidente alta qualità, e danneggiato altri, con scelte valutative a dir poco opinabili».

«I talenti sono stati bocciati, i “peggiori” sono stati sistematicamente promossi, anche a Latino» ha attaccato l’ordinario perugino Loriano Zurli. Un meccanismo che non solo è amorale ma anche anti-economico, dal momento che il rilancio dell’università e della ricerca sono fondamentali - secondo tutti gli esperti - per la crescita della ricchezza nazionale.

Se il professore di Biochimica Andrea Bellelli definisce «una farsa» il concorso del suo settore e ricorda che «uno dei cinque commissari sorteggiati pare non avesse le mediane», un gruppo di prof e ricercatori dell’associazione Roars (presieduta da Francesco Sylos Labini) ha sottolineato alcune scellerate scelte dell’Anvur che ha considerato “scientifiche” ben 12.865 riviste tra cui spiccano “Alta Padovana” del Comune di Vigonza, “Delitti di carta” specializzata nella giallistica, “L’annuario del liceo di Rovereto”, il mensile della parrocchia di San Domenico, “Cineforum” e “Stalle da latte”.

Ma è capitato di peggio. A Progettazione architettonica i commissari hanno fatto letteralmente a pezzi alcuni candidati pubblicando online giudizi (leggibili da tutti) in bilico tra ironia e insulto. Il professor Giuseppe Ciorra, ordinario all’università di Camerino, bocciando una ricercatrice a Torino scrive, letteralmente, che «la candidata non è scema, ha dimestichezza con la scena internazionale e rivela curiosità in tutte le direzioni... Incoraggiabile ma non recuperabile, temo». Il collega Benedetto Todaro ha definito una collega associata di Napoli, Emma Buondonno, una «candidata sconcertante, che si impegna volenterosamente in lavori completamente privi del necessario acume critico». Ciorra (che arriva a liquidare un esaminando con un definitivo «sparisca, per favore»), sembra assai più gentile quando si tratta di valutare candidati che conosce di persona. Quando è costretto a bocciare la sua ex dottoranda Rita Giovanna Elmo spiega che lo fa «con dolore umano», mentre non si fa specie nel promuovere (il suo sarà l’unico “sì”) Anna Rita Emili, ricercatore in forza alla sua stessa università poi bocciata da tutti gli altri colleghi. La Emili si può consolare, è in ottima compagnia: la commissione ha fatto fuori i migliori progettisti italiani. Anche stavolta qualcuno si è lagnato con la Giannini: l’Associazione italiana di Architettura e critica «manifesta un totale dissenso contro qualsiasi atteggiamento sessista e maschilista della commissione d’esame volto a schernire le ricercatrici. Suggeriamo ai membri della commissione di mostrare anche più rispetto, in futuro, per la grammatica italiana».

Il barone che sbaglia le congiunzioni, in effetti, è davvero troppo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Casta ogneversedara e i baroni

Messaggioda Berto » dom set 25, 2016 9:16 am

Favori agli amici e concorsi truccati - In cattedra finiscono i figli dei prof
La corruzione negli atenei e la denuncia di Cantone: subissati di segnalazioni, è la causa della fuga dei cervelli. Da cinque anni una legge vieta ai parenti di insegnare nella stessa facoltà
di Sergio Rizzo
Milano, 23 settembre 2016

http://www.corriere.it/cronache/16_sett ... 05dc.shtml

La corruzione negli atenei e la denuncia di Cantone: subissati di segnalazioni, è la causa della fuga dei cervelli. Da cinque anni una legge vieta ai parenti di insegnare nella stessa facoltà

Tenevano famiglia. E continuano a tenerla ancora oggi, dopo che una legge dello Stato ha prescritto ben cinque anni fa il divieto ai parenti di insegnare nella stessa facoltà. Il bello è, dice il presidente dell’Autorità anticorruzione, «che si è trovato evidentemente il modo di aggirarla». Tante sono le segnalazioni che gli piovono sul tavolo: «Siamo subissati». Lettere che denunciano anche sospetti di malaffare nei concorsi, puntualmente girate alla Procura della Repubblica. Così numerose da far dire a Raffaele Cantone che «esiste un collegamento enorme fra la fuga dei cervelli e la corruzione».

Strada sbarrata

Del resto, perché un giovane bravo e capace dovrebbe restare in Italia avendo l’opportunità di insegnare all’estero, se sa già che la sua strada sarà sbarrata da un concorso taroccato mentre il figliolo del barone ce l’avrà spianata? Le segnalazioni che arrivano all’Anac sono tutte da verificare, ovvio. Ma l’odore della parentopoli universitaria in barba alle norme è penetrante. E pensare che già dieci anni fa, quando era solo un ufficetto in centro a Roma, e prima che il governo Berlusconi la sopprimesse nella culla, la neonata autorità anticorruzione guidata dall’ex prefetto Achille Serra aveva sfornato un esplosivo dossier sulla scuola universitaria di alta formazione europea Jean Monnet di Caserta. Dove si raccontava che «frequenti rapporti di parentela, affinità o coniugio legano nel 50% dei casi il corpo docente (82 persone) con personalità del mondo politico, forense o accademico».

Un decennio dopo

Quasi un decennio dopo, al convegno dei responsabili amministrativi degli atenei, Cantone racconta che in una università meridionale «è stata istituita una cattedra di Storia greca in una facoltà giuridica e una cattedra di Istituzioni di diritto pubblico in una facoltà letteraria». E che i titolari erano «i figli di due professori delle altre università». Destini incrociati, di cui la storia dell’università italiana offre ampia letteratura. Con gli stessi protagonisti che ne vanno fieri: tanto la cattedra alla discendenza è sempre stata ritenuta non un sopruso, ma un
diritto.

L’«analogia»

Quando scoppia il caso dei familiari di Luigi Frati, rettore della Sapienza di Roma e preside per moltissimi anni della facoltà di Medicina, a chi chiede spiegazioni lui sbatte in faccia una strepitosa metafora: «Quando Cesare Maldini è diventato commissario tecnico della Nazionale, Paolo Maldini non è stato buttato fuori dalla squadra». Peccato che un rettore non sia un allenatore di calcio e che nella squadra della sua facoltà di Medicina non ci sia un familiare, ma tre. Suo figlio cardiologo, sua moglie laureata in Lettere docente di Storia della medicina e sua figlia laureata in Giurisprudenza docente di Medicina legale: di più, nominata dal governo di Enrico Letta nel comitato nazionale di bioetica. Tre Paolo Maldini?

Effetti collaterali

Narrano che questa scintilla inneschi il famoso divieto contenuto nella legge di Mariastella Gelmini. Anche se non ci sono prove. Che quella decisione scateni invece singolari effetti collaterali, invece, è noto. Il Messaggeroracconta che alla vigilia dell’approvazione della norma la dottoressa Paola Rogliati, nuora del preside della facoltà di Medicina di Tor Vergata a Roma, Renato Lauro, diventa professore associato della cattedra di Malattie dell’apparato respiratorio. Sottolineando la circostanza che nella stessa facoltà e nel medesimo dipartimento, riporta l’Ansa, «c’è anche il marito della signora, nonché figlio del preside, David Lauro, professore ordinario di Endocrinologia, cattedra detenuta prima di lui dal padre». Tutto regolare. Ma difficile sostenere che sia normale.

La normalità

Eppure per anni è stata questa la normalità delle cronache giornalistiche. All’Università di Bari c’era il corridoio Tatarano, dove c’erano le stanze del professore di Diritto privato Giovanni Tatarano e dei suoi figli Marco e Maria Chiara. C’era la dinastia dei Massari: nove, per l’esattezza. E dei Girone: cinque, considerando anche il genero. Così a Bari, dove nel saggio L’università truccata Roberto Perotti aveva contato 42 parenti su 176 docenti di Economia. Ma così pure nel resto d’Italia. E le inchieste, da Nord a Sud, non si contano. Anche se quasi tutte finiscono sempre al solito modo: in una bolla di sapone.

Paradosso

La legge, dice Cantone ha ora «istituzionalizzato il sospetto». E Mariastella Gelmini replica che il divieto aveva proprio l’obiettivo di ripulire i concorsi. Resta il fatto che in un Paese normale di una norma del genere non ci sarebbe mai stato il bisogno. Lo ha detto anche Cantone, precisando di non averla «attaccata»: «Ho detto che è un paradosso che ci debba essere una legge che stabilisce un divieto che dovrebbe essere scontato».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Casta ogneversedara e i baroni

Messaggioda Berto » sab apr 15, 2017 9:12 am

L'università dei baroni: ecco come funziona - Il libro-inchiesta di davide carlucci e antonio castaldo

Iacopo Gori

http://www.corriere.it/cronache/09_febb ... aabc.shtml

MILANO – Sconcertante, devastante o umiliante? E’ difficile trovare gli aggettivi giusti per descrivere al meglio lo stato dell’università italiana dopo aver letto Un Paese di Baroni, il libro appena uscito di Davide Carlucci e Antonio Castaldo su «truffe, favori, abusi di potere. Logge segrete e criminalità organizzata. Come funziona l’università italiana» (editore Chiarelettere). Non un romanzo, purtroppo. Ma una lunga, dettagliata e approfondita inchiesta con nomi, cognomi, date, pochissime opinioni e tanti fatti.

Un’inchiesta che lascia senza fiato: perché se è vero che tutti sanno (o dicono di sapere) che è prassi comune e diffusa che per avere certe cattedre e varcare certe soglie occorra essere figlio di, amico di o sponsorizzato da, è altrettanto vero che leggere 309 pagine che raccontano di privilegi, concorsi truccati, reti di parentele intrecciate, infiltrazioni mafiose, gerarchie nazionali su chi comanda e dove, criteri gerontocratici di scelta, lobby bianche, rosse e nere, intrecci politici ed economici nella selezione dei docenti fa un effetto devastante. Non solo per i professori, ricercatori e dottori coinvolti nelle inchieste documentate nel libro ma per tutti quelli che pur a conoscenza di un «sistema tanto chiacchierato, e oggetto di generale indignazione fino ad oggi lo hanno accettato. L’importante era non fare i nomi» scrivono i due autori. Ora ci sono anche quelli, nero su bianco. Ma forse anche questo cambierà di poco la questione. Il sistema pare così tanto incancrenito da autoalimentarsi e sopravvivere da solo. Anche se delle crepe cominciano a intaccare il muro di gomma dell’università italiana.

Carlucci e Castaldo (tutti e due giornalisti; il primo a Repubblica, il secondo al Corriere della Sera) raccontano infatti, accanto all’università dei privilegi, anche quella di chi lavora seriamente tutti i giorni e per pochi soldi. E soprattutto riportano le storie e le testimonianze di chi si è ribellato contro i concorsi truccati, contro un «sistema fortissimo basato molto sull’obbedienza e poco sul merito». Citando i sempre più numerosi casi di intercettazioni fai da te di studenti, aspiranti ricercatori o docenti che si sono presentati nell’università dei baroni a colloquio con i prof muniti di registratori portatili per memorizzare «le regole del gioco». Negli ultimi anni proprio queste intercettazioni hanno portato a più di un’inchiesta contro prepotenze e abusi.

Alcuni in Italia si chiedono ancora perché nelle graduatorie sulle migliori università del mondo, i nostri atenei facciano sempre una pessima figura. Inutile chiederselo dopo aver letto questo libro. Peggio: frustrante. Paolo Bertinetti, preside della facoltà di lingue e letteratura a Torino afferma di «non aver mai conosciuto nessuno che sia diventato professore solo in base ai propri meriti». Stefano Podestà, ex ministro dell’Università nel 1996 ha dichiarato: «I rettori italiani? La metà di loro è iscritta alla massoneria». Mentre, dati alla mano, Carlucci e Castaldo scrivono che «i rettori hanno famiglia in 25 delle 59 università statali italiane. Quasi il 50% (il 42,3 per l’esattezza) ha nella medesima università un parente stretto, quasi sempre un altro docente». Più chiara ancora la ricostruzione di un dialogo tra docenti nella deposizione rilasciata all’autorità giudiziaria da Massimo Del Vecchio, professore di matematica a Bari – «Se non vengo io, tu non sarai nominato preside» – «Che cosa vuoi in cambio?» – «Due miei parenti falli entrare…». Carlo Sabba, uno dei professori che si è ribellato al sistema dei concorsi truccati, conclude amaramente: «Se non si spezza questa catena, i giovani saranno a immagine e somiglianza di chi li ha arruolati, e tutto rimarrà uguale».

Il libro-inchiesta di Carlucci e Castaldo vuole essere «un’istantanea sullo stato dell’università italiana e delle èlite che la governano, nel momento di più profonda decadenza della sua storia». Nel volume si ripercorrono le vicende che hanno portato intere dinastie familiari alla conquista di tutte le cattedre disponibili nelle città italiane «calpestando tante volte il merito e eludendo le regole democratiche; con intere bande di cattedratici che si sono spartite il territorio proprio come fa la mafia; raccontando il sistema dei baroni e la fitta trama di scambi tra potere politico e mondo universitario. Il tutto a detrimento di chi crede nelle università e nell’eccellenza dello studio con i centinaia di professori, ricercatori e lettori che nonostante i soprusi e le generali storture di un sistema che non funziona, resistono e lavorano».

I due hanno deciso di dedicare il loro lavoro ai «tanti <ribelli> che in questi ultimi anni hanno denunciato abusi, aperto blog e siti internet contro il malcostume accademico, scrivendo spesso con nomi e cognomi ai quotidiani nazionali e ai tantissimi professori e ricercatori onesti grazie ai quali l’Italia è ai primissimi posti di una speciale classifica di merito stilata dalla rivista Nature nel 2004 calcolata in base alla proporzione tra investimenti ricevuti e qualità delle pubblicazioni delle principali riviste di ricerca internazionale: nonostante i pochi soldi, i concorsi truccati, la corruzione e molto altro i ricercatori italiani ottengono risultati eccezionali. Incredibile ma vero».

Viene solo da chiedersi allora, visto che la degenerazione universitaria è direttamente proporzionale alla cattiva qualità della ricerca, che Paese saremmo se le terribili storture denunciate in questo libro sull' università non ci fossero. Visto che «da qualche decennio si assiste ad un’autentica degenerazione della logica del privilegio e per un po’chi voleva far carriera si è adeguato, chi non ha trovato spazio ha cercato un’occasione all’estero, altri hanno gettato la spugna e hanno ripiegato sulla professione privata, sull’insegnamento nelle scuole superiori, oppure sono caduti in depressione». Cosa sarebbe l’Italia se tutti quelli che sono andati via o non sono riusciti ad entrare e lo meritavano avessero potuto studiare e fare ricerca nelle università del nostro Paese?

L’inchiesta si fa viva. Viene descritto nei dettagli il “sistema mafioso” che vige all’interno di alcune università (caso limite a Messina, dove «le indagini hanno mostrato le infiltrazioni mafiose e della ‘ndrangheta» e «la cosca Morabito è penetrata profondamente all’interno della Facoltà di medicina e chirurgia» come scrive il pm Gratteri della dda di Reggio Calabria). Viene raccontato come agisce la massoneria in cattedra («A Bologna ci sono due lobby, massoneria e Cl. Controllano la sanità e la facoltà di Medicina. E’ sempre stato così. E’ uno spaccato inquietante» dice Libero Mancuso, ex magistrato, assessore comunale a Bologna). Viene spiegato il meccanismo della grande truffa dei concorsi («C’è l’assenza di qualsiasi trasparenza nello stabilire chi merita e chi no. Pilotare i concorsi è una pratica assolutamente sicura e quasi indolore. I docenti sanno di partecipare a un teatrino. Il nome di chi deve vincere si conosce in anticipo. Talvolta è davvero la migliore delle scelte possibili. Altre volte decisamente no. Ma la domanda è: se già si conosce il vincitore perché spendere tanti soldi per indire i concorsi?» scrivono Carlucci e Castaldo). Si scende poi nei dettagli della Parentopoli d’Italia (Tre esempi soli tra i tanti? «A Roma il rettore è Luigi Frati, ex preside di facoltà di Medicina dove c’era la moglie, ex professoressa di liceo diventata ordinario, il figlio, chiamato a insegnare sotto la presidenza del padre, e la figlia, laureata in giurisprudenza…A Napoli nelle facoltà di Economia e Commercio della Federico II sono state rintracciate 140 parentele accademiche su un totale di 877 docenti...A Bari a Economia imperversano famiglie come i Massari: otto i docenti con questo cognome, tutti imparentati tra loro»). Si spiegano i meccanismi delle commistioni dei poteri trasversali, poteri politici e interessi economici che determinano assunzioni e vincitori di concorsi. Tutto sempre più spesso inter nos.

Basta leggere cosa dice il Cnvsu, il Comitato di valutazione universitaria: il 90,2% dei docenti vincitori di concorso dal 1999 al 2007 provenivano dallo stesso ateneo che aveva messo a bando la cattedra. Con l’autonomia universitaria del 1999 poi (finanziaria e contabile) si sono moltiplicati i docenti e i corsi di laurea più bizzarri. Gli insegnamenti sono raddoppiati: da 85mila a 171mila. Con una proliferazione che non ha eguali nel mondo: in Italia esistono 24 facoltà di Agraria, in California tre, in Olanda solo una.
Forse è anche per tutto questo che secondo i dati Ocse del settembre 2008 solo il 17% della popolazione italiana tra i 24 e i 34 anni ha conseguito una laurea (contro la media dei paesi Ocse del 33%) e solo il 45% degli iscritti arriva alla laurea, meno del Cile e del Messico e sotto la media Ocse del 69%? «Continuiamo così – direbbe il Nanni Moretti dell’ormai storica battuta del film “Bianca” – facciamoci del male».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Casta ogneversedara e i baroni

Messaggioda Berto » mar set 26, 2017 10:13 pm

Concorsi truccati, arrestati 7 docenti universitari, 59 indagati: coinvolti diversi atenei italiani
di Sa. Men.
Lunedì 25 Settembre 2017

http://www.ilmessaggero.it/primopiano/s ... 60509.html

Arresti domiciliari per 7 docenti universitari, titolari di cattedre di diritto tributario in diversi atenei italiani, per reati di corruzione nell'ambito di un'inchiesta sui concorsi truccati. Altri 22 docenti sono stati interdetti dallo svolgimento delle funzioni di professore universitario e di quelle «connesse ad ogni altro incarico assegnato in ambito accademico per la durata di 12 mesi».

È l'esito dell'operazione «Chiamata alle Armi» eseguita questa mattina dalla Guardia di Finanza di Firenze su tutto il territorio nazionale, dopo che un primo caso di corruzione era stato accertato nel capoluogo fiorentino. Sono 59 i docenti complessivamente indagati per reati di corruzione. Le misure coercitive sono state disposte dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze su richiesta della Procura della Repubblica fiorentina diretta dal procuratore capo Giuseppe Creazzo. Sempre stamani sono state eseguite più di 150 perquisizioni domiciliari presso uffici pubblici, abitazioni private e studi professionali.

Nei confronti di altri 7 docenti universitari, il giudice per le indagini preliminari di Firenze, Angelo Antonio Pezzuti, si è riservata la valutazione circa l'applicazione della misura interdittiva dopo l'interrogatorio degli stessi indagati.

I sette professori destinatari di misura cautelare ai domiciliari sono Guglielmo Fransoni, residente a Roma, tributarista e professore a Foggia, Fabrizio Amatucci, professore a Napoli, Giuseppe Zizzo, della libera università Carlo Cattaneo di Castellanza (Varese), Alessandro Giovannini dell'università di Siena, Giuseppe Maria Cipolla dell'università di Cassino, anche lui residente a Roma, Adriano Di Pietro dell'università di Bologna, Valerio Ficari, ordinario a Sassari e supplente a Tor Vergata a Roma. Tra gli indagati che ora rischiano l'interdizione (si deciderà solo dopo l'interrogatorio) anche il professore ed ex ministro Augusto Fantozzi.

Da una delle intercettazioni effettuate risulta che i vincitori del concorso nazionale per l'abilitazione scientifica all'insegnamento nel settore del diritto tributario venivano scelti con una «chiamata alle armi» tra i componenti della commissione giudicante, e non in base a criteri di merito. Secondo quanto emerso uno dei docenti, componente della commissione giudicante, affermerebbe in un'intercettazione di voler favorire il suo candidato, contrapposto a quello di un collega, esercitando la sua influenza con una vera e propria «chiamata alle armi» rivolta agli altri commissari a lui più vicini. L'inchiesta è partita dalla denuncia di un ricercatore fiorentino, al quale sarebbe stato proposto di ritirare la propria domanda al concorso per fare posto a un altro candidato.

Il ministro Fedeli: «Voglio andare fino in fondo». «Voglio andare fino in fondo», ha detto il ministro dell'Istruzione Valeria Fedeli, aggiungendo che entro ottobre arriverà una sorta di codice di comportamento sull'università sul quale il Miur da mesi sta lavorando insieme all'Anac nell'ambito delle iniziative anticorruzione. «La bozza è pronta da luglio, ora è in consultazione e vogliamo concludere assolutamente entro ottobre», ha spiegato precisando che i fatti che hanno dato spunto all'inchiesta Gdf si riferiscono a procedure di abilitazione relative al 2012/2013.



http://www.repubblica.it/cronaca/2017/0 ... -176438873



Scoprire l’acqua calda dei concorsi truccati
LuigiAmicone
settembre 26, 2017La mia mozione in consiglio comunale a Milano sulle abnormi le azioni giudiziarie contro la Lega e i concorsi universitari di Firenze

http://www.tempi.it/che-enormita-e-scop ... csvNtFx2jJ

Quando ho letto di un tale ricercatore – un abbonato dal Fatto quotidiano, come da lui stesso rivendicato – che si sarebbe rivolto alla Procura di Firenze per far valere i suoi presunti diritti di escluso da un concorso, tal che è scattata la retata di decine di professori universitari di diritto tributario e 500 (dicasi cinquecento!) militari sono stati impiegati dallo Stato per compiere arresti, perquisizioni, sequestri di informazioni sensibili (anche i nomi e le carte dei contribuenti in contenzioso con il fisco? Anche i delicati segreti professionali di tecnici che danno fastidio all’Agenzia delle Entrate?), mi sono detto che l’Italia è proprio al capolinea. E non c’è niente da fare, siamo destinati a scivolare in Terzo Mondo.

Dopo di che, memore di un conculcamento per via giudiziaria della Costituzione repubblicana, la restrizione della libertà di associazione e di opinione e di partecipazione a un partito politico (perché di questo si tratta quando sequestri i conti della Lega, e li sequestri dopo quattro anni, nell’anno di tutte le elezioni, regionali e nazionali, e nessuno dice niente, e sembra che almeno nel ventennio mussoliniano qualche foglio di giornale clandestino protestasse contro i tribunali fascistizzati e le leggi liberticide), ecco davanti alla retata e al sequestro della libertà di associarsi e agire politicamente come Lega Nord, ieri, lunedì 25 settembre dell’anno 2017, mi sono alzato in consiglio comunale a Milano e ho proposto uno schema di mozione che mi sono augurato diventasse la mozione di tutti. Perché al di là della appartenenze politiche, si capisce che c’è in gioco la libertà di essere cittadini e non sudditi di uno Stato che in qualunque momento può decidere di venirti a prendere, ridurti al silenzio e, quel che è peggio, portarti via tutto e sbatterti in galera. Ora, prima di proporvi lo schema di mozione che ho proposto in Consiglio, chiedo al lettore la pazienza di seguirmi nella seguente digressione.

Ho sessant’anni, due lauree, nessuno mi ha regalato una cattedra, però come sanno tutti coloro che hanno frequentato una università italiana, è noto che non esistono concorsi per il dottorato, la ricerca e, tanto più, la docenza, che non siano in qualche modo fatti su misura (“a fotografia” si diceva una volta) dei candidati “portati” dai piccoli e grandi “baroni”, professori ordinari di lungo corso o comunque “comunità” di autorevoli docenti (chiamatele “massonerie”, se preferite). Dalla medicina chirurgica all’ingegneria gestionale, non c’è concorso per ricercatori, docenti ordinari o straordinari qualsivoglia, che non sia in qualche modo “pilotato”.

È una pratica disdicevole, clientelare, di “gravissima corruzione” come dicono oggi certe Procure? Forse sì. Cambiamola. Il parlamento legiferi e riformi. Cosa c’entrano i tribunali? Intanto, così ha funzionato l’Italia dal tempo dell’Unità e non è detto che sia un male. Primo perché le università italiane non sono affatto messe male nel rating internazionale. Secondo, perché mi pare del tutto normale che un professore-maestro cerchi di sostenere – “portare” – lasciare una propria impronta magistrale attraverso i propri discepoli, scegliendosi i migliori e ottenendo per loro, ove il loro valore lo dimostrasse (e non c’è dubbio che, a parte i casi di nepotismo o di puerile ricatto, sessuale o altro, il “barone-portatore” è il primo ad avere interesse a favorire discepoli di valore e non a pasturare asini che mettano a repentaglio la reputazione dei loro pigmaglioni).

La meritocrazia e trasparenza sono concetti giusti, evidentemente. A patto di contestualizzarli e non sbandierarli in astratto. Altrimenti tanto vale scegliere un professore, un impiegato, un amministratore delegato, col metodo del Superenalotto. Palla di vetro, migliaia di nomi di stesso livello meritocratico iscritti nei bigliettini (però anche qui: siamo sicuri che la lode alla facoltà di ingegneria di Reggio Calabria corrisponda esattamente al merito di una lode al Politecnico di Milano? Non è ovviamente discriminare niente e nessuno ricordare realtà che gli organismi internazionali segnalano ogni anno, stilando classifiche di merito di scuole e università). E il Pierino bendato che estrae a sorte i vincitori delle posizioni in concorso. Una cretineria di cui non escludo che i Cinque Stelle potrebbero vantarsi di introdurre nell’ordinamento legislativo italiano, ad ogni livello, nel caso andassero al governo. Col risultato che ci troveremmo un’Italia scassata da cima a fondo, in ogni comparto, e la corruzione correrebbe a inventarsi la tombola napoletana al tarocco. Non a caso, negli Stati Uniti, non puoi nemmeno iscriverti alle facoltà più blasonate se non arrivi al test portando, oltre ai meriti del tuo curricola scolastico, soprattutto la fatidica lettera di raccomandazione di autorevoli personalità (professori, uomini di successo del mondo delle professioni, personaggi che abbiano autorità in materia di quel determinato corso di laurea, master o quant’altro). Quindi, che enormità è scoprire l’acqua calda che non c’è un concorso universitario in Italia che non sia fatto “a fotografia”, con commissioni che hanno già deciso il vincitore? Se non ci fosse quell’ipocrisia giustizialista trionfante che ha avvelenato tutti i pozzi di tutte le professioni e di tutta la vita della società italiana, queste cattive pratiche (ammesso che le riconosciamo “cattive”, vedi sopra) andrebbero corrette dal Parlamento, non dalla Guardia di Finanza sguinzagliata in giro per l’Italia a compiere arresti imbracciando le mitragliette e sequestrando montagne di carte che poi saranno utilizzate per cosa? Per i processi o per i ricatti politici?

Ed ecco infine la mozione – o meglio, lo schema di mozione unitaria che, sia pure con tutte le correzioni del caso, posso essere impreciso, eccedere in polemica, ma insomma l’ho offerta ad ogni limatura, mi basterebbe che se ne salvasse la sostanza, lo spirito, l’orientamento alla verità – ho sognato un giorno venga approvata dall’intero Consiglio della città di Cesare Beccaria e, come si dice ancora oggi, “capitale morale” della Nazione. Mozione rispetto alla quale ho registrato l’assoluto silenzio in aula e una sola reazione, quella del consigliere Basilio Rizzo, ex capo di Democrazia proletaria, puntiglioso e unico rappresentante di un raggruppamento di estrema sinistra, che dopo una giovinezza e maturità marx-mao-leninista, giunto all’età della pensione, oggi si vanta di seguire la bandiera giustizialista (e lo stretto rapporto con la Procura) come suo personale faro di agire politico. Ecco, l’unica reazione che ho registrato allo schema di mozione che qui di seguito ripropongo è quella di questo campione, Basilio Rizzo: «Finché sarò in Consiglio io, questa sua mozione non passerà mai».

«Premesso
che anche solo sulla base delle scarne informazioni di cui disponiamo ci appaiono del tutto abnormi le azioni giudiziarie che, come il recente sequestro dei conti della Lega o, per restare alla cronaca odierna, l’arresto di praticamente l’intera classe docente universitaria di diritto tributario, hanno il potere di stravolgere la vita democratica, cancellare le libertà di associazione e seminare il terrore in intere categorie professionali.

E premesso
che ingenti forze dello Stato – come nel caso dei professori universitari in questione (ma alzi la mano chi non ha mai sentito di concorsi universitari non “a fotografia”, come si dice, ebbene la politica intervenga, il parlamento riformi, non i tribunali!) per il cui arresto, perquisizioni, sequestro di informazioni sensibili (per esempio le cartelle di cittadini italiani in contenzioso con il Fisco?) sono stati mobilitati oltre 500 militari – ribadiamo: e premesso che ingenti forze dell’ordine e militari vengono quotidianamente sottratti alla persecuzione dei crimini più efferati e di maggiore allarme sociale (omicidi, stupri, rapine, traffici di armi, esseri umani, droga eccetera) per privilegiare la cosiddetta lotta alla corruzione dei politici e dei “colletti bianchi” cosiddetti, “lotta alla corruzione” che è per altro ritornello tipico dell’azione di propaganda e repressione degli stati totalitari (accadeva in Unione Sovietica ieri, accade in Cina oggi)

Il Consiglio comunale di Milano si appella a Parlamento, Governo e Presidenza della Repubblica, perché con provvedimenti equilibrati e leggi adeguate, faccia in modo che l’azione di singoli magistrati in cerca di clamore e notorietà rientri nell’argine dell’equilibrio e della prudenza, e non sia più improntata al massacro preventivo della vita, della reputazione e dell’onore delle persone, con atti volti a destabilizzare la vita democratica, sociale ed economica di questo nostro Paese. È ora di agire perché il potere giudiziario rientri nell’alveo della Costituzione repubblicana e cessi l’aura di prepotenza, opacità, discrezionalità e assolutismo in cui tale potere agisce, incontrastato, da oltre un ventennio. Tal che, tale potere, non cessa di rispondere con deserto e distruzione e vuoto, alla disperata richiesta di ripresa civile, sociale, economica, che viene da ogni piega della società italiana».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Casta ogneversedara e i baroni

Messaggioda Berto » mer mag 16, 2018 6:45 am

.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Casta ogneversedara e i baroni

Messaggioda Berto » mer mag 16, 2018 6:46 am

Docenti, giro di vite del ministero sul doppio lavoro
2018-05-14

http://www.scuola24.ilsole24ore.com/art ... d=AEtskOoE

Arriva il giro di vite del ministero dell’Istruzione sui professori universitari a tempo pieno con il vizio del doppio lavoro. Un fenomeno che interessa quasi tutte le università italiane e che viola il principio del rapporto in esclusività con la Pubblica amministrazione previsto dal decreto legislativo 165 del 2001.

La ministra Valeria Fedeli, in coordinamento con l’Anac di Raffaele Cantone, ha inviato a tutti i rettori di Italia un atto di indirizzo per arginare il fenomeno dei doppi lavori, che ha prodotto un danno erariale pari a 52 milioni 563mila 319 euro, come emerge dal “Progetto Magistri”, un’indagine del Nucleo speciale spesa pubblica della Guardia di finanza.

Sotto la lente del Miur sono finiti l’abuso di consulenze, le partecipazioni a società e il ricorso alla partita Iva da parte di professori universitari che con un incarico a tempo pieno dovrebbero avere un rapporto di esclusività - come tutti i dipendenti della Pa - con le università di appartenenza. Ma che grazie anche a qualche spazio grigio nella pioggia di norme degli ultimi anni hanno in qualche caso approfittato per svolgere qualche lavoro privato di troppo. Ora però la vigilanza sarà rimessa direttamente agli atenei «i quali pur non essendo titolari in materia di un potere autorizzatorio - si legge nell’atto del Miur - provvederanno a effettuare le verifiche del caso». Inoltre, «i regolamenti di ateneo provvederanno a disciplinare procedure interne basate sulla comunicazione, almeno semestrale, da parte dei docenti al Rettore, al fine di consentire un adeguato monitoraggio, funzionale ad assicurare il rispetto della normativa vigente in materia di regime a tempo pieno, anche sotto il profilo della prevenzione dell’insorgere di situazioni di conflitto di interessi».

Parallelamente al giro di vite ministeriale, anche le procure della Corte dei conti muovono le prime contestazioni per danno erariale in capo ai docenti a tempo pieno colti in flagrante a svolgere anche la professione privata. Il danno è salito da 42 milioni a 52 milioni 563mila 319 euro, mentre i professori accusati salgono da 172 a 192. L’accertamento, denominato “Progetto Magistri”, riguarda esclusivamente i docenti delle facoltà i Ingegneria e Architettura di 17 regioni: Abruzzo, Basilicata, Campania, Calabria, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Umbria e Veneto. Tuttavia nuove verifiche sono state avviate sul fronte dei docenti di Giurisprudenza, Economia e Medicina.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm


Torna a Ençeveltà tałega, straji, połedega, caste, corusion

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 3 ospiti

cron