Mafie e briganti teroneghi

Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » gio mar 21, 2019 11:38 pm

La superloggia massonica di Castelvetrano controllava tutto: e sapeva pure dell'inchiesta
21/03/2019
Franco Nicastro

https://www.lasicilia.it/news/cronaca/2 ... iesta.html

CASTELVETRANO - Nella terra di Matteo Messina Denaro si era radicato un sistema di potere che aveva come base una superloggia massonica segreta. E da lì aveva incanalato affari e interessi lungo mille rivoli politici e istituzionali che andavano dal ministero dell’Interno alla polizia, dall’Assemblea regionale ai carabinieri. Quel sistema metteva sabbia nelle indagini della magistratura, violava il segreto su intercettazioni e attività di intelligence, gestiva pacchetti di voti, posti di lavoro, carriere e un mercato di facili pensioni. E sapeva pure dell'inchiesta che oggi ha portato all'arresto di 27 persone tra cui alcuni personaggi eccellenti come l’ex deputato regionale Giovanni Lo Sciuto, eletto tra gli autonomisti del Mpa e poi transitato in Forza Italia, e l’ex presidente dell’Ars Francesco Cascio pure lui di Forza Italia.

È uno scenario impressionante quello descritto nelle carte di un’inchiesta della Procura di Trapani che, affondando le mani nel verminaio di Castelvetrano, con il comune sciolto per mafia, è sfociata nella raffica di arresti.

Lo Sciuto era stato vice presidente della commissione cultura nel parlamento siciliano prima di passare alla commissione regionale antimafia per svolgere, proclamava, il ruolo di «sentinella alla Regione per l’intera provincia di Trapani e per Castelvetrano». Non manca qualche rappresentante del potere locale come gli ex sindaci di Castelvetrano, Luciano Perricone e Felice Errante, e l'ex vice sindaco Vincenzo Chiofalo. E di striscio viene toccato anche Roberto Lagalla, ex rettore dell’università di Palermo e attuale assessore regionale alla Formazione: è sospettato di avere avuto un ruolo nell’assegnazione di una borsa di studio alla figlia di un lobbista di provincia.

Contribuiscono a rendere più torbido il quadro delle collusioni anche tre poliziotti: Salvatore Passanante, ispettore in servizio presso il commissariato di polizia di Castelvetrano; Salvatore Virgilio assistente capo della sezione di Trapani della Dia; Salvatore Giacobbe, in servizio presso la questura di Palermo. Erano loro a fare sapere a Lo Sciuto che era intercettato. Innescando così uno sconvolgimento nella fitta rete di relazioni e di collusioni. Fino alla conferma venuta dall’alto: a certificare che lo Sciuto era ascoltato sarebbe stato Giovannantonio Macchiarola, capo della segreteria particolare del ministro dell’Interno del tempo, Angelino Alfano.

Lo Sciuto è la figura centrale di questa inchiesta in piedi da tre anni. Nata dopo una segnalazione anonima e cresciuta sull'onda di reportage giornalistici, ha subito puntato i riflettori sulla loggia segreta alla quale facevano capo molti dei protagonisti dell’operazione «Artemesia», come l’ha chiamata la Procura diretta da Alfredo Morvillo adottando una pianta medicinale usata per operazioni di pulizia gastrica. In cambio delle «soffiate» avrebbero ottenuto favori personali oppure assunzioni all’Anfe, un ente di formazione presieduto da Paolo Genco, un altro finito nella cerchia degli indagati.

Un corposo capitolo dell’inchiesta è dedicato alle pensioni di invalidità. Sono una settantina quelle sospette concesse grazie al ruolo svolto da Rosario Orlando, già responsabile del centro medico legale dell’Inps e poi componente delle commissioni di invalidità civile. È sua figlia ad avere beneficiato, a quanto pare, della borsa di studio.

Ma il centro del sistema di potere ruotava attorno alla loggia segreta. Un intreccio occulto tra mafia e massoneria deviata sul quale aveva accesso i riflettori anche la commissione Antimafia presieduta da Rosi Bindi, che aveva portato allo scioglimento per mafia del consiglio comunale.

La loggia seguiva anche le mosse della magistratura sul sistema di potere occulto di Castelvetrano. A diffondere l’informazione che a Giovanni Lo Sciuto aveva creato il panico era stato Arturo Corso, odontotecnico e massone di Salemi. A Lo Sciuto aveva anticipato, nel novembre 2016, che la magistratura stava per emettere 23 avvisi di garanzia. E che avesse puntato sulla massoneria come snodo della rete di potere era dimostrato dal fatto che aveva censito 19 logge massoniche in provincia di Trapani e ricostruito le liste con 460 iscritti.

Queste notizie, ma anche alcune anticipazioni giornalistiche, avevano suscitato grande apprensione in Lo Sciuto. Al fratello Antonino aveva ordinato di cancellarsi dalla loggia Hypsas e al venerabile gran maestro aveva chiesto di fare scomparire il suo nome. Aveva perfetta cognizione sulla direzione dell’indagine. E a un amico confidava «Anche a Roma lo sanno».
Ma la rivelazione che lo aveva impressionato era soprattutto quella di Corso sui possibili destinatari dei provvedimenti del gip: «Tuo fratello c'è, tuo fratello c'è».



Castelvetrano, scoperta una superloggia segreta. Ai domiciliari l’ex deputato Cascio, rivelò l'indagine
Nella città di Messina Denaro, un gruppo di potere guidato dall’ex deputato regionale Lo Sciuto, arrestato pure il candidato sindaco Perricone e l’ex sindaco Errante. Indagato l'ex segretario del ministro Alfano, avrebbe svelato l'inchiesta a Cascio. Avviso di garanzia all'assessore regionale Lagalla
SALVO PALAZZOLO
21 marzo 2019

https://palermo.repubblica.it/cronaca/2 ... -222119820

Castelvetrano, la città dei misteri. Non solo attorno al superlatitante Matteo Messina Denaro. Ora, salta fuori pure una superloggia segreta formata da massoni, politici e professionisti che riusciva ad orientare le scelte del Comune, ma anche nomine e finanziamenti a livello regionale. Una loggia in grado di ottenere persino notizie riservate sulle indagini in corso della magistratura.

La notte scorsa, 27 persone sono state arrestate dai carabinieri del nucleo Investigativo di Trapani, altre dieci sono indagate a piede libero: a capo del gruppo ci sarebbe stato l'ex deputato regionale di Forza Italia Giovanni Lo Sciuto; dell'associazione segreta avrebbe fatto parte anche il candidato sindaco di Castelvetrano Luciano Perricone e l'ex sindaco Felice Errante, entrambi finiti ai domiciliari. Stessa misura cautelare per l'ex deputato di Forza Italia Francesco Cascio, accusato di aver favorito il gruppo di Lo Sciuto: avrebbe rivelato l'esistenza delle intercettazioni di Trapani dopo averlo saputo - questa l'accusa - dall'allora segretario del ministro dell'Interno Angelino Alfano, Giovannantonio Macchiarola, che è indagato per rivelazione di notizie riservate, sarà interrogato domani.

In carcere sono finiti invece tre poliziotti, Salvatore Passannante, Salvatore Virgilio (in servizio alla Dia di Trapani) e Salvatore Giacobbe. Erano loro a fare sapere a Lo Sciuto che era intercettato. Innescando così uno sconvolgimento nella fitta rete di relazioni e di collusioni. Fino alla conferma venuta dall'alto: a certificare che lo Sciuto era ascoltato sarebbe stato Macchiarola.

Un avviso di garanzia è stato notificato all'ex rettore di Palermo Roberto Lagalla, oggi assessore regionale all'Istruzione: secondo la ricostruzione della procura di Trapani avrebbe avuto un ruolo nella concessione di una borsa di studio alla figlia di uno dei professionisti arrestati. E adesso è indagato per abuso d'ufficio.
Castelvetrano, scoperta una superloggia segreta. Ai domiciliari l’ex deputato Cascio, rivelò l'indagine

Giovanni Lo Sciuto

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L'inchiesta coordinata dal procuratore Alfredo Morvillo, dall'aggiunto Maurizio Agnello e dai sostituti Sara Morri, Andrea Tarondo e Francesca Urbani è stata chiamata "Artemesia" (una pianta medicinale usata per operazioni di pulizia gastrica) e descrive "un'associazione a delinquere segreta" attorno a Giovanni Lo Sciuto, che nel 1998 un esposto anonimo indicava come finanziatore della latitanza di Matteo Messina Denaro. All'epoca, le indagini dissero che era in società con la sorella e il cognato del superboss, ma non emerse altro e il caso venne archiviato. Nel 2012, il medico di Castelvetrano era diventato deputato regionale con il movimento per le autonomie, poi dopo una parentesi nell'Ncd l'arrivo in Forza Italia. Lo Sciuto aveva lasciato la commissione Lavoro per entrare nella commissione Antimafia, con tanto di proclama: "Cercherò di essere la sentinella alla Regione per l'intera provincia di Trapani e per Castelvetrano in particolare".
La loggia
L'impegno antimafia era solo una facciata, Lo Sciuto avrebbe avuto a cuore soprattutto il suo bacino elettorale, da ampliare attraverso una serie di affari gestiti con il "gruppo occulto": fra i componenti, i massoni Giuseppe Berlino (ex consigliere comunale di Castelvetrano) e Gaspare Magro (commercialista) - entrambi finiti in carcere - nonché il vice sindaco della città, Vincenzo Chiofalo, ai domiciliari. Controllavano nomine, facevano segnalazioni e raccomandazioni, avrebbero imposto persino quattro assessori massoni nella giunta Errante. Gli inquirenti parlano di un "controllo generalizzato e penetrante delle scelte politiche e amministrative". Non solo al Comune, ma anche al parco archeologico di Selinunte, all'Inps di Trapani e persino alla Regione, dove Berlino avrebbe ricevuto gli appoggi giusti per entrare nella segreteria tecnica dell'assessore ai Beni culturali. Lo Sciuto avrebbe controllato pure finanziamenti regionali e soprattutto un fiume di pensioni di invalidità, sono 70 quelle al vaglio degli inquirenti.

L'ex deputato regionale sarebbe riuscito a pilotarne tante, grazie a "uno stabile accordo corruttivo", dicono i magistrati, con Rosario Orlando, già responsabile del centro medico legale dell'Inps e poi componente delle commissioni di invalidità civile. La figlia di Orlando avrebbe beneficiato di una borsa di studio, per questa vicenda è indagato l'assessore regionale Lagalla.

Un altro grande elettore dell'esponente politico era Paolo Genco, presidente dell'ente di formazione professionale Anfe, pure lui è finito in manette: avrebbe fornito sostegno economico e assunzioni, in cambio Lo Sciuto si sarebbe prodigato per l'approvazione di delibere e progetti di legge regionali riguardanti l'Anfe. Un intreccio occulto tra mafia e massoneria deviata sul quale aveva accesso i riflettori anche la commissione Antimafia presieduta da Rosi Bindi, che aveva portato allo scioglimento per mafia del consiglio comunale.

Accuse e nomi
I reati contestati dalla procura di Trapani vanno dalla corruzione alla concussione, dal traffico di influenze illecite al peculato alla truffa aggravata, alla falsità materiale, alla rivelazione di segreto d'ufficio, al favoreggiamento, all'abuso d'ufficio, all'associazione a delinquere segreta finalizzata ad interferire con la pubblica amministrazione (la violazione della cosiddetta legge Anselmi). Per gli stessi reati sono stati notificati anche cinque obblighi di dimora, una misura interdittiva e quattro avvisi di garanzia.

I nomi degli arrestati: Giovanni Lo Sciuto, Paolo Genco, Gaspare Magro, Giuseppe Angileri, Isidoro Calcara, Salvatore Passanante, Salvatore Virgilio, Salvatore Giacobbe, Rosario Orlando e Giuseppe Berlino.

Vanno ai domiciliari: Maria Luisa Mortillaro, Vincenzo Giammarinaro, Francesco Cascio, Adelina Barba, Sebastiano Genna, Giovanna Di Liberto, Giuseppe Cammareri, Vincenza Daniela Lentini, Gaetano Salerno, Antonio Di Giorgio, Alessio Cammisa, Antonietta Barresi, Francesco Messina Denaro, Vincenzo Chiofalo, Tommaso Geraci, Felice Errante, Luciano Perricone.

L'obbligo di dimora è stato imposto a Valentina Li Causi, Filippo Daniele Clemente, Arturo Corso, Gaetano Bacchi e Zina Maria Biondo. Una misura interdittiva è stata notificata a Giorgio Saluto.
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » mer apr 03, 2019 5:35 am

False perizie per favorire un boss, indagati avvocati e medici
Sebastiano Adduso
2 Aprile 2019

https://vivicentro.it/regioni/sud/crona ... Jz6SnMsWhw

Falsi certificati medici, false perizie psichiatriche e depistaggi. È quanto è emerso da un’inchiesta condotta dalla Dda di Catanzaro.

Falsi certificati medici, false perizie psichiatriche e depistaggi con lo scopo di fare uscire dal carcere l’ex boss della ‘ndrangheta di Vibo Valentia e capo della cosca “Pardea-Ranisi” Andrea Mantella, dal 2016 collaboratore di giustizia.

È quanto è emerso da un’inchiesta condotta dalla Dda di Catanzaro che vede indagate 16 persone tra cui alcuni avvocati e medici legali calabresi. I carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Vibo Valentia hanno notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari emesso dalla Dda. Tra gli indagati ci sono gli avvocati Salvatore Staiano e Giuseppe Di Renzo, ex difensori di Mantella.

Tra i 16 indagati ci sono anche i medici legali Massimiliano Cardamone e Massimo Rizzo. I reati che vengono ipotizzati, a vario titolo, agli indagati sono corruzione in atti giudiziari e falsa perizia, aggravati dalle modalità mafiose.

Alla notifica dell’avviso di conclusione indagini hanno partecipato i Carabinieri dei Nuclei Investigativi di Cosenza, Catanzaro e Lamezia Terme e delle Compagnie di Bari San Paolo e Locri.

Dalle indagini è emerso inoltre il significativo ruolo che sarebbe stato svolto nella vicenda da una casa di cura privata calabrese, che sarebbe stata utilizzata per il ricovero di esponenti di ‘ndrangheta falsamente malati e come luogo d’incontro tra boss della criminalità organizzata calabrese, diventandone così una sorta di base operativa.
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » mar mag 14, 2019 8:10 pm

Olio di soia venduto per extravergine a 10 euro al litro in Italia e all'estero: 24 in manette
13 maggio 2019

https://www.ilmessaggero.it/alimentazio ... 90878.html

Olio di soia e olio di girasole, dal costo di un euro e 20 centesimi al litro, venduto invece per olio extravergine in tutta Italia e anche all'estero a 10 euro al litro: era una frode redditizia quella cui hanno messo fine i carabinieri di Foggia con l'operazione 'Oro giallo' che ha portato all'arresto di 24 persone, 14 in carcere e 10 ai domiciliari, tra l'Italia (Cerignola, San Severo e Lavello) e la Germania. Gli indagati vendevano anche all'estero olio di semi di soia e di girasole addizionato con clorofilla e betacarotene spacciandolo per olio extravergine di oliva.

Al sodalizio criminale una bottiglia di finto extravergine costava 1,20 euro al litro e veniva rivenduta sul mercato a prezzi che oscillavano tra i 5 ed i 10 euro al litro. I provvedimenti giudiziari connessi all'indagine hanno portato al sequestro di due immobili e di un'azienda olearia, dei mezzi di autotrasporto riconducibili al sodalizio (tra cui 6 autotreni, dei quali due in territorio tedesco), e di oltre 150mila litri di olio sofisticato per un valore commerciale in un milione e 200mila euro.

Le persone arrestate sono accusate, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alla frode nell'esercizio del commercio, vendita di sostanze alimentari genuine come non genuine, vendita di prodotti industriali con segni mendaci e ricettazione.

Base logistica dell'organizzazione era un frantoio di Cerignola (Foggia), regolarmente autorizzato, utilizzato per la sofisticazione. Al titolare dell'oleificio e capo del sodalizio gli associati si rivolgevano per acquistare l'olio di semi già sofisticato da poter rivendere tal quale, o per acquistare olio di semi da sofisticare in autonomia mediante l'aggiunta di 'verdone', ovvero una miscela con altissima concentrazione di clorofilla.

Le attività di sofisticazione e confezionamento da parte degli associati avvenivano in magazzini o depositi di fortuna, privi di qualsiasi garanzia di igiene. Dalle indagini è emerso inoltre che il principale indagato ha acquistato milioni di litri d'olio di semi da una multinazionale con sede nel Nord Italia: due volte a settimana l'olio di semi veniva trasportato a Cerignola.

Alcuni carichi di olio contraffatto finivano in Piemonte, in Lombardia e in Emilia Romagna. Invece gli indagati con maggiore potere economico effettuavano trasporti quindicinali in Germania, fino a 23mila litri per ogni spedizione. Giunto in Germania, l'olio veniva depositato in aziende specializzate in logistica per la successiva distribuzione a ristoranti o nella grande distribuzione tedesca, oppure con un collaudato sistema del 'porta a porta'.

In Germania era presente anche una importante rete costituita da 'piazzisti', e che forniva il supporto logistico e commerciale ai sofisticatori italiani procurando anche alloggi durante il soggiorno.

Coldiretti: «Puglia, frodi in aumento». «Nel 2019 addio a sei bottiglie di extravergine 'made in Italy' su dieci dagli scaffali dei supermercati, per effetto del crollo in Puglia dal 65% fino anche all'80% della produzione di olive, su valori minimi degli ultimi 25 anni, con il rischio di un aumento esponenziale di frodi e speculazioni». È quanto afferma Coldiretti Puglia esprimendo soddisfazione per l'operazione dei Carabinieri contro il commercio di olio di soia addizionato con clorofilla, venduto per extravergine in Italia e anche all'estero.

«Con la produzione di extravergine 'made in Italy' che ha raggiunto quest'anno i minimi storici a causa delle gelate di febbraio 2018, e gli effetti drammatici della Xylella con il crollo in maniera incontrovertibile della produzione di olive di oltre il 60% - sottolinea il presidente di Coldiretti Puglia, Savino Muraglia - è aumentato il rischio di frodi e sofisticazioni».

«Con il crollo della produzione nazionale - prosegue - a crescere sono le importazioni dall'estero con aumenti record degli arrivi dalla Tunisia, che fanno registrare un balzo in quantità di quasi il 150% secondo le proiezioni Coldiretti su dati Istat relative ai primi dieci mesi del 2018». «Il consiglio di Coldiretti Puglia per scegliere vero olio extravergine 'made in Italy' - conclude - è quello di diffidare dei prezzi troppo bassi, fare attenzione ai prodotti venduti a meno di 7-8 euro al litro che non coprono neanche i costi di produzione, guardare con più attenzione le etichette e acquistare extravergine a denominazione di origine Dop, quelli in cui è esplicitamente indicato che sono stati ottenuti al 100 per 100 da olive italiane».
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » ven lug 05, 2019 7:54 am

Malpensa, le mani dei boss mafiosi sui parcheggi: arrestate 35 persone
Luigi Ferrarella
4 luglio 2019

https://milano.corriere.it/19_luglio_04 ... ANj_BSjw6I

L’automobile per andare all’aeroporto di Malpensa? Senza saperlo, può capitare di metterla nei posteggi della ‘ndrangheta: due di questi posteggi privati, il Parking Volo Malpensa e il Malpensa Car Parking di Cardano al Campo e Ferno (Varese), e metà delle quote della società Star Parkings srls, sono stati sequestrati giovedì mattina su ordine della gip milanese Alessandra Simion, che nel contempo ha ordinato — per l’ipotesi di reato di associazione mafiosa finalizzata a una serie di estorsioni e violenze private e lesioni — la custodia cautelare in carcere per 28 persone, e gli arresti domiciliari per altre 7, in una inchiesta delle pm Alessandra Cerreti e Cecilia Vassena sulla ricostituzione della «locale» di ‘ndrangheta di Legnano-Lonate Pozzolo. Ricostituzione seguita alle scarcerazioni per fine pena (tra il 2015 e il 2017) dei principali appartenenti che erano stati condannati nei processi «Infinito» e «Bad Boys», tra i quali Vincenzo Rispoli, Emanuele De Castro e Mario Filippelli. Proprio la situazione di tensione creatasi tra gli ultimi due sarebbe stata risolta – ricostruiscono le indagini del Nucleo Investigativo dei carabinieri di Milano — «dall’intervento di Giuseppe Spagnolo, persona di maggior peso negli equilibri criminali del gruppo», producendo «di concerto con Rispoli la decisione di estromettere la famiglia Cilidonio» per giungere «a una pace forzata che impediva escalation violente».


«Altrimenti scasso tutto»

È nel quadro di questa riorganizzazione che, mentre Filippelli secondo le indagini si rioccupa dei più tradizionali canali criminali, De Castro viene autorizzato ad avviare investimenti in alcuni parcheggi nell’area di Malpensa, tanto più appetiti ora che Linate è chiuso per lavori fino a ottobre. E qui le indagini dei carabinieri si saldano con la collaborazione proprio di un imprenditore del settore, che ha corroborato le proprie dichiarazioni con una singolare prova: dopo il rifiuto di entrare in affari con gli ‘ndranghetisti, infatti, ha iniziato a usare un cellulare dotato di una applicazione che in automatico registra le conversazioni in entrata ed uscita, e ha così archiviato e trascritto e consegnato ai pm le conversazioni telefoniche sulla storia. Che è, per i magistrati, la storia di una estorsione aggravata dal metodo mafioso: sfruttando la contiguità di un consulente del lavoro utilizzato come ambasciatore, gli ‘ndranghetisti mandano a dire all’imprenditore che deve rinunciare al progetto di comprare un terreno nel comune di Ferno da adibire a parcheggio per Malpensa, perché farebbe concorrenza a quelli dei «calabresi»: a meno che, unica alternativa, l’imprenditore non si rassegni a entrare in società con loro. Altrimenti, è il messaggio del referente del clan, «qualunque cosa viene fatta lì, sono io che vado lì e scasso tutto».


L’ufficio controversie dei boss

L’inchiesta dei carabinieri mostra poi come la «locale» di Lonate Pozzolo, una volta assunto il controllo del territorio, venisse percepita dai cittadini come un organismo territoriale in grado di risolvere controversie: in piena provincia di Varese c’era chi andava a chiedere di picchiare il fidanzato sgradito della figlia, chi cercava protezione dall’incendio della propria autovettura, chi in un bar si vedeva imporre da chi andare a comprare il caffè (peraltro a esoso prezzo fuori mercato). E non soltanto i creditori preferivano rivolgersi al «mafioso» anziché percorrere le vie legali, ma persino due consiglieri comunali di Ferno si rivolgevano agli ‘ndranghetisti per evitare le pressioni estorsive di altri ‘ndranghetisti. La mediazione mafiosa non è però gratis, ovviamente, e produce non solo l’accreditamento dell’organizzazione criminale anche all’interno dell’amministrazione comunale, ma pure la promessa dei consiglieri comunali di future corsie preferenziali nella aggiudicazione del bando per la gestione dei campi sportivi comunali, schema che per i magistrati rappresenta «la più classica delle dinamiche di permeazione della criminalità organizzata nelle istituzioni».


La politica

Stando all’indagine c’è anche un versante politico locale, legato a un pacchetto di circa 300 voti che fa dire agli inquirenti che «giunte del Comune di Locale Pozzolo e Ferno» sarebbero state «espressione della capacità del gruppo criminale di veicolare considerevoli quantità di voti, barattandoli con la nomina di familiari e parenti a cariche politiche ed amministrative»: tra gli arrestati c’è infatti anche Enzo Misiano, il consigliere comunale accusato dai magistrati di «fungere, nella sua qualità di responsabile per i territori di Ferno e Lonate del partito Fratelli d’Italia, da trait d’union tra l’ambiente politico locale ed esponenti di spicco della cosca mafiosa».



'Ndrangheta, le mani su tre parcheggi di Malpensa: 34 arresti in 8 province. Anche un consigliere comunale di Fratelli d'Italia
4 Luglio 2019

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/0 ... no/5300253

Una volta scarcerati erano tornati a fare affari, compresa la gestione di alcuni parcheggi dell’aeroporto di Malpensa che in questi mesi è interessato da un maggior afflusso di passeggeri per la chiusura temporanea di Linate, ed erano anche riusciti a infiltrarsi nella politica locale per orientare le scelte di alcune giunte del Varesotto. In 34 sono finiti agli arresti (27 in carcere, 7 ai domiciliari) al termine di un’indagine dei carabinieri, coordinati dalla Dda di Milano per aver ricostituito la locale di ‘ndrangheta tra Legnano, nel Milanese, e Lonate Pozzolo, paese in provincia di Varese.

Le accuse e l’elezione del (ex) sindaco – Le persone arrestate in 8 province italiane, da Cosenza ad Aosta, sono accusate a vario titolo di associazione di tipo mafioso, danneggiamento seguito da incendio, estorsione, violenza privata, lesioni personali aggravate, minaccia, detenzione e porto abusivo di armi, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, truffa aggravata ai danni dello Stato e intestazione fittizia di beni, accesso abusivo a un sistema informatico o telematico. Tra gli arrestati c’è anche un consigliere comunale di Fratelli d’Italia, che guida l’amministrazione di Ferno, e gli inquirenti avanzano sospetti sull’elezione dell’ex sindaco di Lonate, Danilo Rivolta, che dopo l’elezione con Forza Italia nel 2017 è stato arrestato e ha poi patteggiato 4 anni per corruzione, la cui elezione sarebbe avvenuta anche attraverso l’appoggio degli ‘ndranghetisti in cambio di un assessorato alla nipote del boss.

Il gip: “Consapevolezza dell’appoggio” – “Emerge chiaramente la consapevolezza degli indagati – scrive il gip – che l’elezione di Rivolta era stata appoggiata da famiglie calabresi di origine cirotana, stanziate storicamente in zona”. Alcuni degli arrestati, però, non erano del tutto soddisfatti dell’operato del sindaco. In particolare, Cataldo Santo Casoppero (anche lui finito in carcere), non sapendo di essere intercettato, si lamenta “di frequente di alcune condotte dell’ex sindaco per questioni che attengono principalmente la materia urbanistica, palesa ai diversi interlocutori come egli abbia contribuito in modo determinante alla sua elezione”. Della giunta di Rivolta, inoltre faceva parte anche Francesca Federica Novara, che viene nominata assessore alla Cultura, servizi demografici, politiche per l’istruzione e la formazione professionale, politiche giovanili, servizi allo sport, scelta perché è la nipote del “noto boss Alfonso De Murano già vertice della locale di ‘ndrangheta di quel comune ed assassinato nel 2005″, oltre che parente di Malena Cataldo, vicina a diversi indagati. Lo stesso Rivolta, dopo il suo arresto, ai pm ha detto “espressamente come la nomina della De Novara rappresentasse il risultato del pregresso accordo con il padre di quest’ultima, a fronte di un cospicuo numero di voti”.

I contrasti e la pax mafiosa – L’indagine è partita nell’aprile 2017 e ha documentato la capacità dell’associazione di infiltrarsi negli apparati istituzionali dell’area di Varese. Gli investigatori hanno inoltre accertato che dalla seconda metà del 2016 era in corso un processo di ridefinizione degli assetti organizzativi della locale di ‘ndrangheta di Legnano-Lonate Pozzolo, a seguito della scarcerazione di due boss condannati nei processi Infinito e Bad Boys e ora in contrasto tra loro. Le tensioni erano state risolte grazie all’intervento di Vincenzo Rispoli e di Giuseppe Spagnolo, al vertice della cosca Farao-Marincola che comanda nell’area di Cirò Marina e in stretto contatto con quella di Legnano-Lonate. Gli investigatori sono riusciti a documentare alcuni incontri organizzati per decidere come risolvere le controversie e assegnare territori e competenze agli affiliati.

Gli appetiti su Malpensa – Gli investigatori ritengono di aver ricostruito anche come le mani degli presunti ‘ndranghetisti fossero finite anche nella gestione del Parking Volo Malpensa e il Malpensa Car Parking, sequestrati dal gip del Tribunale di Milano Alessandra Simion assieme a metà delle quote della società Star Parkings. In totale il decreto ha consentito di sequestrare beni per un valore complessivo di 2 milioni di euro. I carabinieri sono riusciti a documentare summit criminali durante i quali, oltre alle questioni prettamente politiche, c’era anche la pianificazione imprenditoriale della cosca, i cui proventi erano investiti in parte nell’acquisto di ristoranti e di terreni per la costruzione di parcheggi poi collegati con navette all’aeroporto.

La collaborazione dell’imprenditore – I parcheggi erano finiti nel mirino degli esponenti della locale di ‘ndrangheta dopo una “pace forzata” seguita alle scarcerazioni di elementi di peso. Gli interessi sono stati ricostruiti grazie alla collaborazione di un imprenditore che – rifiutato di fare affari con gli ‘ndranghetisti – ha registrato e consegnato ai pm tutte le telefonate. In sostanza i malavitosi avrebbero sfruttato un “consulente”, riporta il Corriere della Sera, per spingere l’uomo a rinunciare a un investimento in un terreno da adibire a parcheggio o a entrare in società con loro. “Altrimenti vado lì e scasso tutto”, diceva il gancio della ‘ndrina.

Il consigliere “referente” dei calabresi – Agli arresti è finito anche Enzo Misiano, consigliere comunale di Fdi di Ferno che – stando all’indagine – era una sorta di “trait d’union tra l’ambiente politico locale ed esponenti di spicco della cosca mafiosa”. Misiano si è messo “a completa disposizione degli interessi della locale, cooperando con gli altri associati nella realizzazione del programma criminoso”, oltre a risultare “uomo di fiducia e autista di Giuseppe Spagnolo, elemento di spicco della cosca Farao-Marincola”. Assieme a Spagnolo avrebbe partecipato a due summit (il 16 maggio 2017 e l’1 dicembre 2017) “nel corso dei quali venivano definite strategie comuni e risolti contrasti interni al gruppo” tra cui la pacificazione tra Mario Filippelli (condannato nel 2010 per associazione mafiosa e tornato in libertà nell’agosto 2017) ed Emanuele De Castro (condannato per lo stesso reato nel 2011 e tornato in libertà nell’ottobre 2015). L’uomo di Fdi avrebbe svolto anche il delicato ruolo di anello di congiunzione tra la cosca e la politica nella sua qualità di responsabile per i territori dei comuni di Ferno e Lonate per Fratelli d’Italia. Da Spagnolo era stato nominato referente politico dei “calabresi” nell’area. Come consigliere del comune di Ferno e membro della commissione Territorio e della commissione Elettorale, ha posto “la propria opera a disposizione del gruppo criminale, occupandosi delle pratiche amministrative pendenti presso l’amministrazione comunale di Ferno, anche condizionandone l’esito e suggerendo escamotage e cavilli volti ad eludere oneri e costi amministrativi e fiscali”.

Perquisito un politico regionale – Nell’inchiesta risulta coinvolto “anche un altro esponente politico di livello regionale – sottolineano gli inquirenti in conferenza stampa – il coordinatore regionale dei Cristiani popolari Peppino Falvo”, ex presidente del cda di Afol. Anche alle consultazioni elettorali del 2018, ha spiegato la pm Alessandra Cerreti, “hanno tentato” di convogliare i voti nella zona di Lonate “ma il loro candidato viene battuto”. Tra gli indagati anche un perito che lavorava per la procura di Busto Arsizio: avrebbe fatto da ‘talpa’ su alcune indagini: “Non solo metteva a disposizione i propri servizi tecnici – hanno reso noto gli inquirenti – ma si faceva procacciatore di una serie di informazioni di accessi non autorizzati alle banche dati”.
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » gio lug 18, 2019 6:12 pm

Voglia di Mafia a Palermo e in Sicilia


'Palermo ha voglia di mafia, altro che legalità', parola del procuratore Lo Voi
18/07/2019

https://www.blogsicilia.it/palermo/pale ... voi/491862

Nella società palermitana “c’è una certa permeabilità anche se non siamo ai livelli di 20 e 30 anni fa. Alcuni imprenditori si rivolgono a Cosa nostra per ottenere favori e poi magari si vanno a iscrivere in una qualche associazione antimafia”. Così il capo della Procura antimafia di Palermo, Francesco Lo Voi, in un’intervista al Sole24Ore richiamata in prima pagina.

“C’è una voglia di mafia, e non solo a Palermo, che è di natura utilitaristica”, aggiunge Lo Voi parlando dell’inchiesta sul ritorno della mafia italo-americana a Palermo e dell’operazione della squadra mobile di Palermo e dell’Fbi che ieri ha portato alla luce i legami fra la famiglia Inzerillo, tornata al potere dopo la morte del boss Totò Riina, e la famiglia Gambino.

Cosa nostra “investe dove ci sono soldi: un tempo nei terreni, nell’edilizia oggi nell’energia e nei rifiuti. Negli ultimi anni anche in piccole cose: magari non si tratta di grandi affari ma permettono di incassare cifre utili per i bisogni delle varie famiglie”, chiarisce Lo Voi. Il rapporto tra mafia e politica, poi, secondo il procuratore, “è cambiato”. E spiega che oggi “conta di più per loro il rapporto con un funzionario piuttosto che con un politico”.



Lo Voi, in Sicilia c'è chi ha voglia di mafia
18/07/2019

https://www.palermomania.it/news/cronac ... 06939.html

Il magistrato ha commentato l'operazione New Connection che ha consentito di svelare i traffici tra le famiglie mafiose palermitane e i padrini di New York.

In Sicilia c’è ancora qualcuno che ha voglia di mafia. A dirlo, nel corso di una intervista pubblicata oggi sul quotidiano Sole 24 Ore, è il capo della Procura antimafia di Palermo Francesco Lo Voi.

Il magistrato ha commentato l’operazione New Connection condotta ieri da polizia italiana ed Fbi e che ha consentito di svelare i traffici tra le famiglie mafiose palermitane e i padrini di New York.

“I soldi derivanti dal traffico di stupefacenti non erano solo in possesso degli Inzerillo. A cominciare dal maxi processo è stato provato che erano coinvolti tutti gli esponenti di cosa nostra”. Al centro dell’analisi di Lo Voi proprio il tesoro della famiglia mafiosa di Palermo scappata dalla Sicilia negli anni Ottanta per la condanna a morte di Totò Riina e tornata “alla ribalta” della cronaca con gli arresti di ieri di alcuni loro esponenti e di quelli della famiglia Gambino.

“Il sequestro eseguito in questa operazione – ha spiegato Lo Voi – si riferisce ai reati contestati di intestazione fittizia. Va circoscritto dunque a queste indagini. Abbiamo visto che le famiglie mafiose continuano a operare grazie a prestanome nei settori della ristorazione e nell’ambito dei giochi online che servono sia per continuare a fare denaro sia per riciclare”.

Un tesoro che potrebbe, dunque, essere ormai difficile da trovare. “Giuseppe Di Lello, magistrato e acuto osservatore del fenomeno mafioso ha detto che probabilmente i soldi accumulati da cosa nostra con il traffico internazionale di stupefacenti degli anni ’70 e ’80 – spiega ancora il capo della Procura antimafia – non saranno mai trovati. Il ragionamento fatto da Di Lello ha un suo fondamento perché quel denaro è stato riciclato, reinvestito, si è mosso in mille direzioni”.

Ha, quindi cambiato forma. Lo Voi aggiunge: “Tutto ciò rende più difficili anche le indagini attuali. Poi noi scopriamo continuamente colletti bianchi che si mettono a disposizione dei mafiosi per nascondere il denaro”.

E qui il magistrato affronta il tema della voglia di mafia nella società. Una voglia “utilitaristica” di chi si rende disponibile a riciclare e moltiplicare così gli introiti illeciti dei clan.

“I grandi flussi finanziari dei mafiosi vanno in altri territori. Spesso all’estero – spiega il procuratore – e in alcuni casi abbiamo anche le prove”. Tra le pieghe degli ultimi provvedimenti emergono strani flussi di denaro da New York alla Sicilia: “Ci sono carte di credito al portatore – conferma – invece di portare in Sicilia mazzette di contante portano le carte di credito che danno meno nell’occhio. Ma non si tratta di grandissimi flussi di denaro”.

Dall’inchiesta New Connection, che ha portato a 19 arresti e al sequestro di beni per circa tre milioni, emerge anche come gli Inzerillo avessero costruito una sorta di agenzia di servizi per dirimere liti, trovare accordi e venissero cercati da tutti.

“Alcuni imprenditori – dice Lo Voi – si rivolgono a cosa nostra per ottenere favori e poi magari si vanno a iscrivere in una qualche associazione antimafia. C’é una voglia di mafia, e non solo a Palermo, che è di natura utilitaristica”.

Spiega, ancora, il capo della Procura siciliana: “Cosa nostra investe dove ci sono soldi: un tempo nei terreni, nell’edilizia, oggi nell’energia e nei rifiuti. Negli ultimi anni anche in piccole cose: magari non si tratta di grandi affari, ma permettono di incassare cifre utili per i bisogni della varie famiglie”. Cambiato pure il rapporto con la politica. “Oggi – sottolinea Lo Voi – conta di più per loro il rapporto con un funzionario piuttosto che con un politico”.

Il superlatitante Matteo Messina Denaro “continua a svolgere un ruolo importante nella sua provincia – conclude il magistrato -. Certo ha anche rapporti e collegamenti con la mafia palermitana. Deve essere chiara una cosa: anche la cattura di Matteo Messina Denaro non comporterà la fine di cosa nostra. Sarà un importantissimo arresto così come è avvenuto in passato per altri. Ma come abbiamo visto con gli arresti eccellenti cosa nostra non è finita”.



Colpo al clan Inzerillo, da Passo di Rigano a New York. Gli scappati di Cosa nostra volevano tornare al potere
Gabriele Ruggieri, Silvia Buffa
17 Luglio 2019

https://palermo.meridionews.it/articolo ... -al-potere

«Ora vediamo dopo questa morte cosa deve succedere». Parlava così Tommaso Inzerillo, intercettato mentre incontrava Settimo Mineo, ritenuto dagli investigatori come il successore di Salvatore Riina alla guida della nuova commissione provinciale di Cosa nostra. E la morte a cui fa riferimento è proprio quella del capo dei capi, che avrebbe potuto scrivere definitivamente la parola fine sul regno dei Corleonesi e dare nuove speranze agli scappati, i mafiosi fuggiti oltreoceano dopo avere avuto la peggio in quella che viene ricordata come la seconda guerra di mafia. Da Passo di Rigano a New York, sono oltre 200 gli agenti impegnati nell'operazione chiamata New Connection, che vede collaborare la polizia del capoluogo con l'Fbi per portare a termine i fermi disposti dalla Direzione distrettuale antimafia della procura di Palermo.

I reati contestati ai 18 fermi di stamattina sono a vario titolo quelli di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione aggravata, concorso esterno in associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori aggravato, concorrenza sleale aggravata dal metodo mafioso ed altro. Tra loro c'è anche un sindaco. Salvatore Gambino, primo cittadino di Torretta, un paese della provincia di Palermo, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. In particolare è emerso dalle indagini il forte collegamento tra gli Inzerillo e la potente famiglia newyorkese dei Gambino.


Gli altri fermati sono Tommaso Inzerillo, Thomas Gambino, Giovanni Buscemi, Francesco Inzerillo, Gaetano Sansone, Giuseppe Sansone, Alessandro Mannino, Calogero Zito, Rosario Gambino, Francesco Di Filippo, Giuseppe Spatola, Antonino Fanara, Gabriele Militello, Antonino Di Maggio, Santo Cipriano, Giuseppe Lo Cascio, Antonino Lo Presti.

Da quando lentamente alcuni scappati avevano iniziato il rientro in patria, nei primi anni 2000, ci sarebbe stata la trepidante attesa di riprendere il controllo a pieno regime dei vecchi affari. O quanto meno del vecchio status gerarchico all'interno di Cosa nostra, non solo a Passo di Rigano, dove la famiglia era tornata al vertice. Intanto i fratelli Inzerillo pare avessero una particolare influenza sull'economia legale del quartiere, secondo una capillare divisione di ruoli e mansioni: dalla fornitura alimentare all'ingrosso alle classiche estorsioni, passando per la gestione dei giochi e delle scommesse on line. Nonostante il sequestro dei beni messo a segno stamattina sia stimato attorno ai tre milioni di euro, tuttavia, il clan pagava ancora la sconfitta degli anni 80, che ne aveva oltretutto decimato le fila e lamentava l'impossibilità di esprimersi nel pieno della propria potenza. «Siamo tutti bloccati, siamo grandi», diceva ancora Tommaso a Mineo.

Un blocco che ha pesato molto sulla testa del clan, tanto che non mancano certo i momenti di nostalgia per quello che sarebbe potuto essere. «Se Stefano (Bontade ndr) restava vivo» sospirava Tommaso Inzerillo. «Li azzerava» commentava Simone Zito «... minchia, mamà! Cento picciotti. Centoventi erano con lui». Ma questo non succederà mai. Bontate viene ucciso la sera del suo 42esimo compleanno, il 23 aprile ‘81, mentre è fermo a un semaforo di via Aloi sulla sua nuova Alfa Romeo. Un omicidio che cambierà molti scenari, decretando anche l’inappellabile esilio degli scappati. Che sono in molti, anni e anni dopo, a temere, da un lato per una possibile vendetta in caso di ritorno in patria, dall’altro per la possibilità di volersi riprendere territori e affari lasciati di forza negli anni ‘80. Il primo di tutti è Antonino Rotolo, boss di Pagliarelli, ma c’è anche Antonino Cinà, il medico di fiducia di padrini e latitanti. Ma dalla parte degli Inzerillo ci sarebbero anche dei sostenitori, «una pluralità eterogenea di soggetti mafiosi, alcuni dei quali storicamente legati agli Stati Uniti d’America e alle famiglie della LCN (La Cosa nostra) statunitense», tra i quali spicca Salvatore Lo Piccolo, favorevole al loro rientro e solleticato dall’idea di una possibile alleanza.

Due schieramenti opposti, che cercavano entrambi di ottenere l’approvazione di Bernardo Provenzano. Che, dal canto suo, consapevole della profondità del contrasto in corso e del rischio che esso portasse ad episodi di violenza fino a sfociare in una nuova possibile guerra di mafia, ha evitato fino all’ultimo, pur mostrandosi in linea di principio possibilista, di prendere una posizione chiara e ha preferito invece, per evitare che la situazione precipitasse, temporeggiare ed inviare messaggi carichi di ambiguità. La difficoltà per giungere ad una decisione sull’argomento era dovuta al fatto che la questione rientrava nella competenza della Commissione, che già aveva deliberato l’esilio dei perdenti. Decisione questa che non poteva essere modificata in quanto la Commissione non poteva più riunirsi a causa della detenzione dei suoi componenti che, comunque, mantenevano ancora formalmente la loro carica.

«Io vi prego se possiamo trovare un accordo tutti insieme quelli che siamo fuori e là dove è possibile risolviamo le cose con la responsabilità di tutti - scriveva proprio Provenzano in un pizzino indirizzato a Lo Piccolo -. Il mio fine è di evitare di poterci accusare l’uno con l’altro là dove ci fosse qualcuno che potesse chiedere conto di alcune cose». Una lettera simile Provenzano l’aveva inviata anche a Rotolo, di cui si parla in una conversazione del 6 settembre 2005 intercettata dagli inquirenti che ascoltano il boss di Pagliarelli con Gaetano Sansone. «Dice, per quanto riguarda la questione degli Inzerillo dato che ormai di quelli che hanno deciso questa cosa non c’è più nessuno, siamo rimasti… a potere decidere questa cosa, siamo solo tre, io, tu e Lo Piccolo…Lui ha sbattuto la testa quando era piccolo! Cioè io, lui…… e tutti gli altri sono stracci, immondizia. Aspetta un minuto, questa qualifica a Lo Piccolo chi gliel’ha data? Perché il mandamento è a San Lorenzo e pure noi di qua riconosciamo a Nino, no a lui».

Per opporsi alla possibilità del rientro degli scappati,Rotolo si faceva forte del fatto che l’originaria decisione sul punto della Commissione non poteva essere assolutamente modificata, nemmeno con l’accordo dei tre capimafia rimasti liberi. «Loro se ne devono restare in America, fu stabilito dallo zio Totuccio R., anche se arrestato è sempre lui il capo commissione, lasciamo il discorso come stabilito all’epoca», è infatti la risposta che Rotolo, d’accordo con Cinà, fa arrivare a Provenzano. Ma di fatto quegli scappati, a un certo punto, qui ci sono tornati. A Palermo erano rimasti solo la moglie di Totuccio Inzerillo e uno dei figli rimasto vivo, Giovanni. Tutti gli altri erano fuggiti via, scappati appunto. Per poi fare ritorno anni dopo. Uno è Franco ‘u truttaturi, Francesco Inzerillo, uno dei fratelli di Totuccio Inzerillo oggi 63enne, l’altro è suo cugino Tommaso Inzerillo, di 70 anni, per gli inquirenti esponente di vertice della famiglia mafiosa di Passo di Rigano-Boccadifalco, decimata durante la seconda guerra di mafia.

Il primo veniva espulso dagli Usa il 30 settembre 1997, con rimpatrio forzato in Italia. Seguito a ruota, nel 2004, dal fratello Rosario. Ritorni che hanno subito innescato forti tensioni all’interno di Cosa nostra. Sia Francesco che Tommaso vengono arrestati nel 2006 con l’operazione Gotha, per finire poi scarcerati a distanza di pochi anni l’uno dall’altro, nel 2011 il primo e nel 2013 il secondo. «Ci possiamo fare un salto a Passo di Rigano? Arrivo e ce ne andiamo, gli devo lasciare un nominativo». Sono da poco passate le 11 del mattina del 6 marzo 2017 quando Settimo Mineo incontra i due cugini Inzerillo. Si vedono, anche se per pochissimo, al civico 81 di via Castellana, dove c’è la Karton Plastik, attività intestata alla moglie di Francesco Inzerillo. E ancora, il 10 marzo, il 22 e il 25 maggio, sempre lì, stesso posto stessa via. Incontri, i loro, che non durano nemmeno dieci minuti, ma tanto basta per discutere del necessario e congedarsi poi con un bacio.
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » mer lug 31, 2019 9:17 am

Blitz contro un clan reggino, arrestati politici e imprenditori
In manette 17 persone affiliate alla cosca Libri della 'ndrangheta calabrese
ALESSIA CANDITO
31 luglio 2019

https://www.repubblica.it/cronaca/2019/ ... -fiSRLwwHM


REGGIO CALABRIA. In silenzio hanno costruito un impero, e i loro tentacoli arrivavano ovunque, dalla politica alla pubblica amministrazione. Diciassette persone, ritenute appartenenti o vicine allo storico casato mafioso dei Libri di Reggio Calabria, sono state arrestate questa notte dalla Squadra mobile di Reggio Calabria. Fra loro ci sono anche diversi politici, attivi in ambito cittadino e regionale e in entrambi gli schieramenti.

Si tratta di Alessandro Nicolò, ex capogruppo di Forza Italia oggi passato a Fratelli d'Italia, arrestato e condotto in carcere; Sebastiano Romeo, capogruppo del Pd in consiglio regionale, finito ai domiciliari; mentre è indagato a piede libero Demetrio Naccari Carlizzi, ex consigliere regionale e uomo forte dell'area renziana del Pd, nonché cognato del sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà.

Forte di un enorme bacino di voti, attraverso i propri uomini, fra cui diversi imprenditori di fiducia, i Libri interloquivano con i politici di tutti gli schieramenti, cui offriva appoggi e consensi in cambio di appalti, favori ed entrature. Alle regionali del 2014 però, secondo gli investigatori il clan aveva scelto Nicolò di Forza Italia come proprio candidato. E l’allora aspirante consigliere regionale non avrebbe esitato a chiedere appoggi, offrendo in cambio posti di lavoro e favori a uomini notoriamente appartenenti al clan. Fatti provati, documentati, tanto da spingere il giudice per le indagini preliminari ad autorizzare l’arresto per il politico.

Sono accuse – e anche pesanti – ma rimane indagato a piede libero Demetrio Naccari Carlizzi. Per gli investigatori, l’ex consigliere avrebbe stretto uno “stabile, solido e proficuo” accordo con i clan più importanti per la città di Reggio Calabria in occasione delle elezioni comunali e regionali, “chiedendo per sé e per i candidati indicati i voti raccolti dai rappresentanti di ‘ndrangheta”. Per Seby Romeo, finito ai domiciliari, l’accusa invece è di aver corrotto un funzionario della Corte d’appello di Reggio Calabria, il maresciallo della Guardia di Finanza, Francesco Romeo. Questi, chiedeva a Sebi Romeo di far assumere una persona in una locale impresa di trasporti ed autolinee ed in cambio gli prometteva di fornirgli informazioni, coperte da segreto istruttorio, relative a procedimenti pendenti presso la Procura della Repubblica di Reggio Calabria.

Insieme a loro, in manette sono finiti noti imprenditori apparentemente irreprensibili e formalmente slegati dal contesto mafioso, in realtà alle dipendenze del clan come veri e propri associati o concorrenti esterni. Fra loro ci sono anche l’ex assessore comunale Demetrio Berna e il fratello Francesco, titolari di una delle imprese di costruzioni più importanti della città e pezzi da novanta della locale Confindustria.
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » dom set 08, 2019 1:13 pm

Roma, banda dei vigili urbani ricatta i ristoratori: "Dateci i soldi, oppure vi multiamo"
Gaetano Perrotta


https://news.fidelityhouse.eu/cronaca/r ... zrPC1YGqdU

A Roma si è verificata una vicenda che deve porre delle riflessioni in quanto una banda di vigili urbani ha cominciato a ricattare i ristoratori. La richiesta è avvenuta attraverso queste parole: “O ci date i soldi, oppure vi multiamo”. Un gesto da paragonare al pizzo che viene chiesto dalle persone malavitose.

A quanto pare sono diversi i ristoratori coinvolti in questa vicenda nella capitale, tra il centro e i quartieri Parioli e San Lorenzo. I proprietari dei ristoranti sono stati costretti a dare del denaro dopo aver ricevuto la richiesta da una banda di vigili urbani. Quattro sono stati iscritti nel registro degli indagati e, nel momento in cui si è arrivati alla quinta persona, a piazzale Clodio, si è giunti a un accelerarsi delle indagini.

Le indagini svolte da Terracina e Ielo

Questa quinta persona in precedenza era stata condannata a quattro anni di carcere per questo stesso reato. Un ruolo importante rispetto a queste indagini è stato svolto dal pubblico ministero Claudia Terracina e dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, dopo aver fatto i conti con la denuncia da parte di un ristoratore del quartiere di San Lorenzo.

Altri elementi di rilievo sono stati legati alle intercettazioni, all’interno delle quali si trovano gli sfoghi dei negozianti e i commenti dei vigili che hanno fatto altre richieste di denaro. Un merito per aver fatto emergere la verità deve essere dato anche al proprietario di “Da Franco al Vicoletto”, che è stato costretto dal vigile Claudio Franchini alla consegna di 400 euro.

In precedenza lo stesso ristoratore è stato costretto al versamento di 500 euro dopo aver ricevuto delle minacce pesanti: “O si collabora oppure si rischiano sanzioni, tipo l’ultima inflitta, di 800 euro”. Il funzionario di Roma Capitale ha provato a trovare delle giustificazioni spiegando che si trattava di un prestito: “Avevo bisogno di quei soldi per i regali di Natale, li avrei restituiti col prossimo stipendio”. Infine, il vigile era indagato anche per l’uso di sostanze stupefacenti, e gli uomini della Mobile hanno trovato nella sua abitazione delle dosi di cocaina.

https://www.ancupm.it/content/zoom.asp?id_news=17870
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » sab set 28, 2019 8:45 pm

Mafia a Brescia, arrestato direttore Agenzia Entrate
27 settembre 2019

https://quibrescia.it/cms/2019/09/27/ma ... EsUkBjcGEY

Nella giornata di ieri, giovedì 26 settembre, con la presentazione tra Brescia e Caltanissetta dell’operazione “Leonessa” che ha portato a sgominare un’organizzazione mafiosa arrivata fino al nord Italia e con i componenti del clan Stidda che avrebbero fatto da intermediari con gli imprenditori, sono emersi altri nomi di quelli finiti nei guai. L’indagine ha portato a 69 arresti e 200 indagati, con un sequestro di beni pari a 35 milioni di euro. A proposito del triumvirato che al nord reggeva il sistema, a Torino c’era Angelo Fiorisi che aveva scontato 20 anni di carcere per mafia. A Milano Roberto Ragnolo, anche lui spesso in carcere, ma per droga. A Brescia, invece, il punto di riferimento in base alle indagini era Rosario Marchese.

Catanese e residente a Lonato del Garda dove era costretto alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, nel 2018 nei suoi confronti la Direzione investigativa antimafia gli aveva sequestrato beni immobili per 15 milioni di euro, comprese alcune sue società nello Skyline di Brescia. Altri coinvolti nell’indagine di ieri nel bresciano con l’accusa di associazione mafiosa sono Gianfranco Casassa di Berlingo finito in carcere e ritenuto l’uomo in grado di far risorgere, in modo illecito, le aziende in crisi e Alessandro Scilio a Lonato. E tra quei “colletti bianchi”, come vengono chiamati nell’operazione di ieri, cioé presunti mafiosi che avrebbero fatto da mediatori con gli imprenditori, ci sono un commercialista bresciano, due torinesi e un imprenditore di Orzinuovi tutti accusati di indebita compensazione di tributi.

E a proposito di questi, sono stati arrestati anche titolari che compravano crediti superiori ai 500mila euro e che si sarebbero fatti aiutare dall’organizzazione criminale per non pagare le tasse. Si tratta di persone di Brescia, Lumezzane, Toscolano Maderno, Gianico e Montichiari. Ma uno degli arresti che sicuramente fa più rumore è quello del direttore dell’Agenzia delle Entrate di Brescia Generoso Biondi e del funzionario Alessandro De Domenico, accusati di corruzione. Entrambi sono stati condotti in carcere per aver intascato mazzette rendendo i controlli più leggeri o senza nemmeno guardare le posizioni di alcuni contribuenti. E nell’elenco dei fermati ci sono altri professionisti, operanti nel campo della finanza e Fiamme Gialle infedeli.
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » gio feb 13, 2020 8:24 am

Argentina, Kirchner attacca gli italiani: "Mafiosi per genetica"
Federico Giuliani - Mer, 12/02/2020

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/ar ... iWtJXexIDw

La vicepresidente argentina Cristina Kirchner ha detto che gli italiani sono “mafiosi per genetica”. Scoppia la polemica

Parlando alla Fiera del Libro all'Avana, la vicepresidente argentina Cristina Kirchner ha attaccato il popolo italiano definendolo mafioso “per genetica”.

Partendo dall'utilizzo del sistema giudiziario per screditare un avversario politico, Kirchner ha detto che “in Argentina il lawfare ha avuto una componente mafiosa che ha provocato la persecuzione dei miei figli”.

A proposito della componente mafiosa citata, questa, secondo la vicepresidente, “deve essere probabilmente causata dagli antenati di chi è stato presidente proprio come ha denunciato un noto giornalista del giornale Pagina 12 quando ha parlato della 'ndrangheta. Devono essere quegli antenati".

Chiaro il riferimento a Mauricio Macri, avversario di Kirchner nonché ex presidente dell'Argentina di origini italiane. La dichiarazione non è certo passata inosservata; ha scatenato polemiche immediate e suscitato una immediata presa di distanza del presidente in carica, Alberto Fernandez, che si è dissociato da Kirchner, sottolineando che “i valori dell'Italia sono fondamentali in Argentina”.

Il presidente Fernandez prova a ricucire lo strappo

Il presidente Fernandez ha poi postato su Twitter una foto del suo incontro con l'ambasciatore d'Italia a Buenos Aires, Giuseppe Manzo. La didascalia all'immagine è emblematica di un tentativo di ricucire lo strappo provocato da Kirchner: “Con l'ambasciatore italiano @beppemanzo condividiamo i risultati della visita a Roma. Abbiamo parlato di investimenti produttivi e di cooperazione scientifica e tecnologica. Abbiamo anche evidenziato il contributo della comunità italiana e dei suoi valori allo sviluppo dell'Argentina".

In ogni caso, tornando alle parole usate da Kirchner, la Fondazione Apollo ha denunciato la vicepresidente per manifestazioni "italofobiche": “Le espressioni usate dalla vicepresidente della Nazione presentano un carattere discriminatorio, in quanto attribuiscono una sospetta condotta mafiosa di una persona ai suoi “antenati”, come se i comportamenti etici o contrari all'etica non dipendessero dalla libera determinazione degli esseri umani, ma dalla loro discendenza, dalla loro origine etnica".

La Fondazione Apollo ha concluso così la sua replica a Kirchner: "Contrariamente alla tesi italofobica dell'ex presidente, due dei nostri più grandi leader, che incarnano onestà, distacco personale, protezione del patrimonio dello Stato e disinteresse per il patrimonio straniero e proprio, sono Manuel Belgrano e Arturo Illia, entrambi discendenti di italiani".


Gino Quarelo
Non gli italiani in generale ma una certa parte degli italiani in particolare. In Brasile (a Santa Catarina e al Rio Grande do Sul) dove sono migrati prevalentemente i veneti non c'è nessuna mafia o camorra o ndrangheta e tutti vivono in pace e serenamente del loro lavoro.
Cerchiamo di non fare di tutte le erbe un fascio e di tenere da parte la gramigna.
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » mer feb 19, 2020 7:29 am

Mafia, arrestato il fratello della vedova Schifani nel blitz sulla cosca dell'Arenella
Giuseppe Costa è accusato di associazione mafiosa, raccoglieva i soldi del pizzo e si occupava dell'assistenza delle famiglie dei carcerati
di SALVO PALAZZOLO
18 febbraio 2020

https://palermo.repubblica.it/cronaca/2 ... 6U0h9X8BsA

Il ricordo della strage di Capaci resta legato alla sua immagine: una giovane donna in lacrime, appena rimasta vedova, che nella Cattedrale di Palermo si rivolge ai mafiosi che le hanno ucciso il marito e urla: "Io vi perdono ma vi dovete inginocchiare". Rosaria Schifani, vedova di Vito Schifani, saltato in aria su una montagna di tritolo il 23 maggio del 1992, è diventata l'emblema del dolore di un'intera nazione. Oggi, a distanza di 28 anni dall'attentato, si torna a parlare di lei e della sua famiglia perché tra gli arrestati nel blitz della Dia che ha riportato in cella il boss palermitano Gaetano Scotto c'è suo fratello, Giuseppe Costa, ufficialmente muratore, di fatto, dicono gli investigatori, riscossore del pizzo per conto del clan.

Giuseppe Costa è accusato di associazione mafiosa: sarebbe affiliato alla famiglia di Vergine Maria. Per conto della cosca avrebbe tenuto la cassa, gestito le estorsioni, "convinto" con minacce le vittime - imprenditori e commercianti - a pagare la "tassa" mafiosa, assicurato alle famiglie dei mafiosi detenuti il sostentamento. Ristoranti, negozi, concessionarie di auto, imprese: nel quartiere pagavano tutti e Costa sarebbe stato tra i collettori del pizzo. Gli inquirenti lo descrivono come pienamente inserito nelle dinamiche mafiose della "famiglia", tanto che, alla scarcerazione del boss della zona, Gaetano Scotto, per rispetto al padrino invita le sue vittime a dare il denaro direttamente a lui.

Le indagini dicono che Costa era da molti anni vicino a Cosa nostra. E aveva preso anche le distanze da quelle parole pronunciate dalla sorella, che oggi vive lontano dalla Sicilia.

L'ultima indagine della procura di Palermo fotografa anche il ruolo di vertice che Scotto aveva riconquistato nel clan. Già accusato di mafia, il boss è ora parte civile nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D'Amelio, costata la vita al giudice Paolo Borsellino. Accusato ingiustamente da falsi pentiti fu condannato all'ergastolo e poi scarcerato. Oggi siede come vittima davanti ai tre poliziotti accusati di aver depistato l'indagine. Nel blitz di oggi è stato coinvolto anche il fratello Pietro, tecnico di una società di telefonia, anche lui accusato nell'inchiesta sull'uccisione di Paolo Borsellino. Per la polizia aveva captato la chiamata con cui il magistrato comunicava alla madre che stava per andare a farle visita nella sua abitazione di via D'Amelio davanti alla quale fu piazzata l'autobomba. Pietro Scotto, condannato in primo grado, era stato poi assolto in appello.


Sicania o Siçiłia (ladri e parasidi)
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... =94&t=1748
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