Banche venete e italiane, ruberie e depredazioni

Re: Banke e łe so ladrarie

Messaggioda Berto » dom mar 05, 2017 7:58 pm

ANATOCISMO E STUPIDITÀ DEI FINTI DIFENSORI DEI CONSUMATORI
di MATTEO CORSINI

http://www.miglioverde.eu/anatocismo-e- ... onsumatori

Quando mi capita di occuparmi di questioni bancarie sostengo che di motivi per essere critici ce ne sono parecchi, ma spesso chi lancia strali e grida di allarme lo fa per i motivi sbagliati. Un esempio è il famigerato anatocismo, ossia la pratica di calcolare interessi su interessi.
Va detto che in passato, in effetti, le banche ne hanno fatte un po’ di tutti i colori, ovviamente con il benestare delle autorità di vigilanza. In sostanza gli interessi attivi (passivi per i clienti) erano calcolati per lo più trimestralmente, mentre quelli passivi (attivi per i clienti) erano calcolati annualmente. Le banche vennero poi (giustamente) obbligate a utilizzare la stessa periodicità per il calcolo e la liquidazione degli interessi sia attivi, sia passivi.
La pretesa, però, che non fossero calcolati interessi su interessi, che pure ha trovato consensi da parte di soggetti in parte finanziariamente ignoranti e in (larga) parte in malafede (è il caso delle associazioni di consumatori e di pseudo consulenti) non trova riscontro fuori dall’Italia.

Il punto è semplice. Supponiamo per facilità di esposizione che un cliente abbia un saldo a credito sul conto corrente costantemente pari a 100 euro per tutto l’anno, con un tasso pari all’1 per cento. A fine anno la banca accredita 1 euro di interessi (in realtà 0,74 euro, perché 26 centesimi se ne vanno allo Stato, ma per comodità facciamo finta di essere in un mondo privo di tasse). A partire dal 1° gennaio dell’anno successivo il saldo è pari a 101 euro e, se non cambia nulla, alla fine dell’anno successivo la banca accredita 1,01 euro (ossia calcola gli interessi al tasso dell’1 per cento su 101 euro), portando il saldo a 102,01.
Di questo nessuno si lamenta.
Poniamo il caso, al contrario, che il cliente abbia un saldo a debito, come accade tipicamente nel caso di un’apertura di credito in conto corrente. Supponiamo anche che il saldo a debito sia stato pari a 100 euro tutto l’anno, al tasso del 5 per cento. A fine anno la banca calcola gli interessi, pari a 5 euro. Se il cliente non versa quella somma, a partire dal 1° gennaio dell’anno successivo il saldo negativo dovrebbe essere pari a 105 euro, dato che la banca, di fatto, sta prestando al cliente altri 5 euro. Quindi alla fine dell’anno successivo gli interessi dovrebbero essere calcolati su 105 euro.

Di questo si lamenta chi è contrario all’anatocismo. Per esempio Elio Lannutti di Adusbef, che per l’occasione ha trovato ospitalità sul blog di Beppe Grillo. Scrive Lannutti: “La pratica di far pagare gli interessi sugli interessi, adottata dagli istituti di credito per oltre mezzo secolo, espressamente vietata dal legislatore dal 1 gennaio 2014, è diventata a tutti gli effetti consentita su base annua, da un emendamento del 7 aprile 2016, approvato al Senato dalla maggioranza di Governo con il decreto di riforma delle banche di credito cooperativo e dalla delibera 343 del Comitato interministeriale credito e risparmio“.

Ciò che il legislatore aveva fatto nel 2014 era semplicemente abominevole dal punto di vista finanziario, perché è pacifico che se si conviene che la periodicità di calcolo degli interessi sia annua, quando gli interessi sono dovuti ci sono solo due possibilità: o il debitore li paga, oppure aumenta il suo debito per l’importo degli interessi, ed è normale che il creditore esiga interessi anche su quella somma. Così come avviene nel caso in cui il cliente presenti un saldo a suo credito.
L’emendamento del 2016 non serviva a far altro che riportare l’Italia in linea con il resto del mondo civile. Peraltro, come spesso accade, la soluzione è raffazzonata e finisce con il regalare due mesi di interessi al debitore. Infatti, mentre gli interessi passivi (attivi per il cliente) sono accreditati al 31 dicembre e su di essi maturano altri interessi a partire dal 1° gennaio successivo, gli interessi attivi (passivi per il cliente) vengono calcolati, ma possono essere addebitati solo a partire dal 1° marzo successivo e se ciò è espressamente autorizzato dal cliente.
In pratica il debitore ha due mesi di tempo per pagare gli interessi o autorizzarne l’addebito a partire dal 1° marzo. Ovviamente le banche prevedono l’introduzione di clausole contrattuali che autorizzino tale addebito. L’alternativa non può che essere la revoca del fido a quel cliente che, non pagando gli interessi, di fatto diventerebbe insolvente, andando ad aumentare i famigerati crediti deteriorati che già pesano per oltre 300 miliardi lordi sui bilanci delle banche italiane.
È bene ricordare che le banche operano in minima parte (circa il 10 per cento) con denaro degli azionisti (ossia dei proprietari), utilizzando per lo più denaro di depositanti e obbligazionisti. Che sono sovente le stesse persone che i Lannutti di questo mondo avrebbero la pretesa di tutelare.
Non aggiungo altro.
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Re: Banke e łe so ladrarie

Messaggioda Sixara » mar mar 07, 2017 4:15 pm

BpVi: I salvati

'pena n tenpo ... e kei altri? sommersi :|
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Re: Banke e łe so ladrarie

Messaggioda Berto » ven mag 12, 2017 7:40 am

Maria Elena Boschi e gli interessamenti per Banca Etruria, nel 2014 summit in casa per difenderla dai diktat Bankitalia
Giorgio Meletti

http://www.ilfattoquotidiano.it/premium ... bankitalia

Un sabato di marzo del 2014 Flavio Trinca, presidente di Veneto Banca, e Vincenzo Consoli, amministratore delegato, sono saliti in macchina e hanno percorso di gran carriera i 330 chilometri che separano Montebelluna in provincia di Treviso (sede della banca) da Laterina in provincia di Arezzo. Lì hanno suonato il campanello della villa di Pier Luigi Boschi, consigliere di amministrazione di Banca Etruria, che li attendeva con il presidente Giuseppe Fornasari. I rapporti sono oliati. È proprio Fornasari ad aver voluto nel 2011 Boschi nel cda della banca, in rappresentanza del mondo agricolo aretino. Ed è ancora Fornasari a conoscere bene Trinca: entrambi sono stati deputati, entrambi hanno alle spalle la militanza nella Dc, sebbene in due diverse correnti, l’aretino era fanfaniano (come Boschi), il trevigiano stava con Carlo Donat-Cattin in Forze Nuove.

La rimpatriata scudocrociata non spiega i 660 chilometri in macchina tra andata e ritorno. Il fatto è che Boschi ha organizzato un vertice con la figlia Maria Elena, che da pochi giorni è entrata nel nuovo governo Renzi come ministro delle Riforme, coronando la scalata al potere condotta accanto al suo leader. I tre visitatori vanno speranzosi, guardano alla giovane ministra come alla protettrice dei banchieri disperati. Lei ascolta, loro le spiegano le amarezze che li accomunano. Da alcuni mesi sia Etruria sia Veneto Banca sono nel mirino della Vigilanza di Bankitalia. Nel corso del 2013 severe ispezioni si sono concluse con letteracce molto simili del governatore Ignazio Visco. Identico il concetto: le vostre banche sono scassate assai, dovete al più presto trovarvi un “partner di elevato standing”, cioè una banca più grande e più sana che vi assorba e vi salvi. Identico il sottotesto, esplicitato a quattr’occhi dal severo capo della Vigilanza Carmelo Barbagallo: consegnatevi alla Popolare di Vicenza di Gianni Zonin. Gli uomini di Etruria se lo sentono dire il 5 dicembre, Consoli il 19 dicembre.

Le due banche recalcitrano, per due ragioni. La prima è che sono due Popolari, cioè due cooperative, che assommano circa 150 mila soci che decidono una testa un voto. Chi glielo va a dire che devono consegnarsi senza condizioni al rivale Zonin, il quale ha fatto subito sapere a Fornasari e Trinca che per aretini e trevigiani non ci sarà posto nel cda nella nuova bancona che nascerà dalle due fusioni?

La seconda ragione è più velenosa: i banchieri disperati ritengono che la banca di Zonin sia messa peggio delle loro, e che Barbagallo, forse ingannando lo stesso Visco, stia assediando Arezzo e Montebelluna non per salvare le loro banche ma per darle in pasto alla Popolare di Vicenza, istituto amatissimo da Palazzo Koch e aiutarla a tirarsi fuori dai guai serissimi in cui si è cacciata, nella distrazione della Vigilanza.

La neo ministra ascolta e annuisce. La missione di cui il padre – organizzando l’incontro – la invita di fatto a farsi carico è di mettere a disposizione di Etruria e Veneto Banca “lo spirto guerrier” del nuovo governo per rintuzzare l’aggressività di Palazzo Koch. In realtà non succede niente.

Pochi giorni dopo uno spettacolare blitz della Guardia di Finanza ordinato dal procuratore della Repubblica di Arezzo Roberto Rossi e originato da una denuncia di Barbagallo, fa secco Fornasari con accuse poi rivelatesi infondate al processo di primo grado. Lorenzo Rosi diventa presidente di Etruria e Boschi padre vicepresidente. Ma intanto Bankitalia continua a menare fendenti. La verità è che Matteo Renzi, non appena insediato a Palazzo Chigi, ha attaccato il governatore Visco chiedendogli di ridurre il suo stipendio da 495 mila euro annui a 248 mila, il tetto fissato per tutti i dirigenti pubblici. Visco lo manda al diavolo invocando l’indipendenza della Banca d’Italia. Lo strappo tra Palazzo Chigi e Palazzo Koch è velenoso, e non sarà mai ricucito.

Di fatto sarà Etruria la più maltrattata da Bankitalia nei mesi turbolenti delle crisi bancarie. Visco subisce il no a Zonin e va in pressing sugli aretini perché si trovino un compratore. Rosi, Boschi e gli altri battono tutte le strade possibili. Nell’estate 2014 Boschi si fa presentare il piduista Flavio Carboni dall’amico Valeriano Mureddu. Lavorano sull’ipotesi di far salvare Etruria dal fondo Qvs dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani, lo stesso al quale, secondo indiscrezioni de La Stampa, si sarebbe rivolto Renzi nei giorni scorsi per chiedergli di salvare Alitalia. Non cavano un ragno da un buco. Si rivolgono allora alla banca francese Lazard e poi a Mediobanca, le quali contattano almeno una trentina di banche in tutta Europa ma ottengono solo dei cortesi “no grazie”. Questo spiega perché a gennaio 2015 la ministra, in un ultimo disperato tentativo,si rivolge in modo pressante al numero uno di Unicredit Federico Ghizzoni chiedendogli di salvare la baracca aretina e paterna. Lui risponde educatamente ma prende tempo.

Il 7 febbraio Rosi va a Torino e parla con Ghizzoni in occasione del discorso di Visco al Forex. Non serve a niente. Due giorni dopo il governatore firma il commissariamento di Etruria. Un anno dopo la Boschi si vendicherà con una rancorosa intervista al Correre della Sera senza nominare Visco e Barbagallo ma salutandoli come “le stesse persone che un anno fa suggerivano a Banca Etruria un’operazione di aggregazione con la banca di Zonin”.
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Re: Banke e łe so ladrarie

Messaggioda Berto » ven mag 12, 2017 7:51 am

???
Sono ORGOGLIOSO di aver detto in faccia alla BOSCHI quello che pensano milioni di italiani su BANCA ETRURIA e sulle altre truffe bancarie!
https://www.facebook.com/salviniofficia ... 0424908155
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Re: Banke e łe so ladrarie

Messaggioda Berto » mer mag 31, 2017 7:51 pm

???


Le vere cause dell’”affanno” del Monte dei Paschi
Data: 22 maggio 2017 18:05
in: Lettere
Aurigi: "Come il “decisionismo” ha demolito la “senesità”"
http://www.ilcittadinoonline.it/lettere ... dei-paschi

di Mauro Aurigi

SIENA. Trovo irritante il modo con cui troppi oggi continuano ad attribuire le condizioni in cui il Monte dei Paschi versa, alla indebita “occupazione” della banca da parte della sedicente sinistra. Lo trovo irritante perché tutti, ma proprio tutti tacciono scientemente (o inconsapevolmente per propri limiti personali) su un fatto indiscutibile: essi stanno illustrando un effetto, il quale, come tutti gli effetti, ha una causa che, ovviamente, sta a monte e che, ovviamente, viene tranquillamente trascurata.

LA PRIVATIZZAZIONE, MADRE DI TUTTE LE NEQUIZIE

Non si interrogano infatti sul perché tutti quegli avidi signori insediatisi nella banca non abbiano potuto ordire alcuna delle loro sordide imprese prima del 1995, quando il loro potere politico era ancora più forte. Insomma ai critici sfugge (?) che il 1995 non è solo lo spartiacque tra banca pubblica e banca privata, ma anche tra banca bene amministrata e banca male amministrata. E quindi sfugge (?) loro che la madre di tutte le nequizie fu appunto la privatizzazione della Banca nel 1995, sostenuta da tutte le forze che in Italia contano: partiti e politici (tutti: non solo Pci ma anche Fi e L.N. in testa), Confindustria e confindustriali (tutti), sindacati e sindacalisti (tutti), giornaloni e giornalistoni (tutti), economisti e cattedratici (tutti), Banca d’Italia (tutta) e perfino la Chiesa. Allora si oppose solo l’ “Associazione per la difesa del Monte”, in sintonia con la stragrande maggioranza dei Senesi (le Contrade affissero anche un pubblico manifesto). Lo scontro ovviamente fu impari (furono respinti ben tre tentativi di indire un referendum comunale) e la banca fu “privatizzata”, termine che ha la sua radice in “privare”. Come aspettarsi, dopo, che il Monte non facesse la fine di tutte le imprese pubbliche quando vengono privatizzate? Si pensi a come è stata ridotta la Telecom, già più grande impresa italiana, dopo la privatizzazione.

Ciononostante l’ “Associazione” fece immediato ricorso al TAR (la banca apparteneva all’erario comunale e non a quello statale), il quale assai sollecitamente rispose 11 anni dopo e solo per sapere se eravamo ancora interessati all’emissione di una sentenza. Ovviamente neanche rispondemmo: come interloquire con un TAR che, per annullare le nuove nomine nella Deputazione amministratrice del Monte fatte dal sindaco Piccini nel 1995 in funzione anti-privatizzazione, ci mise invece solo 20 giorni dalla presentazione di un ricorso avanzato dallo stesso Monte?

QUALE ALTERNATIVA POTEVA ESSERCI?

Ora, tanto zelo dei critici verso chi ha amministrato il Monte dopo la privatizzazione del 1995, sarebbe giustificato se solo essi riuscissero a ipotizzare un’alternativa a quegli amministratori “privati” insediatisi al Monte dopo il 1995, alternativa che avrebbe potuto essere una sola: la presa del potere politico da parte di Forza Italia-Lega Nord, invece della sedicente sinistra. Ecco allora che i critici sarebbero stati accontentati: il Monte avrebbe potuto avuto come presidente Verdini, oggi condannato a 9 anni di carcere per il fallimento del Credito Cooperativo Fiorentino, e magari come vice-presidente un figlio di Bossi in rappresentanza della Lega che già aveva distrutto la sua Banca CredieuroNord. Verdini al posto di Mussari e Bossi al posto di Gabriello Mancini? Ma per favore!.....

Ma quello che più irrita è l’agile balzo con cui quei critici evitano ogni accenno al fatto che anche eccellenti berlusconiani di provata fede facessero parte del governo del Monte dopo la privatizzazione, come – tanto per citarne due – Querci e Pisaneschi (quest’ultimo premiato anche con la presidenza dell’Antonveneta e ho detto tutto). Si è mai sentito da parte di questi un solo preoccupato commento a proposito della gestione “spendereccia” del Monte? O si è mai sentito un intervento da parte di Berlusconi contro quei “comunisti” che amministravano il Monte e che invece altrove gli rovinavano il sonno e la digestione? No, vero? Il fatto è che anche per loro valeva il principio che non si sputa nel piatto in cui si mangia tanto e bene.

QUANDO GLI AMMINISTRATORI SENTIVANO IL FIATO DEL POPOLO SUL COLLO

Che sia stata la privatizzazione a scuotere sin dalle radici il Monte, l’aveva profeticamente e sinteticamente spiegato bene il democristiano Barucci, arrivato alla presidenza della banca nel 1983. Intervistato dal “Sole 24 Ore”, così rispose quando gli fu domandato che effetto facesse passare dalla presidenza della facoltà di Economia di Firenze alla presidenza del Monte: ”Un effetto strano. Dieci minuti dopo che si è assunta una decisione nella Deputazione Amministratrice (il cda del Monte, nda) se ne discute al bar del Nannini. Ti senti il fiato della gente sul collo”. Ecco cosa ha comportato la privatizzazione: la scomparsa del “fiato della gente sul collo” degli amministratori del Monte. Tanto che l’allora sindaco Cenni e l’allora presidente della Provincia Ceccherini si premurarono subito – zelanti! – di avvertire i rispettivi Consigli che Monte e Fondazione erano ormai aziende private per cui non potevano più essere materia di discussione. In sostanza si trattò della perdita della già orgogliosa “senesità”. Quella “senesità” che è l’unico motivo per cui, caso unico al mondo, una piccola città emarginata fisicamente e culturalmente – la più piccola della Toscana, isolata nel profondo sud della regione – aveva potuto partorire, nutrire e fare crescere la banca più antica e tra le più solide del pianeta, certamente la più ricca e solida del nostro Continente. Una banca insomma che altrimenti avrebbe potuto stare solo a Singapore o Francoforte o New York e anche a Milano, ma mai a Siena, dove sarebbe soffocata sul nascere. Ma la perdita della “senesità” ha a sua volta una causa: l’instaurazione del “decisionismo” a partire dagli anni ‘80 con l’arrivo a Siena di due alieni: Luigi Berlinguer all’università e Pierluigi Piccini al Comune. E’ bastato un quarto di secolo per indurre una mutazione antropologica dei Senesi: da cittadini a sudditi, da popolo a plebe (un bel ballino di milioni di euro del Monte furono infatti consumati anche nel panem et circenses).

CHI OGGI STRILLA TANTO, DOVE ERA ALLORA?

Così appare chiaro che la colpa principale non è della politica o dei politicanti, ma del popolo senese che si è fatto convincere a passare dal ruolo di padrone a quello di servo e a ringraziare pure per tanto onore. Fatto sta che fino al 2010, quando fu ormai chiaro che le cicale avevano annientato quello che le formiche avevano accumulato in mezzo millennio, eravamo rimasti quattro gatti a sostenere, tra la generale ilarità e il generale dileggio, che il re era nudo e i bilanci erano fuffa (i miei interventi alle assemblee del Monte li ho registrati qui).

Quelli che oggi strillano tanto, dove erano allora?

Mauro Aurigi



pepigi • 8 giorni fa

La verità è un’altra, non è stata la privatizzazione del 1995 l’origine dei mali di MPS, ma la mentalità del senese (indipendentemente dallo schieramento politico), che doveva rimanere ASSOLUTO proprietario di MPS.
Mi sembra che la banca allora gemella di MPS, cioè Sanpaolo di Torino, abbia fatto un percorso tutto diverso, in quanto adottando la strategia della FUSIONE e non dell’ ACQUISIZIONE, Sanpaolo si è prima fusa con IMI, poi con INTESA, divenendo oggi la prima banca italiana.
A Siena invece la Fondazione doveva possedere indiscutibilmente il 51 % delle azioni MPS, concetto inattaccabile fino al 2012 e al contempo doveva crescere al pari dei competitor nazionali, con la sbagliata metodologia dell’ ACQUISIZIONE, sono state comprate per cassa, senza scambio azionario prima Banca Agricola Mantovana, poi B121, per arrivare alla mazzata finale di Banca Antonveneta per la stratosferica cifra di 9 miliardi.
È chiaro che puoi avere la botte piena e la moglie briaca ….
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Re: Banke e łe so ladrarie

Messaggioda Berto » dom giu 25, 2017 8:15 pm

Calvario della giudice che voleva mandare a processo per truffa zonin nel 2002 - bloccata dai capi
Francesco Bonazzi per “la Verità”

http://www.dagospia.com/rubrica-29/cron ... 133748.htm

«L’aumento dei magistrati in Veneto è una decisione che è stata presa a prescindere dalle inchieste sulle banche. Il Veneto è considerato regione fondamentale dal punto di vista economico, e l’economia deve essere sostenuta da un sistema giudiziario efficiente». Queste belle parole le ha pronunciate il 26 luglio scorso Andrea Orlando, ministro della Giustizia, in visita al tribunale di Vicenza. I vertici della magistratura locale gli avevano chiesto quattro giudici e due Pm, una miseria.

Ma nel frattempo succede che lo stesso guardasigilli si tenga inspiegabilmente sul tavolo la domanda di rientro in servizio di Cecilia Carreri, il giudice per le indagini preliminari che nel 2002 si oppose alla richiesta di archiviazione di una prima, profetica, inchiesta sulla Banca popolare di Vicenza, e che tre anni dopo subì un linciaggio senza precedenti dai colleghi in toga e dalla stampa. La fecero passare per una scansafatiche con una montatura inquietante, poi smentita da fatti e sentenze.

Proprio lei, l’unico magistrato che cercò di far processare per truffa e falso in bilancio l’allora presidente della Bpvi, Gianni Zonin, oggi indagato per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza dopo che 118.000 soci hanno perso 6,5 miliardi. Il prode Orlando non solo blocca la pratica della Carreri, ma, evidentemente mal consigliato, si è addirittura opposto al ricorso al Tar del Lazio con il quale l’ex Gip ha chiesto la nullità delle proprie dimissioni, presentate in totale stato di prostrazione.

Le disavventure della Carreri iniziano il 22 giugno 2002, quando rifiuta l’archiviazione del fascicolo 1973/01 «a carico di Zonin Giovanni e altri», aperto per truffa, false comunicazioni sociali e conflitto d’interessi. L’inchiesta, avocata a sé dal procuratore capo Antonio Fojadelli, era partita da una serie di esposti di soci e dal memoriale di Giuseppe Grassano, uno dei tanti direttori generali (7 in vent’anni) silurati da Zonin.

In sostanza, si accusavano i vertici della banca di aver occultato nel bilancio del 1998 ben 57 miliardi di lire di perdite sui derivati. Non solo, ma era stata segnalata un’operazione immobiliare sospetta e in conflitto d’interessi tra la banca e la famiglia Zonin. E poi c’era la storia di Acta, una società sempre del gruppo Zonin che si era fatta finanziare per 18 miliardi di lire dal Mediocredito trentino. Pochi giorni dopo l’erogazione del prestito, Bpvi aveva acquistato 18 milioni di obbligazioni proprio di quell’istituto. Nonostante la consulenza tecnica del perito della Procura, Marco Villani, ricostruisca tutti i passaggi delle transazioni sospette, il procuratore capo chiede l’archiviazione.

Carreri invece resta colpita proprio da quella perizia e scrive: «Le indagini dimostrano fatti e comportamenti molto gravi. Da queste emergono una continua commistione tra interessi istituzionali della Bpvi e interessi personali o societari del tutto estranei». Quanto al buco sui derivati, il giudizio è netto: «Le perdite erano ingenti, vi erano elevati rischi speculativi, il danno dei soci evidente». A quel punto, la decisione della Carreri è una bomba: imputazione coatta per il presidente della Bpvi.

La patata bollente arriva tra le mani del giudice dell’udienza preliminare Stefano Furlani, il quale a gennaio del 2003 decide il non luogo a procedere per i reati di truffa e false comunicazioni sociali, mentre rinvia alla Corte costituzionale le nuove norme del governo Berlusconi sul conflitto d’interessi, sospendendo così il giudizio. Passano due mesi e la Procura generale di Venezia impugna la sentenza.

Nel provvedimento si legge che «il falso in bilancio è materialmente accertato », che le motivazioni che hanno portato all’archiviazione della vicenda immobiliare è semplicemente «inaccettabile » e che il Gup di Vicenza «ha palesemente travalicato i limiti delle sue funzioni». Il fascicolo torna così a Vicenza, seppur dopo un incredibile errore di notifica a Zonin che farà perdere altro tempo.

E qui arriva la seconda archiviazione. Anche questa volta Venezia non ci sta e impugna, lamentando «un’illogica decisione assolutoria». A questo punto ci vogliono ben quattro anni per arrivare all’udienza preliminare di appello (2009), che sfocia in una nuova sentenza di non luogo a procedere per Zonin, «nonostante appaia innegabile che le condotte delineino un conflitto di interesse tra gestore e istituto di credito amministrato».

Il gip Carreri, nel frattempo, viene sommersa di fascicoli e isolata dai colleghi. Continua a lavorare come un’ossessa, ma le tocca affrontare in rapida successione la malattia e la morte di entrambi i genitori. E alla fine paga i sacrifici con un periodo di depressione, al quale si aggiunge una serie di gravi patologie alla schiena. A novembre del 2005 arriva la coltellata finale di alcuni magistrati. A Palazzo di giustizia si tiene un’assemblea per denunciare che la Carreri, mentre «è in malattia», sta facendo una regata transoceanica.

Parte subito l’esposto al Csm, un giornale pubblica la sua foto al timone e fioccano titoloni pesantissimi sulla «toga fannullona », che fa «il giro del mondo mentre è in malattia». La verità, però, è che la Carreri non affatto in malattia: sta smaltendo le ferie arretrate. Non solo, ma una sessantina abbondante di certificati medici dimostrerà che la vela le era stata consigliata per combattere le discopatie e che l’attività sportiva era assai indicata per uscire dalla depressione.

Nonostante una montagna di prove a suo favore, il Consiglio superiore della magistratura le infligge la decurtazione di un anno di stipendio e il trasferimento ad altra sede. Ma la Gip, che non ha mai fatto parte di nessuna corrente, si dimette prima che il sinedrio dei magistrati emetta la sua sentenza. Una sentenza talmente imbarazzante che nel 2009 lo stesso Nicola Mancino, ex vicepresidente del Csm, scrive alla Carreri: «Posso comprendere le ragioni della sua amarezza per essere diventata un capro espiatorio».

Dopo le dimissioni, la Carreri vince tutte le sue battaglie penali, a cominciare dalle accuse di assenteismo e truffa ai danni dello Stato, ma ormai ha cucito addosso il marchio di «giudice velista» in malattia. E visto che mediaticamente è «un mostro», non può che finire davanti al registratore di Stefano Lorenzetto, che a settembre del 2012 la intervista per Il Giornale.

La magistrata sventola per la prima volta assoluzioni e certificati medici, racconta di come si era inimicata molti colleghi, parla di «trappolone» di alcuni magistrati e poi rivela un episodio che, riletto oggi, fa riflettere: «A un certo punto scattò un’ispezione sul mio compagno di stanza. Quel magistrato aveva anche l’abitudine di andare a caccia nelle tenute private di un famoso imprenditore indagato per reati societari. Si dà il caso che io abbia respinto una richiesta di archiviazione per quel suo amico industriale, avanzata dal procuratore capo che mi faceva delle pressioni».

Lorenzetto a questo punto la incalza: «Il procuratore capo avrà avuto i suoi buoni motivi per proporre l’archiviazione, non crede?». E la giudice rincara la dose: «Il procuratore capo si assegnava le inchieste più scottanti e mi chiedeva di chiudere le indagini per infondatezza della notizia di reato. E io respingevo le sue richieste. Insomma, evitavo l’insabbiamento dei processi».

Abbiamo cercato Cecilia Carreri per chiederle se oggi si sente di fare il nome di quell’imprenditore, ma comprensibilmente ha deciso di restare in silenzio. L’ultima udienza del suo ricorso al Tar per l’annullamento delle dimissioni è prevista nei prossimi giorni. Se il ministro Orlando volesse anche solo fare un beau geste nei confronti delle migliaia di vittime della Bpvi, potrebbe mettere una firma sotto quella domanda di rientro in servizio dell’unica toga che provò a tutelarle davvero. E magari riaffidarle l’inchiesta. Lei sì che saprebbe dove mettere le mani. (3. Continua)
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Re: Banke e łe so ladrarie

Messaggioda Berto » dom giu 25, 2017 8:17 pm

Vittorio Feltri: "I soldi? Piuttosto che alle banche, diamoli alle mignotte: sono più oneste"

23 Giugno 2017

http://www.liberoquotidiano.it/news/eco ... anche.html

Quando sento parlare di banche, istintivamente metterei la mano alla fondina della pistola, pronto a sparare. Peccato che non sia abitualmente armato, altrimenti qualche colpo lo avrei sparato. Succede che molte di esse siano in difficoltà, in bolletta, e non mi spiego perché. Gli italiani sono grandi risparmiatori. Non lo dico io bensì le statistiche da cui si evince che, nonostante la crisi economica ormai endemica, i nostri compatrioti sono formichine che amano accumulare euro, a costo di grandi sacrifici, e cercano di garantirsi un gruzzolo: perché non si sa mai, perché la vecchiaia va affrontata con le tasche piene, perché se un figlio non ce la fa bisogna aiutarlo.

Diciamolo in modo chiaro. Ciascuno di noi si rivolge alla banca sotto casa. Ne conosciamo il direttore e anche gli impiegati. Ci rechiamo agli sportelli con fiducia, convinti che il tempio del denaro non ci tradirà. Ci era mai passato per la testa che gli istituti di credito avrebbero tradito. Oggi scopriamo con stupore che, invece, molti di essi sono sul punto di fallire e trasaliamo. Pare impossibile. Ci domandiamo dove abbiano messo tutti i quattrini depositati e come li abbiano malamente investiti. Vogliamo saperlo, ma nessuno dice niente. Leggiamo qua e là che sono in sofferenza e pensiamo: se patiscono le banche a cui abbiamo dato i soldi, figuriamoci quanto patiamo noi che rischiamo di perderli. I giornali informano: molti di coloro che hanno ottenuto prestiti da esse, dai loro funzionari, non sono in grado di restituirli. Se è così, e stentiamo a crederlo, non comprendiamo la ragione per la quale siano stati versati capitali a gente che non ha fornito garanzie. Difatti, se tu chiedi un mutuo per acquistare un bilocale hai molte probabilità ti venga concesso. Ma ti ipotecano i muri. Se non paghi un paio di rate, ti confiscano l’immobile, lo alienano e ti azzerano il debito, ma perdi il bene. Perché le banche non hanno agito con lo stesso criterio con le persone importanti a cui sono stati dati fior di milioni?

Ecco il mistero mai svelato. Ai poveracci insolventi si porta via l’alloggio automaticamente, ai ricchi bidonisti non si torce un capello, gli si condona la pendenza, interviene lo Stato a tappare i buchi prodotti dagli insolventi.

Al Monte dei Paschi di Siena sono stati regalati 8 miliardi per sistemare il bilancio disastrato dai furbetti amici dei banchieri; alle popolari venete, saccheggiate non si sa da chi, ne saranno regalati 3.5. Palanche dei contribuenti che versano tasse a dismisura non per ricevere servizi all’altezza di un Paese civile, ma per ripianare i passivi causati dai signori.

C’è qualcuno che va in galera avendo sottratto somme alle Casse rurali? E c’è qualcuno che viene punito per aver elargito cifre a mascalzoni che non le hanno poi restituite? Neanche uno è stato blindato. Neanche uno ha subito pignoramenti. I furfanti di ogni risma continuano a vivere da nababbi, non hanno subito alcun castigo. Ecco perché siamo furibondi sia con essi, sia con chi li ha favoriti (i banchieri dei miei stivali), sia il governo che, anziché perseguirli, li aiuta prelevando il valsente dalle tasche nostre. Colmo della presa per i fondelli, i politici - che ci fanno ribrezzo - hanno annunciato di istituire una commissione parlamentare per indagare sulle schifezze degli istituti di credito. E uno immagina che essa farà giustizia, accerterà la verità e le responsabilità, mettendo i ferri a chi ha sgarrato. Illusione. Intanto le commissioni parlamentari - insegna la storia della repubblica - non hanno mai combinato nulla. Al punto che si dice servano solamente ad affossare ogni grana.

Nel caso specifico occorre precisare: poiché la scadenza naturale della legislatura è prevista per febbraio del prossimo anno, va da sé che l’inchiesta sulle banche non avrà tempo di esaurire i lavori e decadrà insieme con le Camere. Trattasi pertanto di squallida finzione destinata a fallire. Non si verrà a capo di nulla e si perpetuerà la solita fregatura: soldi gratis ai ladri e imposte ai risparmiatori, già defraudati. Un consiglio: piuttosto che versare denaro alle banche, andate a puttane, che sono più oneste.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Banke e łe so ladrarie

Messaggioda Berto » sab lug 01, 2017 7:50 am

Ex popolari venete, i soci in piazza - Lo striscione: «Ridateci i risparmi»
Luigi Pozza
Venerdì 30 Giugno 2017

http://www.ilgazzettino.it/vicenza_bass ... 35334.html

VICENZA - Diverse centinaia di persone - un migliaio per gli organizzatori, 500-600 secondo le forze dell'ordine - hanno partecipato questa sera a Vicenza alla manifestazione di protesta promossa per i soci delle ex Popolari. Primi della fila "Noi che credevamo nella Bpvi" e "Coordinamento Don Torta", che chiederanno la sospensione del decreto di liquidazione coatta, che ieri ha visto però un'accelerazione nella commissione Finanze della Camera. Si è trattato di una manifestazione molto rumorosa, con fischietti e trombette, ma anche molto variopinta con bandiere, striscioni e cartelli. Tutto sotto lo sguardo attenzione di poliziotti, carabinieri e vigili urbani, che però non sono mai dovuti intervenire.

Tra quelli più significativi, proprio quelli contro il Governo, al punto che alcuni degli organizzatori hanno invitato la platea «ad organizzarsi per andare a Roma e incatenarsi davanti a Montecitorio: ma dobbiamo farlo in tempi brevissimi, altrimenti sarà troppo tardi». Innumerevoli, come si diceva gli striscioni, che riportavano le seguenti scritte: «Banche venete ridateci i risparmi», «Società violata», «Governo vergogna», «Banca d'Italia e Consob responsabili», «Governo ladro, servile e mafioso», «Articoli 45 e 47 della Costituzione violati».

«ZAIA DOVE SEI? VARIATI DOVE SEI?» - GUARDA IL VIDEO DELLA PROTESTA

Presenti alla manifestazione un buon gruppo di trevigiani (arrivati cinque pullman) con la presenza di sei-sette sindaci del territorio della Marca, che indossavano la fascia tricolore. La manifestazione ha avuto come ritrovo la centralissima piazza dei Signori, sotto alla Basilica Palladiana, dove si sono tenuti degli interventi, attraverso l'uso di megafoni visto, come hanno spiegato gli organizzatori, che il comune non ha concesso l'allestimento di un palco.

Dalla stessa piazza dei Signori, attorno alle 21.20, è poi iniziato il corteo, ma dopo pochi minuti sui manifestanti (oltre che sull'intera città) si è abbattuto un violento acquazzone, quasi un nubifragio, che ha convinto buona parte parte dei partecipanti a mettersi al riparo sotto le colonne della Basilica Palladiana e nei numerosi bar aperti in zona. Il gruppo, molto ridotto, è comunque proseguito, transitando lungo corso Palladio, per poi imboccare contra' Porti, dove si trova Palazzo Thiene, sede storica della Banca Popolare di Vicenza.

AVVIATO IL PROCESSO DI INTEGRAZIONE DELLE EX POPOLARI
È stato avviato da subito il processo di integrazione delle due ex banche popolari venete nel Gruppo Intesa Sanpaolo, processo che vedrà diversi avanzamenti nei prossimi mesi, fino a completarsi con l'adozione del modello di servizio di Intesa, e la migrazione nel nuovo sistema operativo di Gruppo, prevista entro i primi mesi del 2018, e la razionalizzazione delle filiali. Lo hanno sottolineato oggi i vertici dell'istituto, facendo il punto a Vicenza sul processo di integrazione di Veneto banca e Popolare di Vicenza. L'accordo di acquisizione, è stato detto, prevede il completamento dell'integrazione in un periodo massimo di 24 mesi. Le due banche - spiega una nota di Intesa - funzionano regolarmente e in continuità con la precedente situazione e i clienti possono contare sui consueti referenti e sulle persone che li hanno seguiti in precedenza. Questo - sottolinea Intesa - garantisce continuità nella relazione e contribuisce a ricreare un clima di fiducia.
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Re: Banke e łe so ladrarie

Messaggioda Berto » sab lug 01, 2017 8:28 pm

BANCHE VENETE, IL PROBLEMA NON È IL BAIL IN, MA LA RISERVA FRAZIONARIA
di MATTEO CORSINI

https://www.miglioverde.eu/banche-venet ... razionaria

All’indomani del provvedimento governativo che ha mandato in liquidazione Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza mediante la creazione di una bad bank pubblica e la cessione di asset in bonis a Banca Intesa per il corrispettivo di un euro (oltre a garanzie verso l’acquirente), in tanti hanno cercato di difendere l’operato del governo. Tra costoro, Marco Onado sul Sole 24Ore. Su un punto credo sia bene fare chiarezza, a prescindere da cosa si pensi in merito alla vicenda (fermo restando che, a mio parere, l’operato delle autorità italiane ed europee è indifendibile).

Sostiene Onado: “La tormentata vicenda rivela almeno tre verità sgradevoli. La prima è che la procedura europea, oltre che essere complicata dall’operare congiunto di autorità e istituzioni nazionali e sovranazionali, crea problemi ogni volta che si tratta di applicare i meccanismi di coinvolgimento dei creditori diversi dai depositanti, che era stata presentata come l’uovo di Colombo che avrebbe impedito per sempre l’utilizzo di fondi pubblici nella sistemazione di banche in dissesto. Si tratta di un principio di per sé ragionevole ma che era sconosciuto al momento in cui sono state emesse molte delle passività che possono oggi essere chiamate a partecipare alle perdite. Per di più, in Italia si è colpevolmente tollerato che titoli di questo genere venissero collocati a investitori privati inconsapevoli del rischio effettivo. Ogni crisi si trasforma così in un puzzle intricato in cui bisogna conciliare gli interessi generali di stabilità con quelli più particolari, ma non meno degni di tutela, dei risparmiatori che pensavano di aver comprato titoli sicuri emessi da una banca solida”.
Prima della direttiva BRRD, i salvataggi bancari erano effettuati con interventi a carico dell’esterno (bail-out). Non necessariamente erano interventi a carico della fiscalità generale; soprattutto nel caso di intermediari di ridotte dimensioni, di solito interveniva l’acquisizione da parte di una banca di maggiore dimensioni. Nonostante non fosse stabilito da alcuna norma di legge, c’era la convinzione diffusa che, in caso di necessità, avrebbe pagato Pantalone. Questo consentiva di mantenere quella che benevolmente si può definire fiducia, ma che realisticamente deve essere definita beata ignoranza sulla reale situazione patrimoniale di ogni banca, anche quelle definite “solide”.
Tipicamente una banca commerciale ha un attivo composto da attività per lo più illiquide (prestiti a imprese e famiglie) e un passivo composto per circa il 10 per cento da mezzi propri (a volte anche meno) e la restante parte (quindi attorno al 90 per cento) da debiti. Come se ciò non bastasse, la durata media dell’attivo è superiore a quella del passivo. Una parte consistente di quest’ultimo, infatti, è composto da depositi a vista o a breve scadenza. È evidente che un soggetto con uno stato patrimoniale del genere sia particolarmente esposto al rischio di divenire insolvente sia in casi di perdita di valore dell’attivo, sia in caso di mancato rinnovo del passivo (due fattori che, ovviamente, possono interagire).
Con particolare riferimento alle passività a vista, per legge si stabilisce che ciò rappresenti un prestito che il depositante fa alla banca, la quale, quindi, può usare quelle somme per erogare credito. La stessa somma, pertanto, è nella disponibilità sia del depositante (che ne è il legittimo proprietario), sia di coloro ai quali la banca ha concesso credito. A fronte dei depositi a vista la banca è obbligata a mantenere una riserva presso la banca centrale, che, però, rappresenta solo una piccola frazione del totale dei depositi. Questo principio, detto della riserva frazionaria, rappresenta il vero tallone d’Achille di tutte le banche.

Togliere il bail-out è corretto, perché chi è socio o creditore di una qualsiasi società dovrebbe fare carico dell’insolvenza della stessa. Tuttavia, togliere il bail-out sostituendolo con il bail-in senza mettere in discussione la riserva frazionaria, non può che generare ciò che ha fin qui generato. È vero che le obbligazioni bancarie (a maggior ragione se subordinate) sono diventate di fatto più rischiose con l’entrata in vigore della BRRD rispetto a quando furono emesse e collocate. Per questo trovo contraddittorio che Onado sostenga anche che “si è colpevolmente tollerato che titoli di questo genere venissero collocati a investitori privati inconsapevoli del rischio effettivo.”
Se questo ha senso parlando di titoli subordinati (ancorché anche per questi la BRRD abbia aumentato la rischiosità ex post), ne ha molto meno con riferimento alle obbligazioni senior. Le quali, se nel caso delle banche in crisi (in Italia e non solo) si fosse applicato veramente il bail-in, sarebbero state in tutto o in parte coinvolte nell’assorbimento di perdite.
In Italia le obbligazioni bancarie sono state, più che altrove, collocate presso clienti retail. E’ stato fatto per fregarli? Credo che a livello macro la cosa sia da escludere, perché il fattore determinante per la diffusione delle obbligazioni prima della crisi risale alla seconda metà degli anni Novanta, quando il legislatore aumentò al 27% la tassazione sui depositi, mentre per le obbligazioni l’aliquota era 12,5%.
Per una banca collocare un certificato di deposito o un’obbligazione, a parità di scadenza, non fa differenza. Ma la fiscalità la faceva, evidentemente. Questo (per lo più) spiega la diffusione delle obbligazioni bancarie in Italia presso i risparmiatori retail. Che questa circostanza non sia stata fatta valere dai negoziatori italiani la dice lunga sulla sostanziale inconsistenza che il terzo contribuente al bilancio comunitario ha quando si scrivono le norme europee.
Personalmente non ho mai giustificato la garanzia ai depositi a termine. Quanto ai depositi a vista, ogni fondo di tutela è destinato a essere insufficiente in caso di crisi sistemica. Quindi, in situazioni del genere, finirebbe sempre per pagare Pantalone. Solo depositi coperti da riserva al 100% sarebbero sicuri. Ma nessun politico o regolatore si sogna di proporre l’abolizione della riserva frazionaria, perché ci sarebbe molto meno credito e i tassi sul credito sarebbero molto più elevati. Resta il fatto che introdurre il bail-in senza mettere in discussione la riserva frazionaria è come volere la botte piena e la moglie ubriaca.
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Re: Banke e łe so ladrarie

Messaggioda Berto » sab ago 12, 2017 8:55 pm

Da oggi si può dire "i pagliacci della Lega": il Tribunale scagiona Gianluca Busato
Redazione11 agosto 2017

http://www.trevisotoday.it/politica/zai ... -2017.html

TREVISO Mercoledì 21 giugno scorso il Gip del Tribunale di Treviso Piera De Stefani ha rigettato l’opposizione del segretario nazionale della Lega Nord-Liga Veneta Gianantonio Da Re alla richiesta di archiviazione presentata dal PM in merito alla denuncia dello stesso contro il presidente di Plebiscito.eu Gianluca Busato, reo secondo la lega di aver diffamato Zaia e il suo movimento con un intervento pubblicato sulla sua pagina Facebook il 20 luglio 2016 e con un articolo pubblicato sul sito di Plebiscito.eu ancora a dicembre 2015. Le motivazioni espresse dal Giudice sono nette e non lasciano spazio ad interpretazioni: “Le espressioni, senza dubbio pungenti e dai toni aspri (di Gianluca Busato, ndr), non assumono valenza penale per essere le medesime scriminate in quanto rese nell’ambito della libera manifestazione del diritto di critica politica”.

“Giova preliminarmente evidenziare – continua il Giudice – che le affermazioni contenute nei post di cui alla querela si inseriscono indubitabilmente nell’ambito della censura e critica politica all’operato del presidente della Regione Veneto Zaia e dei rappresentanti a vari livelli della Lega Nord nell’ambito della nota vicenda che vede coinvolte due primarie banche venete (Popolare di Vicenza e Veneto Banca), il cui operato era stato difeso inizialmente dai componenti di spicco del predetto partito”. E ancora: “la manifestazione di critica politica è necessariamente riconosciuta a ciascun cittadino, quale libertà di pensiero ed espressione costituzionalmente garantito”. Secondo il Giudice quindi nulla preclude a Busato di “manifestare il proprio dissenso e le proprie valutazioni in merito a questioni di sicuro rilievo per la collettività ed a soggetti con incarichi istituzionali”.

E ancora: “La forma espositiva impiegata non trasmoda mai in attacco gratuito e immotivato alla sfera personale, ma conserva sicura relazione con il contesto del discorso critico di riferimento e dunque con la tematica attinente il fatto dal quale la critica trae spunto”. “Alla luce dei richiamati principi, le espressioni utilizzate per quanto pungenti (vedasi “pagliacci” e “Zaia come Erdogan”) nel contesto descritto assumono valenza non già di gratuito e bieco attacco, immotivato, al partito della Lega e ai suoi componenti, bensì di presa di distanze dalle condotte di questi, mettendone in risalto, nella vicenda delle banche venete, la ritenuta poca serietà nell’averle prima difese a spada tratta (ed in presenza di cointeressenze riferite a dati oggettivi, quali l’incarico ricoperto dalla moglie del presidente di Veneto Banca in seno al Comune di Montebelluna per la Lega e nell’aver solo poi assunto la veste di protettori dei clienti delle medesime”.

Nella conclusione del dispositivo il Gip taglia quindi la testa al toro: “non può rilevarsi come l’apparente contraddittorietà della condotta condotta degli esponenti della Lega, per come illustrata (da Gianluca Busato, ndr) ed oggetto dell’aspra critica ridetta, non risulti smentita da contrarie emergenze”. Gianluca Busato ha commentato: “La decisione del Tribunale di Treviso rende giustizia a un fatto che i giornali tendono a far passare sotto silenzio: il grave operato dei vertici delle Banche Venete, con tratti criminaleggianti, si è condotto con l’avallo dell’intera classe dirigente, che anzi lo ha difeso a spada tratta persino nel caso dei rari interventi di controllo da parte di Bankitalia. Pertanto i signori della Lega oggi non possono dire di essere estranei alla classe dirigente veneta che è stata travolta dal più grande scandalo finanziario della breve vita dell’infausto stato italiano, dove, come al solito, paga Pantalone, ovvero i contribuenti, i taxpayer che qualcuno vorrebbe continuare a prendere in giro smarcandosi dai comportamenti poco seri e incoerenti che ha tenuto”.
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