Banche venete e italiane, ruberie e depredazioni

Banche venete e italiane, ruberie e depredazioni

Messaggioda Berto » ven dic 20, 2013 9:19 am

Banche venete e italiane, ruberie e depredazioni
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... =165&t=224
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... RFSTA/edit





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El caxo de Françeski Luciano - El martirio de on veneto
(inutile sacrificio dovuto a un eccesso di sconsiderata esaltazione demenziale venetista)

http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 6&start=10

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Re: Banke

Messaggioda Berto » sab gen 04, 2014 8:00 am

???
Questa non mi pare una buona trattazione del signoraggio

Sta kive no la me par na bona tratasion sol signorajo e so coelo ke goadagna co l’emision de li skei le Banke Çentrali

Marco De La Luna sol so livro "Eurosciavi" el ga scrito pì de coalke robeta xbajà.
http://www.youtube.com/watch?v=RixHcElZCy0
http://www.youtube.com/watch?v=FBQeBDG5wV8

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"Euroschiavi" I segreti del signoraggio.
http://www.youtube.com/watch?v=a16_MgvB7dQ
Ke ensemense kel conta Miclavez!

http://fraternity.it/sites/default/file ... chiavi.pdf

BCE
http://www.ecb.int/ecb/html/index.it.html
http://tallonedachille.blogspot.it/p/post-spot.html

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Sta kive la me par na bona tratasion sol signorajo e so coelo ke goadagna co l’emision de li skei le Banke Çentrali

http://digilander.libero.it/togiga/signoraggio.pdf

CARO SIGNORAGGISTA, IL VERO TRUFFATORE RESTA LO STATO

http://www.lindipendenza.com/caro-signo ... a-lo-stato

Caro signoraggista, io non ti voglio male.
So che ti sei convinto di essere vittima di una gigantesca truffa.
E in gran parte ti do ragione. Ma ti voglio solo dire una cosa: tu sbagli bersaglio.
Te la prendi con le banche, in particolar modo con le banche centrali.
Ma possibile che non riesci a vedere che il vero truffatore è e resta lo Stato?

Il signoraggio, da definizione enciclopedica, è il reddito che il governo ottiene tramite la creazione di nuova base monetaria in condizione di monopolio. Si chiama così, perché furono i signori feudali nel Medioevo ad arrogarsi il diritto di essere gli unici possibili coniatori di monete. Allora si parlava di monete d’oro e d’argento, la carta non c’era ancora. I signorotti di allora, dunque, si tenevano una parte dell’oro e dell’argento usato per coniare le monete.

Oggi non si usa più né l’oro né l’argento. Ma il reddito da signoraggio si calcola nello stesso modo, con metodi riattualizzati: è la differenza fra i costi della stampa e gli interessi ricavati dai titoli acquistati in contropartita all’emissione di moneta. Chi ci guadagna è la versione moderna del signorotto feudale: il governo.

E qui sarai tentato di rispondermi: è la banca che ci guadagna.
No, caro mio.
La banca centrale è solo uno strumento burocratico dello Stato.
Niente altro.
Non vuol dire niente il fatto che sia organizzata come una società privata.
Anche le Fs sono teoricamente una Spa, ma sono e restano un ente statale. Anche negli Usa, la Federal Reserve è un ente solo teoricamente privato e indipendente. Ma è, a tutti gli effetti, una burocrazia pubblica. In Europa ci siamo fatti l’illusione che esista una banca (centrale europea) indipendente dai governi nazionali. Ma la sostanza non cambia: è un ente politico. Come credi che sia diventato Mario Draghi il suo presidente? Per carriera? Per merito? O per nomina politica? Forse non ti ricordi le battute al vetriolo nella lite a distanza fra il presidente francese (ormai ex) Nicolas Sarkozy e Silvio Berlusconi: litigavano sulla nomina del nuovo presidente della Bce, sui suoi vice e sui voti di scambio. Il reddito da signoraggio sul conio delle monete metalliche va ai singoli Stati membri europei. Quello sulle banconote di carta viene ripartito fra le banche centrali proprietarie della Bce. Ciascuna di queste, essendo un ente statale a tutti gli effetti, gira la stragrande maggioranza di questo reddito (nel caso della Banca d’Inghilterra, il 100%) al proprio Stato.

Quindi, caro signoraggista, non capisco proprio quando tu mi parli di “governo delle banche”.
Le banche sono parte integrante del governo.
E sono sempre i governi gli unici che ci guadagnano dalla stampa di nuova moneta.

E ora arriviamo all’aspetto che più di fa infuriare: la truffa.
La truffa consiste nello stampare più moneta, in modo da aumentare i redditi da signoraggio.
Ci perdono i cittadini, che si ritrovano in mano pezzi di carta il cui valore è sempre inferiore (come sai, più moneta circola, meno ha valore).
Ma ci guadagna lo Stato, che incamera maggiori redditi dalla stampa delle banconote.
Questo simpatico trucchetto, fortunatamente, non dura molto tutte le volte che è stato tentato. Perché alla fine, la moneta perde talmente tanto valore da far collassare il sistema.
-Ci provò la Russia nella Prima Guerra Mondiale, per pagare le immense spese militari che doveva sostenere. Il sistema implose e l’esito fu drammatico: la rivoluzione russa.
-Ci provò la Repubblica di Weimar subito dopo la Grande Guerra. E il risultato fu altrettanto drammatico: collasso economico, instabilità politica e, infine, l’ascesa di Hitler.
-Ci provarono, con conseguenze meno drammatiche, tutti i governi italiani degli anni ’70 e ’80. I cui reduci, oggi, pontificano contro le banche e il potere dei banchieri. I governi sono abilissimi a truffare e a dar la colpa a qualcun altro.

Oggi la truffa si può ripetere. Il problema è che non c’è alcun limite all’emissione di moneta, soprattutto da quando è stata sganciata dall’oro.
Gli euroburocrati credono che basti creare una banca indipendente, guidata da tecnici, per contenere l’emissione di moneta.
Ma non esistono tecnici “indipendenti”.
Come ti ho detto prima, Draghi è un politico, a tutti gli effetti.
Ora inizia a pensare, pressato dai governi, che emettere più moneta è un bene.
Dunque può ricominciare la solita vecchia truffa in ogni momento, sempre che non sia già iniziata.

Ma per evitarla, per non farti fare fesso, per favore, non invocare l’intervento dello Stato.
Se gli chiedi di riprendere la “sovranità” sull’emissione di moneta, non fai altro che affidarti alle mani del tuo rapinatore.


La purpietà de le banke:

http://digilander.libero.it/togiga/signoraggio.pdf

7.1 La Banca d'Italia non è una società per azioni
Un'ulteriore frottola riguarda la Banca d’Italia: sarebbe una società per azioni (spa) poiché banche italiane e straniere ne possiedono il capitale.
In realtà la Banca è un istituto di diritto pubblico. Lo stabiliscono la legge bancaria del 1936, la legge 262 del 2005 (legge sul risparmio), articolo 19 comma 2 e lo Statuto (articoli 1, 3, 5, 18, 20, 31 e 42)1 dove non si parla mai di società per azioni, srl, ecc.
Lo ribadisce anche la Corte di Cassazione : la Banca d'Italia “non è una società per azioni di diritto
privato ... bensì un istituto di diritto pubblico”.
E se fosse una società per azioni? Il proprietario potrebbe cedere liberamente le azioni, cosa vietata ai partecipanti al capitale della Banca, che cedono le quote di partecipazione (art. 3) solo “su proposta del Direttorio, solo previo consenso del Consiglio superiore”.
Si può ipotizzare che la Banca agisce come una spa. In tal caso varrebbero gli articoli 2325, 2346 del codice civile che parlano di azioni (art.:“Le quote di partecipazione dei soci -di una spa- sono rappresentate da azioni”). Azioni che nel caso della Banca d'Italia non esistono.
L'assemblea dei soci, se fosse una spa, nominerebbe (articolo 2364) gli amministratori, i sindaci e il presidente del collegio sindacale. Non esiste assemblea dei soci e i partecipanti non nominano il governatore Draghi né, in base all'articolo 2383 del codice civile, hanno potuto revocare il mandato al governatore Fazio.
Che la nomina e la revoca del Governatore non risponda alle regole valide per qualsiasi s.p.a. lo testimonia anche la legge 262 del 2005 che richiede (art.19 comma 8) che occorre un decreto del Presidente della Repubblica.
In conclusione, la Banca d'Italia è un istituto di diritto pubblico. Non è una spa, di cui non possiede le caratteristiche e di cui non rispetta le regole.

7.3 Banca Centrale, potere effettivo, conflitto di interessi e proprietà delle banche
I partecipanti al capitale della Banca d'Italia non sono azionisti qualsiasi. La legge bancaria del 1936 art. 2012 riserva le quote a banche, assicurazioni e istituti di previdenza rimasti fino al 1992 di proprietà pubblica.
Oggi tra i principali azionisti delle banche, trasformate in spa o banche di credito cooperativo dalla legge Amato-Ciampi (o Amato-Carli del 1990 ?) del 1992 (o del 1998 ?), ci sono le fondazioni bancarie, i cui consigli di amministrazione sono nominati dagli enti locali e dalle organizzazioni professionali.
Anche se trasformata in spa, la proprietà di molte banche resta sotto il controllo pubblico sotto forma di fondazione bancaria.

Perciò se dovessimo applicare la logica di chi dice che la Banca d'Italia è privata perché sono privati i suoi azionisti, dovremmo concludere che la Banca non è affatto privata e, paradossalmente, non sarebbe privata neppure se fosse organizzata come una società per azioni.
Infatti le banche -seguendo tale logica- sono da considerarsi pubbliche, visto che le fondazioni che le controllano non appartengono ad azionisti privati né seguono interessi privati.
Ma se le banche che possiedono quote del capitale della Banca d'Italia non sono private, neanche la Banca lo è e non lo sarebbe neanche se fosse organizzata sotto forma di spa.

Il potere effettivo degli azionisti è di fatto nullo.
Lo disse nel 1926 J.M.Keynes che riferendosi alla Banca d'Inghilterra ha scritto: è un “caso di istituzione che teoricamente è di proprietà assoluta di alcune persone private” ma che “non vi è classe di persone nel Regno quanto i suoi azionisti cui il governatore della Banca d'Inghilterra pensi di meno quando decide circa la sua politica”.

Senza potere, scompare il conflitto di interessi, in nome del quale, peraltro, già nel 1936 lo Statuto della Banca esclude dal Consiglio superiore della Banca gli amministratori delle banche. Ce lo ricorda lo storico De Rosa14 che racconta di come il presidente dell'Associazione delle casse di risparmio italiane, De Cataldo, dopo aver chiesto alle banche associate di convertire le 140.000 azioni possedute e di incrementare il numero delle quote di Bankitalia, puntasse a far valere il peso degli associati nella nuova Banca d'Italia.
Attesa delusa. Il governatore Azzolini spiegò che era stato Mussolini a volere l'esclusione degli amministratori delle banche dal Consiglio superiore “sulla base del principio che gli Istituti vigilati non potevano diventare nello stesso tempo organi vigilanti”15.



Fondasion bancara
http://it.wikipedia.org/wiki/Fondazione_bancaria
Una fondazione bancaria è una persona giuridica mista pubblico-privata senza fini di lucro.
Le fondazioni bancarie sono state introdotte per la prima volta nell'ordinamento italiano con la legge n. 218 del 1990, la cosiddetta "legge-delega Amato-Carli", con lo scopo di perseguire valori collettivi e finalità di utilità generale.


Boldrin vs. politici italiani e fondazioni bancarie (Agorà, 25/1/2013)
http://www.youtube.com/watch?v=9dlowhlr9vg
Boldrin e le Fondazioni Bancarie
http://www.youtube.com/watch?v=h43tV-h8miI
http://tallonedachille.blogspot.it/p/post-spot.html
I partiti in lotta per le fondazioni bancarie -L'odore dei soldi orienta la lotta politica

http://www.leftcom.org/it/articles/2005 ... i-bancarie (2005)

Nel patto segreto firmato a suo tempo fra Berlusconi e Bossi, assieme alle altre clausole che "verranno rese note al momento opportuno" (così diceva il Senatur), si trova anche la riforma delle Fondazioni bancarie, con l'intenzione di rivedere le regole del gioco, fissate ai tempi della DC nel settore economico e finanziario del paese.
Le Fondazioni sono proprietarie di importanti quote di capitale di banche di rilevanti dimensioni.
Dichiarate oggetto di diritto privato, il tentativo di ripubblicizzarle per dare alle attuali consorterie governative il controllo della nomina degli organi collegiali, dei settori di intervento, ecc., è stato ed è uno degli obiettivi politico-economici più interessanti per alcune fazioni borghesi, presenti nel governo di centro-destra.

Le attuali 89 Fondazioni del settore bancario sono nate dalla trasformazione delle casse di risparmio e degli istituti di diritto pubblico in società per azioni controllate da banche.

Dovrebbero, tendenzialmente, contribuire al cosiddetto "progresso sociale ed economico", liberandosi da ogni condizionamento politico. I forzieri custodiscono un patrimonio di circa 36 miliardi di euro, sul quale, indubbiamente, la "tradizione popolare e religiosa degli italiani" ha fino a ieri - attraverso la mano indisturbata dei suoi rappresentanti politici democristiani e socialisti, nonché nazional-comunisti - proficuamente operato.

Su questi forzieri vorrebbero mettere le mani quelle Regioni nelle quali ciascuna Fondazione ha sede e limitando così le aree geografiche del suo intervento.
Si parla inoltre di almeno 19 miliardi di euro immobilizzati in partecipazioni bancarie (Unicredito, San Paolo IMI, Banca di Roma, Monte dei Paschi di Siena, Intesa BCI).

Il grosso del malloppo - che la Lega in particolare guarda con interesse - è detenuto dalle Fondazioni del Nord.
Per tutte non vi è alcun obbligo di trasparenza e di rendimento, né sugli utili complessivi annuali di 2/3 miliardi né sui “contributi” erogati per centinaia e centinaia di miliardi di euro ad una clientela ufficialmente operante nel campo artistico e culturale, volontariato, istruzione, assistenza sociale, sanità e, naturalmente, partiti. ???

Dopo le sue trascorse esperienze quale Studio Tremonti e Associati (poi Vitali Romagnoli Piccardi e associati) in qualità di commercialista fiscalista, l'ex ministro Tremonti aveva tentato di consegnare al Tesoro le suddette Fondazioni col proposito di trasformarle in una cassaforte degli enti locali, nettamente separata dalle banche e trasferendo così l'accaparramento di soldi e poteri non più formalmente alla "società civile" dei privati borghesi ma a Regioni, Province e Comuni.

Alle fazioni borghesi oggi al potere converrebbe infatti imporre alle Fondazioni (fino a ieri soggetti di diritto privato) una maggioranza di nomine politiche, stabilendo fra l'altro che nella raccolta di soldi per i vari progetti governativi un minimo di fondi venga reinvestito per la realizzazione di infrastrutture regionali.
Limitando la loro autonomia e accresciuti i poteri del ministro del Tesoro e della Economia, le Fondazioni sarebbero messe in buona parte al servizio degli interventi pubblici in perenne crisi di fondi, con indicazioni e paletti posti ai loro fin qui "privati" interventi.

Oltre 1500 le poltrone in gioco (consigli amministrativi e società operative): il 66% dei Consiglieri d'Amministrazione verrebbe nominato dagli Enti Locali mentre alla "società civile" rimane una presenza molto più limitata che nel passato. Tremonti avrebbe voluto far propria anche la scelta delle Società di Gestione del Risparmio incaricate di gestire i pacchetti azionari delle Fondazioni e diventando quindi le loro nuove casseforti. Di "gare europee", secondo le richieste di Bruxelles, non se ne è mai parlato.
Prima ancora delle sue dimissioni forzate, Tremonti si vedeva negato il suo tanto desiderato potere discrezionale che, sia pure indirettamente, mirava a disturbare i maggiori gruppi creditizi del paese.
La Corte Costituzionale sgambettava Tremonti sancendo la parziale incostituzionalità della sua riforma.
In cambio concedeva l'ingresso delle Fondazioni nella nuova Cassa Depositi e Prestiti per finanziare le infrastrutture.
Rimane aperto il contenzioso di fondo: le Fondazioni hanno carattere di organo di diritto pubblico (che oggi fa comodo al centro-destra) oppure mantengono la natura e autonomia privatistica?
In tutti i casi continua la lotta "democratica" - tutta interna ai gruppi di interessi privati e pubblici, di destra e di sinistra - per accaparrarsi quote di potere ed occupare poltrone ai vertici delle Fondazioni.
In nome dell'interesse nazionale, sia chiaro.
Nel frattempo, il proletariato continua a frugare nelle proprie tasche trovandole sempre più vuote.



Fondazioni bancarie: la casta inamovibile dei politici trombati e ottuagenari
http://www.lindipendenza.com/fondazioni ... ttuagenari

Sono considerate indispensabili per la stabilità delle banche. Ma anche un freno per il rinnovamento, soprattutto in termini generazionali. Le Fondazioni restano al centro del sistema finanziario e continuano a dividere esperti e politici, quando e’ in corso una stagione di rinnovi all’insegna della continuità nei ruoli di vertice.

Il primo marzo Antonio Finotti (foto in alto), 84 anni, ha ricevuto un’investitura fino al 2018 alla presidenza di Cariparo, ente di Padova e Rovigo.
...
Pochi mesi prima, a Treviso, Dino De Poli, sempre (foto in mezzo) 84 anni, è stato confermato alla guida di Cassamarca fino al 2018.
...
E tra poco Giuseppe Guzzetti (foto sotto), 78 anni, presidente dell’Acri e di Cariplo, incasserà un nuovo mandato scadenza 2019.
...
Facile per molti parlare di casta, quando in Parlamento è sbarcata una nutrita pattuglia di Grillini e anche i vertici delle banche, una volta impermeabili, si sono aperti alla logica di un avvicendamento fisiologico, legato ai risultati e al gradimento degli azionisti.
Ebbene, le Fondazioni sembrano da questo punto di vista inespugnabili.
Quando invece, come sostiene Andrea Resti, professore di Economia dei mercati e degli intermediari finanziari alla Bocconi, servirebbe linfa nuova. Più che di ricambio ai vertici, spiega “preferirei parlare di un ricambio culturale: mercati finanziari sempre più instabili e strumenti finanziari sempre piu’ complessi e opachi, proposti da banche d’investimento non proprio disinteressate, rendono necessarie competenze che vent’anni fa non erano così cruciali”.

Forse, ragiona l’economista, “sono finiti i tempi in cui anche un politico trombato poteva fare un buon lavoro, purché avesse intuito e conoscenza del territorio”. Le parole di Resti si inseriscono in un’analisi piu’ ampia.

In materia di fondazioni bancarie, dice, “ci sono certamente passi avanti da fare. Una maggiore trasparenza dei bilanci per esempio non guasterebbe: viene da chiedersi per quale motivo le banche siano assoggettate a complessi e approfonditi schemi di bilancio obbligatori (con allegati e prospetti di dettaglio predefiniti) e il soggetto che sta al piano di sopra (e che pure è un investitore professionale che può acquistare derivati e in qualche caso addirittura investire a leva) abbia vincoli informativi cosi’ poco stringenti”.

Il pericolo “più grave”, secondo Resti, è tuttavia quello di “un passo indietro”. È vero, argomenta, che con la crisi finanziaria “alcune fondazioni hanno conosciuto risultati deludenti, ma si tratta proprio di quelle fondazioni che sono state maggiormente restie a seguire il percorso di sviluppo tracciato dalle leggi Amato e Ciampi (che chiedevano di ridurre l’influenza sulla banca conferitaria e di diversificare il portafoglio anziché restare appesi al settore finanziario come babbuini a un banano)”.

Il caso Mps e le responsabilità emerse per la gestione della fondazione senese, del resto, rendono il dibattito particolarmente attuale. A caldo, nei giorni successivi all’emergere dello scandalo senese, il responsabile economico del Pd, Stefano Fassina, rendeva bene l’idea di un’esigenza di rinnovamento che secondo molti osservatori riguarda tutto il sistema delle Fondazioni. Primo, diceva Fassina, “nel riformare la legge Ciampi si potrebbe qualificare la composizione delle nomine di provenienza politica”. In sostanza, “per evitare ossificazioni si potrebbero imporre regole sul ricambio ai vertici delle Fondazioni, garanzie sulle competenze dei nominati”. Perche’ “regole diverse e nuove, senza spirito punitivo, sarebbero nell’interesse di tutti”.
Resta comunque nutrita la schiera dei ‘difensori d’ufficio’ delle Fondazioni. “Sono totalmente scettico rispetto all’idea di un rinnovo generazionale a prescindere. Deve continuare a prevalere l’idea di una societa’ meritocratica. E vale in Parlamento come nelle fondazioni bancarie”, premette Giorgio La Malfa. L’ex ministro, esperto di temi finanziari, interpellato dall’Adnkronos, riconosce agli Enti il merito di aver “assicurato stabilita’” al sistema in un momento particolarmente difficile. Le Fondazioni, tiene a sottolineare, “sono invece tutte gestite abbastanza bene. Non si puo’ dire che ci sia stata una cattiva gestione e non ci sono effetti negativi sulla governance delle banche”.

Fonte originale: Adn Kronos
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Re: Banke

Messaggioda Berto » gio gen 09, 2014 9:21 am

Draghi parla di fallimento, le banche italiche tremano

http://www.lindipendenza.com/draghi-par ... he-tremano


di FABRIZIO DAL COL

La Bce fa tremare soprattutto le banche italiane, i cui titoli hanno reagito con pesanti ribassi a Piazza Affari. Gli istituti di credito, come in generale quelli internazionali e anche quelli europei, sono in ansia per gli effetti dell’asset quality review, ovvero gli stress test : si tratta di una revisione della qualità degli asset, che partirà ufficialmente a novembre e durerà 12 mesi, lanciata dalla Banca centrale europea. Per quanto concerne gli istituti bancari italiani, la notizia ufficiale conferma che saranno sotto esame in 15. Si tratta di Mps, Creval, Banca Carige, Bpm, Bper, Popolare Vicenza, Popolare Sondrio, Credem, Iccrea, Banco Popolare, Intesa SanPaolo, Unicredit, Ubi Banca, Mediobanca, Veneto Banca. Dal report dettagliato reso ufficiale dalla Bce, si apprende che il parametro di riferimento per determinare l’esistenza o meno di un deficit patrimoniale sarà il Common Equity Tier 1, che non dovrà scendere sotto l’8% dell’attivo ponderato per il rischio. A prima vista, si tratterebbe di una definizione un po’ più restrittiva di quella adottata dall’Eba (Core Tier 1) che, però al pari di quella dell’ Eba, non esclude, per le banche che stanno in piedi ma prive di accesso al mercato dei capitali, di colmare il deficit patrimoniale con all’aiuto statale.

Questo particolare punto è stato sottolineato e marcato più volte dallo stesso presidente della Bce, Mario Draghi. Ecco che, senza una garanzia pubblica certa pronta per un eventuale intervento, il cosiddetto “backstop”, banche sane ma sottocapitalizzate potrebbero subire gravi danni in reputazione capaci anche di alimentare ingiustificate fughe dei depositanti. Il ministro per l’economia Fabrizio Saccomanni sottolinea che l’Italia non ha nulla da temere, ma chissà mai perché, un rapporto di Goldman Sachs presenta invece una realtà diversa. Soprattutto se si considera che la BCE attraverso il suo numero uno Mario Draghi è stata chiara, e ha affermato che alcune banche avranno bisogno di fallire. “Se devono fallire, dovranno fallire. Non c’è alcun dubbio su questo”, ha detto. Ecco che, ( come da tabella ) affinché tutto sia più chiaro, la Goldman Sachs ha stilato una sua previsione di massima : previsioni su esito asset quality rewiew/stress test.

• 11 banche falliranno i test;

• da un punto di vista geografico, i deficit sono attesi in Italia (86%), Germania (57%) e Spagna (56%);

• Riguardo alle banche italiane, i deficit patrimoniali interesseranno soprattutto Monte dei Paschi di Siena (74%)e Banca popolare di Milano.

Come si può notare dalla tabella, nella seconda parte sono state previste anche le relative conseguenze. Insomma, per l’Italia si prospetta un nuovo scenario inquietante, e come sempre è fin qui accaduto, non possono più essere sufficienti le garanzie di un ministro a tranquillizzare né i mercati e tanto meno i risparmiatori.
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Re: Banke

Messaggioda Berto » gio gen 09, 2014 9:23 am

Speculazione finanziaria, oggi anche peggio di ieri

http://www.lindipendenza.com/speculazio ... io-di-ieri

di OSCAR STRANO

A distanza di sei anni e più dallo scoppio della crisi finanziaria internazionale, praticamente niente è stato ancora fatto per evitare che si possano ripetere, in futuro, tsunami devastanti come quello che stiamo affrontando.

Stati Uniti ed Europa hanno finto di affrontare il problema, rifiutando di imporre regole precise e omogenee sui mercati : risultati? La giungla finanziaria, oggi, è più forte che mai. E si sa, nelle giungla regna il più forte, colui che agisce privo di vincoli. Le banche d’investimento internazionale gestiscono gli scambi, ancora, non regolamentati . E sono le stesse che, negli anni del caso Lehman Brothers , distribuivano in giro, come santi venditori , i famigerati titoli derivati. Quei titoli, cioè, che consentono di coprire o assumere un rischio, il quale, se si diffonde esponenzialmente – com’è accaduto – e si intreccia indissolubilmente con prodotti di altri intermediari e mercati, soprattutto bancari può diventare veicolo di propagazione del rischio sistemico, causando una propria e vera infezione. Stati Uniti ed Europa sono infetti, e le rispettive autorità competenti si sono dimostrate medici inadeguati.

L’immobilismo dei governi ha fatto sì che la finanza continuasse a produrre un’enorme ricchezza di denaro virtuale, una vera e propria bolla dei derivati, che vale oggi 740 mila miliardi, 20 mila miliardi in più rispetto a quelli del 2007. Secondo Giuseppe Vegas, presidente della Consob, <<i derivati hanno prodotto un debito potenzialmente immenso, pari a dieci volte il PIL mondiale e di entità tale che nessuno sarebbe più in grado di pagare>>. Nessuno, è ovvio. Eppure Obama, così come la Commissione Europea, ha alzato i toni più volte contro queste manovre speculative, che vedono i propri natali a Wall Street. La legge Dodd-Frank del 2010 avrebbe dovuto andare in quella direzione: tuttavia molte nuove regole devono ancora essere scritte o approvate e resta da definire il nuovo “leverage ratio”, cioè il rapporto tra il totale delle attività rispetto al capitale azionario di una banca. La Fed, ad esempio, ha proposto il 6%, il doppio del 3% richiesto dalle regole di Basilea 3. Ma le grandi banche interessate faranno di tutto per ostacolarla.

La verità è che le banche d’investimento costituiscono una potente lobby mondiale, in grado di condizionare governi, opinione pubblica e partiti. Ma questa è storia. Come se ne esce?

Mario Draghi, a dicembre dell’anno appena passato, intervenendo all’Europarlamento si è detto <<favorevole alla separazione delle attività nelle banche>> . Buffo, detto da un ex (?) Goldman Sachs (una delle principali banche d’affari del mondo), ma da non sottovalutare.

La massima libertà delle banche, che possono decidere di ricorrere ai derivati come strumenti di copertura per la stabilità dei bilanci, si trasforma spesso e velocemente in un sofisticato strumento speculativo che consente grandi profitti in condizioni di mercato favorevole, ma devastanti perdite in caso contrario. Tutto a discapito dell’economia reale, la quale è chiamata a “toppare” le crepe del sistema finanziario. Ed oggi viviamo nel paradosso di aver sopportato, per anni, politiche recessive per devolvere la ricchezza raccolta a fronte delle perdite della speculazione. Ancor peggio, sia la Fed che la Bce hanno adottato, seppur in misura differente, una politica monetaria espansiva, mettendo a disposizione del sistema bancario una quantità di liquidità spropositata. Il guaio, appunto, è che la liquidità venga usata dalle banche per coprire i buchi delle loro perdite (con i nostri soldi) e per giocare d’azzardo nuovamente. Il credito ad imprese e famiglie latita.

Capito ora? I soldi elargiti “gentilmente” dalle banche centrali finiscono nell’abisso che separa la grande finanza dalla gente ordinaria.
Allora, ripeto la domanda: come se ne esce?

Una pianta muore se aggredita dai parassiti. E l’Italia, quanto l’Europa, quanto gli Stati Uniti, è aggredita dai parassiti della finanza internazionale.
Abbiamo le mani legate, dice qualcuno. Altri sperano nella riforma del sistema bancario europeo. L’Unione Bancaria può garantire una vigilanza comune ed oggettiva, ma la vera riforma è quella della separazione tra credito produttivo e “bisca finanziaria” su modello del Glass-Steagall Act. Solo destinando risorse al settore produttivo, all’industria, si possono ricreare le condizioni di crescita. E più crescita significa più occupazione. Non è necessario essere keynesiani per comprenderlo.

Il credito serve per lo sviluppo e non per la speculazione, non possiamo più permetterci di sprecare i fondi della Bce per salvare i parassiti della finanza. Separare il produttivo dallo speculativo vuole dire, tra l’altro, cominciare a difendere e stabilizzare i bilanci pubblici.
Non è questo l’obbiettivo della “pacificazione” voluta dal Presidente Napolitano?
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Re: Banke

Messaggioda Berto » dom gen 19, 2014 2:25 pm

Islanda ha un'idea per uscire dalla crisi: non pagare i debiti. Il premier avverte le banche: o sconto o... niente

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... d=AbxCmXZI

Immagine

di Vittorio da Rold


L'Islanda, quella della crisi delle banche e quella del vulcano Eyjafjallajokull la cui eruzione bloccò i cieli di mezza Europa qualche tempo fa, ha deciso di essere protagonista di una nuova eruzione. Politica, questa volta: sospendere a tempo indeterminato i negoziati per l'ingresso nella Ue e rinegoziare i debiti con le banche, con la minaccia, neanche troppo velata, di non pagare. Un modo originale per uscire dalla crisi.

Lo ha reso noto il premier Sigmundur David Gunnlaugsson, 38 anni, di centrodestra, nel corso di una intervista al canale televisivo americano Cnbc dove ha spiegato i motivi della scelta: «L'eurozona non imparato niente dalla bancarotta della banche islandesi del 2008. Le banche della zona euro stanno ancora funzionando con le stesse regole che hanno portato le banche islandesi al collasso. Per questo non siamo più interessati ad entrare nell'Unione e neanche nell'euro». L'annuncio del premier è stato poi ratificato dalla maggioranza di governo in Parlamento sopprimendo la speciale commissione per i negoziati con la Ue.

La vicenda si intreccia con il contenzioso sul pagamento dei crediti con le banche ancora in sospeso. In Islanda il giovane premier Gunnlaugsson, ha deciso di ingaggiare un braccio di ferro con i creditori delle banche fallite del paese nordico. Il giovane premier islandese li ha accusati di essere il principale ostacolo all'eliminazione dei controlli di capitale, messi in tutta fretta cinque anni fa dal governo, per impedire la fuga dei capitali dall'isola. A causa dei contrasti con i creditori internazionali il premier è stato costretto a fare un passo indietro dalle promesse fatte in campagna elettorale e ha precisato che fornirà un piano di rientro nella normalità finanziaria entro fine mese.

Ma che sta succedendo in quest'isola lontana nel mare del Nord? Sullo sfondo della clamorosa decisione di rottura con Bruxelles ci sono vecchie ruggini con la Ue sulla questione del debito della banca Icesave, una vicenda anche questa vulcanica per la quale l'Ue si era schierata ai tempi con Londra e L'Aja (i creditori) nel chiedere che il debito della Landsbanki, una banca privata poi statalizzata, venisse onorato.
Ma il governo islandese ha sempre fatto orecchie da mercante invocando il fatto che c'era stato un moral hazard da parte dei creditori che avevano prestato ingenti somme a un soggetto privato senza le necessarie garanzie.
Lo stato islandese era poi intervenuto per evitare che la banca si trasformasse in una Lehman Brother islandese. Questo salvataggio non significava che automaticamente si dovessero ripagare tutti i debiti pregressi. Una posizione che la Ue invece non accetta.

I negoziati con la Ue non sono mai stati stati facili poiché Bruxelles ha sempre chiesto a Reykjavík di aderire all'acquis communitaire su alcuni punti, fra cui la libera circolazione di capitali e il coordinamento delle politiche di pesca che l'Islanda non ha mai gradito.
Su libertà di movimento di capitali (e conseguente restituzione dei debiti) e anche sulla questione delle regole sulla pesca, le trattative si sono rotte. Il primo ministro islandese di centro destra, ancora poco conosciuto all'estero è giunto al potere in aprile con la promessa di cancellare i debiti sui mutui ipotecari e di eliminare i controlli di capitale messi in piedi dopo il drammatico crollo economico del 2008. Nel mese di maggio, ha detto che l'accordo con i creditori era in vista ma le cose non sono andate lisce come sperava.

Il braccio di ferro è con quei creditori offshore che hanno 8 miliardi di dollari intrappolati nell'isola a causa dei controlli sui capitali poiché l'Islanda ha bloccato quasi cinque anni fa i suoi mercati per evitare la fuga di capitali. Gunnlaugsson ha già detto che in cambio del ritorno alla normalità, vuole che i creditori riducano le loro pretese. Si vocifera di uno sconto di circa 3,8 miliardi di dollari sul totale dei crediti vantati pari a 8 miliardi di dollari ma naturalmente non ci sono certezze.

Il sistema finanziario dell'isola crollò nel 2008 dopo che le sue banche cedettero sotto il peso dei loro debiti per un ammanco di 85 miliardi dollari.
Una bancarotta che portò all'epoca al blocco dei bancomat da un giorno all'altro e al crollo della moneta locale dell'80% nei confronti dell'euro e sprofondò l'isola nordica nella peggiore crisi negli ultimi sessanta anni.
Da quel momento gli abitanti sono tornati alle vecchie occupazioni di un tempo e hanno messo nel cassetto il sogno di diventare un paradiso finanziario.
Ora pensano solo a come evitare di pagare i debiti di un passato recente, quando da pescatori di merluzzo vollero diventare banchieri d'alto bordo usando la leva finanziaria oltre i limiti consentiti.


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L'Islanda festeggia la fine della crisi.Cancellati 24mila euro dai mutui

http://www.repubblica.it/economia/2013/ ... i-72440260

Immagine

Scatta la misura promessa nell'ultima campagna elettorale del centrodestra: riguarderà un terzo della popolazione. Il maxirimborso destinato a chi ha legato i finanziamenti all'inflazione ed è rimasto scottato dalla galoppata dei prezzi dopo il crac delle banche. A pagare sarà proprio la finanza degli speculatori: S&P e il Fmi su tutte le furie.

di ETTORE LIVINI

MILANO - La crisi è finita, Natale è vicino. E l'Islanda farà trovare sotto l'albero a 100mila suoi cittadini (un terzo della popolazione) un regalo da sogno: la cancellazione di 24mila euro dal mutuo per la casa. Il piano, promesso nell'ultima campagna elettorale dal Progressive Party, capofila della coalizione di centro-destra, è stato lanciato ufficialmente in queste ore. Tutti coloro che hanno contratto un prestito immobiliare a tasso legato nall'inflazione - praticamente almeno una persona per famiglia - si vedranno togliere dalla sera alla mattina una cifra fino a 24mila euro.

Una sorta di risarcimento dopo che la svalutazione della corona causata dal crac delle banche di Reykjavik ha mandato alle stelle i prezzi (+37,6% tra 2007 e 2010) e le rate di questi mutui. Il maxi-rimborso comporterà una spesa di 900 milioni di euro in quattro anni per le casse dello stato. E malgrado le chiassose proteste di Wall Street e degli organismi internazionali, il conto verrà fatto pagare - accade solo al Circolo polare artico - alla finanza e agli hedge fund. Il governo ha annunciato un giro di vite fiscale sulle banche ed è pronto a dare un'altra sforbiciata unilaterale ai vecchi debiti all'estero ereditati dalla crisi, finiti tutti in portafoglio ai fondi speculativi. L'operazione - forse non a caso - ha mandato su tutte le furie Standard & Poor's e il Fondo Monetario mondiale: l'agenzia di rating ha già minacciato un downgrading del voto dell'Islanda se andrà in porto, mentre Washington
- che nel 2008 ha sostenuto Reykjavik con aiuti per 4,6 miliardi - ha ammonito che la ripresa economica è ancora debole e che non c'è spazio per troppi regali ai contribuenti.

Il Primo ministro Sigmind Gunnlaugsson tira comunque dritto, infischiandosene del cartellino giallo del Fondo. "Questo - ha detto - è l'inizio di un vero rinascimento economico dell'isola". Il paese è andato in default nel 2008, travolto dal flop delle sue banche oberate di 100 miliardi di debiti esteri, una cifra pari a dieci volte il Pil nazionale. Reykjavik è intervenuta bloccando la libera circolazione della corona, chiudendo le banche, facendo pagare il conto in buona parte ai creditori stranieri e imponendo due anni di austerity ai suoi cittadini. La cura ha funzionato molto meglio di quelle tutte lacrime e sangue domestiche imposte a Grecia e Portogallo. Già nel 2011 l'Islanda ha ripreso a crescere (+2,9% il Pil) e anche quest'anno e il prossimo dovrebbe correre a tassi vicino al 3%. La disoccupazione - il cruccio del resto d'Europa - dopo aver sfiorato il 10% nel 2009 è scesa ora al 5,7%. E a breve il Paese spera di riaprire gli scambi sulla corona. "Il rischio - ha fatto sapere l'Fmi - è che il decreto salva-mutui per cui non ci sono i soldi finisca per riportare indietro l'orologio agli anni neri del crac".

Gunnlaugsson non è preoccupato. "L'impatto sui nostri conti tra il 2014 e il 2017 sarà minimo". Il piano prevede pure agevolazioni fiscali per incoraggiare gli islandesi a utilizzare i loro piani pensionistici per azzerare l'indebitamento. E porta a 1,6 miliardi di euro, calcola la Financial services association di Reykjavik, il totale dei debiti condonati agli islandesi, qualcosa come il 15% del Pil, come se in Italia si cancellassero 300 miliardi di rate. "Il salvataggio delle famiglie dal cappio degli interessi farà da volano alla ripresa liberando risorse e stimolando i consumi", è sicuro il premier. Alla faccia delle Cassandre di Fmi e S&P.
(01 dicembre 2013)
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Re: Banke

Messaggioda Berto » mar gen 21, 2014 7:57 pm

Bankitalia che roba è: pubblica o privata?

http://www.lindipendenza.com/bankitalia ... -o-privata


di COSTANTINO de BLASI

Una delle frottole più ricorrenti e maggiormente à la page vuole che Banca d’Italia e Banca Centrale europea siano brutte, sporche e cattive perché private. Sebbene smentita innumerevoli volte e ad ogni livello, questa leggenda di una banca dietro cui si nascondono biechi interessi privati e per questo affama il popolo inerme continua ad impazzare su tv e giornali di controinformazione.

L’equivoco, abbastanza banale, nasce da 2 circostanze: le quote partecipative di BANKITALIA sono detenute da S.p.A.; gli azionisti sono banche, assicurazioni e INPS.

Una SPA atipica?

Basterebbe leggere lo statuto e avere qualche nozione di diritto privato per comprendere che la Banca d’Italia non è una S.p.A. e nulla le conferisce lo status di istituto privato. L’art. 1 dello Statuto recita “La Banca d’Italia è un istituto di diritto pubblico”. Qualora non bastasse, e sicuramente a qualcuno non basta, si può leggere all’art. 2 che la banca d’Italia e i componenti dei suoi organi […] non possono sollecitare o accettare istruzioni da altri soggetti pubblici e privati; assolve compiti ad essa attribuiti dalla legge (art. 2, comma 5); il capitale è rappresentato da quote partecipative (non da azioni ndr.) il cui valore nominale è indicato dalla legge (art. 3, comma 1); le quote di partecipazione possono appartenere esclusivamente ai soggetti indicati dalla legge (art. 3, comma 3).

Ci troviamo insomma davanti ad un istituto a cui norme fondamentali del diritto societario (poteri dei soci, attribuzioni agli organi sociali, valore nominale delle azioni, alienabilità delle azioni) non si applicano.

In una società per azioni la nomina degli amministratori è prerogativa dell’assemblea, mentre nel caso della Banca d’Italia il Governatore è nominato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del consiglio dei ministri, sentito il Consiglio Superiore. Ancora più cogente è il disposto dell’art. 6, comma 2 il quale stabilisce che l’Assemblea non ha alcuna ingerenza nelle materie relative all’esercizio delle funzioni stabilite dal Trattato, dallo Statuto, dalla normativa dell’Unione Europea e dalla legge.

Circa il secondo punto, la cui discussione a questo punto dovrebbe apparire pleonastica a qualunque persona sana di mente, c’è da dire che la Legge Amato 218/1990 e la successiva legge Ciampi 461/1998 hanno effettivamente stabilito lo status di enti di diritto privato, ma sappiamo che i conferenti, ovvero le fondazioni bancarie, sono spesso emanazione di amministrazioni locali e quindi di partiti politici. In base a questa equazione, visti i disastri economici perpetrati dalla politica, dovremmo essere noi che siamo a favore della proprietà privata a richiedere con forza la statalizzazione (vera) delle fondazioni. Ovviamente ce ne guardiamo bene, ma il gusto del paradosso talvolta ci fa proferire anche simili oscenità.

Resta un ultimo nodo da sciogliere, ovvero quello relativo alla remunerazione del capitale conferito. Lo Statuto entrato in vigore nel dicembre scorso stabilisce che il Consiglio Superiore delibera la ripartizione dell’utile netto:

Riserva ordinaria fino al 20%
Partecipanti fino al 6% del capitale
Riserva straordinaria fino al 20%
Allo Stato per l’ammontare residuo
Sono chiare ed evidenti almeno tre cose:


la distribuzione degli utili è stabilita per legge mentre nelle società per azioni è l’assemblea che ha la facoltà di deciderla
Ai partecipanti può andare solo una quota residuale dell’utile
Lo Stato fa la parte del socio di maggioranza
Chiarito, speriamo, l’equivoco, nella seconda parte dell’articolo affronteremo un tema più complicato e meno dibattuto che però ha implicazioni decisamente serie sulla politica economica, che come vedremo sono affatto piacevoli: la recente rivalutazione del capitale.

(1 – continua)
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Re: Banke

Messaggioda Berto » mar gen 28, 2014 9:47 am

Bankitalia: il colossale regalo fatto a banche e istituti finanziari

http://www.lindipendenza.com/bankitalia ... finanziari


di COSTANTINO de BLASI

In questo articolo abbiamo provato a mettere un punto sulla questione relativa allo status pubblico della Banca d’Italia. Adesso però tocca affrontare contenuti e conseguenze del decreto legge 133 del 30 novembre 2013 con cui si autorizza la Banca d’Italia ad aumentare il proprio capitale.

Il capitale sociale di Bankitalia era fermo al lontano 1893, ossia 300 milioni di lire, allorquando “per grazia di Dio e per volontà della nazione” il re Umberto I promulgò la legge con la quale la Banca nazionale del regno d’Italia, la banca nazionale toscana e la banca toscana di credito si fusero e diedero vita al nuovo Istituto di emissione. Nello sport si dice “squadra che vince non si cambia” ma da quel lontano giorno qualche cosa deve essere pur cambiato se è vero che nel mezzo ci sono state 2 guerre mondiali, una dittatura, un boom economico, una crisi petrolifera e, tra l’altro, un abbozzo di quell’Europa federale sognata dai padri costituenti.

Ad ogni modo, la necessità di una rivalutazione del capitale del più importante istituto bancario nazionale forse non era tanto peregrina. Quello che lascia perplessi e impone delle domande sono modi e contenuti con cui si arriva alla norma attuale. Nel decreto del Presidente della Repubblica (sembra un caso che qualcuno lo chiami Re Giorgio), si stabilisce una rivalutazione del capitale sociale a 7.500.000.000; 48.000 volte il capitale originario. Un sito che è interessante utilizzare per chi vuole dilettarsi con serie storiche è rivaluta.it. Siamo andati a vedere qual è il valore cumulato dell’inflazione dal 1955 (primo dato disponibile) ad oggi e abbiamo calcolato se si volessero rivalutare i 300 milioni di una volta, 156.000 euro, si otterrebbe un valore di circa 425 milioni di euro. Affatto trascurabile ma ben lontano dai 7.5 miliardi di oggi.

Ma al di là dei numeri, pur divertenti, sono gli effetti del decreto che sono interessanti e degni di valutazione critica. Una rivalutazione di tale portata significa che chi partecipa al capitale della Banca d’Italia si trova da un giorno all’altro con un surplus di attività stabilite con un solo tratto di penna. Non solo, poiché il comma 5 del decreto stabilisce che ciascun partecipante non può detenere una quota superiore al 5%, chi supera tale soglia sarà “costretto” ad alienare l’eccedenza.

Attualmente le quote di partecipazione dei soci più rappresentativi sono così ripartite

Socio
Quote

Percentuale

Intesa San Paolo
91.035 - 30,35%

UniCredit
66.342 - 22,11%

Assicurazioni Generali
19.000 - 6,33%

INPS
15.000 - 5,00%

MPS
7.500 - 2,50%

Quindi 3 soci, Intesa, Unicredit e Generali dovranno tornare sotto la soglia del 5%.
Con la ricapitalizzazione si avrà questa situazione

Socio
Valore Quote attuali post ricapitalizzazione
Differenza con vecchia capitalizzazione
Differenza quota post alienazione della percentuale in eccesso

Intesa San Paolo
2.275.875.000 - 2.275.827.661 - 1.900.875.000

UniCredit
1.658.550.000 - 1.658.515.502 - 1.283.500.000

Assicurazioni Generali
475.000.000 - 474.990.120 - 100.000.000

INPS
375.000.000 - 374.992.200 - 374.984.400

MPS
187.500.000 - 187.496.100 - 187.492.200

Vale a dire che Intesa e Unicredit incasseranno rispettivamente 1.9 e 1.2 miliardi e Monte dei Paschi beneficerà di una rivalutazione netta di oltre 187 milioni.
Indubbiamente si tratta di un gradito regalo di dimensioni colossali fatto a banche e istituti finanziari.

Se fossimo avvezzi alla dietrologia non mancheremmo di sottolineare una naturale simpatia del ministro Saccomanni per il mondo che fino pochi mesi fa ha diretto in qualità di direttore generale di BANKITALIA.
Poiché preferiamo evitare facili associazioni, preferiamo dire che ciò che ha mosso il governo a sostenere le banche nazionali sia l’imminenza degli stress test voluti da Draghi e che si preannunciano più severi.

Resta però un altro dubbio abbastanza inquietante che non può essere sottaciuto. Come sappiamo, dietro gli istituti di credito ci sono le fondazioni bancarie e poiché queste sono generalmente emanazione del territorio, delle amministrazioni locali e quindi dei partiti, la pioggia di denaro, pubblico, che sta per arrivare nelle casse delle controllate potrebbe essere solo un altro sgradevole tassello di quella storia tutta italiana che vede la politica sempre affamata di soldi. Il vero nodo è che i partiti politici, nelle forme più svariate e fantasiose si comportano come parassiti che attaccano l’organismo ospite fino a prosciugarlo di ogni energia. E, per inteso, fra gli organismi ci siamo anche tutti noi cittadini.

(2 – fine)
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Re: Banke

Messaggioda Berto » mer gen 29, 2014 8:41 am

Germania, prelievo forzoso e parassiti: o li stermini o ti sterminano

http://www.lindipendenza.com/germania-p ... -parassiti

di LEONARDO FACCO

Ieri, diversi media (tra cui il nostro) han messo in evidenza una notizia a proposito di prelievo forzoso: “In caso di bancarotta i Paesi europei devono prendere in considerazione l’imposizione di un prelievo una tantum sui capitali nazionali piuttosto che chiedere aiuti all’estero”.
La proposta è della Bundesbank, che lo ha messo nero su bianco nell’ultimo bollettino mensile. Secondo la Banca centrale tedesca, insomma, la quale nel corso della crisi del debito ha più volte sostenuto la linea dura contro l’acquisto di titoli di Stato da parte della Bce, non deriverebbero ‘rischi significativi’ da una patrimoniale sui cittadini, che anzi difenderebbe il principio della responsabilità nazionale e permetterebbe la gestione più ordinata di eventuali casi di insolvenza. Il coinvolgimento dei contribuenti con un prelievo straordinari”.

Ora, su questo giornale non ci siamo mai stancati di scrivere alcune cose, a differenza di chi si accorge solo ora dello stato comatoso in cui versano alcuni paesi e le loro banche.

Abbiamo avvertito che:

1- Non vi è alcuna inversione di tendenza, o ripresa che dir si voglia, in Italia, che rimane il ventre molle dell’Europa, ormai a corto di denari anche per pagare stipendi e pensioni. Nonostante la pressione fiscale sia ancora una volta lievitata.

2- Non dovete tenere i soldi in banca, salvo il necessario per le spese vive. Per due motivi. Primo, le banche sono altamente a rischio; Secondo, quando depositate i vostri denari in banca, la proprietà di questi passa alla banca stessa, il che significa che (in teoria) il prelievo forzoso viene fatto a loro e non a voi. Vedi articolo 1834 del codice civile.

3- Il caso Cipro non è avvenuto casualmente. Esso ha semplicemente rappresentato un esperimento in piccolo da replicare in quei paesi che – come ovviamente l’Italia – anziché varare riforme serie e dolorose continueranno a spendere e spandere, varcando l’orlo del baratro.

E’ ovvio che la Germania – dopo aver fatto esperienza con la Grecia – non abbia più voglia – né interesse – di portare sulle proprie spalle (quelle dei suoi contribuenti) il peso di altri paesi cicala. Il prelievo forzoso (o patrimoniale, come la chiamano alcuni left-oriented) è la più logica (seppur infame, rimembrate Giuliano Amato?) delle conseguenze che aspettano “Fallitaglia”.

C’è una morale in tutto questo: i parassiti, o li stermini o ti sterminano!

Vedi articolo 1834 del codice civile.
http://www.usemlab.com/index.php?option ... Itemid=177

Poniamo che di questi tempi vi venga in testa un'idea del tutto balorda: decidete di andare in banca a ritirare gran parte dei soldi che riposano sul vostro conto corrente. Non so, forse, stupidamente, siete convinti che essi possano stare più al sicuro da qualche altra parte. Forse, spaventati da trasmissioni demenziali che propongono il divieto di usare il contante, avete pensato che sarebbe meglio darsi una mossa e prelevarne una parte finchè si è in tempo.

In fondo non importa la ragione, voi semplicemente avete avuto questa balzana idea di andare in banca a prelevare parte dei vostri soldi in contante.

Entrate dopo aver svuotato almeno due volte le tasche nel portaoggetti, vi presentate allo sportello e reclamate il vostro ammontare costituito da almeno quattro cifre. Per ammontari più modesti non perdete neanche tempo, ricordatevi che c'è sempre a disposizione il bancomat, meraviglia del progresso e frutto dell'ingegno imprenditoriale, il quale vi offre il vantaggio di non costringervi a svuotare le tasche prima di unirvi agli altri clienti con il numerino in mano e in attesa di essere serviti.

Lo sportellista di banca, piuttosto allarmato soprattutto nel caso in cui l'ammontare richiesto sia non di quattro, ma addirittura di cinque cifre, chiama subito il direttore che arriva ansimando e comincia: la legge di qua, le disposizioni di là, la circolare di sopra, per l'antiriciclaggio di sotto, però ci voleva il preavviso... bla bla bla.. insomma per farla breve è chiaro che il vostro malloppo non ve lo sganciano volentieri. Leggendo alcune esperienze pubblicate sul web, qualche cliente più esuberante a questo punto si incazza pure alzando la voce e dicendo: «Ma stiamo scherzando?? Quei soldi sono miei, ho diritto a riaverli»!

A tal punto i casi sono due: o sganceranno quanto richiesto con evidente malumore, intimoriti soprattutto dagli schiamazzi che state facendo, oppure, rivelandosi ben più tosti e ostinati di quanto aveste creduto in prima battuta, vi convinceranno a ritornare un altro giorno.

In questo secondo caso, quando tornerete qualche giorno dopo potrete finalmente mettere le mani sul conquibus tanto a lungo trattenuto. Contenete però la vostra gioia, soprattutto nel caso in cui l'ammontare prelevato superi abbondantemente i venti o trentamila euro. La possibile visita di cortesia della Guardia di Finanza a casa vostra potrebbe infatti suscitare qualche perplessità e abbattere la vostra soddisfazione. Benché pare pongano solo qualche innocua domanda sulle ragioni della detestabile azione appena commessa, la sensazione di sentirsi implicitamente considerati al livello di uno sporco evasore, di un pericoloso bandito, di un esecrabile spacciatore, ai più non risulta affatto gradita.

In ogni caso, dopo aver portato a termine con successo la vostra balorda azione di ritirare il contante dalla banca, prendetevi qualche secondo e fate lavorare il cervello, fermatevi cioé a riflettere e ponetevi la seguente domanda:

DI CHI ERANO VERAMENTE QUEI SOLDI che figuravano a saldo del vostro conto corrente e che siete andati a reclamare con tanta tracotanza??

Sembra una domanda stupida, e invece si tratta di una delle domande più importanti del mondo.

Ponendoci questa domanda, infatti, caschiamo diritti di fronte all'INGHIPPO giuridico più eclatante e ben celato di tutti i tempi che tanti disastri sociali ed economici ha creato negli ultimi secoli.

Ripetiamo bene la domanda: DI CHI SONO VERAMENTE QUEI SOLDI che figurano sul vostro conto corrente??

Vediamo cosa recita la legge, cioè l'articolo 1834 del codice di civile:

"Nei depositi di una somma di danaro presso una banca, questa ne acquista la proprietà ed è obbligata a restituirla nella stessa specie monetaria alla scadenza del termine convenuto ovvero a richiesta del depositante, con l’osservanza del periodo di preavviso stabilito dalle parti o dagli usi"

ATTENZIONE alle sfumature: la banca ne acquisisce la proprietà! Cioè quei soldi SONO per legge DELLA BANCA che è tenuta a restituirli a RICHIESTA DEL DEPOSITANTE (?!?depositante???!!) con l’osservanza del periodo di preavviso stabilito dalle parti o dagli usi (avevano ragione sul preavviso, avevano ragione loro!).

In altre parole, questi soldi finchè non vi presentate a riprenderli e finchè effettivamente non ve li consegnano in mano, SONO di PROPRIETA' della banca benchè risultino apparentemente VOSTRI nel VOSTRO saldo di conto corrente.

E qua nella testa dei meno distratti sorge spontanea una bella domanda. Nel momento in cui la banca era DIVENTATA PROPRIETARIA dei VOSTRI soldi che avevate versate sul VOSTRO conto corrente, cosa diavolo ci aveva fatto? Li aveva messi da parte per custodirli, o li aveva usati per svolgere i propri affari?

Formuliamo la domanda in altra maniera.

Quei soldi presenti sul vostro conto corrente sono davvero a vostra disposizione (con l'osservanza del periodi di preavviso stabilito dalle parti o dagli usi) o sono stati prestati dalla banca a qualcun altro. E in tal caso, per quanto tempo li ha prestati?

Suvvia! Siate onesti! Se non siete proprio degli ingenuotti degni di un quadro naif, non potrete che dare la risposta giusta!

Ovvio che quei soldi la banca li ha prestati a qualcuno! Altrimenti come farebbe la banca a pagarvi gli interessi (peraltro ormai ridicoli) sulle giacenze di conto corrente? Ma allora, perchè avete schiamazzato dentro la banca reclamando i soldi all'istante! Stando così le cose, VOI non siete un DEPOSITANTE. VOI quei soldi li avete PRESTATI alla banca, non li avete DEPOSITATI in banca.

Riprendo dalle lezioni di Huerta de Soto:

"Se qualcuno venisse da noi e ci dicesse: «deposita i soldi presso di me, te li custodisco per bene, te li lascio sempre a completa disposizione e in più ti pago anche gli interessi», senza dubbio ci suonerebbe come un ottimo affare. Ma per credere che sia tutto vero bisognerebbe essere degli idioti. E' ovvio che c’è l’inganno, che c’è il trucco. Eppure sono proprio gli stessi termini che ci propone il banchiere e che accettiamo nel contratto di conto corrente".

Capito il trucco? Ci chiamano depositanti, la legge stessa ci definisce depositanti, ma in realtà noi siamo dei prestatori, siamo dei mutuanti!!!

Quindi se la banca questi soldi a sua volta li ha prestati a qualcuno (e non li ha prestati certo per 3-4 giorni o per una settimana), come diavolo fa a poterli restituire così, su due piedi, su improvvisa richiesta, o a distanza di qualche giorno, a chiunque si presenti in banca per ritirarli??

Ohibò. Signori, forse state cominciando ad avere qualche legittimo sospetto che fa sorgere altre domande.

Forse a questo punto vi chiederete anche, ma quando paghiamo o preleviamo con il bancomat una cifra inferiore, non vale lo stesso ragionamento? Come facciamo a disporre di una cifra che in realtà è di PROPRIETA' della banca e nel frattempo è stata prestata a qualcun altro magari per un periodo di tempo di due o tre anni? Ma che razza di magia è questa?

Insomma se questi euro li abbiamo prestati alla banca, e la banca li ha prestati a qualcun altro, essi sono quindi in mano o nel conto corrente ANCHE di qualcun altro.

Come fanno quindi gli stessi dannati euro ad essere a vostra disposizione anche sul vostro conto corrente?

Ancora una volta, quindi, chiediamoci: DI CHI SONO VERAMENTE QUESTI SOLDI?? Chi è il vero proprietario di questi fantomatici soldi? VOI, LA BANCA o il SOGGETTO TERZO al quale sono stati prestati?

Il bello, o il brutto, vedete voi, è che la banca quegli stessi soldi li ha prestati non a uno solo, ma ad altri nove soggetti ciascuno dei quali, proprio come fate voi li tiene su un conto corrente ed esattamente come voi pensa di essere il legittimo proprietario e pensa di disporne liberalmente (almeno fino alla scadenza del termine convenuto dal prestito concesso dalla banca).

QUINDI LA RISPOSTA QUALE E'?

CHI HA IL PIENO DIRITTO DI PROPRIETA' SU QUESTI SOLDI?

SONO DIECI SOGGETTI TUTTI CONTEMPORANEAMENTE?

E' possibile mai questa assurdità??

AHIME'... signori, questa assurdità è possibile: questa magia non è niente altro che la riserva frazionaria. Un paradosso frutto di un aborto giuridico creato appositamente per concedere al banchiere un privilegio unico ed estremamente potente.

La riserva frazionaria è anche la ragione per cui da che mondo è mondo si verificano forti cicli economici, accompagnati da devastanti crisi bancarie e sistemiche. Non sono gli speculatori, non sono i terremoti, non sono i commercianti o gli evasori, non sono la globalizzazione. i CDS, gli spread, lo short selling, o qualche altra diavoleria. E' la riserva frazionaria!

Con la Tragedia dell'Euro, con la crisi del Dollaro, con la crisi globale di questo III millennio siamo solo davanti al peggior ciclo e alla peggiore crisi di tutti i tempi. L'immensa forza devastatrice che questa crisi porta con sé e di cui abbiamo appena visto una prima leggera manifestazione nel 2008 e una seconda ancora leggera in questi ultimi mesi, è resa possibile dall'intervento sistematico delle banche centrali che per quasi 100 anni hanno posticipato il giorno della resa dei conti: quello in cui i 10 presunti proprietari della stessa cifra di denaro si presenteranno allo stesso sportello per richiedere lo stesso ammontare di denaro.

Ammontare di denaro, tuttavia, che non è più niente, solo un numero, al più un pezzo di carta colorato riproducibile a volontà dalla banca centrale. Però, quella riproduzione fisica a volontà, necessaria per soddisfare solo la metà di quei 10 proprietari, avrebbe conseguenze devastanti. Non a caso, con la scusa di fare la guerra a quegli appestati meglio noti come evasori fiscali, da qualche tempo è partita la campagna mediatica mirata a vietare, tassare, o abolire il contante.

E' infatti togliendo alla gente l'ultima pretesa di rivalere la proprietà del denaro su qualcosa di fisico, cioé smaterializzando al 100% il denaro, che l'aborto giuridico sottostante alla riserva frazionaria potrebbe essere tenuto nascosto ancora a lungo, mentre gli inevitabili effetti negativi ad esso collegati potrebbero essere posticipati ancora per qualche anno.

La sostanza tuttavia non cambia, il problema sotto c'è, si è stratificato per cento anni, oggi è enorme, la sua risoluzione sarà dolorosissima, e continuando a posticiparla con qualche escamotage tipo tassare o vietare il contante non si farà che aggravarla ancora.

Quindi se ancora non l'avete capito, questa crisi, questa enorme crisi non è niente altro che il risultato di una TRAGEDIA GIURIDICA. Al fine di privilegiare l'attività bancaria rispetto a ogni altra attività commerciale, per motivi ben noti a chi del tutto idiota non è, la legislazione sul contratto di deposito bancario ha lasciato una ampia e drammatica zona di grigio sulla proprietà del denaro che si muove attraverso il sistema bancario.

Se ogni conflitto, problema, crisi, è sempre riconducibile ad una cattiva definizione dei diritti di proprietà, la proprietà sul denaro bancario rimane totalmente indefinita e confusa a causa di un contratto che non costituisce né un deposito né un prestito ma vuole essere entrambe le cose allo stesso tempo.
Questo è l'errore più tragico di tutti che sta a monte di qualunque problema economico del passato e del presente.

Se volete saperne di più e ancora non l'avete fatto, leggetevi uno in fila all'altro Cosa è il Denaro e La Tragedia dell'Euro, sono testi alla portata di tutti che dovrebbero essere letti da tutti già in età scolare. I principi e i concetti in essi contenuti dovrebbero essere noti a tutti coloro che hanno un conto in banca; dovrebbero fare parte della cultura di ogni indignato che si rispetti e che vuole evitare di tirarsi solo la zappa sui piedi; purtroppo, all'alba del terzo millennio, sono principi e concetti che neanche una persona su centomila conosce o sospetta minimamente.

http://shop.usemlab.com/it/9-dittico.html

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Re: Banke

Messaggioda Berto » dom feb 16, 2014 9:49 pm

Ła reserva frasionara
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... JLemM/edit

Frottole e illusioni sul tema del signoraggio e della riserva frazionaria
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... B0Q2c/edit

Parké ła Xermagna ła ga xbandonà el Marco
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... V4NVE/edit

El diman de l’Euro
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... 1mUGM/edit
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Re: Banke

Messaggioda Berto » mar feb 18, 2014 9:49 am

La Fed fu creata per salvare le banche e per espandere lo Stato

http://www.lindipendenza.com/westley-st ... nche-stato


Proponiamo in ANTEPRIMA per L’Indipendenza la traduzione integrale in italiano dell’articolo 100 Years Ago: Why Bankers Created the Fed, tratto dal Ludwig von Mises Institute, da parte di Christopher Westley, insegnante al College of Commerce and Business Administration alla Jacksonville State University.(Traduzione di Luca Fusari)

Nella prima metà del XIX° secolo, il Partito Democratico guadagnò popolarità come il partito che si oppose alla Second Bank of the United States. In tal senso, sfruttò un così forte sentimento anti-statalista che non ne avremmo visto un altro simile fino al secolo successivo.

I suoi avversari furono i politici Whigs che difendevano la banca e la sua capacità di far crescere, allo stesso tempo, il governo e le proprie fortune personali. Erano infatti molto aperti su questi accordi. Si riteneva come una normale procedura operativa per i rappresentanti Whigs quella di ricevere una compensazione monetaria per il loro sostegno della Banca al momento di lasciare il Congresso.

Il whig Daniel Webster aveva previsto anche dei pagamenti annuali mentre era al Congresso. Una volta si lamentò con il presidente della Bank of the United States, Nicholas Biddle, «credo che il mio onorario non sia stato rinnovato o aggiornato, come al solito. Se si vuole che il mio rapporto con la Banca debba continuare, è bene che mi mandiate il solito onorario». Nessuna meraviglia che queste persone siano state spesso prese a pugni e vergati sul pavimento della Camera.

Non c’è da stupirsi che i primi Democratici abbiano raccolto il sostegno popolare chiedendo ad Andrew Jackson di porre fine all’esperimento americano della banca centrale. Jackson la definì «pericolosa per la libertà del popolo americano perché rappresentava una fantastica centralizzazione del potere economico e politico sotto controllo privato». E’ difficile credere che un tizio che ha detto ciò sia ora sulle banconote da 20 dollari.

Jackson avvertì anche che la Bank of the United States era «un grande motore elettorale» che potrebbe «controllare il governo e cambiarne il suo carattere». Questi sentimenti furono ripresi da Roger Taney, segretario al Tesoro di Jackson, che parlò di «influenza corruttrice» della Bank e della sua capacità di «influenzare le elezioni» (i Whigs si sarebbero poi vendicati su questo futuro capo della giustizia quando Abraham Lincoln, in risposta ad un parere scritto con il quale non era d’accordo, emise il suo mandato di arresto).


Ma il corteggiamento tra le classi politiche e le loro clientele continuerà nei decenni seguenti all’assassinio di Lincoln. Quei gruppi politici ben collegati, i quali hanno beneficiato della banca centrale, hanno continuato a beneficiare delle finanze del governo, in particolare di “miglioramenti interni”, che è il termine usato nel XIX° secolo per indicare delle porcate. Un sistema bancario nazionale riapparve durante la guerra tra gli Stati (guerra civile americana, n.d.t.), mettendo in atto un sistema bancario in cui le singole banche furono prese in consegna dal governo federale.

Il governo avrebbe usato le regolamentazioni, sostenuto da una nuova forza di polizia armata del Tesoro statunitense, al fine di incoraggiare l’inflazione delle banche e proteggerle dalle sanzioni del mercato derivanti da essa, come ad esempio la perdita di specie e la comparsa di corse agli sportelli. Il ciclo di espansione e contrazione, spiegato dalla scuola austriaca in dettaglio, peggiorò nel periodo antecedente al 1913.

Nell’era progressista, con l’aumento della spesa per la guerra e il welfare, e con la pressione sulle banche per gonfiare e finanziare queste attività, i cicli espansivi e di contrazione peggiorarono ancora di più. Se c’era una ancora di salvezza, in questo periodo, era che le banche furono costrette ad interiorizzare le loro perdite. Quando le banche correvano dei rischi sul loro denaro, i finanziatori privati ​​avrebbero dovuto tirarle fuori dai guai.

Ma questo accordo non durò, così quando le perdite crebbero, i finanzieri avrebbero segretamente organizzato la reintroduzione di una banca centrale in America, tale ingegneria così urgente fu necessaria quale nuovo “prestatore di ultima istanza.” Il risultato fu la Federal Reserve.
Questa fu una socializzazione implicita del settore bancario negli Stati Uniti.

La gente chiama il Federal Reserve Act la ‘Currency Bill’ (la proposta di legge o la fattura sulla valuta, n.d.t.), perché fu creata una burocrazia che assumesse le funzioni di creare valuta per le banche consorziate. Fu come il Patriot Act, in quanto entrambe furono proposte di legge centraliste che furono scritte con anni d’anticipo da parte di persone che aspettavano l’ambiente politico appropriato per introdurle. Fu come l’attuale proposta di legge sulla sanità, in cui il cartello di aziende del settore privato, oggetto dell’intesa, hanno scritto pezzi di legislazione a porte chiuse molto prima che questi fossero introdotti nel Congresso.

Non era necessaria. Se le banche si fossero semplicemente tenute a standard simili a quelli di altre industrie più efficienti, secondo la rule of law perlomeno, allora ci sarebbero state molte meno banche fraudolente. C’erano le istituzioni del mercato che avrebbero penalizzato le banche che avrebbero sovra-emesso valuta, provocato corse agli sportelli, e le crisi finanziarie.

Come Mises avrebbe poi scritto:
«ciò che è necessario per evitare l’ulteriore espansione del credito è porre l’attività bancaria secondo le regole generali del diritto commerciale e civile, convincendo ogni individuo e società ad adempiere a tutti gli obblighi in piena conformità con i termini del contratto».

Il disegno di legge fu approvato abbastanza facilmente, in parte perché i Democratici avevano una maggioranza più ampia in entrambi i rami rispetto ad oggi. Ci furono differenze di vedute significative che furono risolte nel dibattito con un compromesso, con la conseguente necessità che solo il 40% delle riserve auree sarebbero state legate alla nuova moneta.

Così, anziché un rapporto 1 a 1 tra oro e la moneta emessa (un rapporto che ha caratterizzato un solido sistema bancario di mercato fin dal Rinascimento italiano), le nuove banconote della Federal Reserve sarebbero state gonfiate, per legge, ad un rapporto di 1 a 2,5.

Il disegno di legge che fu precedentemente redatto a Jekyll Island fu firmato da Woodrow Wilson nello Studio Ovale poco dopo la sua approvazione al Senato. A un certo punto nel corso della cerimonia di firma, mentre prendeva una penna d’oro per finire di firmare il disegno di legge, scherzosamente dichiarò «sto attingendo alla riserva aurea». Parole più vere non furono mai pronunciate.

Le banche centrali risultano essere sempre quelle forze che alimentano, centralizzano ed ampliano lo Stato nazione.
Le politiche della Fed negli anni ’20, così ben documentate da Rothbard, provocarono la Grande Depressione, che alla fine strappò il potere politico dalle città e dai governi statali verso la palude di Washington. Oggi le persone prendono seriamente l’affermazione che ci possa essere una soluzione federale valida per ogni problema grazie al denaro stampato dalla Fed, ed ogni decennio ha visto una percentuale maggiore della popolazione diventare dipendente dalla sua inflazione.

Eppure credo le parole di Andrew Jackson sulla perniciosità della Second Bank of the United States siano altrettanto applicabili oggi alla Federal Reserve. Spero che vedremo il naso aquilino di Jackson e i suoi capelli spettinati su una moneta legata all’oro emessa privatamente in un futuro non troppo lontano.
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