Casta dei magistrati (procuratori-giudici) e degli avvocati

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Messaggioda Berto » dom apr 03, 2016 8:13 am

El caxo de l'avogador Dal LAGO de Viçensa kel se garia tegnesto na bona parte de on rixarçemento asicurativo, anvençe de dargheło al so cliente.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » lun apr 04, 2016 10:35 am

Quasi 200 giudici hanno interessi nelle strutture a cui affidano i minori
di Luca Rinaldi
2015/08/03

http://www.linkiesta.it/it/article/2015 ... -min/26917

Sono poco più di un migliaio e si trovano all’interno dei 29 tribunali minorili di tutta Italia così come nelle Corti d’Appello minorili. Sono i giudici onorari minorili, e di fatto hanno il pallino in mano quando si tratta di affidamenti in casa-famiglia oppure a centri per la protezione dei minori.

Una figura prevista dall’ordinamento ma che continua a risultare anomala nonostante il peso determinante nelle decisioni nell’ambito dei procedimenti che riguardano i minori e gli affidamenti: nel settore infatti il giudizio di un giudice onorario minorile è pari a quello di un magistrato di carriera. Quando si decide nelle corti infatti giudicano due togati e due onorari, mentre in Corte d’Appello sono tre i togati e due gli onorari.

A definire il ruolo del giudice onorario minorile ci pensa una del 1934 e una riforma del 1956, ripresa nelle circolari del Consiglio Superiore della Magistratura: l’aspirante giudice oltre che ad avere la cittadinanza italiana e una condotta incensurabile, «deve, inoltre, essere “cittadino benemerito dell’assistenza sociale” e “cultore di biologia, psichiatria, antropologia criminale, pedagogia e psicologia”».

Il tema non fa rumore, ma tra queste circa mille persone che ricoprono incarichi lungo tutto lo stivale, c’è qualcosa che non funziona come dovrebbe. Il centro di alcune distorsioni del sistema rimane proprio all’interno delle circolari del Csm che ogni tre anni mette a bando posti per giudici onorari: all’articolo 7 della circolare si definiscono le incompatibilità, e si scrive espressamente che “Non sussistono per i giudici onorari minorili le incompatibilità derivanti dallo svolgimento di attività private, libere o impiegatizie, sempre che non si ritenga, con motivato apprezzamento da effettuarsi caso per caso, che esse possano incidere sull’indipendenza del magistrato onorario, o ingenerare timori di imparzialità”. Al comma 6 dello stesso articolo addirittura si prevede una causa certa di incompatibilità: all'atto dell'incarico il giudice onorario minorile deve impegnarsi a non assumere, per tutta la durata dell'incarico, cariche rappresentative di strutture comuntiarie, e in caso già rivesta tali cariche deve rinunziarvi prima di assumere le funzioni.

Insomma, a meno che non ci siano pareri motivati che possano incidere su indipendenza e imparzialità del giudizio, solo un atto motivato, che spesso non arriva, può mettere ostacoli sulla nomina del giudice onorario. Sulle maglie larghe dell’articolo 7 è depositata anche una interrogazione parlamentare dallo scorso 17 febbraio del senatore Luigi Manconi al Ministero della giustizia, che al momento rimane senza risposta, mentre ai primi di maggio l'onorevole Francesca Businarolo del Movimeneto 5 Stelle, ha depositato una proposta di legge per l'istituzione di una apposita commissione d'inchiesta.

Tuttavia tra questi 1.082 (tanti risultano all’ultimo censimento) circa 200 sarebbero incompatibili con la carica, dunque il 20% sul totale. Questi sono i dati contenuti in un dossier che l’associazione Finalmente Liberi Onlus presenterà nei prossimi mesi al Consiglio Superiore della Magistratura per mettere mano al problema. In particolare segnalano dall’associazione, che i duecento nomi che fanno parte della lista e ogni giorno decidono su affidamenti a casa famiglia e centri per la protezione dei minori, dipendono dalle strutture stesse.

Tra questi 1.082 (tanti risultano all’ultimo censimento) circa 200 sarebbero incompatibili con la carica, dunque il 20% sul totale

A vario titolo c’è chi ha contribuito a fondarle, chi ne è azionista e chi fa parte dei Consigli di Amministrazione. Dunque il tema è centrato: a giudicare dove debbano andare i minori e soprattutto se debbano raggiungere strutture al di fuori della famiglia sono gli stessi che hanno interessi nelle strutture stesse.

L’incompatibilità, che dovrebbe essere già valutata come condizione precedente al conflitto di interessi, in questo caso sembra evidente, ma difficilmente vengono effettuati gli approfondimenti “caso per caso” richiesti dalle circolari del Csm.

«Stiamo cercando un appoggio istituzionale forte - spiega a Linkiesta l’avvocato Cristina Franceschini di Finalmente Liberi Onlus - per poter sottoporre al Consiglio Superiore della Magistratura la lista dei giudici onorari minorili incompatibili. Presentarlo come semplice associazione rischia di far finire il tutto dentro un cassetto, avendo invece una sponda dalle istituzioni o dalla politica potrebbe far finire il tema in agenda al Csm meglio e più velocemente».

Nel dossier, al momento ancora in via di definizione ma prossimo alla chiusura, «troviamo anche giudici che lavorano ai servizi sociali in comune e che hanno interessi in casa famiglia», fanno sapere da Finalmente Liberi Onlsu, «ma anche chi intesta automobili di lusso alle stesse strutture». Così tra una Jaguar e una sentenza capita anche che un centro d’affido ricevesse rette da 400 euro al giorno, per un totale di 150 mila euro l'anno in tre anni per un solo minore.

Un business non indifferente se si conta che i minori portati via alle famiglie, stimati dalle ultime indagini del Ministero per il Lavoro e per le Politiche Sociali, sono circa 30mila. Sicuramente non è un ambito in cui ragionare in termini meramente economici e non tutte le case famiglia ragionano in termini di profitto, tuttavia, anche alla luce della recente sentenza su quanto accaduto in oltre trent’anni al Forteto di Firenze, una riflessione in più va fatta. In particolare sulla trasparenza con cui si gestiscono gli istituti e su chi e come decide di dirottare i minori all’interno delle strutture.
Minori Fuori Famiglia

Fonte: Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza

Un altro caso è quello dell’ex giudice onorario minorile Fabio Tofi, psicologo e direttore della casa famiglia “Il monello Mare” di Santa Marinella, a Roma. Violenze, abusi sessuali, aggressioni fisiche e verbali, percosse, minacce, somministrazioni di cibo scaduto, di sedativi e tranquillanti senza alcuna prescrizione medica: queste sono le accuse che la procura di Roma ha mosso allo stesso Tofi e altri quattro collaboratori che sono poi sfociate nell’arresto dello scorso 13 maggio.

Tofi dal 1997 al 2009 (periodo in cui la struttura era già funzionante) è stato giudice onorario presso il Tribunale dei minori di Roma e psicologo presso i Servizi Sociale del Comune di Marinella dal 1993 al 1996.

Non sono però solo le nomine e la compatibilità degli incarichi a destare più di un interrogativo nel mondo degli affidamenti, ma sono anche le procedure che a detta di più di un esperto andrebbero riviste. «Sarebbe sufficiente constatare come le perizie psicologiche fatte ai genitori prima di togliere il minore e durante l’allontanamento non vengano replicate anche agli operatori delle strutture. I controlli - dice ancora Franceschini - nei confronti di questi dovrebbero essere stringenti e con cadenza regolare, e invece non lo sono».

Franceschini (Finalmente Liberi Onlus): «All’interno degli stessi tribunali minorili andrebbe istituito un organismo di coordinamento tra il giudice e i servizi sociali, e da parte degli avvocati che seguono le famiglie a cui sono stati sottratti i minori sarebbe consigliabile meno scrivania e più accompagnamento dei genitori nel percorso tra servizi sociali, tribunali e casa famiglia»

Così come l’ascolto del minore nel corso dei procedimenti spesso avviene in modo poco chiaro: i minori dopo i 12 anni devono essere ascoltati dal giudice, nella maggioranza dei casi però questo ascolto avviene in una stanza in cui oltre al minore e al giudice è presente anche un emissario della comunità. «Evidentemente in queste condizioni non è possibile lasciare libertà d’espressione al minore, e molte volte gli avvocati sono invitati a rimanere fuori dall’aula. Non di rado infatti arrivano sul nostro tavolo verbali confezionati». Per questo motivo in tanti denunciano al raggiungimento del diciottesimo anno di età una volta fuori dalle strutture, come accaduto nella vicenda del Forteto.

Tuttavia, spiega Franceschini, all’interno degli stessi tribunali minorili andrebbe istituito un organismo di coordinamento tra il giudice e i servizi sociali, e da parte degli avvocati che seguono le famiglie a cui sono stati sottratti i minori sarebbe consigliabile meno scrivania e più accompagnamento dei genitori nel percorso tra servizi sociali, tribunali e casa famiglia.

Dopo l’estate il dossier sui giudici onorari minorili arriverà comunque sul tavolo di più di un politico e del Garante per l’Infanzia, il cui mandato è al momento in scadenza. L’occasione per aprire uno squarcio su un tema taciuto e sconosciuto ai più inizia a vedersi, per non sentire più in un tribunale, «io sono il giudice, io dirigo la comunità, e decido io a chi va il minore».
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » lun apr 18, 2016 12:10 pm

Giudici, lo scandalo dei loro stipendi. Le cifre: che cos'è successo dal 2004
di Antonio Castro
17 Aprile 2016

http://www.liberoquotidiano.it/news/ita ... o.facebook

Gli unici stipendi che sono cresciuti dal 2004 al 2014? Certamente quelli dei magistrati. Ma anche le retribuzioni dei dipendenti della Presidenza del Consiglio e quelle dei dipendenti delle agenzie fiscali.
Mentre oltre 3 milioni di dipendenti pubblici rullano i tamburi di protesta perché da 7 anni non riescono ad ottenere uno straccio di rinnovo contrattuale, all’interno del corpaccione dello Stato c’è chi proprio male - anche in questi anni di crisi - non se la passa. I giornalisti del truenumbers.it (numeriveri), si sono presi la briga di mettere in colonna le retribuzioni degli ultimi 10 anni (dal 2004 al 2014), di molte categorie di dipendenti pubblici: dalle toghe ai poliziotti, passando per i professori e i ministeriali. Ne è saltato fuori che non solo per alcune categorie la crisi (e il contenimento contrattuale) non c’è stata, ma che c’è chi ha fatto un vero e proprio salto in questi anni.

Quella dei magistrati - chiarisce la ricerca pubblicata dal sito di approfondimenti statistici - «è la categoria che è riuscita ad ottenere gli stipendi più alti mantenendoli nel corso degli anni: da 105.075 euro nel 2004 a 142.554 nel 2014». Ma come: non c’era il blocco degli stipendi pubblici? Per le toghe no. Questo perché anche nel pubblico impiego «gli stipendi si compongono di due voci, le “voci stipendiali” e i “trattamenti accessori”. Ebbene: i magistrati hanno una quota di “trattamento accessorio” che è di 17.440 euro che è cresciuta, anch’essa, ininterrottamente dal 2004 quando era pari a 10.412 euro». Non un raddoppio ma poco ci manca.

E se i 10mila magistrati appartengono alla dirigenza dello Stato, chi proprio non può lamentarsi sono i dipendenti della presidenza del Consiglio, sostanzialmente la “squadra” di persone che consente al governo di lavorare. Ovvio che nessuno esecutivo si metta contro i più diretti collaboratori. Altrettanto comprensibile la caccia ai trasferimenti a Palazzo Chigi e alle ricche retribuzioni accessorie. Il confronto decennale è sorprendente. Spiega il sito: per i dipendenti della presidenza del Consiglio dei ministri il reddito «è passato da 37.759 euro nel 2004 a ben 57.240 10 anni dopo».

E neppure hanno da lamentarsi i signori di Equitalia, Agenzia delle Entrate e altre branche fiscali. «Chi lavoro a Equitalia e all’Agenzia delle Entrate guadagnava, nel 2004», ricostruisce il sito, «31.377 euro e ha guadagnato nel 2014 37.817 euro. Ma la parte accessoria dello stipendio è pari a oltre la metà delle voci stipendiali dato che proprio nel 2014 era di 13.716 euro rispetto a 24.101 euro».

Ma le buone notizie economiche per il comparto pubblico finiscono qui. Andando a scorrere gli altri confronti decennali si scopre infatti che gli insegnanti, «hanno avuto tra gli stipendi più bassi». In media «29.130 euro. Ma, a parte il fatto che il trattamento accessorio è ridotto al lumicino (appena 3.286 euro), l’aumento del reddito è stato molto lento nel corso degli anni: nel 2004 il reddito medio era di 24.308 euro». Non vanno meglio le cose per chi lavora nei ministeri (reddito medio 2014 29.299 euro). Cedolini “light” anche per le forze dell’ordine (reddito medio 37.930 euro 2014, trattamento accessorio 14.988). Ma il comparto sicurezza dal 2011 ad oggi ha subito anche tagli. Dai 38.493 euro del 2011 si è passati a 38.202 del 2012 a 38.094 del 2013 fino, appunto, all’ultimo calo, quello del 2014: 37.930 euro. E gli 80 euro di Renzi non hanno compensato. E si capisce bene perché per 8 lavoratori su 10 uno «stipendio più alto è la motivazione principale a lavorare di più». Motivazione indicata dall’83% dei dipendenti, secondo i risultati di un’indagine dell’agenzia per il lavoro Randstad.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » ven mag 13, 2016 7:50 am

???

Roberto Scarpinato: "Compito delle toghe è vigilare sui politici, noi fedeli alla Carta più che alla legge"
Il procuratore di Palermo dissente dal vicepresidente del Csm Legnini: "I magistrati possono partecipare al referendum"
di LIANA MILELLA
11 maggio 2016

http://www.repubblica.it/politica/2016/ ... -139571833

ROMA - "Se non capisci come funziona il gioco grande... sarai giocato". Il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, toga famosa per le sue indagini sulla mafia, è convinto che i magistrati "debbano" esprimersi sul referendum non solo perché "è un nostro diritto ", ma per la futura valenza che la riforma comporta.

Il vice presidente del Csm Legnini (e altri con lui) dice che i magistrati non devono impegnarsi nella campagna referendaria perché finirebbero nella contesa politica. Che ne pensa?
"Mi permetto di dissentire. Forse a tanti non è sufficientemente chiaro quale sia la reale posta in gioco che travalica di molto la mera contingenza politica. A mio parere siamo dinanzi a uno spartiacque storico tra un prima e un dopo nel modo di essere dello Stato, della società e dello stesso ruolo della magistratura. Nulla è destinato a essere come prima".

Cosa potrebbe cambiare nel futuro rispetto al passato?
"A proposito del passato mi consenta di partire da una testimonianza personale. Tanti anni fa ho deciso di lasciare il mio lavoro di dirigente della Banca d'Italia e di entrare in magistratura perché ero innamorato della promessa-scommessa contenuta nella Costituzione del 1948 alla quale ho giurato fedeltà ".

E quale sarebbe questa "promessa-scommessa "?
"Quella scritta nell'articolo 3 di "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese". Era uno straordinario programma di lotta alle ingiustizie e un invito a innamorarsi del destino degli altri. La Repubblica si impegnava a porre fine a una secolare storia nazionale che Sciascia e Salvemini avevano definito "di servi e padroni" perché sino ad allora intessuta di disuguaglianze e sopraffazioni che avevano avuto il loro acme nel fascismo e nella disfatta della seconda guerra mondiale".

Sì, però l'attuale riforma costituzionale si occupa solo della seconda parte della Costituzione e lascia intatta la prima sui diritti. Cosa la turba lo stesso?
"La seconda parte è strettamente funzionale alla prima. Proprio per evitare che la promessa costituzionale restasse un libro dei sogni e per impedire che il pendolo della storia tornasse indietro a causa delle pulsioni autoritarie della parte più retriva della classe dirigente e del ritardo culturale delle masse, i padri costituenti concepirono nella seconda parte della Costituzione una complessa architettura istituzionale di impianto antioligarchico basata sulla centralità del Parlamento e sul reciproco bilanciamento dei poteri".

E perché tutto questo coinvolgerebbe le toghe? Realizzare la promessa non era compito della politica?
"All'interno di questo disegno veniva affidato alla magistratura il ruolo strategico di vigilare sulla lealtà costituzionale delle contingenti maggioranze politiche di governo".

Un'affermazione forte... Ma di quale vigilanza parla?
"I giudici, tra più interpretazioni possibili della legge ordinaria, devono privilegiare quella conforme alla Costituzione e, se ciò non è possibile, devono "processare la legge", cioè sottoporla al vaglio della Consulta. La magistratura italiana quindi è una "magistratura costituzionale" e, in quanto tale, la sua fedeltà alla legge costituzionale è prioritaria rispetto a legge ordinaria. È una rivoluzione copernicana del rapporto tra politica e legge di tale portata che a tutt'oggi non è stata ancora metabolizzata da buona parte della classe politica che continua a lamentare che la magistratura intralcia la governabilità sovrapponendosi alla volontà del Parlamento".

Con la riforma Renzi questo equilibrio potrebbe saltare?
"Alcune parti di questa riforma si iscrivono in un trend più complesso. Oggi tutto ciò rischia di restare solo una storia terminale della prima Repubblica, perché quello che Giovanni Falcone chiamava "il gioco grande", si è riavviato su basi completamente nuove. Alla fine del secolo scorso, a seguito di fenomeni di portata storica e mondiale, sono completamente mutati i rapporti di forza sociali macrosistemici che furono alla base del compromesso liberal-democratico trasfuso nella Costituzione del 1948. Lo scioglimento del coatto matrimonio di interessi tra liberismo e democrazia ha messo in libertà gli "animal spirits" del primo che ha individuato nelle Costituzioni post fasciste del centro Europa una camicia di forza di cui liberarsi".

Un attimo: cosa si sarebbe rimesso in moto?
"Si è avviato un complesso e sofisticato processo di reingegnerizzazione oligarchica del potere che si declina a livello sovranazionale e nazionale lungo due direttrici. La prima è quella di sovrapporre i principi cardini del liberismo a quelli costituzionali trasfondendo i primi in trattati internazionali e trasferendoli poi nelle costituzioni nazionali. Esempio tipico è l'articolo 81 della Costituzione che imponendo l'obbligo del pareggio di bilancio impedisce il finanziamento in deficit dello Stato sociale e trasforma i diritti assoluti sanciti nella prima parte della Costituzione in diritti relativi, cioè subordinati a discrezionali politiche di bilancio imposte da organi sovranazionali spesso di tipo informale e privi di legittimazione democratica. La seconda direttrice consiste nel trasferimento dei centri decisionali strategici negli esecutivi nazionali incardinati ad esecutivi sovranazionali, declassando i Parlamenti a organi di ratifica delle decisioni governative e sganciandoli dai territori tramite la selezione del personale parlamentare per cooptazione elitaria grazie a leggi elettorali ad hoc. Il gioco dialettico tra maggioranza- minoranza viene disinnescato grazie a premi di maggioranza tali da condannare le forze di opposizione all'impotenza".

Questo è uno scenario politico. Perché ciò dovrebbe interessare la magistratura?
"Se muta la Costituzione, cioè la Supernorma che condiziona tutte le altre, rischia di cambiare di riflesso anche la giurisdizione. La magistratura già oggi è sempre più spesso chiamata a farsi carico della cosiddetta legalità sostenibile, cioè della subordinazione dei diritti alle esigenze dei mercati, e quindi delle forze che governano i mercati. L'articolo 81 della Costituzione ha costituzionalizzato il principio della legalità sostenibile che si avvia a divenire una norma di sistema baricentrica del processo di ricostituzionalizzazione in corso. La conformazione culturale della magistratura al nuovo corso potrà essere agevolata dalla possibilità di minoranze, trasformate artificialmente in maggioranze grazie al combinato disposto dell'Italicum e di alcune delle nuove norme costituzionali, di selezionare i giudici della Consulta e la componente laica del Csm".

Cosa direbbe a un giovane magistrato oggi indeciso se impegnarsi nella campagna referendaria?
"Che se non capisci come funziona il gioco grande, sarai giocato. Da amministratore di giustizia rischi di trasformarti inconsapevolmente in amministratore di ingiustizia".
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » ven giu 17, 2016 7:53 pm

LA QUESTIONE È STATA SOLLEVATA DAL VICE PRESIDENTE DEL CSM, LEGNINI
MALA GIUSTIZIA:MINISTRO ORLANDO CHIEDE ISPEZIONE A NAPOLI PER DECINE MIGLIAIA DI SENTENZE INESEGUIDE
Il vice presidente del Csm, Giovanni Legnini dopo un incontro con i responsabili degli uffici giudiziari sulla carenza di personale amministrativo, ha detto che "nel Distretto di Napoli restano ineseguite attualmente 50mila sentenze definitive, 30mila delle quali di condanna e 20mila di assoluzione". Il ministro Orlando chiede immediatamente un'ispezione ministeriale
17 giugno 2016

http://www.rainews.it/dl/rainews/artico ... 9c62d.html

Per individuare tutte le cause che nel distretto di Napoli hanno generato il problema di decine di migliaia di sentenze ineseguite, il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, a quanto si apprende, ha chiesto all'ispettorato del ministero di svolgere accertamenti.

A sollevare la questione è stato oggi il vice presidente del Csm, Giovanni Legnini che incontrando i giornalisti a Napoli dopo un incontro con i responsabili degli uffici giudiziari sulla carenza di personale amministrativo, ha detto che "nel Distretto di Napoli restano ineseguite attualmente 50mila sentenze definitive, 30mila delle quali di condanna e 20mila di assoluzione".

Dodicimila delle 50mila sentenze definitive non eseguite - hanno precisato fonti del Csm - riguardano persone da arrestare. Ai provvedimenti restrittivi si uniscono - ha sottolineato il procuratore generale di Napoli Luigi Riello - i mancati sequestri di beni.

Durissimo anche l'intervento, a un dibattito sul processo penale, del presidente dell'Anm Piercamillo Davigo,che ha definito le aule di giustizia in Italia dei "suk Arabi", l'opposto di quel che accade negli altri Paesi europei e negli Stati Uniti dove le udienze vengono celebrate in "religioso silenzio". Secondo il presidente dell'Anm questo mette in risalto la distanza tra l'Italia e il resto del mondo occidentale. Altrove, il processo è "una cosa seria, tant'è che il 90 per cento degli imputati si dichiara colpevole e sceglie i riti alternativi";invece "in Italia c'è sempre la speranza di non scontare la pena". Ed è proprio la prospettiva di sfuggire alla pena che in Italia non può far decollare i riti alternativi,un fenomeno a cui contribuisce anche il frequente ricorso all'amnistia: "in 50 anni sono stati 35 provvedimenti", nota Davigo. E se si abbassasse il quorum , come chiede una proposta di legge del senatore Manconi, "rinunceremmo definitivamente alla speranza che qualcuno patteggi". Il risultato di questa situazione è che "continuiamo a fare un numero sterminato di processi , molti di più che negli altri Paesi".



Napoli, il Csm: non eseguite 12mila sentenze su persone da arrestare Interviene Orlando: accerterò i fatti
Mezzogiorno, 17 giugno 2016 - 15:17

http://corrieredelmezzogiorno.corriere. ... cca6.shtml


NAPOLI — È cominciata poco dopo le 9 la visita di una delegazione del Csm, guidata dal vicepresidente Giovanni Legnini agli uffici giudiziari di Napoli. La delegazione, della quale fanno parte i consiglieri Francesco Cananzi, Lucio Aschettino ed Antonio Ardituro sta incontrando in Corte d’ Appello, con il presidente Giuseppe de Carolis di Prossedi i presidenti dei Tribunali ed i Procuratori del Distretto di Napoli. Al centro dell’incontro c’è la carenza di personale amministrativo, segnalata nuovamente dal Csm al ministro della Giustizia con una risoluzione approvata il 15 giugno. La carenza - sottolinea l’ organo di autogoverno della magistratura- non è solo numerica ma qualitativa. Per la gestione del processo telematico, infatti, servono figure professionali di ingegneri e statistici. Legnini ed i consiglieri del Csm avevano partecipato il 5 maggio scorso al vertice sull’ordine pubblico e l’emergenza criminalità a Napoli con il ministro degli Interni Angelino Alfano.

«Nel Distretto di Napoli restano ineseguite attualmente 50mila sentenze definitive, 30mila delle quali di condanna e 20mila di assoluzione». Lo ha detto il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini incontrando i giornalisti a Napoli dopo un incontro con i responsabili degli uffici giudiziari sulla carenza di personale amministrativo. Dodicimila delle 50mila sentenze definitive non eseguite - hanno precisato fonti del Csm - riguardano persone da arrestare. Ai provvedimenti restrittivi si uniscono - ha sottolineato il procuratore generale di Napoli Luigi Riello - i mancati sequestri di beni.

«A Napoli si concentrano tutte le criticità e le emergenze, ma anche le positività del sistema giudiziario italiano», ha continuato Legnini. Il Csm ribadisce - è stato detto in un incontro con i giornalisti - le richieste sugli organici del personale amministrativo e dei magistrati evidenziate nella delibera assunta il 15 giugno scorso. Nel dettaglio «la scopertura degli organici dei soli magistrati - ha detto il consigliere Antonello Ardituro - oscilla tra il 20 ed il 40 per cento».


Il ministro Orlando

Il ministero della Giustizia, Andrea Orlando, a quanto si apprende, ha chiesto all’ispettorato del ministero di svolgere accertamenti per individuare tutte le cause che nel distretto di Napoli hanno generato il problema di decine di migliaia di sentenze ineseguite. A sollevare la questione è stato oggi il vice presidente del Csm, Giovanni Legnini



Il giudice in ritardo non scrive la sentenza. I mafiosi tornano liberi
Marcello Sorgi

http://www.lastampa.it/2016/06/15/itali ... agina.html


Nel silenzio della politica e delle istituzioni (anche togate), dei professionisti e dei dilettanti dell’antimafia, la Calabria sprofonda in un baratro giudiziario. Solo negli ultimi giorni sono scivolati inosservati, come fossero normali, alcuni casi clamorosi. La scarcerazione di alcuni ’ndranghetisti condannati in primo grado e in appello, ma salvati da un giudice che a 11 mesi dalla pronuncia della sentenza non ha ancora depositato le motivazioni; il ritardo di cinque anni con cui ricomincia un altro processo per mafia; l’agonia del processo ai caporali di Rosarno, scaturito sei anni e mezzo fa dalle testimonianze dei migranti e non ancora arrivato nemmeno alla sentenza di primo grado.

LE REAZIONI - Il ministro Orlando manda gli ispettori sul caso del giudice ritardatario in Calabria

«Cosa mia»

La vicenda più grave riguarda il processo «Cosa Mia», nato nel 2010 da un’indagine della procura di Reggio Calabria, allora retta da Giuseppe Pignatone oggi procuratore a Roma, sulle famiglie della piana di Gioia Tauro, protagoniste di una sanguinosa guerra di mafia negli Anni 80-90, con 52 omicidi e altri 34 tentati. L’inchiesta aveva svelato il controllo delle cosche sui lavori dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, con una tangente del 3% imposta alle imprese sotto la voce «tassa ambientale» o «costo sicurezza».

Il processo si è svolto con relativa celerità, considerando l’ampiezza della materia da trattare, il numero di imputati e alcune rilevanti difficoltà logistiche. Basti pensare che la polizia penitenziaria, intimorita dalla caratura degli imputati, si rifiutava di trasportarli nell’aula del processo. Per garantire lo svolgimento del processo, il ministero fu costretto a mobilitare i reparti speciali, usati in genere solo per sedare le rivolte nelle carceri.

Nel 2013 la corte d’assise commina 42 condanne per complessivi trecento anni di carcere, con una sentenza monumentale di 3200 pagine. Impianto sostanzialmente confermato nella sentenza d’appello, pronunciata a fine luglio dell’anno scorso.

A questo punto, non resta che il passaggio in Cassazione, il più celere. Dato che la durata massima della custodia cautelare è di sei anni e i boss furono arrestati nel giugno 2010, il calcolo è semplice. La corte d’appello avrebbe dovuto depositare le motivazioni entro 90 giorni (quindi entro fine ottobre 2015), poi gli avvocati avrebbero avuto 45 giorni per presentare il ricorso in Cassazione. Ai supremi giudici sarebbero rimasti sei mesi, fino alla scadenza del termine della carcerazione preventiva, per chiudere il processo con la sentenza definitiva. Un tempo più che sufficiente: in Cassazione è prassi anticipare i processi per i quali sta maturando la prescrizione (fu così per il caso Berlusconi, frode fiscale, nell’agosto 2013) o stanno per scadere i termini di carcerazione degli imputati.

Liberi tutti

Invece in questo caso i termini sono scaduti la scorsa settimana senza che la Cassazione abbia nemmeno ricevuto le carte del processo, ancora ferme nella corte d’assise di Reggio Calabria perché il giudice Stefania Di Rienzo non ha ancora depositato le motivazioni della sentenza. Scaduto il primo termine di 90 giorni, aveva chiesto una proroga: altri tre mesi. Spirati invano. Di mesi ne sono trascorsi undici e delle motivazioni non c’è traccia.

E così tre imputati, a dispetto della doppia condanna per associazione mafiosa, nei giorni scorsi sono usciti dal carcere. Altri dieci erano tornati liberi precedentemente, sempre per scadenza dei termini della custodia cautelare. Il danno processuale è enorme, quello sociale maggiore. Il ritorno alla libertà degli ’ndranghetisti ne rafforza il potere e scoraggia chiunque (sia dentro che fuori dal sodalizio criminale) dalla collaborazione con la giustizia.

Non è un caso isolato. In questi giorni si celebra a Catanzaro l’appello del processo Revenge, con sette imputati di mafia. Peccato che sarebbe dovuto partire nel 2011, ma sono stati necessari cinque anni per formare un collegio di giudici. E sei anni non sono bastati ad arrivare a sentenza nel processo ai caporali di Rosarno.

Il panorama

Fotografie di una resa giudiziaria nella regione con il record di Comuni commissariati per infiltrazioni mafiose e in cui, recita l’ultima relazione della Direzione investigativa antimafia (Dia), la ’ndrangheta opera un «atavico, asfissiante strangolamento del territorio» e rappresenta «un pesante fattore frenante per lo sviluppo economico e sociale» grazie alla capacità di «fare sistema» attraendo «nella propria sfera di influenza soggetti legati al mondo dell’imprenditoria, della politica, dell’economia e delle istituzioni».

Non ce n’è abbastanza perché Csm e commissione antimafia se ne occupino?
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » sab giu 18, 2016 9:23 am

Mafie e briganti teroneghi
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » sab lug 23, 2016 5:59 am

Roma, ex giudice del Tar Lazio condannato a 8 anni per corruzione
Franco Angelo Maria De Bernardi è accusato di avere favorito un avvocato amministrativista. Dovrà lasciare il lavoro al tribunale amministrativo regionale. Confiscati 115mila euro. Tre anni e 8 mesi a un uomo d’affari
22 luglio 2016

http://roma.corriere.it/notizie/cronaca ... 3f65.shtml

Otto anni di reclusione per corruzione in atti giudiziari, confisca di beni per un valore di 115mila euro ed estinzione del rapporto di lavoro presso il Tar del Lazio. È la sentenza emessa dalla IX sezione del tribunale di Roma, presieduta da Caterina Brindisi, nei confronti dell’ex giudice del Tar del Lazio, Franco Angelo Maria De Bernardi accusato di avere favorito un avvocato amministrativista, Matilde De Paola, che ha già patteggiato tre anni e mezzo di reclusione. Condannato a 3 anni e 8 mesi di reclusione per l’uomo d’affari Giorgio Cerruti.

Interdizione perpetua

De Bernardi e De Maria sono stati condannati anche all’interdizione perpetua dei pubblici uffici, nonché a risarcire in sede civile la Presidenza del Consiglio dei ministri. I pm avevano chiesto la condanna di De Bernardi a sette anni di reclusione e di Cerruti a quattro anni e dieci mesi.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » gio dic 01, 2016 9:25 pm

Solo un rimbrotto per il pm che "scorda" l'imputato in galera
Il Csm ha condannato 121 magistrati in due anni. Ma si tratta di sanzioni molto leggere
di Rocco Vazzana
30 nov 2016

http://www.ildubbio.news/stories/giusti ... _in_galera

Centoventuno condanne in più di due anni. È il numero di sanzioni che la Sezione Disciplinare del Csm ha irrogato nei confronti di altrettanti magistrati. Il dato è contenuto in un file che in queste ore gira tra gli iscritti alla mailing list di Area, la corrente che racchiude Md e Movimenti. Su 346 procedimenti definiti - dal 25 settembre 2014 al 30 novembre 2016 - 121 si sono risolti con una condanna (quasi sempre di lieve entità), 113 sono le assoluzioni, 15 le «sentenze di non doversi procedere» e 124 le «ordinanze di non luogo a procedere». L'illecito disciplinare riguarda «il magistrato che manchi ai suoi doveri, o tenga, in ufficio o fuori, una condotta tale che lo renda immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere, o che comprometta il prestigio dell'ordine giudiziario». Le eventuali condanne hanno una gradazione articolata in base alla gravità del fatto contestato. La più lieve è l'ammonimento, un semplice «richiamo all'osservanza dei doveri del magistrato», seguito dalla censura, una formale dichiarazione di biasimo. Poi le sanzioni si fanno più severe: «perdita dell'anzianità» professionale, che non può essere superiore ai due anni; «incapacità temporanea a esercitare un incarico direttivo o semidirettivo»; «sospensione dalle funzioni», che consiste nell'allontanamento con congelamento dello stipendio e con il collocamento fuori organico; fino arrivare alla «rimozione» dal servizio. C'è poi una sanzione accessoria che riguarda il trasferimento d'ufficio.

Per questo, la sezione Disciplinare può essere considerata il cuore dell'autogoverno. Perché se il Csm può promuovere può anche bloccare una carriera: ai fini interni non serve ricorrere alle pene estreme, basta decidere un trasferimento. E a scorrere il file con le statistiche sui procedimenti disciplinari salta immediatamente all'occhio un dato: su 121 condanne, la maggior parte (90) comminano una sanzione non grave (la censura) e 11 casi si tratta di semplice ammonimento. Le toghe non si accaniscono sulle toghe. La perdita d'anzianità, infatti, è stata inflitta solo a dieci megistrati (due sono stati anche trasferiti d'ufficio), mentre sette sono stati rimossi. Uno solo è stato trasferito d'ufficio senza ulteriori sanzioni, un altro è stato sospeso dalle funzioni con blocco dello stipendio, un altro ancora è stato sospeso dalle funzioni e messo fuori organico.

Ma il dato più interessante riguarda le tipologie di illecito contestate. La maggior parte dei magistrati viene sanzionato per uno dei problemi tipici della macchina giudiziaria: il ritardo nel deposito delle sentenze, quasi il 40 per cento dei "condannati" è accusato di negligenze reiterate, gravi e ingiustificate. Alcuni, però, non si limitano al ritardo: il 4 per cento degli illeciti, infatti, riguarda «provvedimenti privi di motivazione», come se si trattasse di un disinteresse totale nei confronti degli attori interessati. Il 23 per cento delle condanne, invece, riguarda una questione che tocca direttamente la vita dei cittadini: la ritardata scarcerazione. E in un Paese in cui si ricorre facilmente allo strumento delle misure cautelari, questo tipo di comportamento determina spesso anche il peggioramento delle condizioni detentive. Quasi il 10 per cento dei giudici e dei pm è stato sanzionato poi per «illeciti conseguenti a reato». Solo il 6,6 per cento delle condanne, infine, è motivato da «comportamenti scorretti nei confronti delle parti, difensori, magistrati, ecc.. ».
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » dom mar 19, 2017 2:14 pm

Vendevano sentenze a 5mila euro, ammanettati altri due giudici
15 marzo 2016

http://www.malagiustizia.org/1268/vende ... ue-giudici


Si allarga l’inchiesta milanese, nuovi arresti. La cricca aggiustava sentenze in cambio di mazzette.

Così la cricca della giustizia tributaria celebrava i suoi successi, con messaggi rimasti nei computer: e che ieri a Milano spediscono agli arresti altri due magistrati, accusati di avere incassato tangenti – modeste e quasi miserabili nel loro importo – per decidere sui ricorsi contro l’Agenzia delle entrate.

L’indagine partita il 17 dicembre con l’arresto del primo giudice, Luigi Vassallo, non accenna a placarsi. Dopo Vassallo era finita in galera la sua collega Marina Seregni, ora tocca a Luigi Pellini e Gianfranco Vignoli Rinaldi, in servizio rispettivamente presso la commissione tributaria regionale e provinciale. Ma nelle carte asciutte dell’ordinanza di custodia a finire sotto accusa è l’intero sistema della giustizia tributaria, doppio lavoro ben retribuito per giudici di professione, avvocati, commercialisti: che in queste vicende si fanno passare sotto il naso un mercato a cielo aperto delle sentenze. Per scoperchiare il tombino è servita dapprima la denuncia di uno studio legale, che a dicembre permise l’arresto di diretta di Vassallo con una tangente di 5mila euro: nella sua cassetta di sicurezza erano poi saltati fuori 267.250 euro in contanti, separati e catalogati mazzetta per mazzetta. Ma poi è arrivata la gola profonda: Mirella Orbani, da ventott’anni segretaria di Vassallo, che ha messo nero su bianco gli episodi cui le era toccato assistere. «Invernizzi (anche lui arrestato, ndr) venne in studio con una busta contenente 60mila euro in contanti (…) ricordo che erano tutte banconote da 500 euro». Del malloppo, Vassallo (che secondo il mandato di cattura aveva una pubblica e notoria fama di «aggiusta processi») ai suoi colleghi incaricati della sentenza distribuiva poi le briciole: 5mila euro a testa in buste intestate dentro i cesti natalizi. C’è da dire si prendeva anche «la briga» di preparare la sentenza favorevole che poi veniva materialmente stesa dai colleghi. I quali si preoccupavano di inoltrargli il provvedimento finale prima ancora che venisse depositato. Nello studio di Vassallo viene trovata la bozza di lavoro della sentenza a favore di Invernizzi, con la firma di un solo giudice e senza i timbri del protocollo.

A fare da tramite c’era pure un ex finanziere, Agostino Terlizzi, indagato a piede libero. E a colpire è la spensieratezza, il senso di impunità con cui i giudici della cricca si muovevano (agli atti c’è persino un pranzo a tre tra Vassallo, Pellini e l’imprenditore in cerca di aiuto), testimoniata anche dal materiale trovato senza sforzo dalla Gdf nello studio del giudice regista dei verdetti comprati. Tra l’altro c’è l’elenco dei componenti di tutte le sezioni della commissione tributaria, con evidenziati quelli destinati a occuparsi delle cause care agli amici: un asterisco per il presidente Gabriella D’Orsi, che non si accorgerà della combine; un doppio asterisco per il relatore, il ragionier Rigoldi, che cercherà in ogni modo di opporsi; una croce per il giudice Vignoli Rinaldi, quello che in camera di consiglio eseguirà alla lettera i suggerimenti della cricca.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » lun apr 17, 2017 8:00 am

Caso tortora

http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/punt ... fault.aspx
L'arresto

Venerdì 17 giugno 1983: il volto di "portobello", Enzo Tortora, viene svegliato alle 4 del mattino dai Carabinieri di Roma che lo arrestano per traffico di stupefacenti e associazione di stampo camorristico.

Con queste parole del Tg2, quel giorno, l'italia segue le immagini che mostrano il celebre presentatore in manette: "Enzo Tortora è stato arrestato in uno dei più lussuosi alberghi romani, il Plaza; ordine di cattura nel quale si parla di sospetta appartenenza all'associazione camorristica Nuova Camorra Organizzata (N.C.O), il clan cioè diretto e capeggiato da Raffaele Cutolo: un'associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga e dei reati contro il patrimonio e la persona".

In un'intervista di Giuseppe Marrazzo, il 14 maggio '84, Tortora ha ricordato così quel momento: «Ero in una stanza d'albergo, dove scendo da circa 20 anni; bussarono alle 4:15 del mattino, tenga presente che il giorno precedente avevo respinto con un sorriso la notizia che alcuni colleghi giornalisti (ex colleghi perché sono stato sospeso dall'ordine) mi diedero: "c è un'ansa che dice che ti hanno arrestato". Dissi (all'epoca avevo ancora un pò di ironia): "credo che la notizia sia leggermente esagerata!"».

Quel giorno Enzo Tortora doveva recarsi ad un appuntamento per firmare un contratto che lo avrebbe legato alla trasmissione "portobello" per una nuova stagione. Si trova a invece a entrare nelle case degli italiani ammanettato, trattato come un delinquente. Queste le parole della figlia minore, Gaia: "vedevo un mostro alla Tv che mi dicevano essere il mio papà, ma non era mio padre".

APPROFONDIMENTO

L'accusa si basa su un’agendina, trovata nell’abitazione di un camorrista, con sopra un nome scritto a penna ed un numero telefonico: in seguito le indagini calligrafiche proveranno che il nome non era Tortora bensì Tortona e che il recapito telefonico non era quello del presentatore.



Caso Tortora, dopo trent'anni le scuse del pm
Diego Marmo: "Agii in perfetta buona fede, Mi sono portato dietro questo tormento troppo a lungo". Il Pd: "Bene, ma coinvolga anche i suoi ex colleghi"
27 giugno 2014

http://napoli.repubblica.it/cronaca/201 ... a-90140762

L'arresto di Enzo Tortora nel 1983
"Ho richiesto la condanna di un uomo dichiarato innocente con sentenza passata in giudicato. E adesso, dopo trent'anni, è arrivato il momento. Mi sono portato dietro questo tormento troppo a lungo. Chiedo scusa alla famiglia di Enzo Tortora per quello che ho fatto. Agii in perfetta buona fede". Inizia così la lunga intervista pubblicata da 'Il garantista" e firmata da Francesco Lo Dico al pm Diego Marmo che accuso il presentatore di 'Portobellò di essere un camorrista.

Marmo è stato nominato assessore alla Legalità a Pompei e dopo la sua nomina sono scoppiate molte polemiche perché ha dichiarato che il caso Tortora è stato solo "un episodio" della sua carriera. "In trent'anni non ho mai pensato o detto: chissenefrega del caso Tortora. Immaginavo - spiega il pm - che potessero sorgere polemiche sulla mia nomina. Ma alla fine ho deciso di accettare perché la situazione degli scavi di Pompei mi sta particolarmente a cuore".

Marmo racconta che "il rammarico" per l'errore fatto "c'è da tempo" anche se "l'unica difesa che avevo era il silenzio". Il pm, quindi, sollecitato dal giornalista, prova a spiegarsi: "Il mio lavoro si svolse sulla base dell'istruttoria fatta da Di Pietro e Di Persia. Tortora fu rinviato a giudizio da Fontana. io feci il pubblico ministero al processo. E sulla base degli elementi raccolti, mi convinsi in perfetta buona fede della sua colpevolezza. La richiesta venne accolta dal tribunale".

Quindi per il pm furono in "molti, in giro, i Diego Marmo. Ma sul banco degli imputati sono rimasto solo io". A contribuire alla gogna nei suoi confronti fu la dura requisitoria durante la quale definì Tortora "un cinico mercante di morte", un "uomo della notte". "Certamente - spiega ancora Marmo - mi lasciai prendere dal temperamento. Ero in buona fede. Ma questo non vuol dire che usai sempre termini appropriati, e che non sia disposto ad ammetterlo. Mi feci prendere dalla foga".

Al termine dell'intervista, arrivano le scuse di Marmo. "Non ho mai pensato di raccontare il mio stato d'animo sino ad ora. Ho creduto che ogni mia parola non sarebbe servita a niente. Che tutto mi si sarebbe ritorto contro. Ho preferito mantenere il silenzio". Ma "ho richiesto la condanna di un innocente. Porto il peso di quello sbaglio nella mia coscienza. Chiedo scusa alla famiglia di Enzo Tortora per quello che ho fatto. Posso solo dire che l'ho fatto in buona fede".

"Le scuse di Marmo vanno salutate positivamente. Ora l'ex magistrato si adoperi per coinvolgere nelle scuse anche i suoi ex colleghi che all'epoca contribuirono a quella sentenza indegna, come Lucio Di Pietro e Felice Di Persia". Lo dice il deputato del Partito democratico, Michele Anzaldi e segretario della commissione di Vigilanza Rai.

"Nella sua richiesta pubblica di scuse - spiega Anzaldi - il neo assessore del Comune di Pompei ricorda che non fu il solo giudice a sbagliarsi con Tortora e cita i nomi di chi si occupò dell'istruttoria, del rinvio a giudizio, della sentenza di condanna. Marmo potrebbe promuovere un momento di riflessione, coinvolgendo gli altri protagonisti di quella triste vicenda che ancora oggi mette a dura prova la fiducia dei cittadini nella giustizia. Se Marmo vuole veramente dare seguito alla sua ammissione di colpa di oggi, promuova un incontro pubblico, che si potrebbe tenere anche a Roma, in parlamento dove è già stato proiettato il documentario di Ambrogio Crespi. Si potrebbe coinvolgere chi sbagliò allora e chi da sempre ha denunciato quell'errore,
come i radicali di Marco Pannella".

"Un tormento lungo trent'anni - dichiara Mara Carfagna - che oggi con delle pubbliche scuse può affievolirsi. Un atto di giustizia e di coraggio quello di Diego Marmo che ha riconosciuto il suo errore"
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