Casta dei magistrati (procuratori-giudici) e degli avvocati

Casta dei magistrati (procuratori-giudici) e degli avvocati

Messaggioda Berto » dom feb 11, 2018 8:48 am

Magistrati sull’orlo di una crisi di nervi
Giovanni M. Jacobazzi
2018/02/07

http://ildubbio.news/ildubbio/2018/02/0 ... risi-nervi

Da Bellomo agli ultimi casi, si sgretola il mito dei salvatori della patria

Sul Fatto quotidiano di ieri l’ex giudice di Cassazione Antonio Esposito ha notato che mai come nell’imminente tornata elettorale si erano visti così pochi magistrati nelle liste. «I politici preferiscono i pregiudicati ai giudici», ha scritto la toga che condannò Berlusconi. Sarà. Ma sarebbe azzardato negare come anche nella magistratura cominci a porsi quella che gli amanti del genere definirebbero “una questione morale”. Solo per citare i due casi più recenti, cioè registrati nelle ultime ore, abbiamo nell’ordine un’ex presidente della sezione Misure di prevenzione a Palermo, Silvana Saguto, per la quale il pg di Cassazione ha chiesto la rimozione dall’ordine giudiziario, causa “condotte quotidiane di immensa gravità”; e un pm, Giancarlo Longo, che secondo la ricostruzione del gip di Messina sarebbe stato protagonista di “plurime condotte di mercificazione della funzione giudiziaria”, grazie a una “inquietante capacità criminale”. Attorno ai due exploit dell’ultim’ora orbitano satelliti che non impegnano la credibilità personale dei magistrati coinvolti ma pure lasciano sconcertati, come il dramma del procuratore di Brescia, il cui figlio tossicodipendente faceva rapine armato di mitraglietta. Il tutto mentre è ancora opprimente il peso della vicenda Bellomo, il consigliere di Stato destituito dalla funzione per le accuse mosse dalle frequentatrici di un suo corso, secondo le quali avrebbe imposto condizioni al limite della sevizia sessuale.

Che all’interno della magistratura si sia preoccupati per l’incredibile sequenza di storiacce, è comprensibile. Da anni le statistiche riferiscono di un inarrestabile calo della fiducia nei confronti delle toghe, e negli ultimi tempi gli indicatori paiono ancora più in picchiata. L’ultima legislatura è stata scandita dal tema dello strapotere correntizio: per evitare che tra i magistrati si rafforzasse una sorta di partitocrazia in sedicesimi, il ministro della Giustizia Andrea Orlando aveva ipotizzato una riforma elettorale del Csm. Non se n’è fatto nulla, anche per le forti ritrosie dei togati di fronte alle soluzioni più drastiche. Di recente si è aggiunto il caso di una norma misteriosamente inserita nella Manovra che ha cancellato l’anno di “naftalina” previsto per i consiglieri superiori uscenti: i sedici che stanno per terminare il loro quadriennio potranno assumere un incarico direttivo o fuori ruolo un minuto dopo aver lasciato Palazzo dei Marescialli.

Come si spiegano tanti scricchiolii? Alcuni sintomi come il successo associativo di Piercamillo Davigo, caso singolare di “moralismo populista” interno alla magistratura, fanno pensare a una sorta di mutazione antropologica: un numero sempre maggiore di aspiranti giudici sembra ambire alla toga più per l’ottima retribuzione che per lo slancio ideale. In sé, il dato non sarebbe scandaloso. Ma è probabile che la tensione civile un po’ rarefatta spinga le correnti a cristallizzarsi in sistema corporativo più che a valorizzare la vocazione di presìdi culturali. La cosiddetta deriva potrebbe avere d’altra parte una matrice mediatica prima che reale: vicende, isolate, di giudici corrotti ce ne sono state anche in passato. Potrebbe esserne cambiata la percezione: ci si era abituati a considerare la magistratura come l’estremo avamposto della morale e della legalità. A considerare i pm come unici salvatori della patria. Ecco: casi come quelli di Saguto o di Longo riportano tutti con i piedi per terra. Magari possono aiutare a far cadere un mito inutile, quello dei Savonarola in toga pronti a sostituire la politica indegna. Sarebbe un ritorno alla normalità perduta con Mani pulite. Se riumanizzare i magistrati servisse a riportare un po’ di equilibrio nel rapporto tra politica e giustizia, male non sarebbe. Con buona pace del giudice Esposito, vorrà dire forse che continueremo ad avere pochi pm in Parlamento. Il che sarebbe un altro segno di ritorno alla normalità.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » mar apr 03, 2018 5:53 am

Magistratura: eversione e corruzione
2018/03/30

http://www.opinione.it/politica/2018/03 ... iva-saguto

Due processi in corso in Sicilia sembrano poter dare l’immagine allarmante di due diversi fenomeni che hanno, nel corso degli ultimi anni, stravolto ed inquinato il concetto stesso di giustizia, oltre che, gravemente leso la credibilità di quelli cui tale funzione è affidata.

A Palermo è, dopo anni ed anni, in corso un processo grottesco, quello della “Trattativa Stato-Mafia”. Un condensato di assurde sovrapposizioni agli altri poteri dello Stato, metafora di una giustizia che si mette al di sopra della legge, della ragione e dello Stato stesso.

A Caltanissetta, invece, è in corso un processo in cui lo Stato, la legge, la moralità dei pubblici poteri cerca di cauterizzare la piaga della corruzione che si è insinuata proprio nella più delicata delle funzioni, quella della magistratura e della giustizia e nella parte di essa non solo fisicamente ma idealmente responsabile di atteggiamenti quale quello che emerge in quell’altro processo.

È il processo Saguto, per i gravissimi fatti di malaffare, di corruzione e di clientelismo nella gestione dei beni sequestrati e confiscati ai sospetti di essere mafiosi ed ai sospetti di essere sospettabili. Un abuso nella gestione di strumenti giudiziari che sono essi stessi espressione di un rovesciamento dei concetti basilari di diritto e di giustizia.

Troppo poco si parla e si cerca di approfondire il significato e la portata dei due processi. Ma se il primo, quello della cosiddetta “Trattativa” ha suscitato momenti di clamore ed ha indotto qualche mente meno assuefatta a subire i riflessi della sopraffazione e di conseguente critica a teorie e sistemi inconcepibili, il secondo sembra, questa volta, che i fatti oggetto di esso, siano considerati solo come un deprecabile esempio del livello, un tempo inimmaginabile, cui è giunta la corruzione.

L’amministrazione di beni ed aziende da parte dell’Autorità giudiziaria, un tempo limitata alle procedure fallimentari, ha sempre rappresentato il tallone di Achille della correttezza e dell’onestà dell’apparato giudiziario. Se nei palazzi di giustizia si udiva qualche mormorio in ordine ad episodi di corruzione, di nepotismo, di rapporti poco chiari tra magistrati ed avvocati, ciò accadeva quasi sempre per il funzionamento delle Sezioni fallimentari. Ma nel caso Saguto non si è in presenza solo di un fenomeno di disonestà qualsiasi, benché più vasto e radicato. La corruzione nella gestione dei beni sequestrati, come impropriamente si dice, alla mafia, è qualcosa di più e di diverso. Proprio perché qualcosa di diverso e di opposto al concetto di giustizia è il sistema stesso di quei sequestri e di quelle confische, la cui sola possibilità mette in crisi l’economia di intere regioni e travolge ogni tradizionale garanzia e certezza del diritto.

Se è vero che una persona onesta rimane tale anche in mezzo al dilagare della corruzione (cosa che ha comunque dei limiti) è anche vero che il supporto morale della imparzialità ed incorruttibilità del giudice non può essere tale e quale quando gli si richiede non di far giusta applicazione di leggi giuste, ma di “lottare” strenuamente contro “il male”, contro questo o quel fenomeno facendolo autore delle stesse norme cui deve obbedire attraverso una sgangherata discrezionalità ed una malcelata riduzione alla simulazione di ogni limite e condizione per l’esercizio delle sue funzioni. La giustizia delle emergenze, la pretesa “superiorità” della “lotta” rispetto alla giustizia, portano a questo.

Dire che con quei due processi siciliani così diversi e così complementari tra loro siamo giunti al fondo del baratro è purtroppo un’affermazione ottimistica. Un po’ di ottimismo potrebbe esserci consentito se su di essi si cominciasse a ragionare, a cercare verità e motivi, senza cedere alle convenzioni e senza timori di sfidare il fanatismo. Fanatismo di fanatici. E anche di mascalzoni.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » mer mag 09, 2018 12:33 pm

Giustizia a base di sesso: il pm Roberto Staffa condannato a 11 anni
25 apr 2018
Michela Allegri per Il Messaggero.it


http://www.dagospia.com/rubrica-29/cron ... 172347.htm

Una sentenza che pesa come un macigno e che arriva dopo più di 14 ore di camera di consiglio. L'ex pm della Dda romana, Roberto Staffa, è stato condannato a 11 anni di reclusione. Le accuse sono gravissime: corruzione, rivelazione del segreto d'ufficio, accesso abusivo al sistema informatico e detenzione di materiale pedopornografico. Avrebbe consumato rapporti sessuali con donne e transessuali sotto indagine, anche in ufficio, concedendo favori in cambio di prestazioni intime. L'hanno deciso i giudici del Tribunale di Perugia, ieri, poco dopo mezzanotte. A carico dell'ex pm, la Procura aveva chiesto la condanna a 10 anni e 6 mesi, contestando anche la

Sono passati più di 5 anni, ma nella cittadella giudiziaria romana tutti ricordano il giorno in cui Staffa venne arrestato. Era il 23 gennaio 2013. I carabinieri si presentarono a casa del magistrato e perquisirono anche il suo ufficio a piazzale Clodio, dove erano state piazzate cimici e telecamere nascoste. La prima ad accusare il pm, era stata una transessuale. Lo scandalo era emerso nel corso di un'inchiesta sulla prostituzione all'Eur. Le carte su Staffa, secretate, erano state trasmesse alla procura di Perugia, competente nell'indagare sui magistrati romani.

Staffa è accusato di avere avuto rapporti con alcune transessuali e di avere concesso loro, in cambio, permessi di soggiorno temporanei. In ufficio avrebbe avuto un incontro intimo anche con Laura Terrisi, la compagna di Consiglio Casamonica, rampollo del clan di origine sinti. In cambio della prestazione, il pm si sarebbe impegnato a dare parere favorevole ai domiciliari a carico dell'uomo, che si trovava in carcere. Per questa vicenda, la Terrisi ha già patteggiato un anno e 10 mesi di reclusione.


https://roma.corriere.it/notizie/cronac ... f827.shtml



Roberto Staffa condannò Felice Maniero e i Serenissimi

http://ricerca.gelocal.it/mattinopadova ... ref=search

VENEZIA Sono decine i processi celebrati da Roberto Staffa prima come semplice giudice a latere poi come presidente del Tribunale e della Corte d'Assise di Venezia. Sicuramente i due che molti si ricorderanno sono quelli al boss della Mala del Brenta Felice Maniero per i nove omicidi che aveva confessato e che terminò con la condanna del boss della Riviera del Brenta a 19 anni di reclusione. L'altro è quello a Luigi Faccia, il capo dei Serenissimi che assaltarono e rimasero una notte intera barricati all'interno del campanile di San Marco. A Trieste, invece, da pm aveva seguito per dieci numerose indagini, in particolare quelle che bloccarono il traffico di eroina attraverso quella che venne definita la rotta balcanica. A Roma, infine, sempre da pubblico ebbe notorietà per l'indagine sugli aborti clandestini (fino a otto mesi del feto) avvenuti nella clinica Villa Gina che culminò con gl iarresti del progfessor Ilio Spallone e del nipote Marcello, figlio di Mario, che fu medico di Togliatti. Infine, in qualità di componente della Direzione distrettuale antimafia si occupò pure del sequestro di Emanuela Orlandi, figlia del dipendente della Città del Vaticano scomparsa senza lasciare traccia e mai più ritrovata.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » sab mag 12, 2018 8:26 pm

I magistrati furbetti che fanno milioni con le aste immobiliari
di Maria Elena Vincenzi
2018/04/10

http://espresso.repubblica.it/inchieste ... i-1.320423

Magistrati proprietari di ville “vista mare” da milioni di euro o che comprano immobili da capogiro ai prezzi ribassati dell’asta e poi li rivendono al valore di mercato, intascandosi la differenza. In barba alla legge che prevede che le toghe non possano partecipare alle aste giudiziarie, per ovvi motivi di conflitti di interessi.

Invece a Tempio Pausania, in Sardegna, c’erano giudici che facevano speculazioni edilizie facendo vincere le gare ad amici i quali poi li nominavano come aggiudicatari. E a quel punto, i magistrati rivendevano quegli immobili al triplo del prezzo.

Un giro di affari smascherato da altri magistrati, quelli di Roma, in particolare il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il pubblico ministero Stefano Fava, che hanno iniziato a indagare nel 2016 su una villa affacciata sul mare di Baia Sardinia.

L’immobile, appartenuto a un noto imprenditore della zona finito male, venne messo all’asta e aggiudicato, complice il giudice fallimentare Alessandro Di Giacomo, a un avvocato «per persona da nominare». Le persone che poi sono state indicate erano Chiara Mazzaroppi, figlia dell’ex presidente del tribunale di Tempio Pausania, Francesco, e il di lei compagno, Andrea Schirra, anche loro magistrati in servizio (presso il tribunale di Cagliari). La villa, grazie alle «gravi falsità» contenute nella perizia, per usare le parole del gip di Roma Giulia Proto, è stata pagata 440 mila euro. Un ribasso ottenuto con «vizi macroscopici nella procedura di vendita»: tra l’altro si certificava la presenza in casa del comodatario che in realtà era morto qualche mese prima. A nulla erano valse segnalazioni e proteste dei creditori: il giudice ha deciso di ignorarle. Per garantire alla figlia del suo ex capo, o forse direttamente a lui, un affare immobiliare non da poco: l’intenzione era di ristrutturare il complesso e di rivenderlo a 2 milioni di euro. Ovvero con una plusvalenza di 1,6 milioni.

Insomma, un affare niente male. Per il quale, poco prima di Natale, il giudice Alessandro Di Giacomo è stato punito con l’interdizione a un anno dalla professione. I Mazzaroppi, padre e figlia, e Schirra sono indagati.

L’indagine ha svelato anche una serie di affari simili per i quali, però, non è possibile procedere: i reati sono già prescritti. Dalle carte depositate dalla procura di Roma, infatti, si scopre che gli affari immobiliari di Francesco Mazzaroppi hanno origini ben più lontane. Correva l’anno 1999 quando il giudice Di Giacomo, ancora lui, assegnò a un’avvocatessa, Tomasina Amadori (moglie del suo collega Giuliano Frau), il complesso alberghiero “Il Pellicano” di Olbia, una struttura da 34 camere. Amadori, a quel punto, indicò come aggiudicataria la Hotel della Spiaggia Srl, società riconducibile al commercialista Antonio Lambiase. Il prezzo dell’operazione era poco più di un miliardo di lire. Un anno dopo, “Il Pellicano” venne venduto da Lambiase, vicino a Mazzaroppi padre, a 2,3 miliardi: più del doppio del prezzo di acquisto. Scrive il pm di Roma Stefano Fava: «Risultano agli atti gli stretti rapporti economici intercorrenti tra Antonio Lambiase e Francesco Mazzaroppi. Lambiase ha infatti acquistato un terreno in località Pittolongu di Olbia cedendone poi metà a Rita Del Duca, moglie di Mazzaroppi.

Su tale terreno Lambiase e Mazzaroppi hanno edificato due ville», nelle quali vivono tuttora. Chiosa il pm: «Le evidenziate analogie, oggettive e soggettive, con la vicenda relativa all’aggiudicazione dell’immobile di Baia Sardinia, nonché la perfetta sovrapponibilità delle condotte dimostrano come anche la vendita a prezzo vile dell’albergo “Il Pellicano” sia conseguente a condotte illecite, non più perseguibili penalmente perché prescritte».

A corredo di tutto ciò, la procura di Roma ha raccolto anche una serie di testimonianze tra le quali quella dell’allora presidente della Corte d’Appello di Cagliari, Grazia Corradini, che non usa mezzi termini: «In relazione all’acquisto del terreno su cui Francesco Mazzaroppi aveva edificato la sua villa c’erano state in passato delle segnalazioni relative a rapporti poco limpidi con i locali commercialisti e in particolare con Lambiase, consulente del Consorzio Costa Smeralda, insieme al quale avrebbe acquistato più di dieci anni fa il terreno su cui era stata realizzata la villa».

La Corradini racconta poi di come a queste segnalazioni fossero seguite due indagini, una penale e una predisciplinare senza alcun esito.

Poi Corradini parla anche della villa a Baia Sardinia: «La vicenda indubbiamente appare poco limpida se si considera il prezzo di vendita di una villa assai prestigiosa che si affaccia su Baia Sardinia, il cui prezzo di mercato si può immaginare pari ad almeno alcuni milioni di euro». Una questione su cui «ha relazionato il presidente del Tribunale di Tempio, la cui relazione allego unitamente ai documenti acquisiti che sembrerebbero confermare una “regolarità formale” nelle procedure di vendita, come ci si poteva attendere visto che eventuali interferenze è difficile che risultino dagli atti della procedura».

Il presidente del tribunale di Tempio chiamato in causa era Gemma Cucca, che ora è presidente della Corte d’Appello di Cagliari, dove è succeduta proprio alla Corradini. Anche lei è indagata dalla procura di Roma.

Ce ne sarebbe abbastanza, ma il torbido al tribunale di Tempio Pausania continua con le rivelazioni di segreto d’ufficio, ingrediente indispensabile in un sistema che si reggeva su favori e amicizie. Sempre nel corso delle indagini sulla villa di Baia Sardinia, infatti, gli inquirenti hanno sentito due indagati parlare tra di loro del fatto che il gip Elisabetta Carta, che aveva firmato il 1 giugno 2016 un decreto d’urgenza per intercettarli, li avesse prima avvisati. Scrive il giudice di Roma: «La vicenda è particolarmente grave: il gip che ha autorizzato una intercettazione informa gli indagati che sono sotto intercettazione dicendo loro di “stare attenti”, il tutto mentre le intercettazioni sono ancora in corso».

Elisabetta Carta si è difesa negando le accuse a suo carico e ammettendo solo di avere avuto con la coppia buoni rapporti lavorativi. Per lei è già stata disposta l’interdizione per un anno.

Non è finita: di quelle intercettazioni, chissà come, venne informato anche Francesco Mazzaroppi, all’epoca presidente della Corte d’Appello di Cagliari e - come detto - padre dell’acquirente Chiara Mazzaroppi.

Tutto questo sembrava normale, nel tribunale di Tempio Pausania, dove i magistrati erano preoccupati soltanto di fare affari immobiliari.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » ven lug 06, 2018 5:56 am

Arrestato il giudice amministrativo Giuseppe Mineo, Renzi tentò di farlo nominare al Consiglio di Stato

4 luglio 2018

http://www.affaritaliani.it/cronache/gi ... ign=noibot


È stato arrestato per corruzione l'ex giudice del Consiglio di Giustizia Amministrativa Siciliano Giuseppe Mineo. Il provvedimento è stato disposto dal gip di Messina su richiesta della Procura diretta dal procuratore Maurizio de Lucia. Nel 2016 Mineo era stato indicato dall'allora premier Matteo Renzi per un ruolo al Consiglio di Stato ma la nomina non fu ratificata perchè era stato già sanzionato per il ritardo nel deposito delle sentenze.

Accuse: corruzione e sentenze pilotate

Mineo si sarebbe interessato perché le imprese "Open Land Srl" e "AM Group Srl", controllate dai costruttori Frontino, fossero favorite nei ricorsi che avevano intentato contro il Comune e la Sovrintendenza di Siracusa. Il giudice sarebbe dovuto intervenire perché venisse sovrastimato il risarcimento del danno che Comune e Sovrintendenza dovevano alle due società. Sia la vicenda Open Land che quella della Am Group sono emerse nella inchiesta della Procura di Messina che, a febbraio, ha portato in carcere, tra gli altri, l'ex pm di Siracusa Giancarlo Longo e gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore, entrambi legati ai Frontino.

La vicinanza a Lombardo

In cambio del suo interessamento nella causa di cui era peraltro giudice relatore Mineo, docente universitario nominato al Cga in quota dell'ex governatore siciliano Raffaele Lombardo, avrebbe chiesto denaro per un amico: l'ex presidente della Regione Giuseppe Drago, poi deceduto nel 2016. Mineo e il politico erano legati da una stretta amicizia. All'ex presidente della Regione sarebbero stati fatti avere 115mila euro: la somma sarebbe stata versata dalla società "Ocean One Consulting Srl", riconducibile agli avvocati Amara e Calafiore, su un conto maltese intestato all'imprenditore siracusano Alessandro Ferraro, anche lui già coinvolto nell'inchiesta messinese su Longo. Ferraro avrebbe poi girato la somma a Drago.

Le polemiche sulla tentata nomina del governo Renzi e i rapporti con Faraone

Come detto, la sua tentata nomina nel 2016 da parte del governo Renzi suscitò diverse polemiche. A differenza degli altri nomi indicati dall'allora governo, infatti, quello di Mineo era l'unico totalmente estraneo all'ambiente romano. Una storia, la sua, interamente radicata in Sicilia con la vecchia conoscenza dell'ex governatore Raffaele Lombardo, che lo porta al Consiglio siciliano. Mineo viene persino considerato uno degli "ideologi" del partito di Lombardo, che prende vita quando l'ex presidente siciliano rompe con Berlusconi e fa asse col Pd. Ed è proprio con il Pd che Mineo allaccia stretti rapporti, in particolare con l'area renziana rappresentata in Sicilia da Davide Faraone. Proprio da qui nasce probabilmente il (poi tramontato) grande salto, con il governo Renzi che cerca nel 2016 di farlo nominare al Consiglio di Stato. Ma i dubbi sulle sentenze depostate in ritardo portarono al parere negativo del Csm.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » mer lug 25, 2018 6:48 am

Bari, 14 giudici di pace condannati: "Ostriche e champagne per pilotare le sentenze"
Secondo il Tribuale di Lecce centinaia di provvedimenti sono stati scritti dagli avvocati delle parti. In un caso un giudice avrebbe ricevuto costosi regali per aver restituito la patente a un sorvegliato speciale
di CENZIO DI ZANNI
24 luglio 2018

http://bari.repubblica.it/cronaca/2018/ ... -202536159

Ostriche e champagne per aver restituito la patente revocata a sorvegliati speciali, in qualche caso. Sentenze "aggiustate", quando non completamente scritte dai colleghi avvocati, negli altri casi. Si è chiuso con 14 condanne e un'assoluzione il processo nei confronti di altrettanti giudici di pace e avvocati di Bari, Bitonto, Altamura e Corato. La seconda sezione penale del tribunale di Lecce - competente quando le parti di un processo sono magistrati del distretto di Bari - ha messo un primo punto fermo sullo scandalo delle sentenze 'pilotate' che fra il 2008 e il 2010 hanno scosso la giustizia a Bare dintorni.

Per 14 fra legali e giudici di pace - che sono avvocati prestati alla magistratura con il titolo di giudici onorari - sono state riconosciute a vario titolo le accuse di associazione per delinquere, corruzione in atti giudiziari, falso ideologico e abuso d'ufficio, come riporta La Gazzetta del Mezzogiorno.Si va dai 6 anni di reclusione per Vito Squicciarini, 52 anni, ex coordinatore dei giudici di pace di Modugno, ai tre anni e tre mesi di carcere per Domenico Ancona, Gaetano Consoli, Eugenio Di Desidero, Alfredo Fazzini, Luigi Ferri, Raffaele Mascolo,Cipriano Popolizio, Deborah Semidoppioe Nicola Stifanelli.

La sfilza di condanne si chiude con i quattro anni di reclusione per Roberto Cristallinie Vincenzo Sergio; poi con i tre anni e 10 mesi per Angelo Scardigno e Letizia Serini. Di più: 12 dei 14 imputati condannati dovranno risarcire per 50mila euro l'unica parte civile del processo: il Comune di Bari.

Secondo l'accusa della pm Valeria Mignone - fascicolo ereditato dalla collega Desirèe Digeronimo, oggi alla procura di Roma - le sentenze dei giudici di pace. centinaia di provvedimenti sono stati scritti dagli avvocati delle parti. Fondato, dunque, l'impianto accusatorio. Almeno in primo grado. L'unica accusa caduta nel vuoto è quella nei confronti dell'avvocato Leonardo Sesta.

Il legale è stato assolto con formula piena per un episodio di corruzione in atti giudiziari e concorso in abuso d'ufficio assieme a Letizia Serini (assolta da quest'accusa). Anzi, in questo caso le carte sono tornate alla procura di Lecce, che dovrà indagare su una presunta falsa testimonianza di chi aveva puntato l'indice contro i due. "Non è credibile", dicono i magistrati salentini. Tutto il resto sì.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » dom set 02, 2018 10:59 am

Il libro mastro delle sentenze truccate: sotto inchiesta venti magistrati
11 Giugno 2018
Le nuove accuse dei magistrati di Roma e Messina, al centro anche processi su appalti Consip
di ALESSANDRA ZINITI

https://rep.repubblica.it/pwa/generale/ ... -198761847

Di che cosa stiamo parlando
Sentenze amministrative comprate e un’azione di dossieraggio per inquinare e depistare importanti inchieste penali. A febbraio una grossa indagine delle procure di Roma e Messina ha portato all’arresto di 15 persone per corruzione in atti giudiziari. In manette anche un pm della procura di Siracusa e il regista di questo giro di mazzette, l’avvocato siciliano Piero Amara con una grossa clientela internazionale. Tra gli indagati anche l’ex presidente di sezione del Consiglio di Stato Virgilio.

Sono partiti da un elenco di 35 sentenze trovato a casa di uno dei faccendieri e sono arrivati lì dove non avrebbero mai voluto arrivare, per di più consapevoli di essere solo sull'uscio di una porta che spalanca la strada a quella che potrebbe essere una delle più esplosive inchieste italiane sulla corruzione degli ultimi anni.

Ci sono più di venti magistrati iscritti per corruzione in atti giudiziari nel registro degli indagati delle procure di Roma e di Messina per un giro enorme di processi aggiustati nell'ambito della giustizia amministrativa. Lo scenario che si apre, gravissimo e desolante al tempo stesso, è quello di un Consiglio di Stato e di un Consiglio di giustizia amministrativa fortemente condizionati dall'attivismo di un numero molto consistente di giudici a libro paga che avrebbero preso mazzette per favorire i clienti più importanti rappresentati dallo studio legale Amara-Calafiore, i due avvocati siciliani arrestati tre mesi fa e che da alcune settimane stanno facendo importantissime ammissioni riempiendo decine di pagine di verbali davanti ai pm romani coordinati dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e messinesi diretti dal procuratore Maurizio de Lucia. Alcuni atti, che coinvolgono seppure in maniera marginale un magistrato del penale di Roma il cui nome emerge dagli atti per alcune cointeressenze in società, sono stati mandati per competenza alla procura di Perugia ma l'indagine promette di allargarsi e interessare altri uffici giudiziari italiani.

L'inchiesta è quella che, a febbraio, ha visto finire agli arresti quindici persone (e tra questi anche l'ex pm di Siracusa Giancarlo Longo) per un giro di corruzione allora valutato in 400 milioni di euro. Bazzecole rispetto al vorticoso passaggio di mazzette, molte delle quali estero su estero, che gli investigatori della Guardia di finanza stanno faticosamente ricostruendo in questi mesi. Partendo da questa sorta di libro mastro delle sentenze aggiustate, ma grazie anche alle dichiarazioni fatte dai due avvocati accusati di aver costruito questo fittissimo reticolo di relazioni capace di condizionare le sentenze della giustizia amministrativa in favore dei loro facoltosi clienti, tutti interessati ad appalti milionari, molti dei quali affidati dalla Consip. L'altra ma non meno importante faccia della medaglia era l'ingegnoso metodo, quello dei procedimenti cosiddetti "a specchio", che il pm amico di Amara, Giancarlo Longo, apriva a Siracusa con l'obiettivo o di entrare a conoscenza di elementi riservati di inchieste delicatissime (come quella milanese sulle tangenti Eni in Niger) condotte da altre procure o addirittura di inquinarle o rallentarli con atti appositamente compiuti. Un'attività di depistaggio e dossieraggio che viaggiava tra Roma, Milano, Siracusa e Trani e che resta al centro di un capitolo tra i più delicati dell'inchiesta.

Il primo a parlare, dopo tre mesi in carcere, è stato il rampantissimo Piero Amara, 48enne avvocato originario di Augusta ma con una importante clientela internazionale e amicizie nelle stanze dei bottoni. Messa da parte la linea di difesa iniziale, quando aveva negato di aver pagato magistrati per indirizzare le sentenze, ha finito con spiegare, almeno in parte, qual era il meccanismo messo in piedi per facilitare i suoi clienti: ricorso al Tar se la gara andava male e da lì verdetto sicuro o in primo o in secondo grado. Di cose interessanti ne ha raccontate diverse ma avrebbe in parte cercato di spostare le responsabilità sul collega di studio Calafiore. Il quale non l'avrebbe presa benissimo. E così, quando i pm gli hanno contestato le dichiarazioni di Amara, anche Calafiore ha deciso di rompere il silenzio contribuendo a sua volta a mettere tanta carne al fuoco delle due procure. E alla fine, due settimane fa, anche lui si è "guadagnato" i domiciliari.
Nomi su nomi di magistrati amministrativi "avvicinati" e una lettura, adesso ovviamente al vaglio degli inquirenti, dell'elenco delle sentenze aggiustate (qualcuna con relativa cifra accanto) custodito da uno dei faccendieri che lo studio legale Amara-Calafiore utilizzava per sbrigare i suoi affari. Almeno quindici i nomi dei componenti del Consiglio di Stato finiti sotto indagine a cui si aggiungono quelli iscritti a Messina tra giudici del Consiglio di giustizia amministrativa e dei Tar di Palermo e Catania. Un "cerchio magico", quello messo su negli ultimi anni da Amara e Calafiore, del quale facevano parte anche diversi avvocati (anche qui molti nuovi indagati) rappresentanti delle imprese favorite nei contenziosi amministrativi: tra i più importanti il contenzioso Ciclat e quello della Exitone. Anche Fabrizio Centofanti, imprenditore anello di questa catena, ha ottenuto i domiciliari. Ma lui continua a tacere.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » mer set 12, 2018 7:36 pm

Strette di mano e aiuti personali per agganciare un componente laico del Csm e ottenere la nomina a presidente di tribunale, ma anche giro di favori e corruzione tra giudici e professionisti
Stefano Pagliarini
07 settembre 2018

http://www.anconatoday.it/cronaca/corru ... trati.html

Strette di mano e aiuti personali per agganciare un componente laico del Csm e ottenere la nomina a presidente di tribunale per Tito Preioni (attuale presidente della sezione Civile a Lodi) da una parte. Dall’altra un giro di presunti favori tra Giuseppe Bersani (presidente di sezione penale e facente funzioni di presidente, a Cremona, per anni giudice per le indagini preliminari a Piacenza) e una serie di professionisti che avrebbero sempre ottenuto con troppa facilità incarichi nell’ambito dei fallimenti. Parliamo di avvocati e commericalisi. Ed è soprattutto quest’ultima indagine ad interessare la Procura di Ancona che, sotto la supervisione del Procuratore capo Monica Garulli (foto in basso), ha inviato due sostituti dorici prima a Piacenza e poi a Cremona, per perquisire la casa e l’ufficio giudiziario del magistrato Giuseppe Bersani, indagato per corruzione. Mentre la Procura di Ancona è competente per reati commessi a Piacenza, quella di Venezia lo è su eventuali fatti a Cremona. I pm anconetani, al fianco dei colleghi della Procura di Venezia, sono convinti di come il giro di affari, che legava i professionisti privilegiati al magistrato compiacente, arrivasse fino alle Marche e Ancona. Il motivo? Quei professionisti hanno molti interessi e affari nel territorio marchigiano. Dunque le domande a cui cercano risposta gli inquirenti sono: il giro di corruzione fin dove poteva arrivare? E’ confinato all’area lagunare o si estenderebbe dal Po fino al Tronto? E la lista dei nomi iscritti sul registro degli indagati si potrebbe ampliare.
Inchiesta sulle nomine del Tribunale, perquisizioni in casa di giudici e avvocati - LEGGILO SU ILPIACENZA

Fatto sta che a Piacenza e Lodi, il pool di investigatori, piacentini e veneziani, presente anche il procuratore vicario di Venezia Adelchi d'Ippolito, ha perquisito le abitazioni dei due giudici e lo studio dell'avvocato Virgilio Sallorenzo, come raccontato in esclusiva già a Giugno da ILPIACENZA. Alla perquisizione dello studio del legale ha assistito anche, in qualità di difensore, l'avvocato Paolo Fiori. Una bufera giudiziaria esplosa nella città di Piacenza perché arriva a lambire il Consiglio superiore della magistratura (organo di autogoverno dei giudici) e svela un’indagine della procura di Venezia che ha indagato i due magistrati, con l’ipotesi di corruzione in atti giudiziari.
Nomina del presidente del Tribunale, indagati due giudici - LEGGILO SU ILPIACENZA
Il giro di favori e gli accordi sottobanco per il potere

Poi c’è il giudice Tito Preioni. I magistrati veneziani hanno aperto da mesi un fascicolo di indagine, su presunti tentativi di condizionare le procedure di nomina dei capi degli uffici giudiziari in favore dell’elezione di Preioni, movimenti che sarebbero stati effettuati fuori dalle procedure ufficiali. Infatti, secondo una più datata inchiesta de Il Corriere della Sera, sarebbe stato un avvocato piacentino, tale Virgilio Sallorenzo, a mettere in contatto i due giudici con un avvocato romano per agganciare un componente laico del Csm (Paola Balducci, ex parlamentare dei Verdi) e cercare voti che avrebbero garantito a Preioni l’incarico di presidente del Tribunale di Cremona. Sallorenzo, attualmente, è indagato dalla procura di Piacenza - le due indagini non sono collegate - con le ipotesi di bancarotta, falso e abuso di ufficio.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » mar ott 16, 2018 6:52 am

Messina, magistrato condannato a sette anni per pedofilia
Gaetano Maria Amato è ai domiciliari in un centro per disturbi sessuali. Al momento dell'arresto, un anno fa, era in servizio alla procura generale di Reggio Calabria. Sospeso dalle funzioni e dallo stipendio
10 ottobre 2018
https://palermo.repubblica.it/cronaca/2 ... -208639759

Il giudice dell'udienza preliminare di Messina ha condannato a sette anni di carcere Gaetano Maria Amato, magistrato messinese accusato di produzione e diffusione di materiale pedopornografico e violenza sessuale su minore. Secondo la procura di Messina, guidata da Maurizio de Lucia, il magistrato avrebbe ripreso col cellulare e poi diffuso in rete immagini di due ragazzine di 16 anni e avrebbe scaricato materiale pedopornografico. Amato è agli arresti domiciliari in un centro per disturbi sessuali.

L'accusa gli ha contestato la partecipazione attiva nei video in cui spogliava una delle due ragazzine mentre dormiva e la toccava. In servizio alla procura generale di Reggio Calabria, dopo l'arresto è stato sospeso dalle funzioni e dallo stipendio.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » lun ott 22, 2018 3:29 am

Saguto: rimossa dalla Magistratura il giudice che faceva affari con i beni confiscati alla mafia
VIVIANI
30 marzo 2018

https://www.iene.mediaset.it/2018/news/ ... 7512.shtml

Rimozione dai ranghi della magistratura. E' questa la sanzione decisa dal Consiglio superiore della Magistratura per Silvana Saguto, ex presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo che era stata già sospesa da oltre due anni dalle funzioni e dallo stipendio. Avrebbe gestito in maniera parecchio, troppo, disinvolta i beni confiscati alla mafia con assegnazioni di incarichi a un ristretto gruppo di “fedelissimi”, ricavandone entrate improprie e ricambiando le sue persone di fiducia con soldi, regali e favori.

Tra le accuse il giudice ha dovuto rispondere di aver "usato la qualità di presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo per instaurare indebiti rapporti personali con amministratori giudiziari di compendi sequestrati dal medesimo tribunale" al fine di "conseguire vantaggi ingiusti per sé e i suoi familiari", anche per "tamponare la situazione critica in cui versava il suo nucleo familiare a fronte di un tenore di vita tutt'altro che congruo rispetto alle entrate ufficiali".

Sulla questione però non è ancora detta l'ultima parola, il provvedimento del Csm è impugnabile di fronte alle sezioni unite civili della Cassazione. La nostra Iena Matteo Viviani si è occupato più volte di inefficienze e favori indebiti nell'assegnazione di beni confiscati alla mafia.

Guarda l'ultimo servizio del 5 dicembre 2017 dedicato al tema “Il fallimento dell'antimafia” sulla famiglia Cavallotti, in cui si parla anche di Silvana Saguto.
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