Raccontare la verità non è diffondere il panico, caso mai è la menzogna che lo diffonde perché ingenera sfiducia, aumenta l'insicurezza, l'incertezza, la paura, il terrore complottista.Ricapitolando sul coronavirus:Giulio Meotti
25 febbraio 2020
https://www.facebook.com/giulio.meotti/ ... 4807889959 - È una epidemia grave. Avremmo dovuto capirlo subito dalle tante immagini di "guerra biologica" arrivate dalla Cina
- Non sappiamo come sia nato il virus, non sappiamo i reali numeri dei malati e dei morti in Cina, perché la Cina è una dittatura orrenda che mente, che non ha alcun rispetto della vita umana e che già in passato ha dimostrato di mettere in pericolo la salute mondiale
- Non sappiamo come si svilupperà, quanti lo contrarranno, se si fermerà, in cosa muterà, perché gli esperti sono nel caos e litigano fra di se: “rischio zero per l'Italia”, “è una guerra”, “normale influenza”, “non si sa”, “pandemia”, “raffreddore”...E' la fine degli esperti cosiddetti come li abbiamo trattati finora, sacerdoti e oracoli
- Ogni forma di esibizionismo politico e antirazzista a favore delle telecamere è masochistico e suicida, come si è dimostrato in Italia
- La popolazione ha tutto il diritto di avere paura e di non essere rabbonita da giornalisti e politicanti che la considerano "irrazionale"
- Dobbiamo far nostro il principio socratico “io so di non sapere” e, poiché il compito di uno stato è di difendere la popolazione (anche vecchi e ammalati, sì), dobbiamo usare ogni misura per difenderci da questa “cosa”. “Est regis tueri cives”. Ovvero è dovere del re proteggere i cittadini
Due settimane fa quando i governatori del Nord, con buonsenso, hanno chiesto di mettere in quarantena i bambini di ritorno dalla Cina, si sono ritrovati in una gogna mediaticaMassimo Donelli
22 febbraio 202
https://www.quotidiano.net/commento/cor ... pZGq9Z1hiA Due settimane fa quando i governatori del Nord, con buonsenso, hanno chiesto di mettere in quarantena i bambini di ritorno dalla Cina, si sono ritrovati in una gogna mediatica. Tra accuse di razzismo e lazzi sull’incompetenza scientifica, sono stati sbeffeggiati perfino dal presidente del Consiglio, il callido Giuseppe Conte: "Chi ha ruoli politici ha anche il dovere, la responsabilità di dare messaggi di tranquillità e serenità.
La situazione è sotto controllo".
Ieri mattina, leggendo le notizie da Codogno, mi sono ricordato di due cose.
La prima. Nelle stesse ore in cui in il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, si faceva fotografare nella Chinatown meneghina per solidarietà con i suoi elettori cinesi, ho ricevuto un’email da Erez Boas, rettore dell’USI, l’Università della Svizzera italiana di Lugano, dove insegno: "L’USI richiede a tutti i membri della comunità accademica, compresi gli studenti, di ritorno dalla Cina di studiare/lavorare da casa per un periodo di 14 giorni. Il conteggio inizia dal giorno in cui si arriva in Svizzera. Se si sviluppano i sintomi di un’infezione respiratoria (febbre, tosse, fiato corto), restare a casa e contattare immediatamente, prima per telefono, un medico o un istituto sanitario".
La seconda. Ho una figlia medico, che, dal momento in cui si è saputo del Coronavirus, mi ha detto: "Bisogna isolare tutti coloro che tornano dalla Cina. Subito! Non basta misurare la febbre all’arrivo in aeroporto: uno in quel momento potrebbe non averla. Ma poi…".
Aveva ragione lei. Avevano ragione i governatori. Ma in Italia, dove i cinesi sono perfettamente integrati da decenni, siamo stati capaci di trasformare una questione virale in una questione razziale. E, ora, paghiamo il conto (salato) del politicamente corretto.
Questo mi pare un buon articolo ricco di informazioniLa COVID-19 è davvero «poco più di una normale influenza»?26 febbraio 2020
https://pagellapolitica.it/dichiarazion ... -influenza«Stiamo cercando di far capire che questa è una situazione sicuramente difficile, ma non così tanto pericolosa. Il virus è molto aggressivo nella diffusione, ma poi nelle conseguenze molto meno. Fortunatamente è poco più, e non sono parole mie, ma dei tecnici con cui parliamo, di una normale influenza»
Il 25 febbraio, in un intervento al Consiglio regionale della Lombardia, il presidente della regione Attilio Fontana (Lega) ha commentato la ultime notizie sui casi di contagio da nuovo coronavirus, cercando – a detta sua – di «sdrammatizzare».
«Stiamo cercando di far capire che questa è una situazione sicuramente difficile, ma non così tanto pericolosa», ha detto Fontana. «Il virus è molto aggressivo nella diffusione, ma poi nelle conseguenze molto meno. Fortunatamente è poco più, e non sono parole mie, ma dei tecnici con cui parliamo, di una normale influenza».
Ma le cose stanno davvero così? Quali sono le differenze tra la COVID-19 (malattia causata dal nuovo coronavirus SARS-CoV-2) e l’influenza stagionale?
Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza, analizzando prima le differenze tra le due malattie, per poi vedere che cosa hanno in comune.
Le differenze tra influenza stagionale e COVID-19
Letalità
Partiamo dalla questione che in questi giorni sta generando più confusione all’interno del dibattito pubblico e politico: la malattia causata dal nuovo coronavirus è davvero più letale di una normale influenza stagionale?
Come ha spiegato il 25 febbraio su Scienza in rete Fabrizio Bianchi, responsabile dell’unità di epidemiologia ambientale dell'Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), quando si parla di malattie bisogna maneggiare con attenzione le parole “letalità” e “mortalità”.
In breve: la prima indica quante persone muoiono per una malattia sul totale dei contagiati; la seconda indica il numero dei morti in rapporto al totale della popolazione, compresi quindi anche i non contagiati [1]. Noi ci occuperemo qui della letalità.
Guardiamo ora ai numeri più aggiornati relativi all’Italia per confrontare nuovo coronavirus e influenza stagionale.
Secondo il Ministero della Salute, alle ore 12 del 26 febbraio 2020 nel nostro Paese c’erano 374 persone colpite dal nuovo coronavirus (la stragrande maggioranza in Lombardia e Veneto), con 12 decessi. Facciamo attenzione: si parla di morti avvenuti con il coronavirus (ossia di persone decedute e risultate essere positive al Sars-CoV-2), e non necessariamente a causa del coronavirus, dal momento che – come per l’influenza, come vedremo meglio più avanti – spesso i decessi, che hanno coinvolto nella maggior parte dei casi persone anziane, sono legati anche a patologie pregresse.
I virus influenzali invece, come ha spiegato a Pagella Politica Fabrizio Pregliasco, virologo e ricercatore all’Università degli Studi di Milano, «causano direttamente all’incirca 300-400 morti ogni anno» in Italia, a cui vanno poi aggiunti «tra le 4 mila e le 10 mila morti “indirette”, dovute a complicanze polmonari o cardiovascolari, legate all’influenza». I decessi in tutto il mondo per la sola influenza, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, arrivano secondo alcune stime fino a 500 mila l’anno.
Visti i numeri assoluti, torniamo alla nostra domanda originaria.
L’Istituto superiore di sanità stima che il tasso di letalità dell’influenza stagionale sia inferiore all’uno per mille, ossia lo 0,1 per cento scarso. L’ebola, per esempio, ha un tasso di letalità che si aggira intorno al 50 per cento e la Sars intorno al 10 per cento.
Per la COVID-19 non abbiamo ancora numeri certi. Secondo i dati più aggiornati dell’Oms, dall’inizio della diffusione del nuovo coronavirus al 25 febbraio, su 80.239 casi confermati di contagio i morti sono stati 2.700, circa il 3,4 per cento.
«Si parla di numeri altamente provvisori», ha sottolineato a Pagella Politica Pregliasco. «Per esempio, in Cina non abbiamo l’esatto valore del denominatore, ossia dei contagiati, che potrebbero essere molti di più. Quella che si ha adesso sulla letalità è quasi sicuramente una sovrastima».
Ad oggi dunque, come hanno sottolineato le riviste scientifiche Swiss medical weekly il 7 febbraio e The Lancet il 14 febbraio, è ancora impossibile avere una stima precisa del tasso di letalità del nuovo coronavirus.
I numeri cambiano molto poi a seconda delle aree analizzate (e dei periodi di tempo: settimanali e mensili, per esempio). Nella regione di Hubei, in Cina, su 64.768 contagiati ci sono stati 2.563 morti, con un tasso di letalità cumulativo (ossia dall’inizio del contagio) intorno al 3,9 per cento (comunque più basso della Sars).
Fuori dalla Cina, su 2.459 casi confermati i morti sono stati 34: circa l’1,4 per cento (l’Oms il 24 febbraio ha parlato di un tasso di letalità dello 0,7 per cento fuori dalla città di Wuhan).
Come ha spiegato l’Organizzazione mondiale della sanità il 19 febbraio, è ancora presto per trarre conclusioni da queste discrepanze (per esempio dovute alle differenze dei sistemi sanitari).
Qualche giorno fa il Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie della Cina (Ccdc) ha pubblicato uno dei rapporti fino ad oggi più completi sulla COVID-19. Qui si legge (Tabella 1 del rapporto) che su circa 45 mila casi confermati di contagio registrati in Cina, il tasso di letalità si è aggirato intorno al 2,5 per cento, con grandi differenze però all’interno delle fasce di età. Tra i 10 e i 39 anni, la letalità è dello 0,2 per cento, mentre via via cresce con l’aumentare degli anni: 0,4 per cento tra i 40-49 anni; 1,3 per cento tra i 50 e i 59; 3,6 per cento tra i 60 e i 69; 8 per cento tra i 70 e i 79; e 14,8 per cento per gli over 80.
È necessario inoltre sottolineare che dalla COVID-19 si può guarire. Alle 10:30 del 26 febbraio, in base alle elaborazioni della Johns Hopkins University di Baltimora, su oltre 81 mila casi di COVID-19, i guariti sono oltre 30.100 (quasi il 38 per cento).
Ricapitolando: al momento possiamo dire che l’influenza stagionale, in Italia e nel mondo, sta uccidendo un numero complessivo maggiore di persone rispetto al nuovo coronavirus (attenzione però: non oltre 200 alla settimana o al giorno, come si legge in giro nelle ultime ore). Ma la COVID-19 sembra però avere un tasso di letalità più elevato.
Contagiosità
Un altro concetto molto importante in epidemiologia è il cosiddetto “numero di riproduzione di base” (“tasso netto di riproduzione”), che in sostanza misura la potenziale trasmissibilità di una malattia infettiva.
Come spiega l’Iss, infatti, questo indicatore «rappresenta il numero medio di infezioni secondarie prodotte da ciascun individuo infetto in una popolazione completamente suscettibile, cioè mai venuta a contatto con il nuovo patogeno emergente».
Il numero di riproduzione si esprime generalmente con l’indicatore R0(da leggersi “erre con zero”), che stima dunque quante persone vengono in media contagiate da un soggetto infetto.
Anche qui, quando si parla di nuovo coronavirus, nessun numero è definitivo.
Il 23 gennaio 2020, l’Oms ha pubblicato una stima preliminare sul tasso di riproduzione del nuovo coronavirus, con un R0>1,4-2,5: ossia un infetto può arrivare a contagiare fino a un massimo di 2,5 persone.
In realtà, nelle ultime settimane sono usciti diversi studi (alcuni ancora in attesa di peer review, ossia di controllo della comunità scientifica) con numeri diversi tra loro. Secondo una pubblicazione del 13 febbraio, la media del tasso di riproduzione calcolata su 12 studi si aggirerebbe intorno al R0>3,3.
C’è dunque ancora ampia variabilità di cifre (come d’altronde è prevedibile, per un’epidemia che si muove più velocemente o lentamente in aree del mondo diverse), ma possiamo dire con una certa affidabilità che il nuovo coronavirus ha un numero di riproduzione di base maggiore della classica influenza stagionale, che ha un tasso di riproduzione pari a R0>1,3.
Questi numeri però possono cambiare nel tempo: le politiche di controllo e prevenzione possono infatti aiutare a ridurre la diffusione del virus, come avvenuto in passato per la Sars.
Periodo di incubazione
Una delle questioni più rilevanti quando si parla di COVID-19 riguarda poi il cosiddetto “periodo di incubazione”, ossia il lasso temporale che intercorre tra il contagio da parte del nuovo coronavirus e la comparsa dei primi sintomi della malattia (che, ricordiamo, vanno da naso che cola, gola secca, tosse e febbre, a sintomi più gravi per alcune persone, come polmoniti o altre serie difficoltà respiratorie).
Conoscere con precisione quale sia il periodo di incubazione del nuovo coronavirus – ma in generale di tutte le malattie infettive – è fondamentale per una efficace gestione del contagio, per esempio per decidere quanto debba essere lungo il periodo di quarantena per le persone potenzialmente venute a contatto con il virus.
«Le stime sul periodo di incubazione della COVID-19 vanno da uno a 14 giorni, molto più comunemente intorno ai cinque giorni», scrive sul suo sito ufficiale l’Oms. «Queste stime saranno aggiornate quando ci saranno più dati a disposizione».
L’influenza stagionale ha invece un periodo di incubazione più breve, dal momento che i sintomi si manifestano da poche ore fino a massimo due-tre giorni dopo il contagio. Come vedremo meglio più avanti, uno dei problemi è che i sintomi iniziali dell’influenza e della COVID-19 sono simili.
Casi gravi
Un’altra differenza tra COVID-19 e influenza stagionale riguarda la quantità di casi che manifestano sintomi gravi, ma che non necessariamente si concludono con la morte del contagiato [2].
Come spiega il Ministero della Salute, i sintomi più comuni da contagio del Sars-CoV-2 includono febbre, tosse e difficoltà respiratorie. Ma nei casi più gravi, l'infezione può causare «polmonite, sindrome respiratoria acuta grave e insufficienza renale». Gli stessi sintomi che danno i casi più gravi di influenza.
Rispetto all’influenza stagionale, la COVID-19 sembra però causare un numero maggiore di casi con sintomi gravi (oltre ad avere, come abbiamo visto, una letalità stimata maggiore).
Secondo lo studio del Cdc cinese già citato in precedenza, infatti, sul campione di circa 45 mila contagi confermati, i ricercatori ne hanno classificato l’80,9 per cento con sintomi poco significativi, il 13,8 per cento con sintomi gravi e il 4,7 per cento con sintomi critici.
Questa non è una cosa da poco (ma neanche su cui fare allarmismo): può significare, se da ricerche ulteriori i numeri dovessero rimanere più o meno su questi livelli, che su 100 contagiati, per almeno 20 potrebbe essere necessario un ricovero ospedaliero. Ricordiamo però che si tratta di una stima che parte dai casi confermati di contagio, che come abbiamo detto all’inizio sono sicuramente sottostimati. Aumentando il denominatore, la percentuale di casi per cui serve il ricovero è quindi probabilmente più bassa del 20 per cento.
In ogni caso, i numeri sui casi riguardanti l’influenza stagionale sono diversi. Da ottobre 2019 al 16 febbraio 2020, secondo InfluNet (il sistema nazionale di sorveglianza epidemiologica e virologica dell’influenza, coordinato dal Ministero della Salute con la collaborazione dell’Iss) il numero di casi simil-influenzali è stato di 5.632.000 (il rapporto completo è consultabile nel link in fondo alla pagina).
Ma i casi gravi legati al contagio da virus influenzale tra quelli confermati in laboratorio nei pazienti ricoverati in terapia intensiva sono stati da ottobre scorso ad oggi meno di 200. Si tratta comunque di un dato parziale, proveniente dal Rapporto della sorveglianza integrata dell’influenza dell’Iss, molto probabilmente destinato a crescere.
Secondo il Cdc statunitense, ad esempio, negli Stati Uniti ogni anno è circa l’1,3 per cento dei contagiati da influenza stagionale richiedere la necessità di un ricovero in ospedale. Numeri comunque lontani da quelli, pur provvisori, del nuovo coronavirus.
Vaccini e virus
Un’altra differenza sostanziale tra la COVID-19 e l’influenza stagionale è che per la seconda ci si può vaccinare, per la prima no. Questo fatto è dovuto anche ai diversi tipi di virus che causano queste malattie.
Riassumendo: il Sars-CoV-2 (che causa la COVID-19) fa parte della famiglia dei coronavirus (Coronaviridae), che sono soprattutto comuni negli animali, e che per sette tipi (tra cui quello nuovo) possono colpire gli esseri umani. Generalmente portano a sintomi lievi (come i raffreddori) nelle persone, ma nel caso della COVID-19, della Sars e della Mers possono portare, come abbiamo visto, a gravi problemi respiratori.
I virus che causano l’influenza stagionale fanno invece parte di una famiglia diversa (Orthomyxoviridae). Tra i cosiddetti “virus influenzali”, quelli di tipo A e B sono ritenuti i responsabili dei sintomi – come febbre, mal di testa, mal di gola e tosse – della classica influenza, mentre i virus di tipo C generano al più un raffreddore.
Tutti i virus influenzali hanno una «marcata tendenza» a variare, spiega l’Iss, «cioè ad acquisire cambiamenti nelle proteine di superficie che permettono loro di aggirare la barriera costituita dalla immunità presente nella popolazione che in passato ha subito l’infezione influenzale». In parole povere: questi virus mutano in modo da evitare che gli anticorpi creati dalle precedenti versioni del virus siano ancora efficaci.
Questa problematica che pongono i virus influenzali viene contrastata con aggiornamenti annuali della composizione dei relativi vaccini. Questo ci permette di arrivare preparati all’arrivo della stagione influenzale, soprattutto per proteggere le fasce della popolazione più deboli (come gli anziani).
Il principale problema con il nuovo coronavirus non è la sua capacità di mutare o meno, ma che è qualcosa di relativamente “nuovo” per l’uomo. È vero, abbiamo avuto a che fare con la Sars e la Mers, due malattie che gli scienziati hanno studiato (e stanno ancora studiando), ma sono comunque virus recenti e in questo scenario di novità il Sars-CoV-2 trova un terreno più fertile in cui diffondersi.
«Con lo pneumococco e con i virus influenzali conviviamo da millenni e la maggior parte dei pazienti anziani aveva già incontrato nel corso della vita uno o più virus simili all’H1N1 [la cosiddetta “influenza suina”, diffusasi nel 2009]», ha spiegato a Wired il 7 febbraio 2020 Luigi Lopalco, epidemiologo e docente di Igiene all’Università di Pisa. «Mentre l’2019-nCoV [ora chiamato “Sars-CoV-2” n.d.r.] è un virus completamente nuovo per il sistema immunitario. Per questa ragione non abbiamo ancora strumenti preventivi e terapie come per la polmonite pneumococcica».
Ad oggi (nonostante le bufale che si leggono in giro) non esiste un vaccino per proteggersi dal nuovo coronavirus e ci vorranno diversi mesi per averne una prima versione. È notizia del 24 febbraio che un’azienda farmaceutica statunitense ha sviluppato un primo vaccino sperimentale, ma da un lato ci vorrà ancora tempo prima che inizi la fase di sperimentazione sugli esseri umani, dall’altro lato ci sono dubbi sulla sua efficacia.
Le somiglianze tra le due malattie
Nonostante queste differenze, è comunque vero che la COVID-19 e l’influenza stagionale abbiano alcune cose in comune. Partiamo dall’aspetto principale.
«I sintomi dell’influenza, almeno in una fase iniziale, sono molto simili a quelli di altre infezioni respiratorie, compreso il nuovo coronavirus SARS-CoV-2: febbre, tosse, raffreddore, mal di gola», scrive l’Iss. «Proprio a causa di queste similarità potrebbe essere difficile identificare la malattia basandosi solo sui sintomi».
Per chi viene contagiato dal nuovo coronavirus e non sviluppa i sintomi più gravi come i problemi respiratori acuti (e abbiamo visto che ad oggi i contagiati con i sintomi lievi sono la grande maggioranza), è dunque vero che la COVID-19 è uguale o poco più di una normale influenza stagionale.
Anche i casi gravi di influenza e della COVID-19 si somigliano in parte per quanto riguarda i sintomi ma, come abbiamo visto, il nuovo coronavirus sembra in grado di assumere una forma più pericolosa in una percentuale molto più elevata di casi.
Ricordiamo inoltre, come fa anche il Ministero della Salute, che le due malattie sono causate «da virus differenti, pertanto, in caso di sospetto di coronavirus, è necessario effettuare esami di laboratorio per confermare la diagnosi».
Per quanto riguarda i trattamenti per lenire gli effetti della malattia possiamo segnalare una differenza e una somiglianza. La differenza è che per il nuovo coronavirus, come spiega l’Iss, «non esistono al momento terapie specifiche». Per l’influenza sì: nei casi gravi in cui si verificano complicanze, come polmoniti o problemi cardiocircolatori, vengono messe in campo le terapie specifiche per queste patologie.
La somiglianza è che, invece, nei casi più lievi sia il coronavirus sia l’influenza vengono trattate con “terapie di supporto”, che intervengono sui sintomi e non sulle cause della malattia, e aiutano a guarire più rapidamente. Purtroppo nei casi gravi di COVID-19 vengono comunque date solo le terapie di supporto perché, come abbiamo detto, terapie specifiche al momento non ce ne sono.
Per quanto riguarda la trasmissione, i virus influenzali si trasmettono soprattutto per via aerea, attraverso le goccioline di saliva che si producono con la tosse e gli starnuti, o semplicemente parlando. Il passaggio del virus può avvenire anche per contatto diretto con persone o superfici infette (toccandosi naso, occhi e bocca con le mani contaminate).
Un discorso analogo, anche se abbiamo meno dettagli da un punto di vista scientifico, sembra valere anche per il nuovo coronavirus: la trasmissione avviene anche in questo caso per via aerea, con le goccioline di saliva. Non è invece al momento noto, sottolinea il Ministero della Salute, «se la trasmissione diminuirà durante l'estate, come osservato per l'influenza stagionale».
C’è dibattito, poi, sulla possibilità di trasmissione asintomatica, ossia da pazienti contagiati ma che non mostrano sintomi. Questa eventualità è assodata per l’influenza stagionale, e non è esclusa dall’Oms anche per la COVID-19, anche se in casi rari. Per avere certezze bisognerà però attendere che vengano conclusi gli studi scientifici in proposito.
Infine, un ultimo punto in comune riguarda la prevenzione. Sia per evitare il contagio da virus influenzali che da COVID-19, le raccomandazioni sono di fatto le stesse: lavarsi spesso le mani con acqua e sapone o con soluzioni a base di alcol; mantenere una distanza di almeno un metro dalle persone che tossiscono o starnutiscono, o se hanno la febbre; evitare di toccarsi occhi, naso e bocca con le mani non lavate.
Il verdetto
Secondo il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, volendo «sdrammatizzare», si può dire che la COVID-19 (la malattia causata dal nuovo coronavirus Sars-CoV-2) «è poco più di un’influenza». Abbiamo verificato e le cose non stanno proprio così.
È vero: ci sono elementi in comune tra le due malattie, come i sintomi lievi per la maggior parte dei contagiati, le modalità di trasmissione e di prevenzione, ma ci sono anche differenze significative (sulla base dei dati provvisori attualmente disponibili) che dovrebbero suggerire cautela.
Il nuovo coronavirus sembra infatti avere una letalità maggiore dell’influenza stagionale (che in numeri totali continua a fare comunque molti più morti), una velocità di contagio più alta e una maggiore capacità di creare sintomi gravi tra gli infetti. Il periodo di incubazione della COVID-19 sembra essere poi più lungo dell’influenza stagionale, mentre l’assenza dei vaccini non ne consente ad oggi una prevenzione efficace così come avviene per l’influenza stagionale.
In conclusione, Fontana si merita un “Nì”.
[1] Per chi vuole approfondire il tema, qui c’è un approfondimento introduttivo (in inglese) dei Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie degli Stati Uniti (Cdc) che spiega meglio che cosa sono il tasso di letalità e quello di mortalità, due tra i più usati in epidemiologia.
[2] Un lungo e dettagliato articolo divulgativo, pubblicato il 18 febbraio 2020 da National Geographic, spiega che cosa succede agli organi di un corpo umano (dai polmoni al fegato) quando viene infettato dal nuovo coronavirus.
L'Iss: influenza stagionale e complicanze causano ogni anno 8 mila decessi in Italia. L'esperto: "Sbagliati paragoni col coronavirus"I dati dell'Istituto superiore di sanità: l'82% dei casi gravi e il 97% dei decessi presentano almeno una patologia cronica preesistente
di MICHELE BOCCI
25 febbraio 2020
https://www.repubblica.it/salute/medici ... 249546412/ Quanti sono ogni anno in Italia i morti per influenza? Il calcolo lo fa l'Istituto superiore di sanità che ha pubblicato un report sul proprio portale Epicentro. In tempo di coronavirus, e di polemiche sulla sua presunta affinità con la malattia stagionale, diventa importante rispondere a questa domanda.
I ricercatori dell’Istituto hanno calcolato circa 8 mila decessi all’anno collegati alla malattia stagionale o alle sue complicanze, con punte anche di 12 mila a seconda delle stagioni. I numeri sono frutto di una stima che parte dai dati Istat. "Il dato di mortalità in tempo reale non esiste – spiega Antonino Bella, del dipartimento malattie infettive dell’Istituto – Si utilizza così quello dell’Istat che arriva dopo due anni. Nei loro numeri troviamo poche centinaia di morti per influenza all’anno. Ma sappiamo che per avere la certezza di quella causa va fatto un tampone, cosa che ovviamente non avviene in tutti i casi di decesso". Così in tutti i Paesi i sistemi più evoluti di statistica considerano i dati di mortalità anche di altre cause legate a complicanze dell’influenza. "Ad 8 mila siamo arrivati valutando anche, ad esempio, le polmoniti e certi arresti cardiaci", dice sempre Bella.
L’Istituto fa anche un approfondimento sulla stagione 2019-2020. "Dai dati finora disponibili emerge che è stata caratterizzata da un periodo iniziale di bassa incidenza, che si è protratto fino alla fine di dicembre 2019, e da un intensificarsi dell’attività virale con l’inizio del nuovo anno". Il picco epidemico è arrivato nella quinta settimana del 2020 (dal 27 gennaio al 2 febbraio 2020), "con un livello pari a circa 13 casi per mille assistiti, valore che colloca la stagione in corso a un livello di media intensità". Nella stagione precedente il picco era stato raggiunto nella stessa settimana ma l’incidenza era stata un po' più alta (14 per mille).
"Dall’inizio della sorveglianza (fissata al 14 ottobre 2019), fino alla settima settimana del 2020, sono stati stimati circa 5.632.000 casi di sindrome simil-influenzale in tutto il Paese". Sono state particolarmente colpite le Regioni del centro Italia. La fascia di età con maggiore incidenza è stata quella pediatrica, in particolare i bambini sotto i 5 anni.
"I dati della sorveglianza delle forme gravi e complicate di influenza confermata in laboratorio in pazienti ricoverati in terapia intensiva mostrano che dall’inizio della sorveglianza sono stati confermati 157 casi gravi di influenza (tra cui 30 decessi)". L'82% dei casi gravi e il 97% dei decessi da influenza confermata segnalati al sistema presentano almeno una patologia cronica preesistente. Bella ricorda i casi gravi e i decessi a questi legati alla fine si rivelano solo una piccola parte del numero totale dei morti: "Nei casi gravi che analizziamo, ad esempio, non rientrano le polmoniti di pazienti che non vanno in terapia intensiva, che sono molti di più di quelli che ci finiscono. E poi ci sono tutti quelli che anche altre patologie, di cui l’influenza può essere una complicanza. Così abbiamo bisogno di prendere dall’Istat i dati dell’influenza ma anche delle sue complicanze".
Chi ha ragione tra Roberto Burioni e Maria Rita Gismondo su coronavirus e influenza stagionale?Giovanni Drogo
24 febbraio 2020
https://www.nextquotidiano.it/chi-ha-ra ... tagionale/La dottoressa Maria Rita Gismondo è la Dirigente del reparto di Microbiologia, virologia e diagnostica bioemergenze del Sacco di Milano, l’ospedale dove sono stati ricoverati i pazienti affetti da COVID-19 in Lombardia. Ieri la dottoressa Gismondo è finita al centro di polemiche non scientifiche per un post – poi cancellato – pubblicato su Facebook in cui affermava che «durante la scorsa settimana la mortalità per influenza è stata di 217 decessi al giorno» e che quindi in rapporto a quei dati preoccuparsi in maniera eccessiva per il coronavirus era sbagliato.
La “signora” del Sacco e il “signore” del San Raffaele
In un altro post la dottoressa ribadiva «A me sembra una follia. Si è scambiata un’infezione appena più seria di un’influenza per una pandemia letale. Non è così». Per queste affermazione è stata duramente criticata via Twitter dal dottor Roberto Burioni, virologo del San Raffaele, che ha definito la collega “la signora del Sacco” dando il via ad una lunga scia di polemiche sul sessismo e bullismo dovuto al fatto che invece che trattare la dottoressa del Sacco alla pari o limitarsi a commentare i dati abbia preferito ricorrere ad uno dei suoi classici blast.
Ma chi ha ragione? Davvero il nuovo coronavirus è meno grave di una banale influenza e davvero l’influenza stagionale fa così tante vittime ogni giorno, in Italia? Innanzitutto bisogna precisare una cosa: la “banale” influenza stagionale (per la quale a differenza di COVID-19 c’è un vaccino) non è poi così banale: dipende sempre dalle condizioni dei pazienti. Ad esempio negli anziani, nelle persone sopra i 65 anni e in generale per coloro che presentano un quadro clinico “complicato” (ad esempio soffrono di cardiopatie o insufficienze polmonari) l’influenza può essere letale. Ed infatti di influenza si può morire.
217 morti al giorno per l’influenza stagionale? No
Il punto è: si muore davvero così tanto? La risposta e il dato citato dalla dottoressa Gismondo, sembra trovarsi nell’ultimo rapporto sull’influenza stagionale a cura di FluNews pubblicato sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità dove si legge – testualmente – che «durante la 6a settimana del 2020 la mortalità (totale) è stata lievemente inferiore al dato atteso, con una media giornaliera di 217 decessi rispetto ai 238 attesi». Ecco quindi da dove salta fuori il 217. Ma poco sopra lo stesso report dice: «Casi gravi: alla 7a settimana della sorveglianza sono stati segnalati 157 casi gravi di cui 30 deceduti».
Fonte
Quindi sono 217 morti o 30 morti? Il report in effetti non è molto chiaro. Ma a qualche click di distanza si trovano tutte le spiegazioni del caso. Ad esempio quelle metodologiche dove viene spiegato che il Sistema di sorveglianza della mortalità giornaliera è la fonte di quel 217 e che si tratta di un sistema che «è attivo tutto l’anno in 34 città italiane e permette di identificare in maniera tempestiva eventuali variazioni della mortalità attribuibili a diversi fattori (epidemie, esposizioni ambientali, socio-demografici) che modificano i valori giornalieri o il trend stagionale» e che «vengono riportati i dati di mortalità, aggregati per settimana, per i soggetti di età maggiore o uguale ai 65 anni di età residenti e deceduti in 19 città». Quindi: se la media attesa era 238 morti giornalieri (totali) e il dato reale è 217 non significa che sono morte 217 persone di influenza ma 217 persone in totale in relazione alla modalità di raccolta dei dati e all’età presa in considerazione.
Per quanto riguarda l’influenza stagionale l’ISS spiega qui che «dall’inizio della sorveglianza (ottobre 2019) sono stati segnalati 157 casi gravi di influenza confermata in soggetti con diagnosi di Sari (Severe Acute Respiratory Infection-gravi infezioni respiratorie acute) e/o Ards (Acute respiratory distress syndrome-sindromi da stress respiratorio acuto) ricoverati in terapia intensiva, 30 dei quali sono deceduti. I casi sono stati segnalati, da 16 Regioni e Province autonome». La risposta alla domanda “quante persone sono morte per influenza quest’anno?” è quindi trenta (per il momento). Ma bisogna fare attenzione perché in 128 casi (81%) di quei 157 gravi era presente almeno una condizione di rischio preesistente (diabete, tumori, malattie cardiovascolari, malattie respiratorie croniche, obesità, ecc.). Insomma l’influenza stagionale nella grande percentuale dei casi grave ha colpito pazienti già a rischio (ragione per cui è importante fare il vaccino anti-influenzale).
Ma è più pericoloso il coronavirus o l’influenza?
«In Italia i virus influenzali causano direttamente all’incirca 300-400 morti ogni anno, con circa 200 morti per polmonite virale primaria», ha spiegato a Pagella Politica Fabrizio Pregliasco, virologo e ricercatore all’Università degli Studi di Milano. Ma al momento non sappiamo quante persone moriranno per l’influenza stagionale 2019-2020 e non sappiamo nemmeno quanti saranno i contagiati e i morti in Italia a causa di COVID-19. Non è possibile quindi dire, limitatamente ai dati che sono oggi a disposizione, che in Italia l’influenza è più pericolosa del coronavirus o viceversa. Se si guarda i dati cinesi invece – ma non è detto che la situazione sia identica – la mortalità del nuovo coronavirus è per ora del 2,5% (nella provincia di Hubei addirittura del 3,8%), 25 volte più alta di quella dell’influenza (in Italia). L’unica cosa che si può dire è al massimo che l’influenza è pericolosa ma per fortuna esiste il vaccino quindi si tratta di un’infezione prevenibile. Non è così per COVID-19. Ma non bisogna dimenticare che degli oltre 70mila contagiati già 25mila risultano essere guariti.
Ma non è così semplice. Perché come ricordava ieri Matteo Bassetti, Professore Ordinario di Malattie Infettive, Università di Genova e Direttore del San Martino «un soggetto può morire per coronavirus ( ovvero il virus ha contribuito direttamente alla sua morte) o con il coronavirus (il virus è presente ma il suo ruolo non primario nella morte). Degli attuali tre decessi italiani, 2 sembrano morti più con il virus, che per il virus». C’è stata, è vero, un’impennata di casi diagnosticati ma sembra essere dovuta ai criteri di rilevamento e di definizione. In buona sostanza più si effettueranno test più se ne scopriranno. Negli altri paesi europei di test, per ora, ne sono stati fatti meno: 400 al giorno in Francia (in teoria) contro i 4.000 solo a Vò Euganeo.
Continua Bassetti: «resta il fatto che nell’85-90% dei casi l’infezione decorre in maniera blanda. Nel 10-15% dei casi in maniera più grave e solamente nel 5% in maniera critica ( articolo appena pubblicato dalla John Hopkins University). Il tasso di letalità ( numero di morti su numero di infetti) rimane al momento (al di fuori della Provincia di Hubei in Cina) inferiore all’1%». Della stessa opinione anche la virologa Ilaria Capua che su FanPage scrive: «questa infezione provoca nella stragrande maggioranza dei casi sintomi molto lievi e solo in pochi casi – con patologie intercorrenti e con situazioni particolari – provoca effetti gravi. Esattamente come ogni normale influenza». E se ricordate quanto detto poc’anzi sulla percentuale di casi gravi di influenza che presentavano altre patologie concomitanti il discorso ha senso. Un concetto ribadito anche a La Stampa dove la dottoressa Capua spiega che «troviamo tutti questi malati in questo momento, perché, semplicemente, abbiamo cominciato a cercarli. Cioè abbiamo iniziato a porci il problema se certe gravi forme respiratorie simil-influenzali fossero o meno provocate dal coronavirus». Tanto più che, come fa notare Michele Boldrin, i dati sono ancora parziali.
Smettila di offendere a vuoto. I dati parziali di inizio epidemia non hanno alcun valore. Sono campioni biased e la virologia c’entra nulla. C’entra la statistica ed i metodi di campionamento nella stima di un processo stocastico. C
— Michele Boldrin (@micheleboldrin) February 23, 2020
Cosa dobbiamo fare quindi? Mettere tutti in quarantena? Appare altamente improbabile che a questo punto la quarantena totale di ampie zone del Paese sia la soluzione realmente percorribile (non che non sia una soluzione, ma il punto è quanto è applicabile). Secondo la dottoressa Capua «la regola deve essere la seguente: proteggere gli altri per proteggere se stessi e lavorare con intelligenza (tutti insieme) per arginare il contagio» il che non significa necessariamente isolarsi ma essere prudenti, rispettare le basilari norme igieniche ed evitare i luoghi affollati. E per favore: niente panico.
Il corona virus non è un'influenza normale ma anormale e straordinaria con una mortalità più di minimo 15 a 100 cento volte quella dell'influenza stagionale (a seconda delle statitische considerate che divergono moltissimo e sono molto incerte per il modo di raccolta dei dati).
Quindi chi dice che l'epidemia non è pericolosa mente a discapito della nostra salute.
Il coronavirus pare avere una mortalità del 2,3%, è una mortalità elevatissima, la peste del medioevo era del 5% circa (in generale e arrivava anche al 50% in particolare in certi luoghi di maggior diffusione e in assenza di qualsiasi cura) e la normale influenza è dello 0,02% a 0,2% a seconda delle statistiche considerate che divergono moltissimo.Influenza: epidemie di equivoci (o peggio)Fabio Franchi, Livio Giuliani
15/05/2017
http://www.informasalus.it/it/articoli/ ... jVMfoDlni4 Coronavirus, il tasso di mortalità in base a età, sesso e a malattie preesistenti24 febbraio 2020
https://www.ilmessaggero.it/salute/focu ... 72142.html Che grado di mortalità ha il Coronavirus? La risposta è "dipende". Perché se in linea generale il tasso dei decessi è calcolato intorno al 2-3%, scendendo nei dettagli vediamo come tra gli under 9 sia nullo. Più si sale con l'età, più aumenta il rischio, esattamente come avviene con la normale influenza. La differenza, spiegano gli esperti, sta nel fatto che mentre per l'influenza stagionale siamo tutti più attrezzati in termini di anticorpi e disponiamo di vaccini in grado di proteggere i soggetti più deboli, il Coronavirus può contagiare un numero molto più alto di persone poiché ci trova del tutto indifesi.
Coronavirus in Italia: la mappa del contagio regione per regione
Il maggiore studio epidemiologico sul Coronavirus è stato realizzato in Cina su oltre 70mila casi e pubblicato dal Chinese Journal of Epidemiology. L'analisi del Chinese Centre for Disease Control and Prevention ha riscontrato che il tasso di mortalità cresce dallo 0,2% tra 10 e 39 anni al 14,8% sopra gli 80. Un altro fattore di rischio è la presenza di malattie preesistenti, specie quelle cardiovascolari, diabete, insufficienza respiratoria cronica e ipertensione.
L'analisi del Chinese Centre for Disease Control and Prevention ha riscontrato una mortalità per il virus del 2,9% nella provincia di Hubei, 'epicentro' dell'epidemia, nel resto della Cina è dello 0,4%. L'80,9% delle infezioni è lieve, il 13,8% grave nel 4,7% si tratta di casi critici, con sintomi come insufficienza respiratoria, shock settico o insufficienza multiorgano. L'86% dei casi si è verificato nei pazienti tra 30 e 79 anni. Il rischio di morte è maggiore tra gli uomini (2,8%) che tra le donne (1,7%).
Per quanto riguarda il contagio di persone con malattie preesistenti si riscontra un tasso di mortalità piuttosto alto, pari al 10,5%, in chi soffre di patologie cardiovascolari. Il tasso scende al 7,3 per i malati di diabete, al 6,3% per chi soffre di disturbi cronici dell'apparato respiratorio, al 6% per i malati di cancro. Tra chi invece al momento del contagio è in perfette condizioni di salute il tasso è dello 0,9%.