La solidarietà come libertà e non come schiavitù

La solidarietà come libertà e non come schiavitù

Messaggioda Berto » sab ago 01, 2015 9:24 pm

SVIMEZ, QUANDO LA SOLIDARIETÀ È USATA PER RENDERCI SCHIAVI

di MATTEO CORSINI

“Il Rapporto Svimez 2015 conferma le condizioni drammatiche, sempre più gravi, del nostro Mezzogiorno: questione nazionale completamente scomparsa dall’agenda del governo. In tale quadro, è evidente quanto sia sbagliata la politica economica attuata e promessa dall’esecutivo: eliminare la Tasi per tutti, ridurre a pioggia l’imposizione sui profitti delle imprese e coprire con tagli alla Sanità e ai Comuni vuol dire determinare effetti recessivi e spostare risorse dal Sud al Nord del Paese. Si aggravano le prospettive dell’Italia intera e il Mezzogiorno va ancora più a fondo. Il governo si fermi. Basta manovre elettorali. E’ irresponsabile”. Stefano Fassina, di recente uscito dal PD e da sempre oppositore di Renzi, approfitta dell’ennesimo rapporto Svimez in cui si evidenziano i problemi del Mezzogiorno per scrivere una nota polemica nei confronti delle riduzioni di tasse recentemente promessi da Renzi, bollandole come “manovre elettorali” e dando al suo avversario dell’“irresponsabile”.
Suppongo che Fassina ipotizzi che tutti quanti credano che chi invoca (altri) interventi a favore del Mezzogiorno non lo faccia contando sui voti dei beneficiari di quei provvedimenti redistributivi e assistenziali. In altre parole, i fini elettoralistici riguardano sempre le dichiarazioni altrui, mai le proprie.
Non voglio certo negare che le promesse di Renzi siano poco credibili, ma non è tanto di questo che vorrei occuparmi. Ciò che trovo interessante è il passaggio in cui Fassina sostiene che “eliminare la Tasi per tutti, ridurre a pioggia l’imposizione sui profitti delle imprese e coprire con tagli alla Sanità e ai Comuni vuol dire determinare effetti recessivi e spostare risorse dal Sud al Nord del Paese”.
Quando viene ridotta l’imposizione fiscale, l’effetto principale è che il legittimo proprietario viene privato di una quantità inferiore di denaro da parte dell’ente impositore (sia esso lo Stato o un ente locale). Questo non comporta, quindi, un trasferimento di risorse dall’ente impositore al cosiddetto contribuente, bensì un minore trasferimento da parte di quest’ultimo al primo. Si tratta, in definitiva, di ridurre l’entità della violazione del principio di non aggressione (della proprietà del soggetto tassato).
Venendo alla redistribuzione territoriale delle risorse derivanti dalla tassazione, che a livello macro vede storicamente i flussi passare da Nord a Sud via Roma (dove pure viene assorbita una parte non marginale del bottino), una riduzione della tassazione non significherebbe “spostare risorse dal Sud al Nord del Paese”, bensì lasciare le risorse in questione ai legittimi proprietari (che storicamente sono in prevalenza al Nord).
Adottare il punto di vista di Fassina implica considerare quelle stesse risorse di proprietà genericamente del Mezzogiorno, ancorché prodotte da chi paga le tasse al Nord. Il che, a sua volta, comporta considerare chi produce quelle risorse (almeno) in parte schiavo di chi le consuma. Ovviamente i pagatori netti di tasse sono (almeno) in parte schiavi dei consumatori netti di tasse a prescindere da considerazioni di carattere territoriale, anche se Fassina stesso ammette che, a livello macro territoriale, il flusso del gettito fiscale è sostanzialmente unidirezionale.
Conosco già le obiezioni che tirano in ballo gli obblighi di solidarietà previsti dalla Costituzione, ma a tale proposito condivido in pieno questo aforisma che mi è capitato di leggere di recente e del quale mi sfugge l’autore: “Le tasse stanno alla solidarietà come lo stupro sta all’amore”.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ła sołedaretà come łebertà e no come s-ciavetù

Messaggioda Berto » dom gen 17, 2016 9:42 am

GLI STATALISTI FANNO I “BUONI SAMARITANI” SOLO COI SOLDI DEGLI ALTRI
di MATTEO CORSINI

http://www.miglioverde.eu/gli-statalist ... egli-altri

“Potrei ricorrere alla difesa dell’immigrazione dicendo che abbiamo bisogno degli immigrati per pagare le pensioni dei nostri figli. Ma, di fronte alle immagini di coloro che fuggono la guerra e la morte, preferisco appellarmi alla buona e vecchia solidarietà del Buon Samaritano. Lei dice: deve essere un fatto spontaneo e del tutto privatistico. Non sono d’accordo. Come penso, del pari, che quando Papa Francesco si augura che ogni parrocchia accolga un rifugiato, dice cosa nobile e giusta, ma che rimane al livello privatistico. Quando il numero di rifugiati tocca i milioni, c’è bisogno di creare lavoro e dare accesso ai servizi pubblici. L’approccio non può più essere spontaneo, ma deve coinvolgere lo Stato e i fondi pubblici; che un giorno saranno rimpolpati – è già successo – dai contributi e dalle tasse pagate dagli immigrati”. Rispondendo a un lettore in merito al tema dell’immigrazione, Fabrizio Galimberti ha usato le argomentazioni che ho riportato per difendere l’apertura delle frontiere. Non condivido praticamente nulla di quello che sostiene.

In primo luogo, difendere l’immigrazione sostenendo che saranno gli immigrati a pagare le pensioni dei nostri figli è semplicemente una ipotesi di dubbio fondamento. Non è affatto detto che costoro saranno disposti a mantenere un welfare state come quello in essere, se si troveranno a essere contributori netti. Oggi è lecito dubitare che lo siano, per lo meno in quelle famiglie con un solo lavoratore che ha moglie e diversi figli piccoli a carico. In questi casi gli immigrati sono beneficiari netti del welfare state, anche se un componente della famiglia paga tasse e contributi.
Galimberti afferma che “è già successo” che i contributi e le tasse pagate dagli immigrati abbiano “rimpolpato” le casse pubbliche. Senza specificare quando e in che misura. Dubito che potrebbe specificarlo. Quanto alla questione del Buon Samaritano, la penso come il lettore a cui è destinata la risposta di Galimberti: la solidarietà deve essere spontanea e privata. Chiunque può invitare gli altri a essere solidali, ma invocare l’intervento dello Stato per forzare la solidarietà mediante il fisco è la negazione della vera solidarietà, oltre a una violazione del diritto di proprietà di chi è costretto a pagare il conto.
In un contesto nel quale vigesse la proprietà privata o le comunità fossero costituite in modo volontario, ogni persona potrebbe avere accesso a una proprietà solo con il consenso o l’invito del proprietario. E, una volta entrato nella proprietà di una o più persone, l’ospite non avrebbe alcun diritto se non quello a non essere aggredito.
In un contesto dominato dallo Stato, al contrario, i flussi migratori finiscono per essere ingestibili o mal gestiti, non da ultimo per via dello stato sociale. Non dubito che molti immigrati fuggano da situazioni di guerra e persecuzione, ma è innegabile che queste persone scelgano come destinazione non già i Paesi più vicini dove verrebbe rispettata la loro libertà, bensì quelli dove il welfare state è più generoso. Rispondere con il buonsamaritanismo statale può forse fare presa sui buonisti in servizio permanente, ma, oltre a comprimere la proprietà di chi è costretto a pagare il conto, rischia di scassare ulteriormente dei bilanci pubblici già parecchio malridotti.
Non si tratta di essere cinici o cattivi, ma di essere realisti. E di non sacrificare ulteriormente sull’altare dei buoni sentimenti il diritto di proprietà di chi questo disastrato welfare state già lo mantiene da tempo.
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Re: Ła sołedaretà come łebertà e no come s-ciavetù

Messaggioda Berto » mar gen 19, 2016 3:14 pm

Diriti e doveri omani naturałi e ogniversałi

viewtopic.php?f=205&t=2150

viewforum.php?f=205


La solidarietà se non è libera è una forma di schiavitù, lo stesso vale per l'accoglienza e l'ospitalità. Il nostro diritto, come indigeni, ad accogliere o non accogliere viene prima del diritto degli altri, dei foresti, ad essere accolti se veramente bisognosi. Se fossimo comunque obbligati ad accogliere saremmo soltanto degli schiavi. Oltretutto accogliere e ospitare gli islamici che poi cercheranno di imporci con la violenza il loro Dio del terrore e la sua legge disumana è da irresponsabili e da dementi. Gli uomini di stato che si prestano a tale operazione violano la legge fondamentale della nazione, della solidarietà nazionale indigena e sono imputabili di alto tradimento: vanno arrestati, imprigionati, condannati e se il caso fucilati come in tempo di guerra.

Chiudere ai migranti irregolari e selezionare con attenzione chi può entrare e chi no, come si fa in ogni casa di tutto il mondo. Far entare assassini, stupratori, ladri e parassiti è da irresponsabili e da dementi. Aiutare se si può e soltanto la buona gente che ti rispetta e ti è riconoscente; gli altri niente e via.
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Re: Ła sołedaretà come łebertà e no come s-ciavetù

Messaggioda Berto » lun feb 08, 2016 11:13 pm

Buongiorno amici. Finalmente c'è un'autorità nella Chiesa cattolica che ha la lucidità e il coraggio di dire "basta immigrati". Lo ha fatto il presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, il cardinal Reinhard Marx: "Alla carità bisogna accompagnare la ragione. La Germania non può farsi carico di tutti i bisognosi della terra".

https://www.facebook.com/MagdiCristianoAllam

In una intervista pubblicata il 6 febbraio sul Passauer Neue Presse il cardinale Marx spiega che "come Chiesa noi abbiamo bisogno di una riduzione nel numero di rifugiati", perché la Germania "non può accogliere tutti i bisognosi di questo mondo."

Da rilevare che il cardinale Max dice queste cose da una posizione politica ostile alla destra che sta crescendo nei sondaggi. Denuncia che "tristemente la destra e l'ultradestra estremista e razzista hanno del potenziale per aumentare i propri consensi (...) Questa ideologia si è consolidata e ha raggiunto anche le classi più alte (...) Stiamo assistendo a incitamenti a odio contro stranieri anche in ambienti borghesi. Evidentemente la vernice di civiltà non è così spessa come pensavamo.”

Avranno Papa Francesco, i cardinali Bagnasco e Scola, monsignor Galantino, la stessa lucidità intellettuale e coraggio umano per riconoscere che questa auto-invasione di clandestini è un suicidio per la Chiesa, oltre che l'eutanasia della nostra civiltà laica e liberale dalle radici ebraico-cristiane?

Cari amici, noi siamo giorno dopo giorno confortati e incoraggiati dalla crescita della consapevolezza della realtà e della condivisione della verità. Andiamo avanti. Insieme ce la faremo!


Il card. Marx chiude le porte ai profughi: “Non possiamo accogliere tutti”
"Non basta la carità, serve anche la ragione", dice il presidente della Conferenza episcopale tedesca
di Matteo Matzuzzi | 08 Febbraio 2016 ore 18:10
Il cardinale Reinhard Marx, presidente della Conferenza episcopale tedesca (LaPresse)

http://www.ilfoglio.it/chiesa/2016/02/0 ... e_c118.htm

Roma. La Conferenza episcopale tedesca prende posizione sull’emergenza migratoria, che da mesi – in particolare dopo le aperture estive di Angela Merkel, che garantì piena disponibilità all’accoglienza dei profughi in fuga dalla Siria, senza fissare limiti o quote – ha visto arrivare in Germania centinaia di migliaia di richiedenti asilo (più di un milione nel 2015, e le previsioni per l’anno corrente sono simili, come più volte sottolineato dal ministro dell’Interno, Thomas de Maizière, allarmato dal constatare che tra i profughi non vi sono solo individui che scappano da paesi in guerra). E’ stato il cardinale Reinhard Marx, presidente dell’organismo che riunisce i presuli locali nonché arcivescovo di Monaco e Frisinga e ascoltato collaboratore del Papa (è membro della speciale consulta incaricata di riformare la curia romana e coordinatore del Consiglio per l’economia della Santa Sede), a dire che “è necessaria una riduzione del numero di rifugiati”. Lo ha fatto in un’ampia intervista concessa al Passauer Neue Presse, dalle cui colonne ha osservato che “la Germania non può farsi carico di tutti i bisognosi del mondo”. Il punto centrale è che “non si tratta solo di guardare alla carità, ma anche alla ragione. La politica deve essere sempre concentrata su ciò che è possibile fare” e nel caso specifico “ci sono sicuramente dei limiti”. La ricetta proposta da Marx – che ribadisce “il massimo rispetto per la signora Merkel e le sue politiche” anche se sembra appoggiare implicitamente le tesi della Csu bavarese – è quella di “aiutare i profughi nei loro paesi d’origine, in Africa e nel medio oriente”.

Di certo, la soluzione non può essere quella prospettata dall’Alternativa per la Germania (Afd), il partito populista ed euroscettico – dato in costante crescita nei sondaggi – che ritiene legittimo sparare contro i migranti che tentano di entrare in territorio tedesco: “Purtroppo qui l’estremismo di destra e il razzismo hanno sempre avuto un certo potenziale per esprimersi, ed evidentemente questa ideologia si è ulteriormente consolidata. Questa violenza e la propaganda contro i rifugiati mi spaventano molto, stiamo assistendo anche in ambienti borghesi all’incitamento contro gli stranieri”. La presa di posizione della Conferenza episcopale tedesca non è il primo segnale del genere che giunge dall’Europa. In estate, mentre Francesco nei suoi Angelus ribadiva la necessità di accogliere chi fugge dalle guerre (l’ha ribadito anche domenica scorsa, riferendosi al conflitto intestino che da quasi cinque anni lacera la Siria), furono diversi vescovi ungheresi – con il distinguo dell’arcivescovo di Budapest, il cardinale Péter Erdo – a plaudire la scelta del primo ministro Viktor Orbán di costruire un muro per prevenire gli afflussi dalla vicina Serbia: “Papa Francesco ha torto e i rifugiati ci invadono”, diceva mons. László Kiss-Rigo, in un’intervista al Washington Post, bollando come “invasione” i tentativi dei migranti di passare le frontiere dell’Unione europea: “Vengono qui al grido di Allahu Akbar, ci vogliono conquistare. Sono totalmente d’accordo con il primo ministro”, i rifugiati minacciano i “valori universali, cristiani” dell’Europa.

Sulla stessa linea anche il vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Budapest, monsignor János Székely: “Con una difesa fisica il processo d’immigrazione illegale si ferma. E’ una soluzione forte ma efficace”. In una successiva dichiarazione pubblicata a inizio settembre, i vescovi magiari si dicevano sì interessati a “conoscere le sorti dei cristiani in medio oriente”, ma allo stesso tempo chiarivano come pendesse sugli stati “il diritto e il dovere di proteggere i propri cittadini”.
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Re: Ła sołedaretà come łebertà e no come s-ciavetù

Messaggioda Berto » dom feb 14, 2016 3:11 pm

Profughi siriani: imperativi morali ed esigenze vitali
Aiutare è doveroso, ma non c'è dubbio che per Israele un afflusso di centinaia di migliaia di profughi da paesi ostili significherebbe un condanna a morte
Di Ben-Dror Yemini
(Da: YnetNews, 9.2,16)

http://www.israele.net/profughi-siriani ... nze-vitali

Lo scorso settembre il corpo di un bambino siriano, Aylan Kurdi, venne gettato dalle onde su una spiaggia di Budrum, in Turchia. Fu un punto di svolta. Migliaia di europei scesero in piazza per dimostrare solidarietà e compassione, e manifestare la volontà di accogliere più rifugiati. Ma da allora le scene strazianti non hanno fatto che aumentare. Nei giorni scorsi decine di migliaia di persone sono fuggite dalla città di Aleppo. Hanno una sola via di fuga, verso la Turchia, e presto anche quella sarà loro preclusa. Assad non ha nulla da temere. Omar al-Bashir, responsabile dello sterminio nel Darfur, è regolarmente ospitato con tutti gli onori nelle conferenze della Lega Araba, o di quel che ne rimane, e in quasi tutte le capitali dei paesi musulmani.
Quando Assad avrà vinto, tutto sarà dimenticato e perdonato.

E noi, cosa facciamo? Cosa ci impone di fare la nostra coscienza umana e l’etica ebraica? Quale significato diamo alle parole “mai più”?

Israele cura i feriti della guerra civile siriana che giungono alla frontiera. A centinaia. Se qualcuno pensa che incrementare e pubblicizzare queste cure possa contribuire a migliorare l’immagine di Israele nella coscienza del mondo e del Medio Oriente, e ridurre l’odio verso Israele, farebbe bene a ricredersi. I palestinesi, grazie ai servizi sanitari israeliani, hanno una mortalità infantile inferiore e una speranza di vita più lunga di quelle che avevano prima e di quelle che hanno oggi tutti gli altri arabi. Forse che questo ha attenuato il livello di odio? I nemici di Israele non esitano a raccontare una storia tutta al contrario. José Saramago, premio Nobel per la letteratura, equiparò i territori palestinesi ad Auschwitz, e il parallelo tra Israele e la Germania nazista è diventato un fatto di routine. Se dobbiamo aiutare le vittime della guerra siriana è solo per motivi umanitari, senza aspettarci da questo nessun tornaconto.

È una faccenda complicata. L’Europa, un paese dopo l’altro, arriva alla conclusione che non vuole altri profughi. Le porte si stanno chiudendo. Anche la Svezia ha chiuso il ponte di Oresund e ha annunciato che decine di migliaia di richiedenti asilo verranno espulsi. Molestie sessiste di massa, come a Colonia, si sono verificate anche in Svezia, solo che i mass-media locali le hanno tenute nascoste. La correttezza politica sta diventando un boomerang. L’assassinio a coltellate di un’operatrice in un centro profughi ad opera di un adolescente (ricorda nulla?) ha gettato altra benzina sul fuoco. Ma non è iniziato tutto con l’ultima ondata di profughi: è una situazione che va avanti da anni.

Dunque cosa possiamo fare, come ebrei e israeliani? Certo non possiamo dimenticare la Conferenza di Evian del 1938, quando praticamente tutti i paesi del mondo dissero che non potevano accogliere profughi i ebrei in fuga dalla Germania nazista, e non possiamo dimenticare la sorte dei profughi sulla nave St. Louis. Ciò impone a Israele di aprire le porte e allestire campi profughi, come avviene in Turchia, Giordania e Libano?

C’è purtroppo una differenza sostanziale. Anche in questi giorni, mentre i miserabili si scannano fra di loro, da Aleppo si levano grida di “morte a Israele” e “morte agli ebrei”. Lo gridano praticamente tutte le parti coinvolte nel conflitto intestino siriano. A volte con determinazione, a volte solo per uniformarsi al coro. Ma è un dato di fatto che questo è lo spirito prevalente: genti cresciute nell’odio verso Israele e gli ebrei. Non c’entrano nulla l’occupazione della Cisgiordania o la barriera difensiva israeliana o altre scuse. L’odio irriducibile verso Israele ed ebrei prospera persino in Pakistan.

Angela Merkel dice che i profughi torneranno al loro paese con l’avvento della pace. Staremo a vedere. Ma per Israele è fuor di dubbio che un afflusso di centinaia di migliaia di profughi da paesi ostili significherebbe un condanna a morte. Il che non significa restare indifferenti alle sofferenze umane. Bisogna insistere con gli aiuti umanitari, e nel caso di un concreto pericolo di sterminio di massa bisognerà pensare al modo di istituire dei campi-rifugio appena al di là del confine. Ma all’interno di Israele non c’è modo di accogliere migliaia di questi profughi. L’imperativo morale, universale ed ebraico, impone di prestare aiuto e soccorso. Non di commettere suicidio.

Ben dito!




Sconvolgimenti demografici e minacce per Israele
Impossibile immaginare che uno stato palestinese in Cisgiordania abbia la volontà e la capacità di bloccare l’afflusso di profughi da est
Di Caroline B. Glick
(Da: Jerusalem Post, 8.2.16)

http://www.israele.net/sconvolgimenti-d ... er-israele

La scorsa settimana ricorreva il 17esimo anniversario dell’incoronazione di re Abdullah di Giordania dopo la morte del padre, re Hussein. L’ascesa di Abdullah al trono fu un fatto imprevisto. Suo zio Hassan era da tempo il principe ereditario e ci si aspettava che fosse lui a ereditare la monarchia. Ma Hussein ordinò dal letto di morte l’improvviso cambiamento nella linea di successione. Oggi è difficile credere che Abdullah avrà il potere di decidere il nome del proprio successore.

Per generazioni, la più grande minaccia incombente sulla Giordania è stata la sua maggioranza palestinese. Le stime sulle dimensioni della popolazione palestinese in Giordania variano molto: alcune la collocano a poco più del 50%, altre affermano che i palestinesi costituiscono il 70% della popolazione totale. Ma tutti gli studi demografici attendibili convengono sul fatto che la maggior parte dei giordani sono palestinesi. È per via della paura dei suoi abitanti palestinesi che negli ultimi dieci anni o giù di lì Abdullah ha cercato di isolarli. A partire dal 2004 ha iniziato a espellerli dalle forze armate giordane. Poi ha iniziato a revocare la loro cittadinanza. Secondo un rapporto del 2010 di Human Rights Watch, tra il 2004 e il 2008 il Regno ha revocato la cittadinanza di diverse migliaia di giordani palestinesi, mentre altre centinaia di migliaia di persone erano considerate a rischio di perdere presto la loro cittadinanza in forza di un procedimento arbitrario.

Oggi, la preoccupazione che i palestinesi possano far valere i loro diritti come maggioranza e quindi minacciare il Regno ha ceduto il passo a paure ancora maggiori. I cambiamenti demografici in Giordania negli ultimi anni sono stati così enormi che i palestinesi potrebbero essere l’ultima delle preoccupazioni di Abdullah. In effetti, è tutt’altro che certo che essi rappresentino ancora la maggior parte delle persone che vivono in Giordania. Dal momento dell’invasione dell’Iraq guidata dagli Usa nel 2003, tra 750.000 e un milione di iracheni si sono riversati in Giordania. I dati attuali non sono chiari su quanti di quegli iracheni si trovino in Giordania ancora oggi. Ma qualunque sia il loro numero, sono stati superati dai siriani. Oggi, stando al conteggio ufficiale delle Nazioni Unite, i profughi siriani sono 635.000, ma questa cifra ufficiale è probabilmente meno della metà del numero reale di siriani in Giordania, che viene valutato tra 1,1 e 1,6 milioni: circa il 13% della popolazione. Per avere un’idea delle dimensioni di questi cambiamenti demografici basta guardare ai dati storici. Secondo la Banca Mondiale, la popolazione della Giordania si attestava sui 5,29 milioni nel 2004. Nel 2013 era di 6,46 milioni. Nel 2015 risultava di 9,53 milioni.

L’afflusso massiccio ha portato le risorse pubbliche della Giordania al punto di rottura. Secondo re Abdullah, l’anno scorso un quarto del bilancio del Regno è andato al sostentamento dei profughi. Stando a un rapporto del 2014 della fondazione tedesca Konrad Adenauer, il costo complessivo della presenza siriana in Giordania ha superato i suoi benefici economici di circa 2 miliardi di dollari. Un rapporto dell’istituto londinese Chatham House sui profughi siriani in Giordania ha avvertito che, nei prossimi anni, l’afflusso potrebbe avere un profondo impatto sulla stabilità del Regno. Fino al 2013, la principale preoccupazione del regime era la radicalizzazione delle tribù beduine, in gran parte dovuta alla crescita di al-Qaeda e dello “Stato Islamico” (ISIS) tra le tribù beduine del Sinai, e l’ascesa al potere dei Fratelli Musulmani in Egitto. Anche se queste preoccupazioni rimangono dominanti, oggi vengono messe in ombra dall’impatto destabilizzante dei profughi siriani nel nord del paese. Secondo il rapporto Chatham House del settembre 2015, è vero che il sostegno pubblico per un cambio di regime in Giordania appare ancora scarso, ma “se la situazione economica non riuscirà a migliorare in tutto il paese, e il risentimento dei rifugiati continuerà ad alimentare recriminazioni nazionali, nei prossimi 5 o 10 anni le proteste contro le politiche del governo potrebbero degenerare”.

In Libano la crisi dei profughi è ancora più profonda. Dall’inizio della guerra in Siria, più di un milione di siriani sono entrati in Libano come profughi. Oggi ammontano al 25% della popolazione del paese. Tre quarti dei profughi sono sunniti. La loro presenza in Libano ha sconvolto l’equilibrio demografico fra sunniti, sciiti e cristiani. Mentre Hezbollah schierava migliaia di uomini in Siria per evitare che il regime di Assad sponsorizzato dall’Iran cadesse di fronte alle forze dell’opposizione sunnita, i profughi sunniti in Libano contrastavano le forze di Hezbollah in tutto il paese. Molti di questi sunniti sono affiliati a gruppi salafiti come l’ISIS e il fronte qaedista al-Nusra.

Non è affatto chiaro quali saranno le implicazioni a breve e medio termine dei flussi di profughi per la Giordania e per il Libano. Ma non c’è alcun dubbio che avranno profonde implicazioni a lungo termine. Né la Giordania né il Libano hanno un chiaro ethos nazionale unificante. Prima che i siriani iniziassero ad affluire da oltre il confine, gli Hashemiti al potere comprendevano circa il 20% della popolazione complessiva. La spina dorsale del regime erano le tribù beduine che, come ricordato, negli ultimi anni hanno subito un processo di radicalizzazione. Le relazioni della Giordania con Israele sono state già state influenzate negativamente da questo processo. Quando nel 2012 re Abdullah ha nominato Walid Obeidat ambasciatore in Israele, la sua tribù – la più grande in Giordania – lo ha rinnegato. Secondo gli esperti in materia, la mossa della tribù indica che i rapporti tra il regime e le tribù sono al minimo storico. Benché già in precedenza delle nomine di ambasciatori avessero suscitato critiche, la reazione della tribù Obeidat per la nomina in Israele del loro rampollo era senza precedenti. Secondo Chatham House, data l’attuale instabilità sociale nel Regno non è chiaro se il regime di Abdullah sarà in grado di concretizzare il suo accordo con Israele sul gas naturale.

Sia Israele che gli Stati Uniti considerano un interesse nazionale la sopravvivenza della monarchia Hashemita. Ed entrambi hanno messo in chiaro, nel corso degli anni, che sarebbero disposti a schierare truppe per difendere il regime Hashemita dalle forze islamiste che negli ultimi anni hanno giurato di rovesciarlo. D’altra parte, è difficile credere che le minacce al regime, in particolare la minaccia demografica posta dal massiccio afflusso di popolazione dalla Siria, possano diminuire nel prossimo futuro. Anzi, l’ingresso in guerra della Russia a fianco del regime di Assad sponsorizzato dall’Iran causerà probabilmente un aumento del numero di siriani in cerca di rifugio nei paesi vicini. E lo stesso vale per il Libano.

Le trasformazioni demografiche che Giordania e Libano stanno subendo richiedono che Israele riesamini la propria posizione regionale e le sue opzioni strategiche allo scopo di salvaguardare e difendere il paese nei prossimi anni. Il che è particolarmente vero per tutto ciò che riguarda le valutazioni sulla minaccia demografica.

Purtroppo, nonostante il crollo della Siria e dell’Iraq e nonostante le minacce in aumento in Egitto, Giordania e Libano, la maggior parte degli analisti, sia in Israele che all’estero, continuano a basare la loro visione delle opzioni che Israele ha davanti – in particolare in relazione ai palestinesi – su una mappa geopolitica regionale che non è più pertinente. Alla luce di questi sconvolgimenti demografici regionali, l’idea che Israele debba trasferire, oggi, altri territori sul suo fianco orientale nelle mani di una Autorità Palestinese cronicamente instabile e ostile è come minimo avventata. Con tutte le loro debolezze, sia il regime giordano che quello libanese sono di gran lunga più forti dell’Autorità Palestinese. Eppure non sono in grado di fermare i flussi di milioni di profughi attraverso le loro frontiere. È impossibile immaginare che uno stato palestinese sul versante occidentale del fiume Giordano avrebbe la capacità, per non dire la volontà, di bloccare l’afflusso di profughi da est, a maggior ragione quando i palestinesi stessi invocassero la libera immigrazione di milioni di palestinesi etnici provenienti da Giordania, Siria e Libano.

Le trasformazioni demografiche in questi anni in Giordania e Libano dimostrano che la più grande minaccia demografica per gli stati ancora funzionanti in questa regione non è la crescita naturale interna, bensì l’afflusso di profughi che vi si riversano dagli stati che sono collassati. Anche per la sopravvivenza a medio-lungo termine di Israele, la minaccia più grave sarebbe un afflusso in uno stato palestinese sul versante occidentale del fiume Giordano di milioni di profughi provenienti dagli stati confinanti.

Parlando la settimana scorsa alla conferenza di Londra sulla Siria, re Abdullah ha avvertito che la Giordania è al “punto di rottura” e ha chiesto all’Occidente di impegnarsi per una donazione di 1,6 miliardi di dollari nell’arco dei prossimi tre anni prima che “la diga ceda”. Purtroppo, la diga ha già iniziato a cedere. E se Israele non vuole essere sommerso, è giunto il momento di capire che il vecchio modo di pensare i termini del problema non serve più a nulla.
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Re: Ła sołedaretà come łebertà e no come s-ciavetù

Messaggioda Berto » dom apr 17, 2016 9:13 am

Diritti umani dei nativi e degli indigeni europei
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... =25&t=2186
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Re: Ła sołedaretà come łebertà e no come s-ciavetù

Messaggioda Berto » dom apr 17, 2016 11:11 am

Muri, termini e confini, segni sacri di Dio
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 141&t=1919
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Re: Ła sołedaretà come łebertà e no come s-ciavetù

Messaggioda Berto » dom giu 19, 2016 1:11 pm

???

Papa: "Chi non accoglie non è cristiano e non entrerà nel regno dei cieli"
2016/06/18

http://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/ ... 3YAgP.html

"Chi non accoglie non è cristiano e non sarà accolto nel regno dei cieli". Papa Francesco, nella sua visita a Villa Nazareth nella capitale, è tornato sul tema dell'accoglienza. "Stiamo vivendo in una civiltà di porte chiuse e di cuori chiusi. Ci difendiamo l'uno dall'altro. C'è una paura ad accogliere e non parlo solo di migranti - che è un problema politico mondiale - ma anche di accoglienza quotidiana. Mi fa male - dice Francesco - quando vedo le chiese a porte chiuse. Ci saranno alcuni motivi giustificabili, ma una chiesa a porte chiuse significa che quella comunità cristiana ha il cuore chiuso".

"Se non accogliamo non siamo cristiani e non saremo accolti nel regno dei cieli: è così", sottolinea il Pontefice invitando alla responsabilità sociale ed ecclesiale. È necessario, avverte il Papa, "insegnare e fare capire che questa è la porta della strada cristiana. L'accoglienza fa fruttificare i talenti. C'è la grande accoglienza di chi viene da terre lontane e la piccola accoglienza di chi torna dal lavoro e dopo una giornata di lavoro ascolta i figli. L'accoglienza è una bella croce perchè ci fa ricordare l'accoglienza che il buon Dio ha avuto ogni volta che noi andiamo da lui per consigliarci e chiedere perdono".

Papa Francesco denuncia l'"immoralità" del mondo economico: "Il mondo economico, oggi come è sistemato nel mondo, è immorale. Ci sono eccezioni, c'è gente buona. C'è gente e istituzioni che lavorano contro questo, ma abbiamo capovolto i valori". Nel suo intervento, una nuova denuncia ai trafficanti di armi: "la guerra è l'affare che in questo momento che rende più soldi. Anche per fare arrivare gli aiuti umanitari in paesi di guerriglia è una difficoltà: tante volte la Croce Rossa non è riuscita, ma le armi arrivano sempre, non c'è dogana che le fermi perchè è l'affare che rende di più".

Il Papa tuona contro le "grandi ingiustizie" e dice "dobbiamo parlare chiaro: questo è peccato mortale. Mi indigna e mi fa male quando - ed è una cosa di attualità - vengono a battezzare un bambino e ti portano uno dicendo 'Lei non è sposato in chiesa quindi non può fare il padrino'. E poi ti portano un altro che è un trafficante di bambini e uno sfruttatore, e ti senti dire 'Ah no, lui è un buon cattolico: abbiamo capovolto i valori".

Alberto Pento comenta
Io non sono assolutamente cristiano e non mi interessa il regno dei cieli dell'idolo Cristo, come non mi interessa la resurrezione dei morti che non ha alcun senso, tamto meno le vergini islamiche. Tu Bergoglio sei un idolatra e quello che dici è disumano e va contro i Dirirtti Umani Universali, sei come i nazi-islam-comunisti, un teocratico totalitario, sei ignorante e presuntuoso. Ringrazio la vita che mi ha dato tanto, che mi ha dato la forza e la gioia di non credere nelle idiozie dei vostri idoli. Non esiste alcun regno dei cieli, esiste soltanto il Creato o la Creazione perennemente in atto che è la manifestazione della potenza e della gloria di D-o che non è certo Cristo o Jahvè o Allà.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ła sołedaretà come łebertà e no come s-ciavetù

Messaggioda Berto » sab mar 04, 2017 9:07 am

Accoglienza o ospitalità imposta o forzata è un crimine contro l'umanità
viewtopic.php?f=196&t=2420
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ła sołedaretà come łebertà e no come s-ciavetù

Messaggioda Berto » mer mar 22, 2017 9:31 am

LA SOLIDARIETÀ PELOSA E L’ACCOGLIENZA LUCROSA
22 Mar 2017
di ENZO TRENTIN

http://www.lindipendenzanuova.com/la-so ... za-lucrosa

C’era una volta… è così che potremmo iniziare la nostra “favola” odierna, che come tutte le favole è ora nella fase dell’incubo, del dramma. Manca ancora l’insegnamento morale che è stato deviato, e dove nulla sembra andare per il verso giusto.

Ebbene in tema di solidarietà sino a pochi anni fa in occasione del Natale, ma a volte anche della Pasqua, il postino consegnava una lettera di qualche associazione caritatevole. Una volta aperta la busta tre erano le cose che conteneva: una lettera che illustrava gli scopi caritatevoli del sodalizio, alcune cartoline artistiche come omaggio, ed un bollettino di C/C nel quale depositare l’obolo. Chi voleva poteva stare in pace con la propria coscienza, uscendo dall’ufficio postale con la sua bella ricevuta in mano.

Ai giorni nostri non è più così. Sembra si sia scoperchiato lo Scrigno di Pandora. L’associazionismo solidale si veste delle più svariate forme giuridiche: fondazioni, libere associazioni, comitati, per questa o quella malattia o disabilità esotica, rara, più o meno sconosciuta. In questo panorama non è ancora giunta, forse, l’associazione dei traumatizzati da salto con la pertica, ma per il resto c’è proprio di tutto.

Continuamente da mane a sera i principali mezzi di comunicazione (la televisione su tutti) ci sollecitano a fare una telefonata per donare 2 o 7 o 9 euro a questa o quella piaga. La “stagionalità” della solidarietà è scomparsa. Telethon un tempo organizzava una “No stop di h.24”, poi divenne una 72 ore, ultimamente è diventata una settimana che trasmigra sulle tre reti RAI. Altre associazioni seguono a ruota secondo la loro disponibilità di advertising. Poi ci sono coloro che “ricambiano” l’obolo con la bambola di pezza, con la stella di natale o altri gadget floreali. “Acquista l’uovo di Pasqua per sostenere…”, e chi più ne ha più ne metta. Ma guai a protestare, ad avanzare qualche dubbio o perplessità, sareste bollati come immorali!

Mentre fate mente locale su possibili avventurieri e improvvisati della solidarietà, vi sarà venuto più volte il sospetto che dietro lo slancio umanitario dell’accoglienza si nascondesse soltanto il desiderio di business?
Ne avrete la certezza leggendo il libro di Mario Giordano: «PROFUGOPOLI – Quelli che si riempiono le tasche con il business degli immigrati» © 2016 Mondadori Libri S.p.A., Milano.

Ma prima vediamo come inizia l’afflusso inesauribile dei “migranti”
(vedi qui: https://www.youtube.com/watch?v=dP4rYgJKo_w ).
D’altra parte, come stupirsi? I profughi sono un’occasione per tutti, figuriamoci se non lo sono per chi opera nei sociale. Soprattutto se il loro settore non tira più abbastanza o incontra qualche difficoltà. Per esempio: è finita la stagione d’oro della tossicodipendenza? I disabili psichici non bastano? I rom sono caduti nelle maglie di Mafia Capitale? Niente paura: c’è l’emergenza immigrazione. Le Prefetture in affanno non cercano altro che strutture disposte ad aprire le loro porte. Per le cooperative sociali è semplice: basta presentarsi, e i guai sono risolti. Almeno quelli di bilancio. E se qualche cittadino si lamenta, pazienza: basta dargli del populista per farlo tacere…

Nel libro citato, Mario Giordano scrive ancora: «Se non ci fossero i profughi avrei dovuto chiudere l’albergo» Lo dice chiaramente Elio Nave, titolare dell’Hotel Quercia di Rovereto, in provincia di Trento, confessandosi al «Corriere delle Alpi»: «Non riuscivo a coprire le spese. Avevo già chiuso il ristorante. Poi avevo provato ad aprire una pizzeria, ma non è andata come speravo. E l’hotel non funzionava a dovere…». Adesso, invece, sulla porta d’ingresso c’è un cartello: «Completo». Tutto esaurito. Il sogno di ogni albergatore.

Dalla chiusura al tutto esaurito, in poche settimane. Com’è possibile? Ovvio: grazie ai profughi. «Tutte le camere sono riservate a loro» spiega il titolare. Vi sembra singolare? Lo sarà ancora di più se vi diciamo chi è il protagonista di questa storia. Infatti Elio Nave, classe 1955, nato e da sempre residente a Rovereto, già gestore di bar e di negozi di antichità, è un militante inossidabile della Lega Nord, il partito che manifesta contro gli sbarchi e condanna l’invasione dell’Italia. «Sono stato sempre leghista e sempre lo sarò, dice tutto fiero e incurante del fatto che il suo partito gli albergatori come lui li vorrebbe punire o far fallire… Contraddizione? No, io non ne vedo, risponde alle obiezioni, con invidiabile nonchalance. E in effetti: come dargli torto? Elio Nave ha sempre detto di amare il verde: pensavamo fosse Padania, invece era il colore dei soldi. O, almeno, la speranza di farli in modo facile.

Non è l’unico, del resto. I profughi appaiono come un buon affare per molti albergatori in difficoltà. «Mi hanno salvato dal fallimento e le banche sono tornate a farmi credito» dice per esempio Aldo Nicoli, titolare dell’Alligalli di Lonato, in provincia di Brescia. E pazienza se, nel frattempo, ha dovuto chiudere il ristorante, specializzato nel galletto («Non veniva più nessuno»). Che ci volete fare? Le Prefetture pagano bene. A volte più dei clienti. All’Albergo Ristorante Centrale Garò, due stelle di Bagnolo San Vito, in provincia di Mantova, per dire, una camera veniva data in offerta su Internet a 20 euro. Lo Stato ora garantisce 34,5 euro a persona. Non è conveniente? E allora come si fa a non partecipare ai bandi? E come si fa a non festeggiare quando si vince (ripetutamente)?

Succede anche a strutture più prestigiose, come l’agriturismo Ca’ del Vento di San Benedetto Po, sempre in provincia di Mantova: pur essendo assai elegante, con tanto di piscina (16×6), Wi-Fi e camere con Tv, su Internet offre pacchetti anticrisi dal lunedì al venerdì a 20 euro. Non è meglio siglare un bel contratto con il Ministero dell’Interno? Ventidue posti a 34,5 euro a persona. Entrata sicura, senza fatica. E se la colazione non è proprio abbondante, i profughi, a differenza dei clienti paganti, possono essere messi rapidamente a tacere…

Non c’è da stupirsi, dunque, se gli albergatori si fanno ingolosire. E non c’è da stupirsi se arrivano a stipare le loro strutture di profughi. Anche oltre ogni ragionevole limite. Il 10 settembre 2015 la trasmissione televisiva «Dalla vostra parte» diffonde un video amatoriale in cui si vedono delle tende montate in una piscina svuotata che servirebbero, per l’appunto, a ospitare gli stranieri inviati dalla Prefettura in un hotel: si tratta del Maremmano Bianco di Binanuova, nella Bassa Cremonese. Avrebbe dovuto accoglierne soltanto 18, invece sono più di 50. «Sono in linea con il contratto stipulato dalla Prefettura e tanto basta» si limita a dire il titolare, prima di addentare platealmente una forchettata di spaghetti davanti alle telecamere. «Mi scusi,» dice al giornalista. «Lei fa il suo lavoro, ma io devo mangiare…»

Ma sì, lui deve mangiare, si capisce. Si chiama Glauco Bitonte, 70 anni, napoletano di Agerola trapiantato nel Nord. Da qualche anno gestisce l’hotel nel paesino di Binanuova, dove c’è un po’ di apprensione, per la verità, perché 50 immigrati su 400 abitanti sono ritenuti un po’ troppi da quelle parti, e comunque al di fuori di qualsiasi parametro stabilito dal ministero. Ma all’uomo che ama gli spaghetti che importa? Fate due conti: per ogni ospite straniero incassa 34 euro. Se ne ospita 50, significa 1700 euro al giorno. In un anno sono oltre 600.000 euro, il triplo di quello che l’albergo di Bitonte ha fatturato in tutto il 2014 (200.520 euro). «Ho perso la clientela locale» si lamenta lui. Certo: ha perso la clientela locale. Ma ha triplicato gli incassi. Può continuare a scolare la pasta tranquillamente. E se qualche immigrato deve dormire un po’ scomodo, magari dentro una tenda piantata in una piscina vuota, problemi suoi…

E la Toscana? «Diciamoci la verità, il mio collega non ha voglia di lavorare» si sfoga un albergatore con il «Corriere della Sera». Siamo a Badia Prataglia, in provincia di Arezzo. Fa discutere, nel settembre 2015, la decisione di Paolo Mulinacci, titolare dell’Hotel Bellavista, di ospitare dai 20 ai 100 profughi. «In famiglia siamo quattro, tutti senza lavoro, così ho colto al volo l’occasione» spiega. «Io devo pure campare, quella gente è un’opportunità.» Un’opportunità da 33,59 euro al giorno per ogni immigrato ospitato al posto dei clienti paganti. Ma i suoi compaesani non sono d’accordo. Raccontano che il Bellavista è un hotel storico, il più bello del paese, l’unico con l’ascensore, «venivano i nobili, venne pure il Duce con Donna Rachele nella camera 24». Perché s’è ridotto così? In paese la spiegazione te la danno in un attimo: «Diciamo la verità: se ti dai da fare, vai a funghi e tartufi, se sei gentile, i turisti arrivano anche oggi. Il nostro collega, invece, non ha voglia di lavorare…».

È chiaro, no? I turisti bisogna andarseli a cercare, con fatica. I profughi, invece, te li manda la Prefettura. Basta vincere un bando. C’est plus facile. E poi i profughi non bevono vino, non mangiano prosciutto, non possono permettersi di avere pretese. Una pizza e via: tutto profitto. Semplice, no? L’albergatore si salva e il paese muore, chi se ne importa?

Per carità: gli albergatori, dal loro punto di vista, hanno ragione: «Il lavoro è lavoro». Ma bisognerebbe dirlo che non tutto il lavoro è uguale: chi ospita turisti in Italia produce ricchezza, chi ospita profughi invece no. Chi ospita profughi distrugge ricchezza perché assorbe denaro pubblico. Chi poi ospita profughi in zone turistiche distrugge il turismo.

Nella tabella dal libro di Mario Giordano alcuni fatti di cronaca rilevanti.
profughi libro giordano

Del resto, anche sul piano della “carità cristiana” non andiamo molto meglio. A Trapani non è l’unica cosa andata storta nel campo dell’accoglienza. Anzi. Il caso più clamoroso è quello di don Sergio Librizzi, direttore della locale Caritas, condannato nell’ottobre 2015 a 9 anni di carcere per violenza sessuale e abusi sui migranti, oltre che interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e da qualsiasi ufficio attinente all’assistenza del prossimo. Sentenza severa? Nemmeno troppo. Il sacerdote, infatti, si è macchiato di un crimine orribile: prometteva ai disperati di aiutarli ad avere il permesso di soggiorno in cambio di prestazioni sessuali. Si faceva chiamare «Baba». «Dove vuoi andare? Dove ti piace… A casa tua…» diceva. E ripeteva: «L”amore è una medicina».

Di situazioni che lasciano interdetti, il libro di Mario Giordano è pieno. Intanto, al momento in cui scriviamo sono stati “raccattati” altri 3.000 “naufraghi”. [ http://www.ilmessaggero.it/primopiano/c ... 27696.html ] Mentre leggete questo articolo il loro numero è sicuramente aumentato.

E allora riflettiamo. Questo giornale già nel suo titolo sottolinea la sua aspirazione. Ebbene il tratto saliente dell’attuale dibattito sulla secessione è il carattere apertamente morale che esso tende ad assumere. Anche coloro che solitamente abbracciano con ostinato orgoglio posizioni di scetticismo morale o di Realpolitik, inevitabilmente ricorrono al linguaggio dei diritti e usano termini quali «giusto» e «sbagliato», riferendosi alla secessione. Gorbaciov ha detto che l’indignazione americana per la sua opposizione alla secessione della Lituania era pura ipocrisia, dato che veniva da un paese che venera Lincoln per aver represso la secessione sudista. I québecois sostengono di avere un diritto morale a una società autonoma. Molti commentatori occidentali condannano le spinte secessioniste degli azeri e dei kirghisi, affermando che queste popolazioni vogliono l’autonomia per poter liberamente perseguitare gli armeni e gli altri.

La questione non è se il dibattito intorno alla secessione avrà luogo entro termini morali, ma piuttosto se può essere sviluppato un quadro morale coerente e illuminante che consenta di cogliere i reali problemi connessi alla secessione. La vera questione morale, secondo noi, è che il potere non si delega; lo si esercita in proprio. Ogni popolo deve proclamare la sua sovranità, nominare un’assemblea e organizzarsi autonomamente.

Anche Gianfranco Miglio sosteneva che la presenza di un ben fondato «diritto di secessione», nel corpo aggiornato del diritto pubblico e della morale politica generale, diventa – in altre parole – garanzia di stabilità e di non reversibilità di tutte le Costituzioni federali del nostro tempo. Il diritto alla «diversità» e al «pluralismo» nelle istituzioni (anche se costa sacrifici) non può più essere negato, senza innescare il ricorso al rimedio ultimo, cioè alla «secessione».

Infine la democrazia consiste nel: coinvolgere nella decisione chi è coinvolto dalle conseguenze della decisione stessa. In questo modo se e quando si riesce a trovare il massimo consenso, più probabilmente (sebbene non certamente…) quello è più vicino al “bene collettivo”. Il bene collettivo non è mai facile da identificarsi. Che sia quello del “massimo vantaggio aggregato” lo si vede solo poi, solo in seguito: nel tempo.
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