Demenze e ingustizie dei giudici politicamente corrette a sfavore:
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dei nativi italiani ed europei e discapito dei loro diritti umani, civili e politiciXenofobia e reati d'odio, la Procura di Torino: priorità ai fascicoli, pool di pm ad hoc e no archiviazione facili Andrea Giambartolomei
2018/07/09
https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/0 ... li/4480969 Nel pieno del dibattito politico nazionale sulla questione migranti, il procuratore capo Armando Spataro ha presentato le linee guida e un nuovo modus operandi per rispondere all'incremento dei "crimini motivati da ragioni di discriminazione"
Corsia preferenziale per i reati commessi con finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso. Pool di magistrati ad hoc, che tratteranno i fascicoli in questione come prioritari ed eviteranno “di richiedere l’archiviazione per particolare tenuità del fatto“, potranno “promuovere l’azione penale” e “svolgeranno personalmente le funzioni di pm in dibattimento“. Nel pieno del dibattito politico nazionale sulla questione migranti, il procuratore capo di Torino Armando Spataro ha presentato le linee guida e un nuovo modus operandi per rispondere all’incremento dei crimini d’odio registrati negli ultimi tempi nel capoluogo piemontese. “Reati motivati da ragioni di discriminazione e di odio-etnico-religioso” li ha chiamati Spataro. Che nei primi paragrafi del documento ha declinato la categoria in “aggressioni, minacce, ingiurie, affisioni di ‘volgari e intollerabili manifesti’”, come quello di Forza Nuova nel Comune di Giaveno la scorsa settimana, ma anche “scritte dello stesso contenuto vergate su immobili pubblici”. Per la procura è una “circostanza anomala visto che il contesto territoriale in questione è storicamente caratterizzato da elevata attenzione e sensibilità delle istituzioni e dei cittadini rispetto ai diritti fondamentali delle persone”.
Migranti, Spataro: "Non si può respingere tout court chi chiede ospitalità"
Per questa ragione i magistrati del “gruppo specializzato 9”, che si occupa di “terrorismo ed eversione dell’ordine democratico”, ma anche dei reati commessi nel corso di manifestazioni pubbliche, “tratteranno come prioritari tutti i procedimenti” su reati con finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale e religioso “con conseguente rapidità nella effettuazione di tutte le indagini necessarie alla individuazione dei responsabili”. Insomma, nessun fascicolo con denunce di minacce o aggressioni razziste, per fare un esempio, potrà essere accantonato come se fosse impossibile arrivare a una soluzione. Inoltre i procuratori, “salvo i casi da loro ritenuti meritevoli di evidente positiva valutazione – si legge ancora nel documento – tendenzialmente eviteranno di richiedere l’archiviazione per particolare tenuità del fatto”, anche se la pena prevista fosse sotto i cinque anni. Alle forze di polizia si raccomanda poi di fornire agli stranieri che denunciano reati contro di loro il modulo, stampato nelle lingue più diffuse, con le informazioni sui diritti, l’assistenza e la protezione delle vittime di reati.
Non solo. All’aspetto repressivo la procura vuole anche affiancare la tutela dei diritti dei migranti e per farlo a chiesto ai suoi magistrati di formulare in tempi rapidi i pareri (favorevoli o sfavorevoli) sui ricorsi contro i dinieghi della protezione internazionale ai richiedenti asilo: “Ai fini della formulazione del parere dovuto, esamineranno tutte le ragioni addotte dai ricorrenti sui motivi che li hanno spinti a lasciare i loro Paesi d’origine”. Come ha spiegato Michela Tamagnone, presidente della IX sezione civile che si occupa dei ricorsi contro i dinieghi dell’asilo, queste cause “non sono seriali, perché ogni persona ha la sua storia. Bisogna valutare la sua storia personale, il suo paese e la sua zona di provenienza per accertare se sussistano o meno i presupposti per la protezione internazionale”. In questo modo viene accolto quasi il 25 per cento dei ricorsi di chi vede la sua richiesta respinta dalla commissione territoriale.
Ha condiviso lo spirito della circolare anche il procuratore generale del Piemonte e della Valle d’Aosta Francesco Saluzzo, che per prevenire le critiche ha ricordato un aspetto: “La Procura di Torino ha dimostrato nel corso di anni di essere all’avanguardia nella lotta alla criminalità straniera” e che “non si può pensare che ci sia una sottovalutazione dell’importanza delle attività illegali degli stranieri”. Anzi, “il cittadino straniero ha egualmente il diritto di essere tutelato – ha continuato Saluzzo -: se viene commesso un reato nei confronti di uno straniero non si può né banalizzare, né dire che se l’è cercata”. Secondo il procuratore vicario Paolo Borgna, esperto in tema di migrazioni e sicurezza urbana, “certi cattivi umori da cui nascono certi comportamenti di odio razziale nascono da disagi che vengono esasperati – ha aggiunto – I disagi reali che certi strati della popolazione vivono in certi quartieri vanno letti e vanno capiti, ma non vanno cavalcati e aizzati”. Il procuratore Spataro ha infine sottolineato come certi diritti e certe procedure, cioè la valutazione delle richieste di asilo, siano imposte dalle norme internazionali: “C’è il principio secondo il quale è vietato respingere il rifugiato nelle aree in cui la sua vita sia minacciata – ha concluso -. Non esiste il respingimento in mare e la non possibilità di vagliare la sua condizione”. Per questo, ha detto con una frecciata, “se arriva un barcone ai Murazzi, nessuno può impedire alle persone di scendere”.
Liguria, la Consulta boccia le case popolari prima agli italianiFranco Grilli - Ven, 25/05/2018
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 32036.html Il provvedimento prevedeva che i cittadini stranieri, per averne diritto, risiedessero in Italia da almeno 10 anni
La Corte Costituzionale ha bocciato la norma proposta dalla Regione Liguria, che prevedeva che gli stranieri potessero partecipare all'assegnazione di case popolari solo se “regolarmente residenti da almeno dieci anni consecutivi nel territorio nazionale”.
Il motivo della bocciatura
Il provvedimento fortemente voluto dal governatore Giovanni Toti per agevolare le famiglie italiane è stato rispedito al mittente causa incostituzionalità, visto che l’articolo 4 della legge regionale 13/2017 contiene una “irragionevole mancanza di proporzionalità”.
La rabbia di Toti
Il forzista ha espresso tutta la sua indignazione su Facebook, dove ha scritto: “Volevamo dare prima la casa agli italiani: ci hanno bloccato, è gravissimo! Invece di occuparsi dei veri bisogni dei cittadini, il passato governo di centro sinistra ha ben pensato di intervenire su una nostra legge, che dava a liguri e italiani la priorità sulle case popolari e che ora è stata bloccata: un atto grave, ma che non ci ferma. Come Regione Liguria andremo avanti per aiutare i cittadini più deboli e rispondere alle loro reali esigenze”.
"Mia moglie aggredita da un negro". Ed è bufera sul cartello del dentistaSergio Rame - Ven, 13/07/2018
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 53269.html Il volantino appeso in studio per denunciare l'aggressione subita in un parco di Mestre. L'Ordine dei medici: "Espressione dispregiativa". Il dentista: "È nel vocabolario"
"Avviso ai pazienti". La scritta, a caratteri cubitali, è in verde. L'autore, un dentista di Mestre, l'ha sottolineata e l'ha affissa nel proprio studio: "Ieri - si legge - mia moglie alle 12.00 al parco Albanese (Bissuola) è stata aggredita da un negro che dopo averla sbattuta a terra ha cercato di rubarle il cellulare e la bicicletta.
È stata salvata da un passante che si è messo a gridare". E ancora: "Ognuno tragga le proprie conclusioni da questo tragico episodio - continua il dottore - ma invito tutti a riflettere su quanto accaduto e soprattutto sulle responsabilità politiche di tutto questo". Nel giro di poco tempo, come racconta il Corriere della Sera, è montata la polemica sul web. Tanto che è poi intervenuto persino l'Ordine dei medici per condannare l'accaduto.
Non un avviso anonimo, ma una denuncia con tanto di firma. Il dentista Pierantonio Bragaggia, insomma, ci ha messo la faccia appendendo nello propri studio il volantino di avviso ai pazienti per informarli che "la moglie è stata aggredita da un negro". Quella del dentista però non è solo una denuncia, ma anche un invito a riflettere "sulle responsabilità politiche di tutto questo". E alla Nuova Venezia spiega: "Ho scritto quel testo perché volevo che tutti stessero attenti. Ho incassato attestati di solidarietà, di vicinanza a mia moglie". Solo una persona gli ha fatto presente, di persona che avrebbe potuto usare un altro termine. "Ho risposto che nel Devoto Oli, 'negro' vuol dire appartenente alla razza negra, perché le cose vanno dette senza giri di parole".
Col passare delle ore, però, la notizia ha fatto il giro del web scatendo pesanti polemiche. Tanto che si è sentito in dovere di intervenire anche il presidente dell’Ordine dei medici e degli odontoiatri della provincia di Venezia, Giovanni Leoni. "Come medici per giuramento curiamo e accogliamo le persone indipendentemente dal colore, razza e professione - ha spiegato - l'attività delinquenziale è da condannare in senso lato, a prescindere dal colore della pelle. Il termine negro può essere inteso come dispregiativo". Il dottor Bragaggia, tuttavia, non sembra curarsi delle rimostranze dei paazienti e della condanna dell'Ordine dei medici. Anzi, ribatte senza farsi troppi problemi: "Se avessi scritto 'straniero di colore', avrebbe potuto essere indiano, cinese - ha spiegato alla Nuova Venezia - ma il mio intento non è colpire chiunque, ce l’ho con lui, con quello che ha aggredito mia moglie. Ho vicini negri eccezionali con bimbe splendide che mi onoro di salutare".
L'ingiustizia di Stato è servita: le vittime pagano i ladri
Chi ferisce o uccide per legittima difesa deve risarcire i delinquenti. Ecco le storie, dal benzinaio al carabiniereGiuseppe Marino - Mar, 28/03/2017
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 79749.htmlIl carabiniere, le guardie giurate, il benzinaio, il tabaccaio. Tutti condannati a risarcire i delinquenti che avevano cercato di derubarli o addirittura di ucciderli.
È l'albo nero dell'ingiustizia che premia chi vive di violenza.
Un'ingiustizia con i bolli di Stato, perché imposta da altrettante sentenze di tribunali in tutta Italia. Il Giornale ha raccontato ieri la storia di Enrico Balducci, proprietario di una catena di distributori di benzina a Bari, cui un giudice ha posto sotto sequestro 170mila euro a fronte di una richiesta da un milione avanzata dai familiari del rapinatore che aveva fatto irruzione in uno dei suoi distributori. Ma non è un caso isolato.
Il caso più clamoroso è quello di Ermes Mattielli, l'anziano robivecchi di Arsiero, in Veneto, che, spaventato dall'irruzione di due ladri di rame nel suo deposito, ha sparato nel buio, ferendoli. Il giudice l'ha condannato a pagare 135mila euro a favore dei due, entrambi rom con una lunga lista di precedenti. E così il furto sventato è riuscito in tribunale: Mattiello è morto due anni fa lasciando un paio di immobili destinati a finire in eredità a chi aveva cercato di derubarlo, per pagare il risarcimento. C'è poi il caso del tabaccaio del Padovano, Franco Birolo, anche lui condannato in primo grado a pagare 325mila euro ai parenti di un 23enne moldavo che aveva cercato di rapinare il suo negozio di tabacchi. Pochi giorni fa la sentenza è stata ribaltata in appello e Birolo è stato prosciolto, ma l'ultima parola non è ancora scritta. Perché sono possibili ricorsi e anche perché la legge prevede, oltre alla provvisionale stabilita in sede penale, la possibilità di un risarcimento per il «danno da perdita parentale» da stabilire con una causa civile, come nel caso di Balducci.
Una legge con il buco, nel senso che la norma prevede i parametri per determinare il risarcimento pesando «l'intensità del vincolo familiare, della convivenza e di ogni ulteriore utile circostanza idonea a comprovare l'intensità del legame», spiega l'avvocato Fabio Gaudino. La circostanza che la perdita sia strettamente collegata al fatto che il caro estinto se ne andasse in giro armato a fare rapine come occupazione abituale non conta: se la vittima della rapina viene condannata perché ha oltrepassato i limiti della legittima difesa la famiglia del rapinatore può chiedere il risarcimento. «Nell'attuale assetto normativo non c'è scampo a questo paradosso - spiega Gaudino al Giornale - il giudice ha il potere di agire secondo equità ma non contro la legge». Dunque se il giudice penale può almeno distinguere le responsabilità caso per caso, e può avere lo scopo di frenare la giustizia fai-da-te, qual è lo scopo di premiare i parenti di un rapinatore riconosciuto? E spesso a reclamare ricchi risarcimenti sono proprio i parenti di delinquenti abituali. «Se almeno fossimo condannati a risarcire lo Stato ci sarebbe una logica, ma così...», protesta Balducci, che ha fondato un'associazione di vittime di reati violenti, Nessuno tocchi Abele.
A trovarsi nella condizione di dover pagare ladri e rapinatori o i loro parenti, ci sono perfino membri delle forze dell'ordine, come l'appuntato dei carabinieri Mirco Basconi, che sparò contro le ruote di un Suv rubato che cercava di investire i suoi colleghi ad Ancona. Un 24enne albanese, Korab Xheta, venne ucciso da un proiettile di rimbalzo e il militare si beccò un anno per eccesso di legittima difesa. Il suo caso è ancora aperto e il giudice ha rinviato alla causa civile il risarcimento. Che potrebbe ammontare a 2,5 milioni.
Cifre minori di quelle che hanno dovuto pagare due guardie giurate, Mauro Pelella e Marco Dogvan in situazioni simili. O Antonio Monella, imprenditore che ha pagato duramente per aver sparato a un ladro. Il presidente Mattarella l'ha poi graziato. Ma è solo una toppa, l'ingiustizia resta intatta. E nessuno se ne cura.
Rapine, stupri e aggressioni. Quei criminali lasciati liberiLuca Fazzo - Lun, 04/03/2019
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 55600.html Troppa discrezionalità dei magistrati e leggi inadeguate. Le forze dell'ordine frustrate dalle scarcerazioni facili
Dell'elenco fanno parte anche quelli cui sarebbe convenuto restare in carcere un po' più a lungo: come Vitale Morcea, un giovane moldavo che si era fatto beccare a Sondrio a rubare biciclette, era stato presto liberato, si era trasferito in Toscana, si era rimesso a fare furti.
E il 28 novembre scorso, a Monte San Savino, è rimasto ucciso da un gommista cui stava svaligiando il negozio.
Per tutti gli altri, per quelli che non incorrono in disavventure del genere, l'impatto con la giustizia italiana assomiglia spesso all'incontro con un bravo prete confessore, che rimbrotta e assolve con due pater e quattro ave. Il messaggio di dolore del poliziotto che - come raccontato nei giorni scorsi dal Giornale - racconta la frustrazione di chi lavora per assicurare alla giustizia indagati che vengono immediatamente scarcerati punta i riflettori su una realtà ben nota a chi frequenta i corridoi delle questure e le aule dei tribunali. Una manciata di ore, al massimo di giorni, e poi fuori. Come accade ieri anche per due degli anarchici che a Torino il 6 febbraio si impadronirono di un autobus, pestarono l'autista e distrussero il mezzo: scarcerati in attesa di giudizio.
Il principio, in teoria, è giusto: in carcere si va quando la condanna è definitiva. Peccato che la condanna arrivi dopo anni ed anni, sempre che non venga inghiottita dalla prescrizione, quando ormai l'imputato è irreperibile. Così si può capire l'incredulità delle vittime quando scoprono che il responsabile dei loro guai è già tornato in circolazione. E ancora più comprensibile l'indignazione quando il soggetto, scarcerato sulla base di una «prognosi favorevole», riprende immediatamente a fare altri delitti.
Di esempi se ne possono fare a bizzeffe, recenti ma anche remoti: perché le scarcerazioni veloci sono un fenomeno antico. In novembre, vicino Caserta, il carabiniere Emanuele Reali morì sotto un treno inseguendo tre ladri: faceva meglio a restare seduto sulla Gazzella, tanto i tre vennero scarcerati due giorni dopo. Nello stesso mese a Roma una donna viene aggredita, trascinata per strada, stuprata, i carabinieri si dannano per individuare il responsabile nell'ospite di un centro di accoglienza: in una manciata di giorni è fuori anche lui, unica sanzione il «divieto di dimora» a Roma. In dicembre a Forlì in un supermercato le guardie giurate bloccano un ladro che scappa con la refurtiva, lo consegnano alla polizia. La mattina dopo se lo ritrovano in negozio: non è un sosia, è proprio il ladro già tornato libero e al lavoro. In maggio a Milano aveva destato un certo stupore la vicenda del senegalese che in piazza del Duomo aveva aggredito e quasi linciato due vigili urbani: catturato e denunciato per lesioni gravissime, si fece il weekend in cella e il lunedì era libero con l'unico obbligo di presentarsi periodicamente in commissariato. Per non parlare del signore di Avellino che in settembre prese a martellate la convivente polacca, al termine di una lunga storia di violenze e intimidazione: tornò in circolazione ancora prima che la vittima lasciasse il reparto di neurochirurgia.
La frustrazione di poliziotti e carabinieri, insomma, è comprensibile. C'è un reato, lo spaccio di droga al dettaglio, dove a legare le mani ai giudici, imponendo la scarcerazione, è la legge stessa: di fatto, lo spaccio di strada in Italia è depenalizzato. Ma ci sono molti altri reati in cui la discrezionalità del magistrato è assai ampia, ed è qui che intervengono a volte decisioni impeccabili dal punto di vista del codice, molto meno da quello del buon senso. Per non parlare dei casi in cui a aprire agli arrestati le porte della liberà è semplicemente la pigrizia dei giudici: come avvenne nel dicembre scorso a Sassari, dove cinque presunti terroristi islamici vennero scarcerati per il semplice motivo che i magistrati avevano lasciato scadere i termini di custodia senza chiudere le indagini. Au revoir!