A ciascuno la sua casa, il suo paese e il suo continente

Re: A ciascuno la sua casa, il suo paese e il suo continente

Messaggioda Berto » sab nov 16, 2019 8:12 pm

Alain Finkielkraut: 'Che cosa rimane oggi dell'Europa?'
Lo intervista Giulio Meotti
Testata: Il Foglio
Data: 15 novembre 2019
Titolo: «Il filosofo e i fanatici»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 15/11/2019, a pag.1, con il titolo "Il filosofo e i fanatici" il commento di Giulio Meotti, che intervista Alain Finkielkraut.

http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0.facebook

Roma. “L’Europa è il massimo della diversità nel minimo dello spazio, la nazione è una creazione europea e le due cose vanno insieme. Ecco perché, a differenza dei sovranisti, non oppongo la nazione all’Europa, anche se l’attuale stato dell’Unione europea mi ispira sentimenti contrastanti. L’Europa è definita da opere, piazze, monumenti, paesaggi, costumi, un certo modo di essere e di sentire, non è solo una costruzione, ma anche una civiltà che merita tutta la nostra cura”. Così parla al Foglio Alain Finkielkraut, il filosofo e intellettuale francese attratto dal “campo minato”, che ha dato il titolo al libro che due anni fa scrisse con Élisabeth de Fontenay. Finkielkraut continua a ricordare che le società occidentali sono “preoccupate per la sopravvivenza della propria comunità storica”; non trova spazio alla tavola imbandita di una postmodernità sempre più inospitale e incapace di capire che l’uomo ha bisogno di una casa; e non si accontenta dei dati acquisiti dalla sinistra, il vezzo di considerare “cultura” ogni fenomeno nuovo né la litania dei dominati contro i dominanti. “La fragilità non è appannaggio della sola terra, ma anche della civiltà”, ci spiega, mentre in Francia si continua a parlare del suo nuovo libro per Gallimard, “À la première personne”. Fin dalla sua “Sconfitta del pensiero” (1987), che segnò la sua svolta antimoderna, Alain Finkielkraut, già docente all’École polytechnique e che ora siede tra i quaranta “immortali” dell’Académie française, si è inimicato la cultura prigioniera della dittatura dell’opinione pubblica e “il progressismo che ha sostituito al vecchio schema del peccato originale da cui discendono tutte le disgrazie, il concetto di ‘crimine originale’”.
Non si arrende a una Francia “condannata a rigiocare, senza sosta, alla rivoluzione, a rifare il processo a Luigi XVI e a tagliargli la testa”. “È l’uomo che non sa come fare a non reagire”, nelle parole del suo vecchio amico il grande scrittore ceco Milan Kundera, cui Finkielkraut ha appena dedicato il suo nuovo libro, che si apre così: “Dacché, nonostante i miei sforzi per rallentare il galoppo del tempo, diventerò irrimediabilmente vecchio, visto che, lo confesso, epiteti ostili adornano spesso il mio nome, mi è sembrato il momento di ripercorrere il mio percorso senza compiacimenti o fughe”. Ci sono bordate contro il Sessantotto: “Nel Sessantotto volevamo acciuffare la nostra occasione: eravamo certi di essere in un periodo di lotta finale, per questo abbiamo sventolato slogan assurdi del tipo ‘Polizia=SS’. Vivevamo all’ombra della Resistenza, avevamo smesso di imitare i padri, per imitarci a vicenda”. Su Israele: “Questo ‘mai più’ era quello dei miei genitori e di tutti i sopravvissuti, che abbiano scelto o meno di installarsi in Israele. L’esistenza di questo paese li consolava, li tranquillizzava, era un balsamo per il loro cuore. Non esigevano il pentimento, non avevano bisogno di un grande mea culpa nazionale, volevano soltanto essere capiti e che si permettesse a Israele di esistere”.
Sull’Europa: “L’Europa post-hitleriana ha scelto di diventare una costruzione fondata su norme, procedure e valuta, soltanto valuta, senza diventare una civiltà. Se pensiamo a noi stessi come a una civiltà, è evidente che esiste un modo di vivere europeo, che ci sono campagne europee che non assomigliano a paesaggi americani, che esistono forme di diversità in Europa e in Francia che sono prerogative di questa specifica civiltà”.
Ispirato da Charles Péguy, Finkielkraut da anni difende l’affiliazione carnale alla Francia, spingendo lo storico Daniel Lindenberg a inserirlo fra i “nuovi reazionari”. E’ accusato di fare dell’immigrazione la principale responsabile della crisi d’identità che la Francia sta attraversando e di contribuire alla “lepenizzazione” delle menti. Figlio di ebrei polacchi sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti, Finkielkraut si autodefinisce “conservatore, liberale e socialista perché sono per l’iniziativa, la ridistribuzione e la conservazione dell’essenziale”. In Italia è noto per libri come “Un cuore intelligente” (Adelphi), “L’identità infelice” (Guanda) e “L’umanità perduta” (Lindau). “Non credo nell’utopia, in un futuro migliore. Penso al contrario che molte cose siano sempre più fragili. Quindi mi sono mosso nella direzione di preservare la cultura, la nazione, la bellezza del mondo contro la devastazione”. “Finkielkraut è un uomo dell’Illuminismo sopraffatto dal fatto che il mondo della ragione si sta fratturando”, dice la giornalista e polemista Élisabeth Lévy, che anima con lui un programma su RCJ (una radio della comunità ebraica). Cresciuto con i grandi della cultura francese, da Michel Foucault a Emmanuel Lévinas, a colloquio con il Foglio Finkielkraut parla della grande angoscia francese. “Ci sono molti aspetti del malaise francese”, ci spiega. “La Francia oggi è un paese diviso, frantumato, parliamo molto della ‘diversità’, ma questa diversità è una menzogna. Siamo violenti, le forze di polizia sono intrappolate nei famosi ‘quartieri difficili’, i territori perduti della repubblica. Gérard Collomb, l’ex ministro dell’Interno di Emmanuel Macron, prima di dimettersi ha detto che in Francia le comunità erano fianco a fianco, oggi sono faccia a faccia. E che ci sarà una guerra civile. Perché, invece di cercare l’assimilazione e l’integrazione, la Francia sta andando verso la disintegrazione. Il diritto alla continuità storica è oggi in pericolo e sotto attacco. Alcuni, in nome del principio dell’ospitalità, vogliono sostituire la civiltà europea e la sua componente francese con una società multiculturale. Jérôme Fourquet in un libro ha parlato di un ‘arcipelago francese’, mentre l’inglese David Goodhart dei ‘somewhere’, da qualche parte, e degli ‘anywhere’, ovunque. Non è soltanto il cattolicesimo, ma è tutta la civiltà francese a essere sotto attacco da più parti, a non essere difesa. Prendiamo per esempio il problema del velo. Gran parte dei ministri, come quello dell’Istruzione Jean-Michel Blanquer, hanno detto che non è accettabile. Il 71 per cento dei francesi è d’accordo, perché non è solo una questione di laicità. La presenza delle donne nella sfera pubblica è parte stessa della storia francese. Quello che non voglio vedere accadere è la società della mescolanza universale profetizzata da Chateaubriand alla fine delle ‘Memorie dall’oltretomba’. C’è un diritto alla continuità storica e culturale che è messo in discussione dagli immigrati e dalle élite. C’è paura di essere attaccati in quanto razzisti”. Nel 1985, la sua difesa dei dissidenti sovietici lo portò all’arresto in compagnia della giornalista Dominique Nora con l’accusa di “attività sovversive” e di far parte di “una organizzazione sionista internazionale”. Intervenne la Francia per farli ripartire da Berlino est. “Dopo che Francis Fukuyama pubblicò la ‘Fine della storia’, Samuel P. Huntington scrisse ‘Lo scontro di civiltà’”, ci spiega Alain Finkielkraut. “Huntington aveva ragione e Fukuyama torto. Adesso questo scontro di civiltà è molto evidente. In Europa c’è una nuova divisione. La caduta del muro di Berlino ha sancito la fine del comunismo, ma i paesi orientali non hanno reagito come i paesi occidentali, sono rimasti legati alla propria identità, vedono l’Europa come una civiltà e non soltanto come una costruzione giuridica e politica. Il Sessantotto in Europa fu il Maggio parigino, il Sessantotto a Praga fu molto diverso. Noi ci volevamo emancipare dal vecchio mondo borghese. E’ allora che tutto è iniziato”. Forse l’intellettuale che è oggi sarebbe stato maltrattato nel Sessantotto. A differenza di altri pensatori conservatori, Finkielkraut non vuole smantellare l’Unione europea. “L’Europa non dovrebbe essere abbandonata o distrutta, ma cambiata dall’interno. Credo nella sovranità dello stato, ma anche nell’associazione degli stati europei. Siamo europei. L’Europa è parte della nostra identità. Ma non siamo soddisfatti del modo in cui l’Unione europea sta procedendo”. Nei giorni scorsi, Finkielkraut ha criticato un altro intellò francese conservatore, Eric Zemmour: “Sono molto a disagio con il realismo assoluto che va rivendicando”. E questo riguarda anche l’Europa: “Il direttore dell’agenzia di stampa di Budapest, invasa dai carri armati sovietici, inviò un telex in tutto il mondo, dicendo: ‘Moriremo per l’Ungheria e per l’Europa’”. Tutta Europa ribolle oggi di antisemitismo e lo stesso Finkielkraut è stato aggredito per strada a Parigi da un salafita durante una manifestazione dei gilet gialli al grido di “bastardo”, “la Francia è nostra” e “sionista di merda”. “Gli insulti antisemiti a cui è stato sottoposto Finkielkraut sono la negazione assoluta di ciò che siamo e di ciò che ci rende una grande nazione. Non lo tollereremo”, aveva twittato il presidente Emmanuel Macron. “Il vecchio antisemitismo europeo non è morto e ho paura di quello che accade in molti paesi, anche in Italia”, ci spiega Finkielkraut. “In Francia è tutto diverso, c’è un antisemitismo islamico che non è riconosciuto dalla doxa di sinistra, perché i musulmani sono visti come le vittime dell’islamofobia, del razzismo, sono i ‘nuovi ebrei’. E’ un grande problema nel nostro paese. Il progressismo giustifica questo fenomeno”. Ieri, sul Figaro, Finkielkraut ha firmato un appello a favore della libertà di espressione inibita violentemente in tante università francesi, da Bordeaux alla Sorbona, dove nelle ultime settimane due conferenze sul radicalismo islamico sono state annullate. L’ex presidente François Hollande era stato invitato all’Università di Lille a presentare il suo nuovo libro, “Répondre à la crise démocratique”, ma gli è stato impedito di parlare ed è stato portato via dalle forze dell’ordine. Lo scorso aprile, Finkielkraut doveva parlare all’Università Sciences Po di Parigi. Prima l’ateneo ha annunciato la cancellazione dell’evento, quindi la sua “delocalizzazione”, infine si è svolto come previsto ma dietro a uno spesso cordone di sicurezza. “Non possiamo accettare Finkielkraut e la sua retorica islamofoba, razzista, sessista e omofoba”, avevano detto i manifestanti di estrema sinistra. “Il ruolo delle università è offrire uno spazio di confronto di idee che favorisca la riflessione e non uno spazio in cui si imponga il conformismo intellettuale”, recita l’appello sul Figaro di ieri firmato da Finkielkraut, dallo storico Georges Bensoussan e dal sociologo Philippe d’Iribarne, fra gli altri. “Devono anche favorire l’emergere del pensiero critico, che rende possibile resistere al dogmatismo, quel cancro del pensiero che impedisce ogni scoperta e che rende l’uomo schiavo. Non possiamo accettare che le nostre università rinuncino, per codardia, al ricatto ideologico e alle minacce liberticide”. “E’ l’americanizzazione della Francia, che non è soltanto la Coca Cola o l’arte moderna, ma anche l’aggressione alla libertà di espressione”, dice Finkielkraut al Foglio. “Sono molto preoccupato. C’è una nuova intolleranza, un nuovo fanatismo. Sylviane Agacinski è stata appena bandita dall’Università di Bordeaux perché contraria alla maternità surrogata. Ora è considerata una nemica della democrazia. Perché la democrazia ora non è il dialogo civile, ma un processo irresistibile di egualitarizzazione universale, se non sei d’accordo allora sei un ostacolo alla democrazia e devi essere eliminato. E’ il paradosso della società aperta, un fanatismo democratico che è molto forte nelle università e dei media. Non sarà facile combatterlo e sarà una lunga battaglia”. Nella miscellanea “Cahier”, in uscita il 21 novembre per la Nave di Teseo, Michel Houellebecq ha scritto che “l’occidente è un’entità che sta scomparendo”, e sembra quasi rallegrarsene. Finkielkraut condivide l’analisi dell’amico, ma non le sue conclusioni, e al Foglio spiega: “L’occidente ha ancora un grande significato, è l’area della civiltà, è stato identificato con il potere, oggi invece con la debolezza, con la debolezza della civiltà. E penso che sarà un disastro se l’occidente dovesse scomparire”. E parafrasando Saint-Exupéry, Finkielkraut si domanda: “Di ciò che ho amato, cosa rimarrà?”.
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Messaggioda Berto » lun dic 16, 2019 10:43 pm

Il nuovo governo spagnolo ha blindato Ceuta e Melilla
Lorenzo Degrassi
25 novembre 2019

https://it.insideover.com/migrazioni/sa ... SHjg1wBRCo

Il neo costituito governo socialista di Pedro Sanchez non perde tempo e, a pochi giorni dal suo insediamento, decide di mettere subito in pratica una delle sue promesse elettorali. Il Ministero degli Interni spagnolo, infatti, già lunedì scorso ha annunciato l’inizio delle opere di “ammodernamento e rinforzo” dei reticolati che circondano le enclavi spagnole in Marocco di Ceuta e Melilla. Lavori che, nelle intenzioni del primo ministro iberico, dovranno iniziare prima della fine del mese.

L’investimento per la realizzazione dell’opera si aggira attorno ai 18 milioni di euro (17.899.886,69 per l’esattezza). I lavori, secondo le intenzioni del governo, si concluderanno nel giro di una decina di mesi e presuppongono un rinforzo della sicurezza su tutta la cortina presente attorno alle frontiere terrestri delle due enclavi europee in Africa. L’opera permetterà la sostituzione “degli attuali fili spinati e delle aste tridimensionali presenti lungo tutto il perimetro con altri elementi più sicuri e meno dannosi per chi intende scavalcarli”, come recita il comunicato stampa del nuovo esecutivo di Madrid.

Oltre allo sforzo per l’ammodernamento delle recinzioni poste attorno al confine spagnolo-marocchino, il governo “rosso-viola” Psoe – Podemos ha messo in cantiere anche una serie di interventi per il rinforzo del perimetro delle due frontiere, che includono l’inserimento di 66 telecamere a circuito chiuso, 14 delle quali termiche, e un sistema di riconoscimento facciale nei posti di frontiera, per un investimento complessivo di 32 milioni di euro.

Durante il tempo necessario alla costruzione della nuova opera di contenimento, il controllo delle due frontiere verrà coperto da Guardia Civil e Policía Nacional, costrette così a prevedibili corpo a corpo con i plotoni di immigranti che ciclicamente si presentano nei due confini terrestri fra Marocco e Spagna. Come accaduto nella notte fra domenica e lunedì scorso, quando un furgone “kamikaze” pieno di migranti ha letteralmente sfondato la dogana di Tarajal, nell’enclave di Ceuta, nel tentativo di introdurre 52 immigrati, schiantandosi nella doppia rete di filo spinato. Il conducente, un marocchino dal passaporto francese di 38 anni, trasportava con sé 34 uomini, 16 donne, un bambino di 6 anni e un bebé di cinque mesi.

Quello degli automezzi kamikaze è uno dei sistemi più utilizzati negli ultimi mesi per attraversare l’unica frontiera terrestre esistente fra Africa ed Europa, nonché il più efficace e conveniente da un punto di vista giudiziario per i passeur. Basti pensare che, come denuncia il quotidiano spagnolo Abc, per chi tenta l’attraversamento schiantandosi sul confine spagnolo, il rischio di finire in galera è minimo. La pena massima riconosciuta per questi particolari tentativi di introduzione illegale di immigrati è stata di 675 euro e un anno e mezzo di carcere con la condizionale, per un episodio simile a quello di domenica scorsa.

Nel frattempo, per blindare il perimetro confinario nei mesi necessari alla creazione del nuovo reticolato, il governo di Pedro Sánchez ha chiesto appoggio al governo marocchino. La risposta, al termine di una serie di incontri avvenuti già nei mesi precedenti, fra il ministro dell’interno spagnolo Fernando Grande-Marlaska con il suo omologo di Rabat, Abdelouafi Laftit, è stata quella di un sì non troppo convinto.

Fattore che ha scatenato l’ira dell’opposizione di destra, rappresentata da Vox, il partito che in cinque anni è passato dall’1,6% al 15% delle preferenze alle recenti elezioni politiche. Secondo il suo segretario, Santiago Abascal, il rinnovamento della “valla” attorno a Ceuta e Melilla, unito a questi accordi di collaborazione promessi da Rabat, altro non sono che azioni palliative e per niente risolutive del problema dell’immigrazione clandestina. Proprio in tal senso il segretario di Vox ha proposto martedì al Congresso dei Deputati una proposta di legge per la creazione di un vero e proprio muro in cemento armato attorno alle due cittadine costiere, in modo da contenere al meglio quella che Abascal stesso ha definito una “autentica invasione migratoria”.
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Messaggioda Berto » lun dic 16, 2019 10:44 pm

Papa al Giappone: 'Accogliete i rifugiati'
25 novembre 2019

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/a ... TV9kUwxwjA

"Vi chiedo di stendere le braccia dell'amicizia e di accogliere quelli che vengono, spesso dopo grandi sofferenze, a cercare rifugio nel vostro Paese". È l'appello rivolto da Papa Francesco in Giappone nell'incontro con i giovani nella Cattedrale di Santa Maria a Tokyo. L'appello del Papa - spiega Caritas Japan - si inserisce in un quadro di norme "così restrittive che il numero di coloro che hanno ottenuto lo status di rifugiati nel 2018 è limitato a 42 persone".

Troppa competizione e frenesia portano alla solitudine, "la povertà più grande", ha detto poi il Pontefice nell'incontro con i giovani a Tokyo. "Ci sono giovani che non ridono, non giocano, non conoscono il senso della meraviglia e della sorpresa. Come zombi - ha usato questa parola Papa Francesco -, il loro cuore ha smesso di battere a causa dell'incapacità di celebrare la vita con gli altri". E allora occorre "fare spazio a Dio in una società frenetica e focalizzata sull'essere solo competitivi e produttivi".

"Per crescere, per scoprire la nostra identità, bontà e bellezza interiore, non possiamo guardarci allo specchio. Hanno inventato tante cose, ma grazie a Dio non ci sono ancora i selfie dell'anima". "Per essere felici, dobbiamo chiedere aiuto agli altri - ha indicato Francesco -, che la foto la faccia un altro, cioè uscire da noi stessi e andare verso gli altri, specialmente i più bisognosi". "Non guardatevi troppo allo specchio, correte il rischio che a guardarvi troppo lo specchio si rompa", ha aggiunto il Papa.


Alberto Pento
Ma di che Dio parla questo idolatra?
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Messaggioda Berto » lun dic 16, 2019 10:44 pm

Carola Rackete a Che tempo che fa: “Dobbiamo proteggere i migranti”
2019/11/24

https://www.notizie.it/cronaca/2019/11/ ... RcWS8Z74ec

Intervistata da Fazio a Che tempo che fa, Carola Rackete ha criticato l'atteggiamento dei governi europei di fronte al problema dell'immigrazione.

È stato breve ma denso di significato l’intervento di Carola Rackete nella trasmissione di Rai 2 Che tempo che fa. Intervistata da Fabio Fazio, la capitana della nave Sea Watch ha raccontato dell’enorme cambiamento che in poco tempo è avvenuto nei rapporti con le autorità europee, ma anche delle difficoltà dell’Europa di trovare una soluzione comune al problema dell’immigrazione. Assieme alla Rackete sono intervenuti anche la portavoce di Sea Watch Italia Giorgia Linardi e Muhamad Diaoune, giocatore della squadra di calcio milanese composta da rifugiati del Sant Ambroeus.

Nel corso dell’intervista, Carola Rackete ha parlato di come in poco tempo sia cambiata la sua visione dei governi europei a causa del loro atteggiamento mutevole nei confronti del tema immigrazione: “Come cittadina europea sono sempre cresciuta con la fiducia nei governi, con la fiducia in questi paesi, e avevamo anche avuto esperienze positive nel 2016 in collaborazione con la Guardia Costiera e con l’Esercito ma la situazione ora è cambiata tantissimo.

Quando fai una richiesta in base alle leggi marittime internazionali e invii informazioni alle autorità non ricevi risposta o addirittura ricevi una risposta negativa che non si attiene al diritto internazionale”.

La capitana della Sea Watch ha in seguito raccontato delle istruzione paradossali ricevute dalle autorità libiche, paese da cui scappano la gran parte dei rifugiati: “La Guardia Costiera libica, che ci dice di portare i migranti in Libia, agisce in violazione della Convenzione di Ginevra, perché la gente in realtà scappa dalla Libia. Ricevere queste istruzioni e scioccante, e allo stesso tempo hai degli esseri umani sulla nave. Non abbiamo numeri, abbiamo singole persone con storie individuali che sono sempre tragiche e questo mi fa percepire la grandissima disuguaglianza che esiste su questo pianeta”.

La disuguaglianza nel mondo

Sul finire del suo intervento, Carola Rackete si sofferma inoltre sulle enomri ingiustizie che quotidianamente avvengono nel nostro pianeta.

Un pianeta in cui basta essere nati con la cittadinanza del paese sbagliato per vedersi negare i diritti più elementari: “Io per caso ho un passaporto tedesco e quindi posso andarmene ovunque, ma altre persone semplicemente non lo possono fare e a queste persone succede qualcosa di poco umano. Il fatto che l’Europa sia un continente in pace e non possa accettare un po’ di persone è qualcosa che mi sciocca tantissimo, è un qualcosa che mi fa male in quanto cittadina europea. È un po’ come chiedersi dov’è finita la nostra umanità se non possiamo attenerci alle leggi internazionali”.
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Messaggioda Berto » lun dic 16, 2019 10:45 pm

L'emergenza profughi dilaga in Bosnia: ora può esplodere il caos
Giovanni Giacalone
30 novembre 2019

https://it.insideover.com/migrazioni/le ... Y7GuT3HXQk

La situazione per quanto riguarda la presenza di immigrati transitanti tramite la rotta balcanica con l’obiettivo di raggiungere l’Unione europea e bloccati in Bosnia è sempre più problematica. Una vera e propria emergenza umanitaria e sanitaria ma anche una “bomba” che rischia di esplodere a causa delle ingenti difficoltà delle istituzioni bosniache nel fornire un’adeguata risposta alla crisi.

Da quando Croazia, Ungheria e Slovenia hanno chiuso le frontiere, il numero dei migranti bloccati in Bosnia si è alzato vertiginosamente. Del resto non ci si può nemmeno aspettare che sia la Bosnia a prendersi carico di migliaia di immigrati provenienti da Afghanistan, Pakistan, Siria, Turchia e Nord Africa, a prescindere dai 34 milioni di euro stanziato dall’Unione europea a partire dal 2018.

I finanziamenti sono importanti perché, in loro assenza, non si possono istituire le necessarie strutture per poter affrontare il problema. È però altrettanto vero che riversare la responsabilità di gestire il fenomeno sulla Bosnia, limitandosi a fornire fondi, non è certo il modo migliore per risolvere il problema.

La Bosnia-Erzegovina è un Paese che ancora oggi deve far fronte a tensioni etnico-religiose che da sempre la caratterizzano e che tra il 1992 e il 1995 sfociarono in una sanguinosa guerra civile tra musulmani bosniaci, serbo-bosniaci e croato-bosniaci, supportati dai rispettivi attori esterni.

A ciò vanno ad aggiungersi la pesante crisi economica, l’instabilità politica, l’elevato tasso di disoccupazione giovanile, il problema legato alla radicalizzazione di stampo islamista (dalla Bosnia sono partiti circa 350 foreign fighters per unirsi ai gruppi jihadisti in Siria) ed anche discrepanze giuridiche che hanno recentemente portato all’impossibilità, da parte di un tribunale di Velika Kladusa, di condannare un cittadino algerino di omicidio in quanto, secondo il parere della corte, non vi era modo di stabilire con certezza l’identità dell’imputato. Una dinamica dalla quale si sono però discostate altre corti come quella di Tuzla e di Una-Sana.

Vi è in aggiunta un’ulteriore problematica, di non poco conto, che riguarda la struttura decentrata del governo bosniaco. Una decisione presa “a monte” potrebbe dunque non essere necessariamente implementata “a valle”, come già illustrato a Euronews dal coordinatore dei Balcani occidentali per l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim), Peter Van der Auweraert: “Abbiamo dovuto farci strada attraverso il governo federale, il governo statale, le autorità comunali e quelle municipali”.

Van der Auweraert ha poi illustrato come la decisione sull’assegnazione di alloggi venga presa a livello statale, mentre quella di chiuderli può essere presa anche da istituzioni locali, come nel caso della chiusura del campo di Bira, vicino Bihac. Del resto a livello locale sono ben pochi i politici disposti a schierarsi a favore dell’apertura di campi profughi sul proprio territorio.

Un caso esemplare di campo profughi totalmente allo sbando è quello di Vucjak, allestito in maniera improvvisata dal consiglio comunale di Bihac nel momento in cui la popolazione locale ha iniziato a rivoltarsi contro la crescente presenza di immigrati. Il sito, precedentemente utilizzato come discarica, è a pochi chilometri da quel confine croato tanto ambito dagli immigrati. Privo di acqua ed elettricità, il campo può contenere all’incirca duemila persone, ma ve ne sono altrettante che dormono all’esterno e che cercano quotidianamente di fare ingresso al suo interno.

Secondo i dati forniti dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), dal 2018 sarebbero più di 40mila gli immigrati registrati in Bosnia mentre attualmente sarebbero circa 7mila quelli in transito. MSF ha invece reso noto che soltanto nel 2019 sarebbero arrivati in Bosnia circa 20mila profughi. Chiaramente, l’obiettivo di tutti è quello di riuscire a raggiungere l’Unione europea.

La Bosnia si fa oggi carico di più della metà degli immigrati presenti nell’area balcanica, trovandosi del resto al centro della cosiddetta “rotta balcanica”. È impossibile anche solo lontanamente pensare che il paese balcanico possa farsi carico da solo di un fenomeno così complesso e sarebbe forse il caso di affrontare il problema a monte, nei luoghi di partenza di tali flussi. Non va inoltre dimenticato che il rischio d’infiltrazione di jihadisti di ritorno all’interno di tali flussi è particolarmente elevato, con tutte le relative e possibili conseguenze per i Paesi della penisola balcanica e per l’Unione europea.
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Messaggioda Berto » lun dic 16, 2019 10:45 pm

Migrazioni
Mauro Indelicato
16 dicembre 2019


https://it.insideover.com/migrazioni/nu ... z3TK1sq9Ko


“Abbiamo raggiunto il limite”: è questo l’annuncio dato nelle scorse ore dal governo greco, il quale ha messo in guardia circa la possibilità di continuare a far fronte al continuo flusso migratorio proveniente principalmente dalla Turchia. E adesso sull’Europa sembra calare una nuova “bomba migratoria”, con Atene pronta a chiedere massima solidarietà da parte di tutti gli altri Paesi comunitari.

I numeri delle rotte orientali

C’è una cifra in particolare che ha fatto impallidire autorità greche e responsabili internazionali della gestione dei flussi migratori: 10.551, è il numero dei migranti entrati in Grecia nel solo mese di settembre. Per dare l’idea, in Italia nel corso dell’intero anno sono entrati complessivamente poco più di 11mila migranti. In un solo mese, nelle isole dell’Egeo sono arrivati tanti migranti quanti ne sono entrati nel nostro Paese in tutto il 2019. Ma non solo: 10.000 è anche il numero di persone che il governo guidato da Kyriakos Mitsotakis, eletto a luglio, è riuscito faticosamente a trasferire sulla terraferma. Con alcune nuove norme che hanno previsto un importante giro di vite sulla gestione dell’immigrazione e della sicurezza, Atene ha fatto in modo per l’appunto che 10.000 migranti potessero lasciare le isole dell’Egeo e raggiungere strutture più attrezzate della Grecia continentale.

Sforzi importanti, che però non sono serviti a nulla visto che, come detto, nel solo mese di settembre è arrivato lo stesso numero di migranti partito verso la terraferma. In totale, come ha fatto sapere il governo greco e come sottolineato nelle scorse ore anche da un servizio della Bbc, sono 40mila i migranti all’interno dei campi profughi delle isole elleniche, sempre più difficili da gestire. Nella Grecia continentale sono presenti altri 50mila migranti, per un totale di 90mila persone di cui l’esecutivo di Mitotakis deve farsi carico. Dalla Grecia a Cipro la situazione appare la stessa: anche sull’isola i numeri appaiono impietosi, segno di come è l’intera rotta del Mediterraneo orientale ad essere tornata vicina alla situazione di emergenza vissuta qualche anno fa. Il governo di Nicosia ha di fronte una situazione potenzialmente esplosiva: “A questo ritmo avremo 100mila rifugiati e migranti economici entro i prossimi cinque anni e già oggi abbiamo il numero pro capite di richieste di asilo più alto di tutta l’Ue”, ha dichiarato il ministro dell’interno Constantinos Petrides.

Le cause dell’emergenza

La rotta orientale si è riaperta: tra il 2015 ed il 2016 la Grecia ha rappresentato un punto di partenza per quella che ha preso poi il nome di “rotta balcanica“. In pochi mesi dalla Turchia sono sbarcati migliaia di migranti, più di mezzo milione, molti dei quali dalla penisola ellenica sono risaliti verso quella balcanica per raggiungere i Paesi del nord Europa. Un fenomeno che ha destabilizzato politicamente diversi governi, alcuni dei quali, come quello ungherese guidato da Viktor Orban, hanno deciso il congelamento della frontiere. Questo ha fatto sì che la Grecia abbia iniziato a trattenere un buon numero di migranti sbarcati nelle isole dell’Egeo. Il Paese, in grave crisi economica, non ha mai avuto mezzi e uomini sufficienti ad affrontare la situazione. E così in tanti hanno iniziato ad affollare improvvisati campi profughi. Nel 2016 l’Ue, su spinta di una Germania anch’essa in crisi per l’alto numero di migranti arrivati, ha deciso di stipulare un accordo con la Turchia: tre miliardi di Euro all’anno in cambio del trattenimento dei rifugiati siriani nel territorio del Paese anatolico.

La rotta balcanica si è subito ridimensionata, in Grecia gli arrivi sono drasticamente calati. Ma adesso, come detto, il contesto è nuovamente in procinto di mutare: dalla Turchia si è tornati a partire ed Atene ora denuncia un possibile collasso nella gestione dell’emergenza. Del perché il flusso migratorio nel Mediterraneo orientale è tornato ad essere preoccupante possono essere messe sul piatto diverse spiegazioni. A partire dalle minacce di Erdogan nei mesi scorsi: Grecia e Turchia di recente sono ai ferri corti per il memorandum firmato da Ankara e Tripoli che ridisegnano i confini marittimi e taglia fuori Atene dalle rotte commerciali del Mediterraneo orientale. Ma già da questa estate le tensioni erano latenti per via della crisi innescata dalle pretese turche di sfruttare, per tramite della repubblica turca di Cipro, i giacimenti di idrocarburi a largo delle coste cipriote. E quando l’Ue ha imposto (modeste) sanzioni, Erdogan ha minacciato la riapertura delle rotte migratorie.

E sembra che quelle “promesse” oggi siano state mantenute. Il governo greco ha sottolineato come, a partire dal mese di luglio, non è passato giorno senza contare almeno uno sbarco nelle isole dell’Egeo. Il premier Mitsotakis ha approvato una serie di misure volte a potenziare i controlli ed a destinare maggior personale al controllo delle frontiere ed agli uffici per le pratiche relative alle domande di diritto d’asilo. Ma oramai, secondo il governo ellenico, da sola Atene non può più andare avanti. E la situazione, anche a livello europeo, è destinata a complicarsi.
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Re: A ciascuno la sua casa, il suo paese e il suo continente

Messaggioda Berto » dom dic 22, 2019 11:11 pm

Migranti: Rutte, Schengen in pericolo
(ANSA) - BRUXELLES, 21 DIC 2019

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2 ... UYDJmAuZpM

L'area Schengen "è in pericolo", "i Paesi alle frontiere esterne" dell'Unione europea "devono distinguere fra i veri richiedenti asilo e i migranti economici", "non dovrebbero lasciar passare questi ultimi. Se ciò non avviene, non si può continuare con Schengen.
L'immigrazione sarà il tema principale del prossimo anno in Europa". Così il premier olandese Mark Rutte in un'intervista pubblicata dal quotidiano De Telegraaf. "Ora vediamo dei poveri migranti che camminano in giro per l'Europa e in parte finiscono in Francia e nei Paesi bassi", ha dichiarato Rutte, "ne sto discutendo con il presidente francese Macron e questa settimana ne ho parlato anche con un gruppo di ambasciatori". Alla domanda se una sospensione di Scehngen significhi una reintroduzione dei controlli alle frontiere, Rutte risponde: "non per forza in Olanda e non sto neanche dicendo che dovremmo annullare Schengen, ma comunque il sistema è in pericolo".
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Re: A ciascuno la sua casa, il suo paese e il suo continente

Messaggioda Berto » gio feb 06, 2020 4:38 am

Romania, un villaggio si ribella contro l'arrivo di due lavoratori immigrati
Gerry Freda - Mer, 05/02/2020

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/ro ... 3GglzVXh7Y

L’arrivo degli immigrati nella cittadina è stato bollato dalla gente di Ditrau come un “pericolo” per la sicurezza e le tradizioni della comunità

In un villaggio romeno è scoppiata una vera e propria “rivolta” contro l’assunzione, da parte di un panificio locale, di due lavoratori immigrati.

Nel comune di Ditrau, in una porzione di Transilvania abitata in maggioranza da individui di etnia ungherese, centinaia di residenti hanno infatti iniziato lunedì, riferisce Euronews, a manifestare contro l’arrivo nel paese, di circa 5mila anime, di due cittadini dello Sri Lanka.

Questi ultimi, precisa l’emittente, sono stati legalmente assunti dall’esercizio commerciale, situato nel centro della cittadina, attraverso un'agenzia di reclutamento.

Contro la presenza nel villaggio di tali stranieri, rimarca l’organo di informazione, sono scesi in piazza 350 persone del posto, sostenendo che l’apertura di Ditrau agli immigrati rappresenterebbe “un pericolo per la sicurezza della comunità e per le sue tradizioni culturali”.

Tra le voci dei manifestanti citate dal network, vi è, ad esempio, quella di una signora che afferma:“Facciamo finta che altri imprenditori assumano, per esempio, sei lavoratori stranieri qui nel nostro villaggio. Dopo due anni, questi sei porteranno qui le proprie famiglie, e dopo altri quattro o cinque anni ci ritroveremo circondati da soggetti di colore. Ecco di cosa abbiamo paura. Non abbiamo paura dei due uomini dello Sri Lanka, ma delle conseguenze del loro arrivo”.

La protesta anti-migranti della gente di Ditrau ha immediatamente suscitato l’indignazione del Consiglio nazionale rumeno per la lotta alla discriminazione (Cncd), che, fa sapere Euronews, ha presentato di conseguenza alla magistratura una denuncia per incitamento all'odio e alla discriminazione etnica. Sul recente episodio di intolleranza verificatosi in Transilvania, puntualizza il medesimo organo di informazione, gli inquirenti locali avrebbero già aperto un fascicolo.

A difesa dei due lavoratori singalesi neoassunti si è schierata anche Violeta Alexandru, ministro del Lavoro di Bucarest, che, riporta l’emittente, ha biasimato l’insofferenza degli abitanti di Ditrau verso i nuovi dipendenti del panificio: “Mi sorprende l'atteggiamento di quella comunità nei confronti di due persone che vogliono lavorare qui. Forse si dimenticano che molti rumeni lavorano all'estero e rischiano di essere trattati allo stesso modo”. La donna ha contestualmente annunciato l’invio degli ispettori ministeriali nella località della Transilvania.

I moti anti-immigrati che stanno segnando il comune in questione hanno inoltre spinto l’ambasciatore dello Sri Lanka in Romania, evidenzia Euronews, ad attivarsi a tutela di quei due suoi connazionali, contattando il panificio per verificare le condizioni di vita di questi ultimi e per fornire loro assistenza consolare.

Contro la narrazione secondo cui la gente di Ditrau e della Transilvania a maggioranza ungherese sarebbe razzista è invece sceso in campo, fa sapere l’emittente, il partito Unione Democratica Magiara di Romania (UDMR). Tale movimento, che vanta trenta seggi al parlamento di Bucarest, ha infatti, per bocca del suo deputato Bende Sandor, preso le difese dei promotori delle recenti proteste anti-stranieri.

Ad avviso del politico, precisa il network, quanto accaduto in questi giorni nel comune di circa 5mila anime non avrebbe affatto connotati discriminatori:“Non ho notato tendenze xenofobe durante il raduno. Sembra più un conflitto tra i proprietari delle aziende e la gente del posto”.

Per il momento, riferisce l’organo di informazione, i due singalesi restano impiegati presso la panetteria della discordia e il titolare dell’esercizio commerciale avrebbe attestato di non volere cedere alle pressioni popolari.

Secondo Deutsche Welle, la ribellione andata in scena nel villaggio della Transilvania magiara sarebbe un effetto dell’attività del premier di Budapest Viktor Orban diretta a propagandare all’estero, in particolare verso le regioni abitate da popolazioni di etnia ungherese, la propria “ideologia illiberale”.
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Re: A ciascuno la sua casa, il suo paese e il suo continente

Messaggioda Berto » mar apr 07, 2020 8:08 pm

L'invasione clandestina è un crimine sempre anche attraverso la frode dell'asilo politico, dell'aiuto umanitario di massa e l'abuso del soccorso in mare
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 4996565359
Nel rispetto in primo luogo dei diritti umani, civili e politici dei cittadini europei e questa invasione è un crimine, una mancanza di rispetto una violenza uno strupro etnico, civile, umano e politico a danno dei cittadini europei.
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Re: A ciascuno la sua casa, il suo paese e il suo continente

Messaggioda Berto » mar apr 07, 2020 8:09 pm

Noi siamo europei e bianchi e l'Europa è la nostra terra, il nostro continente!
https://www.facebook.com/groups/3389296 ... 858725737/

https://www.facebook.com/DirittiUmanide ... 6175194568


Noi siamo europei e bianchi e l'Europa è la nostra terra, il nostro continente!
Bianchi ci ha fatto la natura e la storia millenaria dell'uomo e bianchi ci piace essere e restare.
I verdi i rossi i neri e i gialli se desiderano venire in Europa lo possono fare chiedendoci il permesso e debbono essere estremamente rispettosi e riguardosi verso di noi se no aria, il Mondo è grande e possono sempre tornare a dove sono venuti!
Se non vi piace il colore della nostra pelle e l'odore dei nostri corpi state lontano da noi e dalla nostra vista,
andatevene e tornate ai vostri paesi di origine che nessuno vi trattiene da noi.

Siamo stanchi di essere demonizzati
perché bianchi e occidentali;
perché secolarizzati, laici, atei o aidoli e non più religiosi,
perché trasformiamo la terra con il nostro lavoro e beneficiamo così l'intera umanità;
siamo stanchi di essere discriminati, di subire le vostre invasioni, di dovervi ospitare e mantenere e di essere da voi disprezzati, stuprati e uccisi, come se fossimo meno delle bestie o fossimo delle mostruosità umane a cui ogni male è lecito fare;
siamo stanchi di essere accusati di aver invaso, colonizzato, depredato, schiavizzato e sterminato perché se nel passato qualcuno e solo qualcuno di noi l'ha fatto, non ha fatto altro che fare come hanno sempre fatto gli uomini in ogni continente, solo che noi nei secoli siamo cambiati e migliorati e certe cose non le facciamo più, altri invece continuano a farle e non accennano a cambiare.

La nostra Europa è la terra dell'uomo di buona volontà e la sua spiritualità è quella naturale e universale che ci è stata data in dote con la creazione e l'evoluzione che ispira la scienza e il lavoro; la vita e non la morte è la nostra religione.
Ovunque nel Mondo ove nel passato sono migrati gli Europei, colonizzando interamente le terre e i paesi, quei luoghi oggi sono tra i più civili e prosperi della Terra come l'Australia, la Nuova Zelanda e l'America del Nord.

Nel nostro continente vi è naturalmente posto per le ragionevoli religiosità ebraica e cristiana che hanno contribuito alla nostra civiltà europea ma non vi può essere posto alcuno per le idolatrie mostruose, incivili e disumane come quella nazi maomettana, non vi può essere posto alcuno per presuntuosi ignoranti e invasati razziatori, discriminatori, assassini e stragisti come Maometto e i suoi seguaci che hanno già fatto fin troppo del male all'umanità intera in questi 1400 anni di storia, da noi non vi è alcun spazio per deità mostruose e disumane come Allah!
L'Islam o nazismo maomettano questa tribale e incivile ideologia politico religiosa di supremazia e di morte va bandita dal Mondo civile, come andrebbe tacitato e bandito chi irresponsabilmente la santifica come portatrice di fraternità, di spiritualità e di pace.

Noi non dobbiamo niente a nessuno, non dobbiano scontare alcuna colpa e alcuna pena, non dobbiamo ripagare/risarcire chichessia di alcun danno, non abbiamo promesse e obblighi e doveri da mantenere se non quelli che assumiamo liberamente e volontariamente verso chi ci rispetta, ci ama e merita il nostro aiuto.
Chi viene da noi con rispetto chiedendoci il permesso e che poi ci ama e si integra è ben accetto come uno di Noi, tutti gli altri assolutamente no, questi vanno respinti e cacciati o espulsi.
Noi siamo uomini liberi, siamo bianchi, europei e occidentali e l'Europa è la nostra terra, chi non ci rispetta e non ci ama ci faccia il piacere di levarsi di torno, noi ci piaciamo così come siamo e vogliamo continuare ad esserlo finché la vita e Dio lo vorranno.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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