Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » lun gen 21, 2019 2:58 am

Gli ebrei d'Israele non hanno rubato e occupato alcuna terra altrui
viewtopic.php?f=205&t=2825



Gli ebrei d'Israele non hanno rubato e non hanno occupato nessuna terra altrui, nessuna terra palestinese poiché tutta Israele è la loro terra da 3mila anni e la Palestina è Israele e i veri palestinesi sono gli ebrei più che quel miscuglio di etnie legate dalla matrice nazi maomettana abusivamente definito "palestinesi" e tenute insieme dall'odio per gli ebrei e dai finanziamenti internazionali.



OGNI TANTO È BENE RINFRESCARE LA MEMORIA
Indro Montanelli

"Che i profughi palestinesi siano delle povere vittime, non c'è dubbio. Ma lo sono degli Stati Arabi, non d'Israele. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta.
Oggi, ubriacato da una propaganda di stampo razzista e nazionalsocialista, lo sciagurato fedain scarica su Israele l'odio che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nell'altro, bisognerà pure risolverlo. Ma non ci si venga a dire che i responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e giuridicamente falso."
La terra di Israele è sempre stata la terra degli ebrei. Se leggiamo le descrizioni di Gerusalemme fatta nel 1800 da Marx e Mark Twain, leggiamo di "una città povera e miserabile abitata nella parte Est, interamente, da ebrei poveri e miserabili che erano sempre vissuti lì, da tremila anni". Gli arabi erano sì in leggera maggioranza numerica ma in gran parte erano nomadi senza terra, l'unica vera comunità stanziale era quella ebraica che abitava le stesse case da migliaia di anni.
Gli ebrei sionisti emigrati nel '900 si sono massacrati a dissodare, irrigare, fabbricare desalinizzatori, sono morti a migliaia di stenti e di malaria, parassitosi, colera, ameba, tifo, setticemia e tetano. Sono morti a decine di migliaia, ma poi hanno vinto, il deserto è fiorito, dove cerano lande desolate è nato un paese di filari di vite e di limoni.
Per poter di nuovo odiare gli ebrei è violato il diritto civile, che per dirla con un toscanismo si riassume in "chi vende, poi, non è più suo". Gli arabi la loro terra se la sono venduta, prima ai sionisti facendola pagare carissima, poi alla comunità internazionale intascando 66 anni di fiumi di denaro per risarcirgli il "dolore" di aver perso 20.000 chilometri quadrati di terra che non è mai stata loro, meno del Piemonte, che quando c'erano loro era un terra di sassi, paludi e scorpioni.




Israele, il paese degli ebrei, è una buona democrazia e una grande civiltà
viewtopic.php?f=197&t=2157

Democrazia etnica, apartheid e dhimmitudine
viewtopic.php?f=141&t=2558

Demografia storica ed etnica in Giudea, Palestina, Israele lungo i millenni
viewtopic.php?f=197&t=2774
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » lun gen 21, 2019 2:59 am

Non vi è alcuna occupazione della Palestina da parte degli ebrei e di Israele
https://www.facebook.com/david.rakas.94 ... 8193280345

Spesso i bambini e i ragazzi palestinesi nazi maomettani vengono imbottiti di esplosivo dai loro demenziali genitori per tentare poi tentano di ammazzare qualche israeliano ebreo facendoli esplodere in mezzo a loro e prendersi la pensione da Hamas finanziata anche con i contributi europei.

L'antisemitismo è diventato divertente. Questa parodia della cantante israeliana Netta è stata appena trasmessa dalla tv pubblica olandese. Si ride, si balla e dietro scorrono le immagini di Gaza. Le parole sembrano scritte dal ministro della Propaganda nazista Goebbels:

“Guardatemi, siamo una nazione così carina!
I leader di tutto il mondo mangiano dalla mia mano!
Faccio scomparire tutti i fuochi con un bacio!
Facciamo un party, vuoi venire?
Presto nella Moschea di al Aqsa, che sarà presto vuota!
Da Haifa al Mar Morto, c'è cibo kosher!
Vieni a ballare con me!
Il tuo paese è circondato da lanciatori di pietre?
Costruisci mura come Trump sogna e spara loro i missili!
Israele sta vincendo!
70 anni di celebrazioni, guarda come è meraviglioso!
Non consentirò ai palestinesi di entrare!
Sono un cane che respinge i palestinesi!
La vostra festa è stata rovinata dagli estremisti?
Aprite un'altra ambasciata e fateci su più dollari”.

Non è uno spasso?

https://www.facebook.com/giulio.meotti/ ... 6038483848
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » lun gen 21, 2019 3:00 am

Calunnie e falsità nazi-palestinesi contro Israele e gli ebrei
viewtopic.php?f=196&t=2824


Abominevoli falsità propagandistiche propalestinesi e antisraeliane

A me, alla mia gente, al mio paese e all'umanità intera gli ebrei e Israele, nei millenni, non hanno mai fatto del male, anzi hanno fatto del bene e sono uno dei popoli e dei paesi più umani e civili della terra;
al contrario dei nazi maomettani con la loro idolatria terrificante e disumana e il il loro violento espansionismo politico religioso teocratico, tra cui i cosidetti impropriamente palestinesi con la loro incivile disumanità maomettana e antisemità.


Chi non ama e non rispetta gli ebrei e Israele è molto più disumano di che non ama e non rispetta gli animali.
Amare e rispettare gli ebrei e Israele che sono uno dei popoli e dei paesi più umani, civili e democratici della terra, è indice e garanzia di umanità, di civiltà e democraticità come null'altro al mondo.

Io sono veneto e non ho e non trovo alcuna ragione per non amare e rispettare gli ebrei e Israele che è il loro paese come il nostro è il Veneto.
Noi veneti abbiamo avuto secoli di esperienza con gli ebrei e abbiamo potuto verificare personalmente e quotidianamente che sono tra gli uomini e i popoli più umani e civili della terra, lo sono stati anche come operatori economici e banchieri, prima come non cittadini segregati nei ghetti e poi come liberi cittadini in mezzo a noi.
Noi veneti non abbiamo memoria alcuna che gli ebrei ci abbiano mai fatto in qualche modo del male come invece ci hanno fatto abbondantemente molti altri tra cui i cristiani, gli zingari e i nazi maomettani:

gli ebrei non ci hanno mai aggredito militarmente;
non ci hanno mai ostacolato politicamente e come tanti altri veneti hanno appoggiato le istanze di evoluzione democratica;
non ci hanno mai derubato e imbrogliato come singoli e come banchieri, non hanno mai praticato tassi di usura come quelli dei banchieri cristiani;
mai nessun ebreo ci ha rapinato, truffato, stuprato, schiavizzato, ucciso, ..., non si trova alcuna traccia in tal senso, nelle cronache giudiziarie delle nostre città.

I cristiani che si scagliano contro gli ebrei per la loro ragionevole religione e che invece solidarizzano con i nazi maomettani e la loro idotratia islamica dell'orrore e del terrore che ha seminato e semina ogni giorno morte in tutto il mondo non si accorgono che in tal modo fanno un gran male a se stessi e a tutta l'umanità.
Così è anche per coloro che si scagliano contro Israele e appoggiano i nazi maomettani palestinesi, siriani, libanesi, iraniani, ... e tutti coloro che vivono in Europa e in America, che assediano e aggrediscono quotidianamente Israele, gli israeliani e gli ebrei dei mondo che desiderano solo poter vivere in pace al loro paese e altrove nel mondo come lo desidera ogni buon uomo della terra.

Israele è un dei pochi paesi/stati al mondo che non ha mai fatto guerre imperialiste di espansione, coloniali e predatorie ma solo guerre per legittima difesa dall'aggressione dei vicini nazi maomettani che vorrebbero la sua distruzione.

Israele non ha nulla contro i veneti e il Veneto e nemmeno avrebbe da ridire se i veneti esprimessero a maggioranza una volontà d'indipendenza visibile al mondo; non mi è mai capitato di sentire qualche ebreo israeliano che si esprimesse contro i veneti e il loro desiderio minoritario di indipendenza dallo stato italiano; il fatto è che la volontà indipendentista è talmente minoritaria che non può essere presa in considerazione da Israele come da qualsiasi altro stato del mondo.
Che poi vi siano degli ebrei italiani che allo stesso modo di tanti veneti italiani e cristiani italiani siano contro l'indipendenza dei veneti questo è vero come è vero che vi sono ebrei italiani, cristiani italiani e veneti che sono contro Israele e che demenzialmente sostengono i nazi maomettani palestinesi, siriani e iraniani.

Per me gli ebrei e Israele in Medio oriente sono il bene e i nazi maomettani palestinesi, siriani, giordani, iraniani, iracheni, egiziani, ..., che vorrebbero distruggere Israele e sterminare gli ebrei e, perseguitare-cacciare o uccidere ogni diversamente religioso e pensante sono il male, il male assoluto.
Per me difendere Israele i suoi ebrei equivale a difendere i valori/i doveri/i diritti umani universali, la cultura e la civiltà del rispetto per la diversità, dell'amore per la libertà e la responsabilità umane, della vita.

Cosa vi è di più assurdo della demenza dei cristiani che odiano gli ebrei e Israele che a loro fanno unicamente del bene e che amano i nazi maomettani che invece li perseguitano e uccidono in tutti i paesi a dominio islamico e anche in Occidente dove predominano i cristiani?



Amare e rispettare gli ebrei e Israele è una gioia, una necessità, un dovere, fondamento di umanità, di civiltà e di libertà
viewtopic.php?f=131&t=2785
https://www.facebook.com/groups/2376236 ... 1981597548
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » lun gen 21, 2019 3:01 am

I sionisti hanno rubato la terra dei palestinesi?

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 0472419360

Una delle più grandi menzogne create dalla propaganda araba è che "i sionisti hanno rubato la terra dei palestinesi. Una colossale bugia.

Quello che è certo e che nessuno può confutare è che sono i musulmani che nel 637 hanno invaso e rubato quella che era storicamente la terra degli ebrei e successivamente anche dei cristiani, conquistandola con la forza e le guerre sante. Il discorso prescinde dal fatto che gran parte degli ebrei se ne fossero andati già durante le varie diaspore e a causa delle continue invasioni da parte di un pò tutti. Nonostante le invasioni gli ebrei sono l'unico popolo che è rimasto ininterrottamente in Palestina da quando ce li portò Mosè fino quando nel 1948 fu fondato lo stato di Israele.

Un pò di storia. L'espansionismo arabo e musulmano non ha avuto limiti, fino al 600 gli arabi erano solo in regioni dell'Arabia Saudita, con la nascita dell'Islam hanno invaso, occupato e annientato intere etnie e culture, dall'Oceano Atlantico all'Oceano Indiano al Pacifico.

Tanto per fare un esempio, a noi oggi ci sembra normale che in Egitto ci siano gli arabi ma in realtà quelli chiamiamo "egiziani" sono appunto arabi, un popolo invasore che ha quasi totalmente cancellato le etnie e le culture precedenti. Fino al 600 l'Egitto era uno dei paesi più cristiani, popolato da un'etnia discendente dagli antichi faraoni, era una popolazione totalmente diversa da quella araba (http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/…/Fayum-39.jpg ) che parlava egiziano e non arabo e che - dopo la caduta in disuso dei geroglifici - scriveva in egiziano usando l'alfabeto greco.

Oggi gli unici discendenti rimasti dei veri egiziani sono quelli che oggi vengono chiamati "Cristiani Copti", una piccolissima minoranza discriminata e sottomessa dalla maggioranza araba-musulmana. Il termine latino "copto" deriva dal greco "còptos" che deriva dall'arabo "qubt", ovvero il temine che inizialmente usavano gli arabi per definire gli "egiziani". Questa premessa solo per far capire che è evidenti ragioni cronologiche sono sempre gli arabi musulmani che hanno invaso e distrutto, gli ebrei e i cristiani già c'eran, sono i musulmani che sono arrivati dopo come spietati colonizzatori, pure in Europa, pure in Spagna (al-Andalus) e Sicilia (Siqilliyya) che ancora oggi considerano delle terre sante dell'Islam da strappare agli infedeli.

Ritorniamo alla Palestina moderna. All’inizio del ‘900 in tutta la Palestina ci sono poche migliaia di abitanti. Motivo per cui il motto del sionismo è "Un popolo senza terra per una terra senza un popolo".

Quando i sionisti sono emigrati in Palestina quella terra malsana e deserta l'hanno legalmente comprata a dei prezzi esorbitanti, anche cento volte il loro valore reale. La maggioranza degli arabi erano nomadi che non possedevano un bel nulla. Gli ebrei la terra la comprarono attraverso dei regolari contratti dagli sceicchi e dai pochi grandi latifondisti arabi che possedevano legittimamente quasi tutte le terre.

Gli stessi latifondisti arabi che poi furono massacrati insieme agli ebrei dai nazionalisti arabi guidati dai fondamentalisti islamici e antisemiti come Amin al-Husseini che oltre che l'autore delle stragi di ebrei di Hebron del 1920 e 1929 fu anche il mandante degli omicidi decine di latifondisti e politici arabi moderati, lo stesso al-Husseini (zio e maestro di Arafat) che poi a partire dal 1933 fu il più fedele alleato di Hitler nella campagna per lo sterminio degli ebrei.

Tutto questo lo riassume così Indro Montanelli sul Corriere della Sera il 16 settembre 1972:

"Che i profughi palestinesi siano delle povere vittime, non c'è dubbio. Ma lo sono degli Stati Arabi, non d'Israele. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta.

Oggi, ubriacato da una propaganda di stampo razzista e nazionalsocialista, lo sciagurato fedain scarica su Israele l'odio che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nell'altro, bisognerà pure risolverlo. Ma non ci si venga a dire che i responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e giuridicamente falso."

Al termine di questo post troverete l'illuminante articolo integrale di Montanelli.

La terra di Israele è sempre stata la terra degli ebrei. Se leggiamo le descrizioni di Gerusalemme fatta nel 1800 da Marx e Mark Twain, leggiamo di "una città povera e miserabile abitata nella parte Est, interamente, da ebrei poveri e miserabili che erano sempre vissuti lì, da tremila anni". Gli arabi erano sì in leggera maggioranza numerica ma in gran parte erano nomadi senza terra, l'unica vera comunità stanziale era quella ebraica che abitava le stesse case da migliaia di anni.

Gli ebrei sionisti emigrati nel '900 si sono massacrati a dissodare, irrigare, fabbricare desalinizzatori, sono morti a migliaia di stenti e di malaria, parassitosi, colera, ameba, tifo, setticemia e tetano. Sono morti a decine di migliaia, ma poi hanno vinto, il deserto è fiorito, dove cerano lande desolate è nato un paese di filari di vite e di limoni.

Per poter di nuovo odiare gli ebrei è violato il diritto civile, che per dirla con un toscanismo si riassume in "chi vende, poi, non è più suo". Gli arabi la loro terra se la sono venduta, prima ai sionisti facendola pagare carissima, poi alla comunità internazionale intascando 66 anni di fiumi di denaro per risarcirgli il "dolore" di aver perso 20.000 chilometri quadrati di terra che non è mai stata loro, meno del Piemonte, che quando c'erano loro era un terra di sassi, paludi e scorpioni.

Vi riporto le parole che Re Feisal al Hashemi, re dell’Iraq, scrive a Londra nel 1919:

“Quando gli Ebrei rientreranno in Palestina daremo loro un clamoroso benvenuto. Noi Arabi, tutti e a maggior ragione quelli colti, consideriamo con la più grande simpatia il movimento sionista. Lavoreremo insieme per un nuovo Medio Oriente, c’è abbastanza posto in Palestina per entrambi. Penso sinceramente che non possiamo non riuscire assieme.”

I “palestinesi” in Palestina non c’erano. Quelli che oggi si vantano di essere "palestinesi" sono in gran parte degli immigrati arabi provenienti da altri paesi: Giordania, Siria, Iraq, Egitto, Arabia Saudita etc. Basta vedere i leaders palestinesi, tranne Abu mazen non uno solo di loro è nato Palestina, tutti nati altrove a partire dall'egiziano Arafat nato e vissuto al Cairo fino alla maggiore età.

La maggioranza degli arabi che oggi si dichiarano "palestinesi" in Palestina ci sono arrivati solo dopo il 1916, dopo che gli inglesi "liberarono" la Palestina da 400 di anni di dominazione dell'Impero Turco Ottomano, ci arrivarono in gran parte negli negli anni Venti e Trenta, portati dagli inglesi del Mandato Britanni per lavorare per loro.

Ci sono arrivati quando gli ebrei avevano già "dissodato", approfittando dell’acqua e delle fogne che altri avevano creato e che permettevano anche ai loro bambini di vivere meglio. E i sionisti, che erano socialisti, che credevano nell’uomo e nella fratellanza dei popoli, li hanno accolti a braccia aperte, e hanno vaccinato i loro bambini e insieme hanno cominciato a costruire un paese che sarebbe stato il paese del miracolo, dell’abbondanza e della fratellanza.

Nella maggioranza dei casi, chi oggi si dichiara "palestinese" altro non è che un immigrato arabo in Palestina. Approfittando del fatto che sono arabi hanno lasciato credere di essere sempre stati in Palestina quando in realtà la maggioranza di loro ci sono arrivati tra il 1916 e il 1948, ne più ne meno come la maggioranza degli immigrati ebrei che però lor chiamano "invasori sionisti".

Dal 1515 al 1916, per ben 400 anni, la Palestina è stata solo una misera regione dell'Impero Turco Ottomano



Israele è stato comprato, non rubato
Daniel Pipes
25 giugno 2011

https://it.danielpipes.org/9941/palesti ... acquistato

"I sionisti hanno rubato la terra dei palestinesi". È questo il mantra che l'Autorità palestinese e Hamas insegnano ai loro bambini e diffondono nei media. Quest'asserzione riveste un'enorme importanza, come spiega Palestinian Media Watch: "Presentare la creazione dello Stato [israeliano] come un atto di ladrocinio e la sua esistenza come un'ingiustizia storica funge da base per il non-riconoscimento da parte dell'Ap del diritto d'Israele ad esistere". L'accusa di furto mina altresì la posizione dello Stato ebraico a livello internazionale.

Un'immagine palestinese: uno squalo-Stella di David divora la Palestina.

Ma quest'accusa è fondata?

No, non lo è. Paradossalmente, la costruzione di Israele è l'esempio della più tranquilla ondata di immigrazione e della più pacifica creazione dello Stato della storia. Per comprenderne il motivo, occorre vedere il sionismo nel suo contesto. In poche parole, la conquista è la norma storica. Ovunque, il potere è stabilito con l'invasione e quasi tutti gli Stati sono stati fondati a spese di un altro. Nessuno comanda a tempo indeterminato, le radici di tutti riconducono altrove.

Le tribù germaniche, le orde dell'Asia Centrale, gli zar russi e i conquistadores spagnoli e portoghesi hanno ridisegnato le carte geografiche. I greci moderni hanno un debole collegamento con i greci dell'antichità. Chi può contare il numero di volte in cui il Belgio è stato invaso? Gli Stati Uniti sono nati sconfiggendo i Nativi americani. I re hanno razziato l'Africa, gli Ariani hanno invaso l'India. In Giappone, coloro che parlavano Yamato hanno eliminato tutti i piccoli gruppi come gli Ainu.

Il Medio Oriente, grazie alla sua centralità e alla geografia, ha subito un eccessivo numero d'invasioni, tra cui quella greca, romana, araba, dei Crociati, selgiuchide, timuride, mongola e degli europei moderni. In seno alla regione, le lotte dinastiche hanno costretto lo stesso territorio a essere conquistato e riconquistato, come nel caso dell'Egitto, ad esempio.

Gerusalemme ha conosciuto numerose guerre: nel 70 d.C., l'imperatore Tito celebrò la sua vittoria sugli ebrei con la costruzione di un arco di trionfo sul quale sono rappresentati dei soldati romani che trasportano una menorah sottratta dal Monte del Tempio.

La terra su cui ora sorge Israele non ha fatto eccezione. In Jerusalem Besieged: From Ancient Canaan to Modern Israel, Eric H. Cline scrive così di Gerusalemme: "Nessun'altra città è stata più ferocemente contesa nel corso della sua storia". E avvalora quest'affermazione contando "almeno 118 differenti conflitti per e dentro Gerusalemme negli ultimi quattro millenni". Cline calcola che Gerusalemme è stata completamente distrutta almeno due volte, 23 volte assediata, 44 conquistata e 52 attaccata. L'Ap fantastica che i palestinesi di oggi discendono da un'antica tribù cananea, i Gebusiti; però, di fatto, sono nella stragrande maggioranza una progenie di invasori e di immigrati in cerca di opportunità economiche.

Ma in questo quadro di conquiste incessanti, di violenze e di sconfitte, gli sforzi sionisti di stabilire una presenza in Terra Santa fino al 1948 appaiono come sorprendentemente miti, essendo stati i sionisti più mercanti che militari. Due grandi imperi, quello ottomano e britannico, hanno governato Eretz Israel. Al contrario, i sionisti non avevano una forza militare. Non è stato loro possibile diventare uno stato a tutti gli effetti attraverso la conquista.

Piuttosto, hanno acquistato i terreni. L'obiettivo dell'impresa sionista fino al 1948 era di acquisire proprietà dunam dopo dunam, e così per le aziende agricole e le case. Il Fondo nazionale ebraico, istituito nel 1901 per acquistare terreni in Palestina onde "contribuire alla creazione di una nuova comunità di ebrei liberi impegnati in un progetto attivo e tranquillo" era l'istituzione chiave – e non l'Haganà, l'organizzazione clandestina di difesa ebraica fondata nel 1920.

I sionisti hanno focalizzato altresì l'attenzione sul risanamento di ciò che era arido e considerato inutilizzabile. Non solo hanno fatto fiorire il deserto, ma hanno bonificato le paludi e le terre incolte, depurato i canali d'acqua, imboschito le colline spoglie, rimosso le rocce e il sale dal suolo. La bonifica ebraica e le misure igieniche hanno all'improvviso ridotto il numero di decessi per malattie.

Fu solo quando la potenza mandataria britannica rinunciò alla Palestina nel 1948, cui fece subito seguito un ostinato tentativo da parte dei Paesi arabi di annientare ed espellere i sionisti, che questi ultimi impugnarono le armi per difendersi e andarono a procurarsi la terra con la conquista militare. E anche allora, come dimostra lo storico Efraim Karsh in Palestine Betrayed , la maggior parte degli arabi abbandonò le loro terre e solo pochissimi furono costretti ad andarsene.

Questa storia contraddice il racconto palestinese che "le bande sioniste rubarono la Palestina ed espulsero il suo popolo" che ha portato a una catastrofe "senza precedenti nella storia" (secondo un libro di testo dell'Ap per gli alunni di 17-18 anni) o che i sionisti "depredarono la terra palestinese e gli interessi nazionali, fondando il loro stato sulle rovine del popolo arabo palestinese" (scrive un editorialista nel foglio dell'Ap). Le organizzazioni internazionali, gli editoriali dei quotidiani e le petizioni che circolano negli atenei reiterano questa menzogna in tutto il mondo.

Gli israeliani dovrebbero tenere la testa alta e far rilevare che la costruzione del loro Paese fu basata sul movimento più civilizzato e meno violento che abbia mai avuto qualunque popolo nella storia. Le bande non hanno rubato la Palestina: i mercanti hanno acquistato Israele.

Aggiornamento del 21 giugno 2011: Per altri punti non trattati in questo articolo, si veda il pezzo del mio blog, "Supplemento d'informazione riguardo alla questione che i sionisti hanno acquistato Israele e non hanno rubato la Palestina".
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » lun gen 21, 2019 3:01 am

Non serve a niente gridare “Basta con l’occupazione”
Non esistono ricette facili e gli slogan superficiali non aiutano. Vediamo perché Israele non può semplicemente “andarsene” dalla Cisgiordania
Di Peter Lerner
(Da: Haratez, 28.11.18)

https://www.israele.net/non-serve-a-nie ... ccupazione


“Basta con l’occupazione! – mi ha gridato un uomo di mezza età durante una mia recente conferenza – È così semplice, finitela con l’occupazione!”. Siamo nell’era dell’impazienza, nell’era delle risposte istantanee su Twitter, delle notizie a portata di mano, di “pace subito” e così via. Magari fosse così semplice.

Mentre aspettiamo tutti l’”accordo del secolo” del presidente Donald Trump, dobbiamo essere realisti e tenere a mente alcune cose. Non sto parlando dell’eterno dibattito su diritti storici e religiosi: diritti che sono ampiamente menzionati da politici e osservatori, e fonte di ispirazione per tante polemiche, ma che non costituiscono i fattori di real-politik in gioco per arrivare a un accordo definitivo tra israeliani e palestinesi. Sono questioni importanti, ma non servono per capire le sfide e le difficoltà con cui dobbiamo fare i conti, di fronte alla pressante domanda da parte di organizzazioni nazionali e internazionali di “porre fine all’occupazione”.

In Israele, anche quello che ama definirsi “il campo della pace” non dispone di una ricetta pronta per arrivare alla pace: e questo è dovuto al fatto che non riesce a cogliere le vere sfide con cui Israele deve fare i conti.

Vediamo in breve perché Israele non può semplicemente “andarsene” dalla Cisgiordania. Gli impedimenti allo stato attuale sono tre: leadership, geografia e sfiducia.

Propaganda di regime in Iran: “Israele deve essere cancellato dalla faccia del mondo”
...

Innanzitutto vediamo la questione della leadership, o meglio della mancanza di leadership. Il capo palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha 83 anni, ha problemi di salute e nel 2018 è già stato ricoverato diverse volte. Dal 2007 ha autorizzato le sue forze di sicurezza a coordinarsi strettamente con quelle israeliane. Le forze di sicurezza palestinesi cooperano con Gerusalemme non per amore d’Israele, ma per la paura che Hamas si impadronisca della Cisgiordania. Tuttavia, il fatto che Abu Mazen minaccia continuamente di revocare questo coordinamento sulla sicurezza mette Israele in una sorta di limbo, con la conseguente necessità di mantenere un controllo diretto in quest’area così importante per la sua sicurezza nazionale.

Abu Mazen non ha un chiaro successore, e se dobbiamo trarre qualche insegnamento dalla realtà del Medio Oriente dobbiamo mettere in conto una durissima lotta di potere, nel suo campo, una volta che lui sarà uscito di scena. Anche Hamas sta a guardare come una pantera pronta al balzo, in vista della la sfida per la leadership sulla Cisgiordania che si scatenerà nell’Autorità Palestinese.

Nella parte israeliana, Benjamin Netanyahu ha smorzato il sostegno alla soluzione a due stati che aveva espresso nel famoso discorso del 2009 all’Università Bar Ilan. Ora sottolinea il fatto che diversi soggetti intendono cose diverse quando discutono un accordo negoziato in questi termini. E non ha più ripetuto il congelamento per dieci mesi di tutte le attività edilizie ebraiche nei Territori che decretò tra il 2009 e il 2010 con l’intento di rabbonire l’allora presidente americano Barak Obama e di convincere Abu Mazen a tornare al tavolo dei negoziati. Non ottenne né l’una né l’altra cosa, ma pagò un pesante prezzo politico. Oggi nessuno dei contendenti israeliani per la leadership del paese è in grado di proporre un piano alternativo che sia realistico e praticabile, il che lascia poche possibilità di cambiamento nel futuro immediato.

In secondo luogo ci sono la topografia e la geografia, che restano il fattore statico nel dibattito strategico sulla pace con i palestinesi. Giudea e Samaria, cioè la Cisgiordania, costituiscono un crinale montuoso che separa la valle del Giordano dalla piana costiera, dando a Israele quella minima profondità strategica che gli è necessaria per salvaguardare la propria popolazione civile.

Nel cerchio rosso, un aereo civile in decollo dall’aeroporto internazionale Ben-Gurion, visto dalla Cisgiordania. Sullo sfondo, il mar Mediterraneo (clicca per ingrandire)
...


All’ombra delle alture della Cisgiordania, da Haifa a Ashkelon passando per Tel Aviv si trova il 70% della popolazione israeliana e l’80% delle attività economiche israeliane, tra cui centrali energetiche, impianti connessi alle piattaforme off-shore, l’aeroporto internazionale Ben-Gurion. Chiunque controlli quelle alture può imporre il bello e il cattivo tempo a tutto ciò che si trova ai loro piedi. Con le note turbolenze che imperversano in tutta la regione, con i capi iraniani che definiscono Israele un tumore canceroso e guardando alla Giordania come al loro prossimo campo di battaglia per la sovversione del Medio Oriente, quale leadership israeliana potrebbe mai rinunciare a cuor leggero al controllo di sicurezza su una risorsa strategica come la Cisgiordania?

Infine, la sfiducia. I fallimenti e i rifiuti del processo di Oslo, le attività negli insediamenti, le ripetute guerre con Hamas a Gaza e la generale animosità politica lasciano israeliani e palestinesi in uno stato di profonda sfiducia, che non fa che aumentare al perdurare dell’impasse attuale. Affinché lo stato ebraico abbia un vero futuro come tale senza scivolare verso un futuro da “stato unico”, questa questione deve essere affrontata, e prima lo si fa meglio è. La fiducia deve essere costruita con l’aiuto di partner internazionali: governi e ong che operino sul serio in questo senso e non per seminare discordia; attori statali come l’Egitto e la Giordania, e forse qui ha senso che entri in gioco anche l’Arabia Saudita. Bisogna costruite alleanze. Bisogna riaccendere la fiducia in un processo diplomatico, affinché Israele possa tendere la mano di pace e di buon vicinato, in nome del bene comune della regione, che già tendeva nella sua Dichiarazione d’Indipendenza. Bisogna concepire misure di sicurezza e tecnologiche per garantire quella profondità strategica che una soluzione a due stati richiederebbe per la sicurezza di Israele. Bisogna favorire la formazione di una prossima generazione di leader pragmatici da entrambe le parti.

Si deve guardare ai problemi con mente aperta, ma realistica e pratica. Si deve esplorare un percorso che riconosca il patrimonio ebraico in questo Paese, ma prenda atto delle rinunce che bisogna fare per non finire ad essere minoranza in un unico stato di “Terra Santa”. E sappiamo qual è la sorte delle minoranze in Medio Oriente.

Sono processi lunghi e devono essere accettati come tali. C’è molto lavoro da fare, sia per gli israeliani che per i palestinesi. Non ci sono soluzioni immediate e gli slogan superficiali e supponenti non sono di alcun aiuto. Quindi, la si smetta di gridare: “Basta con l’occupazione”.


Pałestina: Le raxon de Ixrael
viewtopic.php?f=197&t=2271
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » lun gen 21, 2019 3:02 am

Io sto con gli ebrei e Israele perché sono brava e buova gente, che a me e alla mia gente, in migliaia di anni non hanno mai fatto alcunché di male anzi, la loro cultura religiosa e la loro idolatria ragionevole molto umana, la loro etica, la loro scienza


Io veneto sto con Israele e i suoi ebrei che sono tra gli uomini più umani e civili della terra
viewtopic.php?f=197&t=2759

Io sto con Israele e i suoi ebrei
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 5416849447
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » lun gen 21, 2019 3:02 am

Storia di Israele di Luciano Tas: 21 domande e risposte
viewtopic.php?f=197&t=2765
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » lun gen 21, 2019 3:03 am

"OCCUPAZIONE" USO E ABUSO
Niram Ferretti
19 gennaio 2019

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Va detto subito, a scanso di equivoci, l’offensiva che da cinquanta anni si combatte contro Israele è un’offensiva sostanzialmente lessicale, cioè propagandistica, in cui la realtà dei fatti è stata sostituita, come in tutti gli apparati propagandistici, dalla fiction.

Goebbels che se ne intendeva assai bene di protocolli propagandistici lo chiariva programmaticamente, “La propaganda deve limitarsi a un piccolo numero di idee e ripeterle instancabilmente, presentarle sempre sotto diverse prospettive, ma convergendo sempre sullo stesso concetto. Senza dubbi o incertezze. Da qui proviene anche la frase: “Una menzogna ripetuta all’infinito diventa la verità”.

Quando i propal affermano che "Secondo il diritto internazionale" Israele occuperebbe illegalmente i territori della Giudea Samaria, Cisgiordania, o West Bank, mentono.

Il diritto internazionale, diversamente dal diritto interno, non è emanato da nessuna autorità centrale e sicuramente questa autorità non è rivestita dall'ONU.

“Occupazione” è un termine che manda in fibrillazione tutti gli avversatori e demonizzatori di Israele perché suggerisce che l’esercito israeliano che si trova in Cisgiordania occuperebbe territori che apparterrebbero ai palestinesi espropriati.

La vulgata degli ebrei ladri di terra è irresistibile, sollucchera, riporta alla memoria altre accuse del passato, criminalizzazioni passate alla storia: avvelenatori di pozzi, profanatori di ostie, sacrificatori di bambini, deicidi. Il repertorio nero antisemita ruota da secoli intorno a poche ma ben rodate idee.

I territori della Cisgiordania o Giudea e Samaria, questo il loro nome storico, non hanno alcun detentore sovrano essendo passati dopo la fine dell’impero Ottomano agli inglesi per il periodo del Mandato sulla Palestina. Di seguito, nel 1922, il Mandato stabilì inequivocabilmente che gli ebrei avrebbero potuto dimorare in tutti i territori a occidente del fiume Giordano. Il testo del Mandato fu fatto proprio dalla allora Società delle Nazioni, l’ONU odierno, e non è mai stato abrogato nelle sue disposizioni generali.

Ma gli inglesi, come è sempre stata loro abitudine, variarono gli accordi a seconda di come tirava il vento. Ridussero progressivamente il territorio che avrebbe dovuto essere inizialmente degli ebrei regalando alla tribù hashemita la Trangiordania.

Con il primo Libro Bianco del 1922 l’esclusione della Transgiordania per un futuro insediamento ebraico venne sancita formalmente. A seguito della rivolta araba del 1936 la Gran Bretagna costituì una apposita commissione, la Commissione Peel, per fornire un resoconto delle cause della rivolta e fornire suggerimenti. L’esito della Commissione Peel relativamente alla questione territoriale della Palestina Mandataria fu quello, nel 1937, di proporre di assegnare agli ebrei meno del 20% del territorio mentre l’80% sarebbe stato assegnato agli arabi. A questa proposta, la più vantaggiosa che avrebbero mai ricevuto, gli arabi dissero di no. Applicando come sempre il principio del dividi et impera, la Gran Bretagna si era riorientata in senso filoarabo già nel 1930, come testimonia il secondo Libro Bianco del 1930 che si proponeva di frenare la costituzione del focolare ebraico in Palestina. Il terzo Libro Bianco del 1939 (dopo che quello del 1930 era stato annullato in virtù delle forti proteste delle organizzazioni sioniste), di fatto metteva una pietra sopra la proposta avanzata dalla Commissione Peel, abbozzando l’ipotesi di un futuro stato palestinese a sovranità araba che si sarebbe costituito nell’arco di dieci anni.

Nel 1947, l'Assemblea Generale dell'ONU approvava la Risoluzione 181 la quale, trasgredendo la lettera del Mandato Britannico per la Palestina del 1922, stabiliva che un futuro Stato arabo (attenzione, non "palestinese", i palestinesi avrebbero fatto la loro comparsa ufficiale sul teatro della storia nel 1964) avrebbe compreso anche la Giudea e la Samaria. L'Agenzia ebraica accettò a malincuore questa privazione poichè era riuscita a salvare in extremis il deserto del Negev che il Dipartimento di Stato americano voleva concedere agli arabi. Chi fu totalmente contrario in campo sionista fu Menachem Begin, il quale riteneva che essa espropriasse gli ebrei di un territorio che gli spettava.

Tuttavia, la Risoluzione 181 non è mai entrata in vigore, poichè gli arabi la rigettarono e preferirono dichiarare guerra a Israele allo scopo di annientarlo. La Giordania invase i territori, cacciò da essi gli ebrei presenti e nel 1951 se li annesse abusivamente fino al 1967 quando, a seguito della Guerra dei Sei Giorni, Israele li catturò. Va aggiunto che secondo il regolamento dell'ONU, le risoluzioni emanate dall'Assemblea Generale non sono legalmente vincolanti. Lo possono essere solo quelle emanate dal Consiglio di Sicurezza in base al Capitolo 7.

Da allora esiste sui territori una presenza militare israeliana, nello specifico, dopo gli Accordi di Oslo del 1993-95, nella cosiddetta Area C. L’Area A è sotto piena tutela palestinese mentre l’Area B è a tutela mista. Solo l’Area C è di pieno controllo israeliano.

Si può dunque parlare di “presenza militare”, di “vigilanza”, di “tutela territoriale”, ma certo non di "occupazione" nel senso distorto che è stato promosso negli ultimi cinquantun anni, ovvero di presenza abusiva su un territorio conculcato ai suoi legittimi possessori, come è stato il caso, per esempio dell’occupazione nazista su buona parte dell’Europa durante la Seconda guerra mondiale (ma molti altri casi si possono citare).

Sono le parole, false o vere, che plasmano la realtà. Il linguaggio della menzogna ha unicamente lo scopo di deformarla.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » lun gen 21, 2019 3:04 am

E gli ebrei rifiutarono il ricatto antisionista
Paolo Mieli

https://www.corriere.it/cultura/12_magg ... 6256.shtml


Il saggio

E gli ebrei rifiutarono il ricatto antisionista

La svolta con l'attentato alla sinagoga di Roma

La deflagrazione tra Israele e il Partito comunista italiano avvenne tra la fine di maggio e i primi giorni di giugno del 1967. A fare da detonatore per l'esplosione, fu la «guerra dei Sei giorni» con cui lo Stato ebraico reagì ad una minaccia di distruzione e sconfisse il fronte arabo, che rappresentava una popolazione venticinque volte superiore a quella israeliana. Già la sera del 28 maggio - pochi giorni prima del conflitto - si tenne a Roma, al portico d'Ottavia, una veglia per Israele nel corso della quale l'architetto Bruno Zevi, il quale fino a pochi anni prima si definiva «azionista-comunista», disse: «Io non desidero polemizzare con i comunisti più del dovuto, perché noi tutti sappiamo che i comunisti sono stati in molte occasioni a fianco della minoranza ebraica italiana, perché sappiamo che ogni volta che, nel passato, questo quartiere ha subito offese antisemite, i comunisti sono stati tra i primi a venire qui e a portarci l'aiuto della loro solidarietà». Poi, con un crescendo di voce, («senza rancore, senza astio ma con chiarezza», precisò), puntando l'indice verso le Botteghe Oscure, aggiunse: visto che, come dite, «c'è il pericolo che gli Stati Uniti sostengano Israele, perché, per evitare che tale pericolo si concretizzi, non premete sull'Unione Sovietica affinché sia l'Unione Sovietica ad aiutare Israele?» Domanda fintamente ingenua, dal momento che Zevi quella sera sa benissimo (e lo dice apertamente) che «l'Unione Sovietica, oltre a non aiutare Israele, istiga e arma i Paesi arabi che vogliono distruggerlo». E racconta di «molti comunisti che si trovano in uno stato drammatico di imbarazzo». A quel punto alcuni militanti del Pci chiedono di poter prendere la parola. Ma l'intellettuale ex azionista Aldo Garosci pone la condizione che essi strappino in pubblico la tessera del loro partito.

Furono, quelli, giorni effettivamente di grande imbarazzo per quei pochi, pochissimi, intellettuali e dirigenti del Pci che, pur tra dubbi e cautele, vollero schierarsi dalla parte di Israele. Il direttore del quotidiano filocomunista «Paese Sera», Fausto Coen, fu costretto a dimettersi dopo che il capo della sezione esteri dell'«Unità», Alberto Jacoviello, era andato a rimproverare il «giornale fratello» per la linea eccessivamente benevola nei confronti di Israele e, in un'esplosione d'ira, aveva distrutto le matrici pronte per le rotative. Jacoviello godeva del pieno sostegno dell'allora direttore dell'«Unità» Gian Carlo Pajetta, che si era schierato senza esitazioni dalla parte dell'egiziano Nasser. E Pajetta divenne bersaglio di lettere oltremodo polemiche da parte di ebrei. Scrisse Mario Pontecorvo: «Io non credo che lei nell'animo possa veramente appoggiare Nasser che, è noto, distribuisce il Mein Kampf tra i suoi ufficiali». Vittorio Da Rodi fu ancora più diretto: tra i soldati di Israele, «che tu oggi accusi di aggressione, vi sono coloro che combatterono in Italia per la liberazione della tua e mia patria dal fascismo, prima ancora che tu, Pajetta, potessi fare il partigiano». Gli autori di queste e moltissime altre missive, però, più che gli esponenti del Pci prendevano a bersaglio gli «ebrei comunisti», accusati di essere simili ai loro correligionari de «La Nostra Bandiera», il foglio israelita che negli anni Trenta si era schierato con il regime fascista. Bersaglio privilegiato di questa offensiva fu il senatore comunista (ebreo) Umberto Terracini, definito dalla rivista «Shalom» «associato alla campagna antisemita dei suoi compagni di Polonia». Altro bersaglio fu Franco Fortini (ebreo solo da parte di padre, che nel 1940 aveva lasciato il cognome originario, Lattes, per prendere quello della madre) per aver dato alle stampe un libro, I cani del Sinai (De Donato), nel quale si accusavano le «dirigenze politiche israeliane» di essere «compartecipi» degli «interessi economico-militari americani e, subordinatamente, inglesi» in Medio Oriente. Ma l'uomo dello scandalo, se così si può dire, fu il senatore comunista Emilio Sereni, fratello di Enzo, grande esponente del sionismo italiano morto a Dachau nel 1944. Emilio (Mimmo) Sereni disapprovò «certe affermazioni» dei leader arabi, ma esortò a non dimenticare «la responsabilità che Israele porta per aver discriminato e cacciato un milione e trecentomila arabi e per aver partecipato all'aggressione del 1956, quando sarebbe stata una scelta lungimirante la solidarietà con Nasser che nazionalizzava la compagnia di Suez». Anche a lui giunse una pioggia di lettere da parte di correligionari. Dario Navarra: «Vede senatore, certe volte il nome che si porta può essere un peso, soprattutto se è un nome bello, legato ad una tradizione, ad un'idea; forse è una delle tragedie della civiltà moderna quando i figli rinnegano i padri ed i fratelli si tradiscono a vicenda». Renato Salmoni (reduce da Buchenwald, tiene a precisare di non essere «un accanito sionista»): «Trovo che per una questione di opportunità e diciamo di buon gusto, lei farebbe meglio a tacere». Suo cugino, il succitato Mario Pontecorvo, accusò Sereni di «servilismo fazioso» nei confronti del Pci e si spinse a chiedere che venisse «espulso da ogni forma di manifestazione ebraica».

Questo genere di persone, scriveva ancora «Shalom», «devono solamente decidere se, in quanto uomini e in quanto ebrei, debbano appoggiare un gruppo ebraico minacciato di sterminio, oppure se valga per loro la pena, come comunisti, di accettare il sacrificio dei loro fratelli sull'altare dell'ideologia». E quando Arturo Schwarz, uno di questi israeliti difensori delle ragioni degli arabi, aveva avuto l'auto sfregiata da una svastica e da una scritta inneggiante ai palestinesi, «Shalom» aveva dedicato all'accaduto un articolo irridente fin dal titolo (Le piace Schwarz?) in cui si scriveva: «Forse qualcuno lo aveva preso per un ebreo vero».

S’intitola «Israele e la sinistra» il saggio di Matteo Di Figlia (pagine XI-196, e 25) edito da Donzelli con prefazione di Salvatore LupoS’intitola «Israele e la sinistra» il saggio di Matteo Di Figlia (pagine XI-196, e 25) edito da Donzelli con prefazione di Salvatore Lupo

A questi tormenti del 1967 sono dedicate le pagine centrali del libro di un brillante allievo di Salvatore Lupo, Matteo Di Figlia, Israele e la sinistra, pubblicato da Donzelli. Correttamente, però, il volume fa risalire la prima rottura tra ebrei e mondo comunista non già al 1967, bensì al 1952. Ed era stata una rottura dolorosa, dal momento che fino ad allora il rapporto tra socialisti, comunisti ed ebrei era stato molto stretto. Il 7 gennaio del 1946, quando partì da Vado Ligure la nave «Enzo Sereni» piena di israeliti che emigravano in Palestina, c'era un gruppo di ex partigiani rossi a vigilare sulle operazioni di imbarco. E nell'ottobre dello stesso 1946, dopo l'attentato dell'Irgun (organizzazione militare della destra sionista) all'ambasciata britannica di Roma, carabinieri e polizia sospettarono - è scritto in rapporti di due anni dopo - il coinvolgimento di persone del Pci «che mirerebbero a far tramontare definitivamente l'influenza inglese in quella regione». Anche il Partito socialista italiano, in particolare Pietro Nenni, fu in prima linea nel difendere le ragioni di Israele e a esaltare i kibbutz come un modello di socialismo. Molti ragazzi di sinistra, anche non ebrei, decisero di trascorrere un periodo in Israele a lavorare in qualche kibbutz. Il futuro leader di Potere operaio Toni Negri, all'epoca giovane socialista, scelse («inseguendo una gentile fanciulla») di trascorrere un anno in un kibbutz del Mapam e lì in Israele (ne ha scritto in Pipe-line. Lettere da Rebibbia, edito da Einaudi nel 1983 e riproposto da DeriveApprodi nel 2009) gli parve di poter finalmente vivere «pratiche tanto elementari, quanto radicali di comunismo»: «C'era, mordeva il reale quest'utopia; era concreta», fu la sua impressione. Socialisti e comunisti sostennero sui loro giornali l'emigrazione ebraica (è stato ritrovato un manifesto del Pci raffigurante una nave che fa rotta verso la Palestina, in cui si invitano militanti e simpatizzanti a raccogliere fondi a favore degli ebrei) e, nel 1948, dopo la nascita di Israele, Umberto Terracini ne chiese immediatamente - a nome del Pci - il riconoscimento.

Nel mondo ebraico era nato nel 1945, su iniziativa di Joel Barromi e, poi, Marcello Savaldi, il Centro giovanile italiano del movimento sionista pionieristico «Hechalutz», che non nascondeva le proprie simpatie per il comunismo. Nella mozione di un congresso di «Hechalutz» (1947), l'organizzazione dichiarava di unirsi «ai lavoratori italiani nello sdegno per l'eccidio del Primo maggio a Portella della Ginestra, riaffermando in questa occasione la solidarietà con i partiti progressisti d'Italia». In un articolo del loro giornale si poteva leggere: «Disgraziatamente per noi, impariamo a nostre spese che l'ebraismo della diaspora non conosce proletariato». E ancora: «Mancano quei tipi quadrati di operai delle grandi officine, minatori, muratori, che nascono con l'istinto della lotta di classe e della solidarietà operaia; gli operai dalle schiene piegate che lavorano e studiano, vogliono conoscere e si ribellano al mondo che li fa lavorare, non li abbiamo mai visti tra noi ebrei; l'ebreo ricco che vende tappeti in un negozio di lusso e l'ebreo povero che vende cartoline su una bancarella non sono così lontani». Di passo in passo «Hechalutz» giunse ad auspicare «che il nostro Primo maggio non si limiti a richiedere l'unità dei lavoratori ebrei, ma miri ad una unità sempre più stretta coi lavoratori arabi».

Ma venne, come dicevamo, il 1952. In molti paesi dell'Est europeo, ricostruisce Di Figlia, si tennero «una serie di processi sommari a imputati ebrei, tra cui spiccò quello a Rudolf Slansky, ex leader del Partito comunista cecoslovacco, impiccato lo stesso anno». Poi fu il 1953, quando a Mosca furono arrestati i «camici bianchi», medici ebrei accusati di aver complottato contro Stalin, e solo la morte del dittatore evitò l'avvio di una persecuzione antisemita per la quale si stava creando un clima adatto. In quegli stessi mesi un misterioso attentato all'ambasciata sovietica a Tel Aviv provocò la momentanea rottura delle relazioni diplomatiche tra Urss e Israele. In Italia socialisti e comunisti si schierarono senza esitazione dalla parte dell'Urss: «Il processo contro la banda Slansky», scrisse «l'Unità», «ha dimostrato come i dirigenti dello Stato d'Israele avessero posto il loro Stato e le loro rappresentanze diplomatiche all'estero, in particolare in Europa orientale, al servizio dei servizi di spionaggio americani». Ma qualche ebreo, come Amos Luzzatto, che nel dopoguerra si era iscritto al Pci, cominciò ad avere dei dubbi e, pur restando a sinistra, lasciò il partito.

Non così Guido Valabrega, un israelita di Torino che nel 1950 si era trasferito in Israele in un kibbutz di Ruchama e da lì scriveva ai suoi familiari che la rottura dei rapporti diplomatici tra Urss e Israele era tutta da imputare al governo di Tel Aviv, «anticomunista quale non lo è nemmeno De Gasperi» (nell'agosto del '53 Valabrega fu espulso dal kibbutz e raccontò poi di esserne uscito «cantando l' Internazionale e l'inno sovietico»). E neanche «Hechalutz», che accusò l'ebraismo italiano di «strumentalizzare i processi d'oltrecortina in chiave anticomunista». Quando poi, dopo la morte di Stalin, i «camici bianchi» furono prosciolti, «Hechalutz» ironizzò: «Era così comodo poter puntare sull'Idra sovietica all'attacco, la campagna antisemita era così utile agli stessi ebrei occidentali per la loro politica che oggi, sotto la patina di una sostenuta soddisfazione, si sente il rimpianto per un'occasione che va in fumo». E tutto proseguì come prima. Nel 1955, in occasione dell'anniversario della rivoluzione d'Ottobre, il giornale di «Hechalutz» pubblicò un appello inneggiante alla patria del socialismo che si concludeva con queste parole: «W l'Urss! W lo Stato di Israele! W l'amicizia eterna tra Israele e l'Urss».

La gente porta fiori nel luogo dove nell’ottobre 1982 venne ucciso dai terroristi arabi il bambino Stefano Taché, di appena due anni, accanto alla sinagoga di Roma. La gente porta fiori nel luogo dove nell’ottobre 1982 venne ucciso dai terroristi arabi il bambino Stefano Taché, di appena due anni, accanto alla sinagoga di Roma.

Poi però fu il 1956, con la guerra per il canale di Suez: l'Urss (impegnata a reprimere la rivoluzione ungherese) si schierò con decisione dalla parte di Nasser contro Israele. Il Pci prese le stesse posizioni. Anche se, ha notato Marco Paganoni in un bel libro, Dimenticare Amalek (La Giuntina), «l'Unità» all'epoca difendeva ancora lo Stato ebraico «scindendo recisamente le sue responsabilità da quelle di Francia e Gran Bretagna». Stavolta a sinistra si distinse il Partito repubblicano. Ugo La Malfa criticò l'intervento militare di Gran Bretagna e Francia, ma difese Israele contro Nasser. E in Parlamento l'ex ministro repubblicano della Difesa, Randolfo Pacciardi, puntò l'indice contro i comunisti: «Là, in Israele, avete un popolo che si è svenato per la sua libertà. In Egitto avete un dittatore che voleva consolidare la sua potenza proprio con le armi dell'Unione Sovietica. È da ieri che quel dittatore andava predicando lo sterminio del popolo ebraico. Ma anche il popolo ebraico, se non siete diventati persino razzisti, ha diritto alla vita come tutti gli altri».

Tra i comunisti la simpatia per Israele cominciò ad attenuarsi. Ha notato sempre Paganoni che già nel febbraio del '57 sull'«Unità» si cominciò a parlare di «mire espansionistiche» dello Stato israeliano. E, all'epoca del processo contro Adolf Eichmann (1961), «l'Unità» scelse di mettere in risalto le connivenze con il nazismo degli imprenditori tedeschi (Dietro i Lager di Adolf Eichmann stavano i trust dei Krupp e dei Farben, fu il titolo del 22 marzo 1961; L'eccidio in massa degli ebrei fu anche un affare economico, proseguiva l'8 aprile); stabilì poi un paragone tra l'operato di Eichmann e quello delle potenze occidentali in Africa e accusò il cancelliere tedesco dell'epoca, Konrad Adenauer, di aver favorito il reinserimento nei ranghi istituzionali di molti ex nazisti.

Le forze armate israeliane in azione nel deserto durante la guerra dei Sei giorni

Così, quando si giunse alla «guerra dei Sei giorni», a difendere - da sinistra - Israele (repubblicani a parte) restò quasi solo il socialista Pietro Nenni, che si spinse ad accusare due importanti leader democristiani, Amintore Fanfani e Aldo Moro, di aver assunto, per via delle loro cautele in merito a ragioni e torti di quel conflitto, «posizioni tecniciste» che rispondevano a «un certo vuoto morale». Sull'«Avanti!» un esponente dell'ebraismo romano, Jacob Schwartz, lodò pubblicamente la «coerenza» mostrata da Nenni. Dalle colonne dell'«Unità» un leader allora in ascesa, Enrico Berlinguer, accusò Nenni di essere un epigono di «quel vecchio filone di interventismo sedicente di sinistra che ha finito sempre per colludere con quello reazionario». In quegli stessi giorni si consumò una divisione nel settimanale «L'Espresso», dove il direttore Eugenio Scalfari - pur con una grande attenzione all'uso delle parole - decise di prendere le distanze da Israele provocando una crisi con alcuni importanti collaboratori, tra cui Bruno Zevi e Leo Valiani. «Se gli anticomunisti sbagliano e sbagliano gli americani, è nostro obbligo dirlo con tanta maggiore fermezza in quanto si tratta non di errori degli avversari ma di errori nostri», scrisse Scalfari il 16 giugno del 1967 in una lettera personale a Valiani.

Stesso genere di argomentazione - ma a parti invertite - fu quello usato da Pier Paolo Pasolini che in una lettera su «Nuovi Argomenti» scrisse: «L'unico modo di essere veracemente amici dei popoli arabi in questo momento non è forse aiutarli a capire la politica folle di Nasser, che non dico la storia, ma il più elementare senso comune ha già giudicato e condannato? O quella dei comunisti è una sete insaziabile di autolesionismo? Un bisogno invincibile di perdersi, imboccando sempre la strada più ovvia e disperata? Così che il vuoto che divide gli intellettuali marxisti dal Partito comunista debba farsi sempre più incolmabile?» Ma Pasolini sbagliava previsione. Quelli che lui definiva «intellettuali marxisti» - ad eccezione dei radicali ricostituiti sotto la guida di Marco Pannella - si schierarono pressoché all'unanimità su posizioni simili a quelle di Scalfari. Persino ebrei comunisti (come il già citato Valabrega e, a Roma, il consigliere comunale Piero Della Seta) sostennero, racconta Di Figlia, la validità della posizione filoaraba dell'Urss e di altri Paesi socialisti, affermando che Israele «aveva attaccato per risolvere una crisi economica ormai evidente». Tra le poche eccezioni, quelle pur sorvegliatissime del giurista Luciano Ascoli e di Umberto Terracini, entrambi convocati «privatamente» dai vertici del Pci per rendere conto delle loro posizioni.

Pier Paolo Pasolini (1922-1975), che nel 1967 criticò la posizione di sostegno all’Egitto di Nasser assunta dai comunisti italianiPier Paolo Pasolini (1922-1975), che nel 1967 criticò la posizione di sostegno all’Egitto di Nasser assunta dai comunisti italiani

Opportunamente Di Figlia tiene a precisare che è improprio ricondurre per intero al Pci questo contenzioso. Così come non si può «adottare l'unico canone interpretativo della cieca obbedienza a Mosca, abbastanza valido per gli anni Cinquanta, ma non per il periodo successivo». Il Pci «fu anti-israeliano mentre era impegnato in un farraginoso ma progressivo allontanamento dall'Urss, e molti gruppi nati dopo il '68 che espressero giudizi durissimi verso Israele, osteggiavano apertamente il Pci e il modello sovietico». La scelta di Israele di mantenere i territori occupati nel 1967 fu avversata anche da molti esponenti del Partito socialista. A questo proposito, scrive Di Figlia, «è rilevantissimo il caso del Psi negli anni della segreteria di Bettino Craxi: questi non permise il prevalere di una corrente massimalista, scommise tutto su una svolta socialdemocratica e finalmente libera da ogni retaggio marxista; nello stesso periodo il Psi accentuò la vocazione filopalestinese». Non ci fu, dunque, «un'automatica correlazione tra critica a Israele e ortodossia comunista, né tra quest'ultima e l'antisemitismo di sinistra, che, nato da posizioni antisioniste, non va letto come il cangiante lascito di quello nazifascista, di quello sovietico, o dell'antigiudaismo cattolico».

Ciò detto, dopo il 1967 i rapporti tra Israele e sinistra italiana - eccezion fatta per Pietro Nenni, Ugo La Malfa, dopo di lui Giovanni Spadolini, Giorgio La Malfa e l'intero gruppo dirigente repubblicano, intellettuali d'area inclusi - andarono sempre più peggiorando. Le linee dell'esposizione sono quelle già tracciate da Maurizio Molinari in La sinistra e gli ebrei in Italia (1967-1993) edito da Corbaccio. La sinistra quasi per intero sposò la causa palestinese. Quella extraparlamentare, all'epoca influente, appoggiò i fedayn più radicali. Giorgio Israel ha così raccontato una cena estiva con un gruppo di amici: «A un certo punto, tra una chiacchiera e l'altra, un "compagno" toscano prorompe in un'invettiva violentissima contro gli ebrei: capitalisti, sanguisughe, imperialisti, assassini del proletariato e chi più ne ha più ne metta. Reagisco indignato, definendo il suo linguaggio come fascista e razzista, cerco di trovare ampia solidarietà e ... sorpresa, mi ritrovo nell'isolamento più assoluto. Nessuno mi difende, nemmeno i più cari amici». Ai tempi dell'attentato di Settembre nero all'Olimpiade di Monaco (1972) la solidarietà per gli atleti israeliani trucidati fu assai trattenuta. Stefano Jesurum, all'epoca militante del Movimento studentesco, riferisce nel libro Israele nonostante tutto (Longanesi) di essere corso quel giorno dalla sua «famiglia» politica, ma di essere stato gelato con queste parole: «Su questi temi voi compagni ebrei è meglio che stiate zitti». Nel volgere di pochi anni non valse più, mai, neanche l'evidenza dei fatti. Israele aveva sempre torto. Sempre. Nel 1973, in occasione della guerra dello Yom Kippur, dopo l'attacco dell'Egitto «l'Unità» sostenne che il «vero aggressore» era Israele per il fatto che non aveva ancora «restituito i territori occupati nel '67». Anche se, con il passare del tempo, i dirigenti del Pci - in privato, però - cominciarono a prendere le distanze dai regimi arabi. In un libro di memorie (Con Arafat in Palestina. La sinistra italiana e la questione mediorientale, Editori Riuniti) l'allora responsabile della commissione esteri del Pci, Antonio Rubbi, ha raccontato che, negli anni Ottanta, dopo un viaggio in Libano, Siria e Iraq, Giancarlo Pajetta gli confidò di aver incontrato «una massa di imbroglioni e ipocriti». «Il Pajetta che ancora all'inizio degli anni Settanta parlava di "nazione araba" e di "socialismo arabo"», fu l'impressione di Rubbi, «semplicemente non esisteva più».

Certo, qualcosa iniziava a cambiare. Giorgina Arian Levi, nipote acquisita di Palmiro Togliatti (in quanto figlia di una sorella di Rita Montagnana, prima moglie del segretario del Pci) passa da posizioni decisamente filosovietiche e anti-israeliane alla denuncia, nel 1977, della propaganda contro Israele in Unione Sovietica, propaganda che, scrive, «sorprende per l'assenza di concrete argomentazioni politiche e per lo sconfinamento dall'antisionismo all'antisemitismo». «La sedimentazione antisemita che risale alla Russia zarista», prosegue, «non è del tutto morta, anche sessant'anni dopo la gloriosa rivoluzione d'Ottobre».

Bruno Zevi (1918-2000), ex militante azionista, che attaccò il Pci in nome della difesa d’IsraeleBruno Zevi (1918-2000), ex militante azionista, che attaccò il Pci in nome della difesa d’Israele

Discorso a parte merita poi un'altra ribellione allo spirito dei tempi, alla quale Di Figlia dedica pagine molto interessanti. È quella del Partito radicale di Pannella. E di Gianfranco Spadaccia che, in un congresso, polemizza apertamente con quanti hanno la tentazione di sposare le iniziative filopalestinesi dell'ultrasinistra: «Vogliamo costruire una politica che abbia come bussola di orientamento... i diritti umani, la democrazia; basta battersi romanticamente per le lotte di liberazione che poi producono oppressioni più atroci». I radicali, osserva Di Figlia «non furono i neocon italiani, ma furono i primi a difendere le ragioni israeliane usando un tassello centrale della proposta neocon, cioè quello dei diritti umani». Su questa base, «il sostegno a Israele divenne un tratto distintivo del Pr negli anni di Pannella molto più di quanto non lo fosse stato in quelli di Mario Pannunzio». Bruno Zevi, in dissenso con la politica di Craxi tutta a favore di Arafat, prendeva la tessera del Partito radicale, di cui sarebbe divenuto presidente onorario. Ma il clima generale in Italia restava quello di cui si è detto prima. Per la sinistra, quasi tutta, gli israeliani dovevano sempre essere criticati e agli ebrei toccava il bizzarro (bizzarro?) compito di recitare in pubblico il «mea culpa» per quel che si decideva a Gerusalemme e a Tel Aviv.

Nel 1982, quando Israele invade il Libano, scatta immediata e unanime la condanna da parte dell'intera sinistra. Un gruppo nutrito di ebrei italiani si affretta a sottoscrivere un manifesto, Perché Israele si ritiri, che reca in testa la firma di Primo Levi. Dopo il massacro di palestinesi a Sabra e Chatila (da parte dei falangisti libanesi che agiscono indisturbati per l'omesso controllo degli israeliani), i toni nei confronti di Israele si fanno più violenti. Per una strana (strana?) proprietà transitiva tali «critiche» vengono estese a tutti gli ebrei. Un corteo sindacale depone una bara sui gradini del Tempio di Roma. Poco tempo dopo, un attentato alla stessa sinagoga della capitale provoca la morte di un bambino: Stefano Taché. Questo orribile delitto provoca un soprassalto: da quel momento cambia qualcosa di importante, di molto importante. Viene allo scoperto un sentimento - fino ad allora quasi nascosto - di «appartenenza» orgogliosa al popolo ebraico: Natalia Ginzburg, Furio Colombo, Anna Rossi Doria, Fiamma Nirenstein (che pure aveva firmato l'appello di cui si è appena detto, criticato da suo padre, Alberto Nirenstein), Mario Pirani, Anna Foa, Janiki Cingoli, Clara Sereni, Gabriele Eschenazi rifiutano una volta per tutte - quanto meno chi fino a poco prima si era prestato - di recitare la parte degli «ebrei buoni» chiamati sul palco quando c'è da accusare Gerusalemme.

Un ruolo fondamentale nell'accompagnare questa presa di coscienza lo svolge un intellettuale torinese, Angelo Pezzana (che stranamente nel libro di Matteo Di Figlia non è neanche citato). Ancor più importante, nel favorire questo risveglio di coscienza tra gli ebrei di sinistra, la rivista «Shalom» sotto la direzione di Luciano Tas. Dalle colonne di «Repubblica» Rosellina Balbi, con un coraggioso articolo, incita gli ebrei di sinistra a non sentirsi più in dovere di «discolparsi» per quel che ha fatto Israele. Piero Fassino imprime al Pci una svolta nella politica estera che implica l'eliminazione del pregiudizio, una maggiore attenzione (di volta in volta) alle ragioni di Israele e ai torti del modo arabo: «Non si è posta sufficientemente in rilievo la centralità della questione della democrazia e dei diritti umani nei paesi mediorientali», riconosce, echeggiando le antiche posizioni del Partito radicale, in un'intervista ad Antonio Carioti che significativamente compare su «La Voce Repubblicana».

Il resto è storia recente, ben ripercorsa nelle pagine conclusive del libro di Matteo Di Figlia. Storia di anni in cui si è continuato, da sinistra, a criticare questo o quell'atto del governo israeliano, pur con toni duri, ma con una minore indulgenza a quel genere di antisionismo che per decenni aveva coperto vere e proprie forme di antisemitismo. Anche se il tic di chiedere ai «compagni ebrei» di essere in prima fila quando c'è da attaccare Israele è ben lungi dall'essere scomparso del tutto.


LE PROFEZIE DI BETTINO CRAXI il nazi social-comunista antisemita
martedì 24 gennaio 2017

http://www.ilnord.it/i-5245_LE_PROFEZIE ... TINO_CRAXI

UE uguale declino per l’Italia, la prima vittima dell’euro, grazie a un certo Romano Prodi. E il contesto è chiaro: si scrive globalizzazione, ma si legge impoverimento della società e perdita di sovranità e indipendenza. Sono alcune delle “perle profetiche” di quello che Vincenzo Bellisario definisce «l’ultimo statista italiano», ovvero il vutuperato Bettino Craxi, spentosi 17 anni fa nel suo esilio di Hammamet. Un uomo che «bisognava eliminare a tutti i costi», scrive Bellisario, sul blog del “Movimento Roosevelt”, ricordando alcuni punti-chiave del vero lascito politico del leader socialista, eliminato da Mani Pulite alla vigilia dell’ingresso italiano nella sciagurata “camicia di forza” di Bruxelles, i cui esiti si possono misurare ogni giorno: disoccupazione dilagante e crollo delle aziende, con il governo costretto a elemosinare deroghe di spesa per poter far fronte a emergenze catastrofiche come il terremoto. «C’è da chiedersi perché si continua a magnificare l’entrata in Europa come una sorta di miraggio dietro il quale si delineano le delizie del paradiso terrestre» scriveva Craxi oltre vent’anni fa. Con questi vincoli Ue, «l’Italia nella migliore delle ipotesi finirà in un limbo, ma nella peggiore andrà all’inferno. Il delirio europeistico che non tiene conto della realtà. Sbatteremo contro la scelta della crisi, della stagnazione e della conseguente disoccupazione, un disastro che è stato quindi accuratamente programmato». E l'euro? No grazie: «Affidare effetti taumaturgici e miracolose resurrezioni alla moneta unica europea, dopo aver provveduto a isterilire, rinunciare, accrescere i conflitti sociali, è una fantastica illusione che presto crollerà».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » mar gen 22, 2019 9:14 pm

La propaganda e le bugie dell’occupazione israeliana
20 gennaio 2019
Niram Ferretti

http://www.italiaisraeletoday.it/la-pro ... israeliana

Va detto subito, a scanso di equivoci, l’offensiva che da cinquanta anni si combatte contro Israele è un’offensiva sostanzialmente lessicale, cioè propagandistica, in cui la realtà dei fatti è stata sostituita, come in tutti gli apparati propagandistici, dalla fiction. Goebbels che se ne intendeva assai bene di protocolli propagandistici lo chiariva programmaticamente, “La propaganda deve limitarsi a un piccolo numero di idee e ripeterle instancabilmente, presentarle sempre sotto diverse prospettive, ma convergendo sempre sullo stesso concetto. Senza dubbi o incertezze. Da qui proviene anche la frase: “Una menzogna ripetuta all’infinito diventa la verità”.

Quando i propal affermano che “Secondo il diritto internazionale” Israele occuperebbe illegalmente i territori della Giudea Samaria, Cisgiordania, o West Bank, mentono. Il diritto internazionale, diversamente dal diritto interno, non è emanato da nessuna autorità centrale e sicuramente questa autorità non è rivestita dall’ONU.

“Occupazione” è un termine che manda in fibrillazione tutti gli avversatori e demonizzatori di Israele perché suggerisce che l’esercito israeliano che si trova in Cisgiordania occuperebbe territori che apparterrebbero ai palestinesi espropriati.

La vulgata degli ebrei ladri di terra è irresistibile, sollucchera, riporta alla memoria altre accuse del passato, criminalizzazioni passate alla storia: avvelenatori di pozzi, profanatori di ostie, sacrificatori di bambini, deicidi. Il repertorio nero antisemita ruota da secoli intorno a poche ma ben rodate idee.

I territori della Cisgiordania o Giudea e Samaria, questo il loro nome storico, non hanno alcun detentore sovrano essendo passati dopo la fine dell’impero Ottomano agli inglesi per il periodo del Mandato sulla Palestina.

Di seguito, nel 1922, il Mandato stabilì inequivocabilmente che gli ebrei avrebbero potuto dimorare in tutti i territori a occidente del fiume Giordano. Il testo del Mandato fu fatto proprio dalla allora Società delle Nazioni, l’ONU odierno, e non è mai stato abrogato nelle sue disposizioni generali.

Ma gli inglesi, come è sempre stata loro abitudine, variarono gli accordi a seconda di come tirava il vento. Ridussero progressivamente il territorio che avrebbe dovuto essere inizialmente degli ebrei regalando alla tribù hashemita la Trangiordania.

Con il primo Libro Bianco del 1922 l’esclusione della Transgiordania per un futuro insediamento ebraico venne sancita formalmente. A seguito della rivolta araba del 1936 la Gran Bretagna costituì una apposita commissione, la Commissione Peel, per fornire un resoconto delle cause della rivolta e fornire suggerimenti.

L’esito della Commissione Peel relativamente alla questione territoriale della Palestina Mandataria fu quello, nel 1937, di proporre di assegnare agli ebrei meno del 20% del territorio mentre l’80% sarebbe stato assegnato agli arabi. A questa proposta, la più vantaggiosa che avrebbero mai ricevuto, gli arabi dissero di no.
Applicando come sempre il principio del dividi et impera, la Gran Bretagna si era riorientata in senso filoarabo già nel 1930, come testimonia il secondo Libro Bianco del 1930 che si proponeva di frenare la costituzione del focolare ebraico in Palestina.

Il terzo Libro Bianco del 1939 (dopo che quello del 1930 era stato annullato in virtù delle forti proteste delle organizzazioni sioniste), di fatto metteva una pietra sopra la proposta avanzata dalla Commissione Peel, abbozzando l’ipotesi di un futuro stato palestinese a sovranità araba che si sarebbe costituito nell’arco di dieci anni.

Nel 1947, l’Assemblea Generale dell’ONU approvava la Risoluzione 181 la quale, trasgredendo la lettera del Mandato Britannico per la Palestina del 1922, stabiliva che un futuro Stato arabo (attenzione, non “palestinese”, i palestinesi avrebbero fatto la loro comparsa ufficiale sul teatro della storia nel 1964) avrebbe compreso anche la Giudea e la Samaria.

L’Agenzia ebraica accettò a malincuore questa privazione poiché era riuscita a salvare in extremis il deserto del Negev che il Dipartimento di Stato americano voleva concedere agli arabi. Chi fu totalmente contrario in campo sionista fu Menachem Begin, il quale riteneva che essa espropriasse gli ebrei di un territorio che gli spettava.

Tuttavia, la Risoluzione 181 non è mai entrata in vigore, poiché gli arabi la rigettarono e preferirono dichiarare guerra a Israele allo scopo di annientarlo. La Giordania invase i territori, cacciò da essi gli ebrei presenti e nel 1951 se li annesse abusivamente fino al 1967 quando, a seguito della Guerra dei Sei Giorni, Israele li catturò. Va aggiunto che secondo il regolamento dell’ONU, le risoluzioni emanate dall’Assemblea Generale non sono legalmente vincolanti. Lo possono essere solo quelle emanate dal Consiglio di Sicurezza in base al Capitolo 7.

Da allora esiste sui territori una presenza militare israeliana, nello specifico, dopo gli Accordi di Oslo del 1993-95, nella cosiddetta Area C. L’Area A è sotto piena tutela palestinese mentre l’Area B è a tutela mista. Solo l’Area C è di pieno controllo israeliano.

Si può dunque parlare di “presenza militare”, di “vigilanza”, di “tutela territoriale”, ma certo non di “occupazione” nel senso distorto che è stato promosso negli ultimi cinquantun anni, ovvero di presenza abusiva su un territorio conculcato ai suoi legittimi possessori, come è stato il caso, per esempio dell’occupazione nazista su buona parte dell’Europa durante la Seconda guerra mondiale (ma molti altri casi si possono citare).

Sono le parole, false o vere, che plasmano la realtà. Il linguaggio della menzogna ha unicamente lo scopo di deformarla.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Prossimo

Torna a Diritti e doveri umani naturali e universali

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 2 ospiti

cron