L'antisemitismo dei social comunisti italiani ed europeiL'antigiudaismo nell'Europa cristianaParte IV: L’antisemitismo e la politica di massa fra 1800 e 1900
18/12/2013
http://www.fondazionecdf.it/index.php?m ... dossier=50 Abbiamo visto nei video precedenti che l’antisemitismo, che rese possibile la Shoah in Europa, non nasce con il nazismo, ma è la trasformazione ‘moderna’ dell’antico antigiudaismo, che riprende vigore attorno al 1880, anche grazie a una campagna internazionale di stampa organizzata dal Vaticano.
Sicuramente né i Papi, né il clero, né gli Ebrei si aspettavano che la campagna antiebraica avrebbe avuto ripercussioni così ampie e così tragiche. Non avevano previsto il potere della comunicazione di massa, dei partiti di massa: fenomeni nuovi nella storia, sorti dalla rivoluzione industriale, che stravolse i vecchi sistemi di vita e di lavoro e sviluppò la ‘società di massa’. A cavallo fra 1800 e 1900 le popolazioni d’Europa lavoravano in massa, votavano in massa, combattevano in eserciti di massa in caso di guerra, morendo in massa nelle trincee. Avrebbero finito col compiere stragi di massa con metodi di distruzione di massa, e col morire in massa.
Nella seconda metà del 1800 si formarono i partiti di massa. I socialcomunisti ebbero addirittura l’ambizione di unire tutti i lavoratori ‘proletari’ del mondo nell’ Internazionale. Altri partiti di massa propagandavano forti sentimenti nazionalisti, spesso anche razzisti. Per loro la Patria era sacra. Ma apparteneva alla patria soltanto chi ne aveva condiviso ‘ sangue e suolo’, Blut und Boden in tedesco − cioè stirpe e tradizioni − e viveva per la famiglia, il lavoro dei campi e la socialità del luogo: tutto ciò che il social-comunismo invece trascurava, privilegiando la comune condizione dei ‘proletari’ in tutti i paesi coinvolti nel processo di rivoluzione industriale.
Di fronte ai complessi problemi sociali posti dalla rivoluzione industriale, le élite e i partiti cercarono il consenso e la coesione delle masse secondo l’antica prassi dell’identificazione di un ‘capro espiatorio’ su cui riversare le colpe di tutti i mali. I social comunisti identificavano come ‘colpevoli’ i ‘capitalisti’, cioè i proprietari di fabbriche e terreni, e consideravano i religiosi e i monarchi alleati dei capitalisti. Gli anarchici concordavano con i socialcomunisti nel rifiuto di riconoscere autorità al clero e ai militari. Socialcomunisti e anarchici organizzavano insieme scioperi. Gli anarchici già negli anni ‘60 organizzavano attentati contro re e potenti, che sarebbero proseguiti in tutta Europa fino alla prima guerra mondiale.
I regnanti e le élite politiche, militari e sociali di tutta Europa, inclusi gli industriali, che costituivano l’élite economica, erano spaventati, non sapevano come riportare la coesione nella popolazione e proteggere le proprie vite. Leggendo la campagna di stampa vaticana, capirono che potevano deviare l’odio delle masse povere e prive di ruolo sugli Ebrei, allontanandolo da sé. Ogni male sociale venne attribuito alle cospirazioni degli Ebrei. Scriverà Maurice Barrès, intellettuale e politico francese, nel diario di marzo 1911: “Il tutto sarebbe impossibile, o terribilmente difficile, se non ci fosse questo provvidenziale antisemitismo. Grazie ad esso tutto si accomoda, si appiana e si semplifica”.
In Francia, dopo la campagna antisemita dei giornali cattolici, fra cui si distinse ‘La Croix’, giornale dell’Ordine dell’Assunzione, seguì la pubblicazione, nel 1886, di ‘La France Juive’, di Edmond Drumond, presentato come un saggio storico, ma subito dopo ristampato con illustrazioni popolari, che parlavano anche a chi non leggeva. Nel 1892 Drumont lanciò la rivista illustrata ‘La libre parole’, interamente dedicata a diffondere e ribadire l’idea che ‘il vero nemico è l’Ebreo’, non le élite francesi. Le illustrazioni erano tremendamente efficaci. Le illustrazioni non hanno ovviamente nulla a che vedere con la realtà: sono rappresentazioni mentali di chi le produce. Ma hanno una forza di comunicazione che la parola non ha, si imprimono nella nostra psiche come realtà, quasi come fatto visto e testimoniato. Divenne così un luogo comune pensare che gli Ebrei fossero i veri padroni del potere politico ed economico, e lo usassero per nuocere.
A cavallo fra l’800 e il 900 il ruolo fondamentale nella diffusione dell’antisemitismo in Europa fu svolto dalle cartoline illustrate. Venivano usate come oggi Twitter: per tenersi costantemente in contatto con amici e parenti, con poche parole. I gruppi politici e le testate giornalistiche le distribuivano gratuitamente, o a bassissimo prezzo, per diffondere le proprie idee. Nel 1905 nella sola Francia vennero stampate e distribuite 600 milioni di cartoline illustrate. Venivano inviate da un luogo all’altro d’Europa, e anche fuori Europa, così anche i temi e le immagini rimbalzavano da una regione all’altra, da uno stato all’altro. Come nel caso di queste due cartoline del 1898, che indicano nell’Ebreo il nemico, malvagio, tentacolare, orrendo. Quella tedesca riprende in chiave anti-ebraica un disegno del Kaiser Guglielmo II. Subito l’immagine venne ripresa in Francia dal gruppo antisemita ‘Le Grand Occident de France’. In questa cartolina francese di inizio Novecento una famiglia contadina osserva una Francia ebraicizzata abbattere il crocefisso e premiare finanzieri e avventurieri
L’antisemitismo costituì presto in Francia un titolo di merito politico. Molti non si rendevano conto di quanto fosse assurdo credere che la minuscola minoranza ebraica avesse tale misteriosa e sovrannaturale potenza da poter ‘invadere’ e dominare gli stati, e causare occultamente tutte le difficoltà economiche, sociali e politiche di Francia o Spagna, o di qualunque altro stato. Si trattava di una paura irrazionale, sostenuta e ribadita dalle autorità morali, religiose, politiche, culturali, riattizzata ogni giorno dai mezzi di comunicazione di massa. Così la paura dell’Ebreo diventava una vera e propria certezza di fede per le persone rispettose dell’autorità.
L’antisemitismo raggiunse il culmine con l’affaire Dreyfus, che dal 1894 travagliò e divise la società francese per un decennio. Alfred Dreyfus, ufficiale di artiglieria dell'esercito francese, ebreo -alsaziano, fu accusato di spionaggio a favore della Prussia. Venne condannato alla degradazione e ai lavori forzati, sulla base di documenti contraffatti. Quando si scoprì che il vero traditore era il maggiore Esterhazy, le gerarchie militari lo protessero, preferendo che venisse condannato Dreyfus. Ma la cosa si riseppe, provocando la reazione non soltanto degli amici di Dreyfus, ma anche di altre persone oneste. A gennaio 1898 il famoso scrittore Emile Zola scrisse una lettera aperta al Presidente della Repubblica sul giornale ‘L’Aurore’, intitolata ‘j’accuse’, in cui accusava di falso anche il ministro della difesa e il capo di stato maggiore. Dovettero processarlo, e durante il processo a Zola la verità sulla contraffazione dei documenti contro Dreyfus venne a galla. Il colonnello Hubert-Joseph Henry, autore della contraffazione, si suicidò. Ma la folla non voleva credere all’innocenza di Dreyfus e alla colpa di ‘veri’ francesi di autorità elevata, e scatenò la propria ira contro Zola, come raffigurato in questo quadro dell’epoca. Poco più tardi Zola verrà trovato morto in casa, forse assassinato. Articoli e illustrazioni orrende per anni accusarono Dreyfus e anche Zola di tradimento della patria. La stampa usò l’affaire Dreyfus per alimentare in larga parte della popolazione un odio viscerale contro gli Ebrei, e per irridere i loro sostenitori, come in questa vignetta apparsa su ‘Le Pelerin’, giornale dell’ordine monastico degli Assunzionisti. Theodor Herzl, scrittore ebreo ungherese inviato a seguire il processo come corrispondente di un giornale tedesco fu talmente colpito dalle violente espressioni d’odio anti-ebraico della folla e dei giornali, da convincersi che gli Ebrei dovevano lasciare l’Europa e crearsi un proprio stato, perché in Europa presto non avrebbero potuto più vivere. Scrisse di getto ‘der Judenstaat’, lo stato ebraico, e dedicò il resto della vita a organizzare il movimento sionista, cioè il movimento per creare uno stato nazionale ebraico nella regione di Gerusalemme. Sion è la collina su cui re Davide fondò Gerusalemme.
La paura dell’Ebreo, divenuto nuovamente, come già nel Medio Evo, simbolo convenzionale del Male, assunse forme e motivazioni di ogni tipo, spesso contraddittorie fra di loro, al di là della logica e della realtà fattuale. Dapprima fu la paura di essere invasi da folle di Ebrei poveri, sporchi, brutti, che dall’impero zarista venivano a cercar fortuna e libertà nell’impero austroungarico, in quello tedesco e in Francia. Poi fu l’invidia per l’imprevisto successo sociale ed economico di questa minoranza immigrata povera e disprezzata, che veniva ridicolizzata sia da destra che da sinistra, in tutti i paesi. Ma anche le caricature alimentavano la paura, oltre al disprezzo.
Nell’immaginario collettivo la sete di denaro veniva equiparata alle sete di sangue, e gli Ebrei venivano accusati di nutrirle entrambe. L’accusa di deicidio e di tradimento veniva reinterpretata in chiave laica e utilizzata a scopi politici, con procedimento tipico del pregiudizio antiebraico di ogni epoca. Anziché spiegare agli elettori le cause delle difficoltà finanziarie degli Stati Uniti, ovviamente dovute al fatto che il governo spendeva troppo, con questa vignetta i conservatori inglesi di inizio ‘900 sostenevano che gli Stati Uniti erano messi in croce dagli Ebrei. E tutti i nemici politici assumevano il volto dell’Ebreo: la banca centrale, la democrazia, il repubblicanesimo, la borsa. In questa cartolina francese del 1899 l’Ebreo Rothschild si fa pagare i prestiti fatti alla Spagna con il sangue dei Cubani, mentre gli Inglesi tengono a bada gli USA. Così la repressione della ribellione dei Cubani veniva addebitata agli Ebrei, benché non ci fosse il minimo segno di un loro coinvolgimento in quegli avvenimenti.
L’equiparazione fra denaro e sangue è orripilante in queste caricature fatte dall’italiano Galantara per la rivista francese ‘L’Assiette au Beurre’ nel 1907. L’ Ebreo gonfio di sangue usa altro sangue per far crescere il denaro. Oppure schiaccia una folla povera e informe, e ne trasforma il sangue in denaro. La paura irrazionale dell’Ebreo viene alimentata dai media al punto che già nel 1899 il dott. Kimon, greco emigrato in Francia, scrive : ‘Ci troviamo davanti all’alternativa: porci sotto il dominio dell’ebraismo oppure sterminarlo. […] E’ ormai un duello a morte tra noi e gli ebrei; e arriveremo all’estremo limite della legittima difesa’. Questa cartolina tedesca per il capodanno 1901 già chiama i cristiani ‘ariani’, e raffigura l’Ebreo come un demone sadico, la cui bandiera dice: ’divorerai tutte le nazioni senza cerimonie’.
I tradizionalisti spaventati dagli scioperi ne davano la colpa agli Ebrei. In questa cartolina francese la dolce bambina prega: ‘Mio Dio, proteggi la Francia! Liberala dai ladri! Liberala dagli avvelenatori! Dai Tedeschi, dagli Inglesi, dagli Ebrei, dai loro agenti col culto dello sciopero, dagli atei, da tutti i parassiti politici’. Questa cartolina tedesca è intitolata ‘lo scopo dello sciopero’. Lo scopo sarebbe portar denaro all’Ebreo tentacolare. Questa cartolina polacca accusa gli Ebrei di menar per il naso gli operai, inducendoli a scioperare. E questa cartolina francese accusa gli Ebrei, simboleggiati da Rothschild, di usare gli scioperi dei ferrovieri come scusa per aumentare i prezzi dei trasporti!
Ma l’accusa più frequente è di essere i veri padroni occulti delle fabbriche, i veri grandi capitalisti che hanno a loro disposizione persino l’esercito! Così l’odio degli operai veniva allontanato dai governi e dai padroni effettivi delle fabbriche. Questa cartolina tedesca del sindacato dei metallurgici sostiene che in cima alla fortezza capitalista che imprigiona il popolo si trovano gli Ebrei. Ovviamente gli Ebrei c’entravano ben poco con le industrie e le miniere di metallo tedesche, ma la propaganda politica non bada alla realtà. E secondo Galantara l’Ebreo determinerebbe l’ascesa o la discesa di regni e repubbliche…
L’ assurda usanza di attribuire qualunque male agli Ebrei rimase talmente radicata nei partiti e nella stampa di massa, che persino quando Hitler annesse l’Austria, nel 1938, organizzando subito una strage di Ebrei viennesi, ‘L’Action Française’ pubblicò questa cartolina in cui accusava ‘l’Ebreo Blum’ , allora presidente del consiglio in Francia, socialista, di esserne felice, in quanto ‘il socialismo ci viene dall’ebreo tedesco Karl Marx, ed ha sempre giocato a favore dei Tedeschi.’ Alcuni anticlericali riuscivano persino ad accusare l’Ebreo di essere il finanziatore del Papa, e il Papa di essere una versione dell’Ebreo rapace!
Furono i servizi segreti dello Zar a provvedere un documento – falso − che desse fondamento a ogni paura e a ogni accusa, per quanto contradditoria e assurda. ‘I Protocolli degli Anziani di Sion’ è forse il libro che ha venduto più copie al mondo nell’arco del ‘900, dopo la Bibbia. I Protocolli, probabilmente scritti da Matteo Golovinski, furono pubblicati a puntate nel 1903 sul quotidiano di San Pietroburgo ‘Znamia’ (la Bandiera) , da Pavel Krushevan, appartenente al gruppo monarchico ultranazionalista e antisemita CENTURIE NERE.
Fin dal 1860 la Russia era stata travagliata da attentati anarchici e social-comunisti. Quando nel 1881 un gruppo di rivoluzionari uccise lo Zar Alessandro II, i nazionalisti accusarono gli Ebrei di sobillare i fedeli sudditi russi con dottrine ribelli che non potevano appartenere al popolo russo. Iniziò un periodo di pogrom, stragi di Ebrei nei loro villaggi, per lo più istigati proprio dalle Centurie Nere. Di fronte alle vittime, interveniva l’Osservatore Romano a suggerire che forse gli Ebrei i pogrom… se li facevano da soli, apposta per suscitare simpatia. Scriveva l’articolista vaticano : ‘non andiamo lungi dal vero se diciamo che anche lo sfratto un po’ duro dei figlioli di Giuda dall’Impero Moscovita ha fatto e fa buon giuoco in mano al Giudaismo per muovere la compassione verso i giudei, verso i quali il mondo cristiano e civile comincia a ribellarsi davvero e per bene’ … ‘L’antisemitismo dovrebbe essere la reazione naturale temperata, riflessiva, cristiana contro il predominante Giudaismo’, invece l’antisemitismo assassino dei pogrom ‘non è che una forma artificiosa di vero Giudaismo, da questo a bella posta introdotta e mantenuta, perché non possa (…) organizzarsi, svolgersi e predominare il vero antisemitismo’.
I ‘protocolli’ sono presentati come i verbali di un’assemblea segreta di rabbini che si riunirebbero ogni cento anni per pianificare la cospirazione giudaica per conquistare e rovinare il mondo, attraverso ogni sorta di sotterfugio e di tradimento, con ogni mezzo. Vennero tradotti e pubblicati ovunque, spesso corredati da immagini che presentavano l’Ebreo come dotato di una soprannaturale potenza, usata per operare il male. E vennero ovunque spacciati per ‘documento storico’, antico testo veritiero. In Italia nel 1921 ne vennero pubblicate due edizioni, una di Giovanni Preziosi, che sotto il fascismo divenne testo di studio nelle scuole, e una del giornalista vaticano Monsignor Umberto Benigni.
Ovunque in Europa divenne ‘ovvia’ la credenza che l’Ebreo sfruttasse i deboli, avesse appetiti insaziabili, fosse oscenamente obeso e maialesco, uccidesse gli innocenti, rovinasse gli stati, tradisse le nazioni che lo ospitavano. In questo ambiente emotivo, politico, culturale crebbero gli Europei del ‘900, e venne educato Hitler.
Si parla poco di antisemitismo sovietico. Da REPUBBLICA di oggi 5 marzo 2006 riprendiamo l'articolo di Giampaolo Visetti, a pag.34, dal titolo "E Stalian tacque per nascondere i propri crimini". E' un'intervista con Alla Gerber,storica e scrittrice di Kiev, la cui famiglia è stata sterminata. Oggi presiede la Fondazione Holocaust di Mosca.
http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0&id=15686 Ecco l'articolo:
Mosca
«Fino all´avvento di Gorbaciov, l´Olocausto fu ignorato in Unione Sovietica. Gli ebrei ammazzati dai nazisti durante l´occupazione tedesca venivano citati come russi caduti durante la Guerra di liberazione. Solo ora comincia a prendere corpo un vero e proprio archivio della Shoah». Alla Gerber è una signora minuta e gentile. Figlia di una famiglia ebrea sterminata a Kiev, storica e scrittrice, dissidente perseguitata ai tempi dell´Urss, deputata democratica ai tempi della perestrojka, leader della difesa dei diritti umani in Russia, ha dedicato la vita a far emergere la verità sul massacro degli ebrei russi in Germania e nei Paesi dell´Est. Oggi presiede la Fondazione Holocaust di Mosca, l´unica istituzione dell´ex Urss che raccoglie testimonianze e reperti della Shoah. «Per mezzo secolo», dice, «è stato quasi impossibile trovare documenti delle persecuzioni sul territorio sovietico. Stalin prima tradì gli ebrei per dimostrare amicizia a Hitler, poi per nascondere i propri pogrom. I comunisti, successivamente, hanno cancellato l´Olocausto per coprire le proprie stragi e per non ammettere la diffusa complicità popolare nella Shoah. Il Male in Russia fu la normalità, ma poi tutti se ne sono vergognati».
Esiste in Russia documentazione fotografica sui lager nazisti, o sulle fucilazioni di massa degli ebrei?
«Nemmeno una foto. Il comunismo, a differenza del nazismo, non è crollato alla fine della Seconda guerra mondiale. Sul territorio sovietico non furono mai costruiti lager. I nazisti non avevano bisogno di nascondere nulla. Le fucilazioni avvenivano sotto gli occhi di tutti. L´Urss ha poi distrutto tutti i documenti compromettenti».
Perché invece si sono salvate le immagini dei gulag?
«I gulag non erano finalizzati allo sterminio di un popolo. Erano campi di prigionia, le persone erano ridotte in schiavitù. Ma erano essenzialmente luoghi di lavoro. Non è morta il novanta per cento della loro popolazione, come nei lager».
Hitler e Stalin hanno ridotto l´abominio a normalità, a ordinaria occupazione quotidiana degli aguzzini: come ha potuto verificarsi una tale concomitanza?
«È stato un fenomeno strano, unico nella storia. Non c´è una spiegazione razionale. La violenza razziale era vissuta come un diritto. Hitler negli anni Trenta studiò i metodi repressivi di Stalin. Li ammirava e li adottò, rendendoli poi più sofisticati. Stalin, alla fine degli anni Trenta, inviò funzionari in Germania a studiare l´organizzazione dei lager. Sapevano entrambi di essere gli architetti di un´industria della morte, ma il clima era simile a quello che si crea oggi quando una delegazione straniera visita una fabbrica o una centrale elettrica».
Cosa cambiò per gli ebrei dopo l´invasione tedesca dell´Urss?
«Iniziò anche qui lo sterminio sistematico degli ebrei. Stalin di fatto li consegnò ai nazisti. Per non incrinare l´amicizia con Hitler, prima del tradimento, la propaganda sovietica dipingeva la Germania come la nazione più illuminata e tollerante del mondo. Nessuno immaginava l´Olocausto. I nazisti furono accolti dagli ebrei, discriminati in Urss, come dei liberatori. Nessuno, avvisato in extremis, fuggì».
Perché le autorità sovietiche non sfruttarono la Shoah per convincere milioni di ebrei russi a combattere contro i nazisti?
«Storicamente la Russia è un paese antisemita. Stalin conosceva gli umori profondi del popolo. Lasciò che i tedeschi facessero il lavoro sporco, contando sulla complicità sociale. Tra il 1941 e il 1945, sul territorio sovietico, sono stati uccisi oltre tre milioni di ebrei. Tutti fucilati: non è stato necessario costruire nemmeno un carcere».
Come reagiva la gente davanti alle esecuzioni di massa?
«Le racconto quanto avvenne a Kiev, alla mia famiglia. Dopo l´invasione, i tedeschi pubblicarono subito un giornale antisemita in lingua russa. Poi iniziarono lo sterminio in un quartiere. Portavano gli ebrei sulle rive del Dniepr e li fucilavano. A migliaia. All´inizio non accadde nulla. Dal terzo giorno in poi si riuniva la folla per assistere alle esecuzioni. Facevano la coda per assistere allo spettacolo, contavano i cadaveri, ammirati come fossero bottino di caccia. Nell´Olocausto troviamo sempre tre categorie: vittime, carnefici e spettatori».
Quale è stato l´atteggiamento dei russi dopo la sconfitta della Germania nazista?
«Sotto l´Urss non si è mai parlato dell´Olocausto degli ebrei. Vassilij Grossman e Ilija Ehrenburg compilarono il libro nero sullo sterminio, ma non riuscirono a pubblicarlo. Nel 1948 Stalin iniziò a combattere la battaglia persa di Hitler, perseguitando i cosidetti "cosmopoliti", ossia gli ebrei. Poi li accusò di collaborazionismo con i tedeschi. Alla strage seguì una strage, nell´indifferenza collettiva».
Perché Stalin, nonostante i russi avessero liberato Auschwitz, perseguitò gli ebrei anche dopo il 1945?
«L´Urss era al disastro economico. Montava il malcontento popolare. Iniziava la Guerra Fredda. L´attenzione della gente andava sviata. La liberazione di Auschwitz fu taciuta. Si puntò sulla presenza dannosa dei ricchi ebrei, dati in pasto alla rabbia dei poveri russi. Per anni il Kgb assicurò che ogni presunta spia Usa era ebrea».
E dopo la morte di Stalin?
«Cambiò poco. La nomenklatura comunista rimase intimamente antisemita. L´Olocausto è stato sempre ignorato, o minimizzato. Non era un argomento ufficialmente proibito, ma si consigliava di evitarlo. L´aria è cambiata con Gorbaciov, ma pure con Eltsin».
Com´è il clima oggi?
«Il popolo russo resta povero e deluso, ha ancora bisogno di un colpevole, di un capro espiatorio. La Russia continua a ignorare la Shoah. Non vuole ammettere che milioni di sovietici, in particolare nei Paesi baltici e in Ucraina, eseguirono le stragi di ebrei ordinate dai nazisti. Per questo il terreno per l´antisemitismo resta fertile».
Ritiene che le autorità siano responsabili?
«Putin non è antisemita, non c´è un nuovo Hitler russo. Si tollera però la presenza di decine di gruppi e piccoli partiti che alimentano e sfruttano l´odio contro gli ebrei. Negli strati marginali della popolazione gli episodi di violenza antisemita si moltiplicano, senza essere contrastati né condannati con la necessaria fermezza. La voglia di riabilitazione di Stalin porta con sé il recupero di Hitler. Per anziani e giovanissimi sono due leader che hanno portato ordine. Così in Russia gli ebrei ormai sono meno di un milione. E chi può se ne va».
Stalin, mio padre, l'antisemita gennaio 27, 2016 Aldo Vitale
https://www.tempi.it/stalin-mio-padre-a ... ofNsudryjI «Mio padre sotto molti aspetti non soltanto l’aveva appoggiato (l’antisemitismo), ma era stato il primo a diffonderlo»
«La memoria umana è uno strumento meraviglioso, ma fallace», riconosceva uno dei protagonisti del dramma dell’olocausto come Primo Levi.
Proprio per questo si può ritenere che una memoria storica dimezzata o selettiva non è effettiva memoria storica.
Pur celebrato il giorno della memoria dell’olocausto anti-abraico per mano del nazionalsocialismo, non si può ritenere assolto il proprio dovere morale nei confronti della verità storica, in quanto non di tutti gli ebrei sterminati per motivi ideologici si è ricordata la morte.
Sebbene sia passata e, almeno in Italia, continui a passare sotto silenzio, la storia del socialismo reale, che per decenni è stato interpretato da alcuni con vibranti spasmi escatologici – tanto che nel nostro Paese fino a pochi anni or sono qualcuno intendeva rifondare il comunismo con un apposito ed omonimo partito politico –, è intrisa di antisemitismo.
Non si comprende, quindi, il vero motivo per cui, ancora oggi, ci si debba ricordare soltanto degli ebrei uccisi dal socialismo nazionale e non anche degli ebrei uccisi dal socialismo reale.
La logica è la stessa che si rinviene in altri ambiti; per esempio, con quanto accade per i cristiani: se a stento ci si ricorda di quelli perseguitati in oriente e medio-oriente, nulla, ma proprio nulla si dice di quelli perseguitati in occidente.
E come da sinistra oggi si nega l’esistenza dell’ideologia gender, così per decenni si è negata l’esistenza dell’antisemitismo socialista che, tuttavia, ha lasciato evidenti orme di sangue nel suo passaggio antiumano lungo le polverose vie della storia.
Le evidenze storiografiche in merito, oramai, sono incelabili, almeno all’estero.
Lo storico Louis Rapoport nei suoi studi, infatti, così scrive:
«Durante il Grande Terrore, gli agitatori di Stalin aveva fomentato il pregiudizio antisemita, portandolo al culmine. Paradossalmente, mentre l’attenzione mondiale era rivolta alle leggi antisemite e alla persecuzione degli ebrei nella Germania nazista degli anni precedenti la guerra, Stalin, tra i dieci milioni di vittime delle purghe, stava sterminando 500.000 o 600.000 ebrei. Tra tutte le nazionalità sovietiche, in percentuale quella ebraica fu probabilmente la più colpita».
Una testimonianza diretta ed insospettabile, ma storicamente determinante ed inoppugnabile è quella proveniente dal diario, dal titolo Soltanto un anno, di una delle protagoniste di quei bui momenti della storia come è stata Svetlana Allilueva che così ha scritto:
«Negli anni del dopoguerra l’antisemitismo diventò l’ideologia ufficiale e militante, sebbene la cosa venisse tenuta nascosta in ogni modo. Ma dappertutto si sapeva che nella selezione degli studenti e nell’assunzione al lavoro la preferenza si dava ai russi, mentre per gli ebrei era sta sostanzialmente stabilità una percentuale che non si doveva oltrepassare […]. Nell’Unione Sovietica l’antisemitismo era stato dimenticato soltanto nel primo decennio dopo la rivoluzione. Ma, con l’esilio di Trozki, con l’annientamento dei vecchi comunisti negli anni delle purghe, molti dei quali erano ebrei, l’antisemitismo era risorto su una nuova base e innanzi tutto in seno al partito».
Svetlana Allilueva, per chi non lo sapesse ancora, era niente meno che la figlia di Stalin, e come tale così conclude:
«Mio padre sotto molti aspetti non soltanto l’aveva appoggiato [l’antisemitismo n.d.a.], ma era stato il primo a diffonderlo. Nell’Unione Sovietica dove l’antisemitismo aveva antiche radici nella piccola borghesia e nella burocrazia, esso si diffuse orizzontalmente e verticalmente con la rapidità d’una pestilenza».
Del resto, nonostante queste e altre innumerevoli prove storiografiche, impossibili da riportare in un così breve spazio, non stupisce che una certa intellighenzia sia ancora sorda a riconoscere simili abomini, perché, spesso, si tratta di quella stessa intellighenzia che oggi si ostina a negare l’esistenza delle aberrazioni etiche e giuridiche tanto in voga nel mondo contemporaneo.
Se davvero, dunque, si volessero celebrare gli ebrei sterminati, si dovrebbero ricordare tutti gli ebrei sterminati, e il mondo culturale che è stato o è ancora di sinistra, a meno che volesse apparire come un semplice sepolcro imbiancato, farebbe bene a ricordare gli ebrei uccisi, non pochi, anche dall’antisemitismo di matrice socialista.
Operazione comunque ardua vista la forma mentis di una parte del mondo culturale sostanzialmente e congenitamente così anti-cristiano da non aver ancora compreso la logica per cui è sempre bene, prima di parlare della pagliuzza nell’occhio altrui, accertarsi di non avere una trave nel proprio.
L'antisemitismo di sinistra è figlio della disinformazione sovieticaMario Rimini
https://www.loccidentale.it/articoli/91 ... -sovieticaLa sconfitta sovietica nella Guerra fredda è stata meno assoluta di quanto si creda. L’Impero comunista non esiste più, certo. Ma i germi virulenti che esso ha piantato nel ventre profondo delle società occidentali continuano a crescere e a proliferare, come una maledizione postuma che avvelena la linfa vitale della democrazia. I due sintomi più evidenti della malattia sono l’anti-americanismo, e il parallelo e onnipresente odio preconcetto verso Israele.
Se l’antiamericanismo è però fenomeno alquanto evidente e si può ricondurre in maniera relativamente semplice alla retorica anti-occidentale della Guerra fredda, l’avversione viscerale per Israele che caratterizza la sinistra contemporanea riesce a sfuggire a un simile, automatico collegamento. Ammantato come è di pretesti umanitari e di vezzi intellettuali, l’odio verso Israele acquista presso l’opinione pubblica internazionale una veste di autorità e rispetto che lo rende, se possible, ancora più micidiale del pur letale veleno antiamericano.
Fenomeni come l’antsemitismo millenario della cristianità in un caso, o più banalmente il rancore nutrito di invidia e risentimento verso una superpotenza nell’altro, spiegano i due malanni in parte. Ma solo in parte. Perché la vera fonte della loro contemporaneità politica e sociale affonda le radici in quella che è probailmente stata la più grande vittoria sovietica nella contrapposizione bipolare: la guerra della comunicazione. Un’operazione così di successo, che ancora ammorba e introbidisce la nostra vita democratica, rimestando e rigurgitando incessantemente pregiudizi, falsificazioni e miti negativi – primo fra tutti il “peccato originale” dello Stato d’Israele.
Non è un caso che al giorno d’oggi sia la sinistra a portare più evidenti i segni inconfondibili dell’antisemitismo, un tempo appannaggio dell’estrema destra e oggi rirpoposto sotto il mutato e ingannevole aspetto dell’anti-sionismo. Che si tratti di un fenomeno di massa è facile appurarlo. Basti gettare uno sguardo retrospettivo ai commenti dell’italiano comune alla vicenda della “flottiglia della liberta’”, apposti copiosamente in calce agli articoli sempre faziosi e violentemente anti-israeliani di un giornale come Il Manifesto. Si scorgono, in quelle pagine buie e scioccanti, i temi più classici dell’antisemitismo storico: espressioni simil-bibliche come “il popolo maledetto”; la stolta e crudele equiparazione delle vittime ai carnefici tipica di frasi come “gli ebrei peggio dei nazisti”; o semplicemente la reiterazione di un tema religioso trasformato in politica spicciola, con lo slogan del “peccato originale” dell’esistenza dello Stato di Israele. E via di seguito, in un fiume torbido di rabbia e pregiudizio. Non una sola voce di destra echeggia nel magma ribollente che erutta dalle viscere del paese sulle brutte pagine elettroniche del giornale anti-israeliano per antonomasia. A esprimere il peggio della nostra storia sono, invece, le anime belle d’Italia.
Come ha fatto dunque questo genere di odio antisemita a riversarsi, integro e veemente, dalla retorica filo-nazista a quella di una sinistra che si vorrebbe progressista e illuminata? La risposta giace negli archive impolverati del KGB. A Mosca. Dove per decennia una verità distorta e perversa è stata fabbricata con zelo e caparbietà ed è stata propinata in dosi massicce all’Occidente, attraverso movimenti comunisti, mezzi di disinformazione e un’opinione pubblica sospinta da deali nobili verso le ignobili weltanschaaungen degli agenti segreti del Cremlino.
“Aktnvnye meropriatia” - misure attive. E’ questa la formula magica dietro cui il Kgb ha operato per decenni con l’intento di destabilizzare i meccanismi più profondi della democrazia: le menti e i cuori, le credenze delle masse. In una parola, l’opinione pubblica. La guerra psicologica sovietica ha ragiunto livelli di sofisticazione ineguagliati. Cio’ è dovuto alla natura del regime sovietico: l’URSS era costituzionalmente avvantaggiata su questo terreno. Una dittatura monopartitica poteva garantire un assoluto controllo dell’informazione e una propaganda uniforme e martellante, che le mutevoli democrazie occidentali non potevano nemmeno sognarsi. L’apertura delle società occidentali permetteva ai sovietici di diffondere la loro desinformazia senza vincoli e frontiere, mentre l’etere e la società sovietica erano al sicuro da influenze occidentali, dietro la Cortina di Ferro. La Guerra della comunicazione rispondeva inoltre pienamente all’ideologia del comunismo staliniano, per cui lo scontro con l’Occidente era inevitabile e pertanto il significato della parola “pace” era semplicemente l’assenza di azioni belliche, ma non di altre forme di Guerra. Tra queste, la più insidiosa, efficace e longeva è stata appunto la guerra psicologica.
I sovietici sono riusciti a pervertire parole universali come “pace” e “pacifismo”, “libertà” e “imperialismo”. Facendo leva sui sensi di colpa occidentali per il colonialismo, l’estremismo di destra, il predominio economico e persino la schiavitù, l’Unone Sovietica ha potuto insinuare tra le masse d’Occidente la convinzione che qualunque “debole” sia per forza buono, mentre l’Occidente, potenza per antonomasia, è sempre e comunque nel torto. L’URSS ha creato il paradosso per cui qualsiasi movimento anti-occidentale è per definizione un movimento di liberazione, non importa se i suoi metodi siano violenti e omicidi e i suoi scopi dittatoriali e repressivi. Infine, il capolavoro sovietico è stato Israele. I sovietici ne anno fatto la summa di ogni menzogna e l’obiettivo di ogni risentimento.
Hanno martellato nell’opinione pubblica l’idea di Israele come longa manus dell’imperialismo, come agente de colonialismo occidentale, come Potenza militare aggressiva e nemica della pace tra i popoli. Il “peccato originale di Israele”, che solo pochi giorni fa l’uomo qualunque italiano vomitava sulle pagine del Manifesto, altro non è che la ripetizione meccanica del mantra sovietico di Israele potenza colonialista, servo degli imperialisti americani, e ontologicamente perverso. Il fatto che il sionismo sia stato in fondo anch’esso un movimento di liberazione nazionale, al pari di ogni altro nazionalismo da cui è scaturito ogni altro paese al mondo, è stato censurato e offuscato dietro una cortina fumogena di disinformazione, propaganda e guerra psicologica. Da qui anche la famigerata equazione sionismo eguale razzismo, e la condanna aprioistica della mera esistenza di uno Stato degli ebrei in Medio Oriente.
Milioni di occidentali sono stati esposti a questo morbo sovietico della disinformazione e della menzogna, e il contagio è diventato un’epidemia. Quei semi avvelentai ancora germogliano nelle nostre società, e il fatto che siano stati raccolti e continuino a essere seminati con zelo quasi religioso da partiti e movimenti comunisti, ex comunisti e in generale dalla sinistra europea, è la riprova dell’efficacia e della pervasività dell’imbroglio sovietico.
La sinistra europea contemporanea è ammalata. E’ ammalata di un morbo fabbricato a Est. Un morbo piu’ letale delle bombe chimiche e nucleari degli arsenali sovietici. Il virus scorre nel suo sangue e ne fa, a distanza di numerosi anni, un cavallo di troia in seno alla democrazia. E’ un virus programmato per attaccare e contagiare le anime sensibili, gli idealisti ingenui che ancora credono che l’URSS fosse il paradiso dei lavoratori e l’unico paladino della pace tra i popoli e della liberazione anti-imperialista. Che ancora vedono negli eserciti d’Occidente l’incarnazione del male, anche quando quei ragazzi sono i compagni di scuola, gli amici e i fratelli degli amici, e quando combattono in periferie remote contro forze che vengono dal Medioevo più oscuro promettendo nichilismo e distruzione. E’ un virus che acceca, privando della capacita’ di distinguere il torto dalla ragione, gli amici dai nemici, la realtà dalle menzogne.
In questo tragico paradosso, l'Unione Sovietica ha ancora una speranza di postuma rivalsa. Peché se gli occidentali odiano se stessi e perdono la capacità di distinguere chi è simile a loro e chi è a loro antitetico, la democrazia è spacciata. Gli eserciti, allora, diventano impotenti, e la tecnologia non può rimediare alla mente che vacilla e all’anima che si perde. I sovietici lo sapevano bene. E le loro “misure attive” rappresentano già il più temible arsenale del nuovo blocco che sfida l’Occidente - da Hamas a Hezbollah, dagli Ayatollah ai Talebani. Uniti scientemente nell'odio anti-israeliano, come questa sinistra febbricitante, e inconsapevole.
Fantasma antisemita e/o problema storiografico? di Massimo Introvigne
http://www.cesnur.org/2007/mi_ebrei.htm Una versione leggermente modificata di questo testo è stata pubblicata come “Giudeo-bolscevismo? Una balla” su il Domenicale. Settimanale di cultura, anno 7, n. 2, 12 gennaio 2008, p. 5.
In occasione delle elezioni politiche polacche del 21 ottobre 2007 la battaglia ideologica fra il Partito della Legge e della Giustizia (Prawo i Sprawiedliwość, PiS) del primo ministro Jarosław Kaczyński (fratello gemello del presidente della Repubblica di Polonia, Lech Kaczyński) – uscito sconfitto, seppure di misura, dalla consultazione – e i suoi oppositori è stata particolarmente aspra. Il PiS è stato accusato di antisemitismo, e ha a sua volta accusato gli oppositori, che criticavano la sua politica di lustracija, “pulizia”, intesa a fare emergere i nomi di coloro che in passato avevano collaborato con i servizi segreti della Polonia comunista, di far parte di un complotto anti-nazionale di “ebrei e comunisti”.
A una prima lettura, qualunque tesi che considera l’ebraismo e il comunismo come parte di uno stesso complotto – contro il cristianesimo, l’Europa o lo spirito nazionale della Polonia o di altri Paesi – appare semplicemente come un fantasma antisemita. È infatti evidente che il comunismo ha spesso perseguitato gli ebrei e la loro religione. La grande maggioranza delle sinagoghe in Russia e nei Paesi satelliti sono state distrutte o trasformate in magazzini o musei. Il “complotto dei medici” (1948-1953) – sostanzialmente inventato dalla propaganda staliniana, che accusava un gruppo di dottori di avere tentato di uccidere i principali dirigenti del regime – si tradusse in una recrudescenza di antisemitismo (dal momento che molti dei medici accusati erano ebrei) in tutta l’Unione Sovietica. La falsa “accusa del sangue” – cioè la calunnia secondo cui gli ebrei sgozzerebbero ritualmente fanciulli non ebrei per mescolare il loro sangue alle azzime di Pasqua –, oltre che nel mondo islamico, fu presa sul serio dalle autorità dopo la Seconda guerra mondiale quasi esclusivamente in Unione Sovietica (per esempio in Uzbekistan: a Margilan nel 1961 e a Tashkent nel 1962). Lo schieramento del regime sovietico, e del comunismo internazionale, a fianco dei palestinesi e dei Paesi arabi nella lotta contro Israele portò a una serie di discriminazioni e campagne antisemite non solo in Unione Sovietica ma anche nei Paesi satelliti: nella stessa Polonia negli anni 1967-1968 centinaia di ebrei furono epurati dai quadri dirigenti del Partito Comunista. Chiunque conosca sia l’ostilità a Israele del mondo comunista, sia come questa ostilità si trasformi facilmente – anche se a volte per gradi, così che l’esito appare evidente solo alla fine del processo – in antisemitismo, non potrà che sorridere, certo amaramente, di fronte a espressioni come “giudeo-comunismo”, che appartengono a una semplice operazione di propaganda che ignora le realtà e la complessità della storia.
Tuttavia la campagna elettorale polacca del 2007 ha fatto nascere anche un serio dibattito, almeno in Polonia, fra gli specialisti accademici del comunismo, alcuni dei quali sono ebrei. Il fatto che gli antisemiti sollevino la “questione comunista” in un modo non solo propagandistico ma storicamente assurdo vieta che la domanda sui rapporti fra un certo numero di ebrei e il comunismo sia posta? Oppure il fatto che gli storici seri si auto-censurino con un “divieto di fare domande” sul tema, per paura di essere confusi con gli antisemiti, non finisce con il fare il gioco degli antisemiti stessi? La discussione, per la verità, non è nuova e – a prescindere da numerose pubblicazioni in lingua polacca – è stata avviata in Occidente già con il volume del 1991 di Jaff Schatz The Generation. The Rise and Fall of the Jewish Communists of Poland (University of California Press, Berkeley - Los Angeles - Londra 1991), mentre in Russia lo stesso problema è stato posto ripetutamente da Aleksandr Solzhenitsyn. In occasione delle elezioni del 2007 Stanislaw Krajewski, professore di filosofia all’Università di Varsavia molto noto anche nel mondo cattolico per la sua partecipazione a iniziative di dialogo ebraico-cristiano, è tornato sulla questione, con un bilancio delle discussioni più recenti pubblicato sulla rivista statunitense Covenant. Global Jewish Magazine (vol. I, n. 3, ottobre 2007: “Jews, Communists, and Jewish Communists, in Poland, Europe, and Beyond”). Krajewski, tra l’altro, si dichiara interessato al dibattito anche per una ragione personale: è pronipote di Adolf Warski (1868-1937), che fu co-fondatore del Partito Comunista Polacco prima di cadere egli stesso vittima della “Grande Purga” staliniana. Nella controversia è intervenuta – studiando le fonti letterarie, e con un punto di vista parzialmente diverso (che sottolinea maggiormente la componente messianica nell’accostamento di certi intellettuali ebrei polacchi all’utopia rivoluzionaria marxista) – anche Laura Quercioli Mincer, in un interessante articolo pubblicato sul numero 1 (2007, pp. 35-61) dell’European Journal of Jewish Studies: “Ubi Lenin, Ibi Jerusalem: Illusions and Defeats of Jewish Communists in Polish-Jewish, Post-World War II Literature”.
Krajewski non pensa che l’argomento dei rapporti fra alcuni ebrei e il comunismo (espressione più precisa rispetto a quella che implica una relazione fra ebraismo e comunismo) debba essere evitato per timore degli antisemiti. Alcuni dati statistici richiedono in effetti una riflessione. Il filosofo polacco ricorda per esempio come uno dei primi “sovietologi” svedesi, non particolarmente noto come antisemita, Alfred Jensen (1859-1921), calcolasse nel 1920 che il 75% dei dirigenti bolscevichi russi fosse ebreo, anche se si deve considerare che questo dato precede l’epurazione di molti dirigenti ebrei dopo l’espulsione dell’ebreo Lev Trotsky (1879-1940) dal Partito Comunista dell’Unione Sovietica nel 1927. E in Polonia Krajewski ricorda che “dopo la Seconda guerra mondiale la maggioranza delle organizzazioni ebraiche erano filocomuniste”. Tutto questo, ancora, prescinde dalle origini ebraiche di Karl Marx (1818-1883): se suo nonno era un rabbino, suo padre si era convertito al protestantesimo luterano. Karl era stato battezzato, e dai suoi scritti traspaiono semmai evidenti pregiudizi antisemiti. La questione potrebbe essere approfondita – ma non è l’interesse principale di Krajewski – con riferimento alla parabola dell’Haskalah, la versione ebraica dell’Illuminismo, che porta molti ebrei, talora (ma non sempre) transitando appunto per una conversione al protestantesimo liberale, a passare da una visione del mondo religiosa tradizionale a un liberalismo laicista, quindi da questo al socialismo, un’ideologia che è maggioritaria anche tra i fondatori e i primi dirigenti del movimento sionista.
Krajewski è più interessato alla storia del comunismo polacco, dove coesistono importanti dirigenti ebrei (come il suo bisnonno Warski) e antisemiti come Władysław Gomułka (1905-1982), animatore della campagna antiebraica del 1967-1968 ma che già nel 1948 scriveva lettere a Josif Stalin (1878-1953) invocando purghe contro i membri ebrei del Partito. Una prima conclusione di sedici anni di dibattiti – fra il libro di Schatz e le elezioni del 2007 – è che gli ebrei che diventavano comunisti lo facevano al termine di un percorso personale e familiare di progressiva perdita dell’identità ebraica. L’ebraismo – la più piccola delle religioni monoteistiche storiche (tredici milioni di persone contro un miliardo e mezzo di cristiani o di musulmani) – teme sempre di sparire per “assimilazione”: molti abbandonano la loro religione e non si considerano più ebrei, specie dopo avere sposato un coniuge non ebreo. Nel 1928 il famoso rabbino polacco Jehoshua Ozjasz Thon (1870-1936) metteva in guardia contro l’“assimilazione rossa”: gli ebrei, diventando comunisti, finivano per assumere totalmente un’identità comunista non solo rimuovendo l’identità ebraica ma talora (come Marx) vergognandosene e combattendola.
Ma la domanda rimane: perché un numero importante di ebrei, proporzionalmente maggiore rispetto ad altre comunità, aderì al comunismo? E anzitutto: ci sono cifre che lo confermano o tutti sono vittima di uno stereotipo antisemita? Secondo Krajewski gli studi più recenti e attendibili sulla Polonia mostrano che la percentuale di adesione di ebrei al Partito Comunista corrisponde, grosso modo, a quella degli ebrei sulla popolazione polacca in genere, ed è più bassa di quest’ultima prima della Seconda guerra mondiale, quando in Polonia vivevano ancora – prima di essere sterminati nell’Olocausto – grandi masse di ebrei rurali ultra-ortodossi e hassidici, ben poco inclini a farsi affascinare dal comunismo. Quello che ha colpito la popolazione polacca è l’alta percentuale di ebrei (prima delle campagne anti-israeliane che iniziano nel 1956) fra i dirigenti comunisti e nei servizi segreti e di sicurezza interna. Ma anche in questi ultimi colpisce la cifra dei dirigenti, non quella dei semplici agenti. Nel periodo 1944-1956 fra gli agenti dei servizi di sicurezza polacchi gli ebrei sono l’1,7%, ma la cifra sale al 13,4% fra gli ufficiali e a quasi il 30% fra gli ufficiali superiori.
Ne consegue che, mentre è falso che in Polonia il comunismo abbia attirato gli ebrei più dei membri di altre etnie e religioni (anche perché alla percentuale di ebrei agenti dei servizi fa da contrappunto una percentuale ancor più alta di ebrei vittime degli stessi servizi), è vero che il comunismo ha arruolato un numero sproporzionato di intellettuali di origine ebraica, molti dei quali particolarmente qualificati e preparati, così che – prima delle purghe antisioniste e antisemite degli anni 1950-1960 – nel Partito hanno potuto fare carriera. Ancora una volta – e Krajewski potrebbe forse andare più a fondo sul punto – tutto questo rimanda a una riflessione sulle classi colte e sugli intellettuali ebrei fra il XVIII e il XX secolo, e sulla lenta deriva dall’assimilazione attraverso l’adesione all’Illuminismo fino all’“assimilazione rossa”: una deriva in cui per entrare, talora anche dalla porta principale, in ogni nuovo stato di cose che caratterizza l’Europa gli ebrei devono pagare un biglietto d’ingresso che consiste nel rinunciare alla loro religione e alla loro identità.
L’importanza di questa tematica difficilmente può essere sopravvalutata. L’errore più comune che porta a tollerare l’antisemitismo consiste nel costruire un modello “a taglia unica” de “gli ebrei”, mentre la parola “ebrei” designa gruppi umani con storie molto diverse fra loro. Oggi fra un ebreo ultra-ortodosso di Gerusalemme (o di New York), con il suo modo di vestire che a molti sembra anacronistico e la sua morale rigorista, e un’attivista ebrea della California che frequenta una sinagoga riformata e sfila per il matrimonio tra le lesbiche c’è davvero poco in comune. Ma anche nel 1930 c’era poco in comune fra gli hassidim dei villaggi polacchi in attesa di essere sterminati dall’Olocausto e gli intellettuali di famiglia ebrea (ma atei) dei caffè di Varsavia che si entusiasmavano per il marxismo.
E tuttavia la domanda resta: perché molti intellettuali ebrei scelsero il comunismo? Perché non il liberalismo, o altre ideologie diverse da quella marxista? Sul punto la discussione non è conclusa. Alcuni dei partecipanti al recente dibattito polacco ritengono che gli intellettuali ebrei che diventarono comunisti, figli nella maggior parte dei casi di genitori passati dal razionalismo all’ateismo, in qualche modo tornassero alla religione, secolarizzando il messianismo ebraico nel messianismo marxista. Non è solo una analisi dell’atteggiamento di Marx, tanto nota e antica quanto controversa. Lo stesso Schatz, il cui libro del 1991 come si è accennato è alle origini di tutto questo dibattito, paragona gli ebrei polacchi diventati dirigenti comunisti ai loro antenati che seguirono il falso messia Sabbatai Zevi (1626-1676). Altri – e Krajewski fra questi – fanno notare che il messianismo comunista contiene forse “ingredienti ebraici” ma che appare assai più persuasiva la sua ricostruzione come secolarizzazione (certo, con un equivoco drammatico e perverso) di idee tipiche del cristianesimo.
La vera domanda non è : “Perché i comunisti sono ebrei?” (una questione mal posta, e storicamente falsa) ma: “Perché molti (intellettuali) ebrei diventarono comunisti?”. La risposta, secondo Krajewski, non ha tanto a che fare con la religione ma con un senso di marginalità e di “non appartenenza” alla società maggioritaria, un sentimento di cui la religione non è l’unica componente (e di cui l’economia è una componente trascurabile: non si tratta di marginalità economica, ma culturale e spirituale). In questo senso, per il filosofo polacco è interessante notare che in Israele oggi esiste un piccolo Partito Comunista i cui dirigenti sono in maggioranza arabi. Anche nel loro caso non è l’islam, ma il senso di “non appartenere” davvero alla società israeliana che spiega la loro adesione al comunismo.
E tuttavia la questione rimane aperta. Krajewski, il cui bisnonno comunista è stato accusato di atrocità, pensa che una “purificazione della memoria” e il riconoscimento del comunismo come “problema morale” siano necessari anche per la comunità ebraica, che “le assurdità antisemite non debbano fermare la ricerca sui rapporti fra ebrei e comunismo”, e che “coloro che denunciano come razzista ogni statistica sul numero di ebrei nelle istituzioni comuniste” abbiano torto. “Discutere questi problemi non dev’essere lasciato agli antisemiti”. Come ogni menzogna, l’antisemitismo vive nel buio e ogni ricerca che fa luce sulla storia, anche sui suoi aspetti più dolorosi, è in realtà il modo migliore per combatterlo.