ONU - UNESCO e altri (no grasie!) - e Facebook ?

Re: ONU - UNESCO e altri (no grasie!) - e Facebook ?

Messaggioda Berto » sab lug 08, 2017 8:54 pm

IL PRIMO MINISTRO ISRAELIANO BENJAMIN NETANYAHUSULLA RISOLUZIONE DELL'UNESCO

https://www.facebook.com/noicheamiamois ... 4882662237

"Questa è un'altra delirante decisione dell'UNESCO.
Questa volta hanno deciso che la Tomba dei Patriarchi a Hebron è un sito palestinese, il che significa che non è ebraico, e che il sito è in pericolo. Non e' un sito ebraico?! Chi è sepolto lì? Abramo, Isacco, Giacobbe, Sara, Rebecca e Leah - i nostri patriarchi e matriarche! E il sito è in pericolo? E' solo in quei luoghi sacri in cui Israele li tutela , come a Hebron, che la libertà di religione per tutti è assicurata.
In Medio Oriente, in ogni altro posto che non sia Israele,moschee, chiese e sinagoghe vengono bombardati.Continueremo a proteggere la Tomba dei Patriarchi, la libertà di religione per tutti ,e la verità".





Unesco, il delirio
Commento di Deborah Fait

https://www.facebook.com/pagnogno.mosca ... 5357199111

Mi chiedo a che pro noi ebrei abbiamo fatto tanta fatica. In migliaia di anni siamo sopravvissuti alle persecuzioni più atroci, abbiamo perdonato e siamo andati avanti, abbiamo dato al mondo scienza, musica, cultura, abbiamo ricevuto un numero esagerato di premi Nobel tenendo conto del piccolo popolo che siamo. Siamo stati massacrati , infangati, denigrati, nessun popolo della terra è stato tanto perseguitato e maltrattato per centinaia, migliaia d'anni, senza fine. Abbiamo tirato su la testa e siamo andati avanti nonostante tutto. Abbiamo creato dal nulla un paese moderno e democratico, abbiamo lavorato, sudato sangue per farne un giardino. Ci hanno fatto la guerra, i nostri figli sono morti per Israele. Fatica, dolore, lacrime e sangue per millenni fino ad oggi. E adesso? Adesso ecco che della gente che si autoproclama "palestinese", appropriandosi del nome che era degli ebrei fino al 1948, gente inventata nel 1967 dalla fantasia maligna di Arafat e che, in 50 anni di storia, non ha fatto altro che terrorismo, gente che non è stata capace di produrre altro che parassitismo, miseria e violenza, ecco che questa gente ci sta rubando tutto. Non avendo una storia propria, i palestinisti hanno pensato bene di rubare la nostra, complice il mondo intero. Non potendo eliminarci in guerra lo fanno psicologicamente scippando i nostri siti storici, cercando di tranciare di netto le nostre radici millenarie.
Oggi, cari amici, cari fratelli ebrei, noi siamo diventati, con un colpo di spugna imbevuto d'odio, un popolo senza storia. Ci hanno rubato il Monte del Tempio (dove solo gli ebrei non possono andare a pregare), ci hanno rubato il Kotel chiamandolo come l'asina alata di Maometto, ci hanno rubato tutti i siti dei nostri antenati, la Tomba di Giuseppe, la Tomba di Rachele. Gli ebrei credenti non possono più andare a pregarvi pena la vita o l'arresto. E oggi ecco l'ultimo delirio dell'Unesco, organizzazione mondiale per la tutela della cultura e delle scienze, che ha decretato che Israele non solo non ha nessun diritto su Gerusalemme est, di cui sarebbe forza occupante, ma ha perso ogni diritto sulla Tomba dei Patriarchi e delle Matriarche di Israele, a Hebron. Abramo, Isacco, Giacobbe, Sarah, Rebecca, Leah, Re David, Re Shaul, Re Salomone, non sono più retaggio del Popolo ebraico ma sono diventati, tutti e in un sol colpo, palestinesi, arabi, musulmani, seguaci di Allah e di Maometto suo profeta 2000 anni prima che quest'ultimo nascesse e inventasse l'islam. Stranezze che solo un delirio di odio e di ignoranza può avallare e questo delirio ha avuto luogo in Polonia dove, su 21 stati votanti, 12 sono stati favorevoli, solo 3 contrari e 6 si sono astenuti.
La formula della risoluzione è stata: "the Cave of the Patriarchs in Hebron is a Palestinian heritage site, it is not a Jewish site and it is in danger." Hebron, la culla del Popolo ebraico, la primissima capitale, il luogo scelto da Abramo per esservi sepolto insieme a Sarah, è stata pugnalata a morte da bugie antisemite. Da Israele i commenti sono stati di orrore e incredulità. "Decisione immorale, antisemita, imbarazzante, una sozzura morale, scandalosa, ridicola... Una risoluzione, ha dichiarato un portavoce degli ebrei di Hebron, che rispecchia l'odio che consuma l'Unesco". Ma non basta. Il giorno prima del voto, l'ambasciatore israeliano presso l'Unesco, Carmel Shama Cohen, aveva chiesto un minuto di silenzio per gli ebrei massacrati ad Auschwitz Birkenau dal momento che il campo della morte si trovava a soli 70 km da Krakovia, sede polacca dell'Unesco. Appena finito il minuto di silenzio per gli ebrei, ha preso la parola un'isterica rappresentante di Cuba che, sbattendo il microfono piena di rabbia, ha chiesto un minuto di silenzio anche per i palestinesi e, mentre tutti si rialzavano in piedi, i rappresentanti dei vari paesi hanno dedicato anche una standing ovation a quella farsa vergognosa. Un minuto di silenzio, con applausi, per i palestinesi? Beh, si, in effetti molti terroristi sono morti, i kamikaze perchè esplosi con le loro cinture al tritolo, altri perchè uccisi mentre ammazzavano cittadini di Israele.

L'Unesco, a suo eterno disonore e vergogna, ha dedicato un minuto di silenzio al terrorismo. Cosa non si fa per i soldi e per il petrolio. Cosa non si fa per vigliaccheria. Tornando a Hebron, esiste un sito facebook, Actionaid Italia, che recentemente bombarda il web con questa campagna "Adotta un bambino palestinese di Hebron". Una volta di più si entra nell'immoralità e nella vergogna. Invitare ad adottare un bambino palestinese di Hebron chiedendo soldi significa insultare tutti i bambini che veramente soffrono nel mondo fame, soprusi, stupri, miseria, guerra, pestilenze e genocidi. Vergogna e menzogne per gli sprovveduti e i disinformati al servizio della propaganda palestinista. A questo proposito pubblico la lettera che un'amica ha scritto a questa associazione, lettera già virale sul web e che io trovo molto esplicativa:
Cari Action Aid Italia, se perorate una campagna assurda in nome del "rispetto delle leggi internazionali e del diritto" e parlate di Hebron chiedendo di "adottare un bambino palestinese", commettete una manipolazione della verità, spero in buona fede. Hebron fu divisa in due negli accordi di Oslo, firmati da Arafat e Rabin. Non entrarono gli israeliani con i carri armati costruendo recinzioni. Dividere la città in due in attesa di accordi di pace stabili e confini certi fu un'idea assurda, ma fu firmata dai due rappresentanti all'epoca delle due parti. Gli accordi di Oslo sono consultabili on line, perché non lo fate? Perché fate credere a chi è totalmente disinformato (e si evince dalla maggioranza dei commenti) che fu un'occupazione? La divisione in due ha di fatto bloccato la città, da ambo le parti. Ci rimettono i palestinesi come gli ebrei. Poi, non si capisce che cosa ci dovrebbero fare i bambini palestinesi con i soldi che chiedete in nome loro.
A Hebron c'è un'università, c'è un Politecnico (Palestine Polytechnic University (PPU) e il Hebron campus of Al Quds Open University; c'è un polo industriale, c'è la manifattura del vetro, delle scarpe. La parte palestinese ha ricevuto da poco 150 milioni di dollari per sviluppare ulteriormente l'economia. L'Amministrazione Palestinese controlla 17000 fabbriche e laboratori. Zamzam produce ogni tipo di borse in plastica, The Royal Plastic Factory ha più di mille lavoratori. Il volume di affari tra Hebron palestinese e Israele è di circa 30 miliardi di dollari annui. Il salario minimo garantito è di 50 sheqel all'ora rispetto ai 30 del resto della West Bank. C'è uno stadio di basket da 4000 posti. Il governo koreano ha recentemente donato 6 milioni di dollari per il Youth Studies Center, che comprende tra l'altro aule di musica e scienze. Ci sono i seguenti poli sanitari: Al Ahli General Hospital, Al-Mezan Speciality Hospital, Abu Hassan Qasim hospital in Yatta, e Bani Naim Maternity Hospital. Si parla di una città sola, eh? Anzi di mezza, di quella sotto controllo palestinese. Ora se vi sembra serio, saputo questo, e facilmente verificabile, chiedere soldi per i bambini palestinesi mentre (tanto per dirne una) in Yemen i bambini stanno morendo di colera, io non dico che siete antisemiti, ma o siete in malafede o veramente dovreste informarvi meglio degli argomenti che trattate."
Più e meglio di così è difficile dire, nella speranza che, chi si è lasciato sedurre da una propaganda di menzogne e falso vittimismo, ci ripensi e mandi i suoi soldi a bambini veramente bisognosi. L'odio, la pressione psicologica, le menzogne contro Israele si rinnovano ogni giorno e mi chiedo, chiediamoci tutti, fino a quando potremo resistere e come potremmo reagire? Siamo soli, abbiamo di fronte un intero mondo ostile che non sa più cosa inventarsi per colpirci, siamo soli ed è spaventosamente simbolico che questo ultimo segnale di odio e delegittimazione delle nostre radici arrivi proprio dalla Polonia dove 70 anni fa furono massacrati 3 milioni di ebrei. Mai nella storia del mondo, a nessun popolo del mondo è stato fatto tanto male secolo dopo secolo e... la storia continua...



Prosegue all’Unesco la “falsa, patetica e stupida” falsificazione della storia
(Da: Jerusalem Post, Times of Israel, YnetNews, 8-9.7.17)

http://www.israele.net/prosegue-allunes ... lla-storia

Il voto su Hebron conferma un’antica attitudine: defraudare il popolo d’Israele del suo retaggio fino a negare (a parole e coi fatti) la sua stessa esistenza

Per la seconda volta in meno di una settimana l’Organizzazione Onu per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (Unesco) ha adottato una risoluzione che disconosce i millenari legami fra il popolo ebraico e uno dei siti più venerati dall’ebraismo. Dopo il recente voto sulla Città Vecchia di Gerusalemme, venerdì scorso i 21 paesi del Comitato per il Patrimonio dell’Umanità Unesco riuniti a Cracovia, in Polonia, hanno decretato (con 12 voti a favore, 3 contrari e 6 astenuti) che la Tomba dei Patriarchi nella città vecchia di Hebron è un sito “in pericolo” del patrimonio palestinese, disconoscendo i legami ebraici e cristiani con il sito venerato come luogo di sepoltura delle principali figure bibliche Abramo, Isacco e Giacobbe e delle mogli Sara, Rebecca e Leah, patriarchi e matriarche del popolo d’Israele. Israele afferma che la risoluzione su Hebron – che si riferisce alla città come “islamica” – nega migliaia di anni di legame fra il popolo ebraico e la città. “A seguito di questa risoluzione – ha detto domenica il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu – ho disposto di tagliare un altro milione di dollari dalla quota che Israele versa alle Nazioni Unite e di trasferire questi fondi alla costituzione del Museo del patrimonio del popolo ebraico a Hebron e nella vicina Kiryat Arba”.

La Tomba dei Patriarchi diventa così il terzo sito dello “stato di Palestina” iscritto dall’Unesco nella “Lista del Patrimonio mondiale in pericolo”. Gli altri due sono il luogo di nascita di Gesù a Betlemme e il “paesaggio culturale nella Gerusalemme meridionale “, cioè le colline terrazzata di Battir.

Scrive Seth J. Frantzman: «Le votazioni all’Unesco, in particolare su Hebron e Battir, hanno più a che fare con la politica e con il conflitto tra Israele e palestinesi che non con l’interesse storico di preservare il patrimonio mondiale. Senza il coinvolgimento di Israele e palestinesi, Hebron avrebbe comunque meritato l’inclusione in un elenco dei siti di straordinario valore della regione: con migliaia di anni di storia alle spalle, è venerata come il luogo di sepoltura dei patriarchi della Bibbia Abramo, Isacco, Giacobbe, Sarah, Rebecca e Lea. L’edificio principale venne fatto costruire da Erode ed è considerato una delle sue strutture meglio conservate. Fu poi utilizzato come chiesa sotto i crociati e solo successivamente come moschea, con l’aggiunta nel XIV secolo di elementi islamici che portarono al suo aspetto attuale. L’Unesco avrebbe potuto dichiarare l’edificio e la zona circostante un sito speciale non diversamente da quello che ha fatto con settori di Città del Messico o del centro storico di Cordoba. Ma a Città del Messico l’Unesco non ha fatto nessun tentativo di negare l’eredità azteca, così come a Cordoba non ha dimenticato di sottolineare che solo “nel XIII secolo, sotto Ferdinando III il Santo, la Grande Moschea venne trasformata in una cattedrale”. A Hebron, invece, c’è il chiaro tentativo di tacere e sminuire l’aspetto ebraico della Tomba dei Patriarchi come se non avessero alcuna importanza migliaia di anni di legame ebraico con il sito e il fatto che lo stesso edificio attuale sia stato costruito in origine come un sito ebraico. La stessa politicizzazione è stata fatta dall’Unesco per inserire il sito di Battir, una scelta dettata più che altro dalla volontà di impedire in quella zona la costruzione da parte di Israele della barriera anti-terrorismo. Battir non ha un valore unico o speciale in confronto a centinaia di altri villaggi agricoli del tutto simili, eppure è diventato un sito dell’Unesco per via della controversia con Israele. Da quando è stato iscritto nella lista del Patrimonio Mondiale “in pericolo” non vi è stato nessun investimento importante da parte palestinese e pochissimi sono i turisti che lo visitano. Inoltre, anche nella candidatura di Battir – la Beitar dei tempi della ribellione ebraica contro Roma – è stato cancellato ogni legame con la storia ebraica e se ne parla solo come di un sito “rappresentativo di svariati secoli di cultura e interazione umana con l’ambiente”. Nessuna menzione del fatto che fu il luogo della rivolta di Bar Kochba contro l’Impero Romano né del fatto che ancora oggi in arabo quel luogo viene chiamato “Khurbet al-Yahud”, che significa “la rovina degli ebrei”.» (Da: Jerusalem Post, 7.7.17)

Il rapporto del Consiglio di esperti dell’Unesco ICOMOS affermava che la candidatura palestinese della Grotta dei Patriarchi e della Città Vecchia di Hebron come Patrimonio Mondiale palestinese non soddisfaceva alcuni criteri essenziali e per di più ignorava la maggior parte della storia ebraica e cristiana del sito. Nella bozza di risoluzione palestinese, tuttavia, tutta questa parte del rapporto è stata eliminata, lasciando solo la frase in cui gli esperti ICOMOS notano che Israele questa volta non ha collaborato con loro. Scoperta la falsificazione, l’ambasciatore d’Israele all’Unesco Carmel Shama-Hacohen si è appellato alla direttrice generale dell’Unesco, Irina Bokova, che è dovuta intervenire per far rettificare il documento. “Qualcuno in questa organizzazione ha perso ogni vergogna e ha cercato di trasformare con l’inganno una relazione critica verso palestinesi in una raccomandazione a loro favorevole”, ha dichiarato Shama-Hacohen. Tuttavia venerdì mattina Libano Cuba e Kuwait hanno preteso la reintroduzione della prima stesura accampando questioni procedurali e aprendo in questo modo la strada all’approvazione della risoluzione.

Tre paesi (Polonia, Croazia e Giamaica) avevano chiesto invano il voto segreto, cosa che è stata di fatto negata nel corso di una votazione particolarmente agitata.

L’ambasciatore di un paese arabo che non ha rapporti diplomatici con Israele si è scusato con il suo collega israeliano Carmel Shama-Hacohen per non aver potuto votare contro la risoluzione dell’Unesco su Hebron, spiegando che l’avrebbe fatto se il voto fosse stato realmente segreto, cosa “difficile da affermare”. “Non ho avuto scelta”, ha scritto l’ambasciatore arabo in un messaggio a Shama-Hacohen, che ha gli ha risposto: “Lo so, amico mio. Per me è come se l’avessi fatto”. I tre paesi arabi che siedono nel Comitato per il Patrimonio dell’Umanità Unesco sono Kuwait, Libano e Tunisia.

“Un’altra decisione delirante dell’Unesco – ha commentato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu in un video su Twitter e TouTube – Questa volta hanno stabilito che la Tomba dei Patriarchi è un sito palestinese, cioè non ebraico, e che è in pericolo. Non è un sito ebraico?! Il sito venerato come luogo di sepoltura di Abramo, Isacco e Giacobbe, Sara, Rebecca e Leah, i nostri patriarchi e matriarche. Un sito in pericolo? In realtà solo nei siti dove è presente Israele, come Hebron, la libertà di religione è garantita a tutti. Nel resto del Medio Oriente moschee, chiese e sinagoghe vengono spazzate via dappertutto. Noi continueremo a proteggere la Grotta dei Patriarchi, la libertà di religione per tutti e continueremo a difendere la verità”.

Il ministro dell’istruzione Naftali Bennett, che è anche a capo del Comitato nazionale israeliano dell’Unesco, ha dichiarato: “Il legame ebraico con Hebron risale a migliaia di anni fa. Hebron, luogo di nascita del Regno di Davide e Tomba dei Patriarchi, il primo acquisto ebraico in Terra d’Israele e luogo di riposo dei nostri antenati, è uno dei siti più antichi del nostro popolo. La risoluzione dell’Unesco deve essere respinta e i nostri sforzi per rafforzare la città dei nostri padri devono essere incrementati. La nostra presenza a Hebron è stata continuativa fino al 1929 quando gli arabi massacrarono decine di ebrei. Quella strage tuttavia non poté recidere i nostri legami con la città e la Tomba dei Patriarchi, luogo ebraico sin dai tempi biblici. Nessun voto cambierà queste semplici verità”.

Il presidente d’Israele Reuven Rivlin ha detto che l’Unesco, con questa decisione, “ancora una volta appare decisa a continuare a diffondere menzogne anti-ebraiche e ad attenersi al suo rigoroso silenzio sul patrimonio che viene cancellato da brutali estremisti nel resto di questa regione”.

Il portavoce del Ministero degli esteri israeliano Emmanuel Nachshon ha affermato che la decisione rappresenta una “macchia morale” sull’Unesco, “un’organizzazione irrilevante che promuove una fake history (falsa storia)”.

L’ambasciatore d’Israele all’Onu Danny Danon ha definito il voto “una decisione vergognosa che distrugge l’ultimo pezzetto di credibilità che l’Unesco aveva ancora”. Danon ha aggiunto che “questo grave tentativo di tagliare i legami tra Israele, Hebron e le Tombe dei padri e delle madri del nostro popolo è una cosa infame, che offende profondamente il popolo ebraico”.

Il ministro della difesa Avigdor Lieberman ha condannato la decisione, definendo l’Unesco “un’organizzazione politicizzata, sciagurata e antisemita, che approva decisioni ignobili. Nessuna risoluzione di un’organizzazione irrilevante può danneggiare i nostri diritti storici di migliaia di anni sulla Grotta dei Patriarchi” ha detto Lieberman, aggiungendo che la decisione dimostra ancora una volta che l’Autorità Palestinese “non persegue la pace, bensì l’istigazione e la calunnia contro Israele”.

Il ministro di scienza, tecnologia e spazio Ofir Akunis ha definito la decisione dell’Unesco “stupida, falsa e patetica”. “Questa decisione imbarazzante – ha aggiunto Akunis – non ha alcuna importanza, giacché nessuna menzogna può cambiare la realtà storica del legame di quattromila anni tra popolo ebraico, Hebron e Gerusalemme”.

Anche esponenti dell’opposizione israeliana hanno condannato la decisione Unesco. Yair Lapid, leader di Yesh Atid, ha definito il voto di venerdì scorso “una spregevole falsificazione della storia che deriva nella migliore della ipotesi da totale ignoranza, nella peggiore da ipocrisia e antisemitismo”.

Durante il suo discorso all’Unesco dopo la votazione, il rappresentante israeliano Carmel Shama-Hacohen è stato più volte interrotto dallo squillo del suo cellulare. Avviandosi a concludere, Shama-Hacohen ha detto ai delegati presenti che il suo idraulico lo stava cercando per un problema urgente nella toilette del suo appartamento: un problema, ha detto dal podio Shama-Hacohen, “molto più importante della risoluzione appena approvata”. Intervistato domenica da radio Galei Tzahal, Shama-Hacohen ha ovviamente confermato che “non c’era nessun idraulico al telefono: è stato solo il modo che ho scelto per terminare il mio discorso facendo sì che possano ricordare il nostro totale disprezzo per la sostanza della loro decisione”.


Unesco, Bibbia questa sconosciuta
11 luglio 2017
(Jerusalem Post)

http://www.italiaisraeletoday.it/unesco ... conosciuta

Molto tempo prima che l’Onu e organizzazioni come l’Unesco venissero anche solo concepite, anzi molto tempo prima che esistessero gli stati nazionali come li conosciamo (per non dire dello stato palestinese), quelli che oggi conosciamo come ebrei abitavano in Terra d’Israele, condividevano una lingua e un patrimonio comune e si sentivano uniti da una serie di testi canonici divenuti la Bibbia ebraica. Costoro consideravano Hebron una città santa risonante di storia e significati religiosi.

Indipendentemente da quanto è stato deciso venerdì scorso all’Unesco, un’organizzazione che viene regolarmente strumentalizzata per favorire i limitati interessi di popoli che presumibilmente patiscono il dominio occidentale, semplicemente non è possibile negare o minimizzare i legami degli ebrei con la città di Hebron: legami che sono persino più profondi e probabilmente più antichi dei legami fra ebrei e Gerusalemme, un’altra città che l’Unesco ritiene priva di storia ebraica.

La Bibbia ebraica narra di come Abramo comprò della terra a Hebron per seppellire Sara. Secondo la tradizione, tutti e tre i patriarchi vi sono stati sepolti con le loro mogli. Nell’Esodo, è posta particolare enfasi sulla richiesta di Giacobbe di essere sepolto lì, un elemento che può essere visto come l’espressione tangibile della sua speranza che il popolo ebraico vi tornasse dopo la fine dell’esilio in Egitto. È da Hebron che passarono gli esploratori inviati da Mosè a perlustrare il paese prima che il popolo ebraico entrasse nella terra promessa. A Hebron Re David consolidò il suo regno dopo la morte di Saul. A Hebron Re Erode fece costruire il muro che tuttora circonda la Grotta dei Patriarchi. E fu nel mercato di schiavi Terebinth di Hebron che gli ebrei furono venduti in cattività dopo la sconfitta della rivolta anti-romana di Simon Bar-Kokhba nel 135 e.v. che precipitò nell’esilio gli ebrei dalla Terra d’Israele.

Agli ebrei fu proibito vivere a Hebron durante il periodo bizantino. Tuttavia, stando ai documenti rinvenuti nella famosa Geniza del Cairo, sotto il successivo dominio musulmano gli ebrei vi tornarono e vi mantennero una comunità organizzata. Nel corso dei secoli la presenza ebraica in città declinò o rifiorì a seconda della maggiore o minore tolleranza del potere dominante. I cristiani tendevano ad essere meno accomodanti, i musulmani di più. Nel 1481 il viaggiatore italiano Meshullam da Volterra trovò più di 20 famiglie ebraiche a Hebron. Le donne ebree si travestivano da musulmane per entrare nella Grotta dei Patriarchi (trasformata in moschea).

Nel periodo tardo-ottomano la comunità ebraica crebbe. Ebrei espulsi dalla Spagna e dal Portogallo cominciarono ad arrivare a Hebron nel XVI secolo. Nel 1823, il movimento hassidico Lubavitch stabilì una presenza nella città. Il tribunale hassidico di Karlin vi venne istituito nel 1866. Negli anni ’20 del XX secolo, dopo che il governo lituano aveva tentato di arruolare nell’esercito gli studenti di yeshiva (seminario talmudico), nella città venne fondata la Yeshiva di Hebron che attrasse centinaia di studenti ebrei provenienti dall’Europa e dagli Stati Uniti.

I violenti pogrom arabo-palestinesi del 1929 orchestrati contro gli ebrei di Hebron dal mufti Haj Amin al-Husseini, fanatico antisemita e ammiratore del nazismo, lasciarono più di 60 morti fra uomini, donne e bambini, e decine di feriti. Nel 1936, all’incombere di nuove violenze arabe, i britannici evacuarono gli ultimi ebrei che rimanevano a Hebron. Fu solo dopo la vittoria d’Israele nella guerra dei sei giorni del giugno ’67 che gli ebrei poterono tornare a vivere a Hebron.

Tutte queste informazioni, e altre ancora, sono facilmente reperibili. Eppure tutto questo non compare nella risoluzione dell’Unesco su Hebron. Ed un rapporto dell’Unesco si spinge al punto di incolpare Israele per non aver suggerito una proposta alternativa a quella palestinese. Perché? Forse che i funzionari dell’Unesco non hanno mai sentito parlare di Bibbia, di Google o di Wikipedia?

Il voto dell’organizzazione culturale delle Nazioni Unite che dichiara Hebron un patrimonio mondiale palestinese “in pericolo” non ha nulla a che fare con l’istruzione, la scienza e la cultura. È invece una forma di propaganda. La riscrittura della storia ostacola e complica ulteriormente gli sforzi per affrontare i problemi reali che nelle attuali condizioni impediscono una soluzione politica del conflitto israelo-palestinese. E questo funziona in entrambe le direzioni. Anche fermarsi agli innegabili legami degli ebrei con la Terra di Israele e con luoghi come Hebron e Gerusalemme non è sufficiente per risolvere il conflitto. Il diritto degli ebrei ad uno stato sovrano nella loro patria storica è inalienabile. Ma questo di per sé non aiuta la ricerca pragmatica, qui e ora, di un modo per far convivere ebrei e arabi palestinesi.

Certo, minimizzare o negare i legami degli ebrei con il Monte del Tempio o con Hebron è sintomo di un odio più profondo, probabilmente fondato su invidia e rancore: i musulmani sanno bene che questi e altri siti non avrebbero alcuna santità per i loro fedeli se non fossero stati, prima e innanzitutto, luoghi di profonda risonanza spirituale, storica e religiosa per gli ebrei.

È un peccato che l’Unesco si sia prestata a farsi complice di questo sabotaggio diplomatico dei più autentici sforzi di pace.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: ONU - UNESCO e altri (no grasie!) - e Facebook ?

Messaggioda Berto » ven lug 14, 2017 8:14 pm

Facciamo nostro quell'appello!

https://www.facebook.com/ugo.volli/post ... 3594813776

"L'Unesco è un organismo delle Nazioni Unite che ha per compito quello di difendere l'educazione, la scienza, e la cultura. Quanto è avvenuto rappresenta una perversione: uno stravolgimento del suo ruolo. I sottoscritti rifiutano di collaborare a questo organismo sino a che non abbia provato nuovamente, nei riguardi di Israele di essere fedele ai propri fini". Quell'appello oggi lo riproponiamo di nuovo sul nostro giornale. E non è un appello di circostanza. È un appello per evitare che vada a segno quello che è l'obiettivo neppure troppo mascherato dell'Unesco di oggi: cancellare lo Stato ebraico, a partire dalla sua storia".

Così firmarono nel '74 Ignazio Silone, Vittorio Zevi, Silvio Bertoldi, Valentino Bompiani, Carlo Casalegno, Arnoldo Foà, Vittorio Gassman, Franco Lucentini, Eugenio Montale, Giovanni Raboni, Leonardo Sciascia, Mario Soldati, Giorgio Strehler e Franco Zeffirelli.




Contro la shoah culturale un appello affinché l’Unesco dichiari Israele patrimonio dell’umanità
10 Luglio 2017

http://www.ilfoglio.it/gli-speciali-del ... ita-143826



L’Unesco ha definito Israele una “potenza occupante” a Gerusalemme e ha poi assegnato all’islam e ai palestinesi la sovranità della tomba dei patriarchi a Hebron, dove sono seppelliti Isacco, Giacobbe e alcune delle loro mogli, negando i legami con la tradizione ebraica di quello che è considerato il secondo luogo più sacro dell’ebraismo. Per questo e non solo per questo dobbiamo dire chiaramente no a questa shoah culturale contro lo stato ebraico. Per questo e non solo per questo sarebbe opportuno che i ministri di questo governo, i loro collaboratori, e i grandi intellettuali italiani mostrassero gli attributi davvero, firmando lo stesso appello che nel 1974, un anno dopo la guerra del Kippur, scelsero di sottoscrivere alcuni pezzi grossi della cultura italiana. "L’Unesco è un organismo delle Nazioni Unite che ha per compito quello di difendere l’educazione, la scienza, e la cultura. Quanto è avvenuto rappresenta una perversione: uno stravolgimento del suo ruolo. I sottoscritti rifiutano di collaborare a questo organismo sino a che non abbia provato nuovamente, nei riguardi di Israele di essere fedele ai propri fini”. Per aderire scrivete a vivaisraele@ilfoglio.it
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Re: ONU - UNESCO e altri (no grasie!) - e Facebook ?

Messaggioda Berto » mer lug 19, 2017 8:30 pm

Il voto dell'Unesco su Hebron riscrive la storia così come la vuole l'islam
Giuseppe Cecere, Professore associato di Lingua e Letteratura araba, Università di Bologna
2017/07/19

http://www.ilfoglio.it/esteri/2017/07/1 ... lam-145204

"Scambiereste le Tombe dei Patriarchi con le Mura della Serenissima?”. La domanda è un filino provocatoria, ma la risposta, evidentemente, deve essere un sì. Altrimenti, come spiegare il fatto che gran parte del mondo mediatico-culturale italiano (ministro Franceschini in testa) sorvoli sulla deriva antistorica e antisemita dell’Unesco, per celebrare invece con tanta enfasi l’iscrizione di un nuovo sito del Bel Paese nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità?

Un grande successo, ci viene detto, che dimostra (parole del ministro) “il ruolo notevole dell’Italia nella diplomazia culturale”. Ma davvero serve una così grande abilità diplomatica perché l’Unesco aggiunga ogni tanto un nostro sito alla sua lista? E soprattutto: se abbiamo davvero un ruolo diplomatico così notevole, perché non provare a esercitarlo nel tentativo, non più rinviabile, di ricondurre l’Unesco al rispetto dei suoi valori fondanti?

Che senso ha battersi per inserire nuovi siti nella lista di una istituzione che rinnega il concetto stesso di patrimonio culturale mondiale (concetto intrinsecamente pluralista e laicamente fondato sul valore della storia come ricerca) e si fa strumento delle mire egemoniche di una tradizione culturale sulle altre?

Perché di questo si tratta. Questa è la vera posta in gioco nel conflitto di memorie in corso dentro l’Unesco: al di là della battaglia, combattuta a colpi sempre più bassi, per la delegittimazione politica di Israele (che già di per sé dovrebbe suscitare una controffensiva compatta di tutte il mondo libero), è in atto un gigantesco Kulturkampf di segno islamista. Una battaglia culturale che punta a riscrivere la storia, anzi il modo stesso di scrivere la storia. Sostituendo alle particolari e umanissime verità storiche – concrete quanto fragili, e sempre soggetto al dubbio, alla critica, alla ricerca – le universali e divine “verità della fede”, astratte quanto inconfutabili ed eterne. In questa battaglia, nessuno, tanto meno l’Italia e l’Europa, può illudersi di poter restare alla finestra per il solo fatto di “non essere Israele” – o meglio per aver dimenticato di essere, in virtù delle proprie radici culturali, anche Israele.

Il voto su Hebron è emblematico della posta in gioco. Dire che le Tombe dei Patriarchi e delle Matriarche di Israele non abbiano legami... con Israele (!) è un controsenso sul piano logico, prima ancora che storico. Eppure, l’Unesco lo ha detto: quello “non è un sito ebraico”, recita la risoluzione di Cracovia. Forse gli stati che hanno approvato questa risoluzione credevano di appoggiare “semplicemente” una aberrazione propagandistica contro Israele. In realtà, hanno dato l’ennesimo avallo (come già su Gerusalemme) a un’operazione culturale di portata, questa sì, mondiale: la riscrittura della storia dell’umanità sulla base delle esegesi tradizionali del Corano.

In questa visione, che resta maggioritaria nel mondo islamico al di là delle tante divergenze politiche e/o dottrinali che lo attraversano, l’islam non è semplicemente una religione storica costituitasi nella penisola araba a partire dal VII secolo e.v. in rapporto dialettico di continuità e di rottura con le altre religioni monoteistiche, ma è la religione. L’unica religione da sempre rivelata da Dio agli esseri umani (sin da Adamo ed Eva). L’unica religione predicata, nelle più varie epoche e alle più diverse latitudini, da tutti i Profeti – inclusi i Profeti di Israele – fino a Muhammad.

In questa visione, tutti i Profeti sono musulmani, anche se poi le loro comunità hanno “deviato” costituendo tradizioni religiose che sono solo un riflesso imperfetto del messaggio originale. Per questo, la Bibbia e i Vangeli sono visti come versioni alterate (nella forma e/o nell’interpretazione) di quella Rivelazione che il Corano invece presenta nella sua forma pura ed originaria. Muhammad, quindi, non sviluppa l’eredità dell’ebraismo e del cristianesimo in una forma religiosa nuova, ma restaura la religione perfetta per tutta l’umanità. L’islam, in realtà, non riconosce Abramo, Mosè, Gesù o le altre grandi figure delle tradizioni ebraiche e cristiane: se ne appropria, rappresentandole tutte come Profeti dell’islam. In quest’ottica, e solo in quest’ottica, diventa “logico” sostenere che le Tombe dei Patriarchi e delle Matriarche non siano un sito ebraico, perché quei Patriarchi e quelle Matriarche sono in realtà musulmani. Quindi, un sito sorto millenni prima della nascita storica dell’islam, diventa un sito musulmano. Ed è precisamente in quest’ottica che si è mossa l’Unesco.

Se una simile chiave di lettura sembrasse incredibile, o dettata da spirito non equanime nei confronti della controparte, segnaliamo che proprio questa è l’interpretazione orgogliosamente rivendicata da una protagonista della battaglia: la ministra palestinese Rula Maaya ha dichiarato che la risoluzione dell’Unesco “conferma l’identità dei Patriarchi”. Ovvero, l’Unesco si è assunta il compito di stabilire che i Patriarchi di Israele erano musulmani!

In questa linea, una prossima risoluzione potrebbe stabilire, ad esempio, che la chiesa della Natività a Betlemme – o magari la Santa Casa di Loreto – “non sono siti cristiani”. Perché Gesù è un Profeta dell’islam, e la Madonna (Maryam) è una santa (siddiqa) musulmana.

Non una semplice battaglia geopolitica, dunque, ma teologico-epistemologica. E’ la fede – o una certa visione di una certa fede – che fagocita la scienza, utilizzando a questo fine, paradossalmente, anche il residuo prestigio delle istituzioni scientifiche internazionali. L’obiettivo non è “soltanto” la fine di Israele, ma la fine della Storia – e delle scienze storiche – come patrimonio plurale dell’umanità. In questo (come già in altri) Kulturkampf, l’odio contro Israele è il primo fronte di una guerra globale al pluralismo, al pensiero laico, alla libertà di tutti e di tutte.

Speriamo che la gravità del pericolo accenda un barlume di riflessione tra i distratti e gli indifferenti. Magari persino tra alcuni odiatori di Israele. Ma soprattutto, che possa risvegliare le coscienze di tanti dei suoi troppo timidi amici.
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Re: ONU - UNESCO e altri (no grasie!) - e Facebook ?

Messaggioda Berto » gio lug 20, 2017 9:23 pm

L'islam riconquista la Spagna: nella Cattedrale di Cordoba tornerà il Corano
Giovanni Neve - Gio, 20/07/2017

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/lis ... 22697.html

Il governo andaluso studia una soluzione per rendere la Chiesa di Cordoba un luogo di culto interconfessionale. E così potrebbe riaprire le porte della cattedrale all'islam
La cattedrale di Cordoba è uno dei simboli della "reconquista" spagnola ai danni dell'islam.

Una sorta di monumento ai combattenti che strapparono l'Andalusia ai musulmani, riconsegnandola alla loro origine cristiana. A breve questo simbolo potrebbe essere trasformato da Chiesa in centro interconfessionale, riaprendo le porte all'islam.

Andiamo con ordine. La cattedrale di Cordoba attualmente si chiama "Immacolata concezione della Vergine Maria". Nome cattolicissimo, come normale. Ma prima della "reconquista" era una moschea islamica e infatti la conformazione architettonica è tipica di un luogo di culto musulmano, se si escludono le aggiunte cristiane volute nel 1236 da Ferdinando III. Non è un caso dunque che i musulmani da tempo chiedano la "restituzione" del luogo di culto eretto da Abd al-Rahman I. Anche se, come spiega Libero, in realtà prima della moschea sullo stesso luogo sorgeva la chiesa di San Vincenzo (del VII secolo), che gli islamici distrussero una volta conquistata la Spagna.

Gli islamici continuano a fare pressioni per ripendersi la cattedrale dell'Immacolata Concezione. "Dalla loro hanno perfino l’Onu - scrive Libero - che inserendola nella lista dei patrimoni mondiali dell’umanità dell’Unesco, non l’ha mica chiamata col giusto nome, bensì 'Grande moschea di Cordova'". Per l'ente delle Nazioni Unite la Cattedrale appartiene a "tutti i cittadini del mondo, appartenenti a qualsiasi epoca, indipendentemente dalla loro nazione, cultura o razza".
E così il governo andaluso ha ben pensato di creare una commissione per "tenere fede" alla definizione data dall'Unesco. In che modo? L'idea è quella di trasformarla in un luogo di culto per tutte le religioni, permettendo dopo 800 anni agli imam di guidare le preghiere ad Allah in quella che era il simbolo della liberazione dell'Europa dal giogo islamico. E secondo Carlos Echevarría, esperto di jihadismo in Spagna, in questo modo non solo si fa un assit al raficalismo islamico, ma la Cattedrale "diverrebbe meta di pellegrinaggio per tutti quegli islamici che credono che l’Andalusia sia roba loro".
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Re: ONU - UNESCO e altri (no grasie!) - e Facebook ?

Messaggioda Berto » ven lug 28, 2017 7:41 am

La voce scomoda di Bassem Eid
Niram Ferretti
22 luglio 2017

http://www.linformale.eu/la-voce-scomod ... intervista

Non ti aspetti giri di parole da Bassem Eid. Non chiederà venia quando con chiarezza e precisione infrangerà una dopo l’altra tutte le icone della narrativa pro-palestinese: la vittimizzazione dei palestinesi da parte degli israeliani, la buona volontà della dirigenza palestinese di trovare una soluzione pacifica al conflitto più perdurante e mediatizzato del dopoguerra, l’intrinseca bontà di quelle organizzazioni che proclamano di lottare in difesa dei diritti del popolo palestinese, la natura maligna dell’”occupazione” israeliana.

Eid, nato a Gerusalemme Est quando la città era ancora sotto il controllo giordano e vissuto per trentatré anni nel campo rifugiati di Shuafat, ha dedicato buona parte della sua vita a difendere i diritti umani riportando abusi, in particolare quelli perpetrati dall’Autorità Palestinese. Nel 1996 ha fondato il Palestinian Humans Right Monitoring Group, dopo essere uscito dalla ONG israeliana B’Tselem a causa del rifiuto di quest’ultima di dare credito a un rapporto su presunti crimini commessi da parte palestinese.

Conferenziere internazionale, analista politico ed esperto della politica e della società araba-palestinese, è considerato da molti il principale attivista palestinese per i diritti umani in attività oggi.

L’informale lo ha incontrato a Gerusalemme.

Nel 1919 il Consiglio Generale Siriano sottolineò che gli abitanti dell’allora Palestina Mandataria Britannica vivevano in quello che era chiamato Balad esh sham (la provincia di Damasco) o Surya-al-Janubiya (la Siria del Sud). Nel 1974, Hafaz al Assad dichiarò, “La Palestina non solo è una parte della nostra nazione araba ma una parte fondamentale della Siria del Sud“. Qual è la sua opinione?

Sono una persona che cerca di dimenticarsi il passato e di guardare avanti, perlomeno per il futuro dei nostri ragazzi. I palestinesi esistono su questa terra come gli ebrei, non c’è alcuna differenza. Così come i palestinesi hanno il diritto di esistere, anche Israele ne ha il pieno diritto. Sfortunatamente, dichiarazioni come quelle di Hafez al Assad, o altri, gettano solo benzina sul fuoco. Non vedo come una dichiarazione di questo tipo possa servire per risolvere il conflitto, rende le cose solo molto più difficili. Dal 1948 ad oggi non ho mai visto gli Arabi o i musulmani dare alcun tipo di aiuto ai palestinesi. Ci sono solo stati slogan e slogan e slogan. I leader arabi hanno usato il caso palestinese per continuare a corrompere il loro popolo usando il pretesto di volere liberare i palestinesi dall’occupazione israeliana.

Quali sono gli obbiettivi dei palestinesi e come possono essere raggiunti?

Noi palestinesi dovremmo essere più realisti in merito ai nostri obbiettivi. Siamo realmente interessati a risolvere il conflitto o solo a gestirlo? Dagli Accordi di Oslo del 1993, dopo l’arrivo dell’OLP nella West Bank e a Gaza, non c’è stata nessuna dimostrazione seria che l’OLP o l’Autorità Palestinese, da Arafat a Mahmoud Abbas, abbia avuto la volontà di risolvere il conflitto arabo-israeliano. Il conflitto si è trasformato nella maggiore fonte di lucro per i leader palestinesi, e essendo diventato tale non credo che questi leader si impegneranno mai seriamente per trovare una soluzione. Prendi Gaza come esempio. Da dopo il disimpegno israeliano del 2005, Gaza vive dentro un enorme disastro. La situazione a Gaza prima del disimpegno israeliano era al 100% migliore di quanto lo sia oggi. Hamas tiene due milioni di palestinesi sotto il proprio giogo e nessuno può pronunciare una sola parola contro di esso. Abbiamo fallito su tutti i piani politici, allora cerchiamo perlomeno di sopravvivere e di migliorare la nostra situazione economica. Attualmente non credo nella soluzione di uno stato o di due stati, e sai perché? Perché ritengo che non siamo sufficientemente maturi per avere uno stato, dunque se non siamo sufficientemente maturi, perlomeno cerchiamo di sopravvivere e di avere un’economia che funzioni. Quindi è questo, al momento, l’obbiettivo più importante da raggiungere.

Qual’è la tua opinione relativamente a organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite, l’UNRWA e l’UNESCO, le quali, su diversi livelli, operano partigianamente contro Israele?

Il maggio dell’anno scorso venni invitato alle Nazioni Unite per una grande conferenza intitolata “Ambasciatori contro il BDS”. Era la prima volta che mettevo piede nel quartiere generale dell’ONU a New York. Quando arrivai sul podio per parlare, la prima cosa che dissi fu “Mi piacerebbe potere avere le chiavi di questo palazzo, perché, se le avessi, lo sigillerei per sempre”. Oggi l’UNRWA, le Nazioni Unite, l’UNESCO e tutte queste organizzazioni internazionali hanno come loro scopo principale, in rapporto al conflitto arabo-israeliano, non di risolverlo ma di gestirlo, e la ragione è semplice. Come ho già detto, il conflitto è diventato una grande fonte di guadagno. E’ sufficientemente chiaro che mentre l’ONU promuove risoluzioni avverse a Israele e l’UNESCO fa la stessa cosa, essi ricevono fondi da paesi che hanno una precisa agenda anti-israeliana. Quando l’UNESCO, attraverso le sue delibere, sradica dalla Palestina le radici ebraiche, questo è l’equivalente di affermare che Israele non ha alcun diritto di esistere.
Ciò porta un enorme quantitativo di denaro, ed è quello che l’UNESCO attende. La negazione da parte dell’UNESCO dei diritti di Israele a Gerusalemme, del diritto dell’eredità ebraica a Hebron, non mi aiutano in quanto palestinese, non mi daranno mai uno stato.
Quello che noi palestinesi otteniamo da queste decisioni è esattamente l’effetto contrario. Rendono solo le cose molto più difficili per dei colloqui di pace. Non è questo il modo di promuoverla. Tutte queste organizzazioni internazionali, di cui l’UNRWA insieme all’UNESCO sono parte, dovrebbero cominciare seriamente a valutare le loro politiche nei confronti del conflitto arabo-israeliano perché facendo come fanno generano solo ostacoli sulla strada di qualsiasi opportunità di pace tra palestinesi e israeliani.

Fino a che punto, secondo te, l’elemento religioso è presente nel conflitto arabo-israeliano?

Sfortunatamente i musulmani, palestinesi inclusi, stanno cercando di politicizzare la religione perché la politicizzazione della religione è una cosa che attira molto i musulmani in giro per il mondo, ed è esattamente quello che Mahmoud Abbas sta facendo, quello che Hamas sta facendo, quello che Hezbollah sta facendo e quello che tutti i terroristi in giro per il mondo, i quali usano l’Islam contro gli ebrei, stanno facendo. Il problema più grande è che attualmente non abbiamo uno sceicco o un imam carismatico che possa prendere il proscenio e dire “Con quello che state facendo state portando tragedia su tragedia sopra il nostro popolo”, e ciò mi porta alla situazione attuale a Gerusalemme e Al Aqsa, dove gli israeliani hanno deciso di installare dei metal detector dopo l’attacco terroristico di venerdì scorso. Ascoltami, se vai al Kotel, passi attraverso dei cancelli elettronici di sicurezza, qual è il problema? Il rifiuto attuale dei musulmani di entrare ad Al Aqsa passando attraverso i metal detector significa che stiamo incitando il mondo islamico contro Israele e sfortunatamente la cosa sembra che stia filando liscia. Sono certo che, oltre a Mecca e Medina, ci sono moschee in giro per il mondo dove si accede passando attraverso una qualche forma di controllo, perché qui no? Non voglio essere ucciso dentro Al Aqsa o fuori di essa. Non voglio essere uno shahid, non voglio che mio figlio sia uno shahid. Se uccidi, uccidi, non importa quale sia il modo in cui ti definisci. Questa è, nella mia opinione, la tragedia, e penso che oggi il grande problema che dobbiamo affrontare sia con i musulmani e non con l’Islam, perché a mio vedere l’attitudine musulmana odierna è completamente contro le regole dell’Islam. Quindi vorrei che un giorno i musulmani si svegliassero e cominciassero a rendersi conto cosa stanno causando a se stessi.

Quale è la tua opinione dell’Autorità Palestinese e in generale della leadership palestinese?

Non mi fiderei mai dell’Autorità Palestinese né nella West Bank né a Gaza. L’obbiettivo principale della leadership palestinese è quello di continuare a tenere i palestinesi in ostaggio a vantaggio del conflitto. Questo è il suo scopo principale. Siamo ostaggi della nostra leadership, non di Israele, non dell’occupazione. Si tratta esattamente del contrario. Se ci si guarda intorno qui in Medioriente a quanto ci circonda, si scoprirà che paragonato ad altre realtà circostanti, quello che accade qui, il conflitto israelo-palestinese, lo rende il posto più sicuro della regione. Non vorrei trovarmi in Siria, non vorrei trovarmi in Iraq, non vorrei trovarmi in Yemen. Il problema più grande è la cecità della comunità internazionale relativamente alla leadership palestinese. E’ come se la comunità internazionale cercasse una specie di rivincita contro il popolo ebraico attraverso l’uso dei palestinesi e della leadership palestinese. E’ come se l’Europa stesse retrocedendo nella propria storia, perché l’antisemitismo nasce in Europa non nei paesi islamici. E’ come se l’Europa oggi stesse dando sempre più potere alla leadership palestinese perché continui a rifiutare qualsiasi tipo di accordo con Israele e sembra che i palestinesi, attualmente, non abbiano nessuna altra scelta che attendere che Abbas se ne vada. Coltivo una tenue speranza che dopo Abbas forse la nostra situazione migliorerà. Spero che emerga un leader serio e carismatico che dia speranza non solo ai palestinesi ma anche agli israeliani.

Mahmoud Abbas, Marawan Baraghouti, Khaled Mashal, Yahya Sinwar. Questi sono i nomi di alcuni dei leader dell’opposizione palestinese a Israele. Questo è quello che il mercato politico offre in termini di opzioni ed eventuali interlocutori. Alla fine dei conti, non è Abu Mazen l’opzione più accettabile?

Credo che nessuno dei nomi che hai menzionato possa rappresentare un futuro reale per i palestinesi. Per me l’opzione principale oggi per una leadership alternativa per i palestinesi è rappresentata da Mohammed Dhalan, il quale recentemente ha fatto un accordo molto interessante con l’Egitto in rapporto a Gaza. Un accordo accettato dall’Egitto e da Hamas. Ciò significa che sarà Dahlan e non Hamas a controllare il passaggio di Rafah tra l’Egitto e Gaza e, se ciò avverrà, il passaggio di Rafah resterà probabilmente aperto ventiquattro ore al giorno. Ciò indebolirà Mahmoud Abbas nella West Bank, perché, da quello che appare oggi, il rapporto tra Abbas e Al Sisi non è buono al 100%. Abbas è molto alterato dal fatto che Al Sisi sta permettendo a Dahlan l’ingresso al Cairo e anche la possibilità di farvi una conferenza stampa. Quindi la mia speranza è che questo accordo verrà finalizzato dato che il governo egiziano vuole prendere due piccioni in una volta sola. Il primo piccione è quello di mantenere calma la situazione tra Hamas e Israele, mentre il secondo è di permettere ad Al Sisi di combattere contro il terrorismo senza l’intrusione di Hamas nel Sinai. Se questo accordo andrà in porto, e credo che ci andrà, la situazione a Gaza migliorerà.

Sei un critico esplicito del movimento BDS, il quale è piuttosto popolare in Europa ed è riuscito a fare una campagna efficace nei campus americani. Molti pensano che il BDS stia combattendo per i diritti dei palestinesi. E’ l’opposto di quello che pensi tu. Vorresti specificare?

Questa gente cerca di procurare benefici a se stessa invece che ai palestinesi, si sono trovati un posto di lavoro perenne. Il boicottaggio non porterà mai la pace. Il BDS non cerca nessuna pace tra i palestinesi e gli israeliani, quello che cercano di raggiungere è una missione importante: dichiarare che Israele non ha alcun diritto all’esistenza. E’ ciò a cui lavorano. Come conseguenza della chiusura di alcune fabbriche nella West Bank, migliaia di lavoratori palestinesi sono stati cacciati. Non ho visto alcun caso in cui il BDS abbia aiutato i lavoratori palestinesi che hanno perso il loro lavoro a causa del boicottaggio, a causa del dislocamento delle fabbriche da un luogo all’altro. Non ho visto il BDS cercare di provvedere per l’assicurazione medica di quei lavoratori che hanno perso il loro posto di lavoro. Sfortunatamente alcune ONG palestinesi supportano il BDS, perché l’Europa lo ha posto come condizione, “Se volete che vi finanziamo dovete obbedire alle nostre politiche e firmare in favore del BDS”. E’ esattamente quello che sta facendo Omar Barghouti oggi in Europa, il collettore di soldi per la sua organizzazione. La buona notizia è che la politica del BDS non ha alcun effetto su Israele. Se riesci a fare chiudere qualche piccola fabbrica, che avvenga, ma non sono queste realtà a costituire la principale fonte di guadagno per Israele. L’economia israeliana non si basa sulla Coca Cola o sul Soda Stream, Israele ha la tecnologia, l’equipaggiamento militare, le startup. Tre mesi fa è stato siglato un accordo tra Israele e la Giordania secondo il quale Israele esporterà il gas naturale in Giordania per 15 miliardi di dollari. Dov’è il BDS? Mostrami il BDS in Giordania. L’Egitto è in procinto di firmare un altro accordo commerciale con Israele. Dov’è il BDS in Egitto? Il BDS è molto fortunato, e per una ragione molto semplice, opera in Europa e non nei paesi arabi. Se operasse in un paese arabo i suoi membri verrebbero incarcerati a vita. Sanno esattamente quali sono i luoghi più confortevoli per loro, l’Europa e i campus negli Stati Uniti. Ho incontrato molta di questa gente negli Stati Uniti, hanno manifestato contro di me, hanno stampato dei volantini contro di me, hanno creato disturbo ogni tanto durante le mie conferenze. Questa gente non crede nella libertà di parola, odia la libertà di parola. Credono di essere gli unici ad avere il diritto di parlare ma che io, come palestinese che non condivide il loro punto di vista, non abbia diritto di parola. La mia domanda fondamentale al BDS è: chi vi autorizza a parlare per conto mio?

Durante la Prima Intifada eri un ricercatore veterano sul campo per conto di B’Tselem, la ONG indipendente con sede a Gerusalemme il cui scopo, come quello di un’altra ONG, Breaking the Silence, è di documentare le presunte violazioni commesse da Israele nei territori israeliani occupati. Quale è oggi la tua opinione su queste organizzazioni?

Oggi queste organizzazioni lavorano con una precisa agenda politica. Vogliono soddisfare i loro finanziatori piuttosto che i palestinesi e migliorare i loro diritti. Non vedo alcun fatto concreto che mi mostri che organizzazioni come B’Tselem e Breaking the Silence abbiano fatto qualcosa di positivo per cambiare la situazione corrente. B’Tselem ha iniziato ad operare nel 1989 e quale è stato il suo grande risultato? Zero, uno zero completo. La loro agenda principale è di natura politica con la copertura della salvaguardia dei diritti umani. Per lo più si tratta di politica europea. Prova a immaginare che da domani l’Europa smetta di finanziare queste organizzazioni come B’Tselem e Breaking the Silence o il BDS, cosa accadrebbe della gente che ci lavora? Resterebbero senza lavoro. La Germania è una delle maggiori finanziatrici di B’Tselem con mezzo milione di euro ogni anno, e mi riferisco solo a uno dei paesi finanziatori, per non menzionare quello che arriva dalla Francia, dalla Spagna, dal Regno Unito. Oggi B’Tselem assomiglia molto a una specie di Nazioni Unite israeliana. E’ finanziata dai governi non dalle fondazioni. Questa è la questione. Una delle fonti del conflitto arabo-israeliano sono i soldi europei. Se il flusso di denaro dall’Europa e dagli Stati Uniti cesserà sono molto ottimista sul fatto che la situazione qui cambierebbe in meglio.

Quali opzioni sostieni per una soluzione del conflitto, quella di uno stato, di due stati, gli emirati, l’incorporazione di una parte della West Bank nella Giordania e di Gaza in Egitto?

Ritornare allo status del ’67, il che significa che la West Bank o una sua parte verrebbe annessa alla Giordania e Gaza verrebbe annessa all’Egitto, è irrealistico. Nessuno di questi due paesi lo accetterebbe. Anche la confederazione tra lo stato palestinese e la Giordania è stata rigettata. L’Autorità Palestinese oggi è molto più interessata a una soluzione a tre stati per due popoli. Hamas sta lottando per il suo emirato islamico a Gaza, Abbas lotta per il suo impero nella West Bank e poi c’è lo stato di Israele. Questo è il modo in cui abbiamo vissuto negli ultimi dieci anni da quando Hamas ha preso possesso della Striscia di Gaza nel 2007. La situazione è molto difficile e lo stato delle cose rende qualsiasi soluzione molto difficile. Noi palestinesi abbiamo bisogno di almeno vent’anni e forse allora un leader palestinese carismatico apparirà per la prossima generazione e assumerà nuove iniziative, ma con la leadership attuale non ci sarà nessuna iniziativa di pace.

Quando parliamo della società palestinese di che cosa stiamo parlando esattamente?

Ci riferiamo essenzialmente a delle tribù. Nel 1977 quando Sadat visitò Israele diede una intervista a Yedioth Ahronot, uno dei principali giornali israeliani. Una delle domande che gli venne fatta dall’intervistatore fu quanti stati arabi esistevano al mondo. Sadat rispose ‘Uno, la repubblica dell’Egitto’, allora il giornalista domandò, ‘E gli altri?’ e Sadat disse, ‘Gli altri sono tribù con delle bandiere’. Ogni movimento palestinese ha la propria bandiera, l’OLP, Fatah, Hamas, qualunque altro. Sì, Sadat aveva ragione, siamo tribù con delle bandiere.

Secondo te quali sono i principali problemi che affliggono la società palestinese?

I problemi principali sorgono dalla cultura e dall’educazione. Nella nostra cultura non abbiamo una educazione che insegni la pace e l’accettazione dell’altro, non abbiamo una società civile. Questi sono concetti che provengono dall’Europa, dagli Stati Uniti, in altre parole, dall’Occidente, ma non ci appartengono. Così, come ho detto, la cultura è il problema principale, e un altro problema, il quale è profondamente connesso alla cultura, è che la società palestinese si basa sul Corano invece che sulle realtà della vita quotidiana.
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Re: ONU - UNESCO e altri (no grasie!) - e Facebook ?

Messaggioda Berto » mar ago 01, 2017 4:06 am

Israele toglie i benefici fiscali ad Amnesty International
Sarah G. Frankl on Lug 31, 2017

http://www.rightsreporter.org/israele-t ... ernational

Israele ha tolto i benefici fiscali per i cittadini israeliani che fanno donazioni ad Amnesty International. Lo ha fatto sapere il Ministro delle Finanze israeliano, Moshe Kahlon.

«Utilizzando tutti i mezzi legali di cui disponiamo abbiamo tolto i benefici fiscali a quelle organizzazioni che volutamente danneggiano Israele o l’esercito israeliano» ha detto ieri il Ministro delle finanze israeliano.

La decisione di Moshe Kahlon arriva a seguito di una durissima segnalazione al suo ufficio per l’ennesimo rapporto prodotto da Amnesty International in merito alle operazioni anti-terrorismo condotte dal IDF in Giudea e Samaria. La segnalazione arrivava da un deputato del Likud, Miki Zohar, il quale segnalava al Ministro delle Finanze israeliano come Amnesty International attaccasse continuamente l’IDF evitando accuratamente di parlare degli attentati terroristici compiuti dai cosiddetti “palestinesi” come per esempio la strage della famiglia Salomon avvenuta la scorsa settimana.

«Amnesty International si definisce una organizzazione per la difesa dei Diritti Umani ma si comporta in modo diametralmente opposto» ha scritto Miki Zohar nella sua lettera prima di elencare la lunghissima serie di rapporti fuorvianti e di parte scritti da Amnesty International contro Israele e contro le forze di difesa israeliane durante questi anni.

La decisione del Ministro delle Finanze israeliano è stata bollata da Amnesty International e da altre ONG (che adesso rischiano seriamente di perdere anche loro i benefici fiscali) come una “iniziativa populista”.

Già lo scorso anno Amnesty International aveva rischiato di vedersi revocare i benefici fiscali riservati a chi fa donazioni a ONG e a organizzazioni non profit, ma in qual caso la Knesset decise (non senza polemiche) di rinnovare tali benefici per un anno in luogo dei soliti tre anni. Adesso i nodi sono venuti al pettine, da qui la decisione del Ministro Moshe Kahlon di revocare tali benefici che potevano spingere molti israeliani a fare donazioni alla ONG internazionale.
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Re: ONU - UNESCO e altri (no grasie!) - e Facebook ?

Messaggioda Berto » mar set 19, 2017 8:40 pm

L’ultima sciocchezza UNESCO: celebrerà la giornata della pace in Iran
Written by Sarah G. Frankl
Set 19, 2017

http://www.rightsreporter.org/lultima-s ... -pace-iran

Si può celebrare la giornata della pace in Iran? Secondo l’UNESCO si, infatti domani celebrerà la giornata mondiale della pace a Teheran con un evento presso la Azadi Tower, evento organizzato proprio dall’UNESCO in collaborazione con la Roudhaki Foundation e la Commissione Nazionale iraniana per l’UNESCO. Lo rende noto l’agenzia iraniana Mehr news agency.

Secondo l’agenzia iraniana «l’iconico punto di riferimento di Teheran sarà illuminato da immagini e video legati al tema della pace».

Ora, è vero che l’UNESCO ci ha abituati a tutto, compresa la riscrittura della storia di Gerusalemme, però in tutta onestà celebrare la giornata della pace in Iran ci sembra davvero un azzardo. Sarebbe un po’ come celebrare la giornata delle donne in Arabia Saudita.

La cosa buffa è che se non fosse per l’agenzia iraniana non ne avremmo saputo nulla perché l’UNESCO si è ben guardato di pubblicizzare l’evento sul suo sito web.

L’Iran è uno dei Paesi più violenti e guerrafondai del mondo, implicato in almeno tre conflitti in Medio Oriente, controlla uno dei gruppi terroristici più pericoli del mondo, Hezbollah, ed è uno dei maggiori sponsor del terrorismo islamico. Ci sembra quindi francamente poco adatto ad ospitare iniziative di una agenzia dell’ONU per celebrare la giornata della pace. Ma ormai dell’UNESCO non ci meraviglia più nulla, ogni cosa che fa ci lascia senza parole.
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Re: ONU - UNESCO e altri (no grasie!) - e Facebook ?

Messaggioda Berto » mer set 20, 2017 7:00 pm

Onu, Trump su Nord Corea: "Se costretti, non c'è alternativa alla sua distruzione". Macron lo critica su clima e isolazionismo
19 settembre 2017

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/09 ... mo/3865757

“Se costretti, non ci sarà alternativa alla sua distruzione“. Nel suo debutto all’Assemblea generale dell’Onu, Donald Trump usa parole non fraintendibili per commentare un eventuale attacco della Corea del Nord. Il presidente americano è il primo dei leader mondiali a parlare dopo il discorso del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che aveva inaugurato il suo intervento con le parole “il mondo è nei guai“. A Trump ha replicato duramente Emmanuel Macron: il presidente francese lo ha attaccato innanzitutto sulla questione clima, argomento mai toccato dal leader della Casa Bianca. Ma poi anche sul concetto di “America First“, più volte ribadito dal tycoon nel suo discorso: “I muri non ci proteggono”, ha detto il capo dell’Eliseo. Uno scontro totale tra i due presidenti che ha coinvolto anche l’accordo con l’Iran, definito “imbarazzante” da Trump e “solido” da Macron.

Il discorso di Trump
Trump ha parlato al Palazzo di Vetro per 41 minuti come fosse a uno dei suoi comizi-show. “Metterò sempre l’America al primo posto“, ha detto il presidente Usa dopo aver elogiato il suo lavoro da quando è alla Casa Bianca: “Dopo l’8 novembre abbiamo fatto un buon lavoro. Il mercato azionario va molto bene, la disoccupazione ha raggiunto livelli più bassi degli ultimi anni e grazie alle riforme ci sono più lavoratori negli Usa, le società stanno tornando in America, portando lavoro, come non si era mai visto”.

“Rocket man è in una missione suicida per se stesso e per il suo regime”, ha detto Trump riferendosi a Kim Jong-un, che aveva già battezzato “uomo razzo” in un tweet dei giorni scorsi. “Se saremo costretti, non avremo altra alternativa che distruggere la Corea del Nord”, ha aggiunto mentre la delegazione di Pyongyang ha lasciato la sala prima che il presidente Usa prendesse la parola. “E’ un oltraggio che ci siano paesi che sostengono Kim” ha aggiunto ancora Trump, sottolineando come “la Corea del Nord deve capire che la denuclearizzazione è l’unico futuro”.

Rimanendo in tema di politica estera, Trump ha poi definito “un imbarazzo per gli Stati Uniti” l’accordo con l’Iran che a suo parere “fornisce copertura per l’eventuale realizzazione di un programma nucleare”. “La popolazione iraniana è quello che i leader temono di più – ha sostenuto – sono in grado di esportare violenza, bagni di sangue e caos”, inoltre finanziano “gli Hezbollah contro i pacifici Paesi arabi e Israele”. Inoltre il presindente Usa ha avvertito Cuba che “non toglieremo le sanzioni fino a che il regime non farà le dovute riforme per il suo popolo”. Gli Stati Uniti sono pronti ad agire anche nei confronti del governo del Venezuela, è l’altro monito del tycoon che parla di una ”dittatura socialista inaccettabile”.

“E’ un periodo di grandi promesse ma anche di grandi pericoli”, ha aggiunto poi Trump. “I terrorismi e gli estremismi si sono rafforzati, sono diffusi in ogni angolo del pianeta e sono sostenuti nel mondo da diversi regimi. Se i giusti non sapranno affrontare questi pochi cattivi, il male trionferà”, ha sostenuto il tycoon, indicando negli “Stati canaglia” una minaccia per il mondo. “Metterò sempre l’America al primo posto e difenderò sempre gli interessi americani”, ha chiarito il presidente Usa. Ha anche precisato che “lavoreremo sempre con gli alleati ma non si potrà più approfittare di noi”. “Non vogliamo imporre il nostro stile di vita a nessuno – ha aggiunto – ma l’America vuole essere un modello“.

La replica di Macron
“L’accordo non sarà mai rinegoziato. Rispetto profondamente la decisione degli Stati Uniti e la porta resterà aperta per un loro ritorno. Ma noi andremo avanti”. La melina di Trump sull’accordo Cop21 sul clima non ha distolto Macro dal “proseguire nel dialogo” con la Casa Bianca perché “convinto che alla fine capirà che è nel suo interesse e nell’interesse degli americani”. Ma il presidente francese ha precisato che non ha intenzione di “cedere nulla sugli equilibri dell’accordo di Parigi” e ha sottolineato come gli uragani che in questi giorni si sono abbattuti sui Caraibi ma anche sulle coste orientali degli Stati Uniti (Harvey, Irma, in queste ore Maria) “siano una delle conseguenze dirette del riscaldamento climatico“.

“La loro violenza, la loro frequenza – ha insistito – è chiaramente correlata al riscaldamento climatico”. In questo contesto, ha continuato Macron, “l’accordo di Parigi è una cornice importante, non è l’alfa e l’omega, ma una base indispensabile“. Esortando “a fare meglio”, il presidente francese ha ricordato che il 12 dicembre si terrà a Parigi “un summit per i due anni della Cop21“, la conferenza dell’Onu che promosse l’accordo nella capitale francese che contava sull’impegno dei quattro grandi inquinanti: Europa, Cina, India e Stati Uniti. Fra questi, il contenimento delle emissioni, il controllo periodico dei risultati e il sostegno ai Paesi poveri.

La linea di Washington su Cop21 è ondivaga da mesi. Trump ha usato a giugno parole nette dicendo di voler uscire dall’accordo di Parigi. Poi ha detto che resterà nell’intesa. Infine ha detto che resterà ma solo se avrà condizioni migliori sulle emissioni di gas. Ma durante il discorso di 41 minuti al Palazzo di Vetro, per la sua prima volta all’assemblea delle Nazioni Unite, non ha detto una sola parola sul tema.

Macron però non ha attaccato Trump solo sul versante clima. Il presidente francese ha criticato in generale tutto l’impianto dell’intervento del tycoon, basato su quell’isolazionismo americano che ha caratterizzato tutta la sua campagna elettorale. “E’ falso pensare che i Paesi siano più forti quando sono da soli. Il multilateralismo è molto più efficiente”, ha detto nel suo intervento il leader dell’Eliseo. “I muri non ci proteggono, il mondo è interdipendente“, sono le parole con cui ha chiuso il suo intervento. Prima, un passaggio anche sull’accordo con l’Iran, definito “solido”. “Denunciarlo e rigettarlo senza proporre altro è un grave errore“, ha detto Macron, pungendo nuovamente Trump.



La dottrina Trump scuote l’Onu: “Distruggeremo la Nord Corea”
giordano stabile

http://www.lastampa.it/2017/09/20/ester ... agina.html

Da una parte la «filosofia», cioè l’Onu delle nazioni sovrane che mettono i propri interessi davanti alle logiche multilaterali; dall’altra la sua applicazione pratica, che minaccia la «distruzione totale della Corea del Nord», pone gli Usa in rotta di collisione militare con l’Iran, prospetta un qualche intervento in Venezuela, congela il dialogo con Cuba e promette di annientare il terrorismo. Così Donald Trump ha declinato la sua visione del mondo, nel primo discorso tenuto ieri all’Assemblea generale, con cui ha tradotto in un linguaggio appena più formale gli slogan della campagna elettorale.

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L’intervento è stato scritto da Stephen Miller, ultimo sopravvissuto della corrente nazional-populista di Steve Bannon alla Casa Bianca, che lunedì sera lo aveva anticipato ai giornalisti spiegando come avrebbe ruotato intorno al concetto di sovranità. Alla fine però Trump ha quasi tradito questa impostazione, perché affermando il proprio diritto di mettere gli Usa al primo posto, «America First», ha coniugato la difesa degli interessi del suo popolo con una linea che è parsa quasi più interventista di quella adottata da George Bush all’epoca dei neocon. Una riedizione «dell’asse del male», senza l’Iraq ma con l’aggiunta del Venezuela, che però punta a proiettare nel mondo la potenza degli Usa, più che il modello democratico.
AP

Trump ha detto che «ci troviamo in un tempo di immense promesse e grandi pericoli». Per realizzare le prime e scongiurare i secondi, «il nostro successo dipende da una coalizione di nazioni forti e indipendenti, che abbracciano la loro sovranità e promuovono sicurezza, prosperità e pace, per se stesse e il mondo». Basta dunque col multilateralismo che invade il campo degli Stati membri, come l’accordo di Parigi sul clima: «Nazioni forti e sovrane consentono a Paesi con valori, culture e sogni diversi non solo di coesistere, ma di lavorare fianco a fianco sulla base del reciproco rispetto. In America non vogliamo imporre il nostro modo di vita agli altri, ma lasciarlo brillare come un esempio per tutti». Ogni Paese poi ha il diritto di adottare questa visione: «Da presidente metterò sempre l’America al primo posto, così come voi dovreste fare con i vostri Paesi».

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L’Onu deve diventare il luogo dove queste nazioni sovrane si incontrano, lavorando insieme per scongiurare i pericoli. E Trump non ha avuto paura di elencarli. Il «rocket man» Kim Jong-un, avviato verso una «missione suicida» col programma nucleare: «Se saremo costretti a difenderci, distruggeremo totalmente la Corea del Nord». L’Iran, che «maschera una dittatura corrotta dietro la falsa pretesa della democrazia». Lunedì il direttore del Policy Planning al dipartimento di Stato, Brian Hook, ci ha spiegato che «il presidente vuole valutare Teheran non solo in base al rispetto dell’accordo nucleare, ma al comportamento complessivo, che ne fa il primo sponsor mondiale del terrorismo». Una linea che rende inevitabile la denuncia dell’intesa, la ripresa del riarmo atomico iraniano, e in prospettiva lo scontro militare con la Repubblica islamica. Il premier israeliano Netanyahu ha infatti definito il discorso di Trump come «il più coraggioso sentito negli ultimi trent’anni». La richiesta che il premier israeliano avanza è quella di rendere permanente l’accordo del 2015 sul nucleare iraniano che al contrario prevede una data di scadenza. Solo così, la tesi israeliana, Teheran può essere tenuta a bada.

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Il capo della Casa Bianca è tornato a citare «il terrorismo dell’islam radicale», per promettere di annientarlo, denunciando le migrazioni indiscriminate come minaccia alla stabilità globale. Poi ha aggiunto al suo «asse del male» la «dittatura socialista di Maduro», sottolineando che «il Venezuela è a un passo dal baratro non perché non ha applicato bene il socialismo, ma perché lo ha applicato. Siamo pronti a ulteriori azioni, se il governo persisterà nell’imporre l’autoritarismo». Quasi ignorata, invece, la Russia.

Trump non ha minacciato di radere al suolo il Palazzo di Vetro, perché lo considera ancora utile a realizzare la sua visione, se accetterà di riformarsi. Il problema ora è capire quanto consenso ha suscitato nell’aula, affinché l’auspicata comunità delle nazioni sovrane accetti di seguire la sua guida.
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Re: ONU - UNESCO e altri (no grasie!) - e Facebook ?

Messaggioda Berto » gio ott 12, 2017 8:13 pm

Bravo Trump!


Unesco, gli Usa lasciano l'organizzazione: "Ha persistenti pregiudizi contro Israele" Netanyahu: "Anche noi pronti a uscire"
di F. Q. | 12 ottobre 2017

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/10 ... le/3909895

Gli Stati Uniti lasciano l’Unesco. “Mi rammarico profondamente per la decisione, di cui ho ricevuto notifica ufficiale con una lettera del segretario di stato americano, Rex Tillerson“, si legge in un comunicato di Irina Bokova, direttrice generale dell’agenzia delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, cui nel 2011 Washington aveva sospeso i finanziamenti in seguito al riconoscimento della Palestina come membro dell’organizzazione. La decisione “non è stata presa a cuor leggero – si legge in un comunicato del Dipartimento di Stato – e riflette le preoccupazioni degli Stati Uniti per il crescente arretramento dell’Unesco, per la necessità di una fondamentale riforma dell’organizzazione e per i suoi persistenti pregiudizi anti-Israele“.

La decisione entrerà in vigore il 31 dicembre 2018, prosegue il dipartimento di Stato, aggiungendo che gli Usa intendono diventare poi un osservatore permanente della missione per “contribuire alle visioni, prospettive e competenze americane su alcune delle importanti questioni affrontate dall’organizzazione inclusa la tutela del patrimonio dell’umanità, la difesa della libertà di stampa e la promozione della collaborazione scientifica e dell’educazione”.

“La decisione del presidente Trump è coraggiosa e morale, perché l’Unesco è diventato un teatro dell’assurdo e perché piuttosto che preservare la storia la distorce”, ha commentato il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu. Che, in qualità di ministro degli affari esteri, ha dato istruzioni di “preparare l’uscita di Israele dall’Unesco in parallelo con gli Usa”. “La decisione di oggi è un punto d’inflessione per l’Unesco – ha affermato il governo israeliano – le assurde e vergognose risoluzioni dell’organizzazione contro Israele hanno conseguenze”, “oggi è un nuovo giorno alle Nazioni unite, dove c’è un prezzo da pagare per la discriminazione” del Paese.

A pesare sulla decisione di Washington le recenti risoluzioni adottate sulla questione israelo-palestinese incluse quella sulla città di Hebron, in Cisgiordania, dichiarata parte del patrimonio storico palestinese, e l’altra sulla Città Vecchia di Gerusalemme. Ma la decisione, la rivista Foreign Policy, sarebbe legata anche alla somma – circa 500 milioni di dollari – che gli Usa devono all’Unesco da quando hanno sospeso l’erogazione dei fondi annuali. Per l’organismo internazionale, il ritiro di Washington è stato un duro colpo finanziario, tanto che durante la gestione di Irina Bokova si è reso necessario un drastico taglio degli effettivi. Da soli gli Usa rappresentavano il 20% del bilancio dell’Unesco. Senza contare la ritorsione del Giappone, il secondo finanziatore più importante, che ha rifiutato di pagare la sua quota 2016 in seguito all’iscrizione, nel 2015, nel registro della memoria mondiale, del Massacro di Nankin, perpetrato dall’esercito imperiale giapponese nel 1937.

Intanto a Parigi si sta votando in questi giorni per eleggere il nuovo direttore generale. Per ora sono rimasti in lizza due soli candidati che sono pari a livello di preferenze: l’ex ministro della cultura francese Audrey Azoulay e il suo omologo del Qatar Hamad Bin Abdulaziz Al-Kawari su cui Israele ha già espresso le proprie preoccupazioni. Dal 1945, la poltrona di leader dell’organizzazione è stata occupata da europei, americani, un asiatico e un africano, e ora i Paesi arabi ritengono che sia arrivato il loro turno, tanto da schierare quattro pretendenti in lizza: oltre a Qatar ed Egitto, anche Libano e Iraq, che però alla fine ha ritirato la sua candidatura.



«Organizzazione anti israeliana» Gli Usa abbandonano l’Unesco
Milano, 12 ottobre 2017

http://www.corriere.it/esteri/17_ottobr ... 9b29.shtml

La delegazione ufficiale sarà sostituita da osservatori. Alla base della decisione americana la questione delle ripetute mozioni contro Gerusalemme sui luoghi sacri a ebrei, cristiani e musulmani definiti «patrimonio esclusivo dell’Islam». Anche Israele lascia

Gli Stati Uniti si sono ritirati dall’Unesco. La decisione è stata motivata accusando l’organizzazione dell’Onu basata a Parigi di «inclinazioni anti israeliane». Washington - ha affermato la portavoce del Dipartimento di Stato americano, Heather Nauert - sostituirà la propria rappresentanza attuale con una «missione di osservatori». La decisione è stata comunicata dal segretario di Stato Rex Tillerson alla direttrice generale dell’Unesco, Irina Bokova. Quest’ultima ha espresso “grande rammarico». E£ dopo Washington anche il governo Israeliano ha annunciato che lascerà l’organizzazione: lo ha confermato in serata il premier benjamin Netanyhau.


La questione di Gerusalemme

A spingere Washington alla clamorosa mossa sono state alcune decisioni recenti dell’organizzazione legata all’Onu. In particolare la risoluzione con la quale nel luglio scorso ha negato la sovranità di Israele sulla città di Gerusalemme vecchia e Gerusalemme est. In un vertice tenutosi a Cracovia l’Unesco aveva dichiarato che Israele è una «potenza occupante» sottolineato che i luoghi sacri per le religioni cristiana, ebraica e musulmana sono «patrimonio esclusivo dell’Islam». In precedenza era stato negato il legame culturale tra Israele e il Muro del Pianto. Sempre a Cracovia era stato riconosciuto quale «patrimonio dell’umanità» il sito della tomba dei Patriarchi a Hebron, definito tuttavia «sito palestinese». Decisione che il premier israeliano benjamin Netanyahu aveva definito «surreale».


Niente soldi dal 2011

Gli Stati Uniti avevano smesso di finanziare l’Unesco dopo la sua decisione di includere la Palestina come membro nel 2011, ma avevano mantenuto un ufficio nel quartier generale dell’agenzia a Parigi, per cercare di continuare ad avere un peso politico sulle decisioni. «La decisione non e’ stata presa alla leggera», si legge in una nota del dipartimento di Stato, in cui si cita anche «la necessita’ di una fondamentale riforma» dell’agenzia. Pur uscendo dall’Unesco, gli Stati Uniti intendono continuare a lavorare con l’agenzia in qualita’ di «osservatore non membro», in modo da fornire «il punto di vista e l’esperienza americana».


La leadership del Qatar

Va aggiunto che il favorito per l’incaricato di nuovo segretario generale dell’Unesco e’ il qatariota Hamad Bin Abdulaziz Al Kawari, primo con 19 voti al secondo turno delle votazioni, davanti all’ex ministro della Cultura francese Audrey Azoulay, secondo con 13 voti, e all’attivista egiziana Moushira Khattab, terza con 12 voti (che gode del sostegno di Arabia Saudita ed Emirati arabi uniti). Il Simon Wiesenthal Center con sede a Los Angeles ha accusato apertamente l’ex ministro della Cultura di Doha di antisemitismo. Il Qatar ha peraltro avuto un ruolo decisivo nelle ultime risoluzioni dell’Unesco che negano il legame ebraico con Gerusalemme ed Hebron. I candidati alla guida dell’Unesco devono ottenere il 50 per cento dei voti per sostituire la bulgara Irina Bokova: in mancanza del quorum, a partire da domani si procedera’ a maggioranza.




SULL'UNESCO TROPPE DISTRAZIONI
di Paolo Mieli, Corriere della Sera

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

La decisione statunitense di lasciare, entro la fine del 2018, l’Unesco (che non finanziavano più già dal 2011), a causa della sua comprovata ostilità allo Stato di Israele, non è manifestamente impropria e sarà utile, si spera, a puntare un riflettore sull’inesorabile deriva presa negli ultimi decenni dall’agenzia culturale delle Nazioni Unite. A partire dal 2019 gli Stati Uniti resteranno a Parigi dove ha sede l’Unesco come «osservatori», sia pure da «non membri». È una decisione presa in extremis, appena un attimo prima che sia nominato il nuovo direttore generale dell’Unesco stessa. Un esponente politico del Qatar, Hamad bin Abdulaziz Kawari, al primo provvisorio voto per l’importante incarico, ha ottenuto il maggior numero di suffragi. E il Qatar — ricordiamolo — è da tempo identificato come uno dei quattro o cinque Paesi al mondo più inclini ad alimentare il fondamentalismo islamico. In Italia questo problema è poco avvertito ed è ipotizzabile che all’origine della nostra distrazione sia la generosità con la quale l’emiro Tamim bin Hamad Al Thani si è sempre mostrato disponibile a investire nel nostro Paese. L’indulgenza italiana nei confronti del Qatar è iniziata ai tempi del governo presieduto da Mario Monti: l’economia — per usare un eufemismo — andava male e i soldi dell’emirato, in quel- l’emergenza, furono considerati benvenuti. Vanno inserite in questo quadro una serie di operazioni immobiliari e finanziarie in Italia.

Il Qatar ha acquistato grattacieli a Milano, un bel pezzo di Costa Smeralda, il gruppo Valentino, una parte del gruppo Cremonini, numerosi hotel di lusso. O ltre allo stanziamento di venticinque milioni di euro per la costruzione di oltre trenta moschee e centri islamici nel nostro Paese. Ai tempi in cui presidente del Consiglio era Matteo Renzi, l’ex ministro della Cultura del Qatar, il succitato al Kawari, fu ricevuto dal ministro dell’Istruzione Stefania Giannini per un accordo con l’università romana di Tor Vergata che gli conferì una laurea «honoris causa» (concessa in maniera assai affrettata, tra i mugugni degli accademici più sensibili al decoro del loro ateneo). Un anno fa Kawari incontrò di nuovo Stefania Giannini e stavolta anche il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan assieme a quello della Cultura Dario Franceschini. Quest’«operazione simpatia» (accompagnata dalla promessa di nuove generose elargizioni) ha fatto sì che l’Italia lo abbia sempre appoggiato per l’elezione a Direttore generale dell’Unesco come successore dell’attuale direttrice, la bulgara Irina Bokova. Shimon Samuels, direttore del Centro Wiesenthal, a questo punto ha ricordato alla distratta Italia e agli altri sponsor del discusso uomo politico che fu proprio Kawari a far designare nel 2010 — sempre dall’Unesco — Doha «capitale della cultura araba»: dopodiché nella fiera internazionale del libro della principale città del Qatar furono esposti ben trentacinque titoli antisemiti tra cui nove edizioni dei Protocolli dei Savi di Sion e quattro del Mein Kampf . Kawari — come proprio ieri ha ricordato sul Foglio Giulio Meotti — ha per di più curato (firmandone la prefazione) Jerusalem in the Eyes of the Poets . Un libro che — avvalendosi di una testimonianza di Roger Garaudy, l’ex comunista francese convertito all’islamismo più radicale — denuncia il «controllo degli ebrei» (sottolineiamo: qui si parla di ebrei, non di israeliani) su media e case editrici degli Stati Uniti. Quanto a Israele, il volume prefato da Kawari stabilisce che lo Stato ebraico «è responsabile per la guerra civile in Libano, per la prima e la seconda Guerra del golfo, per l’invasione dell’Iraq e dell’Afghanistan, per il caos in Sudan e in Egitto» .
Ma come è possibile che personaggi del genere siano anche solo presi in considerazione per guidare l’Unesco? La risposta è sempre la stessa. Il Qatar ha «donato» all’Unesco dieci milioni di dollari (non è il solo: l’Arabia Saudita ne regalò venti e il re Abdullah fu immediatamente insignito della medaglia per «la cultura del dialogo e della pace»). Per quel che riguarda l’Italia, poi, dobbiamo considerarci recidivi in questo genere di impresa: in passato sostenemmo la nomina a quello stesso incarico del-l’esponente egiziano Farouk Hosni. Hosni poi saltò allorché vennero rese note alcune sue prese di posizione inequivocabilmente antiebraiche (tra l’altro come ministro della Cultura si era detto disponibile a bruciare «di persona» libri israeliani nel caso qualcuno avesse pensato di introdurli nella biblioteca di Alessandria e aveva fatto bandire dalle sale cinematografiche il film «Schindler’s List»).

Può bastare? No. C’è un problema specifico tra Unesco e Israele. Esattamente un anno fa l’Unesco ha approvato una mozione in cui il Muro del Pianto non veniva più identificata con il nome ebraico «Kotel» ma con quello arabo «al Burak». A un tempo la Spianata delle moschee di Gerusalemme considerata sacra sia dai musulmani che dagli ebrei veniva chiamata solo con il nome islamico Al Haram Al Sharif. Ne è venuta fuori una tempesta intercontinentale. Persino la Bokova, protestò: «L’eredità di Gerusalemme è indivisibile, e ciascuna delle sue comunità ha diritto al riconoscimento esplicito della sua storia e del rapporto con la città», disse. Anche l’Italia, che al momento del voto su questa imbarazzante risoluzione si era astenuta, fu costretta a rivedere le proprie posizioni. Si dirà: sono controversie che hanno origini recenti e hanno colto i nostri governi impreparati. Non è così. La guerra dell’Unesco contro Israele iniziò nel 1974 quando lo Stato ebraico fu cacciato (per poi essere riammesso due anni dopo) dall’agenzia, all’epoca guidata dal senegalese Amadhou Mahtar M’Bow. E raggiunse l’apice l’anno passato quando, assieme alla non riconducibilità a Israele del Muro del Pianto, in una riunione a Cracovia, l’Unesco definì Israele «potenza occupante» e la Tomba dei Patriarchi di Hebron un sito «palestinese». Qualcuno sosterrà adesso che la decisione americana di rompere con l’agenzia per la cultura delle Nazioni Unite è stata precipitosa. Non è così. Forse servirà, anzi, a impedire all’ultimo minuto utile che l’uomo politico qatariota sia chiamato a guidare l’organizzazione che per conto delle Nazioni Unite dovrà valutare i danni arrecati da Daesh a Palmira senza ricondurne, per qualche via tortuosa, la responsabilità allo Stato ebraico.




All'UNESCO COMANDANO I CARNEFICI DI LIU XIABO, ASIA BIBI, E DEI DISSIDENTI IRANIANI

di Giulio Meotti, Il Foglio

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Scossa dall’uscita annunciata di Stati Uniti e Israele, l’Unesco si prepara ad accogliere il nuovo segretario generale, l’ex ministro della Cultura francese, Audrey Azoulay, eletta venerdì sera. La crisi con l’America e lo stato ebraico si è consumata stavolta sui “pregiudizi anti israeliani” palesi da parte dell’agenzia dell’Onu per la cultura, l’educazione e la scienza (le risoluzioni antisemite su Gerusalemme e Hebron). Ma c’è di più. C’è che nel board esecutivo dell’Unesco, l’autogoverno dell’agenzia, siedono alcuni dei regimi più oppressivi della terra per la cultura.

C’è il Libano, che ha appena arrestato il regista Ziad Doueiri all’aeroporto di Beirut di ritorno dalla mostra del cinema di Venezia. Doueiri è stato accusato di “collaborazionismo con Israele” per aver girato alcune scene nello stato ebraico. C’è la Cina, che ha appena lasciato morire in carcere Liu Xiaobo, lo scrittore e premio Nobel, l’autore di Carta 08, manifesto per la democrazia in Cina, condannato a undici anni di detenzione per “istigazione alla sovversione”, passato anche dai campi di rieducazione al lavoro. La morte in carcere di un poeta ha riportato alla memoria il terribile Novecento di Osip Mandel’stam, Isaak Babel e Dietrich Bonhoeffer.

All’Unesco c’è l’Iran, dove Rahim Safavi, capo dei pasdaran della Repubblica islamica, aveva promesso: “Dovremo tagliare la gola a qualcuno e la lingua a qualche altro”. La Repubblica islamica è oggi la più grande persecutrice al mondo di scrittori, poeti, editori. Come il poeta Said Sultanpour, rapito il giorno del matrimonio del figlio e ucciso in prigione a Teheran. L’Iran di Siamak Pourzand, che si è gettato dal sesto piano della sua abitazione a Teheran. Era uno scrittore e un decano del giornalismo iraniano, accusato di aver dichiarato la “guerra contro Dio” e di “consumo di vino”. Scriveva per la rivista francese di critica cinematografica Cahiers du Cinéma. C’è l’Algeria, dove gli imam sono liberi di condannare a morte scrittori come Kamel Daoud. Ci sono paesi, come Camerun, Ciad, Oman, Sudan e Uganda, dove scrittori, poeti e giornalisti sono gettati in carcere e perseguitati soltanto per sillabare qualcosa di ironico sui regimi al potere, dove non esiste libertà editoriale, accademica, letteraria. C’è il Pakistan, il paese dove una donna cristiana, Asia Bibi, sconta in carcere la propria condanna a morte da viva, “rea” di blasfemia, con la famiglia che si nasconde, l’avvocato minacciato di morte, governatori e ministri uccisi perché intervenuti a sua difesa. C’è l’Egitto, dove scrittori come Ahmed Naji, l’autore del romanzo “Using life”, sono arrestati e imprigionati per “oscenità”, per aver descritto la vita sessuale degli egiziani. C’è il Qatar, dove il poeta Rashid al Ajami ha scontato tre anni di prigione per aver composto una poesia critica del sovrano, l’emiro al Thani.

Negli anni Ottanta, Stati Uniti e Inghilterra uscirono dall’Unesco di fronte al grottesco più assurdo propugnato dall’Unione sovietica e dai suoi alleati. Mosca era riuscita a imporre all’ordine del giorno un orwelliano “nuovo ordinamento mondiale dell’informazione e della comunicazione”, in cui l’Unesco propugnò il filtraggio delle notizie attraverso Minculpop nazionali, discriminando fra le notizie “utili” ai cittadini e quelle “nocive”. Trent’anni dopo, le satrapie africani e mediorientali sono riuscite a impossessarsi a loro volta della cittadella della cultura, usando la propria posizione per mettere a tacere le critiche ai propri regimi e ideologie, comuniste e islamiste. Nell’emiciclo di Place de Fontenoy, dove c’è la sede dell’Unesco a Parigi, costruita da Pier Luigi Nervi con gli affreschi di Pablo Picasso, oggi comandano i carnefici della cultura.
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Re: ONU - UNESCO e altri (no grasie!) - e Facebook ?

Messaggioda Berto » ven ott 20, 2017 8:11 pm

L’Unesco e Gerusalemme una ferita per l’umanità
Giuseppe Laras
Milano, 19 ottobre 2016

http://www.corriere.it/cultura/16_ottob ... 7d1f.shtml

Se si può negare il riferimento specifico del Monte del Tempio all’ebraismo, si può negare tutto, radicalmente, e cancellare, dopo la storia e le sue evidenze, gli esseri umani

Infamie e verità negate. Riguardo alle delibere Unesco e Onu sull’importanza di Gerusalemme per ebraismo, cristianesimo e islam, si vorrebbe pensar bene. Invece, circa il Monte del Tempio, i nomi appaiono solo in arabo e la pregnanza spirituale riconosciuta è solo islamica. Inoltre, compaiono riferimenti unilaterali alle violenze da parte ebraica, senza menzione alcuna circa i terroristi islamici e le efferatezze di cui, da sempre, sono vittime gli israeliani. Uno sguardo, infine, ai Paesi firmatari, per lo più islamici, molti dei quali non democratici, almeno per come è inteso in Occidente tale aggettivo; Paesi in cui è sconsigliabile e pericoloso appartenere a minoranze religiose (pena sottomissione o persecuzione), essere donna o gay.

La domanda è semplice: il Monte del Tempio è un sito solo islamico? Il muftì di Al-Aqsa, M. A. Hussein, sostiene addirittura che non sia mai esistito alcun Santuario sul Monte del Tempio, ma solo una moschea. Da sempre! E così, nella dichiarazione Onu-Unesco, la passata e presente memoria ebraica del Tempio scompare, nonostante Salomone, Erode, l’ebreo Gesù di Nazareth che vi pregò e i Romani che lo distrussero; nonostante migliaia di ebrei abbiano nei secoli successivi, non appena veniva concesso loro, continuato a recarvisi e a pregarvi; nonostante Karl Marx si sia lamentato per come i musulmani colà affliggessero gli ebrei; nonostante Freud, Einstein, Wiesel, Levinas, Buber e tanti altri (in teoria molto amati dagli occidentali); nonostante Shimon Peres, per cui i governanti italiani hanno versato lacrimucce. Meno male che, prima che della pace, Peres si preoccupò della sicurezza di Israele! La preghiera alla Spianata è riservata ai musulmani, che l’hanno interdetta a cristiani ed ebrei (a differenza del Muro, accessibile a chiunque). Perché alcuni ebrei potessero pregarvi, è stato necessario proteggerli con l’impiego di militari. Assieme ai check-point per contenere gli attentati e agli studi biblico-archeologici in loco, che — quale stranezza! — rinvengono reperti della storia ebraica, questi sarebbero i crimini degli israeliani controllanti il sito. E che dire del luogo (Hebron) ove sono sepolti Abramo, Isacco e Giacobbe — i Patriarchi del Popolo Ebraico — , definito con nomenclature solo islamiche?

Dietro alla clamorosa infamia politico-ideologica perpetrata, dimora un assunto teologico che i Paesi musulmani firmatari non dichiarano: secondo la loro tradizione religiosa, Abramo avrebbe legato sul Monte Moriah Ismaele e non Isacco, e la Bibbia, alterata a loro avviso dagli ebrei, risulterebbe falsa e ogni pretesa ebraica, dunque, illegittima. La Bibbia precede di secoli il Corano e la storia ebraica e cristiana, come pure ellenistica, romana e bizantina, narra ben altri fatti, comprovati peraltro da testimonianze archeologiche e filologiche. Per il muftì, invece, c’è la moschea dall’origine del mondo! Questo è il cul de sac in cui ci troviamo: la necessità di garantire degna libertà di culto a tutti e drammatiche omissioni più chiare di mille parole, almeno per chi sa leggerle.

A peggiorare le cose, ecco i Paesi Europei — Italia inclusa — , con la loro morale astensionistica (anzi anti-sionistica!), con cittadini musulmani da ingraziarsi più numerosi degli ebrei, con i ricatti economici dei Paesi islamici e, prima di tutto, con un’assordante pusillanimità culturale e morale. E i cristiani europei, i loro rappresentanti e le loro forze politiche dove sono? È nobile e doveroso l’impegno per la pace — che noi ebrei condividiamo — . Ne consegue che è parimenti nobile e doveroso affrontare il reale con le sue difficoltà e spigolature: tacere sulla santità e significanza del Monte del Tempio per gli ebrei, è tacerlo anche in relazione al cristianesimo. Anzi, negando agli uni ciò, lo si nega ai secondi, facendone rovinare a terra l’edificio religioso e simbolico. Ma anche da questi pulpiti silenzi e buonismo imperante. Dissimulato marcionismo di ritorno? Devo dedurre che il dialogo ebraico-cristiano è stato ed è una farsa?

La storia attesta che, quando dominata da cristiani o musulmani, Gerusalemme spesso risultò inaccessibile ai due restanti monoteismi. Pur con difficoltà e limiti, è divenuta città accogliente qualunque pellegrino (come pure chi non ha fede) solo da quando c’è lo Stato di Israele, e questo è un dato incontrovertibile. Se si può negare il riferimento specifico fondamentale e fondante del Monte del Tempio all’ebraismo e agli ebrei, si può negare tutto, radicalmente, e cancellare, dopo la storia e le sue evidenze, gli esseri umani. Negazionismo sub utraqua specie. E può accadere ovunque e non solo agli ebrei! Israele si conferma necessario e indispensabile freno a tale abominio, ed è doveroso l’appoggio dei Paesi liberi, altrimenti in contraddizione con loro stessi. Infine, se l’Italia non è riuscita a essere ferma su questo (sconfessando Spadolini e altri), mi chiedo come possa essere un credibile «agente di pace» in Medio Oriente. Da superstite della Shoah, da italiano e da ebreo, dinanzi a tale sì vile e infamante astensione, ritengo che, signori politici italiani, alle Giornate della Memoria e della cultura ebraica, dovreste starvene a casa vostra e non nausearci con discorsi melensi e ipocriti, per di più postumi, sconfessati dalle vostre stesse pratiche.


Gerusalemme capitale storica sacra e santa di Israele, terra degli ebrei da almeno 3 mila anni.
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