Diritti umani dei nativi e degli indigeni europei

Diritti umani dei nativi e degli indigeni europei

Messaggioda Berto » lun feb 08, 2016 11:33 pm

Russia: finti profughi molestano le ragazze, 18 finiscono in ospedale e 33 arrestati
EUROPA UE, NEWS mercoledì, 3, febbraio, 2016

http://www.imolaoggi.it/2016/02/03/russ ... -arrestati

Alcuni “migranti” provenienti dal Medio Oriente, entrati in un night club nella regione di Murmansk, hanno iniziato molestare le giovani donne russe, ma si sono resi conto troppo tardi di non essere nella UE. Come è finita? 18 sono stati mandati direttamente all’ospedale e 33 sono stati arrestati. Ora sembra che tutti manifestino una gran voglia di ritornarsene a casa il più presto possibile

La Norvegia ha espulso verso la Russia circa 50 sedicenti profughi del Medio Oriente e Afghanistan per “cattivo comportamento”. Una volta lì, i “rifugiati” hanno deciso di andare a svagarsi nella discoteca locale “Gandvik”, e ignari di dove si trovassero, hanno deciso di molestare le ragazze russe. Purtroppo non è andata bene perché a Murmansk non c’è la tolleranza dell’”Europa illuminata“.

A giudicare dai commenti degli utenti sui social network locali, i molestatori hanno cercato di scappare e nascondersi, anche in spazi privati, ma sono stati trovati e “sistemati“. Se non fossero arrivati interi squadroni di polizia, la situazione si sarebbe messa davvero male, soprattutto in vista delle gelate di Murmansk.

Ancora e tutti, a giudicare dalle reazioni identiche, gli agenti delle forze dell’ordine non fanno differenza per il livello di tolleranza e, mentre esortano a non ricorrere al linciaggio, segretamente appoggiano il processo educativo, ha segnalato news.li.

Risultato: 18 persone sono finite in ospedale, 33 nel centro di detenzione locale, e tutti hanno manifestato tanta voglia di tornare a casa.

“Benvenuti in Russia. Siamo felici di ricevere visite, ma non dovete dimenticare che siete ospiti qui.”

http://www.fort-russ.com
Nota del traduttore: siccome l’ennesimo sindaco tedesco consiglia alle ragazze di tenersi a distanza dai “profughi, ** vediamo una visione più galante da parte dei nostri amici russi e conoscenti, e siamo spinti a pubblicare questa storia, anche se non può essere ufficialmente documentata. :lol:
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Re: Diriti Omàni dei Nativi e de łi Endexeni ouropei

Messaggioda Berto » ven feb 12, 2016 3:23 pm

Muri, termini e confini, segni de Dio
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 141&t=1919

Sto ki lè n'omo kel protexe ła so xente!

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Israele: “Possiamo decidere unilateralmente chi può entrare nel Paese”
Domenica, 18 Novembre 2012
Alessandro Graziadei

http://www.unimondo.org/Notizie/Israele ... ese-138017

Paese che vai, usanza che trovi, spesso a scapito del diritto internazionale. Dopo le documentate difficoltà dei migranti arrivati in Italia dalla Libia nell’ottenere lo status di rifugiato per l’assenza di un adeguato sistema di accoglienza e protezione nazionale dei migranti (sempre che il Mediterraneo li consegni vivi, visto che dal 1988 ad oggi sono morte lungo le frontiere dell'Europa almeno 18.578 persone, di cui 2.352 soltanto nel corso del 2011) ad essere sotto l’attenzione di alcune autorevoli ong internazionali è ora Israele.
Human Rights Watch, Hotline for Migrant Workers e Physicians for Human Rights - Israele hanno, infatti, denunciato in un comune Report uscito il 28 ottobre come dal giugno del 2012 l’esercito israeliano (allertato in questi giorni per gli attacchi a Gaza) ha impedito a decine di richiedenti asilo di attraversare la nuova barriera innalzata da Israele al confine con l’Egitto.

Di fatto con la realizzazione, quasi completata, della barriera elettronica lungo i 110 dei 240 chilometri di confine, Israele è riuscito di fatto a bloccare l’immigrazione dall’Africa. Ad affermarlo è stato il premier Benyamin Netanyahu dichiarando che “In ottobre complessivamente solo 54 infiltrati hanno attraversato il confine. Tutti sono stati arrestati, nemmeno uno ha raggiunto le città di Israele”. Solo sei mesi fa gli ingressi illegali di africani erano circa mille al mese. Cosa è cambiato? Oltre alla cortina metallica il documento delle 3 associazioni umanitarie riferisce di almeno 7 casi in cui, da giugno a ottobre 2012, le forze israeliane che sorvegliano il confine con la regione egiziana del Sinai, “hanno rifiutato l’accesso a decine di migranti africani, in maggior parte provenienti dall’Eritrea, paese da cui migliaia di persone continuano a fuggire ogni anno a causa delle persecuzioni perpetrate al suo interno nei confronti di chi fugge da un salario appena sufficiente a sopravvivere, aderisce a religioni non riconosciute o fa parte di movimenti di contestazione del governo in carica”. Il documento riferisce inoltre che nel mese di luglio le forze israeliane hanno trattenuto in detenzione circa 40 eritrei appena all’interno del confine israeliano per poi consegnarli con la forza ai militari egiziani nonostante l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati(Unchr) dichiari che lo status di rifugiato viene riconosciuto a più dell’80% degli Eritrei che chiedono asilo a livello mondiale, proprio per le drammatiche conseguenze nella quali versa il Paese del Corno d'Africa.

Per Gerry Simpson, avvocato e ricercatore di Human Rights Watch “costringendo i richiedenti asilo e i rifugiati a restare all’interno del confine egiziano e deportandone altri al suo interno, Israele sta esponendo questa popolazione al rischio di una prolungata detenzione nelle carceri e nelle stazioni di polizia egiziane o a quello di un rimpatrio forzato in Eritrea con il pericolo di subire gravi abusi perpetrati dai trafficanti di esseri umani nella regione del Sinai” dove i migranti vengono torturati e stuprati per mano dei trafficanti di esseri umani. Secondo le tre organizzazioni “lo Stato d’Israele dovrebbe cessare di respingere i richiedenti asilo alla sua frontiera con l’Egitto a meno che i suoi funzionari non determinino attraverso un’equa procedura che essi non subiranno minacce alla propria vita o alle proprie libertà fondamentali e non saranno sottoposti a trattamenti inumani e degradanti a causa del respingimento stesso” ha sottolineato Simpson. Non solo, ma oggi per Human Rights Watch “Vi sono credibili testimonianze che i soldati israeliani non solo blocchino i richiedenti asilo al confine, ma che stiano anche usando la violenza a questo fine [e non sarebbe la prima volta] impedendo a gruppi di solidarietà israeliani di portare assistenza lungo la barriera recintata del confine”.

Se giustificare questi comportamenti contro i migranti significa accettare il completo svuotamento della protezione internazionale dei rifugiati, allora possiamo dire che un passo del Governo israeliano in questa direzione è già stato fatto. Solo il 6 settembre scorso, il Ministro dell’Interno israeliano Eli Yishai ha dichiarando alla Radio dell’Esercito Israeliano che, “Un Paese sovrano, responsabile per i propri confini, può decidere unilateralmente chi può entrare o lasciare il suo territorio” ed ha avvertito che fare eccezione per alcuni gruppi di migranti comporterebbe per Israele "l’obbligo di permettere l’ingresso a molte delle 300 milioni di persone che vivono in Africa”.

Ma l’affermazione del Ministro Yishai per cui “Israele ha la facoltà di sigillare i suoi confini nei confronti di chiunque” è per Physicians for Human Rights - Israele erronea dal punto di vista del diritto internazionale, dei diritti umani e della protezione internazionale visto che Israele aderisce alla Convenzione sullo statuto dei rifugiati Onu del 28 luglio 1951. “La costruzione di una barriera recintata al confine non da ad Israele il diritto di respingere i richiedenti asilo - ha affermato l’ong anche sul suo sito italiano Medici per i Diritti Umani - il Diritto internazionale è cristallino in tal senso: non sono ammessi respingimenti sommari alle frontiere di richiedenti asilo né rimpatri forzati fino a quando non venga stabilito che la richiesta di protezione internazionale non è fondata”. A certificarlo è l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati(Unchr) nella sua Conclusione sulla protezione internazionale n. 22 già nel 1981 (.pdf) ricorda come, sebbene gli Stati detengano di diritto la facoltà sovrana di controllare i flussi migratori, “In ogni caso, il principio fondamentale del non-refoulement, che include il non-respingimento alla frontiera deve essere scrupolosamente rispettato”. Principio ripreso anche nella Conclusione n. 99 del 2004 (.pdf), che richiama gli Stati a “un pieno rispetto del principio fondamentale del non-refoulement, compreso il non respingimento alla frontiera senza aver avuto la possibilità di accedere a procedure eque ed effettive per la valutazione dello status e dei bisogni di protezione”.

Ora ad allarmare le associazioni umanitarie sul destino dei migranti rimbalzati da Israele è anche la politica dell’Egitto, dove secondo le autorità di Gerusalemme i richiedenti asilo a cui si nega l’accesso nel Paese possono comunque presentare la loro richiesta di protezione. Ma le autorità egiziane hanno più volte rifiutato all’Unchr (unico soggetto in Egitto incaricato di registrare le richieste di asilo) l’accesso ai detenuti originari dei Paesi Sub-sahariani trattenuti per lunghi periodi nelle stazioni di polizia del Sinai e dal 2008, Human Rights Watch ha anche documentato casi in cui le autorità egiziane hanno rimpatriato con la forza nel Paese d'origine profughi eritrei, registrati come richiedenti asilo, e aspiranti tali. Per Physicians for Human Rights visto l’inconsistenza degli argomenti che giustifichino il rifiuto di protezione di Israele ai richiedenti asilo, realizzato attraverso il respingimento alla frontiera senza la minima valutazione individuale dei casi che si presentano, occorre intervenire subito. “Accettare queste argomentazioni significherebbe accettare il completo svuotamento della protezione internazionale dei rifugiati” sancito dalle Nazioni Unite.


Human Rights Watch, Hotline for Migrant Workers e Physicians for Human Rights
Ste organixasion sensa creansa łe crede de esar łe parone del mondo e de esar entel judto ma me par ke gnanca łe sapia ke existe anca i Diriti Omani Ogniversali de i nadivi e endexeni:



Netanyahu: "Ora tutta Israele va recintata. Bestie feroci ad ogni lato"
Lucio Di Marzo - Mar, 09/02/2016

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/net ... 22254.html

Tutta Israele andrebbe circondata di recinzioni "per difenderci dalla bestie feroci".
È stato il premier israeliano Benjamin Netanyahu a dirlo, mentre visitava la frontiera occidentale, dove è in corso la costruzione di una barriera.
"Per come la vedo io - ha dichiarato Netanyhu - alla fine, nello Stato d'Israele, ci sarà una recinzione che lo circonda interamente". "Mi chiederanno: 'È questo che vuoi? Difendere la casa?' - ha aggiunto - La risposta è sì. Circonderemo tutto lo Stato d'Israele con barriere e recinzioni? La risposta è sì".
Il premier israeliano ha aggiunto che il governo sta preparando un piano pluriennale per allargare le difese dello Stato e chiudere i varchi presenti tra Israele e la Cisgiordania. Un progetto che costerà diversi miliardi.

https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 5831214537

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I muri de Ixarael par defendarse dal terorixmo xlamego


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Canan, Pałestina, Judea, Ixrael
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2075

El sionixmo nol xe envaxion e gnanca cołognałixmo
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2124

Ixlam, pałestinexi, ebraixmo, ebrei, Ixraełe
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=1924
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Re: Diriti Omàni dei Nativi e de łi Endexeni ouropei

Messaggioda Berto » dom feb 14, 2016 2:53 pm

Profughi siriani: imperativi morali ed esigenze vitali
Aiutare è doveroso, ma non c'è dubbio che per Israele un afflusso di centinaia di migliaia di profughi da paesi ostili significherebbe un condanna a morte
Di Ben-Dror Yemini
(Da: YnetNews, 9.2,16)

http://www.israele.net/profughi-siriani ... nze-vitali

Lo scorso settembre il corpo di un bambino siriano, Aylan Kurdi, venne gettato dalle onde su una spiaggia di Budrum, in Turchia. Fu un punto di svolta. Migliaia di europei scesero in piazza per dimostrare solidarietà e compassione, e manifestare la volontà di accogliere più rifugiati. Ma da allora le scene strazianti non hanno fatto che aumentare. Nei giorni scorsi decine di migliaia di persone sono fuggite dalla città di Aleppo. Hanno una sola via di fuga, verso la Turchia, e presto anche quella sarà loro preclusa. Assad non ha nulla da temere. Omar al-Bashir, responsabile dello sterminio nel Darfur, è regolarmente ospitato con tutti gli onori nelle conferenze della Lega Araba, o di quel che ne rimane, e in quasi tutte le capitali dei paesi musulmani.
Quando Assad avrà vinto, tutto sarà dimenticato e perdonato.

E noi, cosa facciamo? Cosa ci impone di fare la nostra coscienza umana e l’etica ebraica? Quale significato diamo alle parole “mai più”?

Israele cura i feriti della guerra civile siriana che giungono alla frontiera. A centinaia. Se qualcuno pensa che incrementare e pubblicizzare queste cure possa contribuire a migliorare l’immagine di Israele nella coscienza del mondo e del Medio Oriente, e ridurre l’odio verso Israele, farebbe bene a ricredersi. I palestinesi, grazie ai servizi sanitari israeliani, hanno una mortalità infantile inferiore e una speranza di vita più lunga di quelle che avevano prima e di quelle che hanno oggi tutti gli altri arabi. Forse che questo ha attenuato il livello di odio? I nemici di Israele non esitano a raccontare una storia tutta al contrario. José Saramago, premio Nobel per la letteratura, equiparò i territori palestinesi ad Auschwitz, e il parallelo tra Israele e la Germania nazista è diventato un fatto di routine. Se dobbiamo aiutare le vittime della guerra siriana è solo per motivi umanitari, senza aspettarci da questo nessun tornaconto.

È una faccenda complicata. L’Europa, un paese dopo l’altro, arriva alla conclusione che non vuole altri profughi. Le porte si stanno chiudendo. Anche la Svezia ha chiuso il ponte di Oresund e ha annunciato che decine di migliaia di richiedenti asilo verranno espulsi. Molestie sessiste di massa, come a Colonia, si sono verificate anche in Svezia, solo che i mass-media locali le hanno tenute nascoste. La correttezza politica sta diventando un boomerang. L’assassinio a coltellate di un’operatrice in un centro profughi ad opera di un adolescente (ricorda nulla?) ha gettato altra benzina sul fuoco. Ma non è iniziato tutto con l’ultima ondata di profughi: è una situazione che va avanti da anni.

Dunque cosa possiamo fare, come ebrei e israeliani? Certo non possiamo dimenticare la Conferenza di Evian del 1938, quando praticamente tutti i paesi del mondo dissero che non potevano accogliere profughi i ebrei in fuga dalla Germania nazista, e non possiamo dimenticare la sorte dei profughi sulla nave St. Louis. Ciò impone a Israele di aprire le porte e allestire campi profughi, come avviene in Turchia, Giordania e Libano?

C’è purtroppo una differenza sostanziale. Anche in questi giorni, mentre i miserabili si scannano fra di loro, da Aleppo si levano grida di “morte a Israele” e “morte agli ebrei”. Lo gridano praticamente tutte le parti coinvolte nel conflitto intestino siriano. A volte con determinazione, a volte solo per uniformarsi al coro. Ma è un dato di fatto che questo è lo spirito prevalente: genti cresciute nell’odio verso Israele e gli ebrei. Non c’entrano nulla l’occupazione della Cisgiordania o la barriera difensiva israeliana o altre scuse. L’odio irriducibile verso Israele ed ebrei prospera persino in Pakistan.

Angela Merkel dice che i profughi torneranno al loro paese con l’avvento della pace. Staremo a vedere. Ma per Israele è fuor di dubbio che un afflusso di centinaia di migliaia di profughi da paesi ostili significherebbe un condanna a morte. Il che non significa restare indifferenti alle sofferenze umane. Bisogna insistere con gli aiuti umanitari, e nel caso di un concreto pericolo di sterminio di massa bisognerà pensare al modo di istituire dei campi-rifugio appena al di là del confine. Ma all’interno di Israele non c’è modo di accogliere migliaia di questi profughi. L’imperativo morale, universale ed ebraico, impone di prestare aiuto e soccorso. Non di commettere suicidio.

Ben dito!




Sconvolgimenti demografici e minacce per Israele
Impossibile immaginare che uno stato palestinese in Cisgiordania abbia la volontà e la capacità di bloccare l’afflusso di profughi da est
Di Caroline B. Glick
(Da: Jerusalem Post, 8.2.16)

http://www.israele.net/sconvolgimenti-d ... er-israele

La scorsa settimana ricorreva il 17esimo anniversario dell’incoronazione di re Abdullah di Giordania dopo la morte del padre, re Hussein. L’ascesa di Abdullah al trono fu un fatto imprevisto. Suo zio Hassan era da tempo il principe ereditario e ci si aspettava che fosse lui a ereditare la monarchia. Ma Hussein ordinò dal letto di morte l’improvviso cambiamento nella linea di successione. Oggi è difficile credere che Abdullah avrà il potere di decidere il nome del proprio successore.

Per generazioni, la più grande minaccia incombente sulla Giordania è stata la sua maggioranza palestinese. Le stime sulle dimensioni della popolazione palestinese in Giordania variano molto: alcune la collocano a poco più del 50%, altre affermano che i palestinesi costituiscono il 70% della popolazione totale. Ma tutti gli studi demografici attendibili convengono sul fatto che la maggior parte dei giordani sono palestinesi. È per via della paura dei suoi abitanti palestinesi che negli ultimi dieci anni o giù di lì Abdullah ha cercato di isolarli. A partire dal 2004 ha iniziato a espellerli dalle forze armate giordane. Poi ha iniziato a revocare la loro cittadinanza. Secondo un rapporto del 2010 di Human Rights Watch, tra il 2004 e il 2008 il Regno ha revocato la cittadinanza di diverse migliaia di giordani palestinesi, mentre altre centinaia di migliaia di persone erano considerate a rischio di perdere presto la loro cittadinanza in forza di un procedimento arbitrario.

Oggi, la preoccupazione che i palestinesi possano far valere i loro diritti come maggioranza e quindi minacciare il Regno ha ceduto il passo a paure ancora maggiori. I cambiamenti demografici in Giordania negli ultimi anni sono stati così enormi che i palestinesi potrebbero essere l’ultima delle preoccupazioni di Abdullah. In effetti, è tutt’altro che certo che essi rappresentino ancora la maggior parte delle persone che vivono in Giordania. Dal momento dell’invasione dell’Iraq guidata dagli Usa nel 2003, tra 750.000 e un milione di iracheni si sono riversati in Giordania. I dati attuali non sono chiari su quanti di quegli iracheni si trovino in Giordania ancora oggi. Ma qualunque sia il loro numero, sono stati superati dai siriani. Oggi, stando al conteggio ufficiale delle Nazioni Unite, i profughi siriani sono 635.000, ma questa cifra ufficiale è probabilmente meno della metà del numero reale di siriani in Giordania, che viene valutato tra 1,1 e 1,6 milioni: circa il 13% della popolazione. Per avere un’idea delle dimensioni di questi cambiamenti demografici basta guardare ai dati storici. Secondo la Banca Mondiale, la popolazione della Giordania si attestava sui 5,29 milioni nel 2004. Nel 2013 era di 6,46 milioni. Nel 2015 risultava di 9,53 milioni.

L’afflusso massiccio ha portato le risorse pubbliche della Giordania al punto di rottura. Secondo re Abdullah, l’anno scorso un quarto del bilancio del Regno è andato al sostentamento dei profughi. Stando a un rapporto del 2014 della fondazione tedesca Konrad Adenauer, il costo complessivo della presenza siriana in Giordania ha superato i suoi benefici economici di circa 2 miliardi di dollari. Un rapporto dell’istituto londinese Chatham House sui profughi siriani in Giordania ha avvertito che, nei prossimi anni, l’afflusso potrebbe avere un profondo impatto sulla stabilità del Regno. Fino al 2013, la principale preoccupazione del regime era la radicalizzazione delle tribù beduine, in gran parte dovuta alla crescita di al-Qaeda e dello “Stato Islamico” (ISIS) tra le tribù beduine del Sinai, e l’ascesa al potere dei Fratelli Musulmani in Egitto. Anche se queste preoccupazioni rimangono dominanti, oggi vengono messe in ombra dall’impatto destabilizzante dei profughi siriani nel nord del paese. Secondo il rapporto Chatham House del settembre 2015, è vero che il sostegno pubblico per un cambio di regime in Giordania appare ancora scarso, ma “se la situazione economica non riuscirà a migliorare in tutto il paese, e il risentimento dei rifugiati continuerà ad alimentare recriminazioni nazionali, nei prossimi 5 o 10 anni le proteste contro le politiche del governo potrebbero degenerare”.

In Libano la crisi dei profughi è ancora più profonda. Dall’inizio della guerra in Siria, più di un milione di siriani sono entrati in Libano come profughi. Oggi ammontano al 25% della popolazione del paese. Tre quarti dei profughi sono sunniti. La loro presenza in Libano ha sconvolto l’equilibrio demografico fra sunniti, sciiti e cristiani. Mentre Hezbollah schierava migliaia di uomini in Siria per evitare che il regime di Assad sponsorizzato dall’Iran cadesse di fronte alle forze dell’opposizione sunnita, i profughi sunniti in Libano contrastavano le forze di Hezbollah in tutto il paese. Molti di questi sunniti sono affiliati a gruppi salafiti come l’ISIS e il fronte qaedista al-Nusra.

Non è affatto chiaro quali saranno le implicazioni a breve e medio termine dei flussi di profughi per la Giordania e per il Libano. Ma non c’è alcun dubbio che avranno profonde implicazioni a lungo termine. Né la Giordania né il Libano hanno un chiaro ethos nazionale unificante. Prima che i siriani iniziassero ad affluire da oltre il confine, gli Hashemiti al potere comprendevano circa il 20% della popolazione complessiva. La spina dorsale del regime erano le tribù beduine che, come ricordato, negli ultimi anni hanno subito un processo di radicalizzazione. Le relazioni della Giordania con Israele sono state già state influenzate negativamente da questo processo. Quando nel 2012 re Abdullah ha nominato Walid Obeidat ambasciatore in Israele, la sua tribù – la più grande in Giordania – lo ha rinnegato. Secondo gli esperti in materia, la mossa della tribù indica che i rapporti tra il regime e le tribù sono al minimo storico. Benché già in precedenza delle nomine di ambasciatori avessero suscitato critiche, la reazione della tribù Obeidat per la nomina in Israele del loro rampollo era senza precedenti. Secondo Chatham House, data l’attuale instabilità sociale nel Regno non è chiaro se il regime di Abdullah sarà in grado di concretizzare il suo accordo con Israele sul gas naturale.

Sia Israele che gli Stati Uniti considerano un interesse nazionale la sopravvivenza della monarchia Hashemita. Ed entrambi hanno messo in chiaro, nel corso degli anni, che sarebbero disposti a schierare truppe per difendere il regime Hashemita dalle forze islamiste che negli ultimi anni hanno giurato di rovesciarlo. D’altra parte, è difficile credere che le minacce al regime, in particolare la minaccia demografica posta dal massiccio afflusso di popolazione dalla Siria, possano diminuire nel prossimo futuro. Anzi, l’ingresso in guerra della Russia a fianco del regime di Assad sponsorizzato dall’Iran causerà probabilmente un aumento del numero di siriani in cerca di rifugio nei paesi vicini. E lo stesso vale per il Libano.

Le trasformazioni demografiche che Giordania e Libano stanno subendo richiedono che Israele riesamini la propria posizione regionale e le sue opzioni strategiche allo scopo di salvaguardare e difendere il paese nei prossimi anni. Il che è particolarmente vero per tutto ciò che riguarda le valutazioni sulla minaccia demografica.

Purtroppo, nonostante il crollo della Siria e dell’Iraq e nonostante le minacce in aumento in Egitto, Giordania e Libano, la maggior parte degli analisti, sia in Israele che all’estero, continuano a basare la loro visione delle opzioni che Israele ha davanti – in particolare in relazione ai palestinesi – su una mappa geopolitica regionale che non è più pertinente. Alla luce di questi sconvolgimenti demografici regionali, l’idea che Israele debba trasferire, oggi, altri territori sul suo fianco orientale nelle mani di una Autorità Palestinese cronicamente instabile e ostile è come minimo avventata. Con tutte le loro debolezze, sia il regime giordano che quello libanese sono di gran lunga più forti dell’Autorità Palestinese. Eppure non sono in grado di fermare i flussi di milioni di profughi attraverso le loro frontiere. È impossibile immaginare che uno stato palestinese sul versante occidentale del fiume Giordano avrebbe la capacità, per non dire la volontà, di bloccare l’afflusso di profughi da est, a maggior ragione quando i palestinesi stessi invocassero la libera immigrazione di milioni di palestinesi etnici provenienti da Giordania, Siria e Libano.

Le trasformazioni demografiche in questi anni in Giordania e Libano dimostrano che la più grande minaccia demografica per gli stati ancora funzionanti in questa regione non è la crescita naturale interna, bensì l’afflusso di profughi che vi si riversano dagli stati che sono collassati. Anche per la sopravvivenza a medio-lungo termine di Israele, la minaccia più grave sarebbe un afflusso in uno stato palestinese sul versante occidentale del fiume Giordano di milioni di profughi provenienti dagli stati confinanti.

Parlando la settimana scorsa alla conferenza di Londra sulla Siria, re Abdullah ha avvertito che la Giordania è al “punto di rottura” e ha chiesto all’Occidente di impegnarsi per una donazione di 1,6 miliardi di dollari nell’arco dei prossimi tre anni prima che “la diga ceda”. Purtroppo, la diga ha già iniziato a cedere. E se Israele non vuole essere sommerso, è giunto il momento di capire che il vecchio modo di pensare i termini del problema non serve più a nulla.
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Re: Diriti Omàni dei Nativi e de łi Endexeni ouropei

Messaggioda Berto » dom feb 14, 2016 3:18 pm

Ospitałetà no senpre lè sagra
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Ła sołedaretà come łebertà e no come s-ciavetù
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I popoli d'Europa si rivoltano contro la violenza islamica - I popoli endexeni d'Ouropa łi scuminsia rivoltarse contro ła viołensa xlamega
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Re: Diriti Omàni dei Nativi e de łi Endexeni ouropei

Messaggioda Berto » sab feb 20, 2016 7:18 am

Migranti, il Papa a Trump: “Chi vuole solo muri non è cristiano”
L’intervista a tutto campo sul volo di ritorno dal Messico. Le unioni civili: «Il Papa non si immischia nella politica italiana. Un parlamentare cattolico deve votare secondo la propria coscienza ben formata». Il virus Zika: «L’aborto non è un male minore, è un crimine, è da far fuori come fa la mafia». Il prete pedofilo «”mangia” il bambino e con un sacrificio diabolico lo distrugge». Anche il Papa «ha bisogno dell’amicizia e del pensiero delle donne». «Serve una “rifondazione” dell’Europa. Il mio sogno? Andare in Cina»
andrea tornielli
Inviato sul volo Ciudad Juarez-Roma

https://www.lastampa.it/2016/02/18/vati ... agina.html

Nella giornata che si è conclusa con la messa e la preghiera silenziosa davanti al confine con gli Stati Uniti sul quale migliaia di migranti provenienti dal Messico e dal Sudamerica hanno trovato la morte, Papa Francesco dialogando con i giornalisti ha risposto a una domanda sulle ultime dichiarazioni di Donald Trump. E pur concedendo al controverso politico repubblicano il beneficio del dubbio, Francesco ha detto papale papale che non può essere cristiano chi pensa solo a costruire muri invece di gettare ponti. Parole riferite alla situazione americana, ma applicabili anche a chi in Europa evoca o già costruisce muri e barriere per bloccare i migranti. Francesco per 45 minuti ha risposto a tutte le domande dei cronisti che viaggiavano con lui. Ecco la trascrizione dell’intervista.

Santo Padre, in Messico ci sono migliaia di persone scomparse, e il caso dei 43 studenti di Ayotzinapa è emblematico. Vorrei chiedere: perché non ha ricevuto i loro familiari?

«Nei miei messaggi ho fatto continui riferimenti agli assassinati, alle morti e alla vita comprata da tutte queste bande di narcotrafficanti e di trafficanti di persone, dunque di questo problema ho parlato, ho parlato delle piaghe che sta soffrendo il Messico. C’erano molti gruppi, anche contrapposti tra loro, con lotte interne, che volevano essere ricevuti e allora ho preferito dire che alla messa di Ciudad Juarez li avrei visti tutti, o se preferivano in una delle altre messe, che c’era questa disponibilità. Era praticamente impossibile ricevere tutti questi gruppi, che d’altra parte si affrontavano tra di loro, in una situazione difficile da comprendere per me che sono straniero. Ma credo che sia la società messicana a essere vittima di tutto questo, dei crimini, dello scarto delle persone: è un dolore tanto grande, questo popolo non si merita un dolore così».

Il tema della pedofilia, come ben sa il Messico, ha radici molto dolorose. Il caso di padre Maciel ha lasciato eredità pesanti, soprattutto con le vittime. Le vittime si sentono non protette. Che pensa di questo tema? Ha pensato di riunirsi con le vittime? E quando i sacerdoti vengono coinvolti in casi di questo tipo ciò che si fa è di cambiare loro parrocchia, niente di più...

«Innanzitutto, un vescovo che cambia di parrocchia un prete che ha commesso abusi sui minori è un incosciente, è meglio che rinunci. Chiaro! Nel caso Maciel bisogna fare un omaggio a colui che ha si è opposto a tutto questo, Ratzinger, il cardinale Ratzinger, un uomo che ha presentato tutta la documentazione sul caso Maciel e come Prefetto ha fatto l’indagine, ha raccolto tutta la documentazione e poi non ha potuto andare oltre nella sua messa in pratica. Ma se vi ricordate, dieci giorni prima della morte di san Giovanni Paolo II, durante la Via Crucis, Ratzinger disse a tutta la Chiesa che bisognava pulire la sporcizia della Chiesa. E nella messa “Pro eligendo Pontifice” pur sapendo che era candidato - ma non tonto - non gli è importato di fare operazioni di maquillage sulla sua posizione, disse esattamente lo stesso. Oggi stiamo lavorando abbastanza, con il cardinale Segretario di Stato e con il C9. Ho deciso di nominare un altro segretario aggiunto della Congregazione per la dottrina della fede perché si occupi solo di questi casi. Si è costituito un tribunale d’appello presieduto da monsignor Scicluna. I casi continuano. Poi c’è la commissione per la tutela dei minori, che si occupa di protezione: mi sono riunito una mattina intera con i sei membri, già vittime di abusi. E a Philadelphia mi sono incontrato con le vittime. Rendo grazie a Dio perché questa pentola è stata scoperchiata, bisogna continuare scoperchiandola ancora. Gli abusi sono una mostruosità, perché un sacerdote è consacrato per portare un bimbo a Dio e invece se lo “mangia” e con un sacrificio diabolico lo distrugge».

Lei ha parlato molto dei problemi degli immigrati, dall’altra parte della frontiera, negli Usa c’è una campagna abbastanza dura su questo. Il candidato repubblicano Donald Trump ha detto in un’intervista che lei è un “uomo politico” e una “pedina” del governo messicano per le politiche migratorie. Trump ha detto di voler costruire 2.500 chilometri di muro e di voler deportare 11 milioni di immigrati illegali. Che cosa pensa? Un cattolico americano può votarlo?

«Grazie a Dio ha detto che io sono politico, perché Aristotele definisce la persona umana come “animale politico”, e questo significa che almeno io sono una persona umana. Io una pedina? Mah, lo lascio al vostro giudizio e al giudizio della gente. Una persona che pensa solo a fare muri e non ponti, non è cristiana. Questo non è nel Vangelo. Votarlo o non votarlo? Non mi immischio, soltanto dico che quest’uomo non è cristiano, se veramente ha parlato così e ha detto quelle cose».

L’incontro con Kirill e la firma della dichiarazione comune ha provocato reazioni dei greco cattolici dell’Ucraina: hanno detto di sentirsi traditi e parlano di un documento politico, di appoggio alla politica russa. Lei pensa di andare a Mosca o a Creta per il sinodo pan-ortodosso?

«Io sarò presente, spiritualmente, a Creta con un messaggio. Mi piacerebbe andarci ma bisogna rispettare il sinodo. Ci saranno degli osservatori cattolici e dietro di loro ci sarò io, pregando con i migliori auguri che gli ortodossi possano andare avanti. I loro vescovi sono vescovi come noi. Con Kirill, mio fratello, ci siamo abbracciati e baciati e poi abbiamo avuto un colloquio di due ore, dove abbiamo parlato come fratelli sinceramente: nessuno sa di che cosa abbiamo parlato. Sulla dichiarazione degli ucraini: quando l’ho letta, mi sono un po’ preoccupato perché l’ha fatta l’arcivescovo maggiore di Kyiv-Halyc degli Ucraini Sviatoslav Schevchuk. È lui che ha detto che il popolo si sente profondamente deluso e tradito. Io conosco bene Sviatoslav, a Buenos Aires per quattro anni abbiamo lavorato insieme. Quando, a 42 anni è stato eletto arcivescovo maggiore, è venuto a salutarmi e mi ha regalato un’icona della Madonna della tenerezza dicendo: mi ha accompagnato tutta la vita, voglio lasciarla a te che mi hai accompagnato in questi quattro anni. Io ce l’ho a Roma, tra le poche cose che ho portato da Buenos Aires. Ho rispetto per lui, ci diamo del tu, mi è sembrata un po’ strana la sua dichiarazione. Ma per capire una notizia o una dichiarazione bisogna cercare l’ermeneutica complessiva. Ora quella dichiarazione di Schevchuk è nell’ultimo paragrafo di una lunga intervista. Lui si dichiara figlio della Chiesa, in comunione col vescovo di Roma, parla del Papa e della sua vicinanza col il Papa. Sulla parte dogmatica, nessuna difficoltà, è ortodossa nel buon senso della parola, cioè è dottrina cattolica. Poi ognuno ha il diritto di esprimere le sue opinioni, sono sue idee personali. Tutto quello che ha detto è sul documento, non sull’incontro con Kirill. Il documento è discutibile, e anche c’è da aggiungere che l’Ucraina è in un momento di guerra, di sofferenza: tante volte ho manifestato la mia vicinanza al popolo ucraino. Si capisce che un popolo in quella situazione senta questo, il documento è opinabile su questa questione dell’Ucraina, ma in quella parte della dichiarazione si chiede di fermare questa guerra, che si facciano degli accordi. Io personalmente ho auspicato che gli accordi di Minsk vadano avanti e che non si cancelli col gomito quello che hanno scritto con le mani. Ho ricevuto ambedue i presidenti e per questo quando Schevchuk dice che ha sentito questo dal suo popolo, io lo capisco. Non bisogna spaventarsi per quella frase. Una notizia la si deve interpretare con l’ermeneutica del tutto, non della parte».

Il patriarca Kirill l’ha invitata a Mosca?

«Il patriarca Kirill mi ha invitato? Io preferisco fermarmi solo a quello che abbiamo detto in pubblico. Il colloquio privato è privato ma posso dirle che io sono uscito felice, e anche lui lo era».

Lei in questi giorni ha parlato di famiglia: in Italia si dibatte sulle unioni civili. Che cosa pensa delle adozioni e in particolare dei diritti dei figli?

«Prima di tutto io non so come stanno le cose nel Parlamento italiano, il Papa non s’immischia nella politica italiana. Nella prima riunione che ho avuto con i vescovi nel maggio 2013 ho detto loro: col Governo italiano arrangiatevi voi. Il Papa non si mette nella politica concreta di un Paese. L’Italia non è il primo paese che fa questa esperienza. Quanto al mio pensiero, io penso quello che la Chiesa sempre ha detto su questo tema».

Da qualche settimana c’è molta preoccupazione per il virus Zika, con il rischio per le donne in gravidanza. Alcune autorità hanno proposto l’aborto e la contraccezione per evitare le gravidanze. La Chiesa può prendere in considerazione in questo caso il male minore?

«L’aborto non è un male minore, è un crimine, è far fuori, è quello che fa la mafia. Per quanto riguarda il male minore, quello di evitare la gravidanza, si tratta di un conflitto fra il quinto e il sesto comandamento. Il grande Paolo VI, in Africa aveva permesso alle suore di usar gli anticoncezionali in una situazione difficile. Ma non bisogna confondere l’evitare la gravidanza con l’aborto, che non è un problema teologico, ma è un problema umano, medico, si uccide una persona, contro il giuramento di Ippocrate. Si assassina una persona per salvarne un’altra, nel migliore dei casi. È un male umano, come ogni uccisione. Invece evitare una gravidanza non è un male assoluto, e in certi casi, come in quello che ho citato del beato Paolo VI, questo è chiaro. Io esorterei i medici perché facciano di tutto per trovare i vaccini contro queste zanzare che portano questo male».

Lei riceverà il premio Carlo Magno, tra i più prestigiosi della Comunità europea. Anche Giovanni Paolo II teneva molto a questo premio e all’unità dell’Europa che sembra stia andando un po’ in pezzi. Lei ha una parola per noi europei che viviamo questa crisi?

«Per quanto riguarda il premio: io avevo l’idea di non accettare onorificenze o dottorati, non per umiltà, ma perché non mi piacciono queste cose. Però in questo caso sono stato convinto dalla santa e teologica testardaggine del cardinale Kasper che è stato scelto per convincermi. Ho detto sì, ma a riceverlo in Vaticano e lo offro per l’Europa: che sia un premio perché l’Europa possa fare quello che io ho indicato a Strasburgo, per far sì che l’Europa non sia nonna ma sia madre. L’altro giorno, mentre sfogliavo un giornale, ho letto una parola che mi è piaciuta, la “rifondazione” dell’Europa e ho pensato ai grandi padri. Oggi dove c’è un Schumann, un Adenauer, questi grandi che nel dopoguerra hanno fondato l’Unione Europea? Mi piace questa idea della rifondazione, magari si potesse fare, perché l’Europa ha una storia, una cultura che non si può sprecare e dobbiamo fare di tutto perché la Ue abbia la forza e anche l’ispirazione di andare avanti».

Lei ha parlato molto delle famiglie nell’anno santo della misericordia, ma come essere misericordiosi con i divorziati risposati? Si ha l’impressione che sia più facile perdonare un assassino che un divorziato che si risposa...

«Sulla famiglia hanno parlato due sinodi e il Papa ha parlato tutto l’anno nelle catechesi del mercoledì. La sua domanda è vera, mi piace. Nel documento post-sinodale che uscirà forse prima di Pasqua si riprende tutto quello che il sinodo ha detto: in uno dei capitoli ha parlato dei conflitti, delle famiglie ferite. La pastorale delle famiglie ferite è una delle preoccupazioni, come pure una preoccupazione è la preparazione al matrimonio. Per diventare prete ci vogliono otto anni, e poi se non ce la fai, chiedi la dispensa. Invece per un sacramento che dura tutta la vita, solo quattro incontri. La preparazione al matrimonio è molto importante. La Chiesa, almeno nella pastorale comune in Sudamerica, non ha valutato tanto questo. Alcuni anni fa nella mia patria c’era l’abitudine a sposarsi di fretta quando c’era un bambino in arrivo e così coprire socialmente l’onore della famiglia. Lì non erano liberi e tante volte questi matrimoni sono nulli. Come vescovo ho proibito ai sacerdoti di fare questo: che venga il bambino, che i due continuino da fidanzati e quando si sentono di impegnarsi per tutta la vita, che si sposino. Poi ricordiamo che le vittime dei problemi della famiglia sono i figli: ma sono anche vittime che i genitori non vogliono, quando papà o mamma non hanno tempo di stare con i loro figli. Quando io confesso uno sposo o una sposa, domando “quanti figli ha”? Si spaventano un po’, forse perché pensano che i figli dovrebbero essere di più, e allora io domando: lei gioca con i suoi figli? Tante volte dicono: non ho mai tempo! Interessante che nell’incontro con le famiglie a Tuxtla Gutierrez, ci fosse una coppia di risposati in seconda unione, bene integrati nella pastorale della Chiesa. La parola chiave che usò il Sinodo, e io riprenderò nell’esortazione, è “integrare” nella vita delle Chiesa le famiglie ferite. E non dimenticare i bambini, sono le prime vittime».

Significa che i divorziati risposati potranno fare la comunione?

«Integrare non significa dare la comunione. Io conosco cattolici risposati che vanno in chiesa due volte l’anno e vogliono fare la comunione, come se fosse un’onorificenza. Lavoro di integrazione, tutte le porte sono aperte, ma non si può dire che possono fare la comunione, perché questo sarebbe una ferita per i matrimoni e non farà fare loro quel cammino di integrazione. Questa coppia di divorziati risposati era felice. Hanno usato un’espressione molto bella: noi non ci comunichiamo con l’eucaristia, ma sì, siamo in comunione quando visitiamo gli ospedali e condividiamo cose. La loro integrazione è questa. Se poi ci sarà qualcosa di più lo dirà il Signore. È una strada, un cammino».

Numerosi media hanno evocato e fatto clamore sull’intensa corrispondenza fra Giovanni Paolo II e la filosofa Anna Teresa Tymieniecka. Un Papa può avere un’intensa corrispondenza con una donna? E lei ne ha?

«Questo rapporto di amicizia tra san Giovanni Paolo II e Teresa Tymieniecka lo conoscevo. Un uomo che non sa avere un buon rapporto di amicizia con una donna - non parlo dei misogini che sono malati - è un uomo a cui manca qualcosa, e io per mia esperienza, quando chiedo consiglio a un collaboratore amico, anche mi interessa sentire il parere di una donna: loro ti danno tanta ricchezza, guardano le cose in un altro modo. A me piace dire che la donna è quella che costruisce la vita nel grembi e ha questo carisma di darti cose per costruire. Un’amicizia con una donna non è peccato. Un rapporto amoroso con una donna che non sia tua moglie è peccato! Il Papa è un uomo, e ha bisogno anche del pensiero delle donne. Anche il Papa ha un cuore che può avere un’amicizia santa e sana con una donna. Ci sono stati santi come Francesco e Chiara... Non spaventarsi! Però le donne ancora non sono ben considerate nella Chiesa, non abbiamo ancora capito il bene che possono fare alla vita di un prete, alla vita della Chiesa, con un consiglio, un aiuto, una sana amicizia».

Torno sull’argomento della legge sulle unioni civili che sta per essere votata al Parlamento italiano. C’è un documento della Congregazione per la dottrina della fede del 2003 dove si afferma che i parlamentari cattolici non devono votare queste leggi. Qual è il comportamento per un parlamentare cattolico in questi casi?

«Non ricordo bene quel documento, ma un parlamentare cattolico deve votare secondo la propria coscienza ben formata, questo direi, soltanto questo, è sufficiente, e parlo di coscienza ben formata, cioè non quello che mi sembra o che mi pare. Ricordo quando fu votato il matrimonio fra persone dello stesso sesso a Buenos Aires, io stavo lì, i voti erano pari allora un parlamentare ha consigliato all’altro: “Tu ci vedi chiaro?”. “No”. “Neanch’io, pero così perdiamo. Se non andiamo a votare non si raggiunge il quorum, ma se raggiungiamo il quorum diamo il voto a Kirchner. Preferisco darlo a Kirchner e non a Bergoglio, e andiamo!”. Questa non è una coscienza ben formata».

Dopo l’incontro con il Patriarca di Mosca il Cairo, c’è un altro disgelo all’orizzonte, ci sarà l’udienza con l’imam di Al Azhar?

«La scorsa settimana monsignor Ayuso, segretario del cardinale Tauran, è andato a incontrare il vice dell’imam. Io voglio incontralo, so che a lui piacerebbe, stiamo cercando il punto, sempre tramite il cardinale Tauran».

Dopo questo viaggio messicano, che viaggi farà, quali viaggi sogna?

«Rispondo: la Cina, andare là, mi piacerebbe tanto! Vorrei anche dire una cosa giusta sul popolo messicano: è un popolo che rappresenta una ricchezza tanto grande, un popolo che sorprende, ha una cultura millenaria. Voi sapete che oggi in Messico si parlano 65 lingue, è un popolo di una grande fede ma che anche ha sofferto persecuzioni religiose, ci sono martiri, adesso ne canonizzerò due. Un popolo non lo si può spiegare, non è una categoria logica, è una categoria mitica, non si può spiegare questa ricchezza, questa gioia, questa capacità di far festa nonostante le tragedie che vive. Questa unità, un popolo che è riuscito a non fallire, a non finire, con tante cose che accadono: a Ciudad Juarez c’era un patto per il cessate il fuoco, dodici ore per la mia visita, poi riprenderanno. Questo popolo solo si spiega con Guadalupe e io vi invito a studiare seriamente il fatto Guadalupe, la Madonna è lì, io non trovo altra spiegazione».

Che cosa ha chiesto alla Madonna di Guadalupe? Lei sogna in lingua italiana o in spagnolo?

«Sogno in esperanto! Alcune volte sì, ricordo un sogno in altra lingua, ma sognare in lingue no, sogno piuttosto immagini. Ho chiesto alla Guadalupana per prima cosa la pace, quella poverina deve aver finito con la testa così... Ho chiesto perdono, ho chiesto che la Chiesa cresca sana, ho pregato per il popolo messicano. Ho chiesto tanto che i preti siano veri preti, e le suore vere suore, i vescovi veri vescovi. Ma le cose che un figlio dice alla mamma sono un segreto».

Qui la conferenza stampa integrale del Papa sul volo di ritorno dal Messico
http://press.vatican.va/content/salasta ... 00288.html


Sto Papa nol ga creansa par naltri endexeni ouropei




Trump: «Papa vergognoso, non può mettere in dubbio la fede»
Giovedì 18 Febbraio 2016

http://www.ilmessaggero.it/primopiano/e ... 59945.html

«Il Papa? È un personaggio molto politico»: così Donald Trump replica alle affermazioni del Pontefice secondo cui una persona che vuole costruire muri, come il candidato repubblicano alla Casa Bianca che vorrebbe un muro fra Stati Uniti e Messico, «non è cristiana».

«Stanno usando il Papa come una pedina, e dovrebbero vergognarsi di farlo», ha sostenuto ancora Trump. «Il governo messicano e la sua leadership - scrive ancora Trump - hanno fatto diverse dichiarazioni denigratorie nei miei confronti con il Papa, perché vogliono continuare a fregare gli Stati Uniti sul commercio e ai confini. E capiscono che mi sono accorto di loro».

«Il Papa - prosegue - ha quindi ascoltato solo una parte della storia. Non ha visto il crimine, il traffico della droga e l'impatto economico negativo che le attuali politiche hanno sugli Stati Uniti. Non vede come la leadership messicana sta giocando di furbizia con il presidente Obama e la nostra leadership, su ogni aspetto».

«Per un leader religioso mettere in dubbio la fede di una persona è vergognoso», afferma ancora Trump. «Io sono orgoglioso di essere cristiano e come presidente non permetterò alla cristianità di essere continuamente attaccata e indebolita, proprio come sta avvenendo adesso, con l'attuale presidente» americano.

«Tutti sanno che l'obiettivo ultimo dell'Isis è attaccare il Vaticano. E il Papa dovrebbe pregare che Donald Trump diventi presidente, perché così questo non accadrà», sono state ancora parole di Trump nel corso di un evento elettorale in corso in South Carolina.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Diriti Omàni dei Nativi e de łi Endexeni ouropei

Messaggioda Berto » gio mar 03, 2016 3:25 pm

???

Il Papa e i pesci rosa - Incontro con un gruppo del cristianesimo sociale francese
di Jean-Pierre Denis
03 marzo 2016

http://www.osservatoreromano.va/it/news ... pesci-rosa

Dove va la Francia? Dove va l’Europa? Come rispondere alla crisi spirituale che il nostro Paese e il nostro continente attraversano? Come formulare una critica alla modernità che non sia reazionaria? Non ci si stupirà dunque se lo scambio verterà ampiamente sulla politica, nel senso lato del termine, includendo la sua dimensione spirituale. Ma al di là dei discorsi tenuti e dei temi affrontati, è lo stile a colpire. La semplicità evangelica, il contatto immediato, l’attenzione intensa. La disponibilità. L’uomo d’intuito non viene schiacciato dal peso dell’istituzione, cosa che sconvolge tanto i puristi attaccati a un papato gerarchico o dogmatico. All’inizio e alla fine del colloquio, non c’è una mano che non si sia stretta con attenzione, un volto che non si sia stato guardato. Davvero. Senza stancarsi. Il Papa stesso a un certo punto si alzerà per andare a cercare dell’acqua. Non per lui, ma per Carmen, la giovane traduttrice che ha fatto sedere al suo fianco, di fatto una militante di Esprit Civique. Ovvero come distinguere un maestro spirituale da una celebrità.

«Emmanuel Lévinas fonda la sua filosofia sull’incontro con l’altro» riassume Francesco. «L’altro ha un volto. Occorre uscire da se stessi per contemplarlo». L’avventura delle caravelle avrebbe dunque qualcosa di metafisico? «Da Magellano in poi, si è imparato a guardare il mondo a partire dal sud. Ecco perché il mondo si vede meglio dalla periferia che dal centro e io capisco meglio la mia fede a partire dalla periferia: ma la periferia può essere umana, legata alla povertà, alla salute, o a un sentimento di periferia esistenziale». Si capisce così l’importanza che questa tematica ha assunto nella predicazione di Francesco.

Da qui una riflessione su ciò che gli ispanici e gli anglofoni chiamano “globalizzazione” e noi “mondializzazione”.
«C’è qualcosa che mi preoccupa», dice il Papa.
«Certo, la globalizzazione ci unisce e ha dunque aspetti positivi. Ma credo che ci siano una globalizzazione buona e una meno buona. La meno buona può essere rappresentata da una sfera: ogni persona si trova a eguale distanza dal centro. Questo primo schema distacca l’uomo da se stesso, lo uniformizza e alla fine gli impedisce di esprimersi liberamente.
La globalizzazione migliore sarebbe piuttosto un poliedro. Tutti sono uniti, ma ogni popolo, ogni nazione, conserva la sua identità, la sua cultura, la sua ricchezza. La posta in gioco per me è questa globalizzazione buona, che ci permette di conservare ciò che ci definisce. Questa seconda visione della globalizzazione permette di unire gli uomini pur conservando la loro singolarità, il che favorisce il dialogo, la comprensione reciproca. Affinché ci sia dialogo, c’è una condizione sine qua non: partire dalla propria identità. Se non sono chiaro con me stesso, se non conosco la mia identità religiosa, culturale, filosofica, non posso rivolgermi all’altro. Non c’è dialogo senza appartenenza».

«L’unico continente che può apportare una certa unità al mondo è l’Europa», aggiunge il Papa. «La Cina ha forse una cultura più antica, più profonda. Ma solo l’Europa ha una vocazione di universalità e di servizio». Francesco ritorna allora sul tema del suo discorso di Strasburgo, del 25 novembre 2014, quando ha paragonato l’Europa a una nonna un po’ stanca. «Ma ecco la madre è diventata nonna» sorridecon un filo di ironia. Penso ai racconti biblici, alla vecchia Sara che ride quando viene a sapere che rimarrà incinta. La domanda può sembrare strana, ma non riesco a non farla. È troppo tardi? La nonna può ridiventare una giovane madre? «Un capo di Stato mi ha già posto questa domanda» mi risponde il Papa. «Sì, può. Ma ad alcune condizioni. La Spagna e l’Italia hanno un tasso di natalità vicino allo zero. La Francia se la cava meglio, perché ha costruito una politica familiare che favorisce la natalità. Essere madre significa avere dei figli». Ma il rinnovamento non può essere solo quantitativo. «Se l’Europa vuole ringiovanire, deve ritrovare le proprie radici culturali. Tra tutti i Paesi occidentali, l’Europa ha le radici più forti e più profonde. Attraverso la colonizzazione, queste radici hanno raggiunto persino il nuovo mondo. Ma dimenticando la propria storia, l’Europa s’indebolisce. È allora che rischia di divenire un luogo vuoto».

L’Europa è diventato un luogo vuoto?
La frase è forte. Centra l’obiettivo e fa male. Ed è anche angosciante. Perché nella storia delle civiltà il vuoto chiama sempre il pieno. E allora il Papa fa un’analisi clinica. «Possiamo parlare oggi di un’invasione araba.
È un fatto sociale» afferma con distacco, come se osservasse che il tempo è freddo. Ma aggiunge subito — e i teorici della “grande sostituzione”, cara all’estrema destra, resterebbero allora delusi — «quante invasioni ha conosciuto l’Europa nel corso della sua storia! Ma ha sempre saputo superare se stessa, andare avanti per ritrovarsi poi come accresciuta dallo scambio tra le culture». Quale uomo di Stato porterà un simile rinnovamento? «A volte mi domando dove troverete uno Schumann o un Adenauer, questi grandi fondatori dell’Unione europea» sospira il Papa. E continua a parlare della crisi in Europa, minata dagli egoismi nazionali, dai piccoli mercanteggiamenti e dai giochi poco lungimiranti. «Si confonde la politica con soluzioni di circostanza. Certo, occorre sedersi al tavolo dei negoziati, ma solo se si è consapevoli che bisogna perdere qualcosa perché tutti ci guadagnino».

«La vostra laicità è incompleta... Occorre una laicità sana».
Restaurare la grande Europa, reinventare la Francia. «Siamo venuti per parlarvi del nostro Paese» afferma Philippe de Roux [fondatore dei Poissons roses]. «La Francia ha bisogno di essere scossa... Quale messaggio desidera trasmetterle?». Il Papa sorride, con tono scherzoso: «Nel mondo ispanico si dice che la Francia è la primogenita della Chiesa, ma non per forza la figlia più fedele». Ma, pur affermando di doverle molto sul piano spirituale, il Papa ammette di conoscere male la realtà del nostro Paese. «Sono stato solo tre volte in Francia, a Parigi, per riunioni con i gesuiti, quando ero provinciale. Non conosco dunque il vostro Paese. Direi che esercita un certo fascino, ma non so esattamente in che senso... In ogni caso, la Francia ha una fortissima vocazione umanistica. È la Francia di Emmanuel Mounier, di Emmanuel Lévinas o di Paul Ricoeur». Un cattolico, un ebreo, un protestante!

«Da un punto di vista cristiano, la Francia ha dato i natali a numerosi santi, uomini e donne di finissima spiritualità. Soprattutto tra i gesuiti, dove accanto alla scuola spagnola, si è sviluppata una scuola francese, che io ho sempre preferito. La corrente francese comincia molto presto, fin dalle origini, con Pierre Favre. Ho seguito questa corrente, quella di padre Louis Lallemant. La mia spiritualità è francese. Il mio sangue è piemontese, è forse questa la ragione di una certa vicinanza. Nella mia riflessione teologica mi sono sempre nutrito di Henri de Lubac e di Michel de Certeau. Per me, de Certeau resta a tutt’oggi il più grande teologo».

E su un piano politico? «La Francia è riuscita a instaurare nella democrazia il concetto di laicità. È una cosa sana. Oggi uno Stato deve essere laico. La vostra laicità è incompleta. La Francia deve diventare un Paese più laico. Occorre una laicità sana [saine]». Una laicità santa [sainte], riprende garbatamente la nostra interprete, Carmen Bouley de Santiago. In poche parole, si capisce che la “sana laicità” di cui parla il Papa si oppone comunque un po’ a quella santa laicità che è divenuta la nostra religione civile. È una laicità inclusiva, che lascia spazio al senso, allo spirituale, all’espressione delle convinzioni.
«Una laicità sana include un’apertura a tutte le forme di trascendenza, secondo le differenti tradizioni religiose e filosofiche. D’altro canto anche un laico può avere un’interiorità» aggiunge il Papa, accompagnando la parola con un gesto della mano che parte dal cuore. «Perché la ricerca della trascendenza non è solo un fatto [hecho], ma un diritto [derecho]». Gioco di parole molto spagnolo tra hecho e derecho che si applica perfettamente a una laicità troppo francese, che prende in considerazione il “fatto religioso”, pur volendo negare alla religione il diritto di cittadinanza rinchiudendola nella sfera privata. «Una critica che faccio alla Francia è che la laicità risulta talvolta troppo legata alla filosofia dell’illuminismo, per il quale le religioni erano una sottocultura. La Francia non è ancora riuscita a superare questo retaggio». Discorsi che non mancheranno di preoccupare coloro per i quali l’illuminismo deve restare un indispensabile punto di riferimento della Repubblica, posta al di sopra di ogni sospetto, persino della filosofia del sospetto. Ma che fanno anche reagire Jérôme Vignon [presidente delle Settimane sociali di Francia], il quale considera il quadro della laicità alla francese un po’ troppo nero e non vuole che a Roma si creda che la Chiesa è schiacciata o si schiaccia. «La sua analisi è un po’ dura, Santo Padre. In Francia si sta svolgendo un vero dibattito sulla laicità e il clero difende la visione della laicità da lei evocata». «Tanto meglio!», esclama Francesco, con aria sinceramente allegra.

Il fondo della critica rimane ed è incisivo. Una laicità troppo rigida crea un vuoto che altre forze colmano. «Quando un Paese si chiude a una concezione sana della politica finisce per essere prigioniero, ostaggio di colonizzazioni ideologiche. Le ideologie sono il veleno della politica. Si ha il diritto di essere di destra o di sinistra. Ma l’ideologia toglie la libertà. Già Platone solleva la questione in Gorgia quando parla dei sofisti, gli ideologi dell’epoca. Diceva che erano per la politica come i cosmetici per la salute. Gli ideologi mi fanno paura». In un contesto caratterizzato dall’aumento dei populismi, sul quale lo interroga in particolare il deputato Dominique Potier [presidente e cofondatore del laboratorio di idee Esprit Civique], il Papa fa riferimento a un’altra pratica della politica, fondata sulla ricerca del consenso, il senso delle responsabilità, il superamento dei divari. «Se si vuole evitare che tutti vadano verso gli estremi, occorre nutrire l’amicizia e la ricerca del bene comune, al di là delle appartenenze politiche».

«Il mio avversario è la finanza» diceva Hollande. Ma che i Poissons roses mi perdonino, questa volta è per davvero. «L’ideologia e l’idolatria del denaro» sono i due grandi mali siamesi che il Papa denuncia, collegando in modo molto originale i due concetti, per non dire due strutture di peccato, in apparenza molto distanti. «Gli avversari di oggi sono il narcisismo consumistico e tutte le parole che finiscono in “ismo”» insiste. «Ci siamo rinchiusi in una dipendenza più forte di quella provocata dalle droghe, accantonando l’uomo e la donna per sostituirli con l’idolo del denaro. È la cultura del rifiuto». Si potrebbe tradurre anche con esclusione. El descarte dice in spagnolo questo Papa, che spesso parla di “cultura dello scarto”, a proposito del modo in cui vengono trattati i più deboli, le persone anziane. «Un ambasciatore venuto da un Paese non cristiano mi ha detto: ci siamo smarriti nell’ideologia del denaro. Ecco il nemico: la dipendenza dal vitello d’oro. Quando leggo che il venti per cento dei più ricchi possiede l’ottanta per cento delle ricchezze, non è normale. Il culto del denaro è sempre esistito, ma oggi questa idolatria è diventata il centro del sistema mondiale». Davanti a questo areopago di cristiani sociali, il Papa si lancia quindi in un inaspettato elogio di Christine Lagarde, a capo del Fondo monetario internazionale (Fmi). «Una donna intelligente. Sostiene che il denaro deve essere al servizio dell’umanità e non il contrario». Per il Papa, che dice di non avere la fobia del denaro, la posta in gioco consiste nel «collegare la finanza e il denaro a una spiritualità del bene comune».

Per il Papa il rinnovamento del cristianesimo passa, come si sa, per la misericordia. «In latino è il cuore che si china davanti alla miseria. Ma se si segue l’etimologia ebraica, non è più solo il cuore a essere toccato, ma anche le viscere, il ventre materno, quella capacità di sentire in modo materno, dall’utero. In entrambi i casi si tratta di uscire da se stessi». Decentrarsi, andare verso, rischiare il dialogo. Il tema ricorrente della conversazione è quello del pontificato. La misericordia, d’altronde, per il Papa venuto dal Sud, è l’altro nome dell’umanesimo. «Mettiamo da parte la dimensione religiosa» osa dire Francesco. «La misericordia è la capacità di commuoverci, di provare empatia. Consiste anche, dinanzi a tutte le catastrofi, nel sentirsene responsabili. Nel dirsi che bisogna agire. Non riguarda quindi soltanto i cristiani, ma tutti gli esseri umani. È un appello all’umanità».

La delegazione comprende una intellettuale musulmana, Karima Berger. La nuova presidente dell’associazione degli scrittori credenti di lingua francese, che lei stessa ha ribattezzato Écriture et Spiritualités, è molto soddisfatta. L’impatto del tema della misericordia, di fatto, va al di là del mondo cristiano. Nell’islam Dio viene definito misericordioso, osserva. Il Papa coglie la palla al balzo. È rimasto visibilmente colpito dal suo recente viaggio nella Repubblica Centrafricana. «Lavoriamo molto al dialogo tra cristiani e musulmani. In Centrafrica c’era armonia. D’altronde è un gruppo che del resto non è musulmano ma che ha cominciato la guerra. La presidente di transizione, cattolica praticante, era amata e rispettata dai musulmani. Sono andato nella moschea. Ho chiesto all’imam se potevo pregare. Mi sono tolto le scarpe e sono andato a pregare. Ogni religione ha i suoi estremisti. Le degenerazioni ideologiche della religione sono all’origine della guerra». Francesco ci annuncia quindi che sta preparando un importante incontro con la più alta istituzione del mondo sunnita, l’università di Al Azhar, al Cairo, che ha avuto relazioni tese con il Vaticano in particolare ai tempi di Benedetto XVI. «Bisogna dialogare, dialogare ancora» conclude, riprendendo l’imperativo categorico che aveva formulato a proposito della globalizzazione e che è forse il segreto della sua pedagogia, della sua singolarità e della sua popolarità. Il tempo di consegnargli una copia di «La Vie» e purtroppo il nostro dialogo si conclude. Ma tutto è chiaro. Il Papa informale sa bene dove vuole portare la Chiesa: fuori dalle mura, al rischio dell’incontro.




Papa Francesco: "È in atto un'invasione araba dell'Europa, ma non è per forza un male"
Ivan Francese - Gio, 03/03/2016

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 31806.html

Parole che non stonerebbero in bocca a Innocenzo XI, pontefice della metà del Seicento; ma che lasciano basiti quando scopriamo che a pronunciarle è stato Papa Francesco, in una recente intervista al periodico cattolico francese Vie.

Il Santo Padre ha ammesso senza timore che il Vecchio Continente è di fronte a "un'invasione", ma ha specificato subito dopo che egli non giudica negativamente il fenomeno. "Si può parlare oggi di invasione araba. È un fatto sociale - ha spiegato Francesco - uante invasioni l’Europa ha conosciuto nel corso della sua storia! E ha saputo sempre superarsi e andare avanti per trovarsi infine come ingrandita dallo scambio tra le culture."

Una conferma dell'ispirazione cosmopolita che sembra animare questo pontificato e che non piace troppo alle frange più conservatrici della galassia cattolica. Tuttavia, anche di fronte a chi è critico nei confronti dell'immigrazione incontrollata il Papa insiste nelle sue esortazioni evangeliche: "Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso... Pensate ai tanti profughi che sbarcano in Europa e non sanno dove andare!". Il Pontefice si rivolge poi agli euroscettici, domandandosi "dove si possa trovare uno Schumann o un Adenauer" dell'Europa moderna. Quindi il richiamo alla memoria: "Talvolta mi domando dove si possano trovare uno Schumann, un Adenauer, questi grandi fondatori dell’Europa moderna".

Dure, infine, le parole che il Santo Padre ha riservato alla Francia: "Una critica che faccio alla Francia è che la laicità risulta talvolta troppo dalla filosofia dei Lumi, per la quale le religioni erano una sottocultura. La Francia non è ancora riuscita a superare questa eredità. La Francia deve diventare uno Stato più laico, con un’apertura a tutte le forme di trascendenza, secondo le differenti tradizioni religiose e filosofiche."


A digo mi:
Credo che Francesco sia un Papa molto ignorante, perché non sa che gli arabi e gli islamici che nel passato hanno invaso la Spagna, poi l'Italia meridionale, Malta, Grecia e Macedonia e che si sono spinti sino a Vienna sono stati poi cacciati dalle terre europee prima conquistate; dove hanno resistito è stato soltanto in Bosnia, Albania, Kossovo e Cipro, alimentanto secoli di conflitti e di guerre civili che durano tutt'ora. Caro Papa Francesco mi pare che tu abbia tanto poco rispetto per noi autoctoni e indigeni europei; per me oltre che ignorante sei un irresponsabile. Francesco aggiornati pure sulla differenza tra arabi e islamici o mussulmani. Eppoi Francesco dicci cosa c'è di trascendente nella violenza islamica (o dottrina politico-religiosa mussulmana): forse il pregare 5 volte al giorno inneggiando alla grandezza di Allah (il più grande degli idoli) e contro i cristiani e gli ebrei e nel ramadam e nel viaggio alla Mecca e nel velo/burka e nella violenza della sharia?
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Diriti Omàni dei Nativi e de łi Endexeni ouropei

Messaggioda Berto » lun mar 14, 2016 11:25 am

I tempi felici della Germania senza un partito xenofobo ultra conservatore nei parlamenti sono finiti.

https://www.facebook.com/udo.gumpel?fref=nf

E' bastato l'arrivo di 1,2 mio di profughi per convincere un tedesco su 10 all'incirca, nella piccola regione ex comunista Sachsen-Anhalt, anche uno su quattro, che va cambiato tutto: indietro tutta per 60 anni, si dovrebbe chiamare il programma della AfD.
L'ideale della donna è la madre di famiglia, stranieri sono estranei, Putin è un amico caro e degli americani non ci si fida. E' un misto stratificato di idee dei tempi del Reich, del rifiuto del matrimonio omo all'aborto, un bel fritto misto del conservatorismo mondiale, con idee ereditate dal comunismo come l'avversione alle Chiese, all'integrazione, si è contrari all'Unione, alla cessione di sovranità, all'Euro. Insomma, a tutta la costruzione dell'Europa degli ultimi 50 anni.
Da ricordarsi che l AfD nasce alcuni anni fa come movimenti anti-Euro, anti- Bce, anti-italiano per eccellenza. Il tema dei profughi le da l'occasione di diventare il raccoglitore della protesta xenofoba tedesca, con l'Euro come cavallo di battaglia stavano gia sparendo.
I suoi politici usano non raramente un linguaggio al limite del codice penale, giustificano anche l'uso di armi da fuoco contro migranti, diffidano del tutto delle persone che arrivano, non li chiamano mai profughi, ma tassativamente illegali. Certo, per un italiano nulla di nuovo sotto il sole. Dopo 30 anni di Leghismo imperante sono crollate da mo' tutte le dighe del rispetto dei diritti umani altrui nel discorso pubblico, le oscenità diventate regola.
Speravo che la florida economia tedesca, la assoluta assenza di problemi di lavoro fosse una deterrente sufficiente. Evidentemente no.
Non deve sorprendere che il successo maggiore l'AfD ha nella regione con il minor numero di stranieri e profughi in Germania, ma in cima a quelli degli attacchi incendiari alle case per profughi.
Ora che il numero dei profughi che arrivano in Germania è sceso dalle decine di migliaia al giorno a 92 richiedenti asilo politico ieri, si può sperare che tra un anno e mezzo, alle politiche in Germania, l'ondata di protesta avrà perso slancio. Che sparisca del tutto non credo perché rappresenta sempre uno strato di persone che si ritengono staccati dal vagone della promozione sociale, non loser nel proprio termine, ma persone che si sentono non riconosciuti, messi nell'angolo, da una società che odiano. Non a caso il maggior successo la formazione trova nelle aree ex-comuniste dove ancora oggi serpeggia un certo odio allo stato dell'ovest: il voto si è spostato dal partito ex-comunista Die Linke, troppo normalizzato ormai, a questa formazione xenofoba-destrosa.



A digo mi
Uno che parla di xenofobia, vuol dire che vede la realtà con il filtro deformante dell'ideologia e che non ha alcun rispetto per i suoi concittadini o compaesani, dei diritti della sua gente. Un uomo così è un pericolo pubblico e potenzialmente un criminale perché non rispetta i Diritti Umani Universali dei Nativi o Indigeni (tra cui rientrano a pieno titolo anche i popoli e le comunità europee). Questo individuo è tarlato dalla ideologia della "cittadinanza mondiale" che non esiste nella realtà, perché la cittadinanza è sempre legata al territorio e alla sue comunità, genti, tradizioni, lingue, culture; l'uomo della cittadinanza mondiale non esiste e se esiste è un mostro virtuale, ideologico, senza radici e senza alcun rispetto per nessuno.

Diritti Umani dei Nativi e degli Indigeni europei
https://www.facebook.com/DirittiUmanide ... enieuropei
viewtopic.php?f=25&t=2186



La forza del populismo è una: offre soluzioni semplici per problemi complessi. Per sorprendervi, il primo esempio non è la destra xenofoba, ma la sinistra. La sinistra racconta volentieri la storia della "macelleria sociale", dovuta all'austerity, imposta dalla Merkel, ca va sans dire. Ma è vero questo?

Guardiamo i dati, snocciolati oggi da Alessandro Penati su "la Repubblica", nelle pagine di Economia, in fortissimo contrasto con le tesi di sinistra propagandate nel medesimo giornale nelle frontpages. Dal 2011 al 2015 le spese sociali dello Stato sono state aumentate di 28,5 mld di Euro, e lo Stato ha speso sempre la stessa cifra per stipendi e acquisti, 320 mld. Finanziato come? Con nuove tasse.
Questa è la ricetta terribile che affossa il vecchio Continente, o almeno i paesi non hanno ancora voluto cambiare direzione. Vi ricordate la polemica sui ricercatori europei e la pessima figura della Giannini che si vantava dei 30 ricercatori superpremiati dall'Unione con due mio di Euro di fondi, quando si scoprii che in realtà 17 di questi vivevano e ricercavano all'estero? Ecco la vecchia politica. Non investire in ricerca e sviluppo, far scappare i migliori, per poi appropriarsi pure dei loro meriti.
Austerity in Italia? Solo marginale, al massimo riducendo la crescita della spesa, ma non riducendola in valori nominali. L'ultimo treno dei combattenti contro l'Austerity è la maxi-liquidità di Draghi. Sperare in questo mostra solo che non conoscono la storia degli effetti della maxi-liquidità degli ultimi 30 anni, introdotti a partire dagli anni 80 da Alan Greenspan e poco a poco sempre meno efficace, per trasformarsi addirittura nel suo contrario, la prima causa delle bolle speculative. Ma per capire questo bisognerebbe aprire libri di storia, riflettere un attimo, anziche sparare battute a raffica o riunirsi a Parigi tra i Lame Duck del Continente.

La tragedia della sinistra "classica" o peggio quella massimalista è la stessa della destra (..finalmente ci arrivo) xenofoba:

ai problemi complessi non servono ricette facili populiste.

Cito un politico poco amato in Italia, Wolfgang Schaeuble. L'Europa non deve perdere l'appuntamento con la globalizzazione, con il corso della Storia.
1 milione di profughi all'anno per un Continente di 520 mio di abitanti non sono ingestibili. Ma ci dev'essere una soluzione europea, altrimenti ognuno chiude le sue frontiere e chi ne è piu daneggiato: i paesi piu deboli come l'Italia e la Grecia.
La Germania ce la farebbe forse anche da sola, ne avrebbe a medio termine anche economicamente grande vantaggi: se Berlino dunque insiste sulla soluzione europea lo fa per tenere insieme l'Unione, non per spaccarla. Sempre meglio, cosi si pensa a Berlino, di essere un grande paese nel Continente unito che però parli con una voce che un paese molto grande in Continente litigioso.

Le forze xenofobe respingono i profughi senza indicare alternative. Sparare ai confini? Affogarli? Chiuderli in campi chiusi sine die? Metterli sull'aereo subito indistintamente?
Il dilemma è questo: O si rinuncia completamente ai Diritti Umani, mettendosi fuori dalla cerchia dei paesi civili, tornando ai tempi del Duce e del Fuehrer, oppure si cercano le soluzioni complicate, lunghe, che si chiamano distinzione tra profughi e migranti, accoglienza, e poi la integrazione, il tutto è un processo che dura anni.
4-7 anni dopo l'arrivo -dicono le esperienze tedesche- l'immigrato è mediamente integrato, non serve più l'aiuto dello Stato. E da allora in poi i migranti produconio reditto, non costano piu, garantiscono le pensioni di coloro che oggi protestano. Questa è la esperienza degli ultimi 50 anni in Germania.
Alla fine l'immigrato è anche un guadagno economico per il paese ospitante.

Il Mondo porterà tante persone da noi, ma certamente non centinaia di milioni. Il dramma dei semplificatori è che gli anni 50, dei quali sognano sinistra e desta incapace di capire il mondo moderno, un mondo semplice, con confini precisi, sono finiti. Per sempre. Essi sono incapaci di reagire al mondo globale, sognano un ritorno al passato. Possibile solo a Hollywood.

Anziché erigere muri dovremmo pensare a delle leggi chiare sull'immigrazione, dobbiamo governare noi i flussi, decidere noi - a parte dei casi umanitari degli aventi diritto all'asilo politico.

La politica europea dev'essere un esempio per il Mondo. Altrimenti non siamo diversi dai tanti dittatori, massacratori, nemici dei diritti umani che popolano il mondo. Cerchiamo di arrivare preparati all'appuntamento con la storia, mostriamoci degni dei nostri proclami. E allora, chi ci sta, stia. Chi non è d'accordo, se ne vada dall'Unione.

Meglio essere in meno che mal'accompagnati.


A digo mi:

Credo che Francesco sia un Papa molto ignorante, perché non sa che gli arabi e gli islamici che nel passato hanno invaso la Spagna, poi l'Italia meridionale, Malta, Grecia e Macedonia e che si sono spinti sino a Vienna sono stati poi cacciati dalle terre europee prima conquistate; dove hanno resistito è stato soltanto in Bosnia, Albania, Kossovo e Cipro, alimentanto secoli di conflitti e di guerre civili che durano tutt'ora. Caro Papa Francesco mi pare che tu abbia tanto poco rispetto per noi autoctoni e indigeni europei; per me oltre che ignorante sei un irresponsabile. Francesco aggiornati pure sulla differenza tra arabi e islamici o mussulmani. Eppoi Francesco dicci cosa c'è di trascendente nella violenza islamica (o dottrina politico-religiosa mussulmana): forse il pregare 5 volte al giorno inneggiando alla grandezza di Allah (il più grande degli idoli) e contro i cristiani e gli ebrei e nel ramadam e nel viaggio alla Mecca e nel velo/burka e nella violenza della sharia?
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Re: Diriti Omàni dei Nativi e de łi Endexeni ouropei

Messaggioda Berto » ven mar 18, 2016 10:43 pm

Migranti, il Papa ai governanti: "È bello quando aprite le porte"
Sergio Rame - Mer, 16/03/2016

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 36182.html

"A me piace tanto quando vedo le nazioni, i governanti, che aprono il cuore e le porte".

Davanti a oltre 40mila fedeli, che sono accorsi in piazza San Pietro per partecipare all'Udienza Generale, papa Francesco torna a pregare per gli immigrati invitando i governanti ad aprire le frontiere per accogliere le centinaia di migliaia di disperati che bussano alle porte dell'Unione europea. "Questi fratelli stanno vivendo una reale e drammatica situazione di esilio - ha detto Bergoglio - lontani dalla loro patria, hanno negli occhi ancora le macerie delle loro case, la paura e spesso, purtroppo, il dolore per la perdita delle persone care".

"Dio si è dimenticato di me". Questa esclamazione, ha affermato papa Francesco, "sale spontanea alle labbra di tante persone persone che soffrono, si sentono abbandonate come i nostri fratelli che stanno vivendo una drammatica situazione di esilio lontani dalla loro patria, con negli occhi le macerie delle loro case e spesso il dolore per la perdita delle persone care". "In questi casi - ha detto Bergoglio nella sua catechesi all'Udienza Generale - uno può chiedersi dove è Dio? Come è possibile che tanta sofferenza possa abbattersi su uomini, donne e bambini innocenti ai quali chiudono la porta quendo cercano di entrare da un'altra parte, e sono lì al confine perchè tante porte e tanti cuori sono chiusi - ha continuato - i migranti di oggi che soffrono all'aria, senza cibo e non possono entrare, non sentono l'accoglienza".

Per rinnovare l'appello all'accoglienza, pronunciato con evidente riferimento alla chiusura delle frontiere lungo la rotta balcanica, Bergoglio ha preso spunto dalla promessa del profeta Geremia che risponde popolo esiliato che tornerà nella sua Terra. "Dio - ha scandito il Santo Padre - non è assente nemmeno oggi in queste drammatiche situazioni". Per questo, ha concluso, "non bisogna cedere alla disperazione. Il bene vince il male e il Signore asciugherà ogni lacrima e libererà da ogni paura".


Migranti, la Cei attacca i media: "Alimentate ansie ingiustificate"
Sergio Rame - Ven, 18/03/2016

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 36875.html

I vescovi italiani chiedono di "superare un'informazione allarmistica e ideologica" sugli immigrati.

L'appello è contenuto nel comunicato finale del Consiglio Episcopale Permanente. Invece di alimentare ansie ingiustificate i media, secondo la Cei, dovrebbero "riconoscere cause, responsabilità e dimensioni di un fenomeno che, insieme a enormi problematiche, porta con sé un contributo di ricchezza per tutto il Paese e, quindi, un reciproco vantaggio".

Nella sua prolusione di lunedì scorso il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, si chiedeva provocatoriamente "come l'Europa, a fronte di questo tragico esodo, possa pensare di erigere muri e scavare fossati, invece di avviare processi di vera integrazione, secondo onestà, tempi rapidi, regole e fiducia da parte di tutti". Nel suo intervento a Genova, Bagnasco aveva contato 45mila profughi accolti nelle strutture cattoliche, ma il comunicato parla di ventimila persone che, spiega, "costituiscono un quinto dell'intero sistema di accoglienza in Italia". I vescovi hanno rimarcato "la necessità di giungere a un sistema unico e diffuso, che risponda a standard e procedure comuni e sia sottoposto a verifiche puntuali rispetto ai servizi da erogare e alla trasparenza nella gestione dei fondi. Di qui anche la richiesta, per l'accoglienza dei rifugiati, di poter attivare un accreditamento da parte di enti e strutture del privato sociale e del no profit". La Cei ha poi sottolineato l'importanza di "sostenere un percorso culturale che aiuti le comunità a non aver paura ad aprirsi". "L'esperienza - conclude - fa toccare con mano come la solidarietà generosa di tanti diventi via di testimonianza e di annuncio".

Dopo aver rimbrottato i media, i vescovi hanno attaccato a testa bassa la politica. Nel comunicato finale del Consiglio Episcopale Permanente si sono detti preoccupati per gli esiti di "gestione dei flussi migratori, che segnalano una vera e propria selezione, e, quindi, un'esclusione, di nazionalità". Da qui la richiesta di intensificare il lavoro di identificazione e ricollocamento degli immigrati in Europa e, soprattutto, "la messa a punto di un serio programma di inserimento abitativo e lavorativo". Nel documento i vescovi pongono l'accento, in modo particolare, sulla condizione dei minori non accompagnati e accusa i leader europei di non aver ancora avviato "percorsi di affidamento in strutture familiari". "Sono persone senza prospettive - è la conclusione - rischiano di cadere in situazione di irregolarità, andando a esporsi a condizioni di insicurezza, irreperibilità e sfruttamento".


Fanfaron, buxiaro, sensa creansa! Maldito! Mi sembri padre Gemelli il consigliere di quell'infame del generale Cadorna. Ti a te si on falso creistian.
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Re: Diriti Omàni dei Nativi e de łi Endexeni ouropei

Messaggioda Berto » sab mar 19, 2016 10:48 am

In Europa il peggior delitto e il peggior crimine razzista è disprezzare, perseguitare e uccidere in nome della propria credenza religiosa e politico-religiosa i diversamente religiosi o altro credenti e non credenti; pertanto le dottrine politico religiose che istigano, incitano, inducono a tali delitti vanno bandite e i loro sostenitori e propalatori vanno perseguiti, condannati severamente, imprigionati ed espulsi dall'Europa.
Il tuo D-o non deve contrastare il D-o degli altri e tutti devono rispettare i Diritti Umani Universali.
E se ciò non ti aggrada vattene dall'Europa prima che l'Europa ti cacci.
Se vuoi portare il velo portalo ma non sognarti nemmeno di disprezzare e di mancare di rispetto alle donne che non lo gradiscono e non lo portano o che non lo vogliono più portare.
Ogni uomo vale in quanto uomo e non per il suo D-o o interpretazione di D-o.
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Re: Diriti Omàni dei Nativi e de łi Endexeni ouropei

Messaggioda Berto » ven mar 25, 2016 9:23 am

Che i popoli europei prendano nelle loro mani il proprio destino.
22 Mar 2016
Ariel Shimona Edith Besozzi

http://arielshimonaedith.wix.com/ariel# ... 4fab198ad3

Quanti altri attentati dovrà subire l'Europa prima di reagire all'attacco del terrorismo islamico? Sarà capace finalmente di difendersi e di reagire o di nuovo dovremo assistere al teatrino terzomondista e pacivendolo che ha caratterizzato i commenti seguiti agli attentati di Parigi?

È necessario che l'Europa impari la propria fragilità e che faccia di questo una nuova consapevolezza, sulla quale costruire un'identità forte che sappia reagire e contrapporsi a ciò che sta accadendo. Come può farlo? Può farlo a partire da sé, a partire dal riconoscimento delle proprie identità e dal rafforzamento di queste.

Sono appena tornata da un breve viaggio in Veneto e Friuli per la presentazione del mio libro “Sono Sionista” ed ho di nuovo assaporato la forza e l'intensità di una relazione reale con un'identità complessa e concreta, sia in Veneto che in Friuli. La ricchezza e la generosità dei popoli che mi hanno ospitato per le presentazioni, con i quali condivido un legame profondo per la terra e per la storia, mi ha restituito una comprensione ed una compartecipazione profonda per il messaggio del mio libro: il diritto all'autodeterminazione del popolo ebraico. Penso che, per comprendere ed amare Israele, ma forse più esplicitamente per comprendere cose significa dire “Sono Sionista” con gioia e con orgoglio, sia necessario avere elaborato un'identità chiara ed una relazione reale con questa. L'identità è qualcosa che si compone di elementi individuali e collettivi e che può darsi e determinarsi quando, dall'incontro di queste due dimensioni, nasce la comprensione di sé e la scelta etica di fare di questo un elemento di incontro.

Ciò che invece impedisce la comprensione e crea reazioni violente è il fatto di pretendere di avere l'identità “giusta”, quella unica, che prescinde dalla famiglia in cui si nasce, dalla terra in cui si vive, dalla relazione di rispetto con questa, quella che prescinde dall'idea di dover rispettare alcune norme etiche condivise, quella che pretende la conversione o l'assoggettamento o addirittura la morte.

Nel corso della prima presentazione del mio libro sono stata attaccata da una donna ed un uomo islamici perché ho mostrato d'essere “troppo identitaria”, il fatto di rivendicare il diritto del mio popolo a vivere in pace, nella propria terra, entro confini stabili e difendibili mi rende “troppo”. Ma non solo questo, anche il fatto di avere ricordato che l'ebraismo non è soltanto una religione e che la storia ci dice che cristianesimo ed islam hanno fatto “guerre sante” ha portato la donna islamica presente all'incontro a sentirsi offesa ed a pretendere le mie scuse e questo è ciò che determina la sudditanza del mondo occidentale all'islam, l'idea assurda di doverci scusare per avere il coraggio di affermare d'essere altro rispetto all'islam.

Invece quello di cui dobbiamo preoccuparci è che, nel mondo, non solo nel mondo occidentale ma ovunque, l'islam sta muovendo una guerra di conquista attraverso il terrorismo, l'espropriazione della storia attraverso la distorsione degli avvenimenti (un esempio su tutti il bds), ed attraverso l'acquisto delle università ed il conseguente controllo di alcuni docenti ed alcune didattiche. La cosa alla quale occorre fare attenzione è l'interpretazione della vittima da parte degli islamici, attraverso l'utilizzo di menzogne che, se assecondato, legittima il terrorismo. Questo avviene sul piano collettivo ma anche individuale, come ha fatto l'islamica intervenuta alla presentazione del mio libro.

Ciò che noi dobbiamo fare, a mio avviso, è riappropriarci delle nostre identità, rivendicare la nostra storia ed avere il coraggio di sviluppare una relazione forte che esiga la necessità del rispetto dei popoli presenti in europa. Il sostegno ed il riconoscimento delle peculiarità può accrescere una relazione di reciprocità che può determinare una reale accoglienza, quella che non può prescindere dal rispetto reciproco.

Il popolo ebraico ha sviluppato nei secoli della propria storia diasporica la capacità di vivere ovunque senza perdere sé stesso, la propria tradizione, la propria cultura, la propria lingua, sempre nel rispetto della peculiarità dei luoghi e dei popoli.

Il tentativo di uniformare e di prescindere da lingue, culture e tradizioni, definite “locali”, così come è avvenuto in molti paesi europei come l'italia, la germania, il belgio, la francia, la spagna, ha reso le persone deboli, incapaci di riconoscersi e quindi di riconoscere l'altro da sé. Questo ha dato vita a due dinamiche, entrambe devastanti, quella del terzomondismo acritico ed incapace di reagire agli attacchi feroci dell'islam e quella del nazionalismo peggiore che contrappone all'imperialismo islamico basato sulla presunzione di essere migliori ed in quanto tali autorizzati ad eliminare gli altri, la stessa presunzione di appartenere ad una “razza superiore” ad una “nazione migliore”.

Entrambe queste reazioni sono devastanti nella misura in cui perdono di vista il senso di sé, in quanto essere umano, legato ad una famiglia, ad una terra, ad una storia, ad una tradizione, ma umano come umano è l'altro; in questo modo legittimando l'uccisione delle persone, perché nemiche a prescindere o perché non diventano quello che questi neo-nazismi credono esse debbano essere. Ciò che mostra chiaramente il livello di devastazione dell'essere umano, non più capace di sentirsi parte di una società in cui credere e per la quale essere disposto ad impegnarsi, è la quasi totale mancanza di reazioni solidali agli attentati di Bruxelles. Guardando le foto dell'attentato di oggi, e confrontandolo con quelle degli attentati in Israele o con quelle del 11 settembre, ciò che risulta evidente è l'indifferenza, la freddezza, l'individualismo...l'incapacità di reagire, non determinata dalla paura ma dal senso di non essere parte di una comunità, di un popolo dalla mancanza di solidarietà umana.

Il fatto di non essere più in grado di provare empatia per un essere umano che sta morendo dissanguato accanto a te, ma di essere magari impegnato nel provare pietà per chi muore a migliaia di miglia da te, perché ti hanno detto che ciò che accade là è colpa tua, perché sei un occidentale imperialista e quindi ti senti in colpa, rappresenta uno degli elementi della grave malattia di cui l'europa è affetta.

Nella tradizione ebraica esistono gli anticorpi per reagire all'aggressione, per vivere, per rispettare l'altro senza lasciarsi assimilare, senza disperdersi ma lasciandosi arricchire ed arricchendo, come individui e come popoli. Questi anticorpi sono ebraici ma non solo, sono un dono che è dell'umanità e che dall'umanità può essere agito e scelto, senza bisogno di conversione, senza bisogno di rinunciare a sé stessa. Non è possibile prescindere dall'idea di dotarsi di regole condivise per poter convivere, non è possibile prescindere dal fatto che l'islam sta cercando di imporre le proprie regole al mondo e che queste, tra le altre, prevedono la possibilità ed il diritto di uccidere persone inermi, per scegliere di reagire, di combattere. Stiamo assistendo alla distruzione del senso della convivenza e della condivisione e sta accadendo perché la maggior parte della classe dirigente politica europea (e ultimamente anche statunitense) ha deciso e sta decidendo di legittimare il terrorismo islamico, lo sta rafforzando attraverso la diffusione di falsità, come ha fatto ieri la Pini all'incontro dei giovani del pd, senza che a fronte di queste menzogne ci sia una presa di posizione decisa. L'europa e l'occidente devono ripartire dai precetti di Noè!

Non difendere il Sionismo, il diritto all'autodeterminazione del popolo ebraico, non difendere la possibilità di amare la propria terra e di rispettare la vita, anche quando questo significa imbracciare la armi per proteggerla, significa consegnarci nella mani dell'impero islamico, significa scegliere la morte o nella migliore delle ipotesi la schiavitù.

L'islam sta mostrando al mondo questa faccia, poche sono le voci che si levano in opposizione a questo modello terrificante all'interno dello stesso mondo islamico e, quelle poche, vengono perseguitate e criticate, non solo dagli stessi islamici, anche dagli europei e dagli statunitensi che non hanno il coraggio di essere sé stessi, non sanno chi sono e quindi sono in grado soltanto di compiacere il potente di turno.

Se esiste un islam diverso che si mostri, ma che nel mostrarsi non mi chieda di rinunciare a me stessa, alla mia identità perché altrimenti non si tratta di un islam diverso, solo di un islam più furbo!

Io non voglio vivere pensando che la donna velata che incontro al supermercato potrebbe essere una terrorista, ma, perché questo sia, è lei che mi deve dimostrare di non volermi sopraffare, di non volermi assoggettare, di non pretendere che io diventi uguale a lei. E' lei, sono loro, che devono ribellarsi e che devono determinare un diverso corso.

Sono stufa di sentirmi dire che Israele è imperialista perché cerca di sopravvivere in uno stato piccolissimo mentre miliardi di islamici stanno invadendo il mondo e stanno cercando di assoggettarlo attraverso il terrorismo e la ricostruzione menzognera della storia.

“Che i popoli europei assumano nelle loro mani il proprio destino.”

Come disse Sebastiano Venier in occasione della Battaglia di Lepanto “Che si combatta è necessità et non si può far di manco!”.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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