La proposta del Campidoglio: affidare ai nomadi la raccolta differenziataRedazione | 3-Febbraio-2015 | 11:00
http://www.vignaclarablog.it/2015020331 ... ferenziataImpiegare i nomadi nella “raccolta differenziata dei rifiuti e dei materiali in disuso abbandonati in città”. E’ la proposta dell’assessore alle Politiche sociali del Comune di Roma, Francesca Danese, idea nata con lo scopo di favorire l’integrazione. Danese ne ha parlato con l’agenzia di stampa Dire al termine di una visita al centro d’accoglienza di via Visso che ospita 288 rom di cui circa 150 minori, in una struttura senza finestre.
All’Agenzia Dire Danese ha dichiarato che “c’è un problema di riconciliazione con la città” perché “li accusano di essere quelli che vanno rubare”: di fronte a questa situazione “dobbiamo fare un lavoro diverso, ridisegnare le politiche dell’accoglienza, parlare con le persone, vedere quali sono i loro bisogni”.
Danese, sempre a Dire, ha poi aggiunto: “Sto facendo un lavoro che riguarda le loro competenze e abilità: loro sono molto bravi nel recuperare nei quartieri i rifiuti e i materiali in disuso ; sarebbe importante, e questa cosa era già passata in commissione politiche sociali, riuscire a dare la possibilità di fare un lavoro per la comunità e per la città di roma, prendendo questi rifiuti e selezionandoli”.
Così facendo, ha concluso l’assessore, “diamo una possibilità di inserimento lavorativo diverso. In alcune zone si parla di roghi tossici, e allora troviamo un modo per far sì che i rifiuti che loro riescono a raccogliere e differenziare possano far nascere soluzioni che diano la possibilità di trovare anche un lavoro”.
Le dichiarazioni di Francesca Danese hanno subito provocato la reazione di esponenti dell’opposizione, da Marchini al centrodestra, ma anche critiche da parte dello stesso Pd.
“Stiamo decisamente su scherzi a parte”, dice in una nota di Alfio Marchini. “Assurda nonché da irresponsabili” è la proposta dell’assessore per Federico Rocca, Fratelli d’Italia, sostenendo che “ciò che fanno i nomadi è un’attività illegale, nonché un furto, poiché oltre a creare degrado, i rifiuti conferiti in un cassonetto sono di proprietà dell’Ama”.
Non è tenero nemmeno Pietro Di Paolo, capogruppo NCD in Regione Lazio: “L’assessore Danese si improvvisa talent scout e vorrebbe legalizzare il rovistaggio. Non sapremmo in quale altro modo intendere la bizzarra idea di utilizzare i rom per la raccolta differenziata”.
E anche in casa PD la proposta ha suscitato stupore. Lo si legge nelle parole di Stefano Pedica: “Dire che bisogna utilizzare i nomadi per la raccolta differenziata vuol dire non sapere come si gestisce una città basata sul rispetto delle regole. Marino prenda le distanze da queste affermazioni. Mi auguro che ci sia una rettifica da parte del Campidoglio o che le parole dell’assessore siano state solo travisate, perché altrimenti sarebbe il caso di dare le dimissioni”.
http://retedisostegnomercatinirom.over- ... 47957.html DEL 27.04.10
- Come vivono i raccoglitori informali di rifiuti di etnia rom a Roma: attori ed esperienze internazionali a confronto.
(di Matilde Carabellese) (…)
Nella città di Roma, l’attività di recupero informale dei rifiuti è un settore composito che genera reddito a dispetto dell’informalità, e nel quale entrano in gioco molteplici attori a vario titolo. Nei primi anelli della filiera hanno assunto un ruolo di primo piano oltre un migliaio di Rom, per i quali l’attività rappresenta la principale fonte di guadagno e sostentamento familiare.
Vista l’entità del fenomeno, alcune associazioni come Opera Nomadi ed Occhio del Riciclone hanno tentato di valorizzare questa attività. Tuttavia la situazione resta ancora problematica.
L’intento di questa ricerca è di operare una riflessione su come vivono i raccoglitori informali di rifiuti di etnia rom nella città di Roma, attraverso un’indagine di carattere documentale che analizzi gli aspetti, le problematiche e le criticità di questa fascia di persone.
A tal proposito -e al fine di rinvenire spunti utili alla discussione-, si ritiene utile estendere l’ambito d’indagine a livello internazionale, in particolare nei confronti di alcune realtà del Sud del mondo che appaiono più significative. Difatti, in molti Paesi del Sud America, dell’Asia e del continente africano, l’attività di recupero e riutilizzo della spazzatura dei cosiddetti waste pickers è una realtà vibrante che offre un reddito a moltissime persone. La Banca Mondiale ha stimato che circa 15 milioni di persone nel mondo si guadagnano da vivere attraverso il recupero dalla spazzatura dei materiali riutilizzabili e riciclabili[1].
A dispetto dell’informalità, e nel quale entrano in gioco molteplici attori a vario titolo. Nei primi anelli della filiera hanno assunto un ruolo di primo piano oltre un migliaio di Rom, per i quali l’attività rappresenta la principale fonte di guadagno e sostentamento familiare.
Vista l’entità del fenomeno, alcune associazioni come Opera Nomadi ed Occhio del Riciclone hanno tentato di valorizzare questa attività. Tuttavia la situazione resta ancora problematica.
L’intento di questa ricerca è di operare una riflessione su come vivono i raccoglitori informali di rifiuti di etnia rom nella città di Roma, attraverso un’indagine di carattere documentale che analizzi gli aspetti, le problematiche e le criticità di questa fascia di persone.
Occorre rilevare che l’approccio scelto sottende mettere in discussione l’idea che esista un modello universale di sviluppo[2] , applicabile in ogni luogo ed in ogni tempo, indipendentemente dalle condizioni locali.
Tale concezione è consustanziale alle forme della modernità liquida, così come definita da Z. Baumann[3].
Nel caso specifico si mette in dubbio l’esistenza di un modello universale, “moderno” di gestione integrata dei rifiuti, per aprirsi a soluzioni alternative che tengano maggiormente conto del valore e del ruolo del capitale umano.
Il testo è diviso pertanto in due parti. Nella prima parte sarà esaminato il processo di modernizzazione del settore della gestione dei rifiuti urbani: l’obiettivo è di comprendere come si sono situati e come si situano i raccoglitori informali di rifiuti nel sistema. In seguito saranno analizzate le principali tematiche inerenti i waste pickers, incluse le strategie adottate dai governi nei loro confronti. Infine si riporteranno quattro studi di caso in India e in Brasile che dimostrano l’esistenza di modo differenti di gestione i rifiuti e di approccio con i raccoglitori informali.
La seconda parte sarà dedicata all’analisi dello studio di caso. Questa parte della ricerca è stata condotta utilizzando diversi strumenti scelti a seconda dei soggetti presi in esame.
Per quanto riguarda i raccoglitori informali di rifiuti, si è scelto di sottoporre ad un campione di 104 rom un questionario a risposta chiusa.
Per capire il contesto socio-politico, oltre ad offrire una analisi della letteratura scientifica sono stati contattati diversi testimoni privilegiati. E’ stata fatta anche una ricostruzione degli eventi più rilevanti attraverso la lettura di quotidiani e siti web.
Alla fine del testo, sono state inserite i risultati di alcune interviste. Due di esse sono state raccolte via e-mail dagli assessori alle Politiche Sociali del Comune di Roma (Sveva Belviso) e della Provincia (Massimiliano Smeriglio).[4]
Un’’altra è stata fatta ad Aleramo Virgili, responsabile di Opera Nomadi riguardo i mercatini (fatta di persona); l’ultima a Pietro Luppi, direttore del centro di Ricerca di Occhio del Riciclone (effettuata via skype, in quanto Luppi si trova a Città del Messico in questo momento).
CAPITOLO SECONDO
L’ITALIA, ROMA E LA MODERNIZZAZIONE ECOLOGICA APPLICATA AI RIFIUTI.
La ristrutturazione della gestione dei rifiuti solidi urbani in Italia comincia in ritardo rispetto ad altri Paesi.
Il settore è stato a lungo limitato ad un sistema di semplice gestione del ciclo dei rifiuti, vale a dire: pulizia delle strade, raccolta, smaltimento in discarica. Difatti, il primo strumento di legge organico che ha recepito le principali direttive comunitarie, è stato il decreto 22/1997, il c.d. «Decreto Ronchi»che ha stabilito per legge soglie minime di raccolta differenziata e istituito i consorzi di filiera deputati ad avviare la frazione differenziata verso le filiere industriali del riciclo.
Alla base delle direttive europee -e del Decreto Ronchi che le ha recepite- c’è il c.d. «principio delle quattro R»[5]
Andando dal vertice verso la base si passa dalle gestioni ambientalmente più sostenibili a quelle meno sostenibili.
Non è questa la sede per un’analisi approfondita su come avviene in Italia la gestione dei rifiuti solidi urbani; è rilevante invece sottolineare che il modello adottato nel nostro Paese risponde alle caratteristiche esaminate nel capitolo precedente che è stato denominato «modernised mixture».
In linea con questo modello i raccoglitori informali sono stati espulsi dalla gestione dei rifiuti. Ad essi è stato lasciato solo lo svuotamento delle cantine e dei cassonetti stradali, ricchi di merci riusabili ma poveri di frazioni riciclabili da rivendere a peso.
Non sempre è stato così: come ci racconta Guido Viale, nella civilissima Milano fino al 1964 nello scarico di Rottole, ben 500 famiglie di ruée (spazzini) vivevano attraverso il recupero della “prima cernita” di 36 tipologie merceologiche differenti.[6] Nello stesso periodo la discarica di Roma ospitava allevamenti di porci che si nutrivano dello scarto organico; la retribuzione dei guardiani degli animali consisteva nel permesso di rovistare minuziosamente nella montagna indifferenziata di scarti.[7]
A Roma non esistono più questo tipo di esperienze. Tuttavia la città non ha ancora completato la gestione integrata dei rifiuti solidi urbani in tutto il territorio. Secondo l’ultimo rapporto dell’ISPRARoma non esistono più questo tipo di esperienze. Tuttavia la città non ha ancora completato la gestione integrata dei rifiuti solidi urbani in tutto il territorio. Secondo l’ultimo rapporto dell’ISPRA[8] ( Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), nel 2007 ben 1,4 milioni di tonnellate di rifiuti cittadini sono finiti in discarica, circa l’ 83% del totale. Un chiaro segnale che le strategie messe in atto per la Riduzione della produzione di rifiuti - in linea con la gerarchia delle 4R – non raggiungono i risultati attesi. La produzione di rifiuti è cresciuta negli ultimi anni vertiginosamente: nella capitale si producono oltre la metà della produzione laziale (52,5%) di rifiuti, circa 649 chilogrammi per abitante all’anno. Anche il Riciclaggio dei rifiuti, pur essendo aumentato, è ancora fermo al 21%. Una percentuale lontana dagli obiettivi fissati dalla normativa in materia, che impegnava i Comuni a raggiungere il 35% di raccolta differenziata entro il 2009 e prevede che entro il 2012 la percentuale raggiunga addirittura il 65%.
L’unico settore in fortissima crescita è quello dell’usato, legato alla R del Riuso. Difatti dalla ricerca elaborata dal Centro di Ricerca dell’Occhio del Riciclone si evince che il settore dell’usato è un segmento di mercato in crescita, che potrebbe rappresentare una nuova frontiera per affrontare in modo più sostenibile la gestione dei rifiuti.[9]. A dispetto degli impatti positivi, potenziali ed effettivi, sul piano ambientale, occupazionale e sociale, questo settore è prevalentemente informale.[10] Per di più, il suo ruolo è sottovalutato, s’ignorano le sue dimensioni e soprattutto le sue potenzialità. Nonostante sia un settore vitale per la società, è «negletto e delegittimato, perché funziona come marchio di emarginazione per la maggior parte degli operatori che lo tengono in vita, relegandoli nel campo dell’abusivismo se non dell’illegalità».[11]
In questa nicchia, un gran numero di rom (nella grande maggioranza dei casi si tratta di Rom Khorakhanè o di Rom originari della Romania) hanno conquistato una posizione importante, al punto che i raccoglitori di rifiuti rom sono arrivati a controllare il primo anello di una filiera che vede ormai molti attori: dai rigattieri dei mercati delle pulci fino ai rivenditori di oggetti d’epoca e ai negozianti in conto terzi.
I ROM DI ROMA: A CAVALLO TRA LE CREPE DEL SISTEMA E IL LAVORO.
A fronte dell’incompiuta riforma della gestione dei rifiuti capitolina, i rom sono stati in grado di intercettare e sfruttare le crepe del sistema. I motivi di questo fenomeno sono di duplice natura.
Il primo attiene agli aspetti che definiscono i rom come «i signori delle sfasature».[12] Una denominazione che descrive la capacità dei rom di sfruttare i vuoti normativi delle società ospitanti, delle crepe del sistema, cioè delle loro disfunzioni per adattarsi e meglio difendere la propria civiltà. Approfittando, appunto, delle sfasature della società gagè. L’esempio più evidente di questa attitudine è la tendenza ad insediarsi nelle zone di confine, tra Stato e Stato, tra città e campagne, cioè in quegli spazi momentaneamente sfuggiti all’opera dei gagé. Come dimostrato da Piasere, in Europa occidentale i rom tendono ad inserirsi nella sfera della circolazione dei beni: essi «fanno di tutto per occupare quella nicchia che l’imperfezione della legge della domanda e dell’offerta lascia sempre vuota».[13]
Il tema del lavoro è l’altro aspetto che aiuta a comprendere nel dettaglio l’universo dei raccoglitori di rifiuti rom.
La concorrenza con i gagé impone di saper praticare attività molteplici in tempi e luoghi diversi: spettacolo viaggiante e circo; luna park; compravendita di automobili; allevatori e venditori di cavalli; musicanti.
La modernizzazione ha reso inutili molti di questi mestieri, espellendo i rom dalle nicchie in cui si erano insediati. Fino agli anni ’90 esistevano ancora alcune delle attività tradizionali praticate da rom e sinti italiani, come la lavorazione dei metalli, il commercio e la vendita ambulante. Attualmente i rom hanno perso le loro occupazioni “tradizionali”, senza che queste siano state sostituite da altri tipi di lavoro.[14]
È bene comunque ricordare che nell’universo rom il lavoro è una necessità e non un fine: l’uomo deve avere del tempo libero per occuparsi delle questioni sociali (riunioni, visite di famiglia, incontri, ecc) e per mantenere e sviluppare relazioni.[15]
In sintesi le difficoltà strutturali di accesso al mercato del lavoro, combinate con un sistema di gestione dei rifiuti incompiuto, spiegano come e perché molti rom a Roma siano diventati raccoglitori e rivenditori informali di rifiuti.
La filiera del Riuso, cenerentola delle 4R.
Per comprendere in che modo i rom sono riusciti ad entrare in un interstizio della gestione dei rifiuti, è necessario esaminare come questo settore è strutturato. La filiera del riuso, difatti, risponde a logiche ed attori peculiari a cui vale la pena accennare. Riutilizzare un bene, si è detto, è cosa diversa dal riciclarlo.
Secondo il dizionario Treccani “riusare” significa: «Usare, adoperare di nuovo, una seconda o un’ulteriore volta». In altri termini potremmo dire che il riuso è un modo per allungare il ciclo di vita dei beni, riducendo sia l’eventuale consumo di materie per produrne altri sia il flusso che finisce in discarica. I benefici ambientali ed economici del riuso appaiono in modo lampante a chiunque; infatti nella gerarchia delle 4R il riuso segue la riduzione e precede il riciclo. Al di là dei proclami normativi, il riuso è tuttavia spesso assente nei Piani di Gestione dei Rifiuti. Tra le motivazioni di quest’assenza vi è sicuramente la difficoltà di elaborare soluzioni su scala. Il settore economico di riferimento del riuso è quello della vendita di merci usate: un universo variegato nel quale rientrano rigattieri, negozianti in conto terzi, ma anche semplici frugatori di cassonetto.
Fatta eccezione per i negozi in conto terzi, lo zoccolo duro dei re-users è composto da microimprese in gran parte informali e come tali incapaci di organizzarsi e far sentire la loro voce. Nel 1989, l’economista Hernando De Soto dichiarava: «il settore informale è come un elefante: non siamo in grado di definirlo, ma sappiamo riconoscerlo quando lo vediamo».[16] Verosimilmente tale difficoltà di “definizione” giustifica in gran parte la mancata considerazione del Riuso tra le strategie di gestione dei rifiuti.
Nel 2006 uno studio elaborato dal Centro di Ricerca del network Occhio del Riciclone[17] (ODR) ha cercato di colmare questo vuoto di conoscenza. Quell’anno, infatti, grazie a un contributo della Provincia di Roma, ODR presenta il primo studio italiano sulle potenzialità economiche e quantitative di un riuso sistemico nella gestione dei rifiuti, «Il settore dell'usato nella gestione dei rifiuti». Nel 2008 realizza un nuovo report specificamente focalizzato sulle potenzialità del Riuso nella città di Roma, « Impatti occupazionali di un Riuso sistemico nella città di Roma».
Secondo queste ricerche, Roma ospita almeno 2300 microimprese dell’usato fondate sull’approvvigionamento di “rifiuti” o “rifiuti in potenza. Le persone coinvolte in totale sono circa 4000.
Queste sono divisibili in tre macrocategorie distinte in funzione dei beni trattati:
1) Operatori che trattano beni indifferenziati a basso costo (I)
2) Operatori che trattano beni specifici a basso costo (SB)
3) Operatori che trattano beni specifici ad alto costo (SA)
Gli SB e i SA sono monomerce e si distinguono tra loro fondamentalmente per i prezzi offerti al pubblico.
Gli operatori I sono quelli che maggiormente hanno contatto con il flusso dei rifiuti, e sempre più spesso sono la fonte di approvvigionamento per le altre due categorie di operatori, gli SB e gli SA.[18]
Le merci vendute dal Gruppo I sono recuperate attraverso due modalità: sgombero dei locali e cassonetti.
I raccoglitori rom si inseriscono proprio in questo segmento del mercato dell’usato, diventandone nel corso di pochi anni gestori monopolistici. A differenza delle altre microimprese, quelle rom hanno un alto indice occupazionale e impiegano mediamente di 3/4 lavoratori per ciascuna microimpresa (appartenenti solitamente al medesimo nucleo familiare). I rom impiegati nelle 572 imprese si possono quindi valutare in un numero massimo di 2.288.
Il valore economico delle merci presenti nei cassonetti è stato stimato in maniera prudenziale nella ricerche di ODR attraverso le dichiarazioni degli operatori rom[19] Tale offerta ammonta a circa 32.958.770 di euro.
Da questa quota i rom raccolgono l’equivalente di 10 milioni di euro. Considerando che il fatturato annuo degli Operatori del Gruppo I è di 31.686.732, si può affermare che il controllo dei cassonetti equivale al controllo di quasi l’intero settore.
Buone prassi: l’esperienza dei mercatini Rom.
L’Opera Nomadi attraverso le Cooperative Phralipè e Romano Pijats è attiva da molti anni nel cercare di individuare un percorso di regolarizzazione per i raccoglitori informali rom.
In parte quest’obiettivo è stato raggiunto attraverso l’istituzione dei Pijats Romanò[20] (mercatini Rom), nei quali i rom possono commerciare oggetti usati e manufatti artigianali tipici. Nell’intenzione dei promotori i Pijats Romanò non sono solamente un’occasione economica per i rom, ma anche momento di incontro con la cultura romanì. A tal fine sono state promosse all’interno dei mercati attività culturali, come la danza, la musica, la lavorazione dei metalli, ecc.
I mercatini rom hanno attraversato fasi alterne. Sia durante le giunte Veltroni che in quella attuale, il leitmotiv ha riguardato da una parte la carenza di spazi a fronte di una domanda crescente dei rom; dall’altra la normativa di riferimento, che regola le “Manifestazioni di collezionismo amatoriale dell’antiquariato, artigianato e cose usate” è molto restrittiva e farraginosa per quanto riguarda la possibilità di replicare l’iniziativa e partecipare alla stessa.
ha riguardato da una parte la carenza di spazi a fronte di una domanda crescente dei rom; dall’altra la normativa di riferimento, che regola le “Manifestazioni di collezionismo amatoriale dell’antiquariato, artigianato e cose usate” è molto restrittiva e farraginosa per quanto riguarda la possibilità di replicare l’iniziativa e partecipare alla stessa.[21]
I primi mercati Rom autorizzati si ritrovano negli anni ‘90 a Spinaceto (XII Municipio), a Casilino 700 (VII Municipio) e in seguito nel VII Municipio a Piazza San Felice da Cantalice.
La data di nascita ufficiale dei Pijats Romanò è il 2000, anno nel quale è inaugurato il mercatino domenicale di Via di Casal Tidei (V Municipio). Il primo mercato non era specificamente dedicato ai rom: insieme a questi vi erano anche rigattieri italiani e di altre nazionalità.
Gli espositori rom erano circa 300 e provenivano da tutte le comunità della capitale.
L’esperimento, durato circa tre anni, è stato sospeso a causa dell’enorme numero di espositori rom che affluivano anche nei giorni non stabiliti. Da un’altra ottica, quest’affluenza è – all’opposto- indirettamente indicativa dell’importanza dell’attività attuale dei rom nella linea dei rifiuti e di quella, ben più rilevante, che potrebbero avere in prospettiva se valorizzata adeguatamente .
Per risolvere il problema nato a Casal Tidei, si preferì il passaggio da un’esperienza unitaria (con tutti i rom di Roma) a una riproposizione dei mercatini a livello dei singoli municipi: ossia i rom potevano esporre solo nel municipio di appartenenza.
Adottando questa modalità la cooperativa Pijats Romanò arrivò a gestire cinque mercatini tutti nella periferia romana: Prima Valle, Collatino, Tor Bella Monaca, Laurentina, ponte Marconi.
“I problemi sono arrivati con la ristrutturazione di Porta Portese (ndr 2007) in cui molti rigattieri rom ed italiani e molte altre nazionalità sono stati espulsi. Ciò ha creato molti problemi nella gestione degli altri mercatini autorizzati. Infatti, si sono riversati in questi gli espositori cacciati da Porta Portese”, dichiara Aleramo Virgili, responsabile del settore di Opera Nomadi.
L’episodio a cui fa riferimento Virgili è il blitz operato dalle Forze di Polizia Municipale nella notte tra il 23 e il 24 settembre 2007. Concepito per bloccare i ricettatori di oggetti rubati e i commercianti abusivi che assediavano la zona, portò l'allontanamento dal mercato domenicale di Porta Portese di quasi 700 rigattieri che frequentavano il mercato da oltre trent’anni, i quali furono sanzionati con multe fino a 5mila euro perché privi delle necessarie autorizzazioni comunali. La conseguenza indiretta dell’espulsione di un centinaio di rom fu il riversamento di questi ultimi negli altri mercatini rom nelle settimane successive. Tale avvenimento, contestualmente ad un clima di “allarme sicurezza” e al rinnovo della giunta municipale, provocò la sospensione delle autorizzazione nei restanti Municipi.
“La conseguenza è stata una riedizione di vecchi fenomeni di abusivismo, di occupazione arbitraria di spazi e di compravendita di postazioni. Oltre allo sfruttamento degli espositori più indifesi che erano taglieggiati e sottoposti a qualsiasi tipo di sfruttamento”.
Dopo le elezioni comunali, l’esperienza dei mercatini rom è stata replicata in Via Longoni (VII Municipio), in via della Vasca Navale (XI municipio) e in via Ennio Flaiano (IV Municipio) .
Anche in questi casi l’istituzione dei mercati non è stata pacifica. Nel luglio 2009, infatti, il Presidente dell’VII Municipio, Mastrantonio, minacciò di chiudere il mercato a seguito dell’aggressione a danno di cinque vigili urbani da parte di alcuni espositori abusivi. Intervistato dal quotidiano la Repubblica, il mini sindaco dichiarò: “Alemanno deve rendere operativo il patto firmato con la comunità rom di Roma che prevede mercati rionali autorizzati. Se le mie richieste continuano a non essere ascoltate, non mi resta che chiudere il mercato (…)
Malgrado le numerose lettere di richiesta di aiuto inviate al sindaco Alemanno e al comandante della polizia municipale, Angelo Giuliani e quelle inviate ai presidenti dei municipi coinvolti in cui chiedevo l' apertura di un tavolo interistituzionale per attivare anche in quei territori dei mercatini regolari sul modello di quelli organizzati in via Longoni, non ho ricevuto alcuna risposta”.
Alemanno deve rendere operativo il patto firmato con la comunità rom di Roma che prevede mercati rionali autorizzati. Se le mie richieste continuano a non essere ascoltate, non mi resta che chiudere il mercato (...)
Il risultato di queste vicende è che la maggior parte dei rigattieri rom di Roma è in questo momento priva di un mercato ufficiale di riferimento a causa della mancata concessine del suolo pubblico.
Tuttavia, l’attività di vendita di merci usate è, a dispetto di tutto, una fonte di reddito importante per moltissime famiglie. Ragion per cui moltissimi rom la praticano tuttora in modo abusivo.
I Rom :“cittadinanze imperfette”. ???
Nei confronti dei rom, alle problematiche tipicamente connesse ai waste pickers in gran parte del mondo si associano ulteriori difficoltà, in quanto «in ragione delle loro vicissitudini e del loro perpetuo sradicamento, i rom costituiscono una minoranza sfavorita e vulnerabile che ha un carattere particolare».[22]
Per una corretta comprensione della tematica è necessario inquadrare primariamente le condizioni peculiari dei rom nella capitale. Peraltro non è questa la sede per approfondire, in generale, le politiche approntate dal Comune di Roma nei confronti dei cittadini rom.
Pertanto verranno analizzati solo gli aspetti ritenuti rilevanti ai fini della trattazione.
Le popolazioni rom sono una «galassia di minoranze»: non possiedono una stessa storia, né tanto meno condividono una cultura omogenea o un'unica religione.[23] Non sono neanche definibili come una minoranza “territoriale”, sono piuttosto una “minoranza diffusa”, dispersa e transnazionale.[24]62
Questo particolare status ha effetti diretti sulla scala pertinente dell’azione pubblica. Poiché i rom non sono stati inclusi nella legge di protezione delle minoranze linguistiche e culturali, (nonostante la loro presenza storica su tutto il territorio nazionale) gli interventi a loro diretti vengono ancora delegati alle amministrazioni locali: regioni, province e comuni. Alcuni tentativi di procedere nella direzione di una politica nazionale di riconoscimento dei rom e dei sinti come minoranze nazionali sono stati intrapresi nel 2007 dal Ministro Amato e hanno portato all'inizio del 2008 ad una Conferenza nazionale promossa dal Ministero della Solidarietà e dal Ministero dell'Interno.
La caduta del secondo governo Prodi ha interrotto il processo. Contemporaneamente si è assistito al montare di un clima politico e mediatico sempre più ostile ai rom, dimostrato, ad esempio, dall’uso persistente della categoria “nomadi” e dal binomio rom / (in) sicurezza .
In linea con questo trend nella primavera del 2008 il successivo governo Berlusconi, nominò i prefetti delle tre maggiori città italiane (Milano, Napoli e Roma) quali "Commissari regionali per l'emergenza nomadi", motivando l'istituzione dei "commissari governativi straordinari" con una situazione di allarme sociale derivante "dalla presenza di campi nomadi irregolari" e dal conseguente "rischio per l'ordine pubblico interno".
Quindi fino al 2008 non esisteva a livello nazionale alcuna politica esplicita riguardo i rom.
Roma caput mondi? Non per i rom…
Dall’inizio degli anni ’90 vi sono stati due ondate migratorie di cittadini rom verso l’Italia ed in particolare nella città di Roma. La prima è avvenuta in concomitanza al crollo dei regimi comunisti nei paesi dell'Est Europa e agli eventi bellici nella ex–Jugoslavia. La seconda in seguito all’ingresso della Romania nell’Unione Europea.
In conseguenza di ciò vi è stata una proliferazione spontanea di accampamenti non autorizzati.[25]
Dal 1996 sono stati spesi annualmente circa 13 milioni di euro dal Comune di Roma per migliorare le condizioni lavorative ed abitative dei rom.[26].Ciononostante, come dimostrato dalla studiosa Isabella Clough Marinaro, il governo della città non è riuscito ad affrontare il problema del crescente numero di baraccopoli e delle seguenti manifestazioni di ostilità nei loro confronti.
Gli strumenti e le pratiche messe in atto nei confronti dei rom negli ultimi tredici anni mostrano una escalation di misure in senso repressivo. [27]
Nell’ordinanza n.80 del 23 gennaio 1996 del sindaco Francesco Rutelli, l’amministrazione aveva stabilito un numero chiuso per le presenze nei campi. I requisiti fissati erano il possesso dei documenti, oltre che il possesso di un regolare permesso di soggiorno, e l’obbligo di inviare i figli a scuola.
Rutelli, secondo la ricostruzione della Clough Marinaro, è stato il primo ad aver introdotto strumenti e pratiche verso i rom di un certo tipo: la raccolta dei dati personali su base etnica, la definizione della collettività Rom come 'emergenza nomadi', l'alternativa tra vivere in campi autorizzati o essere esposti a deportazioni di massa.
Il suo successore, Walter Veltroni, anche in seguito alla seconda ondata di rom dalla Romania, intensificò la declinazione in chiave di “sicurezza” delle politiche verso i rom. Nel 2007 d’intesa con il Ministro degli Interni, i Presidenti di Provincia e Regione, il Prefetto e il Comune decisero di costruire quattro grandi insediamenti per 4000 rom nella periferia di Roma, al di fuori del grande raccordo anulare.
Il nome, eufemistico, scelto per questi insediamenti fu “villaggi della solidarietà”.
Il primo di questi villaggi fu realizzato a Castel Romano, a 30 Km dal centro della città, lungo una strada a scorrimento veloce, la Pontina, in una zona isolata dal centro abitato e priva di servizi di base. Il villaggio di Castel Romano incarna diverse caratteristiche del campo inteso come spazio di controllo biopolitico: la sorveglianza della polizia, l'isolamento dal resto della società come una forma di gestione del rischio, la limitazione della libertà di residenti di organizzare il proprio spazio e movimento.[28]
A distanza di tredici anni, e con una giunta di orientamento politico differente dalle precedenti, le politiche per i rom non si discostano nella sostanza dai provvedimenti anteriori.
Il nuovo “Piano nomadi” è stato lanciato il 31 luglio 2009 dal Comune di Roma e dal Prefetto. Esso prevede il trasferimento di 6000 rom67 in 13 campi definiti (guarda caso) “villaggi”. [29]
I sette campi “autorizzati” esistenti saranno mantenuti o ampliati, mentre tre campi “tollerati” verranno ristrutturati. Saranno costruiti due nuovi campi e una “struttura di transito.” L’ubicazione prevista per le nuove strutture è quella della figura 4.
All'interno dei campi, inoltre, saranno aperti "presìdi di vigilanza e socio-educativi".
Si legge nel “regolamento per la gestione dei villaggi attrezzati: “Tra i criteri per l’ammissione nei campi è prevista, oltre alla regolarità dei documenti di soggiorno, la sottoscrizione di un atto d’impegno al rispetto elle norme di comportamento interno da parte del componente maggiorenne della famiglia. La regolare frequenza della scuola dell’obbligo da parte dei minori e l’occupazione lavorativa dei uno o più membri del nucleo familiare sono criteri di preferenza per il rilascio dell’autorizzazione”.
Secondo l’agenzia di Stampa Adnkronos, 3 milioni di euro per le vigilanza privata sono stati spesi in poco più di un anno, mentre le risorse per progetti di mediazione culturali sono state tagliate del 20 per cento
L’elemento di “innovazione” del nuovo corso è un’ulteriore caratterizzazione dei campi come luoghi di “eccezione”: spazi in cui lo stato di diritto è sospeso e gli abitanti sono spogliati dei diritti di cui godono coloro che sono all'esterno. Tale peggioramento è testimoniato dall’introduzione di nuove regole, quali il controllo 24 h su 24 delle guardie di polizia sul perimetro e all'interno dei campi, il permesso di entrare solo per i residenti autorizzati che mostrano una speciale carta di identità, l’ obbligo di registrare in un apposito registro tutti i movimenti dentro e fuori dai campi, il divieto di ospitare persone dopo le dieci di sera.
La prima fase attuativa del Piano è iniziata agli inizi del 2010 con lo smantellamento del più grande campo rom d’Europa, Casilino 900. “Una giornata storica” dichiarò il Sindaco, una “risposta sbagliata” secondo altri.
Clamorosa in tal senso fu la reazione della Comunità di S.Egidio, che uscì dal Tavolo Rom costituito dal Comune (nota: al Tavolo partecipano solo associazioni cattoliche) : "Temiamo che quello che sta accadendo in queste ore – è il commento dell’associazione -diventi un triste gioco dell'oca ai danni dei Rom: per dare condizioni di vita degne ad alcuni, si rende la vita impossibile ad altri. L'assoluta non considerazione per lungo tempo di una serie di proposte sul Piano nomadi fatte dalla Comunità è frutto di un'esperienza di più di trenta anni a fianco dei rom della capitale, fa mancare i presupposti di un dialogo con il commissario straordinario per l'emergenza nomadi, prefetto Giuseppe Pecoraro, e il Comune di Roma che ne è il soggetto attuatore".[30]
Anche l’associazione Amnesty International nel report pubblicato sul Piano Nomadi punta il dito specialmente sul mancato coinvolgimento dei rom negli sgomberi e nella nuova sistemazione: “Le autorità hanno interpellato soltanto alcuni rappresentanti, quando il diritto internazionale impone che tutte le persone coinvolte siano informate di quello che sta per succedere"[31].
Al di là delle singole opinioni, un dato è certo: l’Italia e la sua capitale si confermano il “Paese dei Campi”.
Quale che sia l’etichetta col quale nominare questi spazi, è certo che assistiamo ad un trattamento differenziale dei rom e dei sinti rispetto agli altri cittadini.
La forma campo, finisce per essere una misura tipologia di contenimento dell’eccedenza umana.
Come affermò Immanuel Kant “L’ uomo del non luogo è un criminale in potenza”.
Localizzazione degli insediamenti secondo il Nuovo Piano Nomadi. i secondo il Nuovo Piano Nomadi.
Figura 4.
Fonte :
http://parking900.blogspot.com/2010/02/ ... omadi.htmlseita