Fascisti, nazisti, comunisti, maomettisti e zingari

Re: Fascisti, nazisti, comunisti, maomettisti e zingari

Messaggioda Berto » sab set 08, 2018 6:37 am

Casa d'intolleranza
Marcello Veneziani
MV, Il Tempo 7 settembre 2018

http://www.marcelloveneziani.com/artico ... tolleranza

La sinistra è oggi la principale casa d’intolleranza funzionante a pieno regime. Benché sconfitta nelle urne e minoritaria nel Paese, esercita la sua intolleranza sui vivi e sui morti, sugli eletti e sui non allineati al politically correct, usa il passato come un’arma per colpire il presente, pone veti e divieti, minaccia chi esprime opinioni difformi presentandole come reati, grazie a leggi ad hoc che risalgono ai suoi governi. Si serve delle truppe d’assalto dei media e delle forze corazzate dei magistrati per mettere sotto scacco e fuori legge i suoi nemici. È una casa d’intolleranza che istiga alla prostituzione ideologica.

La riflessione mi è maturata ieri in seguito a un piccolo ma ennesimo episodio significativo. Mi hanno telefonato dalla Rai per chiedermi di partecipare a un programma sulla destra, l’estremismo e l’intolleranza. Occhio al tema, già dice tutto. Volevano che io facessi il salame di destra in un sandwich di sinistra, avendo un tema che già da sé suggerisce la soluzione. Si parla di destra e l’associazione di idee diventa associazione a delinquere. Eppure la destra è politicamente maggioranza nel paese, la destra è storicamente senso dello Stato e della Nazione, la destra è culturalmente tradizione e civiltà, ordine e sicurezza. Poi può essere cento altre cose, belle, brutte, accettabili, pessime. Ma per loro invece la destra è quella, estremismo e intolleranza. Punto. A parti rovesciate io non avrei mai pensato di invitare un pensatore di sinistra a un programma dedicato al tema sinistra, estremismo e intolleranza, perché so bene che non si possono ridurre le categorie politiche a stereotipi negativi e assoluti; bisogna distinguere, capire, paragonare. Ma quando ti trovi per una vita invitato a parlare di destra dopo un episodio di violenza, in relazione al razzismo e all’intolleranza, a proposito di estremisti o da stadio, allora anche tu, che ritenevi di essere mite e civile, dialogante e rispettoso, ti togli gli occhiali e cominci a mandarli ferocemente a farsi fottere.

Ma basta con questi processi sommari. Suonatevela e cantatevela tra voi, nella vostra setta. Basta a considerare chi non la pensa come voi come un delinquente. Perché a questo punto delinquenti siete voi che usate la legge e l’illegalità a intermittenza, quando vi serve l’una o vi serve l’altra; che usate la democrazia quando vi fa comodo, salvo negarla quando vi dà torto a suon di voti; che usate la storia per stabilire una linea di demarcazione tra la razza dei giusti (la vostra) e la razza dei criminali (la destra). Voi che riducete i vostri avversari a criminali. Per voi è democratico Macron che ha gli indici di consenso più bassi nella storia della repubblica francese, e non è democratico Orban che ha accresciuto ancora i suoi consensi popolari alle ultime votazioni.

So già l’obiezione: non è vero, noi stimiamo quelli di destra per bene. Quali sono i criteri per definire uno di destra “per bene”? E’ uno che vive con senso di vergogna o di colpa l’essere di destra, lo dice chiedendo indulgenza come se avesse un handicap; uno che è perdente nel confronto con la sinistra o uno di destra che è contro la destra vigente. Allora per voi è uno per bene. Vi faccio un esempio. Da giorni leggo elogi funebri per il conservatore McCain. Era perfetto per loro. Aveva perso contro la sinistra di Obama, era nemico della destra vincente di Trump. Ed è morto. L’uomo di destra ideale per loro.

Basta, non voglio più partecipare ai vostri dibbbattiti, non voglio fare la foglia di fico alle vostre porcate. Da anni fingete che non esistono idee di destre, autori di destra, libri di destra – e uso la parola destra solo per semplificare, so che spesso non è quella giusta – e viceversa vi occupate di destra solo se si parla di leggi razziali, busti del duce, intolleranza, estremismo, via i negri e gli zingari, ecc. E allora io non vengo a farvi da alibi e da conferma che il tema della destra è questo. Quando imparerete a capire che la destra non è solo paura dello straniero e ostilità verso il clandestino ma è amor patrio e rispetto per la civiltà, senso dello Stato e della Nazione, difesa della lingua e dell’educazione, senso del diritto unito a senso del dovere, ordine e libertà, sicurezza e responsabilità; e quando capirete che a destra c’è chi pensa, chi scrive e non mena mazzate alla cieca o fa rutti e scoregge, allora potremo riprendere a parlare. Quando nei festival di filosofia, di pensiero e di politica riterrete utile confrontarvi, allora io verrò. Per i fatti di cronaca nera o giudiziaria chiamate al mio posto il maresciallo o uno spacciatore.

Riprenderemo a parlarci quando chiuderete le vostre case d’intolleranza.
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Re: Fascisti, nazisti, comunisti, maomettisti e zingari

Messaggioda Berto » mer set 12, 2018 2:14 am

Vienna, Austria divisa sul monumento per la vittoria sui musulmani
Alessandra Benignetti - Lun, 10/09/2018

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/vie ... 74202.html


Scontri tra estremisti di destra e di sinistra a Vienna per l'anniversario della battaglia in cui l'esercito cristiano bloccò l'invasione turca. Austria divisa sul monumento che celebra la vittoria sui musulmani

Può un evento accaduto più di tre secoli fa continuare ad infiammare gli animi di un intero Paese? La risposta è sì.

In Austria, come ogni 12 settembre, si ricorda l’anniversario della battaglia di Vienna del 1683. Nell’allora capitale dell’impero asburgico l’esercito cristiano guidato dal re polacco Jan Sobieski, riuscì a bloccare l’avanzata dei musulmani, cambiando la storia del continente europeo.

Qualche giorno fa, come riporta La Stampa, proprio sull’altura dalla quale partì l’attacco finale contro l’esercito ottomano, il Leopoldsberg, ad affrontarsi a sassate sono stati attivisti di estrema destra ed estrema sinistra. Per contenere la rabbia dei due schieramenti è stato necessario l'intervento di un cordone della polizia austriaca. L’oggetto del contendere è una proposta della componente più radicale del governo austriaco, l’Fpö, che da cinque anni chiede di erigere sul Leopoldsberg un monumento che celebri l’impresa che il re polacco e il predicatore cappuccino Marco D’Aviano, portarono a compimento con la benedizione di Papa Innocenzo XI.

A supportare la proposta c’è anche il sindaco di Cracovia. I polacchi hanno già presentato un bozzetto della statua equestre, ma sulla collina con vista su Vienna da anni c’è solo un piedistallo. I socialdemocratici dell’Spö, storicamente al governo della capitale austriaca, infatti, tergiversano. Il progetto presentato da Cracovia è stato bocciato. Il soggetto, re Sobieski che cavalca trionfante sui corpi dilaniati dei guerrieri musulmani, non è politicamente corretto, considerando pure che i rapporti tra Ankara e Vienna hanno conosciuto momenti migliori di quello presente. Dal comune, insomma, prendono tempo e al posto della statua della discordia sul Leopoldsberg viene esposta una targa commemorativa. La stele, però, ha avuto vita breve. Qualcuno, infatti, l'ha subito imbrattata con la scritta “No ai nazi”, impressa con una bomboletta spray. Così, a distanza di più di trecento anni, la battaglia prosegue.


Alberto Pento
Fu una grande vittoria come quelle di Lepanto del 7 ottobre 1571 e la battaglia di Poitiers o battaglia di Tours combattuta l'11 ottobre del 732.
Furono battaglie contro l'invasione criminale dei nazi maometani e la loro mostruosa e disumana incivilltà.
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Re: Fascisti, nazisti, comunisti, maomettisti e zingari

Messaggioda Berto » mer set 19, 2018 8:08 pm

Il comunista Lula


???

https://www.facebook.com/permalink.php? ... __tn__=K-R

“Faccio appello al popolo e al governo italiano per la sua solidarietà e appoggio ai popoli di fronte alla grave situazione che vive il popolo del Brasile. Chiedo di pronunciarvi per la difesa dei diritti del popolo a vivere in democrazia. Il Brasile ha subito un colpo di Stato istituzionale che ha deposto senza alcuna ragione la Presidente Dilma Rousseff per procedere poi alla detenzione dell’ex Presidente Luiz Inácio Lula da Silva e impedirne la sua candidatura alle elezioni presidenziali. Sono riuscito a vedere Lula in prigione, dove è mantenuto isolato e senza alcun contatto con il popolo del Brasile. Lula è un prigioniero politico, questo è quanto ho manifestato pubblicamente il 13 agosto scorso alla riunione con la Presidente del Superior Tribunal Federal, dott.ssa Carmen Lucia, esortandola a considerare l’incostituzionalità di mantenere in prigione un leader che non ha commesso alcun delitto. Invece Lula è stato condannato a 12 anni di carcere sotto l’accusa di “fatti indeterminati”, senza sia stata trovata alcuna prova del delitto di cui è accusato. Molte altre voci si sono pronunciate in questo senso, personalità, legislatori e giuristi lo affermano: è in prigione per aver lottato contro la povertà e la fame, per aver sottratto dalla miseria 36 milioni di brasiliani e brasiliane, per aver restituito loro la dignità come persone, insieme alla capacità di educarsi, di essere persone degne, di avere casa e lavoro. Lula è un innocente in carcere e l’obiettivo è quello di impedirgli di essere candidato presidenziale. Le elezioni in Brasile senza Lula sono una frode, ed è ciò che cercano di portare a termine coloro che, con la complicità di giudici e legislatori, vogliono imporre politiche di austerità, capitalizzazione e privatizzazione a spese della vita del popolo; cercano di ricolonizzare il paese e oggi i fatti lo confermano con l’incremento della povertà, della fame e della repressione che soffre il popolo del Brasile. Venerdì 17 agosto le Nazioni Unite hanno esortato il governo brasiliano a concedergli il diritto di candidarsi alle elezioni e di avere libero accesso ai mezzi di comunicazione. Nella libertà e la candidatura di Lula sono in gioco non solo il ritorno alla democrazia e alla giustizia in Brasile, ma anche il valore delle sue politiche di governo per strappare milioni di persone dalla povertà e avere cura del prossimo, così come le sue politiche per unire i popoli fratelli con organizzazioni come la UNASUR e la CELAC che sono riuscite a proclamare l’America Latina una “Zona di Pace”. Lula è un grande costruttore di pace nel mondo e così il mondo lo riconosce. Proprio per questo, insieme a Rigoberta Menchu Tum, anche lei Premio Nobel, lo postuliamo al Premio Nobel per la Pace. Vi ringrazio tutto quanto possiate fare per il bene del popolo del Brasile e per la libertà di Lula: è un atto di Verità e Giustizia. Ricevete un forte abbraccio e i migliori auguri di forza e speranza.”

Adolfo Pérez Esquivel Premio Nobel per la Pace 1980

Buenos Aires, 8 settembre 2018






Il comunista Lula, il falso “messia” dei poveri – Il fumo di Satana
di Andrea Zambrano
08-04-2018

https://anticattocomunismo.wordpress.co ... dei-poveri

L’arresto “orwelliano” dell’ex presidente brasiliano: era corrotto come gli altri. Ma tra i manifestanti che lo hanno definito perseguitato politico, c’era anche la Chiesa, che gli ha celebrato una messa-comizio. Ecco i frutti della teologia della liberazione, che ha utilizzato Vangelo e lotta di classe per servirsi dei tanti poveri del Paese.


C’è davvero tanto del cliché brasilero nel surreale arresto-non arresto dell’ex presidente Luis Ignacio Lula da Silva. Deve scontare 12 anni di carcere per corruzione dopo la condanna inflittagli dal tribunale verdeoro, ma le vicissitudini del suo arresto, il secondo in carriera dopo quello degli anni ’70 al tempo della dittatura, hanno assunto i connotati di una vera e propria soap opera: lui che si barrica nella sede del sindacato del partido de los trabalhadores, gli scontri di piazza, l’atteggiamento mistico da Mosè portato in trionfo e persino una messa che ha ritardato la consegna in carcere e infine la decisione di andare in prigione, ma dopo la partita del Palmeiras.

Un’attenzione da messia quella tributata al simbolo del pauperismo marxista che dalla lotta di classe arrivò a governare uno dei Paesi più corrotti del pianeta. E per certi versi anche una nemesi dato che le accuse per le quali Lula è stato condannato, aver ricevuto favori personali dal colosso petrolifero nazionale Petrobras, rappresentano il simbolo della corruzione che i governi di Lula prima e Roussef poi avrebbero dovuto debellare. Invece anche lui è caduto su un appartamento, si è fatto un lussuoso triplex con i soldi di tangenti PT, mentre nelle città brasiliane, dietro i lussuosi attici crescono come mangrovie le baracche delle favelas.

Invece a cadere sotto i colpi della giustizia è stato proprio lui, il puro Lula, l’amico dei poveri, il campione della trasparenza osannato dalle sinistre radical per un buon decennio come salvatore della patria, come pacificatore di una terra dove la povertà non accenna a diminuire.

C’è molto anche di orwelliano. Come nella Fattoria degli animali dove tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri, anche Lula in fondo non ha rinunciato ai privilegi di una politica che in Brasile è corrotta per natura. Solo che la polarizzazione ideologica impedisce di vederlo e mostra invece Lula come un perseguitato.

Una folla infatti gli ha impedito di andare a consegnarsi alla polizia per scontare la condanna a 12 anni e un mese per corruzione e riciclaggio di denaro. I sostenitori dell’ex leader sindacalista hanno circondato la sua auto e bloccato il cancello, costringendo il 72enne a rientrare nella sede del sindacato dei metalmeccanici. Lula aveva promesso durante un comizio improvvisato nel pomeriggio che si sarebbe consegnato alle forze dell’ordine dopo aver disatteso la richiesta del tribunale di presentarsi alla polizia federale a Curitiba venerdì.

«Sono innocente, ma rispetterò il mandato d’arresto», aveva detto nella spianata di São Bernardo do Campo. Lacrime, incitamenti, cori, come si conviene ai tanti improvvisati Simon Bolivar sudamericani.

Non poteva mancare la Chiesa brasiliana a sostenere il suo presidente. La pantomima dell’arresto infatti ha visto anche un capitolo decisivo con la messa celebrata in suffragio della moglie dell’ex presidente, il quale ha anteposto la messa alla consegna in carcere, forzando così la legge che lo attendeva in prigione per il giorno prima. E la messa si è trasformata così in un comizio politico di dubbio gusto che ha fatto arricciare il naso a molti.

Con la complicità di un vescovo amico dell’ex sindacalista diventato presidente, dom Angélico Sandalo Bernardino, vescovo emerito di Blumenau. La messa di suffragio è diventata così l’occasione per rivendicare il suo carisma sul popolo, in una ostentazione pacchiana e sacrilega di protagonismo politico nella quale alle preghiere per la vedova di Lula si sono sostituite le canzoni: da quelle della lotta politica della sinistra brasiliana come Elis Regina al nazionalpopolare di Zeca Pagodinho. Insomma: una cerimonia orizzontale, tutta incentrata sull’uomo Lula, ma che non deve sorprendere visto il grande ascendente che l’ex presidente ha avuto e continua ad avere oggi presso gran parte della Chiesa brasiliana.

Una Chiesa, come abbiamo visto nei giorni scorsi, al completo sbando sul piano morale, finanziario, liturgico e che continua a cedere fedeli alle sette pentecostali sotto i colpi di scandali economici e malagestio di fondi ecclesiastici, ma che vede ancora in Lula un simbolo.

Lo stesso simbolo di affrancatura dei poveri che in chiave marxista sono cresciuti nel verbo del mitico presidente, osannato persino dai missionari che a frotte l’Europa cattolica inviava nel Nord Est povero brasiliano.

Non deve stupire la messa, ma non deve stupire neppure il fatto che con l’imprigionamento di Lula va in carcere anche una fetta della Chiesa brasiliana che ha sempre difeso Lula e che non ha esitato anche ieri a definirlo un perseguitato politico. C’è chi nei giorni scorsi ha voluto vedere a tutti i costi l’immagine di Lula nella raffigurazione del foglietto di Pasqua dove Nicodemo si accingeva a portare Gesù al sepolcro. L’autore dell’immagine ha poi smentito, anche perché era stata disegnata due anni fa, ma effettivamente la somiglianza con il capo marxista ora in carcere è davvero impressionante.

Così come non deve stupire l’aver attribuito parole di stima e di sostegno a Lula da parte di Papa Francesco, parole poi smentite dalla Santa Sede, ma che in molti sono sembrate coerenti con la situazione attuale del Brasile.

In fondo, con Lula mostra il suo volto privo di qualunque afflato cattolico anche la Chiesa movimentista brasiliana, che con Lula ha sempre intessuto rapporti privilegiati.

Una Chiesa che in molti casi ha perso di vista il Gesù risorto per rifugiarsi dietro ai cliché del pauperismo marxisteggiante, dove la lotta di classe ha sostituito l’evangelizzazione, dove Gesù non è altro che un rivoluzionario e non il salvatore e dove ogni tipo di verticalità è stata sacrificata sull’altare della teologia della liberazione in cui la povertà non era altro che uno strumento di lotta.

Ora quei “piani pastorali” così ambigui e deleteri per un popolo ancora affamato al quale è stato portato un Cristo in forma di guerrigliero, dopo essere saliti sugli altari, stanno accompagnando dietro le sbarre l’uomo che più di Gesù è stato seguito come un messia per tutti questi anni.
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Re: Fascisti, nazisti, comunisti, maomettisti e zingari

Messaggioda Berto » gio ott 18, 2018 7:17 pm

Botte a chi sostiene Trump
Roberto Vivaldelli


http://www.occhidellaguerra.it/usa-la-s ... v8sZnZkmDg


Negli Stati Uniti si aggira uno spettro inquietante: è quello della “guerra civile”. Esagerazione? A giudicare dagli innumerevoli episodi di violenza e disordine di cui si è resa protagonista la sinistra americana negli ultimi mesi, pare purtroppo di no.

A New York, violenti scontri si sono registrati nei giorni scorsi dopo un comizio di Gavin McInnes, il fondatore del gruppo di soli uomini di estrema destra, i Proud Boys, che si definiscono “sciovinisti occidentali”. Tish James, noto avvocato di New York, ha chiesto ulteriori arresti in relazione ai tafferugli e ha incoraggiato il procuratore distrettuale di Cy Vance a perseguire i reati di odio.

“Sono turbato e disgustato dai video che ho visto dei membri del gruppo neofascista bianco, i Proud Boys, che alimenta la violenza di massa per le strade di New York”, ha commentato James in una dichiarazione pubblicata su Twitter. “New York non diventerà la prossima Charlottesville”. Il giorno prima, la sede del partito repubblicano all’Upper East Side Club era stata presa di mira dagli antagonisti, che hanno lasciato un messaggio sulla porta che non lascia spazio a dubbi: “Il nostro attacco è solo un inizio. Non siamo civili e non ci scuseremo”.

Un clima rovente

Se si parla di incitamento all’odio, l’intolleranza della sinistra liberal Usa non è seconda a nessuno. Basti ricordare: il terrorista e sostenitore di Bernie Sanders che tentò di massacrare alcuni repubblicani durante una partita di baseball nel giugno 2017; il senatore Rand Paul aggredito da un vicino di casa per “motivazioni politiche”; la deputata democratica Maxine Waters, che invitò i suoi sostenitori a minacciare i supporter di Trump; il senatore Ted Cruz, costretto a lasciare il ristorante con le proprie famiglia perché insultato da un gruppo di estrema sinistra.

Altro caso emblematico quello della portavoce della Casa Bianca Sarah Sanders, cacciata da un ristorante di Lexington, in Virginia, perché “colpevole” di lavorare per Donald Trump. “La scorsa notte – scrisse su Twitter – mi è stato detto dalla proprietaria di un Red Hen a Lexington, in Virginia, di andare via perché lavoro per Trump e io l’ho cortesemente lasciato”. Prima era toccato al consigliere politico Stephen Miller, definito da un cliente “fascista” in un ristorante messicano della capitale: poi è stata la volta della segretaria alla Sicurezza nazionale statunitense Kirstjen Nielsen, costretta a fuggire da un locale a Washington per via di una dura contestazione.

Le parole (irresponsabili) di Hillary Clinton

A gettare ulteriore benzina sul fuoco dell’intolleranza liberal ci ha pensato Hillary Clinton, sconfitta proprio da Donald Trump nell’ultima tornata elettorale. L’ex Segretario di Stato non ha mai accettato quella clamorosa e bruciante sconfitta: e dopo aver dato la colpa alla Russia e alle fake news, ha pensato bene di dichiarare, in una recente intervista rilasciata alla Cnn che “non puoi essere civile con un partito politico che vuole distruggere ciò che rappresenti, ciò che ti interessa”.

Il comitato nazionale repubblicano ha replicato con un durissimo video-annuncio giovedì, etichettando accuratamente la sinistra come “una folla sconvolta” che sostiene l’inciviltà e persino la violenza. C’è proprio da pensare che abbia ragiona William Smith quando sostiene che “queste battaglie sono così preoccupanti perché sono esistenziali, non semplicemente politiche”.

La sinistra Usa non ha mai accettato la sconfitta

Tra i primi a parlare apertamente di “guerra civile” è stato Glenn Harlan Reynolds, professore di diritto all’Università del Tennessee, che in un articolo pubblicato su Usa Today lo scorso giugno ha osservato: “Gli americani sapevano come non essere d’accordo l’uno con l’altro senza disprezzarsi a vicenda, ma sembrano averlo dimenticato. E i mezzi di informazione, che promuovono l’indignazione alla ricerca di clic facili e visualizzazioni, stanno peggiorando la situazione”.

Certo, lo stile sin troppo schietto di Trump lo fa apparire spesso fuori luogo, talvolta inadatto al prestigioso ruolo che ricopre. Indubbiamente è un presidente volubile, anomalo e per molti versi controverso. Ma Donald Trump ha vinto le elezioni e c’è chi negli Usa questo dato di fatto non lo ha mai voluto accettare. E da come vola l’economia americana potrebbe vincerle di nuovo…
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Re: Fascisti, nazisti, comunisti, maomettisti e zingari

Messaggioda Berto » mer nov 07, 2018 4:32 am

L’antifascismo dei cretini
Marcello Veneziani
06/11/2018


https://www.controinformazione.info/lan ... qE9ScLx8ug

Abbiamo sempre avuto pazienza con i cretini non cattivi e con i cattivi ma intelligenti. Non riusciamo però ad averne con i cretini cattivi, magari in origine solo cretini poi incattiviti oppure solo cattivi poi rincretiniti. Ma sono cresciuti a dismisura e si sono aggravati. Sto parlando del nuovo antifascismo, collezione autunno-inverno, che si alimenta di fascistometri per misurare il grado di fascismo che è in ciascuno di noi e di istruzioni per (non) diventare fascisti, di Anpi posticce che sventolano l’antifascismo anche il 4 novembre, non più costituite da partigiani ma da militanti dell’odio perenne; e poi di mobilitazioni, manifestazioni e mascalzonate, veicolate da giornaloni, telegiornaloni, talk show e da tante figurine istituzionali.

Come quel Fico che alterna dichiarazioni d’antifascismo a dichiarazioni surreali d’amore a proposito degli stupri e i massacri tossico-migranti. Per lui le violenze si combattono con l’amore, come dicevano i più sfigati figli dei fiori mezzo secolo fa. Lui ci arriva adesso, cinquant’anni dopo e a proposito di un fatto così terribile come uno stupro mortale a una ragazzina.

Sopportavamo il vecchio antifascismo parruccone, trombone, un po’ di maniera. Arrivavamo a sopportare perfino un antifascismo di risulta, violento, intollerante, estremista. Finché si tratta dei dementi agitati dei centri sociali, di qualche femminista in calore ideologico o con caldane fasciofobe, oppure di sparsi cretini del grillismo e del vecchio sinistrismo, ce ne facevamo una ragione. Ma sconforta quando vedi pure intellettuali, direttori, editori, giornalisti, testate che avevano qualche credibilità intellettuale o almeno professionale, che leggevi e stimavi, avere una regressione idiota nell’odio verso un presunto e rinato neofascismo (che in realtà rinasce ogni settimana da 73 anni, in base ai loro dolori reumatici, i loro indicatori e delatori). Per non restare nel vago, mi riferisco a firme, filosofi, giornalisti, scrittori che esercitano il loro mestiere su la Repubblica, l’Espresso, i loro paraguru genere Saviano, per non dire nei talk show e nei tg rai, mediaset (solo un po’ meno), la 7 e sky. Probabilmente un combinato disposto ha dato loro alla testa: il fallimento inglorioso della sinistra su tutte le ruote, l’avanzata popolare di Salvini, il trionfo in tutto il mondo e non coi colpi di stato ma a suon di voti, di leader e movimenti opposti alla sinistra.

E poi le prediche, le censure e le leggi opinionicide di Suor Boldrina e Frate Fiano, solo per citare due chierici precursori di questo antifascismo. Ma devono aver raggiunto uno stato patologico così avanzato questi malati del morbo d’Antifascismo, se perfino il Corriere della sera, si è di recente ribellato alla deriva idiota dell’antifascismo con un equilibrato editoriale di Paolo Mieli, un frizzante corsivo di Gramellini, un incisivo affondo di Panebianco, e scritti di Battisti, della Tarquini. Poi, leggi Paolo Giordano in prima pagina del Corriere che prende sul serio i calendari di Mussolini (è la scemitudine dei numeri primi), leggi Aldo Grasso che nega le pagine di storia sociale del fascismo, carte del lavoro e garanzie per pensionati e donne, leggi l’inquisizione filosofica della Di Cesare, più menate varie di antirazzismo e antifascismo e ti accorgi che il Corriere gareggia con la Repubblica sullo stesso terreno.

L’antifascismo patologico è a uno stadio acuto se il 4 novembre Furio Colombo sul Fatto sbaglia ricorrenza e dedica il suo fondo all’apologia del 25 aprile. O se un giornalista de La Repubblica, Maurizio Crosetti, accecato da furiosa demenza, auspica il massacro a Piazzale Loreto di Salvini. Ma la demenza ha pure valore retroattivo nei secoli andati. Sono reduce dall’imbarazzante lettura di un libro dedicato a Dante di tale Chiara Mercuri, pubblicato da Laterza, in cui si presenta Dante come un precursore dei dem, uno che va in esilio perché dalla parte delle lotte proletarie e viene citato tra i grandi di tutti i tempi insieme a Saviano, senza un minimo senso del ridicolo. Saranno stati i fascisti del suo tempo a condannarlo a morte e all’esilio, evidentemente.

Quelli che una polpetta avvelenata di nome Michela Murgia vorrebbe misurare col suo fascistometro, lanciato come ultima moda ideologica magari da adottare anche nelle aule e nei media per schedare e discriminare chi non la pensa come te. Un formidabile misuratore non dell’altrui fascismo ma della propria demenza faziosa.

Strada con antifascisti

Ho sempre ritenuto che meriti rispetto chi fu antifascista col fascismo vivo e imperante, un antifascismo fiero e scontato sulla propria persona; quello postumo che infierisce contro i morti no. Ma quello posticcio, surreale e caricaturale dei nostri giorni, è un triplice insulto: al fascismo, all’antifascismo e all’intelligenza degli italiani. Come è un insulto quotidiano alla memoria di tutti i caduti, a partire dagli stessi ebrei, le ossessive, petulanti, rievocazioni del razzismo e dei campi di sterminio, lette come eventi in corso di replica. Il delirio antifascista e antirazzista porta anche ad alcune intelligenze un tempo rispettabili, un obnubilamento mentale con esiti deprimenti e grotteschi.

Il tutto si accompagna a un ritorno di odio patrio, di antiitalianità, che sembrava superato da alcuni decenni, e che invece rigurgita, identificando l’amor patrio col più aggressivo nazionalismo: il modo migliore per favorire davvero questo slittamento. Vogliono combattere il sovranismo ma questo è il modo migliore per aiutarlo a dilagare. Dopo una faticosa riconquista di un rapporto migliore con i temi nazionali nei decenni scorsi, grazie allo sforzo di Craxi e Spadolini, di Ciampi e anche di Napolitano, la sinistra residuale di oggi ha avuto una regressione feroce quanto insensata contro l’italianità, un conato di vomito antipatriottico per sancire che loro sono dalla parte dei migranti. Stranieri first. Ecco il 4 novembre celebrato dalla parte degli austriaci, dei disfattisti e dei disertori.

Se ragionassi in termini politici, o peggio elettorali, dovrei gioire perché assisti allo spettacolo di un suicidio dei radical, affogati nel ridicolo in una lotta contro gli italiani. Ma non sono mai contento quando un avversario si autodemolisce e si autoridicolizza in quel modo; non mi piace, per la democrazia, per la circolazione delle idee, per carità di patria vederli schiumare di odio e di rabbia, peggio degli haters che deprecano (“Buonisti un cazzo”, tuonava elegantemente la copertina de l’Espresso). E per il rispetto, non corrisposto, che continuo a nutrire per le persone nonostante i loro pregiudizi e le loro occlusioni mentali.

Ricredetevi, riavetevi, ripensateci. Non riducete il prefisso dem ad abbreviativo di dementi. Non seppellitevi nel vostro ridicolo rancore, elevando l’imbecillità a crimine contro l’umanità.




Ma sapete che è esisitito il comunismo?
Tramonti, Giubilei Regnani, 2017

http://www.marcelloveneziani.com/artico ... -comunismo

Domani è l’anniversario della Rivoluzione russa. Cosa resta del comunismo a un secolo dalla sua nascita? Il nulla. Settantacinque anni di storia mondiale, un’espansione intercontinentale senza precedenti che ha superato per quantità di adepti, vittime e sudditi, tutte le religioni del pianeta in una ramificazione ideologica, intellettuale, politica senza precedenti. E un perdurante comunismo strisciante o geneticamente modificato in molti Paesi, dalla Cina a Cuba, all’Occidente. Cent’anni fa il comunismo andò al potere con la rivoluzione bolscevica. Il comunismo è stato per durata, ampiezza e vastità di popoli e continenti coinvolti, la più grande e più tragica esperienza del Novecento. È stata anche la più grande speranza terrena, storica, che si è poi rivelata illusoria e catastrofica. Grandi paesi come la Russia e la Cina, buona parte del sud-est asiatico, mezza Europa orientale, alcuni paesi dell’Africa e dell’America latina sono stati investiti dal comunismo. Eppure a pochi anni dalla fine dell’impero sovietico e dei paesi satelliti, nonché dalla fine dei partiti comunisti occidentali, la memoria del comunismo è sfuocata, come se appartenesse a secoli remoti, diventa vintage, utopia e archeologia.

Si parla infinitamente più di nazismo e di fascismo, benché la storia di quei regimi risalga alla prima metà del secolo, si chiuda quasi mezzo secolo prima del comunismo e riempia solo un ventennio o poco più della storia di singoli paesi. Quando si parla del comunismo prevale l’uso di riferimenti parziali o derivati diversamente nominati; ad esempio quando si parla di totalitarismi, il riferimento d’obbligo e sostitutivo è allo stalinismo, più raramente al maoismo. Raramente si usa parlare di comunismo – soprattutto a proposito di terrore e totalitarismo, deportazione e repressione – come se si volesse salvare l’immacolata purezza dell’idea dagli orrori della storia. Una sintesi esplicita di questa distinzione la esprime uno dei più lucidi teorici dell’italo-comunismo, Mario Tronti: “I cosiddetti regimi comunisti non erano regimi comunisti, ma qualche cosa che dobbiamo ancora definire”. Dove c’è il male non può esservi comunismo ma deviazione… C’è una vasta letteratura politica e ideologica che ripete questa distinzione tra gli errori storici del comunismo e l’essenza ideale del comunismo ancora da inverare. I vari comunismi sparsi nel mondo e nel tempo sarebbero dunque tutti surrogati, forme abusive, esperimenti traviati, illusioni ottiche, imposture o sostituzioni di regimi, disguidi e tradimenti. Il comunismo resta così una magnifica promessa che splende nell’alto dei cieli, non ancora incarnata nella storia; non va sporcata col sangue delle vittime né col fango delle sue storiche realizzazioni.

Solzenicyn avvertiva: “Hanno inventato il termine stalinismo. Ma non c’è mai stato nessuno stalinismo. Fu un’invenzione di Krusciov per attribuire a Stalin quelli che sono invece i caratteri fondamentali del comunismo, le sue colpe congenite. In realtà aveva già detto tutto Lenin”. Lo stalinismo è qualcosa di più del capro espiatorio, ha sul piano storico la funzione della bad company nel sistema aziendale neocapitalistico: assorbe le negatività di un’ideologia, scarica i suoi debiti e le sue sofferenze in una bara fiscale, e così salva l’impresa.
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Re: Fascisti, nazisti, comunisti, maomettisti e zingari

Messaggioda Berto » gio nov 08, 2018 8:36 pm

Trump: "Il comunismo distrugge lo spirito umano e la prosperità"
Matteo Orlando - Gio, 08/11/2018

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/tru ... 99081.html

Messaggio del presidente americano in occasione della Giornata nazionale per le vittime del comunismo

Donald Trump, attraverso un messaggio, ha partecipato alla seconda edizione del National Day for the Victims of Communism, la Giornata nazionale per le vittime del comunismo.

"Onoriamo la memoria degli oltre 100 milioni di persone che sono state uccise e perseguitate dai regimi comunisti totalitari. Riaffermiamo il nostro risoluto sostegno a coloro che lottano per la pace, la prosperità e la libertà in tutto il mondo", ha scritto il Presidente americano.

Trump ha ricordato che dalla rivoluzione bolscevica del 1917 in Russia, il mondo ha assistito agli effetti della tirannica ideologia comunista, effetti che sono "l'angoscia, la repressione e la morte".

Il comunismo, ha spiegato il comandante in capo degli Stati Uniti, "subordinando i diritti umani al presunto benessere di tutti, provoca lo sterminio della libertà religiosa, della proprietà privata, della libertà di parola e, troppo spesso, della vita".

In questa edizione del 2018 del National Day for the Victims of Communism Trump ha voluto ricordare, tra i tanti orrori provocati dal comunismo, la vicenda degli ucraini deliberatamente fatti morire di fame nell'Holodomor (il genocidio voluto da Stalin in Ucraina dal 1929 al 1933, "condito" con deportazioni, omicidi, esecuzioni, massacri atroci, che ha causato oltre cinque milioni di vittime), i russi epurati nel Grande Terrore (un periodo di repressioni politiche staliniane, negli anni 1937-38, durante i quali in Urss furono arrestati quasi 2 milioni di persone e 700 mila di esse vennero giustiziate come "nemici del popolo", "controrivoluzionari", "traditori", insieme alle loro famiglie e agli amici), i cambogiani uccisi nei campi di sterminio (il cosiddetto "genocidio cambogiano" avvenuto tra il 1975 e il 1979, quando, sotto la guida di Pol Pot, i "khmer rossi" maoisti, attraverso campi di lavoro nelle campagne, esecuzioni di massa, lavori forzati, abusi fisici, malnutrizione e malattie, uccisero da 1,5 a 3 milioni di cambogiani, circa il 25% della popolazione totale della Cambogia) e i berlinesi che vennero uccisi mentre tentavano di scappare verso la libertà.

"Le vittime di queste e molte altre atrocità", ha scritto Trump, "testimoniano in silenzio il fatto innegabile che il comunismo e il perseguimento di esso saranno per sempre distruttivi per lo spirito umano e per la prosperità dell'umanità".

Trump ha dedicato la giornata di ricordo a tutti coloro ai quali è stata negata la grande benedizione della vita, quella della libertà e quella della ricerca della felicità, sotto ogni regime oppressivo comunista. "Piangiamo per le perdite insopportabili che tanti hanno sopportato sotto il comunismo e rinnoviamo il nostro impegno a continuare ad avanzare la causa della libertà e delle opportunità per tutti".

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva deciso di istituire una giornata nazionale in ricordo delle vittime del comunismo il 7 novembre dello scorso anno, proprio nel giorno in cui, nel 1917, i bolscevichi avevano dato il via alla rivoluzione russa.
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Re: Fascisti, nazisti, comunisti, maomettisti e zingari

Messaggioda Berto » ven nov 09, 2018 8:20 am

Quella memoria «dimezzata» sui totalitarismi
Dario Fertilio - Gio, 08/11/2018

http://www.ilgiornale.it/news/spettacol ... 98732.html

Che fine ha fatto il Giorno della Libertà? Istituito solennemente con una legge del 2005, da celebrarsi con la stessa dignità attribuita alla Shoah e ai Martiri delle foibe, l'anniversario della caduta del Muro di Berlino è sparito dai radar della politica.

Ammettiamo pure che, agli occhi del governo giallo-verde, giochi a suo sfavore il fatto di essere stato voluto dall'allora Capo del governo Silvio Berlusconi, e firmato da un certo Carlo Azeglio Ciampi. Concediamo pure che, nell'agenda dell'esecutivo, campeggino come priorità l'eliminazione della prescrizione nei processi, il taglio alle pensioni meno povere e il blocco delle grandi opere, piuttosto che la caduta ufficiale del comunismo. Resta comunque il fatto che «munita del sigillo dello Stato» e «inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica», la legge numero 61 recita: «È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato». D'accordo, si sa che in politica le buone intenzioni lastricano la via dell'inferno: tuttavia c'è del metodo in questa regìa della smemoratezza. Perché, guarda caso, anche il Memento Gulag, ricorrenza del 7 novembre - lugubre anniversario della rivoluzione bolscevica in cui si commemorano le vittime del comunismo - vive da sempre un'esistenza precaria. Vuoi vedere allora che la cosiddetta «memoria condivisa» per qualcuno significa farne prevalere una sull'altra, in onore al principio dell'egemonia ideologica teorizzato da Gramsci? Sia come sia, il paradosso rimane. Perché il Memento Gulag lanciato con la benedizione di Vladimir Bukovskij, il più noto dei dissidenti antisovietici, continua a fare qualche sporadica apparizione, e a raccogliere il testardo omaggio degli irriducibili. Il Comune di Lodi, ad esempio, ha dedicato questo 7 novembre alla messa in scena della pièce teatrale La bambina che amava Stalin, interpretata da Isabel Russinova; e ha commosso con il toccante racconto della quattordicenne Nina, ingenuamente devota al dittatore benché lei stessa e tutta la sua famiglia fossero state condannate a morire di fame insieme a milioni di contadini ucraini. E nelle stesse ore, senza troppo rumore, la Regione Lombardia ha inaugurato nel foyer del Pirellone la mostra fotografica La battaglia di Budapest, alla presenza del console ungherese Jeno Csiszàrche. Così, passando dal genocidio attuato da Stalin negli anni Trenta all'invasione di Budapest del '56 - con immagini cariche di un disperato fervore patriottico - è possibile evocare l'altra metà della memoria, e istruire le giovani generazioni sulla brutalità del comunismo. Il Giorno della Libertà, invece, riscuote solo silenzio. Tuttavia, scindere le celebrazioni del 7 da quelle del 9 novembre, quando gli uomini liberi dovrebbero festeggiare l'uscita di scena del totalitarismo, è un po' come raccontare i conflitti ideologici del '900 tralasciando di chiarire chi ha vinto, e chi invece è finito nella pattumiera della Storia. Arriverà pure il momento in cui le coscienze si risveglieranno: ma, se non ora, quando?
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Re: Fascisti, nazisti, comunisti, maomettisti e zingari

Messaggioda Berto » mar dic 11, 2018 8:36 am

La verità come dissidenza : Intervista a Georges Bensoussan"
Niram Ferretti

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

"Il substrato culturale di sinistra, ereditato dalla decolonizzazione, ha definitivamente messo i popoli musulmani nella condizione di popoli dominati e resi inferiori dall’Europa. Si è postulato che un dominante non possa essere un dominatore, e che una vittima del razzismo non possa essere razzista. Come se si dovesse assolutamente colmare di virtù la figura del dominato solo perché è dominato. A questa pia mitizzazione si aggiunge il crollo dell’utopia comunista, dapprima nella sua versione sovietica, poi in quella cubana e, ulteriormente, in quella cinese. Una parte della sinistra si è allora cercata un proletariato di sostituzione, in grado di cristallizzare il sogno di una società nuova e di un uomo nuovo: così è stato per l’immigrato economico in Occidente. E, per estensione, se non per scivolamento, nel corso degli anni, così è avvenuto per l’Islam, non solo perché era ed è tuttora la religione dominante di gran parte di questa immigrazione, ma anche perché, a partire dal 1978, la retorica iraniana sciita/khomeinista, che aveva rovesciato lo Scià, l’aveva elevato a religione degli oppressi".
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Re: Fascisti, nazisti, comunisti, maomettisti e zingari

Messaggioda Berto » mar dic 11, 2018 8:37 am

Post-Modernismo: il marxismo 2.0
Di Alessio Cotroneo
il 26 novembre 2018

https://www.individualistaferoce.it/201 ... 7ow-rm8F44

Il Comunismo in senso stretto non esiste più, in pochi lo difendono apertamente e i partiti che si rifanno ad esso sono ridotti a misere percentuali. Eppure, l’egemonia culturale comunista non può essere scomparsa di colpo: che fine ha fatto?

C’è ancora ed è più forte che mai, perché è in incognito. Fa finta di non essere marxismo, ma lo è all’estremo: è il post-modernismo, il marxismo culturale, da cui discendono il buonismo, l’ultra-progressismo, i movimenti per i diritti delle minoranze e via dicendo.

Ciò che ha trasformato i presupposti marxisti in post-modernismo, a partire dagli anni ’70, è il fatto che il proletariato non vuole più ribellarsi e sovvertire il sistema perché, anzitutto, i proletari-lavoratori stanno aumentando il proprio benessere [grazie al libero mercato] e ciò ha completamente smontato la base rivoluzionaria del Comunismo, siccome per continuare a ribellarsi i proletari avrebbero dovuto continuare ad essere poveri e malmessi; secondariamente, il marxismo in Russia, a Cuba, in Venezuela e ogni altro posto in cui è stato provato ha generato solamente catastrofi e genocidi e non è desiderabile nemmeno dai vecchi sostenitori del Comunismo italiano, tranne per quei quattro gatti che inneggiano ancora a Stalin mentre parlano di plusvalore e valore-lavoro.

Purtroppo per noi, hanno avuto un’intuizione malefica, che possiamo immaginare abbiano articolato più o meno così: “dobbiamo trovare un nuovo modo di giocare la partita ‘oppressori contro oppressi‘ riformulando capitalisti contro proletari… Eureka! Possiamo introdurre le politiche dell’identità per gruppi: non sei più oppresso perché fai parte della classe dei lavoratori, tu ora sei appresso perché sei una donna, o perché appartieni a un’etnia differente da quella della maggioranza, o perché le tue preferenze sessuali sono in qualche maniera fuori dalla norma. Insomma, sei oppresso perché fai parte di una minoranza“.

E non ci stancheremo mai di dirlo: la più piccola minoranza sulla Terra è l’Individuo, le leggi devono essere uguali per tutti gli individui al fine di togliere privilegi a chi li ha senza doverli concedere a chi ieri era discriminato, altrimenti si creerebbe un nuovo ciclo di discriminati e discriminanti.

Nuovamente purtroppo per noi, hanno trovato un campo fertile, perché è innegabile che ci siano razzisti, omofobi, maschilisti o discriminazioni di ogni genere, dunque hanno individuato dei nuovi oppressori da combattere, generalizzando al massimo le loro caratteristiche. Il cattivo ora è quello che non viene discriminato: basta che sia bianco, eterosessuale, uomo, capitalista.

In questo modo, distruggono il valore delle proteste per i veri diritti, avviliscono chi desidera avere pari opportunità, chi lotta per una società giusta, libera e di equità, chi desidera un mondo in cui sia le donne sia gli uomini siano liberi di scegliere e di fare. E non finisce qui: come ben possiamo vedere in Italia, questi sentimenti del post-modernismo generano il nemico che loro stessi lottano, poiché pur di opporsi al post-modernismo le persone finiscono per diventare il mostro identificato come razzista, sessista, maschilista, misogino, omofobo.

Definiscono fascismo ogni cosa, ma finiscono a deturpare il significato della parola fascismo affibbiandola a chiunque non abbia le loro idee. Esistono pure gli estremisti, che dicono cose come “è giusto che [inserire qui una minoranza qualsiasi] abbiano più diritti degli altri perché sono stati discriminati ed ora hanno il diritto di pareggiare i conti discriminando gli oppressori“.

Insomma, hanno iniziato a traslare il carattere totalitario del marxismo verso gli ambiti culturali e sociali, tanto da corroborare le proprie idee con l’intolleranza. I post-modernisti non credono che esista la competenza e debba essere remunerata né credono che esistano strutture valoriali in base alla cultura che si possiede, ad esempio quella Occidentale, non credono nemmeno che gli individui abbiano un background biologico da cui dipendono alcuni tratti della loro personalità, chiamano tutto ciò costruzione sociale.

Eppure, il mercato può funzionare solo se viene premiata la competenze, poiché in tal modo il venditore può fornire ciò che il compratore desidera ed è proprio il compratore a decidere chi premiare; la cultura Occidentale, per quanto abbia ancora molti difetti e non sia libera dai pregiudizi, è quella che concede le maggiori libertà agli individui; quelli che vogliono fare costruttivismo sociale, inventare paradigmi nuovi a seconda di come gira, a seconda di chi sembra più oppresso, sono proprio loro, i nuovi nemici della libertà, della tolleranza e della pace sociale: i post-modernisti, ossia i comunisti 2.0.


“L’idealizzazione terzomondista del migrante ci costerà cara”. Parla Thornton
2018/12/10

http://www.controversoquotidiano.it/201 ... 10TyqasYqY

Bruce Thornton non usa mezzi termini. Dice pane al pane, sapendo molto bene che la parresia, il discorso che onora la verità, detesta le parole compiacenti. Professore di Studi classici e scienze umane alla California State University e ricercatore presso la Hoover Institution, Thornton è oggi una delle voci più vibranti nel panorama accademico e intellettuale americano. In vari libri e saggi ha contribuito a demistificare miti e feticci del pensiero progressista e ha permesso di comprendere meglio l’origine della crisi che colpisce la società occidentale.

Niram Ferretti lo ha intervistato in esclusiva per ControversoQuotidiano.it.

Professor Thornton, nel 1984, il filosofo francese Pascal Bruckner ha scritto Le sanglot de l’homme blanc, un saggio in cui mostrava come l’Occidente, dagli anni 60 in poi, è stato inghiottito da una apoteosi di autocolpevolezza. Il pensiero sottostante a tutto ciò è che la civiltà occidentale non sia altro che una storia piena di furia e rumore, mentre il Terzo mondo sarebbe la vittima innocente della sua rapacità e della sua malvagità. Quali sono le ragioni, secondo lei, di questo paesaggio culturale?

Ci sono tre fasi dietro a ciò che possiamo chiamare terzomondismo. In primo luogo, il crescente contatto – attraverso il colonialismo – con il mondo sottosviluppato ha esposto gli europei a popoli esotici idealizzati come superiori rispetto ai loro modelli di vita più sviluppati e repressi. Successivamente, il marxismo, essendo stato respinto dal proletariato europeo, si è rivolto ai movimenti rivoluzionari anticoloniali del Terzo mondo per trovare un’avanguardia rivoluzionaria sostitutiva. La rivoluzione sarebbe stata guidata dai popoli del Terzo Mondo piuttosto che dai lavoratori. Ciò ha trasformato il Terzo Mondo in un utile club per attaccare i paesi liberali, democratici e capitalisti. Infine, il Romanticismo e il culto del sentimentalismo in Occidente, aiutati dai mezzi di comunicazione globalizzati, hanno rinvenuto nel Terzo Mondo un oggetto per la “compassione” e il senso di colpa, che i mass media hanno convertito in una merce di sofferenza ad uso e consumo degli occidentali, attraverso la quale essi potevano godere vicariamente di tali sentimenti senza alcuno sforzo per migliorarne le condizioni. Il risultato è quello di un sentimentalismo e un senso di colpa a buon mercato, strumentali all’ideologia marxista, che hanno come scopo quello di minare la cultura occidentale.

“Oppressore-oppresso”, questa sembra essere la principale dicotomia interna alla maggior parte del discorso politico e culturale, sia qui in Europa che negli Stati Uniti. Le università europee e americane, in larga misura, hanno sposato il marxismo culturale. La battaglia è persa?

Abbiamo istituzionalizzato lo slogan di Lenin “Chi deve comandare?”: chi è l’oppressore, chi è la vittima? Questa dinamica è alla base del politicamente corretto, del multiculturalismo e della politica identitaria che lavorano per sfruttare il potere politico dello status di vittima di un gruppo storicamente oppresso. La battaglia è persa, per ora. Questi presupposti e atteggiamenti hanno plasmato tre generazioni e sono diventati automatismi mentali che si situano al di là di ogni esame critico. Lo vediamo, per esempio, nella nomenclatura del Partito Repubblicano, che ha alienato da sé gli elettori che hanno reso possibile l’elezione di Donald Trump a causa della cattiva abitudine dei Repubblicani di fare proprie le opinioni progressiste su razza, sesso, omosessualità, eccetera.

Recentemente, il filosofo francese Alain Finkielkraut ha affermato che “l’antirazzismo è il comunismo del XXI secolo”. E’ d’accordo?

Assolutamente. Il marxismo è stato da sempre un melodramma in cui il bene assoluto è contrapposto al male assoluto. La politica dell’identità, che si basa sulle lagnanze conseguenti ai crimini storici, ha dovuto ingigantire il razzismo nel crimine per eccellenza, malgrado il fatto che il cambiamento storico abbia ridotto al lumicino l’infrastruttura legale della segregazione e la violenza brutale e la meschina umiliazione con cui la maggior parte dei neri viveva in America prima degli anni Sessanta. L’antirazzismo favorisce il risentimento e le lagnanze che forniscono energia per l’azione e l’influenza politica che hanno lo scopo di sottrarre potere al governo. Dunque deve essere melodrammatico: nessuna complessità o sfumatura, solo il male puro che continua a brutalizzare i nobili, i giusti oppressi, gli antirazzisti. Infine, come fanno i marxisti, la nobiltà e la rettitudine degli antirazzisti giustificano “ogni mezzo necessario”, compresa la censura, gli assalti ai diritti come la libertà di parola e la violenza.

Sia in Europa che negli Stati Uniti, l’immigrato, in particolare in Europa l’immigrato musulmano, è diventato l’icona dell’umanità oppressa. In nome della compassione e del multiculturalismo bisognerebbe accoglierne gioiosamente quanti più possiamo. Come giudica questo paesaggio mentale?

Ingannevole e suicida. Lo sarebbe in ogni caso, perché una nazione non può sopravvivere se non ha una solidarietà interna basata su principi condivisi, e la convinzione che il proprio stile di vita sia il migliore e sia meritevole di essere difeso. Ma quando i migranti sono musulmani, il pericolo è molto maggiore. Dalla sua nascita l’Islam è stato una fede suprematista e intollerante. Non accetta le nozioni occidentali di convivenza con gli ‘infedeli’, che devono convertirsi, morire, o se cristiani ed ebrei, vivere come soggetti di seconda classe senza uguaglianza sotto la legge, con diritti enumerati, eccetera. Negli ultimi decenni abbiamo visto la colonizzazione dell’Europa dall’interno attraverso la migrazione e l’auto-segregazione. Accoppiata con bassi tassi di natalità e con il declino della fede, questa idealizzazione del migrante se non sarà controllata diventerà fatale.

L’Europa ha avuto un atteggiamento molto ambivalente nei confronti degli Stati Uniti durante i secoli. Ha oscillato costantemente tra amore e odio. In “La nazione più odiata. L’antiamericanismo degli europei”, Andrei S. Markovits ha scritto: “L’anti-americanismo è parte integrante del discorso e della visione del mondo della sinistra americana”. In Europa, l’antiamericanismo accomuna l’estrema sinistra e l’estrema destra. Quali sono, secondo lei, le ragioni principali di questo odio?

In primo luogo, in generale, le élite europee hanno avuto una avversione per l’America perché essa ha assimilato la gente che l’Europa rigettava – contadini come mio nonno che venne negli Stati Uniti dall’Italia meridionale nel 1908 – e ha saputo creare la più grande potenza della storia. In quanto tale, gli Stati Uniti sono il ripudio vivente degli ordini sociali e politici che ancora caratterizzano i leader degli Stati europei, come il dominio tecnocratico delle élite, la deferenza al potere centralizzato e all’autorità, le gerarchie stratificate basate sulla nascita, l’istruzione, eccetera. In secondo luogo, come ha sottolineato Raymond Aron, le élite europee di sinistra e socialiste odiano gli Stati Uniti perché sono stati in grado di ottenere una ricchezza ampiamente distribuita e uno sviluppo economico senza precedenti, senza seguire il libretto marxista o indulgere nelle orge di violenza e oppressione che caratterizzano i regimi marxisti. Come l’Islam, il marxismo è una fede fanatica, che non ammette rivali alla verità rivelata del suo fondatore. Il successo dell’America è un monito quotidiano di quanto il Moloch marxista sia stato fondato sull’errore.

Nella bozza finale della Costituzione europea del 2003, non si fa menzione del ruolo svolto dal cristianesimo nell’identità dell’Europa. Giovanni Paolo II si appellò invano per farlo menzionare, ma al suo posto venne scelto un riferimento più generico alla “eredità culturale, religiosa e umanistica dell’Europa”. Che logica vede alla base di questa decisione?

L’Unione europea, come tutte le istituzioni globali multinazionali, è una creazione del trionfo del secolarismo e delle pretese tecnocratiche dell’Occidente nel loro secondo secolo. Un regime fondato sulla pretesa di una padronanza tecnologica non solo sopra la natura, ma sulla mente e il cuore umani, deve necessariamente rifiutare la fede religiosa come autorità e fonte di saggezza. Per un potere tecnocratico centralizzato e concentrato, ammettere una sapienza e una autorità rivali rappresenta un invito al proprio indebolimento. Quindi l’UE non può riconoscere il fatto delle fondamenta giudeo-cristiane dell’Europa, che sono i giganti su cui i nani europei stanno in piedi per consentire loro di vedere più lontano. Questa decisione di eliminare la fede dal proprio documento di governo è molto seria, poiché indica la misura del rigetto di Dio da parte delle élite europee e il tentativo di prendere il suo posto – un traguardo che vediamo fallire anche mentre stiamo parlando. Abbinato alle politiche di immigrazione senza scrupoli che hanno permesso ai musulmani culturalmente alieni di stabilirsi in Europa, al secolarismo radicale, al fallimento nel creare le famiglie, è il solvente che sta distruggendo l’Europa.

Sia qui in Europa che negli Stati Uniti, l’immigrazione pone una questione rilevante. Ci sono ovviamente delle differenze, ma allo stesso tempo rappresenta un’enorme sfida per il futuro. Il motto degli Stati Uniti è in pluribus unum, l’Europa non ne ha nessuno. Come vede il futuro dell’Europa in questi riguardi?

Vedo fratture sociali crescenti e violenze, soprattutto perché la crisi fiscale del debito pubblico e delle passività non finanziate peggiora sempre di più. Stiamo assistendo a una anticipazione in Francia, dove il movimento dei “giubbotti gialli” ha riunito gruppi di tutto lo spettro politico e sta scivolando nella violenza anarchica. L’immigrazione incontrollata ei suoi costi non possono che peggiorare questi conflitti, causando più violenza e un contraccolpo politico illiberale da parte di estremisti posti ai margini della società. Infine, con le élite europee che hanno distrutto il collante della propria civiltà cristiana e classica e hanno demonizzato l’idea di nazione che un tempo era il luogo in cui si univano i popoli sulla base di una identità coerente, quale può essere un principio unificante? Cosa può creare la solidarietà necessaria per difendere il proprio stile di vita? Nessuno darà la vita per la bandiera della UE.

L’Europa sembra aver perso la direzione delle sue storie unificanti, della propria tradizione religiosa e umanistica. Esistono solo come tracce, ricordi, come una collezione di oggetti curiosi all’interno di un museo. E’ d’accordo?

Sì, l’Europa è diventata un vasto museo, il suo patrimonio culturale si è ridotto a merci redditizie per l’industria del turismo, immagazzinando reliquie inestimabili che gli europei non hanno idea di come creare. Ma gli Stati Uniti stanno facendo la stessa cosa. Questo problema è occidentale, non solo europeo. Gli Stati Uniti hanno ancora vitalità economica e creatività, ma l’uomo non può vivere di solo pane. Abbiamo bisogno di una cultura vitale e creativa che crei arte, letteratura, idee che ci insegnino per cosa dovremmo vivere. Senza fede, tuttavia, l’arte, la letteratura, le idee degenerano in semplici merci che consumiamo e dimentichiamo quando arriva la prossima moda.

“America First” è stato lo slogan della campagna elettorale del presidente Donald Trump. Che cosa significa per l’Europa?

Che gli Stati Uniti, o almeno alcuni dei suoi cittadini, non accettano il rifiuto del nazionalismo e la cessione della sovranità alle élite tecnocratiche transnazionali, poiché la sovranità nazionale è la condizione sine qua non della libertà politica. Non ci sono “cittadini del mondo”, solo cittadini di nazioni sovrane. Per le élite europee questo significa un duro scendere a patti con il loro fallimento nella creazione di un ordine politico che trascende le nazioni europee e le sottopone a regole dall’alto in basso. Ma anche in questo Paese, i membri delle nostre élite, compresi i cosiddetti conservatori, hanno appoggiato il globalismo e stanno combattendo contro gli sforzi di Trump. Credo che le prospettive per l’Europa e per gli Stati Uniti siano meste.



L'ideologia del politicamente corretto e i dogmi del neoprogressismo: intervista a Eugenio Capozzi
Martino Loiacono
6 Dic 2018

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... aCdtnKd9No

Eugenio Capozzi è ordinario di storia contemporanea all’Università degli Studi di Napoli Suor Orsola Benincasa. È autore di diversi volumi: “Il sogno di una Costituzione” (2008), “Partitocrazia” (2009), “Storia dell’Italia moderata” (2016). Lo scorso 29 novembre è uscito il suo ultimo saggio, “Politicamente corretto, storia di un’ideologia”. Un volume prezioso che, grazie ad una rigorosa ricostruzione storica, permette di comprendere le origini, l’avvento e la pervasività del politicamente corretto.

MARTINO LOIACONO: Professore, lei ha definito il politicamente corretto come l’espressione di un’ideologia: di cosa si tratta?

EUGENIO CAPOZZI: Il politicamente corretto è l’espressione retorico-precettistica del neoprogressismo, cioè l’ultima delle ideologie, che possiamo anche chiamare, come lo ha definito Mathieu Bock-Coté, “utopia diversitaria”, “culto dell’altro”. È un’ideologia simile a quelle ottocentesche e novecentesche. Essa si afferma con il tramonto di fascismo e nazismo e con la crisi del modello comunista sovietico, su cui si innestano i valori e le idee portate dai baby-boomers. Il neoprogressismo non si fonda su premesse politiche ed economiche ma su un obiettivo culturale: cambiare la cultura delle società occidentali, perché strutturalmente imperniata sulla discriminazione, sulla disuguaglianza e sull’imperialismo. Il suo obiettivo è sradicare questa malapianta che albergherebbe nella nostra cultura. Il tutto per tornare ad una condizione di naturale armonia, per riguadagnare l’Eden. Tale armonia non si basa però su un principio forte di definizione razionale della natura umana, ma su un totale relativismo. Tutte le idee, tutte le culture, tutti gli stili di vita sono equivalenti. È una ribellione relativistica contro la storia occidentale, vissuta come violenza e stupro ai danni delle diversità.

ML: Quali sono i dogmi di quello che lei ha definito catechismo civile?
EC: Il neoprogressismo presenta in sintesi quattro dogmi. Il primo è il relativismo culturale, per cui tutte le culture, tutti i costumi e tutte le religioni hanno uguale valore e devono essere considerati sullo stesso piano. Esso si afferma con la deriva relativistica dell’antropologia culturale e con gli studi legati alla decolonizzazione, e si evolve successivamente in multiculturalismo, cioè l’idea per cui culture diverse devono convivere negli stessi spazi e si devono integrare. Questo significa che non esiste una centralità storica della cultura occidentale nella definizione e nella dignità della persona umana. Il secondo è l’equivalenza tra desideri e diritti. Questa tendenza si afferma tra gli anni Sessanta e Settanta. In questa prospettiva ogni desiderio è lecito e anzi addirittura sacro, e ogni tipo di repressione è sbagliata (vietato vietare). È un’interpretazione edonistica e radicale di Freud e anche di Marcuse. Il soggetto umano viene ridotto alla pura pulsione e alla sua funzione desiderante. Queste tendenze si traducono in un’esplosione di conflittualità, perché non ci sono limiti ai desideri, alla loro contraddittorietà e alla loro continua mutevolezza. Il terzo è che l’uomo non è necessario: l’umanità non ha funzione gerarchicamente prevalente nella natura e nell’ambiente. È un elemento tra i tanti dell’equilibrio ambientale ma non è il fine principale. Il quarto è il legame strutturale che viene istituito tra identità e autodeterminazione. I diritti non si fondano su una concezione dell’essere umano universalmente condivisa, ma sull’appartenenza a gruppi e a condizioni di vita che in quanto tali devono essere tutelati. Queste condizioni non sono considerate qualcosa di naturale, ma sono frutto di una scelta soggettiva. Quest’ultimo dogma si sintetizza con l’espressione “voglio dunque sono”.

ML: Come funziona la logica del politicamente corretto?
EC: L’ideologia politicalcorrettista parte dal rifiuto del conflitto e dalla centralità della retorica. Per cambiare le persone bisogna cambiare le loro menti e per farlo occorre modificare le parole, coniarne di nuove e utilizzare termini non offensivi. Proprio sul concetto di offesa si basa la censura. Ogni posizione che si discosta dal relativismo è ritenuta violenza. Ogni affermazione di gerarchia di valori, ogni tentativo di fondare un discorso di tipo universalistico vengono considerati offensivi nei confronti del culto del diversitarismo. Chi propone idee contrarie al neoprogressismo viene così emarginato di modo che non possa parlare. Proprio da qui nasce l’intolleranza particolarmente percepibile nei cultori del politicamente corretto. Insomma, il tentativo di passare dal soggettivismo all’oggettivismo viene bollato come offesa. L’unica dottrina universale deve essere il relativismo radicale. Questo, tuttavia, impedisce al neoprogressismo di produrre un canone razionale universalmente condivisibile, e da qui il conflitto passa sul piano emotivo. Se si sollevano questioni sull’immigrazione incontrollata, ad esempio, il discorso politicamente corretto non risponde con argomenti razionali o pragmatici, ma definendo direttamente i suoi oppositori cattivi o razzisti.

ML: In che modo il politicamente corretto è riuscito ad ottenere l’egemonia mediatica?
EC: Per capirlo è necessario guardare alla sua radice economica. Il politicamente corretto esprime gli interessi di classe della borghesia della conoscenza, quella borghesia che si afferma con i baby-boomers. Non è più una borghesia legata all’industria fordista o alla proprietà fondiaria. Basti pensare all’industria hi-tech e a personaggi come Steve Jobs o Bill Gates e a Zuckerberg, che potrebbe essere considerato un nipote dei baby-boomers e della “controcultura”. Questa borghesia si inserisce nei ruoli dirigenti delle organizzazioni internazionali e nel sistema globalizzato dei media e dei social media. Da qui deriva il monopolio sul mondo della cultura, della comunicazione e sull’università. A tale borghesia, ovviamente, appartengono anche in massima parte le classi politiche occidentali, in particolare nell’ultimo trentennio.

ML: Il senso di colpa è una costante del politically correct: di cosa sarebbe colpevole l’Occidente?
EC: Il neoprogressismo è un’ideologia che non mette sotto accusa una classe sociale o il capitalismo o altri nemici socioeconomici come le ideologie tradizionali, ma la storia e la cultura occidentale in quanto tali. Da qui derivano due conseguenze: essere maschi occidentali bianchi è di per sé una colpa, da cui bisogna riscattarsi mostrandosi buoni scolari della dottrina politicalcorrettista. Ma non ci si riscatta mai del tutto. La seconda è che l’Altro è sempre su un piano superiore ed è eticamente preferibile. Si tratta di allofilia: le culture extraeuropee, le religioni non cristiane, l’islam, e la galassia LGBTQ sono eticamente meglio. Tutto ciò che appartiene al canone occidentale è male, in questo senso si può parlare anche di autofobia.

ML: Da queste considerazioni arriviamo al culto della figura del migrante…
EC: Il culto del migrante, brandito come feticcio, è la conseguenza logica del multiculturalismo. L’ideologia diversitaria implica che l’ideale politico sommo sia quello di un mondo in cui le identità siano confuse, in un’umanità neutra. Dalla convivenza tra i popoli si dovrebbe passare, secondo questa ideologia, ad una mescolanza totale, in un mondo in cui le specificità culturali sono irrilevanti. Tale utopia ha condotto a risultati opposti. Più si mettono insieme culture diverse, più si punta all’interculturalità, più emergono conflitti di civiltà. Le comunità che vivono nello stesso spazio si chiudono al loro interno. Ovviamente il politicamente corretto ha addebitato queste tensioni alla volontà assimilatrice del mondo occidentale. In realtà esse sono frutto invece proprio del relativismo, perché senza un’etica che attrae le altre la convivenza diventa uno scontro insuperabile. Il problema è particolarmente evidente con gli immigrati africani e con quelli di religione islamica, la cui volontà di assimilazione è assente o molto ridotta. Da qui derivano i problemi di ordine pubblico che ben conosciamo.

ML: Considerata la forza del politicamente corretto, come è spiegabile la sua messa in discussione?
EC: Il politicamente corretto inizia la sua crisi quando la globalizzazione fa sentire i suoi effetti negativi. Quando, cioè, per via delle delocalizzazioni e della digitalizzazione dell’economia si assiste alla proletarizzazione dei ceti medi e alla crisi della classe operaia. Tuttavia la sua retorica è ancora forte, anche se ha trovato degli antagonisti che cominciano ad opporsi con energia alle sue istanze. In ogni caso, anche se queste forze dovessero prevalere, l’Occidente ne uscirà indebolito. Indebolito nella sua identità, per la crisi demografica e per il suo peso ridotto nello scacchiere politico internazionale.

ML: Alla luce di tutto ciò come si sono ridefiniti i sistemi politici?
EC: I sistemi politici, a partire dalla crisi economica del 2007-2008, registrano la crescita di movimenti culturali e politici che si schierano contro la dittatura del politicamente corretto. È la ribellione del populismo, del sovranismo e anche dell’antipolitica, che ha radici profonde ma che ora esplode contro il blocco sociale, politico e culturale post-baby boomers. Da qui si ridefinisce il conflitto politico: dall’asse destra/sinistra, individualismo/collettivismo si passa alla frattura tra globalismo e antiglobalismo, tra élite e popolo e tra classi dirigenti transnazionali e nazionali.
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Re: Fascisti, nazisti, comunisti, maomettisti e zingari

Messaggioda Berto » gio dic 13, 2018 10:19 pm

Il comunismo di ritorno
Marcello Veneziani
MV, Panorama, n.51 2018

https://www.marcelloveneziani.com/artic ... di-ritorno

Non c’è giorno che non venga evocato il fascismo come se fosse dietro l’angolo, sul punto di tornare; o eterno, come sostenne in un pamphlet ideologico Umberto Eco. Ma vuoi vedere che mentre si narra il ritorno del fascismo si sta preparando un altro inquietante ritorno? Parliamo del comunismo, l’evento che ha più sconvolto il secolo in cui siamo nati, perché è durato tre quarti di secolo, ha coinvolto ben tre continenti e miliardi di sudditi, ha mietuto più vittime in assoluto, per giunta in tempo di pace. Un evento gigantesco, scomparso nel Racconto Collettivo, inghiottito nella preistoria, come se appartenesse a un’era geologica a noi estranea. E invece, eccolo risalire le caverne dell’oblio e tornare a galla nei nostri giorni. Risale in forma di Pauperismo, riemerge in forma di Accoglienza, ritorna nelle vesti globali del Politically Correct. Chiamiamolo in sigla PAP-Comunismo. È il comunismo di ritorno, come l’analfabetismo, rinato per ignoranza e dimenticanza del passato.

Di che comunismo si tratta? Innanzitutto, non sentite un’ondata globale di guerra ai ricchi, di “livella” egualitaria, di slogan sulle nuove povertà, decrescita felice e vite di scarto? Ora in versione umanitaria, ora pastorale, ora in versione populista e grillina, il pauperismo è tornato e minaccia di colpire tutti coloro che sono considerati benestanti, che abbiano o no meritato la loro vita agiata, abbiano fatto o meno sacrifici, abbiano lavorato, mostrato capacità e prodotto ricchezza anche per la società. Macché, bisogna livellare a prescindere, colpire tutto ciò che eccede il minimo salariale e viene definito d’oro, dalle retribuzioni alle pensioni. Odio e risentimento prosperano in rete.

I ceti medi sono travolti da quest’ondata di pauperismo rancoroso. È il primo livello, più grezzo e naive di comunismo che torna a galla dopo decenni di mercatismo sfrenato, egoismo e corsa alla ricchezza e ai consumi.

Ma c’è un livello più alto e globale che riguarda l’accoglienza dell’infinito proletariato mondiale attratto dall’occidente benestante. Per i nuovi comunisti da sbarco non si possono porre freni o argini al sacrosanto diritto delle persone a cercare un destino migliore, a spostarsi e andare dove essi desiderano. La patria è un carcere e come diceva il vecchio comunismo i proletari non hanno patria e non hanno da perdere che le loro catene. Un reticolo di associazioni, centri d’accoglienza, Ong, movimenti pro-migranti e strutture parallele, anche catto-umanitarie, sostiene i disperati del pianeta e cerca una nuova alleanza. Nasce un nuovo proletariato globale, con tutte le tensioni relative che si aprono, i conflitti di classe, d’integrazione e di esclusione, di insicurezza e di lotta. La battaglia successiva è difendere i diritti dei migranti dallo sfruttamento indotto dai nuovi “padroni”, dei caporali nelle campagne o delle imprese che li pagano in nero o con salari di fame. Tutto l’impianto ricalca lo schema del comunismo; e come nel comunismo non manca alla base un anelito di verità e di giustizia sociale.

C’è infine un terzo livello ideologico più sofisticato di comunismo che oggi ha trovato un nuovo PC, non più il vecchio Partito Comunista ma il Politically Correct. È la nuova ideologia globale che vuol raddrizzare l’umanità, redimerla dai suoi errori e dal suo passato, riscrivere la storia e il lessico, offrire un radioso avvenire di emancipazione e liberazione. Il femminismo, i movimenti lgbt e omosessuali, antirazzisti, antifascisti e antixenofobi sono le sue avanguardie, i suoi nuovi militanti. Nel segno del politicamente corretto la lotta di classe è di nuovo attiva, tra il Progresso e la Reazione, tra i Liberatori e i sessisti, i maschilisti, gli omofobi, tra i rom, i neri, i migranti, i gay, le donne e i loro nemici. La lotta di classe diventa lotta di genere e codice linguistico; vengono colpiti i bastioni della società, la civiltà e le sue tradizioni, la nazione e i suoi confini, la famiglia e la sua struttura naturale. C’è tutta una narrazione quotidiana, pervasiva, a mezzo stampa, tv, scuola e università, col concorso attivo delle istituzioni o di grandi totem transnazionali, che fomenta in modo ossessivo questa lotta di classe e riduce ogni notiziario, ogni messaggio, ogni appello a variazioni su questi temi. E resta sullo sfondo l’incognita di come evolverà il mao-capitalismo cinese, se darà luogo a forme ibride di comunismo, in Cina, in Africa o nel mondo.

Pauperismo, accoglienza, politicamente corretto. Provate a rivedere insieme, in sequenza coordinata, i tre temi indicati. Ditemi se non si sta formando un nuovo comunismo, su tre livelli. Ditemi se un nuovo spettro non si aggira per l’Europa che somiglia maledettamente al vecchio nonno barbuto.

Ecco il PAP-comunismo. Qualcuno vedrà in quella sigla o acronimo, una perfida allusione al Papa Bergoglio che è diventato il cappellano militante di questi movimenti. Lasciamo che resti quel sospetto ma PAP-Comunismo evoca una definizione di Hegel di due secoli fa, “la pappa del cuore”. Si riferiva alla deriva etico-sentimentale, a quell’umanitarismo retorico e melenso, peloso e fumoso, antenato del buonismo. Quanti crimini si sono commessi per il bene supremo dell’umanità, persino più di quelli che sono stati commessi nel nome della razza o di altri aberranti primati… Tutto il comunismo è una promessa di redenzione sociale, un sogno di felicità e di giustizia che ha prodotto incubi, oppressioni e massacri più terribili per la storia dell’umanità. E ora sotto nuove vesti, in tre stadi, si riaffaccia nel mondo…
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