Antisemitismo, antisionismo, antisraelismo negli USA

Re: Antisemitismo, antisionismo, antisraelismo negli USA

Messaggioda Berto » dom mar 05, 2023 9:06 am

Le condizioni di Biden sull'intesa Israele-sauditi
Valeria Robecco
25 Settembre 2023

Nel suo discorso all'Assemblea Generale dell'Onu, Benjamin Netanyahu ha annunciato che Israele e Arabia Saudita sono «vicini» ad un accordo di pace «storico», spiegando che condivide con Joe Biden lo stesso ottimismo sui risultati che si possono raggiungere

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 15596.html

Nel suo discorso all'Assemblea Generale dell'Onu, Benjamin Netanyahu ha annunciato che Israele e Arabia Saudita sono «vicini» ad un accordo di pace «storico», spiegando che condivide con Joe Biden lo stesso ottimismo sui risultati che si possono raggiungere. Ora, però, emerge che il presidente americano avrebbe posto delle condizioni stringenti al premier israeliano per arrivare ad una normalizzazione dei rapporti con Riad mediata dagli Usa, allargando così gli accordi di Abramo. A rivelare il retroscena dell'incontro avvenuto tra i due leader a margine della settimana di alto livello al Palazzo di Vetro è Thomas Friedman, editorialista del New York Times due volte vincitore del premio Pulitzer, autore di numerosi saggi best-seller e uno dei più autorevoli commentatori statunitensi di affari internazionali. Se pubblicamente Biden ha ostentato cordialità, invitando Netanyahu alla Casa Bianca entro fine anno, privatamente gli avrebbe chiesto di «fare qualcosa di difficile» se vuole ottenere l'accordo di pace, ossia limitare in modo verificabile gli insediamenti ebraici in Cisgiordania, migliorare le condizioni di vita e di viaggio dei palestinesi in quella zona, estendere l'amministrazione palestinese su gran parte delle sue aree popolate in conformità con gli accordi di Oslo, concordare in generale azioni sul campo che preservino l'opzione di una soluzione a due Stati. «Bibi - scrive Friedman riportando quanto il comandante in capo avrebbe detto al leader israeliano - tu vuoi questo accordo che normalizzerebbe le relazioni tra Israele e Arabia Saudita. Lo voglio anch'io. Ma per ottenerlo, io dovrò fare qualcosa di veramente difficile: stringere un patto di mutua difesa con Riad e forse accettare una sorta di programma nucleare civile per il Regno sotto stretto controllo. Il leader saudita, il principe ereditario Mohammed bin Salman, dovrà fare qualcosa di veramente difficile: normalizzare le relazioni tra la sede dei due luoghi più santi dell'Islam, La Mecca e Medina, con lo Stato ebraico. E ora dovrai fare anche tu qualcosa di difficile».

A complicare le cose c'è che l'attuale coalizione di governo di Netanyahu sostiene l'annessione della Cisgiordania a Israele e quindi il premier dovrebbe puntare ad un governo diverso, di unità nazionale. Secondo Friedman, Biden avrebbe detto al premier queste parole: «Ora, Bibi, come tuo caro, vecchio e buon amico non mi permetterei mai di chiederti di fare esplodere la tua folle coalizione accettando condizioni che i suprematisti ebraici di estrema destra del tuo governo non accetterebbero, fare questo sarebbe interferire nei tuoi affari interni. Ti dico solo che hai dei compiti da fare, mio caro vecchio, buon amico, e devi consegnarli nelle prossime settimane».

Per l'editorialista del Nyt quella di Biden «è stata una lezione magistrale su come un presidente Usa impone una decisione fatidica a un leader israeliano, che pone su di lui la sfida più straziante della sua carriera politica. Ossia o fai saltare in aria il governo estremista che hai costruito per tenerti fuori di prigione - e lo sostituisci con una coalizione di unità nazionale - oppure fai saltare la possibilità di una pace con l'Arabia Saudita, che potrebbe aprire la strada all'accettazione di Israele in tutto il mondo musulmano». Parlando all'Onu, Netanyahu ha detto che gli accordi del 2020 per normalizzare le relazioni con tre stati arabi hanno segnalato «l'alba di una nuova era di pace», e ora «siamo al culmine di una svolta ancora più cruciale nella pace storica con Riad». Sui palestinesi, però, ha ammonito che non devono avere «il veto su nuovi trattati di pace con altri stati arabi».



Netanyahu: "Più vicina la pace con i palestinesi"
Fiamma Nirenstein
23 settembre 2023

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... VWQM0v9gPM

Ètornato il primo ministro di sempre, suscitando piacere o rabbia, amore o odio: stavolta, è il grande tempo della pace per Benjamin Netanyahu. Dal podio delle Nazioni Unite, il premier dello Stato Ebraico ha rappresentato con toni alti la nuova strada di Israele, quella che può portare al mondo il triangolo magico Usa, Arabia Saudita, Israele. Nei giorni scorsi il discorso sul tema si è dipanato in incontri segreti, poi nell’incontro con Joe Biden il tema è divenuto una speranza alta nell’agenda internazionale; infine il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman ha guardato negli occhi il mondo: «Ogni giorno si compie un nuovo progresso» ha detto con voluto candore. Bibi nel 2012 portò il disegno di una bomba e un pennarello durante il discorso all’Onu: lo usò fu per segnare la linea rossa che divideva, sulla bomba stessa, l’arricchimento di uranio consentito e quello che invece metteva in mano al criminale regime degli ayatollah l’atomica.

Stavolta, anche se la minaccia iraniana e la promessa di distruggere l’atomica sono stati temi importanti, il pennarello rosso è servito, dopo aver mostrato il vecchio e il «Nuovo Medio Oriente», suscitando ancora mugugni per la mappa nella quale i Territori palestinesi - Gaza e Cisgiordania - fanno parte dello Stato ebraico e con il piccolo Stato d’Israele al centro. Eppure Netanyahu disegna una linea di speranza diritta giù per tutto il Medio Oriente, in Asia e in Africa, un piano che unisce a partire proprio da Israele in un sogno di stabilità, di benessere, di amicizia, spingendosi nel Mediterraneo verso l’Europa, tre continenti che con strutture di viaggio, rifornimento, scambio, finalmente potranno battere insieme le forze oscure contro la democrazia, l’indipendenza e l’umanità. Detto da Bibi è molto più di un sogno: è un piano di lavoro in fieri, cui ormai Biden, che ambisce al suo posto nella storia, sembra attratto.

Netanyahu deve sbrogliarsi dai suoi problemi interni, da un’opposizione che lo vuole morto politicamente: per esempio, che già critica che Israele consenta la costruzione di una struttura nucleare civile come chiede bin Salman. Ma se l’Arabia saudita ci tiene, basta che si appoggi alla Russia o alla Cina, e non avrà certo bisogno di Yair Lapid. Soprattutto è imminente la questione palestinese: Netanyahu ha tenuto un tono pacifista e interlocutorio, ha rimarcato l’incitamento, il terrore, l’antisemitismo di Abu Mazen. Ma pensa che i palestinesi debbano essere parte di un processo di pacificazione. Non ha parlato di due stati per due popoli e ha detto che non accetterà mai più, come non è stato accettato dai patti di Abramo, un veto palestinese alla pace.

Ma la strada per un accordo è costellata di concessioni cui non si capisce come potrebbero consentire i partner di destra del governo. Si vedrà: l’obiettivo è storico, Netanyahu, che ne ha parlato inserendovi anche la visione di un’intelligenza artificiale democratica e non pericolosa, di viaggi nello spazio per consentire all’uomo un grande futuro, è adesso molto determinato nella sua strategia: se per questo immagina comprensione o un governo diverso, oppure nuove elezioni; se lo scopo è così grande che il governo abbandoni lo scontro e lo segua, è tutto da vedersi.

C’è stato il tempo dell’orgoglio internazionale di Bibi, la sua capacità di fare di Israele un leader mondiale nell’economia e della tecnologia, poi la guerra vittoriosa contro il Covid, la gloria degli accordi di Abramo, le guerre con llamas, un nemico da battere ma da non cancellare con la forza, lo Scudo di Difesa e poi, insieme ai sospetti di corruzione, un cavallo di battaglia lanciato a tutta forza e poi dimostratosi privo di sostanza, da mesi e mesi la nebbia della larga rivolta contro la riforma giudiziaria che ha portato in piazza una travolgente massa di cittadini. Bibi volta pagina: pace. Vedremo se Israele raccoglie la grande sfida.



Il cadavere di Oslo
Niram Ferretti
13 Settembre 2023

http://www.linformale.eu/il-cadavere-di ... GNMhEqAlIw

Terra in cambio di pace. Era questo il presupposto con il quale il trio composto da Shimon Peres, Yitzhak Rabin e Yossi Beilin confezionò il 13 settembre di trent’anni fa la polpetta avvelenata degli Accordi di Oslo.

“Ventitré anni dopo il suo euforico varo sul prato della Casa Bianca, il ‘processo di pace’ di Oslo, tra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), si staglia come una delle peggiori calamità che abbiano afflitto il conflitto israeliano-palestinese”. scriveva nel 2016, Efraim Karsh in un suo articolo apparso sul “Middle East Quarterly”, dal titolo eloquente Why the Oslo Process Doomed Peace.

Nell’articolo, lo storico israeliano, professore emerito al Kings College di Londra, scandiva implacabilmente le funeste modalità di questa calamità, dal costo pagato in vite umane da Israele (1600 cittadini, più 9000 feriti), al rebranding di Yasser Arafat, (all’epoca ridotto a poco meno di un reietto e confinato a Tunisi), come nation builder, all’installazione nel cuore di Israele di una organizzazione terrorista tra le più sanguinarie del pianeta.

A rincalzo di Karsh, cinque anni fa, in una intervista esclusiva per l’Informale, Martin Sherman, tra i più acuti analisti politici israeliani, specificava:

“Il processo di Oslo è stato un fallimento previsto. Chiunque possedesse una conoscenza minima di elementi base di scienza politica o di discipline connesse come relazioni internazionali o teoria dello Stato nazione, sapeva che non avrebbe mai potuto funzionare. Negli anni Novanta si poteva finire in carcere per sostenere una soluzione politica sulla linea di Oslo, era considerato tradimento. Quello che sono stati capaci di fare è stato di acquisire una posizione che non solo era marginalizzata ma era anche illegale e trasformarla nel principale paradigma politico non solo a livello internazionale ma anche qui in Israele. Dunque non posso che essere d’accordo con Karsh nel giudicare Oslo un disastro. Posso solo sperare che si sbagli quando dice che è un disastro inestirpabile, in altre parole, irrevocabile”.

Gli Accordi nascevano dalla folle scommessa che un terrorista musulmano cacciato progressivamente da buona parte del Medioriente, dall’Egitto, dalla Siria, dal Libano, dalla Giordania e dal Kuwait, e riparato a Tunisi dove sarebbe stato condannato all’irrilevanza, avrebbe potuto trasformarsi in un partner per la pace.

Sotto l’egida degli Stati Uniti, che avevano riconosciuto l’OLP come interlocutore nel 1988, quando Ronald Reagan era allo scadere del suo secondo mandato, Arafat venne ripescato dal cono d’ombra e di discredito in cui si era cacciato.

Shimon Peres, il principale promotore degli Accordi, sognava ad occhi aperti un Medioriente in cui si sarebbe inverata laicamente la profezia escatologica di Isaia.

“Un Medio Oriente senza guerre, senza nemici, senza missili balistici, senza testate nucleari…un Medio Oriente che non è un campo di sterminio ma un campo di creatività e crescita“.

L’utopia di Peres, non era quella che animava Rabin, più circospetto ad abbracciare come partner per la pace Arafat, ma alla fine diventò anche lui parte sostanziale in causa nel sostenere gli Accordi, e continuò a farlo nonostante tutte le circostanze in cui il padre e padrone dell’OLP confermava la sua vera natura di lupo travestito da agnello.

C’era forse solo un punto effettivo sul quale i due principali fautori degli Accordi di Oslo convergevano, ed era la contrarietà alla nascita di un vero e proprio Stato palestinese autonomo. Per Rabin, avrebbe dovuto essere un’entità poco meno di uno Stato, mentre per Peres l’idea era che al suo posto nascesse una confederazione giordana-palestinese. Ciò non ha impedito che la formula dello Stato autonomo, sulle colline della Cisgiordania, sia rimasta in auge per trent’anni, come l’unico paradigma contemplabile, l’unica soluzione sulla strada della pace.

Sempre Martin Sherman ha elencato, in un articolo del 2018, alcune delle conseguenze nefaste prodotte dagli Accordi:

“Senza Oslo non ci sarebbe stata la seconda Intifada, non ci sarebbe stato il Disimpegno israeliano, non ci sarebbe stato lo sradicamento delle comunità ebraiche a Gush Katif, non ci sarebbe stata l’acquisizione di Gaza da parte di Hamas, non ci sarebbero stati i tunnel del terrore, né gli arsenali con i temibili razzi lanciati in direzione delle città e dei villaggi israeliani molto distanti da Gaza”.

Sarebbe ora, a trent’anni dalla sua decomposizione, di seppellirne il cadavere definitivamente.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Antisemitismo, antisionismo, antisraelismo negli USA

Messaggioda Berto » dom mar 05, 2023 9:07 am

7)
Gli USA repubblicani cacciano la liberals nera e nazi maomettana Ilhan Omar per indegnità antisemite



La nuova Camera USA a guida repubblicana e a maggioranza trumpiana.
La nuova Camera dei deputati USA a maggioranza e a guida repubblicana, a forte prevalenza trumpiana.
https://www.facebook.com/Pilpotis/posts ... pC5kYtaTTl
Capitolo 24)
Gioia grande per l'espulsione dalla Commissione Affari esteri della Camera USA, della democratica nazimaomettana Ilhan Omar per indegnità antisemite; provvedimento inappellabile votato all'unanimità dai repubblicani, contrari tutti i democratici e nel totale e vergognoso silenzio della Casa Bianca



La Camera ha votato per le rimozione della deputata Ilhan Omar dalla commissione Affari esteri

(UpwardNews)
L'Osservatore Repubblicano
23 febbraio 2023

https://www.facebook.com/ossrepubblican ... UNKjFdwnNl

La Camera dei Rappresentanti ha votato per la rimozione della deputata Ilhan Omar (Democratica del Minnesota) dalla commissione Affari esteri a causa dei suoi precedenti commenti antisemiti.
I dettagli: Il piano di estromissione della Omar è stato sostenuto dai Repubblicani del Congresso, tra cui il presidente della Camera Kevin McCarthy e da più di 2.000 rabbini che hanno firmato una lettera a sostegno della sua rimozione dalla commissione. Il rappresentante Max Miller (Repubblicano dell'Ohio) ha proposto la risoluzione alla Commissione per il Regolamento della Camera per approvare il voto in aula, affermando che i commenti della deputata Omar "hanno portato disonore alla Camera dei Rappresentanti". Il voto in aula è passato con 218 voti a favore e 211 contrari, con tutti i Democratici che hanno votato contro la risoluzione.
I commenti controversi: Ilhan Omar ha paragonato lo Stato di Israele a gruppi terroristici come i Talebani e Hamas ed ha sostenuto il movimento antisemita BDS (Boycott, Divestment, and Sanctions). La deputata ha anche perpetuato stereotipi antisemiti, come l'affermazione secondo cui la relazione tra Israele e l'America sia "tutta una questione di soldi" e che il Paese ebraico abbia "ipnotizzato" il mondo.
Perché è importante: I commenti di Ilhan Omar su Israele e sul popolo ebraico hanno sollevato preoccupazioni sul modo in cui i suoi pregiudizi possano influenzare le sue decisioni su scala globale qualora avesse mantenuto il suo posto nella Commissione per gli affari esteri, oltre al fatto che la Camera, controllata dai Repubblicani, volesse usare il suo potere per rimuovere uno degli esponenti Democratici più radicali.


Guardate come AOC si dispera difendendo l’antisemita Ilhan Omar
Tratto e tradotto da un articolo di John Nolte per Breitbart News
3 febbraio 2023

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... bart-news/

La deputata Alexandria Ocasio-Cortez (una fascista) si è arrabbiata giovedì in aula dopo che la collega deputata antisemita Ilhan Omar (odiatrice di ebrei) è stato negato un posto nella commissione Affari esteri della Camera.

L’odio di Ilhan Omar per Israele e per gli ebrei in particolare è stato più volte messo in mostra per tutto il tempo in cui è stata alla Camera. La Omar detesta anche l’America, quindi non ha molto senso avere una persona così piena di odio per la civiltà occidentale in generale tra i banchi di in una commissione di importanza vitale.

Dopo che il voto è stato deciso secondo le linee della maggioranza – 218 a 211 – per negare il seggio alla Omar, la sua collega della “Squad“, AOC, ha messo in scena una performance isterica piena di vocalità, ma con poca verità o sostanza:

[Qualcosa-qualcosa] 11 settembre. Razzismo contro i musulmani americani. Razzismo e incitamento alla violenza contro le donne di colore. [Qualcosa-qualcosa] ha minacciato la mia vita.

Poi, AOC ha messo su una vocina da finta predicatrice, che devo ammettere di non aver mai sentito…

Trascrizione parziale:

Non ditemi che si tratta di una condanna di [Qualcosa-qualcosa] antisemita. [Qualcosa-qualcosa] Laser spaziali ebraici. [Qualcosa-qualcosa] Che prendono di mira le donne di colore. [Qualcosa-qualcosa] La mia vita è stata minacciata.

Questo è ciò che si chiama esibirsi per la CNN e la MSNBC.

La cosa divertente è che gli ebrei che lavorano alla CNN e alla MSNBC si entusiasmano per AOC che difende un antisemita rabbiosa e poi inveiscono contro il “GOP malvagio e razzista” per aver negato ad un antisemita dichiarata di sedere in una commissione della Camera.

Onestamente, siamo a un punto in cui i media corporativi sono così in crisi che se un Adam Schiff (Democratico-bugiardo) o una Ocasio-Cortez o una Ilhan Omar avessero fatto esplodere Israele, il copione sarebbe stato: “I Repubblicani si scagliano contro i Democratici per aver fatto esplodere un Paese guidato dall’estremista di destra Netanyahu”.

Ecco cosa ha detto Ilhan Omar dopo aver perso il posto:

C’è l’idea che si è sospettati se si è immigrati, se si proviene da certe parti del mondo, se si ha una certa carnagione o se si è musulmani. Non è un caso che alcuni membri del Partito Repubblicano abbiano accusato il primo presidente nero, Barack Obama, di essere segretamente un musulmano. Ebbene, io sono musulmana. Sono un immigrata e, cosa interessante, vengo dall’Africa. C’è qualcuno che si stupisce del fatto che io sia stata preso di mira? Qualcuno si sorprende che io sia in qualche modo ritenuta indegna di parlare di politica estera americana? O che mi vedano come una voce potente che deve essere messa a tacere?

Ha dimenticato di dire: sono un membro della Camera che odia gli Ebreeeeiiii!

È stata l’ex presidente della Camera Nancy Pelosi (Democratica–babbiona) ad inaugurare la tradizione di negare al Partito di minoranza il diritto di inserire nelle commissioni chiunque scelga.
Allora perché tutti questi piagnistei, bugie ed isterismi?
Sono le vostre regole, signore e signori.


Ecco due demenziali esempi della stampa italiana filodemocratici USA e antisemita-antisraeliana

Usa: frasi anti-Israele, deputata dem espulsa da Commissione
Nord America
Agenzia ANSA
2 febbraio 2023
https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/ ... 52ea6.html

I repubblicani della Camera Usa hanno votato in favore dell'espulsione della democratica Ilhan Omar dalla Commissione esteri a causa di una serie di frasi contro Israele pronunciate dalla deputata qualche anno fa.
Lo riporta il Washington Post.
Il voto, 218 contro 211, è arrivato al termine di un dibattito infuocato che ha visto i repubblicani attaccare molto duramente, al limite dell'aggressione, Omar e dall'altra parte lei che ha cercato di difendersi trovandosi più volte sul punto di piangere. "La mia voce diventerà sempre più forte e la mia leadership sarà celebrata in tutto il mondo", ha detto alla fine del suo discorso la deputata di origine somala, tra le prime musulmane ad essere eletta alla Camera americana. (ANSA).


Usa, la democratica e musulmana Omar cacciata dalla commissione Esteri della Camera
di Massimo Basile
2 febbraio 2023
https://www.repubblica.it/esteri/2023/0 ... 386239080/
La deputata, nata in Somalia, era finita nel mirino per una serie di dichiarazioni ritenute antisemite. A favore dell'esclusione il voto compatto dei Repubblicani, i democratici parlano di "vendetta politica"
New York - La battaglia delle commissioni al Congresso americano ha prodotto un'altra vittima: Ilhan Omar, 40 anni, prima cittadina di origine somala eletta a Capitol Hill, prima rappresentante nata in Africa, democratica e musulmana, è stata esclusa dalla commissione Affari Esteri. Per la risoluzione con cui la Camera ne ha sancito l'esclusione hanno votato a favore 218 repubblicani.



"Israele come i talebani". Scoppia la bufera sulla deputata dem Ilhan Omar
Gerry Freda
10 Giugno 2021
https://www.ilgiornale.it/news/mondo/is ... 53476.html
Ilhan Omar, prima parlamentare americana "velata", ha finora fatto più volte discutere per le sue invettive contro Israele e pro-Palestina
"Israele come i talebani". Scoppia la bufera sulla deputata dem Ilhan Omar
La deputata americana democratica Ilhan Omar, di religione islamica nonché prima esponente del Congresso "velata", è finita ultimamente nella bufera per un suo tweet in cui "paragona Israele ai Talebani". Le parole in questione sono state pubblicate lunedì sul web dalla parlamentare di origini somale e da lei presentate come l'oggetto di un suo colloquio avuto in precedenza con Antony Blinken, il capo della diplomazia Usa.
Nel tweet in questione, la deputata del Minnesota, già nota per le sue invettive contro lo Stato ebraico e in difesa dei diritti dei palestinesi, aveva tuonato: "Dobbiamo avere lo stesso livello di responsabilità e giustizia per tutte le vittime di crimini contro l’umanità. Abbiamo visto atrocità impensabili commesse da Stati Uniti, Hamas, Israele, Afghanistan e Talebani. Ho chiesto al Segretario Blinken dove le persone dovrebbero andare per la giustizia".
La Omar aveva poi diffuso un video in cui ricostruiva la sua conversazione con Blinken, dichiarando di avere chiesto allora a quest'ultimo "quali meccanismi sono in atto negli Stati Uniti per le vittime di presunti crimini contro l’umanità in Israele, Palestina e Afghanistan".
Dopo avere di fatto equiparato Israele, Hamas e Talebani, la parlamentare del Minnesota aveva denunciato: "Se i tribunali nazionali non possono o non vogliono perseguire la giustizia, e ci opponiamo alla Corte penale internazionale, dove pensiamo che le vittime di questi presunti crimini dovrebbero andare per ottenere giustizia?".
Il paragone tra lo Stato ebraico e i fondamentalisti islamici afghani ha subito infiammato il web, con forti critiche lanciate contro la deputata democratica. Più volte in passato, gli avversari politici repubblicani della Omar hanno tentato di farla dimettere da ogni incarico parlamentare proprio a causa delle sue posizioni estremiste e anti-Israeliane. Ad esempio, qualche settimana fa, durante il conflitto nella Striscia di Gaza, la dem aveva pubblicato su Internet il seguente messaggio: "Gli attacchi aerei israeliani, che uccidono civili a Gaza, sono un atto di terrorismo. Molti ti diranno che Israele ha il diritto di difendersi, alla sicurezza e alla protezione, ma tacciono sul fatto che anche i palestinesi abbiano quegli stessi diritti". Nel 2002, inoltre, la futura deputata aveva diffuso in rete un post ancora più incendiario: "Israele ha ipnotizzato il mondo. Allah risveglia la gente e aiutarli a vedere le cattive azioni di Israele".


Ecco le reazioni dei sinistrati USA al più che giusto e legittimo rifiuto di lasciare entrare in Israele queste due nazimaomettane antisemite e anti israeliane.

Israele nega l'accesso alle americane Ilhan Omar e Rashida Tlaib
Team JOI
16 Agosto 2019
https://www.joimag.it/prima-pagina-isra ... ida-tlaib/
Israele blocca l’ingresso a due deputate americane, Ilhan Omar e Rashida Tlaib. Avevano in programma un viaggio congressuale tra Israele e West Bank in questa settimana.
Omar e Tlaib sono le prime due donne musulmane elette al congresso e le sole rappresentanti della campagna BDS, Boycott, divestment and sanctions contro Israele. Per la legge israeliana, il ministro degli interni può bloccare l’ingresso ai sostenitori del BDS, con l’eccezione dei casi in cui questa decisione potesse compromettere relazioni internazionali con lo stato. Ma il presidente Trump ha sostenuto le posizioni del governo israeliano: “Sarebbe stato un gesto di debolezza se Israele avesse accolto Omar e Tlaib” ha scritto su Twitter “Perché odiano Israele e tutti gli ebrei e non c’è nulla che possa cambiare la loro visione”.

Shoshanna Keats Jaskoll in un editoriale su The Forward commenta le scelte di Israele, il suo paese. “è una decisione folle”, scrive, “Benché io capisca il desiderio di chiudere le porte a chi è stato estremamente negativo verso Israele, a chi ha fatto commenti antisemiti e a chi promuove e difende il movimento di boicottaggio contro il mio Paese, penso che questa sia una mossa sbagliata. Non fa che nutrire la loro narrazione che prevede un Israele intollerante, che nasconde qualcosa e bigotto”. Quindi l’autrice riprende quanto ha twittato Trump per rispondere in maniera decisa: “Personalmente, penso dovrebbero entrare, con tutti i partecipanti al convegno e incontrare, come era previsto nei loro piani, gruppi palestinesi a West Bank e Guraselemme. E se volessero davvero capire il conflitto e cercare una soluzione di pace, potrebbero visitare il porto di Tel Aviv di sera, dove musulmani e ebrei condividono queste calde notti estive. Potrebbero conoscere le organizzazioni che a Gerusalemme Est lavorano con la popolazione araba locale, potrebbero recarsi a Haifa dove la popolazione studentesca è composta per il 41% da arabi e mi piacerebbe molto che prendessero parte a un incontro dei gruppii che lavorano per il dialogo interreligioso in appuntamenti bisettimanali con ebrei israeliani e l’autorità palestinese per i giovani. Ma tutto questo, grazie al mio ministro dell’interno, non accadrà mai”. Sulla stessa testata giornalistica Emma Golberg firma un altro articolo dal titolo Ecco come finisce la democrazia in Israele, in cui riporta una serie di fatti che culminano in quello attuale per mostrare un percorso verso la fine dell’idea democratica.
Il Jerusalem Post riporta alcuni commenti di democratici americani postati su twitter tra cui quelli di Kamala Harris (“Non credo che nessuna nazione possa negare l’accesso a membri eletti del Congresso. È un affronto agli Stati Uniti”) e Alxandria Ocasio-Cortez (“La decisione discriminatoria di Netanyhau danneggia la diplomazia internazionale. Visitare Israele e la Palestina sono le esperienze chiave lungo un sentiero per la pace. E purtroppo non posso progettare acuna visita in Israele finché non verranno ammessi in quello stato tutti i membri del Congresso”).
Il New York Times commenta così: “Fa venire il mal di pancia pensare che il presidente americano faccia pressione a Israele affinché neghi l’accesso a due membri del Cogresso degli Stati Uniti. Ci sono poche manifestazioni del decoro che il presidente Trump non abbia ancora calpestato da quando è alla Casa Bianca. Ma mettere a rischio, in modo cinico, la relazione speciale dell’America con Israele solo per titillare i bigotti della sua base, appoggiarsi così bruscamente a un leader straniero per punire i suoi avversari politici, è un nuovo territorio anche per lui”. E qual è il motivo di un simile comportamento? La risposta si trova n una disamina di quelle sono le reali paure dei due presidenti, in risposta al titolo dell’articolo: Di cosa hanno paura Trump e Netanyahu?




Alberto Pento

Tra i peggiori antisemiti e anti israeliani USA vi è da annoverare il presidente democratico mulatto Barack Obama cresciuto con la famiglia cristiana della madre ma di orientamento liberals, perché il padre mussulmano se ne era andato.
Uno dei peggiori presidenti degli USA che ha incentivato la diffusione della criminale e razzista Teoria Critica della Razza contro i bianchi e il suprematismo nero e quello nazimaomettano dei Fratelli Mussulmani. Dopo questa orrida esperienza gli USA si guarderanno bene dall'avere un'altro presidente nero o mulatto.
Sulla scia di questo primo presidente mulatto razzista, antibianco, antisemita e filo nazimaomettano vi è il suo ex vice il demenziale democratico Biden sia pure un pò titubante e con qualche ripensamento.
Obama era un irresponsabile e malvagio filo nazimaomettano, stava con i fratelli Mussulmani promuovendogli ovunque, stava con i terrosti nazimaomettani palestinesi contro Israele e i suoi ebrei, ha promosso la criminale politica dell'Iran e la sua nuclearizzazione militare contro Israele e i suoi ebrei, ha promosso una ONU antisraeliana, veramente un uomo scriteriato e malvagio, antisemita e antibianco il peggio degli USA.

Obama nemico di Israele

Giuseppe Giannotti - Esperto di Medio Oriente
1 Aprile 2016

https://www.progettodreyfus.com/obama-n ... i-israele/

Obama nemico di Israele. Ormai è un fatto accertato. Il presidente degli Stati Uniti, il peggiore di sempre dal punto di vista israeliano, ormai non tenta neppure più di nascondere la sua aperta ostilità verso lo Stato ebraico. E se i primi messaggi di chiusura erano in qualche modo ovattati, ora , senza più alcuna forma di prudenza, Barack Hussein Obama (questo il suo nome completo), padre musulmano, ha messo Israele decisamente nel mirino. L’ultima accusa, come ho già avuto modo di riferire, è paradossale. Sulla questione israelo-palestinese il presidente americano, nell’annunciare che sotto la sua amministrazione non si arriverà alla soluzione di due Stati, ha dato la colpa a Israele, a causa del suo benessere. “La società israeliana – ha detto – ha un così alto successo economico che, partendo da una posizione di forza, è meno disposta a fare concessioni ai palestinesi. E dall’altra parte i palestinesi a causa della loro debolezza, non hanno coesione politica e organizzazione per entrare in un negoziato che li porti ad avere quello di cui hanno bisogno. Così entrambe le parti restano in angoli separati”. “Quello che non è avvenuto in sessant’anni – ha concluso Obama – non potrà accadere nei prossimi nove mesi”.
Analisi curiosa che non tiene conto, ad esempio, della lotta interna tra Hamas e Autorità Nazionale palestinese, o dell’incitamento al terrorismo da parte della stessa Anp, che non solo non ha mai condannato gli attacchi con i coltelli portati dalla sua gente negli ultimi mesi, ma ha espresso solidarietà per gli attentatori uccisi, definiti, come consuetudine, dei martiri.

Ma questa è solo l’ultima uscita di un presidente che, avviandosi mestamente a concludere il suo secondo mandato, si rende conto di aver fallito totalmente la sua politica internazionale. Obama è stato ridicolizzato da Putin nella lotta all’Isis: in poche settimane gli aerei russi hanno fatto quello che gli Stati Uniti non sono riusciti o non hanno voluto fare in due anni. E la recente riconquista di Palmira da parte delle forze di Assad, sostenute dall’aviazione russa, e salutata con soddisfazione in tutto il mondo, con funzionari dell’Unesco che pensano già a come restaurare il sito archeologico, ha trovato invece il mutismo del britannico Cameron e la reazione stizzita degli Stati Uniti. “Non intendiamo dare il benvenuto ad attacchi dell’esercito siriano per riconquistare Palmira – ha dichiarato il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Mark Toner – Sostituire la barbarie dell’Isis con la tirannia del regime di Assad non è una buona soluzione”. Ma Obama si è dimostrato incerto e balbettante non solo sulla posizione da tenere nei confronti della crisi siriana, ma anche sull’Egitto, sull’Iraq e sulla Libia, mettendo tutte le sue energie contro Israele.

Islamic Society of North AmericaDel resto, che Obama non avrebbe seguito le orme dei sui predecessori nei forti legami con Israele, lo si doveva capire da subito. Nel gennaio 2009 Obama scelse Ingrid Mattson, presidente dell’Islamic Society of North America, gruppo affiliato ai Fratelli Musulmani, per recitare una preghiera alla cerimonia del suo insediamento alla Casa Bianca. Due giorni dopo, Obama la sua prima telefonata a un leader straniero la riservò al presidente dell’Anp, Abu Mazen. E rilasciò la prima intervista televisiva da presidente degli Stati Uniti all’emittente Al Arabiya. Prima uscita all’estero in un Paese arabo, al Cairo, per indirizzare il suo messaggio al mondo musulmano. In quell’occasione disse dei palestinesi: “Sopportano l’umiliazione giornaliera che deriva dall’occupazione. Una situazione intollerabile. L’America non volterà le spalle alle legittime aspirazioni dei palestinesi di avere un loro proprio Stato”. E naturalmente condannò fermamente la politica israeliana degli insediamenti in Cisgiordania.
Emblematica, nel 2010 la differenza tra i messaggi inviati agli ebrei per la festa di Rosh haShanà (il Capodanno ebraico) e ai musulmani per il Ramadan. Nel messaggio per il Ramadan, molto caloroso, il presidente citò ripetutamente i musulmani e l’Islam, sottolineando ”lo straordinario contributo dato dai musulmani americani al Paese”, ed elogiando “il ruolo dell’Islam nell’avanzamento della giustizia, nel progresso nella tolleranza e nella dignità di tutti gli esseri umani”. Nel messaggio per Rosh haShanà, Obama rilasciò una breve e generica nota, auspicando la creazione di uno Stato palestinese, senza menzionare mai quanto hanno dato gli ebrei per lo sviluppo degli Stati Uniti. Superfluo ogni commento.

Altri segnali dell’ostilità di Obama verso Israele: nel settembre 2011, in un discorso di commemorazione dieci anni dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre, citò le vittime del terrorismo che siano “a New York o Nairobi, Bali o Belfast, Mumbai o Manila, o Lahore o Londra” senza fare alcuna menzione a Tel Aviv, Gerusalemme o Sderot, colpite a ripetizione dagli attacchi terroristici dei palestinesi.
Nel 2014, secondo voci mai smentite, il presidente Obama minacciò l’abbattimento di caccia israeliani se avessero tentato di bombardare infrastrutture nucleari iraniane. E in contrapposizione agli Stati Uniti, secondo un’autorevole fonte europea, l’Arabia Saudita si sarebbe detta disposta a concedere il suo spazio aereo agli aerei israeliani in caso di attacco all’Iran.

obama-iran-L’accordo sul nucleare raggiunto nel luglio scorso tra Teheran e i 5+1, ovvero i membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu con potere di veto (Regno Unito, Francia, Stati Uniti, Russia e Cina, più la Germania) ha ulteriormente peggiorato i rapporti Usa-Israele. A gennaio sono state revocate le sanzioni contro l’Iran tra le proteste, inascoltate, di Israele, che chiedeva di includere nell’accordo l’obbligo all’Iran di riconoscere lo Stato ebraico. “L’accordo con l’Iran – precisò Obama in persona – non includerà questa richiesta”.
A gennaio 2015, nel commentare gli attacchi terroristici di Parigi, al supermercato kosher, lo stesso giorno dell’attacco a Charlie Hebdo, Obama ha negato che fosse terrorismo islamico o che fosse un atto antisemita, parlando di un attentatore che “ha sparato a caso su un gruppo di persone in un negozio”. Frase che ha indignatole comunità ebraiche e creato imbarazzo anche alla Casa Bianca e che ha costretto il suo portavoce a spiegare che “il presidente voleva dire che in quel negozio c’erano anche altre persone non della comunità ebraica”. Spiegazione, naturalmente, assolutamente non convincente.

A peggiorare la situazione tra Stati Uniti e Israele anche i difficili rapporti tra Obama e Netanyahu. La Casa Bianca, ad esempio, non ha fatto le congratulazioni a Netanyahu per la sua rielezione, nel marzo 2015, indirizzando un messaggio generico, quanto ridicolo, agli israeliani: “Ci vogliamo congratulare con il popolo israeliano per il processo democratico per l’elezione nella quale sono stati impegnati tutti i partiti che vi hanno preso parte”. In Israele, se lui non lo sa, si vota democraticamente dal 1948, anno di fondazione dello Stato ebraico. Ben diverso, invece, l’anno prima, il comportamento in occasione della rielezione di Erdogan in Turchia, con una calorosa telefonata di congratulazioni di Obama al leader turco durata 45 minuti.
Infine, a febbraio di quest’anno, sull’esempio di quanto fatto dall’Unione europea, Obama ha emesso una direttiva che impone l’etichettatura dei prodotti provenienti da aziende israeliane presenti in Cisgiordania. Su questo tema c’era già un’ordinanza del 1995, ma che di fatto negli Stati Uniti non era mai stata applicata. E c’è da chiedersi ora che altro possa fare Obama contro Israele di qui a novembre, fine del suo mandato.



L’ultimo boomerang dell’amministrazione Obama
La risoluzione del Consiglio di Sicurezza rafforza i nemici di Israele, del negoziato e del compromesso per la pace
Editoriale del Jerusalem Post e altri
27 Dicembre 2016

https://www.israele.net/lultimo-boomera ... ione-obama

La rappresentante Usa al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, Samantha Power, si astiene alla votazione di venerdì scorso sulla risoluzione 2334, permettendone l’approvazione

Nel difendere la decisione degli Stati Uniti di astenersi sul voto del Consiglio di Sicurezza che condanna Israele per gli insediamenti, l’ambasciatrice americana all’Onu Samantha Power ha detto che il voto è in linea con la tradizionale posizione politica degli Usa. Tecnicamente, è vero. Ma perché ora? E perché al Consiglio di Sicurezza? Dopo aver sperimentato per otto anni l’intransigenza palestinese (che ha sistematicamente rifiutato ogni realistica soluzione di compromesso e si rifiuta di sedere al tavolo dei negoziati), il presidente americano uscente e i suoi consiglieri dovrebbero essere ben consapevoli che la risoluzione 2334 di venerdì scorso non farà che rafforzare il rifiuto dei palestinesi a negoziare. È esattamente lo stesso errore che fece Barack Obama all’inizio della sua carriera presidenziale, quando chiese a Israele di attuare il blocco totale di tutte le attività edilizie al di là della ex-linea armistiziale del ’49-’67, comprese Gerusalemme e alture del Golan. Una richiesta che servì solo a indurire la posizione palestinese: la dirigenza palestinese, infatti, come poteva pretendere qualcosa di meno del blocco totale delle attività edilizie israeliane negli insediamenti come precondizione per negoziare, dopo che lo aveva chiesto lo stesso Obama?

Anche la risoluzione di venerdì scorso, lungi dall’incoraggiare i palestinesi a negoziare con Israele, non farà che rafforzare in loro la convinzione che i colloqui diretti con Israele sono inutili e che la cosa migliore da fare, dal loro punto di vista, è internazionalizzare il conflitto portando il mondo a fare pressione su Israele. (Come ha scritto Fred Guttman su Times of Israel, la risoluzione premia i capi palestinesi per non essersi impegnati in negoziati diretti.)

Obama ha deciso di prendere questa posizione proprio alle Nazioni Unite, un ente noto per la sua ossessiva fissazione contro Israele (recentemente ammessa dallo stesso Segretario Generale). Il presidente degli Stati Uniti avrebbe potuto fare un importante discorso politico su Israele dal prato della Casa Bianca, oppure davanti al Congresso. Invece ha scelto l’Onu. Nel solo 2016 l’Assemblea Generale dell’Onu ha adottato 18 risoluzioni contro Israele, e il Consiglio di Sicurezza ha adottato 12 delibere specificamente dedicate a Israele: “più di quelle centrate su Siria, Corea del Nord, Iran e Sud Sudan messe insieme”, come ha osservato la stessa Power nel discorso in cui tentava di spiegare l’inspiegabile l’astensione degli Stati Uniti.

Non basta. La risoluzione 2334 è ancora più assurda in quanto non fa alcuna distinzione tra luoghi di Gerusalemme come la Città Vecchia, il Kotel (Muro del pianto), i quartieri ebraici della città come Ramat Eshkol (ovviamente destinati a restare israeliani in qualunque accordo futuro), e gli insediamenti isolati con poche decine di residenti creati nel cuore di Giudea e Samaria (Cisgiordania). Una distinzione indispensabile per qualunque concreto negoziato, che anche per questo risulterà danneggiato dalla risoluzione.

Messaggio ricevuto. Fatah, il movimento che fa capo ad Abu Mazen, ha postato su Facebook l’immagine di un coltello con la forma e i colori della “Palestina” che pugnala gli “insediamenti”. Il testo ringrazia i paesi che hanno votato a favore della risoluzione del Consiglio di Sicurezza (Russia, Angola, Ucraina, Giappone, Spagna, Egitto, Malaysia, Venezuela, Nuova Zelanda, Senegal, Uruguay, Francia, Cina e Gran Bretagna). Naturalmente la mappa della “Palestina” comprende tutto Israele, considerato dai palestinesi un unico insediamento da cancellare dalla carta geografica

Ancora più deleterie, per il negoziato, saranno le conseguenze della risoluzione 2334. Essa infatti darà nuova linfa al movimento BDS (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele): in particolare, la clausola 5 della risoluzione che invita le nazioni del mondo “a distinguere tra i territori dello stato di Israele e i territori occupati nel 1967”. Solo un passo separa la delegittimazione di quartieri, città e istituzioni ebraiche al di là della ex-linea armistiziale del ’67, dalla delegittimazione di tutto Israele in quanto tale.

Persino gli attentati terroristici contro ebrei residenti dei “territori” potranno in qualche modo appellarsi ai principi giuridici e morali espressi in questa risoluzione delle Nazioni Unite, dal momento che ogni ebreo – anche un bambino – che vive in quelle aree potrà essere descritto, stando al Consiglio di Sicurezza, come un fuorilegge e un “ostacolo alla pace”.

Non si può che deplorare questa decisione presa da Obama al crepuscolo del suo mandato: essa danneggia gravemente le possibilità di riavviare negoziati diretti fra le parti, rafforza le campagne BDS che sono contro il negoziato e la pace, e insolentisce Israele (altra mossa non esattamente favorevole al dialogo e al compromesso). Nonostante tutto l’aiuto che la sua amministrazione ha garantito al rafforzamento della difesa israeliana, questo è il lascito con cui Obama verrà ricordato in Israele.

(Da: Jerusalem Post, 26.12.16)

Gil Hoffman

Scrive Gil Hoffman, sul Jerusalem Post: «Forse non essendo stato informato che l’opinione pubblica moderata israeliana sostiene i blocchi di insediamenti a ridosso della ex linea armistiziale, e che persino gran parte della sinistra israeliana appoggia le costruzioni nei quartieri ebraici di Gerusalemme, Barack Obama si è scagliato indistintamente contro tutte le attività edilizie israeliane al di là della “linea verde” dall’inizio della sua presidenza fino alla fine, culminando con la risoluzione di venerdì scorso al Consiglio di Sicurezza. Durante questi otto anni ci sono stati in tutto solo nove mesi di negoziati diretti tra Israele e palestinesi, e non è un caso se quei negoziati si sono tenuti proprio nei nove mesi in cui l’amministrazione Obama ha evitato di pronunciarsi contro le costruzioni israeliane nei blocchi di insediamenti e nei quartieri ebraici di Gerusalemme. E non è un caso se quei colloqui non sono andati al di là di nove mesi, perché Obama interferì nel processo diplomatico riportando tutta l’attenzione sugli insediamenti. Il giorno seguente, il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) convocò una conferenza stampa a Ramallah in cui dichiarò che la condizione per andare avanti con i negoziati era il congelamento totale degli insediamenti. Dopo otto anni di presidenza Obama, il campo dei favorevoli al negoziato e alla pace è a pezzi. Grazie alle sue politiche e dichiarazioni ad effetto boomerang, l’amministrazione Obama ha ottenuto il risultato esattamente opposto a quello dichiarato di perseguire una pace negoziata da israeliani e palestinesi.» (Da: Jerusalem Post, 25.12.16)

Dennis Ross

«Se c’è una parte della risoluzione che può essere potenzialmente molto problematica per il futuro – ha spiegato l’ex diplomatico Usa Dennis Ross (citato da Times of Israel) – è il suo riferimento agli insediamenti come “illegali”. Questo può creare grossi problemi alla possibile formula per risolvere prima o poi la questione dei confini. Come è noto, infatti, un modo per assorbire un numero significativo di coloni israeliani sarebbe quello di permettere a Israele di trattenere i blocchi di insediamenti che sorgono su una piccola parte della Cisgiordania; in cambio gli israeliani cederebbero territorio ai palestinesi a titolo di risarcimento. Ma questo non sarà reso molto più difficile dal momento che tutti gli insediamenti vengono dichiarati “illegali”? Rendere il concetto di scambi territoriali molto più difficile da attuare (e dunque rendere molto più difficile una soluzione di pace negoziata) non è probabilmente l’eredità che il presidente Obama desiderava lasciare, e tuttavia potrebbe essere proprio quella che ha appena reso più probabile.»

Boaz Bismuth

Scrive Boaz Bismuth, su Israel HaYom: «Il mondo è a posto, ora può festeggiare il Natale e il Capodanno con la coscienza pulita. Perché, mentre il vecchio ordine mondiale crolla – Aleppo è solo il sintomo dell’epoca in cui Barack Obama ha preso il Nobel per la pace – gli “anziani” del villaggio globale hanno deciso che la colpa del conflitto israelo-palestinese è degli ebrei che vivono al di là della ex linea armistiziale ’49-’67. Come avevamo fatto a non capirlo? Per la verità, il conflitto israelo-palestinese esisteva già decenni prima che nascesse il primo insediamento, ma da quando contano i fatti? Tanto il mondo sa come trarre vantaggio dall’amicizia con Israele, quando gli occorre, in una serie di campi: dalla tecnologia, all’high-tech, alla medicina, all’agricoltura, alla guerra al terrorismo. Ma quando si tratta dei forum internazionali, c’è l’intoppo di quella grande macchina, ipocrita e corrotta, nota come Onu, che adotta risoluzioni che non fanno che rafforzare il pregiudizio antiebraico nel mondo e favorire il movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni contro Israele. Improvvisamente paesi come il Senegal, la Malesia, la Nuova Zelanda e – udite – il Venezuela sanno meglio dell’Egitto cosa è più opportuno e urgente in questo momento per il turbolento Medio Oriente, e sono pronti a proporre una risoluzione contro Israele. Perché deludere i palestinesi? Perché deludere il mondo? Perché deludere Obama? Quest’ultimo decennio non ha forse dimostrato che il conflitto israelo-palestinese è la fonte di tutti i problemi del mondo? Qualcuno ricorda che solo pochi mesi fa l’Unesco, l’agenzia “culturale” dell’Onu, ha deciso con un voto che gli ebrei non hanno alcun legame con Gerusalemme? Come meravigliarsi, dunque, se suo fratello maggiore, il Consiglio di Sicurezza, ha votato venerdì scorso che il quartiere ebraico della Città Vecchia di Gerusalemme non è Israele? Certo, Washington e Parigi ci diranno che hanno chiesto che la versione finale della risoluzione includesse una condanna degli atti violenti contro i civili. Ma è solo fuffa. Quello che spicca è l’accusa, e l’accusa indica le costruzioni negli insediamenti come il motivo per cui il conflitto continua. Il rifiuto dei palestinesi di riconoscere lo stato ebraico, il terrorismo, l’istigazione all’odio contro Israele nelle moschee, nelle scuole e dappertutto, l’incapacità dei palestinesi di governare il loro territorio, il violento conflitto tra i palestinesi di Fatah in Cisgiordania e quelli di Hamas nella striscia di Gaza, le alleanze di Hamas con i più violenti estremisti del Medio Oriente: tutto questo non è altro che un dettaglio secondario. Hamas? Terrorismo? Il rifiuto di riconoscere persino il centro di Tel Aviv come legittimo territorio israeliano? Nulla di tutto questo è un ostacolo alla pace. Lo sono gli ebrei che vivono a Gerusalemme nei quartieri di Gilo, Itamar, Neveh Yaakov, Pisgat Zeev e French Hill. Ecco di chi è la colpa. Ora il mondo può dormire sonni tranquilli. Gli suggeriamo solo di tenere d’occhio i camion sospetti che corrono nel mezzo delle sue città: un voto come quello di venerdì, statene certi, non riporterà affatto la calma e la sicurezza. Al contrario, darà un forte incentivo a tutti coloro che esercitano il terrorismo come fonte di potere e di ricatto.» (Da: Israel HaYom, 25.12.16)
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Antisemitismo, antisionismo, antisraelismo negli USA

Messaggioda Berto » dom mar 05, 2023 9:08 am

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Re: Antisemitismo, antisionismo, antisraelismo negli USA

Messaggioda Berto » dom mar 05, 2023 9:08 am

8)
Antisemitismo di certi demenziali cristiani battisti USA che continuano calunniosamente ad accusare gli ebrei di deicidio



Compiono 75 anni le 10 tesi contro l’antisemitismo
Voce Evangelica
Regula Pfeifer
23 agosto 2022

Dialogo
Frutto della Conferenza di Seelisberg in Svizzera svoltasi nell’agosto del 1947

https://www.voceevangelica.ch/voceevang ... anni-.html
I partecipanti alla Conferenza di Seelisberg nel Canton Uri (foto: Archiv für Zeitgeschichte ETHZ)

La Conferenza di Seelisberg nell’estate del 1947 è considerata la culla del dialogo ebraico-cristiano. L’ebreo francese Jules Isaac chiedeva allora di ritirare l’accusa di deicidio nei confronti degli ebrei. Diversi anni dopo la richiesta otterrà ascolto anche da parte di papa Giovanni XXIII.

Intervista con Martin Steiner dell’Istituto di ricerca ebraico-cristiana dell’Università di Lucerna.

La Conferenza di Seelisberg viene descritta come la “culla del dialogo ebraico-cristiano”. Come si è giunti alla decisione di tenere la conferenza in Svizzera?
La conferenza ha avuto luogo due anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale. I suoi organizzatori principali si trovavano negli USA, in Gran Bretagna e in Svizzera. In Svizzera c’era l’Amicizia ebraico-cristiana (CJA). Di qui il collegamento con la Svizzera.
Oltre ai legami internazionali con i partecipanti svizzeri ci furono altri motivi concreti per la scelta della Svizzera quale sede dell’incontro: risparmiata dalla guerra, c’erano qui le infrastrutture necessarie per organizzare un convegno internazionale. Furono inoltre decisivi la posizione centrale in Europa e il fatto di essere la sede di organizzazioni internazionali. La scelta, poi, di Seelisberg nel canton Uri, invece di Zurigo o di Ginevra, dipese, oltre che dai costi, semplicemente dal fatto che uno dei due segretari del convegno, lo svizzero Pierre Visseur, nel 1946 aveva trascorso le ferie negli alberghi Kulm e Sonnenberg.

Qual era lo scopo della conferenza?
Lo scopo era di combattere l’antisemitismo a tutti i livelli: politico, sociale e religioso. Fu questo a indurre circa 70 persone da 19 paesi a raggiungere Seelisberg. Il gruppo più numeroso era costituito dai partecipanti ebrei, seguiti dai partecipanti protestanti. I cattolici erano soltanto nove, tra cui due ebrei convertiti e una donna, Marie-Madeleine Davy, direttrice degli studi presso l’École pratique des hautes études di Parigi.

Perché la conferenza era necessaria?
Dopo la Seconda guerra mondiale permaneva nella società un’indomita mentalità antisemita; nonostante la Shoah, ossia il genocidio di ebree e ebrei da parte dei nazisti.

A chi si deve l’idea iniziale dell’incontro?
Nel 1946 si svolse nella britannica Oxford una conferenza preliminare in cui erano già rappresentate le medesime istituzioni. Tra i presenti c’era anche il pastore presbiteriano statunitense Everett Clinchy. Lui, il sacerdote cattolico John Ross e il rabbino Morris Lazaron erano noti come il Tolerance Trio, che dal 1928 girava gli USA per promuovere il dialogo interreligioso. I partecipanti decisero una replica dell’incontro incentrata sulla lotta all’antisemitismo nell’Europa del dopoguerra - che ebbe infine luogo a Seelisberg.

Chi venne invitato?
A parte alcuni rappresentanti di organizzazioni come l’UNESCO, l’ONU o il Consiglio ecumenico delle Chiese, furono interpellati principalmente singoli individui, per esempio persone che erano state impegnate nell’aiuto ai profughi o che erano diventate profughe esse stesse. Alcuni dei partecipanti avevano perduto familiari nella Shoah. Furono anche invitati esperti nel campo della formazione e dell’antisemitismo, tra questi lo storico e ricercatore sull’antisemitismo Jules Isaac.

Quale fu il suo contributo specifico?
Nel 1943 Isaac aveva iniziato a scrivere un libro significativo. Si intitolava “Gesù e Israele”. Il libro divenne importante per Seelisberg, poiché da esso derivarono i successivi “Dieci punti di Seelisberg”. Il libro contiene 28 proposte dottrinali concernenti ciò che nella Chiesa e nella teologia deve cambiare affinché l’antisemitismo al loro interno scompaia. Su tali basi Isaac formulò 21 tesi da cui, nella terza commissione della Conferenza di Seelisberg, sono stati sviluppati i noti dieci punti.

Cosa chiedeva Jules Isaac?
Lo storico francese respingeva in particolare, storicamente e teologicamente, l’accusa di deicidio nei confronti degli ebrei. Ha avuto un ruolo anche un concetto presente nel Catechismo di Trento del 1566, secondo il quale Cristo è morto per i peccati di tutti gli uomini. Era quindi possibile argomentare teologicamente contro l’accusa di colpa collettiva degli ebrei per la morte in croce di Cristo.

Come andò a finire?
La conferenza permise la correzione della dottrina antiebraica nel cristianesimo. In particolare venne corretta l’accusa di deicidio nei confronti degli ebrei. Allo stesso tempo vennero ricordate le radici ebraiche del cristianesimo e quindi che Gesù, Maria, gli apostoli e i primi martiri erano ebrei. L’ambasciatore della Repubblica francese presso la Santa Sede, Jacques Maritain, scrisse in un messaggio di saluto ai partecipanti alla conferenza di Seelisberg che l’antisemitismo è un peccato. E che, fin quando l’Europa avesse portato dentro di sé quel peccato, non avrebbe potuto dirsi cristiana.

Martin Steiner, ricercatore dell'Università di Lucerna

C’erano altre personalità di spicco alla conferenza?
Sì, a Seelisberg si incontrarono molte personalità importanti dell’epoca. Vorrei ricordare il rabbino capo di Ginevra Alexandre Safran. Fu invitato perché in precedenza era riuscito a salvare più di 300.000 ebrei in Romania. Nel 1947, sotto il nuovo regime comunista, dovette emigrare e nel 1948 divenne rabbino capo a Ginevra. Per tutta la durata della sua vita si impegnò per il dialogo ebraico-cristiano.

Come riuscì a salvare così tanti ebrei?
A causa del sistema politico in Romania. In quanto rabbino capo era automaticamente membro del Senato romeno. In realtà, nel 1940 la qualità di membro del Senato gli venne revocata, ma mediante un’azione astuta e coraggiosa poté intervenire presso dignitari ecclesiastici e statali in favore della popolazione ebraica. Così, dopo aver sollecitato il patriarca romeno-ortodosso Nicodim Munteanu, riuscì a farlo intervenire presso il dittatore Ion Antonescu per ottenere la revoca dell’obbligo di indossare la stella ebraica. Grazie a reti diplomatiche con la regina madre Elena e il nunzio riuscì a impedire una deportazione di ebree e ebrei romeni in Transnistria.

Quale fu il contributo di Alexandre Safran alla conferenza di Seelisberg?
Fece parte della commissione che adottò i “Dieci punti”. Tuttavia è difficile stimare il contributo dato dai singoli membri, in quanto le discussioni non vennero verbalizzate.

Erano presenti altre persone che si erano distinte nell’aiuto ai profughi?
C’era la svizzera Clara Ragaz, pacifista evangelica e suffragista all’inizio del XX secolo e molto impegnata nell’aiuto ai profughi. Clara si è molto impegnata insieme con il marito e pastore Leonard Ragaz a favore del dialogo ebraico-cristiana. La sua fu tra le più significative presenze riformate alla conferenza.

Gertrud Kurz con una profuga, 1967

Quale fu il suo contributo?
Clara era vicepresidente della commissione che si occupava delle azioni nell’ambito dei servizi sociali e civici. Questa commissione, come tutte le altre commissioni, adottò una risoluzione. In essa si chiedeva che i profughi non venissero trattati soltanto come un peso, ma venissero sostenuti nella riqualificazione professionale nei settori industriale e agricolo. Alla conferenza prese parte anche la svizzera Gertrud Kurz, conosciuta come la madre dei rifugiati.

Quale fu il contributo di Gertrud Kurz?
Durante la Seconda guerra mondiale questa donna, nota per l’aiuto ai profughi, tenne una serie di conferenze pubbliche sulla persecuzione degli ebrei e sull’antisemitismo. Esortò la Svizzera a perseguire una politica dei rifugiati favorevole nei confronti delle persone ebree. Alla conferenza partecipò alla discussione della commissione sulle relazioni con le agenzie governative.

Sorsero conflitti alla conferenza?
Nella selezione degli invitati vi furono riserve nei confronti di alcuni partecipanti cristiani. Ebrei, ma anche cristiani, temevano che avrebbero svolto un lavoro di natura missionaria. Ma ciò non accadde, sebbene alcuni partecipanti cristiani avessero un atteggiamento tradizionalmente missionario o antiebraico.
Alla conferenza sorsero conflitti in merito alla questione della lotta all’antisemitismo. All’inizio molti partecipanti cristiani non vedevano quale rilevanza avessero la teologia e la Chiesa nella plurisecolare tradizione dell’antisemitismo. Per i partecipanti ebrei che avevano perduto familiari nella Shoah questa incomprensione era intollerabile. La conferenza riuscì infine a rielaborare la teologia e la dottrina cristiane in modo da rimuovere gli elementi antisemiti. Grazie ai “Dieci punti”.

13 giugno 1960, il professor Jules Isaac in udienza da papa Giovanni XXIII

Che ne è stato dei “Dieci punti”?
Il promotore delle tesi, Jules Isaac, si impegnò per tutto il corso della sua vita a favore del dialogo. Lui, che aveva perduto la moglie e la figlia in un campo di concentramento, riuscì a ottenere un’udienza da papa Pio XII, che si rivelò però fallimentare. Nel 1960 Isaac ottenne un’udienza privata di quasi mezz’ora da papa Giovanni XXIII. In quell’occasione l’ormai 83enne Jules Isaac consegnò al papa di poco più giovane di lui i “Dieci punti”, l’estratto dal Catechismo di Trento e uno dei suoi scritti. Poi chiese al papa se gli fosse lecito sperare che la Chiesa cattolico-romana avrebbe cambiato il proprio atteggiamento nei confronti dell’ebraismo. Giovanni XXIII rispose: “Lei ha diritto a più di una speranza”.

Il papa mantenne la sua promessa?
Giovanni XXIII aprì il Concilio Vaticano II. Lì venne sviluppato un documento sugli ebrei che sfociò nella dichiarazione “Nostra Aetate”.

Quale fu la reazione da parte ebrea all’impegno del papa?
Di gratitudine e di speranza. Gli interlocutori ebrei ebbero però bisogno di tempo per verificare se la Chiesa cattolica prendeva davvero sul serio il cammino intrapreso. I “Dieci punti” sono del resto stati continuamente rinnovati e integrati, fino in anni recenti, per esempio con le tesi di Berlino del 2009.

Dal 2017 Martin Steiner è assistente presso l’Istituto di ricerca ebraico-cristiana dell’Università di Lucerna. Ha studiato teologia a Vienna, Gerusalemme e Friburgo. Dal 2016 al 2019 ha collaborato con il rabbino Jehoschua Ahrens al progetto di ricerca dell’Fondo nazionale svizzero sul tema “La Conferenza di Seelisberg (1947) quale evento fondativo internazionale del dialogo ebraico-cristiano nel XX secolo” della Prof. Dr. Verena Lenzen all’Istituto di ricerca ebraico-cristiana dell’Università di Lucerna.

(da: kath.ch; trad.: G. M. Schmitt; adat.: G. Courtens)
I Dieci punti di Seelisberg

Ricordare che è lo stesso Dio vivente che parla a tutti noi nell’Antico come nel Nuovo Testamento.
Ricordare che Gesù è nato da una madre ebrea, della stirpe di Davide e del popolo d’Israele, e che il suo amore e il suo perdono abbracciano il suo popolo e il mondo intero.
Ricordare che i primi discepoli, gli apostoli, e i primi martiri erano ebrei.
Ricordare che il precetto fondamentale del cristianesimo, quello dell’amore di Dio e del prossimo, promulgato già nell’Antico Testamento e confermato da Gesù, obbliga cristiani ed ebrei in ogni relazione umana, senza eccezione alcuna.
Evitare di sminuire l’ebraismo biblico nell’intento di esaltare il cristianesimo.
Evitare di usare il termine “giudei” nel senso esclusivo di “nemici di Gesù” o la locuzione “nemici di Gesù” per designare il popolo ebraico nel suo insieme.
Evitare di presentare la passione in modo che la morte inflitta a Gesù ricada su tutti gli ebrei o solo sugli ebrei. In effetti, non furono gli ebrei tutti a chiedere la morte di Gesù. Né solo gli ebrei ne sono responsabili, perché la croce, che ci salva tutti, rivela che Cristo è morto a causa dei peccati di tutti noi. Va ricordato a tutti i genitori e educatori cristiani la grave responsabilità in cui essi incorrono nel presentare il Vangelo e soprattutto il racconto della passione in un modo semplicista. In effetti essi rischiano in questo modo di ispirare, lo vogliano o no, avversione nella coscienza o nel subconscio dei loro bambini o di chi li ascolta. Psicologicamente parlando, negli animi semplici, mossi da un ardente amore e da una viva compassione per il Salvatore crocifisso, l’orrore che si prova in modo così naturale verso i persecutori di Gesù si cambierà facilmente in odio generalizzato per gli ebrei di tutti i tempi, compresi quelli di oggi.
Evitare di riferire le maledizioni delle Scritture e il grido della folla eccitata: “Che il suo sangue ricada su noi e sui nostri figli”, senza ricordare che quel grido non potrebbe prevalere sulla preghiera infinitamente più potente di Gesù: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”.
Evitare di dare credito all’empia opinione che il popolo ebraico è riprovato, maledetto, riservato a un destino di sofferenza.
Evitare di parlare degli ebrei come se essi non fossero stati i primi ad appartenere alla chiesa.
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Re: Antisemitismo, antisionismo, antisraelismo negli USA

Messaggioda Berto » mer set 27, 2023 6:38 am

9)
L'antisemitismo degli ebrei USA sinistrati e politicamente corretti, antisionisti e antinazionalismo israeliano e filo nazi maomettani palestinesi



«Trump amico di Israele? Falso, come hanno capito gli ebrei americani»

Umberto De Giovannangeli
3 Novembre 2020

https://www.reset.it/voci-dal-mondo/tru ... -americani

Reset » Voci dal mondo » «Trump amico di Israele? Falso, come hanno capito gli ebrei americani»
“Donald Trump non è stato un amico d’Israele ma un accanito sostenitore della destra del mio Paese e dell’uomo che l’ha incarna: Benjamin Netanyahu. L’interesse di Trump è stato quello di cercare nel mondo figure che condividessero le sue idee, la sua ideologia: in questo Netanyahu è stato il Bolsonaro o l’Orban d’Israele. Per i fanatici di Eretz Israel, Trump è un eroe, se fossero loro a decidere, se fossero loro a votare, avrebbe un trionfo assicurato”. A sostenerlo, in questa intervista in esclusiva concessa a Reset è Yael Dayan, scrittrice, più volte parlamentare laburista, già vice sindaca di Tel Aviv, figlia di uno dei miti d’Israele: l’eroe della Guerra dei Sei giorni, il generale Moshe Dayan.

Il giorno del giudizio elettorale è arrivato. Martedì 3 novembre 2020, l’America sceglie chi sarà il suo Presidente per i prossimi quattro anni: Donald Trump o Joe Biden. Non le chiedo per chi voterebbe se fosse cittadina americana…

Nessun problema, lo chieda pure, perché poche volte nella vita sono stata così sicura della risposta….

Allora, per chi voterebbe e perché?

Joe Biden. E non solo perché l’alternativa è Trump, ma perché ho avuto modo di conoscerlo personalmente quando era vice presidente con Obama alla Casa Bianca, e ne ho apprezzato l’equilibrio, la serietà, la competenza. Tutte qualità che fanno difetto all’attuale inquilino della Casa Bianca.

Eppure Donald Trump è popolarissimo in Israele. Se fossero gli israeliani a decidere il futuro presidente USA, non ci sarebbe partita. E questo perché, stando ai sondaggi, è considerato dalla maggioranza degli israeliani come uno dei presidenti americani, più amici dello Stato ebraico.

Si tratta d’intenderci su cosa significhi essere “amico d’Israele”, un vero amico. Se significa avallare ogni scelta compiuta da chi governa Israele, anche se ciò significa affossare il processo di pace con i palestinesi, consolidare un regime di apartheid nei Territori occupati, allora sì, Trump è un Netanyahu all’ottava potenza. Ma io ho un’altra idea di cosa significhi essere un vero amico d’Israele: un amico che non avalla ogni tua scelta, che non copre i tuoi errori, non ti dice sempre che stai facendo la cosa giusta. Un vero amico è quello che ti aiuta a non sbagliare.

Trump non lo ha fatto?
Direi proprio di no. Trump ha sposato le posizioni più oltranziste della destra israeliana, le ha supportate in ogni atto della sua presidenza, in un modo che va ben oltre l’aspetto puramente politico.

Vale a dire?
Lo sa chi sono stati in America i più accaniti sostenitori del trasferimento dell’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme? Gli evangelici, molto più di quanto abbia fatto la componente più conservatrice della comunità ebraica americana. A costoro della sicurezza d’Israele non interessa nulla. Per gli evangelici americani Gerusalemme è la capitale del Regno di Giudea! E non è un caso che sia stato proprio a loro che Netanyahu si è rivolto per avere il sostegno al piano di annessione di parti della Cisgiordania…

Un piano che è rimasto nel cassetto. E i più stretti collaboratori di Trump hanno sostenuto che ciò è dovuto a quegli “Accordi di Abramo” che, con la “benedizione” del tycoon, Israele ha sottoscritto con Emirati Arabi Uniti e Bahrein.

Questa è una narrazione ad uso e consumo interno, sia per Trump che per Netanyahu. Ma la realtà è ben altra: se quel piano non è decollato, è perché Netanyahu ha dovuto fare i conti, così come il suo amico americano, con la tragedia del Covid-19 e con la sua scellerata gestione. Neanche un cinico patentato come è Netanyahu poteva spingersi fino al punto di investire risorse umane ed economiche per realizzare l’annessione, mentre in Israele la gente moriva di coronavirus, gli ospedali andavano in tilt e decine di migliaia di persone si sono ritrovate da un giorno all’altro senza lavoro. Quanto poi a quegli accordi: fuor di retorica, cosa ci sarebbe di “storico” nel fare la pace con due Paesi arabi che non sono mai stati in guerra con Israele? Qualcuno, senza arrossire di vergogna, ha scomodato il precedente della pace con l’Egitto, quella di Camp David firmata da Begin e Sadat. Quello sì che fu un accordo storico, perché l’Egitto è un Paese che era stato in guerra, e più volte, con Israele. E il presidente Sadat pagò con la vita quella sua coraggiosa scelta. Sia chiaro: ogni normalizzazione dei rapporti con qualsiasi Paese arabo è un fatto positivo. Ma che gli “Accordi di Abramo” servano a raggiungere una pace giusta e duratura con i palestinesi, questa è una forzatura propagandistica che non ha un supporto nella realtà.

Biden ha affermato che se sarà lui il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America lavorerà per una soluzione a due Stati.

È un’affermazione importante, impegnativa, anche se di difficile realizzazione. E non perché metta in dubbio le intenzioni di Biden, e della sua vice Kamala Harris, ma perché da quando Netanyahu è al potere, lui e i governi che ha guidato hanno operato per rendere impraticabile questa soluzione, trasformando gli insediamenti in Cisgiordania in vere e proprie città, e popolando i territori occupati con oltre 500mila coloni. D’altro canto, non vedo altra strada da seguire…

Ci sarebbe quella di uno Stato binazionale.

Ne comprendo la suggestione, ho avuto modo di discuterne con il mio amico Abraham Yehoshua che ne era un sincero sostenitore, ma a me pare una ipotesi ancor meno praticabile di quella a due Stati. E di ciò credo che Biden sia consapevole. Perché uno Stato binazionale significherebbe, viste le tendenze demografiche, che gli ebrei accettino di diventare minoranza nello Stato che è nato per realizzare un focolaio nazionale ebraico dopo l’orrore della Shoah. D’altro canto, istituzionalizzare il regime di apartheid nei Territori palestinesi occupati vorrebbe dire incrinare l’altro pilastro su cui lo Stato d’Israele è sorto: quello democratico.

Secondo gli ultimi sondaggi, la grande maggioranza degli ebrei americani ha votato o voterà per Biden. È la conferma di un rapporto tradizionale tra la diaspora ebraica americana e il Partito democratico?

No, non è solo questo. È una scelta politica che si cala nel presente. Gli ebrei americani non si sentono un corpo separato dal resto della società americana. Come tutti gli americani, hanno dovuto fare i conti con la gestione fallimentare, ondivaga, del loro Presidente della crisi pandemica, così come gli israeliani hanno fatto con la gestione di Netanyahu. Ma non c’è solo il coronavirus a spiegare il massiccio orientamento pro-Biden degli ebrei americani.

Cos’altro c’è?

C’è il suprematismo bianco, il “white power” cresciuto sotto la presidenza Trump. Un suprematismo violento, razzista, che si nutre di antisemitismo. Trump non ha mai avuto parole nette, chiare, di condanna del terrorismo, perché di ciò si tratta, suprematista. Anzi, si è spinto fino al punto di affermare pubblicamente, anche in campagna presidenziale, che c’è del buono anche tra quella gente! Dalle fila di questi criminali è uscito fuori il terrorista che due anni fa fece una strage tra gli ebrei che si erano riuniti nella sinagoga di Pittsburgh. Mentre sparava, uccidendo 11 persone, quell’uomo gridava: “Ebrei dovete morire”. Quell’assassino era un suprematista dichiarato. Nell’America suprematista, gli ebrei si sentono meno sicuri, e non c’è “accordo di Abramo” che possa lenire questa insicurezza. Ecco allora il paradosso dei quattro anni di Trump presidente: ha conquistato, forse, la maggioranza degli israeliani ma ha scavato un fossato tra lui e la grande maggioranza degli ebrei americani.

Trump ha affermato che non accetterà un risultato che veda vincitore il suo rivale democratico.

Questo discorso l’ho già sentito qui in Israele. Pur di non farsi da parte, Trump come Netanyahu sono disposti a radicalizzare lo scontro, fino al punto di mettere a rischio la democrazia stessa. È stato così quando Netanyahu ha sobillato la piazza gridando al “golpe” ordito dalla magistratura, solo perché il Procuratore generale d’Israele, persona che peraltro era stata scelta dallo stesso Netanyahu, aveva avuto l’ardire di rinviarlo a giudizio per gravi reati di corruzione pubblica. Un copione che Netanyahu ha continuato a recitare accusando le decine di migliaia di israeliani che da mesi protestano contro il primo ministro per la sua irresponsabilità nell’affrontare l’emergenza pandemica, di essere dei “comunisti”, degli sbandati, e addirittura additandoli come propagatori del virus. Per Netanyahu come per Trump non esistono avversari ma solo nemici da combattere. Un altro esempio del loro agire a braccetto? Sia Trump che Netanyahu hanno riempito d’insulti feroci i Commissari alla lotta al coronavirus, il professor Gamzu in Israele e il professor Fauci negli Stati Uniti, accusandoli delle peggiori nefandezze, arrivando, come ha fatto Trump, ad annunciare che se sarà rieletto la prima cosa che farà sarà dare il benservito al dottor Fauci. A questo siamo arrivati. E lei mi chiede per chi voterei se fossi cittadina americana?



Trump contro ebrei Usa, 'si calmino e apprezzino Israele'

Agenzia ANSA
17 ottobre 2022

https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/ ... cfceb.html

(ANSA) - WASHINGTON, 17 OTT - L'ex presidente Donald Trump ha attaccato gli ebrei americani con un controverso post sul suo social media Truth che ha già suscitato la condanna dell'Anti-Defamation League.
"Nessun presidente ha fatto di più per Israele di me.
Tuttavia, i nostri meravigliosi evangelici mi apprezzano molto di più rispetto alle persone di fede ebraica, in particolare quelle che vivono negli Stati Uniti", ha attaccato Trump. Il tycoon ha poi invitato gli ebrei americani a "darsi una calmata" ed "apprezzare Israele prima che sia troppo tardi". (ANSA).


Gli ebrei sinistrati e politicamente corretti sono contro lo stato nazionale ebraico di Israele e sono identici agli ebrei israeliani sinistrati e politicamente corretti che demenzialmente avversano lo stato nazionale ebraico di Israele e che si sono schierati con i nazimoamettani palestinesi che vogliono caccaire o sterminare gli ebrei e distruggere Israele

Mi aspetto che i leader dell'opposizione agiscano per calmare gli spiriti del popolo - prima di tutto per fermare l'incitamento selvaggio che imperversa contro di me, contro la mia famiglia, contro i ministri del governo e contro i leader della Knesset.
5 gennaio 2023
https://www.facebook.com/watch?v=1539523003200945
Ieri abbiamo visto una chiara minaccia di assassinare un primo ministro in Israele. Questa minaccia è stata pubblicata in bianco e nero su Facebook. Proviene da una figura di spicco nelle proteste antigovernative.
Questa minaccia è il risultato diretto di incitamento irresponsabile che riceve contraccolpi e contraccolpi e talvolta dichiarazioni esplicite dall'opposizione.
Questo non deve essere trascurato nell'ordine del giorno. Chiedo ai leader dell'opposizione di condannare l'incitamento e denunciare gli incitatori.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Antisemitismo, antisionismo, antisraelismo negli USA

Messaggioda Berto » mer set 27, 2023 6:38 am

10)
Le 10 tesi contro l’antisemitismo



Compiono 75 anni le 10 tesi contro l’antisemitismo
Voce Evangelica
Regula Pfeifer
23 agosto 2022

Dialogo
Frutto della Conferenza di Seelisberg in Svizzera svoltasi nell’agosto del 1947

https://www.voceevangelica.ch/voceevang ... anni-.html


I Dieci punti di Seelisberg

1) Ricordare che è lo stesso Dio vivente che parla a tutti noi nell’Antico come nel Nuovo Testamento.
2) Ricordare che Gesù è nato da una madre ebrea, della stirpe di Davide e del popolo d’Israele, e che il suo amore e il suo perdono abbracciano il suo popolo e il mondo intero.
3) Ricordare che i primi discepoli, gli apostoli, e i primi martiri erano ebrei.
4) Ricordare che il precetto fondamentale del cristianesimo, quello dell’amore di Dio e del prossimo, promulgato già nell’Antico Testamento e confermato da Gesù, obbliga cristiani ed ebrei in ogni relazione umana, senza eccezione alcuna.
5) Evitare di sminuire l’ebraismo biblico nell’intento di esaltare il cristianesimo.
6) Evitare di usare il termine “giudei” nel senso esclusivo di “nemici di Gesù” o la locuzione “nemici di Gesù” per designare il popolo ebraico nel suo insieme.
7) Evitare di presentare la passione in modo che la morte inflitta a Gesù ricada su tutti gli ebrei o solo sugli ebrei. In effetti, non furono gli ebrei tutti a chiedere la morte di Gesù. Né solo gli ebrei ne sono responsabili, perché la croce, che ci salva tutti, rivela che Cristo è morto a causa dei peccati di tutti noi. Va ricordato a tutti i genitori e educatori cristiani la grave responsabilità in cui essi incorrono nel presentare il Vangelo e soprattutto il racconto della passione in un modo semplicista. In effetti essi rischiano in questo modo di ispirare, lo vogliano o no, avversione nella coscienza o nel subconscio dei loro bambini o di chi li ascolta. Psicologicamente parlando, negli animi semplici, mossi da un ardente amore e da una viva compassione per il Salvatore crocifisso, l’orrore che si prova in modo così naturale verso i persecutori di Gesù si cambierà facilmente in odio generalizzato per gli ebrei di tutti i tempi, compresi quelli di oggi.
8 ) Evitare di riferire le maledizioni delle Scritture e il grido della folla eccitata: “Che il suo sangue ricada su noi e sui nostri figli”, senza ricordare che quel grido non potrebbe prevalere sulla preghiera infinitamente più potente di Gesù: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”.
9) Evitare di dare credito all’empia opinione che il popolo ebraico è riprovato, maledetto, riservato a un destino di sofferenza.
10) Evitare di parlare degli ebrei come se essi non fossero stati i primi ad appartenere alla chiesa.
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Re: Antisemitismo, antisionismo, antisraelismo negli USA

Messaggioda Berto » mer set 27, 2023 6:38 am

11)
Varie sull'antisemitismo negli USA


USA, IL NUOVO ANTISEMITISMO
Lorenzo Vidino
La Repubblica
17 febbraio 2023

https://www.facebook.com/progettodreyfu ... yW1PMdvnEl

L'America sta vivendo un'ondata di antisemitismo senza precedenti. I numeri confermano l'allarme dato da organizzazioni ebraiche e governo americano: l'Fbi stima che il 57% degli hate crimes (crimini con motivi discriminatori) siano a sfondo antisemitico, nonostante gli ebrei costituiscano solo il 2% della popolazione americana. A New York, dove si trova la più forte concentrazione di ebrei in America, nel 2022 si è registrato un aumento del 275% di hate crimes rispetto all'anno precedente.
Per quanto l'antisemitismo non sia certo un fenomeno nuovo, questo drammatico aumento ha sconvolto gli ebrei americani, che storicamente si sono sentiti dei privilegiati, al riparo dall'antisemitismo che da sempre la comunità ha subito in Europa e, negli ultimi decenni, in Medio Oriente. Ma a sconvolgere gli ebrei americani è anche la trasversalità di questa ondata di antisemitismo. Dai messaggi di odio in rete ai piccoli atti vandalici a veri e propri attentati terroristi, i nuovi antisemiti americani adottano un'amplissima gamma di ideologie e, in alcuni casi, varie ideologie insieme o nessuna.
Oggi, come da sempre, la principale fucina di odio antisemita è, numeri alla mano, l'estrema destra americana, in tutte le sue sfaccettature che vanno dai nostalgici del Kkk a nuove formazioni e sub - correnti ideologiche. Gli attentati alle sinagoghe di Pittsburgh e San Diego (12 morti in totale) sono solo la punta dell'iceberg di un fenomeno in forte crescita e che ha visto una dozzina di attacchi sventati negli ultimi mesi. Non nuovo è anche l'odio antisemita di matrice islamista, che proviene sia da soggetti ispirati al jihadismo che da network legati ad Hamas e Hezbollah, entrambi ben insediati da decenni sul territorio americano.
Ma negli ultimi anni si è registrata un'impennata di atti antisemitici non provenienti da questi soliti sospetti. Si parla molto dell'influenza dei Black Hebrew Israelites, gruppo che ritiene che i neri americani siano i veri ebrei e che gli "ebrei bianchi" siano degli impostori, accusandoli anche di aver orchestrato la tratta degli schiavi neri e di aver inventato l'Olocausto. Nel 2019 adepti del gruppo hanno assaltato la casa di un rabbino e un negozio kosher in New Jersey, uccidendo quattro persone. Ma preoccupa anche l'ondata di attacchi contro ebrei ortodossi in parti di New York: gli assalitori sono spesso adolescenti afroamericani che, pur non appartenendo al gruppo, ne hanno adottato alcuni dei messaggi antisemiti attraverso i social. Attacchi contro ebrei sulle strade di New York, Los Angeles e Miami sono di recente avvenuti anche a margine di eventi pro-Palestina e solo nelle ultime settimane in vari campus americani la coalizione di gruppi di sinistra estrema e pro-palestinesi ha esposto messaggi inneggiando all'Intifada e alla "soluzione finale".
Si uniscono all'odio antisemita anche Anti Vax, terrapiattisti e complottisti di ogni tipo, creando un mix ideologico che trova nel web il suo ambiente naturale. È infatti sui social, che consentono un grado di interconnessione senza precedenti tra estremisti di ogni genere, che si osserva come testi, meme e sentimenti antisemiti sono condivisi tra vari ambienti ideologici. Non è raro vedere neonazisti tessere gli elogi di attentatori palestinesi e islamisti lodare i suprematisti bianchi quando attaccano le sinagoghe. In alcuni casi estremi, come quello di Nicholas Young, poliziotto di Washington amante del Reich che si convertì all'Islam e fu poi arrestato per aver cercato di unirsi all'Isis, l'antisemitismo è il collante che unisce il passaggio da un estremismo all'altro.
La convinzione che gli ebrei siano l'archetipo del male, che manipolano segretamente gli eventi del mondo, è ormai il comune denominatore di praticamente tutte le forme di estremismo presenti oggi in America. Una convinzione antica ma che, grazie al web, è sempre più trasversale, intersezionale. E se in America il fenomeno dilaga, è sbagliato pensare che non avvenga anche da noi, in Europa e in Italia.


Il pregiudizio anti-israeliano nei media: il caso del New York Times

Luca Spizzichino
24-02-2023

https://www.shalom.it/blog/news/il-preg ... s-b1127901

Uno studio condotto dall'Università Bar-Ilan nel corso del 2022, per il quale sono stati analizzati sia i modelli di copertura che di omissioni di informazioni, ha evidenziato un presunto pregiudizio anti-israeliano nel New York Times su entrambi i livelli; lo ha riportato Israel National News.

Questa ricerca, che è stata condotta dall'autore israeliano e giornalista di Ma'ariv Lilac Sigan e dal professor Eytan Gilboa, esperto di comunicazione internazionale e diplomazia pubblica dell'Università di Bar-Ilan, ha rivelato dati preoccupanti sulla copertura mediatica rivolta allo Stato ebraico dal giornale statunitense, la cui scelta non sarebbe casuale. Infatti, secondo Sigan, il NYT è "il più importante canale di notizie al mondo, con una reputazione di lunga data per la professionalità".

Il 2022 è stato un anno di copertura particolarmente pesante di Israele all'interno delle sue pagine, mentre il terrore e le minacce che Israele deve affrontare sono stati quasi del tutto trascurati. I risultati dello studio sono stati inviati al giornale, che ha però rifiutato di pubblicare un articolo di opinione che spiegasse lo studio e le principali scoperte.

“Questo è uno studio importante e unico: raccoglie dati sulla copertura di Israele nel più importante canale di notizie del mondo e li analizza; raccoglie anche dati su eventi e fatti di fondo che giornalisti ed editori omettono, causando errori, pregiudizi e distorsioni” ha spiegato il Prof. Eytan Gilboa.

“Quello che ho scoperto dopo un anno di ricerca è stato cupo e inquietante - ha ammesso Lilac Sigan - A parte l'effetto immediato sull'immagine e sullo status di Israele, la copertura distorce continuamente la realtà in Israele e nella regione, in un modo che crea una falsa percezione per le generazioni future”. “Ciò influisce sui legami che Israele ha con gran parte del pubblico americano, e specialmente con la comunità ebraica. Il lettore riceve solo fatti parziali dal notiziario, che dipinge un quadro cupo e monocromatico. Questo è inquietante, distorsivo e pericoloso” ha aggiunto.

Alla luce delle ricerche, anche l’Ambasciatore di Israele presso le Nazioni Unite Gilad Erdan ha inviato una lettera all'Executive Editor del New York Times Joseph Kahn, in cui ha criticato aspramente il pregiudizio anti-israeliano del giornale.

Come riporta Israel National News, l'Ambasciatore ha accusato il quotidiano di omettere dettagli e di distorcere la realtà dei fatti. "I capisaldi dell'etica del giornalismo sono la verità, l'accuratezza e l'obiettività - valori che, quando si tratta di Israele, il Times si rifiuta deliberatamente di sostenere”, si legge nella lettera. “Quando il New York Times sceglie di demonizzare Israele, il minimo che il giornalismo professionale esiga è che il lettore sia esposto all'intera storia per formulare un'opinione imparziale. Tuttavia, quando il Times riporta le azioni di Israele con un contesto quasi inesistente, contribuisce attivamente a deformare la verità”, afferma l’ambasciatore Erdan.

"A causa della vostra copertura del terrorismo palestinese e della propagazione di mezze verità, i vostri lettori sono a malapena consapevoli dell'esistenza di queste organizzazioni jihadiste, per non parlare della costante minaccia che rappresentano per Israele. In futuro, se Israele sarà di nuovo costretto a difendersi contro il lancio indiscriminato di razzi palestinesi sul nostro fronte interno, sia da Gaza che dal Libano, i vostri lettori dedurranno inconsapevolmente che Israele è l'aggressore, nonostante sia vero l'esatto contrario. Attraverso questa copertura ingannevole, il Times non solo distorce la verità, ma incentiva anche il terrorismo", si legge ancora.

"Come sapete, l'antisemitismo sta crescendo a un ritmo terrificante. Gran parte del violento odio contro gli ebrei di oggi assume la forma dell'odio contro Israele”, sottolinea Erdan, che dà la colpa ai media che coprono le notizie in maniera distorta. “Le narrazioni diffamatorie del New York Times stanno contribuendo attivamente al crescente odio del mio paese e, di conseguenza, la vostra pubblicazione ha un ruolo nel mettere in pericolo gli ebrei in tutto il mondo" conclude.

Nel corso del 2022, Sigan e Gilboa hanno preso in esame 361 articoli, dove oltre la metà degli articoli copre negativamente le notizie provenienti dallo Stato ebraico e in quasi tutte c’è una costante omissione di informazioni riguardanti le minacce che Israele ha dovuto affrontare. In particolare è emerso come le organizzazioni terroristiche non abbiano ricevuto una copertura adeguata, per esempio nell’arco del 2022 Hezbollah è stato menzionato solo in 4 titoli durante tutto l'anno, di cui 1 negativo, e Hamas in 2 titoli, di cui 1 negativo.

Il leader di Hamas Yahya Sinwar è stato definito solo 2 volte come terrorista, mentre il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah nemmeno una volta. Inoltre le parole "Hamas" e "organizzazione terroristica" sono apparse insieme negli articoli del New York Times solo 13 volte durante l'anno, sebbene sia considerata come tale ufficialmente dal Dipartimento di Stato americano, dall’Unione Europea, dal Regno Unito e da altri paesi.

Al contrario il New York Times non ha perso occasione di citare il ministro Itamar Ben-Gvir insieme alla parola “terrorista” ben 20 volte, e di mettere insieme le parole "Israele" e "apartheid" 39 volte nel corso del 2022. Un altro particolare preoccupante è quello inerente alla narrativa delle operazioni fatte dall’esercito israeliano. Infatti il New York Times ha affermato che la maggior parte dei palestinesi uccisi durante il 2022 erano civili, al contrario di quanto rivelato costantemente dall'IDF secondo cui la maggioranza delle vittime erano terroristi.


USA, MINACCIA DI MORTE FUNZIONARI EBREI: ARRESTATO
Progetto Dreyfus
3 marzo 2023

https://www.facebook.com/progettodreyfu ... zpMGvgCyAl

Le autorità Usa hanno arrestato un cittadino residente in Michigan, Jack Eugene Carpenter, per avere pubblicato sui suoi profili social messaggi in cui minacciava di uccidere una serie di funzionari statali di religione ebraica.
La notizia è stata confermata dall'Fbi. La procuratrice generale del Michigan, Dana Nessel, ha affermato su Twitter di essere tra coloro che l'uomo avrebbe voluto uccidere. Stando agli atti giudiziari, al momento dell'arresto le autorità hanno trovato almeno sei armi da fuoco nella macchina di Carpenter.

Usa, minaccia di morte procuratrice Michigan e politici ebrei: arrestato
03 marzo 2023
https://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/u ... 302k.shtml
Le autorità Usa hanno arrestato un cittadino residente in Michigan, Jack Eugene Carpenter, per avere pubblicato sui suoi profili social messaggi in cui minacciava di uccidere una serie di funzionari statali di religione ebraica.
La notizia è stata confermata dall'Fbi. La procuratrice generale del Michigan, Dana Nessel, ha affermato su Twitter di essere tra coloro che l'uomo avrebbe voluto uccidere. Stando agli atti giudiziari, al momento dell'arresto le autorità hanno trovato almeno sei armi da fuoco nella macchina di Carpenter.
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