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Nuovi insediamenti ebraici nella striscia di Gaza
Insieme al ministro della costruzione e dell'edilizia abitativa Yitzhak Goldknopf abbiamo deciso oggi al governo di costruire un nuovo insediamento nella busta di Gaza.Benjamin Netanyahu - בנימין נתניהו
5 febbraio 2023
https://www.facebook.com/Netanyahu/post ... wJdvFWizGl L'istituzione dell'insediamento è un'ulteriore prova dell'immunità della busta di Gaza e del potere dell'Israele
Siamo orgogliosi di costruire la terra d'Israele e siamo orgogliosi di rafforzare l'insediamento in tutte le parti del nostro paese.
Noi che amiamo IsraeleJustin Amler
16 novembre 2018
https://www.facebook.com/noicheamiamois ... PcSsBtY2GlNel 2005 Israele lasciò Gaza sgomberando tutti i soldati e tutti i civili, sradicando persone e famiglie che vi abitavano e lavoravano da una vita. Andandosene, Israele lasciò nella striscia di Gaza un bel patrimonio di impianti che avrebbe potuto dare agli arabi del posto la possibilità di fare qualcosa di buono della loro vita. Israele offrì loro la possibilità di costituire un’entità largamente indipendente, e la possibilità di disegnare il proprio destino. Israele lasciò loro varie strutture, a cominciare da imprese di successo d’agricoltura in serra, con colture già avviate all’esportazione. Ma invece di cogliere l’occasione d’oro che gli si offriva – l’occasione di esercitare un’autodeterminazione che nessuno dei “fratelli arabi” aveva mai offerto loro – essi decisero di non coglierla. Invece di lavorare nelle serre, le saccheggiarono. Portarono via tutto: tubi di irrigazione, pompe per l’acqua, coperture in plastica. Invece di abitare nelle case degli ex-insediamenti ebraici, le depredarono. I denari e i materiali che vennero generosamente riversarti nella striscia di Gaza, e che erano destinati ad aiutare i residenti arabi a diventare un modello di successo per il supposto sogno arabo di un ulteriore stato arabo indipendente, finirono invece per finanziare un incubo. Nei 13 anni da quando Israele se n’è andato, tutti gli sforzi degli arabi a Gaza, sotto la dittatura criminal-terroristica che vi prese il potere, non hanno mai riguardato il futuro, non sono mai stati dedicati a costruire una vita migliore, non sono mai stati centrati sull’aiutare la propria gente. Non hanno mai riguardato lo sforzo di creare un futuro di speranza, opportunità, aspirazioni.
È stato esattamente il contrario. La struttura di speranza che si sarebbe dovuta costruire venne sostituita con la struttura dell’odio. Le menti dei migliori ingegneri, anziché essere focalizzate sulla costruzione di vitali infrastrutture civili come centrali idriche ed elettriche, sono state cinicamente indirizzate alla costruzione di razzi e gallerie, tutte progettate al solo scopo di seminare le morte su uomini, donne e bambini. Hanno costruito esclusivamente per uccidere.
I miliardi di dollari che gli arabi di Gaza hanno ricevuto, tutto il sostegno e le speranze e la volontà di gran parte del mondo di vedere il loro successo, sono stati sperperati: non da una cattiva gestione, bensì dal deliberato obiettivo nazionale di puntare tutto sulla distruzione dell’unico stato ebraico sulla Terra. Quanti ospedali, quante scuole e università avrebbero potuto essere costruiti? Quanti centri di eccellenza della scienza e dello sviluppo avrebbero potuto fiorire? Quante opportunità si sarebbero potute offrire e quanti sogni si sarebbero potuti realizzare? Ma nulla di tutto questo si avvererà perché per quei capi arabi, il futuro non è determinato su ciò che possono costruire, ma solo da ciò che possono distruggere.
L'ONU E LA TRAGEDIA DI GAZAdi Justin Amler
Progetto Dreyfus si trova presso Gaza Strip.
18 novembre 2018
https://www.facebook.com/progettodreyfu ... mCBVWxkVolL’Onu – un’organizzazione ipocrita ed eticamente defunta, che pensa di poter dare lezioni morali a tutti – ha detto che una nuova guerra a Gaza sarebbe stata una “tragedia inimmaginabile”. Proprio così: “una tragedia inimmaginabile”. E ancora una volta ha sbagliato su quale sia esattamente la tragedia. Giacché la vera tragedia è ciò che sta avvenendo a Gaza da 13 anni.
Nel 2005 Israele lasciò Gaza sgomberando tutti i soldati e tutti i civili, sradicando persone e famiglie che vi abitavano e lavoravano da una vita. Andandosene, Israele lasciò nella Striscia di Gaza un bel patrimonio di impianti che avrebbe potuto dare agli arabi del posto la possibilità di fare qualcosa di buono della loro vita. Israele offrì loro la possibilità di costituire un’entità largamente indipendente, e la possibilità di disegnare il proprio destino. Israele lasciò loro varie strutture, a cominciare da imprese di successo d’agricoltura in serra, con colture già avviate all’esportazione. Ma invece di cogliere l’occasione d’oro che gli si offriva – l’occasione di esercitare un’autodeterminazione che nessuno dei “fratelli arabi” aveva mai offerto loro – essi decisero di non coglierla. Invece di lavorare nelle serre, le saccheggiarono. Portarono via tutto: tubi di irrigazione, pompe per l’acqua, coperture in plastica. Invece di abitare nelle case degli ex-insediamenti ebraici, le depredarono. I denari e i materiali che vennero generosamente riversarti nella striscia di Gaza, e che erano destinati ad aiutare i residenti arabi a diventare un modello di successo per il supposto sogno arabo di un ulteriore stato arabo indipendente, finirono invece per finanziare un incubo. Nei 13 anni da quando Israele se n’è andato, tutti gli sforzi degli arabi a Gaza, sotto la dittatura criminal-terroristica che vi prese il potere, non hanno mai riguardato il futuro, non sono mai stati dedicati a costruire una vita migliore, non sono mai stati centrati sull’aiutare la propria gente. Non hanno mai riguardato lo sforzo di creare un futuro di speranza, opportunità, aspirazioni.
È stato esattamente il contrario. La struttura di speranza che si sarebbe dovuta costruire venne sostituita con la struttura dell’odio. Le menti dei migliori ingegneri, anziché essere focalizzate sulla costruzione di vitali infrastrutture civili come centrali idriche ed elettriche, sono state cinicamente indirizzate alla costruzione di razzi e gallerie, tutte progettate al solo scopo di seminare le morte su uomini, donne e bambini. Hanno costruito esclusivamente per uccidere.
La tragedia non è se arriva una guerra, perché la guerra c’è già: quella di Gaza contro se stessa. La tragedia è che i miliardi di dollari che gli arabi di Gaza hanno ricevuto, tutto il sostegno e le speranze e la volontà di gran parte del mondo di vedere il loro successo, sono stati sperperati: non da una cattiva gestione, bensì dal deliberato obiettivo nazionale di puntare tutto sulla distruzione dell’unico stato ebraico sulla Terra. Quanti ospedali, quante scuole e università avrebbero potuto essere costruiti? Quanti centri di eccellenza della scienza e dello sviluppo avrebbero potuto fiorire? Quante opportunità si sarebbero potute offrire e quanti sogni si sarebbero potuti realizzare? Ma nulla di tutto questo si avvererà perché per quei capi arabi, il futuro non è determinato su ciò che possono costruire, ma solo da ciò che possono distruggere.
Nel frattempo, i razzi hanno continuato a cadere su persone innocenti nelle comunità meridionali d’Israele, e si è continuato a scavare tunnel per infiltrare terroristi sotto alle case dove dormono i bambini. Bambini cresciuti con l’idea che sia normale avere pochi secondi per correre nei rifugi, sapendo che quei pochi secondi possono fare la differenza tra la vita e la morte. Ecco la vera tragedia. La guerra non è una “tragedia inimmaginabile”, come sembrano pensare le Nazioni Unite. La guerra è il risultato ovvio e inevitabile quando a un’entità terrorista viene permesso di svilupparsi senza ammonimenti né conseguenze. Dov’era la comunità internazionale in tutti questi ultimi 13 anni? Dove sono le condanne di ciò che stavano facendo i capi di Hamas? Del modo in cui nascondevano i razzi sotto le scuole finanziate dai paesi donatori, del modo in cui hanno usato intenzionalmente e cinicamente i civili come carne da macello alla barriera di confine con Israele, del modo in cui hanno minacciato e intimidito persino la stampa e il personale delle Nazioni Unite? Dove sono gli appelli del Segretario Generale dell’Onu alla “moderazione” quando quelli costruivano i loro tunnel del terrore, giorno dopo giorno e notte dopo notte? E dov’erano responsabilità e controlli quando i fondi della comunità internazionale destinati alla ricostruzione diventavano investimenti di morte impiegati per la distruzione? Le cose non cambieranno fino a quando intere generazioni non saranno educate alla pace anziché indottrinate alla guerra; finché nessuno sarà mai chiamato a subire conseguenze per la costruzione di strutture terroristiche.
Nessuna persona razionale vuole la guerra, ma qui non abbiamo a che fare con persone razionali. Abbiamo a che fare con un’organizzazione terroristica spietata che non si fermerà, indipendentemente da quanto si cerchi di blandirla, indipendentemente da quanti soldi le si daranno. La mia gente è sotto attacco da parte di forze oscurantiste che non possono essere placate e con cui non è possibile ragionare. Egiziani e altri attori internazionali si adoperano furiosamente per una tregua di lungo periodo, ma non ci può essere una tregua di lungo periodo con il male, perché il male aspetta solo nell’ombra per ricominciare. La vera tragedia è che si siano lasciate arrivare le cose a questo punto.
Netanyahu e il dialogo con gli Usa“Dalla Cisgiordania all’Iran,
la priorità è la sicurezza d’Israele”
Eretz
01/02/2023
https://moked.it/blog/2023/02/01/netany ... -disraele/ Ascolterà le altre voci – quelle di Washington, dei suoi alleati di governo, delle opposizioni –, ma alla fine sarà lui a decidere la strada da intraprendere. In una lunga intervista all’emittente americana Cnn il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha voluto mandare un messaggio alla Casa Bianca così come alla politica interna: l’ultima parola spetta a lui. Sia sulla questione della riforma della giustizia, sia sulla situazione del Monte del Tempio, così come sui rapporti con i palestinesi e nella sfida alla minaccia iraniana. “Io controllo il governo e sono responsabile delle sue politiche. E le politiche sono sensate e responsabili e continueranno ad esserlo”, ha affermato in uno dei passaggi dell’intervista rilasciata al giornalista Jake Tapper. Molti i temi affrontati nel corso del colloquio, a partire dalle nuove tensioni con i palestinesi. Washington, per bocca del suo segretario di Stato Antony Blinken in visita nella regione (nell’immagine l’incontro con Netanyahu), ha chiesto di calmare le acque. E allo stesso tempo ha dichiarato di essere contraria all’espansione degli insediamenti in Cisgiordania – in particolare dopo l’annunciata intenzione in questo senso del governo Netanyahu – e a favore della soluzione dei due Stati. Sul primo punto, in riferimento alla posizione della Casa Bianca per cui l’espansione degli insediamenti rappresenta un ostacolo alla pace, il Premier ha dichiarato di “non essere assolutamente d’accordo”.
Guardando alla recente ondata di violenza, ha poi indicato nell’Autorità nazionale palestinese la responsabile dell’escalation per l’incapacità di gestire la sicurezza interna. “Non esercita realmente il suo potere per combattere i terroristi”, ma, l’accusa di Netanyahu, li celebra e “paga loro gli stipendi”. In tema di rapporti con i palestinesi il Premier ha detto di essere aperto ai negoziati – altro punto invocato da Blinken nella sua visita – ma ci si arriverà passando per nuove intese con altri paesi arabi nel solco degli Accordi di Abramo. Inoltre, anche allora, per il leader del Likud sul tavolo non ci sarà la soluzione dei due Stati. “Non la chiamerei così” ha affermato, immaginando una realtà in cui dare ai palestinesi “tutti i poteri di cui hanno bisogno per governarsi da soli, ma nessuno dei poteri che possono minacciarci”. Israele, la sua conclusione, in ogni caso dovrebbe mantenere la responsabilità sulla sicurezza nella regione.
Altro tema di divergenza con gli Usa, ma soprattutto con una parte della politica e opinione pubblica interna è la citata riforma della giustizia, diretta a ridimensionare il ruolo della Corte Suprema israeliana. Anche qui i segnali dall’amministrazione americana sono stati di grande preoccupazione. Secondo i critici la riforma lede la struttura democratica del paese perché attribuisce troppo potere a esecutivo e maggioranza alla Knesset, minando il potere di controllo della Corte suprema. Da settimane chi contesta il provvedimento ha scelto di farlo nelle piazze, con grandi manifestazioni tenutesi soprattutto a Tel Aviv. “Sono pronto ad ascoltare le controfferte”, ha dichiarato Netanyahu alla Cnn, continuando però a difendere il piano promosso dal suo ministro della Giustizia Yariv Levin. Alcune delle critiche a suo dire sono “dettate da una mancanza di comprensione, da una mancanza di informazioni”, altre sono “solo slogan da parte di avversari politici che hanno perso le elezioni”. Rispetto a chi dice che la democrazia è a rischio – tra cui anche la voce del conservatore americano Alan Dershowitz -, la replica è che la riforma la rafforzerà. “Israele è in questo momento un’anomalia, Israele ha l’attivismo giudiziario più estremo, è andato fuori dai binari e noi stiamo cercando di riportarlo al livello di quasi tutte le democrazie, sia nella selezione dei giudici che nell’equilibrio tra i vari rami del governo”.
Si è toccato poi l’argomento Iran. Qui con Washington c’è maggiore sintonia rispetto al passato. Il Premier si è rifiutato di commentare le indiscrezioni secondo cui il recente attacco a Isfahan è stato compiuto da Israele. Ha però ribadito l’impegno del suo governo e del paese ad evitare che il regime si doti dell’atomica, agendo direttamente per fermarlo. “L’unico modo per impedire a uno Stato canaglia di ottenere armi nucleari è una combinazione di sanzioni economiche” e “una minaccia militare credibile”. “Se questa deterrenza fallisce, non hai altra scelta che agire”.
Giustificare le ragioni del terrorismo non aiuta a sconfiggerloIsraele può solo difendersi dall’odio che arriva dalla Palestina. Il racconto di Jenin e il rifiuto del compromesso
Ben-Dror Yemini, giornalista, conferenziere e ricercatore israeliano, autore del libro “Industry of Lies”
Mariateresa Anfossi
7 febbraio 2023
https://www.facebook.com/mariateresa.an ... 0866005927 No, non ci sono “due parti”. E no, non è l’“occupazione”. E no, non è neanche che “non hanno una prospettiva politica”. Queste sono illusioni e false affermazioni che non serviranno ad abbassare il livello del terrorismo. Al contrario, ne incoraggeranno l’incremento. E il fatto che vi siano molti utili idioti, appartenenti ai circoli illuminati e progressisti del mondo, incluso in Israele, che adducono delle giustificazioni al terrorismo, non dà ragione a tutte queste persone. Non esiste una “spirale di violenza”.
C’è una parte palestinese, che è filoiraniana o jihadista, che non è per nulla interessata alla riconciliazione e alla pace, ma piuttosto alla distruzione dello stato ebraico.
Il leggendario leader degli arabi di Palestina era un islamista nazista, il Muftì Haj Amin al Husseini, che predicava lo sterminio degli ebrei. La sua eredità continua a vivere. Hamas e la Jihad sono suoi epigoni e proseguono sulle sue orme (come pure Arafat aggiungo io). L’incitamento all’odio contro gli ebrei continua. L’Ue minaccia di fermare i finanziamenti, ma sono solo minacce. E c’è poi un’altra parte, quella degli ebrei che, perseguitati in quasi tutti i paesi del mondo, fuggiti o espulsi, dall’Europa o dai paesi arabi, hanno infine ricevuto il diritto all’autodeterminazione e hanno costituito uno stato. Il rifiuto arabo al compromesso e alla partizione ha portato a una doppia Nakba: sia palestinese sia ebraica.
Nel corso degli anni del conflitto, gli ebrei hanno ripetutamente teso la mano per la pace, disposti a fare concessioni di vasta portata. La mano tesa è stata ripetutamente respinta, e, quando i palestinesi preferiscono la jihad e il terrorismo, Israele deve rispondere. Quando gli americani uccisero il leader di al Qaida, Osama bin Laden, nessuno ha condannato “entrambe le parti”.
Pertanto, ringrazio il Papa per aver condannato la violenza nel suo discorso settimanale della domenica, ma tutta la violenza appartiene alla parte che sostiene il terrorismo, che educa i suoi figli all’odio, che si identifica in messaggi di antisemitismo e razzismo.
Il problema non è mai stato una “prospettiva politica” o una “speranza di una vita migliore”, perché gli esecutori del terrorismo, chi li manda, chi li sostiene, chi li incoraggia, non vogliono alcuna prospettiva politica e alcuna speranza di una vita migliore. Vogliono un mondo oscuro, fatto dai “Fratelli musulmani”. Dopotutto, il loro modello è il Mufti. E il loro ultimo leader, e quello di tutti i “Fratelli musulmani” nel mondo, è stato lo sceicco Yusuf Qaradawi, che rivolgeva ai musulmani l’appello a “Completare l’opera di Hitler”. I suoi discepoli sono coloro che controllano la programmazione della televisione palestinese, dove continua la chiamata allo sterminio degli ebrei.
Proviamo allora a dire che il problema sia l’occupazione. Quando masse di giovani dall’Europa, centinaia o migliaia da ogni paese, hanno lasciato il carnaio urbano per unirsi allo Stato islamico, non è stato per via dell’occupazione o per una “prospettiva politica”. Tra loro c’erano medici, ingegneri e professionisti. Hanno subìto il lavaggio del cervello, attraverso i social network, attraverso i predicatori nelle moschee, attraverso un canale di incitamento come Al-Jazeera. Alcuni di loro si sono cimentati nelle decapitazioni. “La più grande minaccia per gli Stati Uniti è il Regno Unito”, scrisse la rivista New Republic quando emerse l’entità del sostegno dei giovani musulmani ad al Qaida nel Regno Unito. Era il 2006. L’articolo accese un dibattito. Quando in seguito migliaia di britannici si sono offerti volontari per l’Isis, è diventato chiaro che questi numeri non erano solo opinioni e sondaggi. E quando l’esercito americano si è mobilitato per sconfiggerli, nessuno ha detto che “la spirale di violenza dovrebbe essere fermata”. Esattamente come, nel caso in cui vi fossero un stupratore e una donna violentata, nessuna persona normale direbbe che “la spirale di violenza tra di loro deve essere fermata”. Il problema sono coloro che preferiscono la Jihad alla pace e alla riconciliazione, anche se sono descritti come la parte debole. Quelli che rifiutano tutte le proposte della comunità internazionale per togliere il blocco dalla Striscia di Gaza e preferiscono i razzi al benessere, sono loro il problema.
Finché non si inizia a parlare di Israele. A quel punto, la follia raggiunge nuove vette. Il canale Al-Jazeera dei Fratelli Musulmani e la Bbc hanno entrambe pubblicato lo stesso titolo: “Nove palestinesi uccisi a Jenin”. Questo è lavaggio del cervello. Perché a Jenin sono stati uccisi nove jihadisti, oltre a una donna, che purtroppo si è trovata nel fuoco incrociato. Progettavano di effettuare un attacco terroristico contro Israele, che ha risposto con un attacco preventivo. Il New York Times ha fatto un ulteriore passo avanti affermando che il l’uccisione è stata un risultato del nuovo governo di destra. Il precedente governo forse non operava a Jenin? E il governo americano non combatte la jihad? Il linguaggio utilizzato determina l’effetto sulla mente del pubblico. Israele è una democrazia e, dopo tutto, ci sono israeliani stessi che diffondono la propaganda di bugie e giustificazioni al servizio del terrorismo. La maggior parte delle volte hanno buone intenzioni. Vogliono aiutare i deboli, adoperarsi per una soluzione pacifica. Ma nessuno può esimersi dai fatti. E quando i fatti basilari vengono ignorati, l’impatto sulla mente del pubblico è determinato di conseguenza. Sui media internazionali questa è ritenuta un’ulteriore aggressione israeliana, nel contesto dell’occupazione, e i poveri palestinesi sono costretti a rispondere con la loro follia omicida.
Solo pochi giorni fa c’è stato un attacco terroristico suicida in una moschea nella città di Peshawar, in Pakistan. Musulmani hanno ucciso altri musulmani. Almeno 92 morti, e i numeri sono ancora in aumento. Il vero nemico dei musulmani e dei palestinesi è il terrorismo, la Jihad e Hamas, e non chi lo combatte. Questo non vuol dire che tutto ciò che l’occidente ha fatto nell’ambito della guerra al terrorismo sia giustificato. E non è neanche necessario giustificare ogni soldato israeliano, uno su cento, che faccia del male a un palestinese senza giustificazione, né la creazione degli avamposti, che non fanno altro che recar danno alla sicurezza. Ma non dobbiamo dimenticare: la guerra israeliana contro il terrorismo, Hamas e la Jihad è una lotta necessaria e legittima. Non c’è bisogno di rinunciarvi a causa della follia che adduce loro scuse e giustificazioni.