I palestinesi arabo maomettani sono un popolo inventato

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Messaggioda Berto » ven gen 21, 2022 9:23 am

I palestinesi arabo maomettani sono un popolo inventato mai esistito, caso mai i veri palestinesi storici sarebbero gli ebrei
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: I palestinesi arabo maomettani sono un popolo inventato

Messaggioda Berto » ven gen 21, 2022 9:25 am

Indice:

1)
I palestinesi arabo nazi maomettani: storia di un popolo completamente inventato

2)
L’invasione araba della Palestina nel VII secolo, di Michele Piccirillo

3)
Le menzogne sull'apartheid degli impropriamente detti palestinesi e sui falsi rifugiati sempre impropriamente detti palestinesi

4)
I veri e storici palestinesi sono gli ebrei di Israele.
Palestina fu il nomignolo dato ai romani per dispregio degli ebrei alla loro terra di Israele i Giudea.
Il legame storico del popolo ebraico con Israele

5)
I terroristi nazimaomettani antisemiti e antisraeliani impropriamente detti "palestinesi" di Gaza, della Giudea-Samaria e di Israele

6)
La violenza maomettana lungo la storia e il terrorismo nazi maomettano degli impropriamente detti palestinesi nel mondo e in Italia

7)
Amare e rispettare gli ebrei e Israele è una gioia, una necessità, un dovere, fondamento di umanità, di civiltà e di libertà

8)
I demenziali sostenitori e difensori dei nazi maomettani impropriamente detti palestinesi, creduti innocenti vittime dei cattivi ebrei nazi israeliani

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Re: I palestinesi arabo maomettani sono un popolo inventato

Messaggioda Berto » ven gen 21, 2022 9:25 am

1) I palestinesi: storia di un popolo completamente inventato
L'Informale
Niram Ferretti
31 Dicembre 2015

http://www.linformale.eu/i-palestinesi- ... RklKgZRdMk

Come Atena nacque dalla testa di Zeus, la fantastoria nacque dall’ideologia. Il nome “Palestina” deriva dai filistei, una popolazione originaria del Mediterraneo Orientale (forse dalla Grecia o da Creta) la quale invase la regione nell’undicesimo e dodicesimo secolo A.C. Parlavano una lingua simile al greco miceno. La zona nella quale si insediarono prese il nome di “Philistia”. Mille anni dopo, i Romani chiamarono la zona “Palestina”. Seicento anni dopo gli Arabi la ribattezzarono “Falastin”.

Per tutta la storia successiva non ci fu mai una nazione chiamata “Palestina” né ci fu mai un popolo chiamato “palestinese”. La regione passò dagli Omayyadi agli Abassidi, dagli Ayyumidi ai Fatimidi, dagli Ottomani agli Inglesi. Durante questo millennio il termine “Falastin” continuò a riferirsi a una regione dai contorni indeterminati e MAI a un popolo originario.

Nel 1695, l’orientalista danese Hadrian Reland scoprì che nessuno degli insediamenti conosciuti aveva un nome arabo. La maggioranza dei nomi degli insediamenti erano infatti ebraici, greci o latini. Il territorio era praticamente disabitato e le poche città, (Gerusalemme, Safad, Jaffa, Tieberiade e Gaza) erano abitate in maggioranza da ebrei e cristiani. Esisteva una minoranza musulmana, prevalentemente di origine beduina, che abitava nell’interno.

Reland pubblicò a Utrecht nel 1714 un libro dal titolo “Palaestina ex monumentis veteribus illustrata”, nel quale non c’è alcuna prova dell’esistenza di un popolo palestinese, né di un’eredità palestinese né di una nazione palestinese. In altre parole, nessuna traccia di una storia palestinese.

Stiamo parlando di un testo uscito nel 1714, non duemila anni fa. Un testo moderno dal quale si evince che all’epoca non esisteva alcun “popolo palestinese”.

Quando nasce dunque questa realtà di cui si parla da decenni?

Dobbiamo avvicinarci ai nostri tempi, più precisamente al periodo in cui gli inglesi crearono, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale e dell’impero ottomano (durante il quale nessuno aveva ancora sentito parlare di questa fantomatica entità), la Palestina mandataria.

Gli arabi protestarono in modo acceso nei confronti della nuova realtà chiamata “Palestina”. Infatti, per loro, la Palestina era inestricabilmente collegata alla Siria. Gli arabi chiamavano la regione “Balad esh sham (la provincia di Damasco) o “Surya-al-Janubiya” (Siria del sud). Per i nazionalisti arabi la Palestina non era altro che la Siria del sud. Punto. I siriani, ovviamente, non potevano che annuire.

Il Congresso Generale Siriano del 1919 sottolineò con forza l’identità esclusivamente siriana degli arabi della “Siria del sud”, quella che gli inglesi chiamavano “Palestina”.

Nel suo libro, “Il Risveglio Arabo” del 1938, George Antonious, il padre della storiografia moderna araba, documenta il tumulto sorto tra gli arabi della “Grande Siria” e dell’Iraq quando inondarono le strade delle città siriane, Gerusalemme inclusa, per protestare contro la divisione geografica che gli inglesi, per ragioni geopolitiche, avevano imposto alla Siria. Antonious, come Reland prima di lui, non fa alcuna menzione di un “popolo palestinese”. Motivo? Di nuovo, non esisteva.

Facciamo un passo indietro. Nel 1920, la Francia conquista la Siria. E’ in questo periodo, durante il controllo francese della Siria, che inizia a prendere forma l’idea di una “Palestina” come stato arabo-musulmano indipendente, e fu il famigerato Mufti di Gerusalemme, Amin-al-Husseini, la personalità di maggior spicco tra i leaders arabi dell’epoca, a creare un movimento nazionalista in opposizione all’immigrazione ebraica determinata dal movimento sionista. In altre parole, fu il sionismo a fare da levatrice al palestinismo nazionalista. Anche allora, tuttavia, nessuno parlava di un “popolo palestinese”. Siamo nel 1920.

Ancora nel 1946, Philip Hitti, uno dei più eloquenti portavoce della causa araba dichiarava al Comitato di Inchiesta Anglo-Americano che un’entità nazionale chiamata Palestina…non esisteva.

Nel 1947, quando le Nazioni Unite stavano valutando la spartizione della Palestina mandataria in due stati separati, uno ebraico, l’altro arabo, numerosi politici e intellettuali arabi protestarono in modo acceso poiché sostenevano che la regione in questione fosse parte integrante della Siria del sud. Non c’era una popolazione “palestinese” in senso proprio, ed era dunque un’ingiustizia smembrare la Siria per creare un’altra entità che di fatto le apparteneva di diritto.

Nel 1957, Akhmed Shukairi, l’ambasciatore saudita alle Nazioni Unite dichiarò che, “È conoscenza comune che la Palestina non è altro che la Siria del sud“. Concetto ribadito da Hafez-al-Assad nel 1974, “La Palestina non solo è parte della nostra nazione araba ma è una parte fondamentale del sud della Siria”.

Dal 1948 al 1967, i diciannove anni intercorsi tra la Guerra di Indipendenza e la Guerra dei Sei Giorni, tutto quello che restava del territorio riservato agli arabi della Palestina mandataria britannica, era la West Bank (nome dato dai giordani alla Giudea e alla Samaria), che si trovava in quegli anni sotto il dominio illegale giordano, e Gaza, sotto il dominio illegale egiziano.

Durante questo periodo nessuno dei leader arabi prese neanche lontanamente in esame il diritto all’autodeterminazione degli arabi “palestinesi” che si trovavano sotto il loro dominio. Perché? Ancora, perché un “popolo palestinese” per i giordani e gli egiziani…semplicemente non esisteva.

Persino Yasser Arafat fino al 1967 usò il termine “Palestinesi”, unicamente come riferimento per gli arabi che vivevano sotto la sovranità israeliana o avevano deciso di non essere sottoposti ad essa. Nel 1964, per Arafat la “Palestina”, non comprendeva né la Giudea e la Samaria né Gaza, le quali, infatti, dopo il 1948 appartenevano reciprocamente alla Giordania e all’Egitto.

Lo troviamo scritto nella Carta fondante dell’OLP all’articolo 24, “L’OLP non esercita alcun diritto di sovranità sulla West Bank nel regno hashemita di Giordania, nella Striscia di Gaza e nell’area di Himmah”.

L’articolo 24 venne cambiato nel 1968 dopo la Guerra dei Sei Giorni, dietro ispirazione sovietica. Ora la sovranità “palestinese” si estendeva anche alla West Bank e a Gaza. Libero da possibili attriti con la Giordania e l’Egitto, Arafat, protetto dai russi, poteva allargare il campo della propria azione. La “Palestina”, adesso, inglobava anche Giudea, Samaria e Gaza.

La Guerra dei Sei Giorni è stata lo spartiacque per la creazione del “popolo palestinese”. Dopo la Guerra dei Sei Giorni tutto cambia. Da Davide, Israele diventa Golia e i “palestinesi” entrano ad occupare il proscenio della storia come popolo autoctono espropriato della propria terra dai “sionisti imperialisti”.

Questa è la narrazione ormai consolidata e che, come un parassita, si è incistata nella mente di una moltitudine. Potere della menzogna. Potere della propaganda.

“Nella grande menzogna c’è una certa forza di credibilità poiché le grandi masse di una nazione sono molto più facilimente corruttibili nello stato più profondo della loro materia emozionale di quanto lo siano consciamente o volontariamente, e quindi, nella primitiva semplicità delle loro menti diventeranno più facilmente vittime di una grande menzogna piuttosto che di una piccola, poiché essi stessi spesso dicono piccole bugie per piccole cose, ma si vergognerebbero di utilizzare menzogne su larga scala. Non gli verrebbe mai in mente di fabbricare falistà colossali e non crederebbero che altri avrebbero l’impudenza di distorcere la verità in modo così infame”. (Adolf Hiltler, “Mein Kampf”)

Per creare questa nuova realtà del “popolo palestinese”, priva di qualsiasi aggancio con il passato era necessario che il passato venisse interamente fabbricato, o meglio, come in “Tlon, Uqbar, Orbis Tertius” di Borges, bisognava fare in modo che il reale venisse risucchiato dalla finzione.

Dunque ecco apparire i “palestinesi”, i quali fin da un tempo immemorabile hanno sempre vissuto nella regione e addirittura si possono fare risalire ai gebusei o, a piacimento, ai cananei. Questo popolo mitico sarebbe stato poi cacciato dagli invasori sionisti.

Il 31 marzo del 1977, come fosse un colpo di scena in un romanzo giallo, Zahir Mushe’in, membro del Comitato Esecutivo dell’OLP dirà, durante un’intervista
“Il popolo palestinese non esiste. La creazione di uno stato palestinese è solo un mezzo per continuare la nostra lotta contro lo stato di Israele in nome dell’unità araba. In realtà oggi non c’è alcuna differenza tra giordani, palestinesi, siriani e libanesi. Solo per ragioni tattiche e politiche parliamo dell’esistenza di un popolo palestinese, poiché gli interessi nazionali arabi richiedono la messa in campo dell’esistenza di un popolo palestinese per opporci al sionismo”.

Il “popolo palestinese” è una pura invenzione, la quale, con grande abilità propagandistica, è stata trasformata in un fatto che ormai appartiene a tutti gli effetti alla realtà.


Come furono inventati i palestinesi
Traduzione in italiano di Angelita La Spada
14 dicembre 2021
http://www.linformale.eu/come-furono-in ... lestinesi/

Nel 1948, il nascente Stato di Israele sconfisse gli eserciti di Egitto, Iraq, Siria, Transgiordania, Libano, Arabia Saudita e Yemen che volevano distruggerlo completamente. Il jihad contro Israele proseguì, ma lo Stato ebraico tenne duro, sconfiggendo ancora Egitto, Iraq, Siria, Giordania e Libano nella guerra dei Sei Giorni nel 1967 e l’Egitto e la Siria ancora una volta nella guerra dello Yom Kippur del 1973. Nell’ottenere queste vittorie contro enormi difficoltà, Israele riscosse l’ammirazione del mondo libero, vittorie che comportarono l’attuazione più audace e su più ampia scala nella storia islamica del detto di Maometto: “La guerra è inganno”.

Per distruggere l’impressione che il piccolo Stato ebraico stesse fronteggiando ingenti nemici arabi musulmani e che stesse prevalendo su di loro, il KGB sovietico (il Comitato sovietico per la sicurezza dello Stato) inventò un popolo ancora più piccolo, i “palestinesi”, minacciato da una ben funzionante e spietata macchina da guerra israeliana. Nel 134 d.C., i Romani avevano espulso gli ebrei dalla Giudea dopo la rivolta di Bar Kokhba e ribattezzarono la regione Palestina, un nome tratto dalla Bibbia, il nome degli antichi nemici degli Israeliti, i Filistei. Ma il termine palestinese era sempre stato riferito a una regione e non a un popolo o a una etnia. Negli anni Sessanta, tuttavia, il KGB e il nipote di Hajj Amin al-Husseini, Yasser Arafat, crearono tanto questo presunto popolo oppresso quanto lo strumento della sua libertà, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP).

Ion Mihai Pacepa, già vicedirettore del servizio di spionaggio della Romania comunista durante la Guerra Fredda, in seguito rivelò che “l’OLP era stata una invenzione del KGB, che aveva un debole per le organizzazioni di ‘liberazione’. C’era l’Esercito di liberazione nazionale della Bolivia, creato dal KGB nel 1964 con l’aiuto di Ernesto ‘Che’ Guevara (…) inoltre, il KGB creò il Fronte democratico per la liberazione della Palestina, che perpetrò numerosi attacchi dinamitardi. (…) Nel 1964, il primo Consiglio dell’OLP, composto da 422 rappresentanti palestinesi scelti con cura dal KGB, approvò la Carta nazionale palestinese – un documento che era stato redatto a Mosca. Anche il Patto nazionale palestinese e la Costituzione palestinese nacquero a Mosca, con l’aiuto di Ahmed Shuqairy, un influente agente del KGB che divenne il primo presidente dell’OLP”.

Affinché Arafat potesse dirigere l’OLP avrebbe dovuto essere un palestinese. Pacepa spiegò che “egli era un borghese egiziano trasformato in un devoto marxista dall’intelligence estera del KGB. Il KGB lo aveva formato nella sua scuola per operazioni speciali a Balashikha, cittadina a est di Mosca, e a metà degli anni Sessanta decise di prepararlo come futuro leader dell’OLP. Innanzitutto, il KGB distrusse i documenti ufficiali che certificavano la nascita di Arafat al Cairo, rimpiazzandoli con documenti falsi che lo facevano figurare nato a Gerusalemme e, pertanto, palestinese di nascita”.

Arafat potrebbe essere stato marxista, almeno all’inizio, ma lui e i suoi referenti sovietici fecero un uso copioso dell’antisemitismo islamico. Il capo del KGB, Yuri Andropov, osservò che “il mondo islamico era una piastra di Petri in cui potevamo coltivare un ceppo virulento di odio antiamericano e antisraeliano, cresciuto dal batterio del pensiero marxista-leninista. L’antisemitismo islamico ha radici profonde… . Dovevamo solo continuare a ripetere i nostri argomenti – che gli Stati Uniti e Israele erano ‘paesi fascisti, imperial-sionisti’ finanziati da ricchi ebrei. L’Islam era ossessionato dall’idea di evitare l’occupazione del suo territorio da parte degli infedeli ed era assolutamente ricettivo al ritratto da noi fatto del Congresso americano come un rapace organismo sionista volto a trasformare il mondo in un feudo ebraico”.

Il membro del Comitato esecutivo dell’OLP, Zahir Muhsein, spiegò in modo più esaustivo la strategia in una intervista del 1977 al quotidiano olandese Trouw:

Il popolo palestinese non esiste. La creazione di uno stato palestinese è solo un mezzo per continuare la nostra lotta contro lo stato di Israele per la nostra unità araba. In realtà, oggi non c’è alcuna differenza fra giordani, palestinesi, siriani e libanesi. Solo per ragioni politiche e strategiche parliamo oggi dell’esistenza di un popolo palestinese, dal momento che gli interessi nazionali arabi esigono che noi postuliamo l’esistenza di un distinto “popolo palestinese” che si opponga al sionismo. Per ragioni strategiche, la Giordania, che è uno stato sovrano con confini definiti, non può avanzare pretese su Haifa e Jaffa mentre, come palestinese, posso indubbiamente rivendicare Haifa, Jaffa, Bee-Sheva e Gerusalemme. Tuttavia, nel momento in cui rivendicheremo il nostro diritto a tutta la Palestina, non aspetteremo neppure un minuto a unire Palestina e Giordania.

Una volta che era stato creato il popolo, il loro desiderio di pace poteva essere facilmente inventato. Il dittatore romeno Nicolae Ceausescu insegnò ad Arafat come suonare l’Occidente come un violino. Pacepa raccontò: “Nel marzo del 1978 condussi in gran segreto Arafat a Bucarest per le istruzioni finali su come comportarsi a Washington. ‘Devi solo far finta di rompere con il terrorismo e riconoscere Israele, ancora, e ancora e ancora’, disse Ceausescu ad Arafat. (…) Ceausescu era euforico all’idea che Arafat e lui potessero riuscire ad accaparrarsi un Premio Nobel per la pace con la loro farsa del ramoscello d’ulivo. (…) Ceausescu non riuscì a ottenere il suo Premio Nobel per la pace. Ma nel 1994 Arafat lo ricevette, proprio perché continuò a interpretare alla perfezione il ruolo che gli avevano affidato. Aveva trasformato la sua OLP terrorista in un governo in esilio (l’Autorità palestinese), fingendo sempre di porre fine al terrorismo palestinese, pur continuando ad alimentarlo. Due anni dopo la firma degli accordi di Oslo, il numero degli israeliani uccisi dai terroristi palestinesi era aumentato del 73 per cento”.

Questa strategia ha continuato a funzionare alla perfezione, attraverso i “processi di pace” negoziati dagli Stati Uniti, dagli accordi di Camp David del 1978 alla presidenza di Barack Obama e oltre, senza posa. Le autorità occidentali non sembrano mai riflettere sul perché siano tutti falliti così tanti tentativi di raggiungere una pace negoziata tra Israele e i “palestinesi”, la cui esistenza storica oramai tutti danno per scontata. La risposta, ovviamente, sta nella dottrina islamica del jihad. “Cacciateli da dove vi hanno cacciato” è un ordine che non contiene alcuna mitigazione e che non accetta nessuno.

Nota: Questo è un estratto esclusivo dal nuovo libro di Robert Spencer, The History of Jihad From Muhammad to ISIS. Tutte le citazioni sono contenute nel libro.




Onu, cosa ha detto un leader della sinistra israeliana a Ramallah
Anniversario delibera spartizione Onu, le parole di un leader della sinistra israeliana a Ramallah
Ugo Volli
4 Dicembre 2019

https://www.progettodreyfus.com/onu-isr ... CskS7rqgOk


Giovedì scorso, nel palazzo della Mukata a Ramallah, si è svolto un evento rievocativo della votazione dell’Assemblea Generale dell’Onu che ne 1947 stabilì la partizione del mandato britannico (già suddiviso nel ‘21 dalla Gran Bretagna la dare agli arabi “il loro stato”).

Come è noto Israele accettò la divisione, anche se era era tracciata in maniera da rendere difficilissima la sopravvivenza della parte ebraica, gli arabi la rifiutarono, il giorno stesso con la complicità britannica iniziarono attacchi terroristici agli insediamenti ebraici e ad aprile del ‘48, quando Israele proclamò finalmente il suo stato alla vigilia della partenza degli inglesi, le armate di tutti gli stati arabi circostanti tentarono di invadere e distruggere il neonato stato di Israele; ma con grandi sacrifici furono sconfitte dall’esercito israeliano nel ‘49 dovettero ritirarsi dietro una linea armistiziale ben più arretrata, la cosiddetta linea verde.

Da questa storia l’evento della Mukata, amministrato dal noto filoterrorista Jibril Rajoub, non ha tratto motivi di riflessione sulla necessità di un accordo, ma al contrario ha voluto rilanciare la narrativa palestinista sull’”occupazione israeliana”. L’aspetto più curioso di questa riunione è la presenza di circa 300 ebrei israeliani. Erano i soliti ultraortodossi antisionisti di Naturei Karta, che hanno usato l’occasione per dichiarare che l’”entità sionista” non rappresenterebbe il popolo ebraico, sarebbe odiata da “Allah” (questo è il nome con cui il loro leader Meir Hirsh ha scelto per l’occasione di chiamare la Divinità) e costituirebbe la violazione di tutte le leggi internazionali: un piccolo gruppo di estremisti che frequenta con piacere tutti gli antisemiti da Corbyn a Achamadinedjad, e la cui presenza non poteva meravigliare.

Dall’altro lato, però, c’era una folte rappresentanza di militanti di sinistra: alcuni cani sciolti, ma soprattutto Mosi Ratz l’ex leader e ancora influente dirigente del partito israeliano di sinistra Meretz, l’unico che abbia ufficialmente abiurato il sionismo, alla guida di una delegazione di alto livello.

Raz ha parlato avendo alle spalle una foto di Yasser Arafat e ha detto: “Siamo venuti qui per esprimere la nostra solidarietà con il popolo palestinese nei territori occupati, in esilio nella speranza che i ministri palestinesi entrino presto nel prossimo governo. Sostengo uno stato palestinese entro i confini del 67 con uno scambio di territori concordato a fianco dello Stato di Israele, la cui capitale dev’essere Gerusalemme est. Questo marzo andremo alle elezioni in cui Netanyahu sarà sconfitto e Gantz sarà eletto.”

È una dichiarazione molto significativa, non solo per il luogo e l’occasione, ma anche per il contenuto. Meretz, pur avendo pochi seggi, è un pezzo centrale della coalizione di Gantz che certamente non può farne a meno. Si è molto parlato del pericolo di un accordo fra il partito bianco-azzurro e gli arabi filoterroristi, ma non abbastanza dell’influenza delle estrema sinistra ebraica.

La dichiarazione di Raz spiega molto sulle ragioni reali del braccio di ferro che è in corso nella politica israeliana da un anno. Non è detto che Ganz sia d’accordo, ma è chiaro che il progetto di alcune forze che lo appoggiano e di cui egli avrà certamente bisogno consiste nel cancellare o minimizzare la natura ebraica dello stato di Israele, rovesciando le scelte di settant’anni fa.




L'inesistente storia della Palestina arabo maomettano palestinese
https://www.facebook.com/HalleluHeb/vid ... 0838079851



La Mappa della Palestina: Un Falso Creato dell'AIC
Victor Scanderbeg RomanoAnalista Storico-Politico
http://www.progettodreyfus.com/la-mappa ... a-un-falso

La Mappa della Palestina è un clamoroso falso creato ad hoc negli anni’60 da un ufficio di propaganda arabo. Spesso definita come “mappa dell’occupazione israeliana in palestina” e in tanti altri modi, questa mappa ha una storia molto lunga e completamente diversa da quella che viene raccontata su molti libri, dossier, siti e social media. Dedicando due minuti alla lettura di questo articolo, avrete a disposizione tutti gli elementi per mettere a tacere il prossimo amico o lontano conoscente che condividerà questo assurdo falso storico.



Per la Corte Penale Internazionale la Palestina non è uno Stato
Sarah G. Frankl
22 Febbraio, 2020

https://www.rightsreporter.org/per-la-c ... F6s0m1Wu7E

Lo scorso 20 dicembre 2019 il Procuratore capo della Corte Penale Internazionale (CPI), Fatou Bensouda, annunciava raggiante di avere gli elementi per aprire una indagine contro Israele per presunti crimini di guerra commessi in Giudea e Samaria e nella Striscia di Gaza.

L’indagine era stata sollecitata dalla Autorità Nazionale Palestinese credendo che bastasse l’adesione della Palestina allo Statuto di Roma quando in realtà la prima e inderogabile qualità necessaria per rivolgersi alla Corte Penale Internazionale non è l’adesione allo Statuto di Roma quanto piuttosto l’essere riconosciuto come uno Stato.

Sin da subito sia Israele che gli Stati Uniti avevano sollevato dubbi sulla effettiva possibilità da parte palestinese di avanzare richieste alla Corte Penale Internazionale in quanto non essendo la Palestina uno Stato riconosciuto veniva meno proprio quella qualità necessaria per rivolgersi alla CPI.

Ma il Procuratore Capo dell’Aia non volle sentire ragioni e affermando che «non vi erano ragioni sostanziali per ritenere che un’indagine non servirebbe gli interessi della giustizia» andò avanti con la prassi per dare il via ad una indagine nonostante Israele non abbia mai aderito allo Statuto di Roma e quindi non rientrasse nel raggio d’azione della Corte e, soprattutto, nonostante i palestinesi non avessero gli attributi necessari a chiedere una indagine.

Questa settimana è stata la stessa Corte Penale Internazionale a porre un macigno difficilmente removibile sulla richiesta palestinese.

Procedendo con l’iter avviato dal Procuratore Capo, molti Stati aderenti allo Statuto di Roma, tra i quali anche alcuni che hanno formalmente riconosciuto la Palestina, e moltissimi esperti di Diritto Internazionale hanno espresso parere negativo al proseguimento dell’indagine in quanto non essendo la Palestina uno Stato riconosciuto non può trasferire la giurisdizione criminale riguardante il suo territorio all’Aia.

Tra questi i più incisivi sono stati la Germania, l’Australia, l’Austria, il Brasile, la Repubblica Ceca, l’Ungheria e l’Uganda i quali hanno chiesto il cosiddetto “amicus curiae” ovvero “amico della Corte” che fornisce loro la possibilità di esprimere una opinione sugli atti della Corte.

Questo gruppo di Paesi, sostenuti poi anche da altri, hanno quindi espresso la loro posizione negativa rispetto al fatto che la Palestina potesse rivolgersi alla CPI in quanto non essendo uno Stato riconosciuto e quindi in base a quanto stabilito dallo Statuto di Roma non gli è permesso presentare alcunché alla Corte.

Il fatto curioso e a modo suo eclatante, è che nemmeno quegli Stati che hanno riconosciuto unilateralmente la Palestina hanno fatto opposizione alla giusta indicazione portata all’attenzione della Corte da questi sette Paesi.

Morale della favola, la Palestina non è uno Stato e non basta aderire a trattati internazionali per avere voce in capitolo.

Ora spetta a una cosiddetta camera pre-processuale decidere in merito. I tre giudici di questa camera – l’ungherese Péter Kovács d’Ungheria, il francese Marc Perrin de Brichambaut e Reine Adélaïde Sophie Alapini-Gansou del Benin – hanno invitato «la Palestina, Israele e le presunte vittime nella situazione in Palestina, a presentare osservazioni scritte» sulla questione entro il 16 marzo.

Ma appare evidente che l’Aia non ha giurisdizione sulle questioni riguardanti la cosiddetta “Palestina” e che quindi il tutto si concluderà con un nulla di fatto.

Di «grande vittoria per Israele» parla l’avvocato Daniel Reisner. «È significativo che anche stati come il Brasile e l’Ungheria, che hanno riconosciuto la Palestina nominalmente, sollevino seri dubbi sulla giurisdizione della corte» ha detto Reisner.

Proteste dalla Lega Araba e dalla Organizzazione per la Cooperazione Islamica

Immediate le proteste dalla Lega Araba e dalla Organizzazione per la Cooperazione Islamica che sembrerebbero voler chiedere lo status di “amicus curiae” in modo da contrastare quanto evidenziato questa settimana. Ammesso che lo possano fare, hanno tempo fino a venerdì prossimo per presentare le loro osservazioni.

In ogni caso Israele non presenterà nessun documento alla camera pre-processuale per non legittimare un procedimento chiaramente fuori dal contesto del Diritto Internazionale.
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Re: I palestinesi arabo maomettani sono un popolo inventato

Messaggioda Berto » ven gen 21, 2022 9:26 am

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Messaggioda Berto » ven gen 21, 2022 9:26 am

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Re: I palestinesi arabo maomettani sono un popolo inventato

Messaggioda Berto » ven gen 21, 2022 9:27 am

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Re: I palestinesi arabo maomettani sono un popolo inventato

Messaggioda Berto » ven gen 21, 2022 9:27 am

2)
L’invasione araba della Palestina nel VII secolo, di Michele Piccirillo


http://www.gliscritti.it/blog/entry/4490


Riprendiamo su nostro sito un brano da M. Piccirillo, La Palestina Cristiana. I-VII secolo, Bologna, EDB, 2008, pp. 195-201. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Alto Medioevo e Islam.

Il Centro culturale Gli scritti (22/4/2018)

LA FINE DELLA PROVINCIA DI PALESTINA

[…]

Nella lunga storia dell'impero romano su tutto il fronte orientale c'erano state scorrerie dei nomadi arabi provenienti dal deserto e dalla steppa alla ricerca di qualcosa da razziare spinti spesso dalla fame all'interno della terra abitata. Gli imperatori avevano cercato di arginare questo pericolo incombente sulle popolazioni sedentarie stringendo alleanze con le confederazioni tribali più vicine e creando una rete continua di forti lungo le strade dell'impero.

Malgrado ciò il pericolo non era scongiurato. Con la nascita e lo sviluppo del movimento monastico, gli eremiti del deserto furono spesso le prime vittime di queste incursioni nomadiche che qualche volta prendevano l'aspetto di vere e proprie invasioni di beduini ancora pagani che ricevevano i titoli più o meno ingiuriosi di saraceni, agareni, ismaeliti, amaleciti, ladroni madianiti.

Nel VI secolo l'imperatore Giustiniano aveva deciso di affidare la difesa del confine agli arabi cristiani della confederazione dei Bani Ghassan guidati dai loro capi, i filarchi, con il titolo di re. Prima al-Harith ibn Jabala (Areta in greco), poi il figlio al-Munthir ibn al-Harith (Alamundaros in greco) avevano efficacemente svolto il loro compito nelle province di Siria e di Arabia. In Palestina la pace era stata assicurata dal fratello di Areta, ed Abu Karib ibn Jabala. I santi monaci come Simeone in Siria ed Eutimio in Palestina avevano partecipato al mantenimento della pace e della sicurezza delle popolazioni sedentarie dell'interno operando in favore della conversione dei nomadi. I cronisti bizantini tenevano a ricordare insieme con i grandi fatti della vita dell'impero anche queste incursioni, fortunatamente sempre passeggere, che lasciavano sul loro cammino uccisioni e distruzioni oltre al senso di insicurezza.

Ma negli anni trenta del VII secolo avvenne qualcosa di nuovo che ebbe ripercussioni durevoli sulla vita delle popolazioni cristiane delle province di Siria, di Arabia, di Palestina e d'Egitto, perché l'impero, uscito vittorioso ma stremato dal lungo confronto con la Persia, non riuscì più a ricacciare dai suoi confini l'invasione che veniva direttamente dal cuore dell'Arabia da parte delle tribù galvanizzate dalla predicazione del profeta Maometto.

«Mentre la Chiesa in quel tempo era turbata in tal modo da imperatori e preti empi (riferendosi al dibattito teologico che si riaccese al tempo di Eraclio) - scrive Teofane sunteggiando tutto questo periodo -, Amalec si sollevò nel deserto, colpendo noi il popolo di Cristo. E lì successe la prima terribile caduta dell'esercito romano, mi riferisco al massacro di Gabithas (al-Jabiyah sul Golan), di Hiermouchas (il fiume Yarmuk), e Dathesmos (Dathin vicino a Gaza). Dopo ciò, ci fu la caduta della Palestina, di Cesarea e di Gerusalemme, poi il disastro egiziano, seguito dalla cattura delle isole tra i continenti e di tutto il territorio romano, con la perdita completa dell'esercito romano e della flotta a Phoinix, e la devastazione di tutte le popolazioni e terre cristiane, che non cessò finché il persecutore della Chiesa non fu miserabilmente sgozzato in Sicilia».

La prima spedizione che si mosse nel 629 (anno ottavo dell'Egira), vivente Maometto, contro il territorio orientale della Palaestina Tertia, composta di 3000 uomini al comando di Zayd ibn Haritha, fu fermata a Mota nei pressi della città di Kerak nella Moabitide dalla guarnigione romana con l'aiuto di contingenti di arabi federati.

L'anno seguente, anno nono dell'Egira chiamato l'«anno delle ambasciate» (sanat al-wufud), da Medina Maometto, alla testa di un nuovo esercito, riuscì a raggiungere l'oasi di Tabuk sul confine del territorio del wadi al-Qura controllato dagli arabi federati. Sul mar Rosso, Maometto riuscì a siglare un trattato di pace con i cristiani di Aila porto della Palestina. In cambio della jiziah (un denaro d'oro per ogni maschio), Maometto garantiva alla popolazione sicurezza e libertà di movimento. Condizioni che furono imposte anche alle altre città della regione, man mano che vennero conquistate e che confluiranno in quel corpus legislativo consuetudinario che dai giuristi musulmani posteriori è conosciuto come il Patto di Omar.

Nell'autunno del 633, un anno dopo la morte del profeta avvenuta l'8 giugno 632, il califfo Abu Bakr, scelto come successore (califfo) del profeta, comandò una nuova campagna contro il territorio dell'impero bizantino (Bilad al-Sham, Paesi del Nord per gli storici arabi musulmani). L'esercito era composto da tre distaccamenti ciascuno di 3000 uomini guidati uno da 'Amr ibn al-'As che prese la strada costiera verso Aila e Gaza; l'altro da Yazid ibn abi Sufyan che si diresse verso nord prendendo la Tabukiyah, cioè la strada che, passando per l'oasi di Tabuk, raggiungeva Ma'an e il territorio della Palestina Tertia, della provincia di Arabia e di Siria; e il terzo da Shurahbil ibn Hasanah che si diresse nella steppa per raggiungere Bostra e Damasco da oriente.

Il primo scontro con le truppe bizantine avvenne nel wadi Arabah, dove Yazid sconfìsse il patrizio Sergio dux di Palestina che, da Cesarea, con soli 5000 uomini, si era mosso per sbarrargli la strada. Davanti alla superiorità numerica, questi allora decise di ripiegare su Gaza. Lo scontro ci fu nei pressi del villaggio di Dathin. Alla battaglia, nella quale cadde anche il dux Sergio, seguì un massacro di 4000 contadini cristiani, Giudei e Samaritani intenzionati a difendere le loro terre dall'incursione dei nomadi venuti dal deserto che si spinsero fino a Cesarea, metropoli della provincia.

Venuto a conoscenza della gravità della situazione, l'imperatore Eraclio da Edessa (al-Ruha) inviò un esercito al comando di suo fratello Teodoro per respingere l'invasione. Come contromisura, il califfo Abu Bakr chiamò tutte le sue forze a raccolta. Khalid ibn al-Walid, che si trovava in Iraq, risalì con le sue truppe il wadi Sirhan e dal nord scese verso Damasco giungendo alle spalle dell'esercito bizantino. Dopo uno scontro combattuto il 24 aprile del 634 a Marj Rahit a circa 15 chilometri a est di Damasco, si riunì agli altri contingenti nei pressi della città di Adra'at (Der'ah). Probabilmente, le forze congiunte musulmane attaccarono Bostra, la capitale della provincia Arabia.

I bizantini decisero di contrattaccare nel territorio della Palestina muovendovi il grosso dell'esercito che pose il campo nella località di Jilliq. Anche l'esercito musulmano fu obbligato a spostarsi a ovest del fiume Giordano. La battaglia fu combattuta a 'Ajnadayn il 13 luglio del 634, probabilmente una località tra Beit Gibrin e Lidda, dove l'esercito imperiale subì la prima sconfitta.

Teodoro dal campo di battaglia salì a Gerusalemme prima di ripiegare con le truppe superstiti su Beisan, nella valle del Giordano, e riattraversare il fìume per riprendere posizione sul Golan, lasciando il territorio palestinese in mano ai musulmani. Nella valle del Giordano, Shurahbil con il suo contingente diede battaglia ai bizantini nei pressi della città di Fihl (Pella) che si arrese il 23 gennaio del 635.

Per l'insicurezza che regnava nella regione, il nuovo patriarca di Gerusalemme Sofronio, che era succeduto a Martirio dopo sei anni di sede vacante, non poté recarsi a Betlemme per celebrarvi la festa della Natività. In una omelia tenuta nella basilica della Nea Theotokos a Gerusalemme, fa riferimento alla situazione precaria che si viveva in quei giorni: «Che i magi e i divini pastori vadano a Betlemme, ricettacolo di Dio, che essi abbiano la stella per compagna e guida della strada [...]. Per noi, noi siamo impediti di dirigere i nostri passi verso questo luogo e di esservi presenti, perché malgrado noi e tuttavia per nostra colpa, noi siamo obbligati a restare qui non perché ritenuti da legami corporali, ma incatenati e inchiodati dal terrore dei Saraceni [...] (come l'angelo sull'ingresso del paradiso, Betlemme è guardata) da una spada feroce, barbara e piena di sangue».

Sul Golan si concentrarono anche tutte le forze musulmane affidate al comando supremo di Abu Obayda. Dopo un primo scontro a Jabiyah, la battaglia decisiva fu combattuta il 20 agosto 636 in una giornata infuocata sulla sponda del fiume Yarmuk. Fu una sconfitta totale per l'esercito bizantino. Anche Teodoro cadde combattendo. I superstiti si ritirarono verso il nord. Racconta Teofane: «In questo anno i Saraceni – un’enorme moltitudine di essi - (usciti dall’) Arabia fecero una spedizione nella regione di Damasco. Quando Baanes lo venne a sapere, inviò un messaggio al sakellarios imperiale, chiedendogli di venirgli in aiuto con il suo esercito, vedendo che gli Arabi erano molto numerosi. Perciò il sakellarios si unì a Baanes e, muovendosi da Emesa, essi si incontrarono con gli Arabi. Fu data battaglia e, nel primo giorno, che era un martedì, il 23 del mese di Loos (luglio), gli uomini del sakellarios furono sconfitti [...]. Poiché un vento del sud soffiava nella direzione dei Romani, essi non poterono fronteggiare il nemico a causa della polvere e furono sconfitti. Buttandosi nelle forre del fiume Yarmuk, tutti perirono, l'esercito di entrambi i generali di circa 40.000 uomini. Avendo ottenuto questa brillante vittoria, i Saraceni vennero a Damasco e la presero, come pure la regione della Fenicia, e si accamparono lì e fecero una spedizione in Egitto».

Dopo la battaglia dello Yarmuk, Shourahbil sottomise le città di Tiberiade, Acca, Tiro e Seforis. Nel 637 ci fu la capitolazione di Gaza, dove 60 soldati vennero fatti prigionieri. Nel luglio dello stesso anno ritornò in Palestina 'Amr ben el-'As che occupò Sebastia, Neapolis, Yabneh, Amwas, Lod e Beit Jibrin. Resisteva Gerusalemme sulla montagna di Giudea. Dopo la battaglia, e alla vigilia della presa di Gerusalemme, gli storici arabi ricordano la venuta del califfo Omar, che era succeduto ad Abu Bakr, al campo di Jabyah, dove incontrò Abu Ubaydah e furono fissati i principi amministrativi dei nuovi territori conquistati. Il territorio fu diviso in quattro jund (plurale ajnad, governatorati militari) che territorialmente sì estendevano dal deserto orientale al mare: Dimashq, Homs, Al-Urdunn e Filastin nel sud.

Il patriarca Sofronio nell'omelia della festa dell'Epifania aveva commentato: «Da dove viene che le incursioni dei barbari si moltiplicano e che le falangi saracene si sono levate contro di noi? Perché le chiese distrutte e la croce oltraggiata? [...]. Abominazione della desolazione a noi predetta dal profeta, i saraceni percorrono le contrade che sono loro interdette, saccheggiano le città, devastano i campi, danno alle fiamme i villaggi, mettono a soqquadro i santi monasteri, tengono testa alle armate romane, riportano dei trofei in guerra, aggiungono vittoria a vittoria, si uniscono in massa contro di noi [...] e si vantano di conquistare il mondo intero». E in una lettera al patriarca Sergio di Costantinopoli aveva scritto preoccupato: «Che Dio calmato dalle vostre preghiere, accordi a Eraclio e a suo figlio lunghi giorni, ch’egli li circondi di una corona di discendenti e li munisca della pace divina. Possa egli far cadere nelle loro mani gli scettri potenti di tutti i barbari e soprattutto quelli dei Saraceni dalla fronte audace che si sono ora sollevati all'improvviso contro di noi a causa dei nostri peccati, e che tutto devastano, seguendo un progetto crudele e feroce con una audacia empia e atea. Così noi supplichiamo più insistentemente la Sua Beatitudine di offrire al Cristo preghiere molto assidue perché accettandole con la benevolenza da parte vostra, egli reprima al più presto il loro orgoglio insensato e che essi facciano di questi vili nemici, come per il passato, lo sgabello dei vostri sovrani inviati da Dio».

L'esercito musulmano salì a Gerusalemme prendendo posizione intorno alle mura. Il patriarca Sofronio decise la resa della città: «Poi (dopo la divisione amministrativa del Yaum al-Jabyah) partirono tutti alla volta di Gerusalemme e la cinsero di assedio - scrive Eutichio. Sofronio patriarca di Gerusalemme si recò allora da Umar ibn al-Khattab. Umar ibn al-Khattab gli accordo la sua protezione e scrisse loro una lettera che così recitava: "Nel nome di Dio clemente e misericordioso. Da Umar ibn al-Khattab agli abitanti della città di Aelia. È concessa loro sicurtà sulle loro persone sui loro figli sui loro beni e sulle loro chiese perché queste ultime non vengano distrutte né siano ridotte a luoghi di abitazione" e lo giurò nel nome di Allah.

Poi Umar gli disse: "Mi sei debitore per la vita e per i beni che ti ho accordato. Orsù, dammi un luogo dove possa edificare una moschea". Il patriarca disse: "Do al principe dei credenti un luogo in cui egli possa innalzare un tempio che i re dei Rum non sono stati capaci di costruire. Questo luogo è la Roccia, sulla quale Dio parlò a Giacobbe e che Giacobbe chiamò ‘porta del cielo’; i figli di Israele la chiamarono Sancta Sanctorum ed è al centro della terra. Essa fu già tempio per i figli di Israele, i quali l’han sempre magnificata ed ogni volta che pregavano rivolgevano verso di essa i loro volti ovunque si trovassero. Questo luogo io ti darò, a condizione che tu mi scriva un sigillo con cui disponga che non sia costruita a Gerusalemme nessun’altra moschea all’infuori di questa" [...]. Il patriarca Sofronio prese per la mano Umar ibn al-Khattab e lo portò su quel luogo [...]. In seguito Umar si recò in visita a Betlemme».

Finiva un'era e ne iniziava un'altra. Il patriarca Eutichio, con questo racconto un po' fantastico per ribadire i diritti dei cristiani contro i soprusi commessi al suo tempo (IX-X secolo) dalla comunità musulmana nel Santo Sepolcro e nella basilica di Betlemme poste sotto protezione del califfo, sottolinea la nuova realtà nata dalla resa del 638. Gerusalemme restava cristiana, ma diventava uno dei centri dell'islam, presto identificata con il santuario più lontano (al-Aqsa) dove era giunto il profeta nel suo viaggio notturno (mi'raj), perciò luogo di pellegrinaggio dopo la Qa'aba della Mecca e la città di Medina, dove il profeta era sepolto. Il califfo Abd al-Malik, con la costruzione monumentale della Qubbat al-Sakhrah (Cupola della Roccia) e della moschea al-Aqsa, rendeva il Haram al-Sharif di al-Quds (il Recinto Nobile della Santa Città) il degno antagonista della basilica del Santo Sepolcro restaurata dall'igumeno Modesto dopo l'incendio del 614.

I MARTIRI DI GAZA.

In questo quadro quasi idillico di passaggio tra il periodo bizantino-cristiano e quello arabo islamico si inserisce il racconto della passione dei 60 soldati arabi cristiani di Gaza conservatoci in una cattiva traduzione latina da un originale in greco.

La città di Gaza al confine con l'Egitto fu assediata dall'esercito musulmano il ventisettesimo anno di Eraclio e costretta alla resa (637). Dalle condizioni di resa vennero esclusi i soldati della guarnigione bizantina che furono fatti prigionieri. Invitati a farsi musulmani per avere salva la vita, rifiutarono l'offerta di Ambrus/Amr, comandante dei vincitori, e vennero rinchiusi in prigione.

Dopo trenta giorni, incatenati, furono condotti alla città di Eleutheropolis/Bet Gibrin dove restarono due mesi e dove fecero ritorno dopo un altro viaggio in una località sconosciuta al seguito dell'esercito musulmano.

Dopo tre mesi vennero condotti a Gerusalemme dove il patriarca Sofronio fece loro visita incoraggiandoli a resistere imitando la fede dei quaranta martiri cappadoci. Dopo dieci mesi vennero invitati di nuovo ad abbracciare l'islam dal capo musulmano della città, Ammiras/Amir, su ordine di Ambrus. Al loro rifiuto ci fu una prima esecuzione: l'ufficiale Callinico con nove soldati vennero decapitati l'11 novembre alla presenza degli altri. I martiri furono sepolti con onore dal patriarca Sofronio «in un solo luogo dove fece costruire un oratorio dedicato a santo Stefano Protomartire».

I sopravvissuti, un mese dopo, vennero riportati a Eleutheropoli davanti ad Ambrus/Amr che ordinò di portare in tribunale le loro mogli e i loro figli, quando fece un nuovo tentativo di farli apostatare. Al loro rifiuto ordinò di eseguire la sentenza di morte affidandola ai musulmani presenti. I martiri furono decapitati il 17 dicembre, di giovedì, all'ora sesta, l'anno ventottesimo di Eraclio (638 d.C.).

«I corpi furono riscattati con tremila solidi (d'oro) dai cristiani del luogo che con grande onore seppellirono i martiri di Cristo in un sol luogo in Eleutheropoli. Sul luogo poi costruirono una chiesa nella quale si adora la santa vivificante e consustanziale Trinità».

Al racconto delle due esecuzioni fa seguito la lista dei nomi dei martiri di Cristo uccisi «imperante Eraclio anno vicesimo octavo, regnante Domino nostro Jesu Christo, qui cum Patre et Spiritu Sancto vivit et regnat in saecula saeculorum. Amen».
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Re: I palestinesi arabo maomettani sono un popolo inventato

Messaggioda Berto » ven gen 21, 2022 9:27 am

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Re: I palestinesi arabo maomettani sono un popolo inventato

Messaggioda Berto » ven gen 21, 2022 9:27 am

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Re: I palestinesi arabo maomettani sono un popolo inventato

Messaggioda Berto » ven gen 21, 2022 9:28 am

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