Contro Netanyahu, contro il responso delle urne1 marzo 2023
http://www.linformale.eu/contro-netanya ... elle-urne/L’attuale situazione in Israele, con il susseguirsi di manifestazioni contro la riforma della giustizia promossa dal governo Netanyahu, è solo l’inevitabile acme della inarrestabile delegittimazione del premier in carica e del suo diritto di governare il paese.
È un diritto che non può essergli riconosciuto nonostante il mandato elettorale che lo ha portato per l’ennesima volta alla guida di Israele. Un mandato chiaro e inequivocabile, che è stato dato dagli elettori anche al programma di governo da lui esposto, di cui, la riforma della giustizia è uno dei pilastri.
C’è una parte del paese che non accetta il responso delle urne e che è sostenuta dalla parte più consistente dell’apparato culturale, politico e mediatico israeliano, nonché da una parte di quello militare, il quale, da anni, in tutti i modi ha cercato di presentare Netanyahu come una figura criminale indegna di guidare il paese, nonostante nessuna delle accuse a lui mosse, dalla corruzione all’abuso di ufficio, che hanno portato a una serie di processi ancora in corso, si sia conclusa con un verdetto di colpevolezza.
In questo momento, la colpa imperdonabile di Netanyahu agli occhi di una opposizione che lo ha demonizzato senza sosta è di volere riformare quello che a tutti gli effetti è un potere che, nel corso degli anni ha acquisito il ruolo di potestà dello Stato, la Corte Suprema.
Questa riforma già annunciata nel 2018, e da lungo tempo necessaria, ora che ha preso finalmente corpo deve essere stoppata. Ne va della potestà consolidata, costruita progressivamente sotto l’egida del suo principale artefice, quello che Richard Posner, tra i maggiori giuristi americani, definì nel 2007, “despota illuminato”, Aharon Barak.
Presidente della Suprema Corte di Israele dal 1995 al 2006 e precedentemente Procuratore Generale di Israele dal 1975 al 1978, nonché decano della facoltà di Legge dell’Università di Gerusalemme dal 1974 al 1975, colui che Ben Dror Yamini, non certo un partigiano della destra, ha definito il “rabbino imperiale della legge”, Barak ha fatto in modo di generare un sistema che non ha pari per potere e influenza con quello di nessun altro Stato democratico occidentale. Nelle parole di Posner:
“I giudici non possono essere rimossi dalla legislatura, ma solo da altri giudici; ogni cittadino può chiedere a un tribunale di bloccare l’azione illegale da parte di un funzionario governativo, anche se il cittadino non ne è personalmente colpito; qualsiasi azione governativa che sia “irragionevole” è illegale (“in parole povere, l’esecutivo deve agire ragionevolmente, perché un atto irragionevole è un atto illecito”); un tribunale può proibire al governo di nominare un funzionario che ha commesso un reato (anche se è stato graziato) o che è messo sotto esame etico in un altro modo, e può ordinare il licenziamento di un ministro se deve affrontare un procedimento penale. In nome della “dignità umana” un tribunale può costringere il governo ad alleviare i senzatetto e la povertà e un tribunale può revocare gli ordini militari e decidere “se impedire il rilascio di un terrorista nel quadro di un ‘accordo politico’, e indirizzare il governo nello spostare il muro di sicurezza che impedisce ai kamikaze di entrare in Israele dalla Cisgiordania”.
Sempre per Posner, Barak, da “per scontato che i giudici abbiano l’autorità intrinseca di scavalcare gli statuti. Un tale approccio può essere descritto con precisione come usurpativo”.
A questo vulnus la riforma prevista dal nuovo esecutivo intende porre rimedio, e ciò non può essere permesso, da qui l’isterica e demagogica accusa che con questa riforma si intenda mettere in pericolo la democrazia, mentre si tratta semmai del suo raddrizzamento, da qui il ricatto dell’opposizione nei confronti del governo e il sobillamento delle piazze.
La riforma della giustizia del governo Netanyahu è sicuramente perfettibile come ogni riforma, e alcuni suoi angoli acuti potrebbero essere smussati ma non con questa opposizione facinorosa e fanaticamente avversa a Netanyahu e al principio fondamentale della democrazia che essa per prima disconosce, quello dell’alternanza di governo e della prerogativa che ha la maggioranza di varare le leggi per le quali è stata votata dall’elettorato.
Lo scenario apocalittico e i suoi fautori interessatiLa vittoria di Benjamin Netanyahu alle ultime elezioni in Israele non è stata accettata da un vasto contesto a lui avverso. Questo è il dato di base, il resto, per dirla col poeta, discende per li rami.
Niram Ferretti
2 marzo 2023
http://www.linformale.eu/lo-scenario-ap ... teressati/Il “problema” Netanyahu la sinistra sperava di averlo definitivamente risolto con le imputazioni a suo carico, corruzione e abuso di ufficio, e con i processi avviati, a cui aveva fatto da corollario, prima e dopo, una campagna di demonizzazione paragonabile solo a quella messa in atto negli Stati Uniti contro Donald Trump. Di fatto i frutti sono poi arrivati, per un periodo Netanyahu è uscito di scena ed è tornato sui banchi dell’opposizione. Il tentativo di renderlo perennemente ineleggibile, nonostante i processi a suo carico è però fallito, ma perlomeno si era riusciti a rimuoverlo dal premierato. Al governo si insedia dunque il 13 giugno del 2021 una coalizione eterogenea che imbarca l’imbarcabile da Lapid a Bennett fino a Ra’am, il partito arabo di Mansur Abbas. I peana sono tanti, si saluta entusiasti il sol dell’avvenire. Soprattutto è a Washington che giubilano, perchè è a Washington che bisogna gettare sempre lo sguardo relativamente alle conseguenze di ciò che si muove politicamente in Israele. Non è un mistero per nessuno che il rapporto indissolubile tra Israele e il suo alleato principale condiziona e ha condizionato il destino dello Stato ebraico dal suo sorgere fino ai nostri giorni, nel bene come nel male.
La vittoria di Netanyahu e le sue alleanze, di cui la componente più problematica è quella rappresentata da Benzalel Smotrich e Itmar Ben Gvir, entrambi a capo di due formazioni politiche ultranazionaliste, per Washington rappresentano un fastidio. Subito dopo le elezioni, dalla Casa Bianca arrivano infatti i primi commenti preoccupati, o meglio, i primi avvertimenti. Non ce ne fu nessuno quando si imbastì il governo a rotazione Bennett-Lapid, e non potevano esserci perchè quel governo era gradito all’amministrazione Biden. Il gradimento scende poi drammaticamente quando si insedia nuovamente Netanyahu. Il problema è che non ci si limita a questo, che è sostanzialmente prevedibile, visto che la nuova realtà politica israeliana è ideologicamente non omogenea a quella in carica negli Stati Uniti, si va oltre. Cosa accade? In visita a Gerusalemme il 30 gennaio scorso, il Segretario di Stato, Antony Blinken in conferenza stampa con Netanyahu, irritualmente tocca un tema che riguarda la politica interna del paese, ovvero l’annunciata riforma del sistema giudiziario. Le parole di Blinken sono circonfuse di irenismo: bisogna evitare i contrasti e creare intorno alla riforma il consenso più ampio. A tutti è chiaro cosa è sottinteso, una riforma unilateale non incontrerà il plauso della Casa Bianca. La Casa Bianca non dovrebbe occuparsi di una riforma che riguarda la politica interna di uno Stato sovrano, ma invece, nel caso di Israele, lo fa eccome.
A monte di questo sommovimento c’è un potere, quello giudiziario, che la Corte Suprema incarna nella sua massima espressione e che, nel corso degli ultimi trent’anni è diventato, nelle parole di Amnon Rubinstein, giurista insigne e tra i fautori delle due leggi base di Israele a tutela dei diritti umani, “Uno Stato nello Stato”. Di questo potere e del suo principlae demiurgo, abbiamo dato ampio
riscontrohttp://www.linformale.eu/il-gi ... emocrazia/ .
Nel frattempo 120 accademici israelaini tra cui il premio Nobel, Yisrael Aumann, sottoscrivono un appello a favore della riforma del governo indicandone la necessità: “La violazione dell’equilibrio tra i rami del governo e l’aumento del potere dell’Alta Corte sono stati compiuti attraverso vari strumenti, tra cui il controllo giurisdizionale sulla legislazione primaria, compresa la sua estensione alle leggi fondamentali, l’ampliamento del diritto alla legittimazione, l’ampliamento della dottrina di giustiziabilità e del criterio di ragionevolezza, l’uso dell’interpretazione oggettiva della legge e aumentando notevolmente l’autorità dei consulenti legali del governo “
Per la prima volta il potere giudiziaro israeliano plasmato negli anni secondo l’indirizzo di Barak, si trova davvero in difficoltà, la riforma della giustizia annunciata spesso e mai varata ora sembra che sia davvero in procinto di manifestarsi. L’intervento che prevede è drastico, si tratta di un dispositivo che destruttura in modo dirompente lo “Stato nello Stato” di cui parla Rubinstein, ovvero il ramo giudiziario che si è sostituito, vampirizzandoli, al legislativo e all’esecutivo.
Iniziano a muoversi le piazze, sempre più folte. La parola d’ordine è che l’attuale governo attenti alla democrazia, che la riforma della giustizia che si sta attuando, porterà Israele in un abisso. I toni sono sguaiati, enfatici, apocalittici. Si paventa il crollo verticale dello Stato, Benny Gantz evoca la guerra civile se il governo non si fermerà, si arriva al punto da prospettare un collasso finanziario del paese. Se si riformerà la giustizia da Israele fuggiranno i capitali. Un gruppo di economisti scrive una lettera in cui dichiara che se la riforma dovesse passare ci sarà “un prosciugamento di cervelli” dal paese, interviene persino Fitch, l’agenzia di rating americana, affermando che alcuni paesi (senza specificare quali) “Che hanno approvato importanti riforme istituzionali riducendo i controlli e gli equilibri istituzionali hanno visto un significativo indebolimento degli indicatori di governance della Banca mondiale (WBGI), gli indicatori più influenti nel nostro modello di rating sovrano (SRM)”, aggiungendo tuttavia che, “Non è chiaro in questa fase se le riforme proposte in Israele avrebbero un impatto altrettanto ampio”. Non solo non è chiaro, non vi è tra l’una e l’altra cosa alcun nesso di causalità, ma ciò che conta è quanto affermato nell’esordio, ipotizzarlo, creare la prospettiva della sua eventualità. Il clima di intimidazione in corso è parossistico, senza precedenti.
L’estesa rete degli avversatori della riforma è potente e agguerritissima, può contare sull’appoggio della Casa Bianca nonchè su quasi tutto il comparto mediatico-accademico israeliano, sulle sparse ed efficientissime ONG che da anni lavorano all’interno di Israele per minarne la credibilità internazionale, e su una parte consisistente dell’esercito, nonchè, come è ovvio, sulla corporatività quasi unanime della magistratura. La guerra civile evocata irresesponsabilmente da Benny Ganz è già in atto. Gli oppositori alla riforma vogliono che abortisca, non fanno sconti, è in gioco troppo, un potere consolidato e fortissimamente radicato che non ha nessuna intenzione di rinunciare alle sue prerogative.
È la dimostrazione che la riforma è urgente e indispensabile. Se l’esecutivo riuscirà a tenere botta fino alla fine, è tutto da vedere.
Alberto Pneto
Ecco dove vogliono andare a parare i sinistrati di Israele: negare gli ebrei e la loro IsraeleI dhimmi che negano se stessi, gli ebrei che negano la loro ebraicità e la loro nazione, una mostruosità umana, civile e politica.
Al servizio dei nazi maomettani che vogliono la distruzione di Israele e la cacciata o lo sterminio degli ebrei come ovunque nel mondo quello dei cristiani, degli indù, degli zoroastriani, di ogni diversamente religioso, areligioso e pensante.
Questi ebrei atei e non ebrei, vittine della Sindrome di Stoccolma, hanno interiorizzato la dhimmitudine e ambiscono al suicidio politico dell'intero Popolo ebraico e del loro Stato di Israele.
Né stato degli ebrei né stato degli israelianiGiorgio Gomel
3 Marzo 2023
https://www.affarinternazionali.it/lo-s ... netanyahu/ “Avremo dunque una teocrazia? No: la fede ci rende uniti, la scienza ci rende liberi. Non permetteremo affatto che le velleità teocratiche di alcuni nostri rabbini prendano piede: sapremo tenerle ben chiuse nei loro templi, come rinchiuderemo nelle caserme il nostro esercito di professione. Esercito e clero devono venire così altamente onorati come esigono e meritano le loro belle funzioni; nello Stato, che li tratta con particolare riguardo, non hanno da metter bocca, ché altrimenti provocherebbero difficoltà esterne e interne “ (Theodor Herzl, Lo Stato degli Ebrei, Treves editore, 2012, pagg. 129-130).
Lo “Stato ebraico”
Già nel 2018 la Knesset – il Parlamento israeliano – aveva approvato la controversa “legge della nazione“, una legge fondamentale con uno status quasi costituzionale, che sanciva nei fatti la transizione di Israele da “stato ebraico e democratico” – un ossimoro secondo alcuni; un tentativo in parte riuscito secondo altri di conciliare lo “stato degli ebrei” concepito da Herzl e dagli altri padri fondatori del sionismo, uno stato cioè dove gli ebrei potessero autodeterminarsi in una nazione, con il principio di una democrazia per tutti i suoi cittadini – ad uno “stato ebraico”.
La legge violava lo stesso spirito della Dichiarazione di indipendenza del ’48 che prescrive “completa eguaglianza di diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti senza distinzione di religione, razza o sesso”. Con Israele definito dalla legge “stato-nazione del popolo ebraico” il diritto all’autodeterminazione è limitato agli ebrei. Ciò significa disconoscere il fatto che vi è in Israele un’altra nazione o etnia che nulla può dire circa il carattere dello stato di cui i suoi membri – gli arabi – sono cittadini con pari diritti. Pari diritti individuali sì, ma non i diritti collettivi di una minoranza nazionale, che dovrebbe potere conseguire attraverso strumenti legislativi e atti concreti uno status non inferiore a quello degli ebrei israeliani.
Radicalismo e discriminazioni
La legge rifletteva l’offensiva del radicalismo di destra, con norme volte a limitare la libertà di espressione – soprattutto nel mondo delle ong e dei movimenti dediti alla difesa dei diritti umani – l’indipendenza del potere giudiziario, in particolare i poteri della Corte suprema, il pluralismo delle opinioni, in una società in cui larghi strati dell’opinione pubblica appaiono indifferenti o anche ostili ai vincoli dello stato di diritto e intolleranti del dissenso.
Il dualismo fra “ebraico” e “democratico” esiste fin dalla nascita dello Stato di Israele; basti pensare alla Legge del ritorno che consente agli ebrei del mondo di diventare cittadini di Israele immigrando nel paese. Che Israele sia uno stato “ebraico”, non solo perché luogo di rifugio dalle persecuzioni di un popolo disperso, ma perché l’identità collettiva del paese è impregnata di cultura ebraica (la lingua, le feste, il calendario, i simboli pubblici) è certamente legittimo. Ma non è accettabile che lo stato favorisca il gruppo ebraico rispetto ad altre etnie. Israele è lo Stato degli ebrei, ma rispettoso dei diritti di tutti i suoi cittadini. La legge ha però codificato una discriminazione. Inoltre, uno Stato che non ha confini certi e riconosciuti come può definirsi? Se i territori palestinesi fossero annessi, come si configurerebbe Israele? Come lo stato-nazione del popolo ebraico ? Si giungerebbe così anche formalmente ad uno Stato binazionale, ma non egualitario, non democratico, con diritti pieni solo per ebrei.
L’identità dello Stato per il governo Netanyahu
Con il nuovo governo formatosi dopo le elezioni del novembre scorso, nel quale è decisivo il peso dei due partiti ultraortodossi e dei fondamentalisti del “Sionismo religioso”, con forti pulsioni verso il tribalismo, l’intolleranza, Israele non sarà piu’ neppure sul piano normativo lo “Stato degli ebrei”, nel senso del sionismo liberale di Herzl o di quello di matrice socialista, né tanto meno lo “Stato degli israeliani”, una democrazia piena ed egualitaria per tutti suoi cittadini. Diventerà uno “stato ebraico”, per mano di una bellicosa minoranza del paese.
Quali i passi più significativi se gli accordi di coalizione pattuiti fra il Likud e gli altri partiti saranno pienamente attuati? In essi si insiste compulsivamente sull’identità “ebraica” del Paese. Si inventano agenzie parti di ministeri dedicate a tal fine, in particolare una Autorità per l’identità ebraica e un incarico concernente i rapporti fra le scuole e la società civile affidati ambedue a Maoz, leader di Noam, partito omofobo e integralista, peraltro dimissionario accusando il resto del governo di “tradire” le intese.
La legge ribadisce il divieto di spazi egualitari di preghiera al Muro del Pianto, per uomini e donne, nonché per le molteplici e spesso confliggenti correnti dell’ebraismo, nonostante accordi negoziati in tal senso, nel tempo disattesi. Si statuisce persino una modifica della Legge del ritorno mirante ad abolire la clausola per cui dagli anni Settanta un nonno ebreo è sufficiente per il diritto all’aliya e alla cittadinanza israeliana. Si rifiutano di riconoscere atti di conversione celebrati da rabbini non ortodossi in Israele o comunque da rabbini ortodossi non soggetti al controllo del rabbinato centrale come viatico alla cittadinanza, atti che la Corte suprema aveva consentito con una sentenza nel 2021.
In sintesi, Israele, Paese nato sull’anelito del costruire una nazione nuova e vecchia al tempo stesso, multiculturale e unita, è scosso oggi dal pericolo di uno scisma profondo al suo interno che potrebbe disgregare la società.
Guida alla riforma - 10 domande a cui chi si oppone alla riforma non potrà rispondere senza mentire:Shaulie Rotherman
1. C'è un'altra democrazia dove i giudici nominano i giudici o hanno il veto sulla nomina dei giudici e che cos'è?
2. Se la maggior parte dei giudici fossero di destra, sosterreste ancora i giudici che eleggono i giudici?
3. Chiamate il paese secondo i valori della Carta d'Indipendenza. Dove sono le parole "Ebreo e Democratico" scritte nella pergamena dell'Indipendenza?
4. Ma lo stato d'Israele non era una democrazia fino al 1992 (il disegno di legge delle leggi fondamentali)?
5. La Corte Suprema è stata autorizzata a scavalcare leggi e decisioni governative? Dove e quando?
6. Ci sono bilanci e freni in campo al giorno d'oggi? Menziona uno "equilibrio e freno".
7. Se il tribunale ha l'ultima parola, che senso ha fare le elezioni per la Knesset e il Primo Ministro?
8. L'avvocato era autorizzato a denunciare il governo secondo la sua opinione? Dove e quando?
9. Il vostro appello al dialogo e al compromesso significa che siete d'accordo sulla necessità di una riforma perché la situazione oggi non è giusta e deve essere risolta. Perché non hai chiesto alcuna riforma fino ad oggi?
10. Accetterete di approvare la riforma in cambio del pensionamento di Netanyahu?
L’ideologia sopra ogni altra cosaRedazione
8 Marzo 2023
http://www.linformale.eu/lideologia-sop ... ltra-cosa/C’è ancora qualcuno che davvero crede che quanto sta accadendo in Israele, il dilagare delle proteste in molteplici settori civili e che ora hanno investito anche una parte dei riservisti, quindi il comparto militare, abbia a che vedere unicamente con la annunciata riforma della giustizia? Davvero c’è qualcuno di così ingenuo o sprovveduto da non capire di cosa si tratta realmente?
La riforma della giustizia annunciata dal governo Netanyahu e presentata nel programma elettorale, quindi resa manifesta a chi ha votato alle ultime elezioni, è solo uno specchietto per le allodole, o meglio dire è il casus belli. Non che la riforma, per come è concertata non vada a modificare strutturalmente il potere abnorme della Corte Suprema israeliana, il punto non è questo. Il punto è Netanyahu, è il suo governo di “ultra-destra”, il problema sono Itmar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, il problema è lo stesso premier che l’opposizione sperava fosse definitivamente uscito di scena in virtù delle risibili accuse che gli sono state mosse e dei processi costruiti intorno ad esse.
Come ha dichiarato recentemente Caroline Glick in un suo intervento pubblico, la sinistra, in Israele, è “un ecosistema”, assai più di una mera rappresentanza politica, come lo è, d’altronde, negli Stati Uniti. Se fosse solo questo, tutto quello a cui stiamo assistendo, l’impeto della protesta, gli allarmismi oltreoceano, le ingerenze americane, gli interventi delle agenzie di rating, ecc. non avrebbero luogo. Il clamore in corso, l’esagitazione iperbolica non si sarebbero manifestati in modo così eclatante.
In un loro recente comunicato, i riservisti protestatari hanno dichiarato che non vogliono vivere sotto “una dittatura” e hanno definito Itmar Ben Gvir, “un criminale kahanista”. Benny Ganz, Ehud Barak, entrambi ex militari pluridecorati e con una carriera ai vertici dell’IDF non hanno avuto alcuna esitazione ha dichiarare che se la riforma della giustizia non verrà stoppata si andrà incontro a una “guerra civile”.
Messe insieme, tutte queste affermazioni denunciano la ripulsa assoluta di una parte del paese nei confronti di Netanyahu e del suo governo.
Criticare un governo in carica, in una democrazia è fisiologico, è una prerogativa dell’opposizione e dei media che le sono vicini, ma quella a cui stiamo assistendo non è critica, è una delegittimazione radicale che si fonda su un disconoscimento quasi antropologico dell’avversario.
Il clima irresponsabile da guerra civile è stato generato e viene mantenuto in vita dall’ecosistema di cui ha parlato la Glick, il vasto e articolato insieme che comprende la parte più consistente dei media, dell’università, che può contare su un vasto appoggio all’interno dell’esercito, che si avvale di ONG finanziate da capitali stranieri, le medesime che da anni contribuiscono a minare la credibilità di Israele all’estero e che, nella Suprema Corte, ha da almeno tre decenni la propria punta di diamante, la garanzia di salvaguardia della propria struttura.
Quando, nel 1977, dopo quarantanove anni di ininterrotto dominio del partito laburista, Menachem Begin vinse le elezioni, non provvide a mettere in atto, come avrebbe potuto fare, uno spoil system. Pur essendo stato demonizzato in campagna elettorale e accusato prevedibilmente di fascismo, lasciò ai loro posti, nei vari settori nevralgici della società civile, i vecchi socialisti che da anni occupavano quelle posizioni. Begin li considerava giustamente persone che se si fosse reso necessario avrebbero anteposto le loro preferenze ideologiche all’interesse superiore dello Stato, ma erano altri tempi, erano altri uomini, pur nella durezza senza sconti delle contese politiche. Oggi non è più così, e non è più così da molto tempo.
L’ecosistema di sinistra radicalmente ideologizzato presente oggi in Israele, privilegerà sempre, come sta facendo, l’ideologia rispetto ad ogni altra considerazione.
Il rifiuto nei confronti di chi ha vintoNiram Ferretti
10 Marzo 2023
http://www.linformale.eu/il-rifiuto-nei ... -ha-vinto/ “Il caos è qui, con tutta la sua forza di risucchio” decretava David Grossman a dicembre, in un suo intervento poco dopo l’insediamento del governo Netanyahu. Il caos, naturalmente è Netanyahu e chi lo accompagna, soprattutto gli “impresentabili” Itmar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, impresentabili per la sinistra, per buona parte dei residenti di Tel Aviv per i quali in Giudea e Samaria vive una strana e aberrante forma di ebrei noti come coloni, gente che crede ancora arcaicamente sulla scia di Abramo, che esista un rapporto indistruttibile tra ebraismo e terra, un po’, diciamo, il fondamento stesso del sionismo.
L’affermazione dello scrittore israeliano molto à la page e suprestite della trimurti letteraria de-occupazionista rappresentata dai compianti Amos Oz e Abraham Yehoshua incarna in modo perfetto e inesorabile ciò che pensa la sinistra israeliana e quale è il suo atteggiamento liberale nei confronti di chi ha vinto alle ultime elezioni.
Per costoro, e certo non da oggi, la parola “democrazia” ha un significato univoco e un altrettanto univoco referente, non implica alternanza ed è esclusivamente incarnata dalla parte politica che essi rappresentano. Tutto il resto è uno sgradevole incidente di percorso, anzi un vulnus. Così fu quando Menachem Begin osò vincere le elezioni nel 1977, dopo quasi cinquanta anni di incontrastato dominio laburista, il “fascista” Begin, colui il cui mentore era stato Ze’ev Jabotinsky, figura enorme e così odiato da Ben Gurion che ne impedì la sepoltura in Israele fino a quando restò in carica. Anche i padri nobili erano uomini corredati da indistruttibili meschinità. Vino vecchio in otri nuovi dunque? Fondamentalmente. Ne abbiamo scritto varie volte in questi giorni in merito alla vituperata riforma della giustizia che fa parte del programma con il quale Netanyahu è stato eletto. Una riforma necessaria e tardiva, sicuramente non perfetta come non lo è nessuna legge, ma contro la quale è stata scatenata una mobilitazione senza precedenti.
Il comune denominatore di tutti gli interventi contro la riforma è il seguente: con la riforma in atto Israele cesserebbe di essere una democrazia, diventerebbe un’autocrazia, o forse persino una dittatutra piena. Il paese è in pericolo, bisogna salvarlo dall’abisso, o meglio dal caos, per citare Grossman, e chi può farlo se non Benny Gantz, Yair Lapid, forse Bennett, o Mansour Abbas? i componenti del governo precedente che per Grossman e compagni vari rappresentava l’opposto del caos, l’ordine, la bella forma, la continuità?
Sarcasmo a parte, questo è il canovaccio. La fotografia che ci consegna oggi Israele è quella di un paese profondamente diviso, una società in cui il disconoscimento dell’avversario è diventato radicale, soprattutto se è un rappresentante della destra. È già successo recentemente negli Stati Uniti, dove in fase pre-elettorale e successivamente alla sua vittoria, la demonizzazione di Donald Trump fu incessante, quotidiana. Si tratta, in entrambi i casi di democrazie malate, non strutturalmente, ma dentro lo stesso corpo elettorale dove prevalgono sentimenti fortemente manichei, e il compromesso, la collaborazione, l’intesa ragionevole, sono considerate cedimenti inammissibili nei confronti del Nemico.
Lo scopo di tutto il bailamme in atto, è uno solo, fare cadere il governo in carica, costringerlo all’implosione interna, disconoscere il responso delle urne e riportare dissennatamente il paese alle elezioni, ma in questo caso, come si è già visto, il rimedio potrebbe essere peggiore del male, ovvero, che Netanyahu esca ancora vincitore, forse anche più forte di quanto lo sia adesso. Vista la caratura politica degli attori che gli contendono il primato, è il più probabile degli esiti.
Netanyahu visita la Comunità ebraica di Roma. Il discorso della Presidente Dureghello: “Siamo e saremo sempre dalla parte dello Stato d’Israele”Pubblichiamo di seguito il discorso della Presidente Ruth Dureghello durante la visita privata del Primo Ministro dello Stato d’Israele Benjamin Netanyahu presso la Comunità Ebraica di Roma
10 marzo 2023
https://www.shalom.it/blog/news/netanya ... a-b1128501Gentile Primo Ministro Benjamin Netanyahu, Gentile Signora Sara Netanyahu,
Rabbanim, autorità e amici.
È con grande piacere che ho l’onore di accogliere il primo ministro dello Stato d’Israele nella sua visita a Roma e alla Comunità Ebraica.
Questa città ha un significato importante nella storia del popolo ebraico.
I primi ebrei arrivarono qui a Roma in quello che allora rappresentava il centro della civiltà dell’epoca più di ventidue secoli fa. A ricordarci quello che avvenne successivamente c’è l’Arco di Tito con la raffigurazione della Menorah trafugata e della deportazione degli ebrei dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme.
Da quel giorno il popolo ebraico ha assunto su di sé l’imperativo morale di ricordare sempre, nei momenti tristi come in quelli lieti, il luogo da cui sono stati deportati e giunsero i nostri avi. “Im Eshkachèkh Ierushalaim tishkah ieminì” Se ti dimentico Gerusalemme si paralizzi la mia mano destra.”
Caro Primo Ministro, le posso assicurare che la Comunità Ebraica di Roma non solo non ha mai dimenticato Gerusalemme, ma come nessuna comunità nella diaspora ha saputo fare, è sempre stata e sarà dalla parte dello Stato ebraico, della sua capitale Gerusalemme, unica e indivisibile e di ogni singolo ebreo in qualsiasi luogo del mondo egli si trovi.
Sotto l’arco di Tito questa Comunità tornò simbolicamente nel 1947 con il Rabbino David Prato zl, all’indomani della Dichiarazione Generale delle Nazioni Unite che apriva la strada alla nascita dello Stato d’Israele, celebrando così l’inizio della fine della diaspora del popolo ebraico.
Nulla ha potuto scalfire questo legame millenario, non sono bastati secoli di vessazioni e privazioni, non c’è riuscita la segregazione nel Ghetto, né la persecuzione nazifascista con una ferita che ancora oggi non è rimarginata. Non c’è riuscito neanche l’attentato palestinese il 9 ottobre 1982 quando sotto una pioggia di proiettili e granate, all’uscita di questa sinagoga, quaranta persone rimasero ferite e un bambino di due anni, Stefano Gaj Tachè fu barbaramente ucciso. Oggi sono fisicamente con noi i genitori e il fratello Gadj, ma posso assicurare che il ricordo di Stefano è più vivo che mai a perenne memoria di ciò che produce l’odio contro Israele.
In quegli anni terribili il clima ostile verso Israele invitava gli ebrei a disconoscere il rapporto identitario con Israele, a prendere le distanze dalle scelte dei suoi governi.
Questa Comunità non si piegò al ricatto morale di chi voleva imporre l’assunto per cui per essere cittadini italiani bisognasse condannare Israele.
Sin da quei giorni la dirigenza comunitaria decise di darsi una regola che con convinzione rispettiamo ancora oggi: le scelte dei governi d’Israele riguardano i cittadini israeliani. Cittadini che, come in ogni democrazia, hanno il diritto di esprimere dissenso e di avere posizioni politiche diverse.
Noi ebrei nella diaspora non abbiamo questo privilegio. Noi siamo dalla parte dello Stato d’Israele perché l’antisemitismo che si cela anche sotto l’antisionismo non permette divisioni e o spazi in cui insinuarsi.
Il compito di una Comunità è quello di aiutare Israele a difendersi dai tentativi di delegittimazione perché sappiamo, e la Shoah ce lo ha insegnato, che la sicurezza degli ebrei della diaspora è legata all’esistenza di uno Stato Ebraico forte e sicuro. Noi rispettiamo e apprezziamo la vitalità della democrazia israeliana e l’unico auspicio che possiamo rivolgere è che il popolo d’Israele possa continuare ad essere unito nelle sue diversità e differenza.
Nei giorni scorsi, a Purim, abbiamo accolto sessanta familiari di vittime di attentati terroristici o di soldati caduti in battaglia. Se ogni ebreo è responsabile per l’altro significa che dobbiamo ricordare sempre quanto sia importante l’unità del popolo ebraico.
Oggi questa è una Comunità viva, ricca di sinagoghe, scuole ebraiche e attività di ogni tipo. Gli ebrei romani sono parte integrante della vita sociale, culturale e politica di questa città e di questo Paese. Siamo i più antichi fra i romani ed orgogliosamente italiani con il cuore e lo sguardo sempre rivolto a Gerusalemme di cui sosteniamo con convinzione il riconoscimento da parte del Governo italiano come capitale dello Stato d’Israele.
La nostra vicinanza ad Israele, al suo popolo e alla sua democrazia non può essere messa in discussione, siamo necessari l’uno per l’altro.
La forza d’Israele è negli ebrei della diaspora e la forza degli ebrei nella diaspora è lo Stato d’Israele.
Grazie Signor Primo Ministro
Noemi Di Segni e le critiche a Netanyahu: «L'isolamento internazionale di Israele dà spazio al terrorismo»11 marzo 2023
https://www.open.online/2023/03/11/isra ... -critiche/Noemi Di Segni, che dal 2016 guida l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, parla oggi in un’intervista al Corriere della Sera di Benjamin Netanyahu e della politica di Israele. «Non ho rivolto una critica severa al primo ministro d’Israele. Vorrei che la mia riflessione non venisse inserita nella dialettica oppositiva contro/pro governo, ma restare una voce che invita alla responsabilità di tutti e in primis di chi governa», premette. Poi: «Ho voluto dare voce a chi si sente smarrito nel caos delle reciproche accuse. Spiegare cosa ci si aspetta dal governo israeliano in termini di responsabilità e di attenzione al confronto in un momento così drammatico per Israele e, di riflesso, anche per le nostre comunità ebraiche italiane», dice a Paolo Conti.
Il confronto e lo scontro
Per Di Segni« Se in Israele non c’è un confronto costruttivo ma solo una contrapposizione oppositiva e violenta da parte di entrambi gli schieramenti, questo stile e questa spaccatura, oltre a riverberarsi nelle nostre comunità, genera difficoltà nella difesa di Israele su cui tutti ci impegniamo. Un conto è il pluralismo delle idee. Un conto è un modello fatto di scontri che si replica qui. Non va bene in Israele, non va bene in Italia». La leader spiega che il suo è stato «un invito alla pacatezza, a focalizzare il tema ragionando insieme all’interno di una dialettica politica per capire perché il tema della riforma della giustizia tocca così nel profondo le corde di Israele. Non ci si può barricare dietro a un ‘è giusto così e basta’ che produce gli scontri che vediamo. Guidare un dibattito è diverso che guidare fiumi di gente in piazza che si urlano contro». E precisa che la sua «è la posizione di chi si sente israeliano, ebreo e parte del destino di Israele». Perché «l’isolamento internazionale di Israele, la sua delegittimazione e demonizzazione che prescinde da ogni ragione e da ogni governo, che finisce col dare spazio al terrorismo», spiega. Infine risponde a Riccardo Pacifici, che ha affermato che lei non lo rappresenta:« Non è una novità, non si è mai sentito rappresentato da me. Ma lo sono migliaia di altri ebrei italiani che hanno manifestato queste posizioni. Il bello dell’ebraismo italiano è che ciascuno sceglie da chi farsi rappresentare».
THE MOBDecima settimana di proteste in Israele contro la riforma della giustizia che il governo Netanyahu si appresta a varare. Come era prevedibile tutto ciò.
Niram Ferretti
11 marzo 2023
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063Il potere della Suprema Corte, potere regale e sostanzialmente antidemocratico (in quale altro Stato democratico la Corte Suprema giudica la conformità di una legge non sulla base del corpus giuridico consolidato ma sulla base della sua "ragionevolezza"?), non può permettere di essere limitato. Trent'anni di dominio incontrastato non sono pochi, e ora, qualcuno osa metterli in mora dunque bisogna scatenare il putiferio.
Il governo è accerchiato, un po' come Sara Netanyahu che, qualche giorno fa si è trovata un gruppo di manifestanti fuori dal salone di bellezza dove si trovava i quali urlavano slogan contro di lei. È stata scortata fuori dalla polizia. Mancava la ghigliottina di cartone, ma c'era già stata, qualche anno fa, durante una delle manifestazioni di piazza contro Netanyahu. Sì, allora le manifestazioni programmate dai soliti noti erano tutte rivolte contro il premier presentato come un mix tra Lucky Luciano e Al Capone, così come ora si urla alla dittatura, al prossimo avvento del Primo Reich israeliano se la riforma dovesse passare così come è.
Il radicalismo di sinistra che impregna in Israele le ONG (tutte finanziate da soldi stranieri e tutte per lo smantellamento degli insediamenti in Giudea e Samaria e per la nascita di uno Stato palestinese nel cuore di Israele), la parte più consistente dell'accademia, dei mass media, e anche una parte dell'esercito anche ai suoi più alti livelli, non fa sconti. Vogliono, sia chiaro, lo scalpo di Netanyahu, il suo magnifico riporto, per appenderlo su una picca, magari con la sua testa attaccata, vedi ghigliottina di cartone.
Non si illuda chi crede da moderato che basterebbe un compromesso e che poi tutto tornerebbe a posto. Non è così. Vogliono solo una cosa, affossare in toto la riforma, affogare il nascituro e lasciare intatto lo status quo.
Netanyahu prenda esempio da Margaret Thatcher, quando lo sciopero dei minatori del 1984-1985 rischiò di paralizzare il paese. Non cedette di un millimetro.
Cedere, con costoro, significa avere già perso la battaglia.