Migranti, l'appello di Papa Francesco: "Mettiamo ponti ai porti" e Gerusalemme è di tutti.Il pontefice sul volo di ritorno dal Marocco: "Non entra nella mia testa veder affogare la gente nel Mediterraneo". Duro attacco sui populismi: "Sono l'inizio delle dittature"
dal nostro inviato PAOLO RODARI
31 marzo 2019
https://www.repubblica.it/esteri/2019/0 ... BPEvKhcS5cSUL VOLO PAPALE - Dice che “coloro che costruiscono i muri finiranno prigionieri dei muri che hanno costruito”. E sempre a proposito dei migranti spiega che ha visto un filmato dove si mostrano “i muri con i coltelli messi lì per ferire: nel mio cuore ho visto tanta crudeltà”. E dice che “non entra” nella sua testa e nel suo cuore il “vedere affogare nel Mediterraneo”. “Mettiamo ponti a porti”, chiede. Quindi parla dei populismi: “La paura è la predica usuale dei populismi, è l’inizio delle dittature”. E della libertà di coscienza che certi “cattolici non ammettono da dopo il Concilio Vaticano II”: “Abbiamo questo problema”, dice. E ancora fa un affondo pesante sull’Europa: “Se l’Europa così generosa vende le armi allo Yemen per ammazzare dei bambini come fa l’Europa a essere coerente?”. Mentre a una domanda sul Congresso della Famiglia di Verona spiega che di “politica italiana” non capisce. E ancora: “Non so cosa sia davvero. Ho letto la lettera del cardinale Pietro Parolin e sono d’accordo, è una lettera pastorale, di buona educazione”.
Così papa Francesco sul volo di ritorno da Rabat, capitale del Marocco, secondo viaggio apostolico in un Paese a maggioranza musulmana.
Ci sono stati momenti molto forti, questa visita è stata un avvenimento eccezionale, storico per il popolo marocchino. Quali le conseguenze di questa visita per il futuro, per la pace nel mondo, per la coesistenza nel dialogo tra culture?
“Adesso ci sono i fiori, i frutti verranno dopo. Ma i fiori sono promettenti. Sono contento, perché in questi due viaggi ho potuto parlare di questo che mi tocca tanto nel cuore, tanto: la pace, l’unità, la fraternità. Con i fratelli musulmani e musulmane abbiamo sigillato questa fraternità nel documento di Abu Dhabi e qui in Marocco tutti abbiamo visto una libertà, una fraternità, un’accoglienza di tutti i fratelli con un rispetto tanto grande. Questo è un bel fiore di coesistenza che promette di dare frutti. Non dobbiamo mollare! È vero che ci saranno ancora difficoltà, tante difficoltà perché purtroppo ci sono gruppi intransigenti. Ma questo vorrei dirlo chiaramente: in ogni religione c’è sempre un gruppo integralista che non vuole andare avanti e vive dei ricordi amari, delle lotte del passato, cerca di più la guerra e anche semina la paura. Noi abbiamo visto che è più bello seminare la speranza, andare per mano sempre avanti. Abbiamo visto, anche nel dialogo con voi qui in Marocco, che ci vogliono dei ponti e sentiamo dolore quando vediamo le persone che preferiscono costruire dei muri. Perché abbiamo dolore? Perché coloro che costruiscono i muri finiranno prigionieri dei muri che hanno costruito. Invece quelli che costruiscono ponti, andranno tanto avanti. Costruire ponti per me è una cosa che va quasi oltre l’umano, ci vuole uno sforzo molto grande. Mi ha sempre toccato tanto una frase del romanzo di Ivo Andrich, ‘Il ponte sulla Drina’: lui dice che il ponte è fatto da Dio con le ali degli angeli perché gli uomini comunichino… perché gli uomini possano comunicare. Il ponte è per la comunicazione umana. E questo è bellissimo e l’ho visto qui in Marocco. Invece i muri sono contro la comunicazione, sono per l’isolamento e quelli che li costruiscono diventeranno prigionieri. I frutti non si vedono ma si vedono tanti fiori che daranno dei frutti”.
Avete firmato un patto per Gerusalemme, cosa pensa?
“Sempre quando c’è un dialogo fraterno c’è un rapporto a vari livelli. Permettetemi un’immagine: il dialogo non può essere di laboratorio, deve esser umano, e se è umano è con la mente, il cuore e le mani e così si firmano dei patti. Per esempio il comune appello su Gerusalemme è stato un passo avanti fatto non da un’autorità del Marrocco e da un’autorità del Vaticano, ma da fratelli credenti che soffrono vedendo questa città della speranza ancora non essere così universale come tutti vogliamo: ebrei, musulmani e cristiani. Tutti vogliamo questo. E per questo abbiamo firmato questo desiderio: è un desiderio, una chiamata alla fraternità religiosa che è simbolizzata in questa città che è tutta nostra. Tutti siamo cittadini di Gerusalemme, tutti credenti”.
Ieri il re del Marocco ha detto che proteggerà gli ebrei marocchini e i cristiani di altri Paesi che vivono in Marocco. Cosa pensa dei musulmani che si convertono al cristianesimo? È preoccupato per questi uomini e donne che rischiano la prigione?
“Posso dire che in Marocco c’è libertà di culto, c’è libertà religiosa, c’è libertà di appartenenza religiosa. La libertà sempre si sviluppa, cresce: basta pensare a noi cristiani, a 300 anni fa: c’era questa libertà che abbiamo oggi? La fede cresce nella consapevolezza, nella capacità di capire sé stessa. Un monaco francese, Vincenzo De Lerine, ha coniato un’espressione bellissima per spiegare come si può crescere nella fede: crescere nella morale ma sempre restando fedeli alle radici. Ha detto tre parole che marcano proprio la strada: crescere nella esplicitazione e nella coscienza della fede e della morale dev’essere una cosa consolidata negli anni e allargata nel tempo, ma è la stessa fede sublimata negli anni. Così si capisce per esempio il fatto che oggi abbiamo tolto dal Catechismo della Chiesa cattolica la pena di morte: 300 anni fa bruciavano vivi gli eretici, la Chiesa è cresciuta nella coscienza morale. Il rispetto della persona e la libertà di culto crescono pure e anche noi dobbiamo continuare a crescere. Ci sono cattolici che non accettano quello che il Vaticano II ha detto sulla libertà di culto, la libertà di coscienza. Abbiamo questo problema, ma anche i fratelli musulmani crescono nella coscienza e alcuni Paesi non capiscono bene o non crescono così come altri. In questa inquadratura c’è il problema della conversione. Alcuni Paesi ancora non la vedono, la pratica è vietata. Altri Paesi come il Marocco non fanno problema, sono più aperti, più rispettosi, cercano un certo modo di procedere con discrezione. Altri Paesi con i quali ho parlato ancora dicono che preferiscono che il battesimo lo facciano fuori dal Paese. A me preoccupa un'altra cosa: la retrocessione di noi cristiani quando togliamo la libertà di coscienza. Pensa ai medici e alle istituzioni ospedaliere cristiane che non hanno il diritto della obiezione di coscienza per esempio per l’eutanasia. Come? La Chiesa è andata avanti e voi Paesi cristiani andate indietro? Pensate a questa cosa perché è una verità. Oggi noi cristiani abbiamo il pericolo che alcuni governi ci tolgano la libertà di coscienza che è il primo passo per la libertà di culto. Non è facile la risposta, ma non accusiamo i musulmani, accusiamo questi Paesi dove succede questo. C’è da vergognarsi”.
Il cardinale Barbarin – accusato di coperture sugli abusi di un prete della sua diocesi, ndr – è nato a Rabat. Questa settimana il consiglio della diocesi di Lione ha votato quasi all’unanimità affinché sia trovata soluzione durevole al suo ritiro. È possibile che lei ascolti questo appello?
“Barbarin è un uomo di Chiesa, ha dato le dimissioni, ma io non posso moralmente accettarle perché giuridicamente, ma anche nella giurisprudenza mondiale classica, c’è la presunzione di innocenza durante il tempo nel quale la causa è aperta. Ha fatto ricorso e la causa è aperta. Quando il secondo tribunale dà la sentenza vediamo cosa succede. Ma sempre occorre avere la presunzione di innocenza. Questo è importante perché va contro la superficiale condanna mediatica. Cosa dice la giurisprudenza mondiale? Che se una causa è aperta c’è la presunzione di innocenza. Forse non è innocente, ma c’è la presunzione. Una volta ho parlato di un caso in Spagna e di come la condanna mediatica abbia rovinato la vita di sacerdoti che poi sono stati riconosciuti innocenti. Prima di fare la condanna mediatica, pensarci due volte. E lui ha preferito onestamente dire: io mi ritiro, prendo un congedo volontario e lascio al vicario generale gestire l’arcidiocesi finché il tribunale dia la sentenza finale”.
Nel discorso di ieri alle autorità ha detto che il fenomeno migratorio non si risolve con le barriere fisiche, ma qui qua in Marocco la Spagna ha costruito due barriere con lame per ferire quelli che le vogliono superarle. Trump in questi giorni ha detto che vuole chiudere completamente le frontiere e in più sospendere gli aiuti a tre Paesi centro americani. Cosa vuole dire a questi governanti, a questi politici che difendono ancora queste decisioni?
“Prima di tutto quello che ho detto un momento fa: i costruttori di muri, siano di lame tagliate con coltelli o di mattoni, diventeranno prigionieri dei muri che fanno. La storia dirà. Secondo: Jordi Évole quando mi ha fatto l’intervista mi ha fatto vedere un pezzo di quel filo spinato con i coltelli. Io ti dico sinceramente che sono rimasto commosso e poi quando se n’è’ andato ho pianto. Ho pianto perché non entra nella mia testa e nel mio cuore tanta crudeltà. Non entra nella mia testa e nel mio cuore vedere affogare nel Mediterraneo: mettiamo ponti a porti. Questo non è il modo di risolvere il grave problema dell’immigrazione. Un governo con questo problema ha la patata bollente nelle mani, ma deve risolverlo altrimenti, umanamente. Quando ho visto quel filo con i coltelli, non potevo credere. Poi una volta ho avuto la possibilità di vedere un filmato del carcere dei rifugiati che tornano indietro, carceri non ufficiali, carceri di trafficanti. Fanno soffrire, fanno soffrire. Le donne e i bambini li vendono, rimangono gli uomini. Deve parlare l’Unione Europea. Dicono: non lascio entrare, o li lascio affogare lì, o li mando via sapendo che tanti di loro cadranno nelle mani di questi trafficanti che venderanno le donne e i bambini, uccideranno o tortureranno per fare schiavi gli uomini. Una volta ho parlato con un governante, un uomo che io rispetto, Alexis Tsipras. Mi ha spiegato le difficoltà, ma alla fine mi ha detto questa frase: ‘I diritti umani sono prima degli accordi’. Questa frase merita il premio Nobel”.
Lei combatte da molti anni per proteggere e aiutare i migranti, come ha fatto negli ultimi giorni in Marocco. La politica europea va esattamente nella direzione opposta. L’Europa diventa come un bastione contro i migranti. Questa politica rispecchia l’opinione degli elettori. La maggioranza di questi elettori sono cristiani cattolici. Lei come si sente con questa triste situazione?
“Vedo che tanta gente di buona volontà, non solo cattolici, ma gente buona, di buona volontà, è un po’ presa dalla paura che è la predica usuale dei populismi, la paura. Si semina paura e poi si prendono delle decisioni. La paura è l’inizio delle dittature. Andiamo al secolo scorso, alla caduta dell’impero di Weimer, questo lo ripeto tanto. La Germania aveva necessità di una uscita e, con promesse e paure è andato avanti Hitler, conosciamo il risultato. Impariamo dalla storia, questo non è nuovo: seminare paura è fare una raccolta di crudeltà, di chiusure e anche di sterilità. Pensate all’inverno demografico dell’Europa. Anche noi che abitiamo in Italia siamo sotto zero. Pensate alla mancanza di memoria storica: l’Europa è stata fatta da migrazioni e questa è la sua ricchezza. Pesiamo alla generosità di tanti Paesi, con i migranti europei che nei due Dopoguerra, in massa, sono andati in America del nord, America centrale, America del sud. Mio papà è andato lì nel dopoguerra. Occorre un po’ di gratitudine… È vero, per essere comprensivi, che il primo lavoro che dobbiamo fare è cercare che le persone che migrano per la guerra o per la fame non abbiano questa necessità. Se l’Europa così generosa vende le armi allo Yemen per ammazzare dei bambini come fa l’Europa a essere coerente? E dico questo è un esempio, ma l’Europa vende delle armi. Poi c’è il problema della fame, della sete. L’Europa, se vuole essere la madre Europa e non la nonna Europa deve investire, deve cercare intelligentemente di aiutare ad alzare con l’educazione, con gli investimenti e questo non è mio, lo ha detto il cancelliere Merkel. È una cosa che lei porta avanti abbastanza: impedire l’emigrazione non con la forza ma con la generosità, gli investimenti educativi, economici, ecc. E questo è molto importante. Secondo, su come agire: è vero che un Paese non può ricevere tutti, ma c’è tutta l’Europa per distribuire i migranti, c’è tutta l’Europa. Perché l’accoglienza deve essere con il cuore aperto, poi accompagnare, promuovere e integrare. Se un Paese non può integrare deve pensare subito a parlare con altri Paesi: tu quanto puoi integrare, per dare una vita degna alla gente. Un altro esempio che io ho vissuto sulla mia carne nel tempo delle dittature, l’Operazione Condor a Buenos Aires, in latinoamerica, Argentina, Cile e Uruguay. È stata la Svezia a ricevere con una generosità impressionante. Imparavano subito l’idioma a carico dello Stato, trovavano lavoro, casa. Adesso la Svezia si sente un po’ di difficoltà nell’integrare, ma lo dice e chiede aiuto. Quando io sono stato là l’anno scorso mi ha accolto il primo ministro, ma nella cerimonia di congedo c’era una ministra, una giovane ministra credo dell’educazione, era un po’ brunina perché era figlia di una svedese e di un migrante africano: così integra un Paese che io metto come esempio come la Svezia. Ma per questo ci vuole generosità, ci vuole andare avanti, ma con la paura non andremo avanti, con i muri rimarremo chiusi in questi muri”.
Lei denuncia spesso l’azione del diavolo, lo ha fatto anche nel recente summit. Ultimamente si è dato molto da fare. Cosa fare per contrastarlo, soprattutto in merito agli scandali della pedofilia?
“Un giornale, dopo il mio discorso alla fine del summit dei presidenti, ha scritto: il Papa è stato furbo, prima ha detto che la pedofilia è problema mondiale, poi ha detto qualcosa sulla Chiesa, alla fine se ne è lavato le mani e ha dato la colpa al diavolo. Un po’ ‘semplistico’ no? Un filosofo francese, negli anni Settanta, aveva fatto una distinzione che a me ha dato molta luce. Mi ha dato una luce ermeneutica. Lui diceva: per capire una situazione bisogna dare tutte le spiegazioni e poi cercare i significati. Cosa significa socialmente? Cosa significa personalmente o religiosamente? Io cerco di dare le misure delle spiegazioni. Ma c’è un punto che non si capisce senza il mistero del male. Pensate alla pedopornografia virtuale. Ci sono stati due incontri, pesanti, a Roma e ad Abu Dhabi. Mi domando come mai è diventata una cosa nel quotidiano? Come mai? Se vuoi vedere un abuso sessuale su minori dal vivo puoi collegarti con la pedopornografia virtuale, te lo fanno vedere. Non dico bugie. Io mi domando: i responsabili non possono fare nulla? Noi nella Chiesa faremo di tutto per finirla con questa piaga, faremo di tutto. Io in quel discorso ho dato misure concrete. I responsabili di queste sporcizie sono innocenti? Quelli che guadagnano con questo? A Buenos Aires, con due responsabili della città, abbiamo fatto una ordinanza, una disposizione non vincolante per gli alberghi lussuosi, dove si diceva “mettete alla reception nel vostro albergo che non si permettono rapporti con i minori”. Nessuno ha voluto metterlo. No, ma sai, non si può, sembra che siamo sporchi, si sa che non lo facciamo, ma senza il cartello. Un governo non può individuare dove si fanno questi filmati con i bambini? Tutti filmati dal vivo. Per dire che la piaga mondiale è grande ma anche che non si capisce senza lo spirito del male: è un problema concreto. Per risolvere questo ci sono due pubblicazioni che raccomando: un articolo di Gianni Valente su Vatican Insider dove parla dei donatisti. Il pericolo della Chiesa oggi di diventare donatista facendo prescrizioni umane, dimenticando le altre dimensioni. La preghiera, la penitenza, che non siamo abituati a fare. Ambedue! Perché per vincere lo spirito del male non serve è ‘lavarsi le mani’, dire ‘il diavolo lo fa’, no. Anche noi dobbiamo lottare col diavolo, con le cose umane. L’altra pubblicazione l’ha fatta la Civiltà Cattolica. Io avevo scritto un libro, nell’87, le Lettere della tribolazione, erano le lettere del padre generale dei gesuiti quando stava per essere sciolta la compagnia. Ho fatto un prologo, questi hanno studiato e hanno fatto uno studio sulle lettere che ho fatto all’episcopato cileno e al popolo cileno. come agire con questo, le due parti, la parte scientifica contro la parte spirituale. Lo stesso fatto con i vescovi degli Stati Uniti, le proposte erano troppo metodologiche, senza volontà, era trascurata la dimensione spirituale. Vorrei dirvi: La Chiesa non è congregazionalista, è cattolica, dove il vescovo deve prendere in mano e anche il Papa deve prendere in mano come pastore. Ma come? Con le misure disciplinari e anche con la penitenza, con la preghiera. Sarei grato se studiate le due cose: la parte umana e spirituale. Io vi sarei grato se studiate ambedue le cose: la parte umana e la parte spirituale”.
“Se Gerusalemme è di tutti allora anche il Vaticano deve essere di tutti…”6 aprile 2019
Paolo Rodari
http://www.italiaisraeletoday.it/se-ger ... cueRPlZqgE Gli ebrei e Francesco. Un rapporto che rischia di incrinarsi dopo l’appello firmato dal Papa in Marocco assieme al re Mohammed VI su Gerusalemme, città «delle tre religioni monoteiste » nella quale tutte abbiano «piena libertà di accesso» e il «diritto di esercitarvi il proprio culto». In queste ore, infatti, è una parte del mondo ebraico italiano a reagire sul notiziario di Pagine Ebraiche: « Visto che Gerusalemme è di tutti, allora anche il Vaticano sia di tutti. Aspettiamo quindi con impazienza l’apertura di una sinagoga e di una moschea all’interno del suo territorio, così da assicurare libertà di culto a tutti i fedeli delle religioni abramitiche » , scrive Sergio Della Pergola, illustre demografo e figura di riferimento degli Italkim, la comunità degli italiani residenti in Israele. Della Pergola bolla l’iniziativa come «sconcertante e al tempo stesso demagogica, che rimanda a un’epoca in cui il dialogo tra ebrei e cristiani era a un livello assai meno sviluppato».
Fra gli scontenti ci sono anche il rav Giuseppe Momigliano, rabbino capo di Genova e membro di Giunta Ucei e il rav Elia Richetti, già presidente dell’Assemblea Rabbinica Italiana. Per il primo «Israele è l’unico Paese che, in Medio Oriente, tutela i suoi cittadini cristiani. E in questi anni, nei confronti di ogni comunità religiosa, ha assicurato la massima disponibilità e collaborazione. Eppure tutto questo nella dichiarazione non traspare » .
Mentre per il secondo Bergoglio negherebbe l’origine stessa del cristianesimo: « Ponendo l’identità ebraica di Gerusalemme in una posizione non preminente rispetto a quella delle altre tradizioni religiose e negando di conseguenza il diritto che Gerusalemme sia riconosciuta come capitale di uno Stato ebraico il Papa sembra dimenticare chi era Gesù e in quali luoghi ha agito».
Certo, non mancano le posizioni più morbide, segno di come anche nel mondo ebraico i giudizi siano diversificati. Fra queste la lettura di altro tenore che fa Ruben Della Rocca, vicepresidente della Comunità ebraica di Roma. Dice: « Bergoglio, con questo appello, sta riconoscendo che Israele è l’unico Paese ad avere la capacità di tutelare i luoghi sacri di Gerusalemme. Una politica che attua costantemente dal 1967, da quando cioè ne ha avuto la possibilità » . A suo dire, insomma, altre interpretazioni non sono possibili. Le reazioni cadono in un momento particolare.
Il Vaticano, infatti, sta lavorando tramite il Centro Cardinal Bea della Gregoriana assieme al Global Jewish Advocacy a uno studio di riabilitazione del termine “ fariseo” che, soprattutto nel cristianesimo, è sinonimo di “ ipocrita”, “ doppiopesista”. Anche nel magistero dei Papi non manca un uso del termine negativo e così nei Vangeli. «Ci dovrebbe essere un ebreo ad ogni messa per sincerarsi che le omelie sui farisei non propaghino l’antisemitismo, ma presentino correttamente il Vangelo della pace», dice la professoressa ebrea Amy Jill Levine. Ma intanto lo studio è già un passo in avanti nei rapporti fra le due religioni nonostante Gerusalemme e le polemiche di queste ore.
Un Papa e un re imbarazzanti, l'onore di un soldato che tornaA destra: Gerusalemme, capitale dello Stato di Israele
Informazione Corretta
Deborah Fait
6 aprile 2019
http://www.informazionecorretta.com/mai ... 4Bh4yr5RH4 È arcinoto che il Vaticano non ha mai accettato con grande gioia l'idea di Gerusalemme capitale di Israele, a stento ha riconosciuto lo stesso stato ebraico, dopo 45 anni dalla sua fondazione. Tirato per i capelli, lo ha fatto grazie agli accadimenti dell'epoca, cioè alla "pace" firmata tra Rabin e Arafat, il mafioso assassino tanto amato dall'Europa. La firma fu poi soffocata nel sangue delle intifade. Bene o male i rapporti tra i due paesi sono andati avanti, tra un'offesa e l'altra da parte di alcuni papi, tipo abbracciare Arafat in divisa da pistolero, mentre i suoi scagnozzi feddayin insanguinavano l'Italia e l'Europa (papa Giovanni Paolo), oppure recitare messa sotto un Gesù bambino inkefiato, dichiarare angelo della pace un terrorista o pregare davanti a un muro che impedisce agli israeliani di essere ammazzati. Giorni fa papa Bergoglio, per sancire la fratellanza tra cristianesimo e islam, è andato in visita ufficiale in Marocco dove, insieme a re Mohammed VI, ha firmato un documento in cui Gerusalemme è stata dichiarata "patrimonio dell'umanità, città aperta che appartiene a tutti i fedeli….". Incominciamo col dire che Gerusalemme è la capitale di Israele e appartiene al popolo ebraico, come Roma appartiene agli italiani, e, solo dopo questo riconoscimento, il papa avrebbe potuto parlare dell'importanza spirituale di Gerusalemme per il mondo cristiano. Ma se taceva del tutto avrebbe fatto più bella figura. Lasciamo perdere il mondo islamico che ha già due città sante e si è inventato la terza, Gerusalemme, solo per rompere le scatole a Israele. Non riesco a capire la necessità di questo documento dal momento che Bergoglio non può non sapere che " i fedeli, di tutte le religioni" godono di una totale libertà di culto in Israele e né può ignorare che questa realtà esiste solo dal 1967, cioè quando Gerusalemme fu liberata dall'occupazione giordana.
Dal 1948 al 1967, durante i vent'anni di occupazione da parte del regno hascemita, Gerusalemme era una città trascurata, povera, derelitta come l'islam l'aveva ridotta, prima con l'occupazione ottomana e poi giordana. In quel ventennio furono rase al suolo 53 sinagoghe, i cimiteri furono dissacrati e le lapidi usate per lastricare le strade, il Kotel era impraticabile e circondato da gabinetti pubblici, la popolazione ebraica cacciata. Dal 1967, con la sovranità di Israele, Gerusalemme è rifiorita, è stata praticamente ricostruita, il Kotel fu riaperto e ripulito dalle immondizie in cui era sommerso. Alla fine della guerra dei sei giorni ogni luogo sacro cristiano e musulmano a Gerusalemme fu libero e rispettato. Purtroppo, per un accordo disgraziato tra Moshè Dayan e la Giordania, agli ebrei fu precluso il Monte del Tempio, il luogo più sacro dell'ebraismo, quindi possiamo dire che, ad oggi, l'unica religione discriminata è proprio quella ebraica. Come reagirebbero i cattolici se fosse loro impedito di recarsi a pregare a San Pietro? Gli ebrei cui è permesso di visitare il loro sito più sacro, il Monte del Tempio, devono stare a labbra chiuse, senza accennare a una preghiera, non possono avere simboli religiosi, pena ricevere qualche pietra in piena faccia , oltre alle aggressioni con calci e sputi di donne e ragazzini pagati apposta per questo . L'unico luogo sacro di Gerusalemme dove comanda il Waqf, cioè le guardie religiose islamiche, è precluso a chi non è musulmano. Questo dovrebbe far capire agli illusi, patiti della fratellanza, che nell'islam la libertà è solo un sogno proibito. Glielo avranno detto al papa che dove comandano i musulmani non esiste libertà? E allora con quale diritto il papa e il re hanno firmato un documento così ipocrita e lontano dalla verità su "Gerusalemme libera per tutti i fedeli". Lo è da più di 40 anni, lo è perché appartiene a Israele, tutta quella sceneggiata inutile è servita solo a mandare l'ennesima offesa a Israele. Detto tra noi, Maometto VI è più rispettoso verso Israele di quanto lo sia papa Bergoglio e questo mi fa supporre che l'idea sia partita da quest'ultimo nella sua smania di ingraziarsi il mondo arabo e islamico. Lasciamo queste note dolenti per parlare dell'ultima vittoria diplomatica di Benjamin Netanyahu. Una vittoria velata di tanta tristezza, il ritorno a casa del corpo di Zachary Baumel, il soldato disperso in Libano nel 1982 durante la battaglia di Sultan Yacoub. Aveva solo 21 anni. Giovedì sera, 4 aprile, al tramonto, un picchetto d'onore ha portato la bara, avvolta nella bandiera di Israele, al cimitero militare sul Monte Herzl a Gerusalemme. Il presidente Rivlin lo ha salutato:" Sono passati trentasette anni ma oggi sei a casa, sei nel tuo paese, sei a Gerusalemme. Oggi possiamo dire che noi facciamo di tutto, anche l'inconcepibile e l'incredibile, per portare a casa i nostri soldati caduti in battaglia. E' difficile ma non avremo pace fino a quando non riavremo a casa tutti i nostri ragazzi". L'11 giugno 1982 furono uccisi 20 soldati israeliani in un combattimento contro le forze siriane in Libano, non tutti i corpi furono recuperati e da allora Israele si batte per riaverli. Molti anni fa ho avuto l'onore di conoscere Yona Baumel. Il papà di Zachary, al kibbutz Ramat Rachel vicino a Gerusalemme. Era un uomo alto, sorridente, mai rassegnato, stava girando mezzo mondo per chiedere di aiutare Israele a ritrovare suo figlio che, illudendosi, credeva, fosse ancora vivo e prigioniero. Era la sua missione, riportarlo a casa, e ogni anno, il 17 novembre, lui e Miriam, la moglie festeggiavano il compleanno di Zachary. Purtroppo Yona è morto nel 2009 con quel dolore nel cuore ma la sua missione è stata portata a termine. Netanyahu, andato al funerale, non appena sceso dall'aereo di ritorno da Mosca, ha detto alla famiglia Baumel che il paese ha onorato il suo debito morale per il loro dolore infinito. Osna, la sorella di Zachary ha detto le parole più toccanti, parole che strappano il cuore:" Non posso nemmeno abbracciarti Zachary ma io chiedo alla terra di abbracciarti e mi consolo perchè questo è l'amore assoluto tra un ragazzo che ha dato la vita per il suo paese e la sua terra. Adesso siete in perfetta unione, tu, Zachary e la terra di Israele". Rivolta ai presenti:"Sono venuti in tanti a renderti onore perché tu hai dato tutto quello che avevi, la tua vita." Tutta Israele si è stretta intorno alla famiglia Baumel nel ricordo di Zachary e di tutti i ragazzi morti per difendere il proprio paese da chi lo voleva annientare. Israele è quel paese speciale che sa dimenticare i tanti torti subiti ma non dimentica mai i suoi soldati, vivi o morti li riporta sempre a casa.
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 06/04/2019, con il titolo "I rabbini contro Francesco: 'Errore sconcertante dire che Gerusalemme è di tutti' ", il commento di Paolo Rodari.Informazione Corretta
http://www.informazionecorretta.com/mai ... AiKkKgFtBs Gli ebrei e Francesco. Un rapporto che rischia di incrinarsi dopo l’appello firmato dal Papa in Marocco assieme al re Mohammed VI su Gerusalemme, città «delle tre religioni monoteiste » nella quale tutte abbiano «piena libertà di accesso» e il «diritto di esercitarvi il proprio culto». In queste ore, infatti, è una parte del mondo ebraico italiano a reagire sul notiziario di Pagine Ebraiche: « Visto che Gerusalemme è di tutti, allora anche il Vaticano sia di tutti. Aspettiamo quindi con impazienza l’apertura di una sinagoga e di una moschea all’interno del suo territorio, così da assicurare libertà di culto a tutti i fedeli delle religioni abramitiche » , scrive Sergio Della Pergola, illustre demografo e figura di riferimento degli Italkim, la comunità degli italiani residenti in Israele. Della Pergola bolla l’iniziativa come «sconcertante e al tempo stesso demagogica, che rimanda a un’epoca in cui il dialogo tra ebrei e cristiani era a un livello assai meno sviluppato».
Fra gli scontenti ci sono anche il rav Giuseppe Momigliano, rabbino capo di Genova e membro di Giunta Ucei e il rav Elia Richetti, già presidente dell’Assemblea Rabbinica Italiana. Per il primo «Israele è l’unico Paese che, in Medio Oriente, tutela i suoi cittadini cristiani. E in questi anni, nei confronti di ogni comunità religiosa, ha assicurato la massima disponibilità e collaborazione. Eppure tutto questo nella dichiarazione non traspare » . Mentre per il secondo Bergoglio negherebbe l’origine stessa del cristianesimo: « Ponendo l’identità ebraica di Gerusalemme in una posizione non preminente rispetto a quella delle altre tradizioni religiose e negando di conseguenza il diritto che Gerusalemme sia riconosciuta come capitale di uno Stato ebraico il Papa sembra dimenticare chi era Gesù e in quali luoghi ha agito». Certo, non mancano le posizioni più morbide, segno di come anche nel mondo ebraico i giudizi siano diversificati. Fra queste la lettura di altro tenore che fa Ruben Della Rocca, vicepresidente della Comunità ebraica di Roma. Dice: « Bergoglio, con questo appello, sta riconoscendo che Israele è l’unico Paese ad avere la capacità di tutelare i luoghi sacri di Gerusalemme. Una politica che attua costantemente dal 1967, da quando cioè ne ha avuto la possibilità » . A suo dire, insomma, altre interpretazioni non sono possibili. Le reazioni cadono in un momento particolare.
Il Vaticano, infatti, sta lavorando tramite il Centro Cardinal Bea della Gregoriana assieme al Global Jewish Advocacy a uno studio di riabilitazione del termine “ fariseo” che, soprattutto nel cristianesimo, è sinonimo di “ ipocrita”, “ doppiopesista”. Anche nel magistero dei Papi non manca un uso del termine negativo e così nei Vangeli. «Ci dovrebbe essere un ebreo ad ogni messa per sincerarsi che le omelie sui farisei non propaghino l’antisemitismo, ma presentino correttamente il Vangelo della pace», dice la professoressa ebrea Amy Jill Levine. Ma intanto lo studio è già un passo in avanti nei rapporti fra le due religioni nonostante Gerusalemme e le polemiche di queste ore.