Antisemitismo nazi comunista e nazi maomettano (e cristiano)

Antisemitismo nazi comunista e nazi maomettano (e cristiano)

Messaggioda Berto » mer dic 16, 2020 7:46 am

Il paradosso dell’antirazzismo antisemita, perché tanto odio verso Israele?
Valentino Baldacci
13 Dicembre 2020

https://www.ilriformista.it/il-paradoss ... refresh_ce

Israele ha, in Italia e nel mondo, molti buoni amici le cui ragioni sono basate sulla conoscenza della realtà, in particolare della realtà del conflitto arabo-israeliano. Ma non ci si può nascondere che è diffuso, in Italia e nel mondo, un atteggiamento di ostilità verso lo Stato ebraico, che assume spesso la forma di un vero e proprio odio. È un odio difficile da contrastare perché basato in larga parte su elementi irrazionali che non hanno a che fare con la causa apparente di questo atteggiamento, di solito individuata con la posizione dello Stato ebraico nel conflitto con i palestinesi. Ma anche le posizioni apparentemente irrazionali hanno le loro radici. Individuare queste radici significa fare un grosso passo avanti per combattere l’ostilità contro Israele.

Per quanto riguarda l’Italia, è relativamente agevole individuare queste radici sia a sinistra come a destra. A sinistra, con la svolta politica del 1992-94, le forze politiche e culturali di indirizzo laico e democratico sono state spazzate e via e oggi ne restano solo il ricordo e la presenza in gruppi relativamente ristretti. Lo spazio politico-culturale a sinistra è stato occupato pressoché interamente dagli eredi della cultura del PCI e della sinistra cattolica che avevano costantemente mantenuto, a partire dagli anni ’50, una posizione di ostilità verso lo Stato ebraico. Tali posizioni non si identificano meccanicamente con quelle di un partito, in particolare il Pd. Si tratta in realtà di un’area molto più vasta, che si può definire di sinistra diffusa, che trova, per esempio, nell’Arci e nell’Anpi le sue punte di diamante, e la cui presenza è significativa nella stampa, nelle televisioni, nelle Università, nella scuola, in altre forme di aggregazione anche informali, in particolare giovanili, nelle quali l’ostilità verso Israele è un dato di fatto non suscettibile di essere messo in discussione.

È quindi di un’ostilità di tipo ideologico e l’ideologia è difficile da sradicare, se si riflette sul fatto che per decenni decine di milioni di persone hanno creduto, in buona fede, che l’Unione Sovietica e gli altri Paesi socialisti fossero il regno del benessere e della giustizia e solo vicende traumatiche come quelle che si sono verificate tra il 1989 e il 1991 hanno potuto, e forse solo in parte, scardinare certezze consolidate. Ma anche a destra ci sono certezze ideologiche difficili da superare. Qui continuano a giocare un forte ruolo – nonostante i mutamenti intervenuti nelle posizioni ufficiali dei partiti rappresentativi di questa area – i tradizionali pregiudizi antisemiti che, se apparentemente sono esibiti solo da gruppuscoli di estrema destra, continuano in realtà ad agire in profondità in una parte cospicua dell’opinione pubblica di destra e non solo, sotto forma di sotterranea accettazione di complottismi e di negazionismi di varia natura.

Accanto a questi pregiudizi antisemiti, questa parte dell’opinione pubblica continua a essere influenzata dalle tradizionali posizioni della Chiesa cattolica. Il Concilio Vaticano II con la dichiarazione “Nostra Aetate” ha avuto un’influenza sul piano religioso ma non su quello politico-culturale. La Chiesa ha assunto una posizione simile a quella che si ritrova nell’art. 20 della Carta dell’Olp: gli ebrei costituiscono una religione, non un popolo, e quindi non hanno diritto ad avere uno Stato. Non a caso la Santa Sede ha riconosciuto diplomaticamente lo Stato d’Israele solo nel 1993, dopo che con gli accordi di Oslo sembrava aprirsi una nuova fase e una posizione intransigente appariva insostenibile. Ma da allora e fino ad oggi sull’Osservatore Romano e sull’Avvenire, organo dei vescovi italiani, non viene quasi mai usata l’espressione “Stato d’Israele” e si parla invece di “Terrasanta”, per esprimere una perdurante riserva sulla liceità stessa dell’esistenza dello Stato ebraico.

Se in Italia le radici politico-culturali dell’ostilità contro Israele sono abbastanza chiare, esse possono essere individuate anche a livello europeo. Alcune delle cause presenti in Italia sono le stesse che agiscono negli altri Paesi dell’Europa occidentale. Anche se la sinistra come rappresentanza politica si è indebolita, tuttavia il suo sistema ideologico continua ad avere una forte presa per lo meno in alcuni Paesi, come la Spagna e la Francia. I pregiudizi antisemiti che sono presenti nella cultura di destra continuano ad agire in tutta Europa e anche l’influenza delle Chiese non può essere trascurata. Ma a livello europeo – anzi mondiale – va soprattutto tenuto conto dell’affermarsi della cultura del “politicamente corretto” che ha in larga misura sostituito quella che era la vecchia egemonia culturale del marxismo. Il “politicamente corretto” agisce quasi spontaneamente in senso antiisraeliano dando vita a forma di antirazzismo antisemita, che sembrerebbe una contraddizione in termini e che è invece una realtà ampiamente diffusa.

Se queste sono le radici dell’ostilità contro Israele, appare difficile combattere con efficacia convinzioni così capillarmente diffuse. E tuttavia, come è stato in passato nei casi del nazismo e del comunismo, non si deve mai disperare nelle risorse della ragione e della conoscenza. È una battaglia dura ma che non può essere abbandonata. Non ci si deve mai stancare di far conoscere la realtà del conflitto arabo-israeliano, il costante rifiuto palestinese di giungere a una pace di compromesso, che consenta la realizzazione dell’obiettivo due popoli – due Stati.
I recenti Accordi di Abramo hanno aperto prospettive che modificano profondamente un quadro che sembrava immutabile.

Può sembrare un eccesso di enfasi retorica e tuttavia credo che si possa dire che gli Accordi di Abramo possono rappresentare per il Medio Oriente quello che per l’Europa rappresentò il collo del muro di Berlino. Ci vorrà tempo, naturalmente, perché tutte le conseguenze degli Accordi si facciano sentire e soprattutto sta agli amici di Israele farne comprendere appieno il significato. Ma la strada è stata aperta è appare possibile percorrerla fino a risultati che fino a ieri sembravano impossibili.



L'orrore dei cristiani antisemiti e filo nazi maomettani
L'orrore dei cristiani antiebrei e pronazismo islamico
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2172
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Antisemitismo nazi comunista e nazi maomettano (e cristiano)

Messaggioda Berto » dom feb 07, 2021 8:25 am

???


Israele, la Corte Penale Internazionale ha aperto un'inchiesta per "crimini di guerra" commessi nei territori palestinesi
20 dicembre 2019

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/1 ... 1576867259

Lo ha annunciato la procuratrice capo del tribunale, Fatou Bensouda. Il segretario dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, Saeb Erekat, ha parlato di "fine all’impunità per gli autori di crimini", mentre il premier di Tel Aviv, Benjamin Netanyahu, ha definito questo come "un giorno nero per la verità e la giustizia"

Taglio parlamentari, Berlusconi confessa: "Firme di Forza Italia per referendum? Così si va prima al voto"

La Corte Penale Internazionale de L’Aia ha aperto un’inchiesta per “crimini di guerra” nei territori palestinesi. Lo ha annunciato la procuratrice capo del tribunale, Fatou Bensouda, che si è detta “convinta che vi sia una base ragionevole per avviare un’indagine sulla situazione in Palestina. In sintesi, sono convinta che crimini di guerra sono stati o vengono commessi in Cisgiordania, in particolare a Gerusalemme est, e nella Striscia di Gaza“. Mentre le autorità palestinesi plaudono all’iniziativa della Corte, il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, parla di “un giorno nero per la verità e la giustizia”.

Tra le motivazioni che hanno portato alla decisione della Cpi, pubblicate sul sito ufficiale, si legge che “non vi sono ragioni sostanziali per ritenere che un’indagine non servirebbe gli interessi della giustizia – spiega Bensouda – Date le questioni legali e fattuali uniche e altamente controverse legate a questa situazione, vale a dire il territorio in cui può essere svolta l’indagine, ho ritenuto necessario invocare l’articolo 19 -3 dello Statuto per risolvere questo specifico problema”. Il procuratore spiega di aver chiesto, ed è su questo aspetto in particolare che si concentrano le obiezioni del governo israeliano, “alla Sezione preliminare I di pronunciarsi sulla portata della giurisdizione territoriale della Corte Penale Internazionale nella situazione in Palestina, in particolare se include la Cisgiordania, Gerusalemme est, e Gaza”.



Fatou Bensouda
avvocato nera, gambiana e nazi maomettana
https://it.wikipedia.org/wiki/Fatou_Bensouda

L'unica consolazione per Israele, se può esserla, è che oggi in tutto il mondo si indaga più su chi si difende che su chi commette crimini.
Chi lancia missili, fa attentati, usa bambini scuole ed ospedali come scudi, provoca incendi, istiga all'odio, viene tutelato attribuendo loro mille giustificazioni.
Chi reagisce viene subito messo sotto la lente d'ingrandimento trovando colpe inesistenti.
I capitali sottratti da Arafat o da Abu Mazen, dagli aiuti ai palestinesi, non fanno tanto scalpore come i presunti presi da Netanyahu.
Non parliamo poi delle operazioni fatte dai nostri politici coi soldi dei contribuenti.
A costoro le condanne si sono sempre risolte in bolle di sapone, vedremo cosa riserveranno a Salvini.
In Italia abbiamo poi delle regole assurde, per potere reagire ad un'infrazione o ad un furto, senza incorrere nella condanna, si deve essere morti, perché prima ci si deve sincerare che il ladro sia armato, che non sia un'arma giocattolo, che abbia intenzione d'usarla, e contrastarlo solo se è ancora in casa.
Questa è la legge, dire che è manovrata dalla politica è dire poco.

https://www.facebook.com/groups/Fightin ... 837590466/



Inchiesta Cpi su crimini di guerra nei Territori palestinesi. Netanyahu: giorno nero per verità
2° dicembre 2019

http://www.rainews.it/dl/rainews/artico ... EaPa_QFWOI

20 dicembre 2019La procuratrice della Corte penale internazionale, Fatou Bensouda, ha annunciato l'apertura di un'inchiesta su "crimini di guerra" nei territori palestinesi. "Sono convinta che esista una ragionevole base a giustificare l'apertura di un'inchiesta sulla situazione in Palestina" e "che crimini di guerra siano stati commessi o vengano commessi in Cisgiordania, in particolare a Gerusalemme Est, e nella Striscia di Gaza", ha dichiarato Bensouda.

Netanyahu: da Cpi giorno nero per verità e giustizia
La decisione del procuratore della corte penale internazionale (Cpi), fatou bensouda, è "un giorno nero per la verità e la giustizia". Lo ha detto il premier israeliano Benyamin Netanyahu, secondo cui è "una decisione senza basi e oltraggiosa". Una mossa che "ignora la storia e la verità quando sostiene che l'atto stesso che gli ebrei vivano nella loro patria ancestrale, la terra della bibbia, sia un crimine di guerra". Netanyahu ha ribadito che "la Palestina non è mai stata uno stato". "Non rimarremo in silenzio", ha concluso.

Olp: iniziativa Cpi positiva e incoraggiante
Saeb Erekat, segretario dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), ha definito "positiva e incoraggiante" la decisione del procuratore della Corte Penale Internazionale (Cpi) chiedere l'apertura di un'inchiesta per presunti crimini di guerra commessi nei Territori palestinesi. Inoltre, ha affermato Erekat, l'iniziativa rappresenta un ulteriore passo verso un'indagine che potrebbe "porre fine all'impunità dei responsabili" e che simboleggia "un messaggio di speranza" nel fatto che "la giustizia è possibile".


La Corte Penale Internazionale e il suo pregiudizio contro Israele
20 dicembre 2019

http://www.linformale.eu/la-corte-penal ... _MXajOI1vg

Dopo cinque anni dall’esame preliminare a seguito della richiesta fatta dall’Autorità Palestinese, la Corte Internazionale dell’Aia, nella persona del suo Procuratore Capo, Fatou Bensouda, ha deciso che c’è una “base” per indagare supposti crimini di guerra commessi da Israele durante l’ultimo conflitto con Hamas nell’estate del 2014.

Secondo il parere della Bensouda vi sarebbe “Una ragionevole base per credere che crimini di guerra siano stati commessi nel contesto delle ostilità del 2014 a Gaza da parte dell’IDF“.

Siamo al solito copione. Quando Israele si difende e reagisce all’offensiva del nemico, siano essi attacchi di razzi come i 4844 lanciati su Israele da Hamas nel corso delle sette settimane del 2014, o più recentemente quando jihadisti tentano di introdursi in Israele sabotando la barriera di confine con Gaza facendosi scudo di una cosiddetta Marcia per la Pace e vengono poi uccisi, si tratta sempre di “uso sproporzionato della forza”.

Nel 2009, a seguito di un altro conflitto tra Hamas e Israele, l’Operazione Piombo Fuso, il Consiglio ONU per i Diritti Umani istituì una apposita commissione per verificare se Israele avesse commesso crimini di guerra. Seguì un rapporto chiamato con il nome del presidente della commissione, Richard Goldstone, il quale addossava interamente a Israele la responsabilità del conflitto. Sennonché, nel 2011, fu lo stesso giudice Goldstone a disconoscere quel rapporto dichiarando:

“Se avessi saputo allora quello che so oggi, il Rapporto Goldstone sarebbe stato un documento diverso. Le accuse di premeditazione da parte di Israele erano fondate sulle morti e le ferite dei civili in situazioni nelle quali la nostra missione intesa a verificare i fatti non disponeva di nessuna prova sulla base della quale potere giungere a conclusioni diverse. Mentre le investigazioni pubblicate dall’esercito israeliano e accettate nel rapporto del comitato delle Nazioni Unite, hanno stabilito la validità di alcuni episodi da noi investigati relativamente a casi concernenti soldati singoli, esse indicano anche che i civili non vennero presi intenzionalmente di mira…”

Tuttavia, Israele deve essere colpevole, a prescindere. Così, nel 2004, un altro organo, la Corte Internazionale di Giustizia, emise un parere consultivo scandaloso, qualificando la barriera difensiva di Israele “illegale”. Nessuna considerazione cogente venne fornita della ragione fondamentale per la sua costruzione; la salvaguardia della popolazione israeliana dalla violenza terroristica. Per la Corte, infatti, l’unica minaccia che avrebbe potuto giustificare da parte di Israele la costruzione di una barriera di protezione sarebbe stato l’attacco di uno Stato armato. La virulenta ondata terroristica abbattutasi su Israele durante la Seconda Intifada non rappresentava per i giudici della Corte una ragione sufficiente perché esso dovesse dotarsi di una forma di difesa.

Nell’ottobre del 2018, la stessa Fatou Bensouda dichiarò, relativamente al contenzioso che aveva come oggetto il villaggio beduino di Khan al’Ahmar, sito nell’Area C della Cisgiordania che se fosse stato demolito, si sarebbe trattato di un “crimine di guerra”.

Non è un caso naturalmente che né Israele né gli Stati Uniti abbiano firmato il Trattato di Roma a cui la Corte si ispira, non riconoscendo alla Corte alcun potere giurisdizionale sul proprio territorio.

In questo senso, la posizione espressa dal Procuratore di Stato Avichai Mandelblit in merito alle dichiarazioni della Bensouda non possono essere più chiare:

“La posizione legale dello Stato di Israele, che non fa parte dell’CPI, è che la Corte non abbia giurisdizione relativamente a Israele e che qualsiasi azione palestinese rivolta alla Corte non sia legalmente valida”.

La stessa adesione dello Stato Palestinese alla Corte, avvenuta nel 2015, con l’evidente scopo di trovarvi una accoglienza alle proprie istanze, pone il problema su come la Corte possa affermare la propria giurisdizione nei confronti uno Stato inesistente secondo i criteri base del Diritto Internazionale.

La Corte, dunque, non può intervenire in merito a una questione che interpella due attori, da una parte lo Stato di Israele, sul quale essa non ha alcuna giurisdizione non facendo esso parte dell’ICC, dall’altro l’entità conosciuta come “Stato palestinese”, che non essendo uno Stato non può in alcun modo rientrare nella giurisdizione della Corte.

Di cosa si tratta allora? Evidentemente di una decisione la quale evidenzia la natura squisitamente politica della Corte, ben lontana dall’imparzialità che dovrebbe connotarne l’operatività, ragione per la quale, né Israele né gli Stati Uniti le riconoscono, alcuna legittimità.


Alberto Pento
Questo pregiudizio ha un nome preciso: razzismo antisemita nella sua declinazione antisionista/antisraeliana (di cui sono affetti e infetti alcuni cristiani, tutti i social sinistri dai fascio-nazisti ai comunisti e tutti i nazi maomettani che sono i peggiori a cominciare dai nazi palestinesi).




Sinistra americana anti-israeliana: insulti a Netanyahu e politica filo-palestinese
Maurizia De Groot Vos
20 dicembre 2019

https://www.rightsreporter.org/sinistra ... pv_inKimAw

Sembrerebbe che la sinistra americana non abbia capito bene la lezione inglese. Sebbene le condizioni siano oggettivamente diverse, l’odio anti-israeliano che emerge ogni volta che parlano di politica in Medio Oriente è così evidente che anche chi non apprezza Donald Trump finisce comunque per preferirlo a qualsiasi candidato democratico.

Il più accanito anti-israeliano è paradossalmente un ebreo, Bernie Sanders, che anche ieri parlando a Los Angeles durante un dibattito tra i candidati democratici alle primarie, ha attaccato duramente la politica israeliana e in particolare quella di Benjamin Netanyahu.

«Israele ha – e lo dico come qualcuno che ha vissuto in Israele da bambino, orgogliosamente ebreo – il diritto di esistere, non solo per esistere ma per esistere in pace e sicurezza. Ma ciò che deve essere la politica estera degli Stati Uniti non è solo essere pro-Israele. Anche noi dobbiamo essere filo-palestinesi» ha detto Sanders dal palco democratico.

Poi è passato agli insulti verso Netanyahu definendolo “un razzista”. «Dobbiamo capire che proprio ora in Israele abbiamo una leadership sotto Netanyahu, che recentemente, come sapete, è stato incriminato per corruzione e che, a mio avviso, è un razzista» ha detto Sanders.

Poi ha detto che la politica americana in Medio Oriente dovrebbe essere più equa e pensare anche a Gaza dove c’è una disoccupazione giovanile pari al 60/70% come se la colpa di questa situazione sia di Israele e non dei mafiosi di Hamas che tengono deliberatamente la popolazione al limite della povertà nonostante le decine di miliardi di dollari ricevuti come aiuti umanitari e spesi in armi o trasferiti sui conti miliardari dei loro capi.

Bernie Sanders ha poi insistito ancora una volta sul fatto che gli Stati Uniti dovrebbero condizionare gli aiuti militari a Israele al fatto che Gerusalemme dovrebbe piegarsi alle richieste palestinesi sulla soluzione a due stati basata sui confini del 1967 e quindi evacuare gli insediamenti in Giudea e Samaria.

Ma non è solo Sanders ad avanzare tali ipotesi. Altri due candidati democratici, Elizabeth Warren e Pete Buttigieg, hanno espresso gli stessi concetti pur con qualche distinguo e meno insulti al governo israeliano.

Pete Buttigieg ha attaccato Trump definendo la sua politica in Medio Oriente come «incentrata a interferire efficacemente nella politica interna israeliana».

Ad insistere sulla soluzione a due stati basata sui confini del 67 è stato anche l’ex vice-Presidente, Joe Biden, pure lui in corsa per sfidare Donald Trump.

«Non c’è soluzione per Israele al di fuori della soluzione a due stati», ha detto Biden. «Dobbiamo esercitare costantemente pressioni sugli israeliani affinché si muovano verso una soluzione a due stati, a costo di usare gli aiuti per la sicurezza come arma di pressione».

Alla fine sembra che tutti i candidati repubblicani alla presidenza abbiano una linea comune per quanto riguarda la politica americana in Medio Oriente, una politica palesemente filo-palestinese e quindi anti-israeliana.

E così anche il più accanito oppositore di Donald Trump si trova nelle condizioni di non poter votare chi vorrebbe tornare alla politica filo-araba di Obama che tanti danni ha creato in Medio Oriente, danni di cui ancora ne stiamo pagando il prezzo.



Crimini di guerra: il castello di menzogne su Israele spiegato bene
Maurizia De Groot Vos
23 dicembre 2019

https://www.rightsreporter.org/crimini- ... FMItv4ZuFE

Quando venerdì scorso il Tribunale Penale Internazionale (ICC/TPI) ha annunciato l’avvio di una inchiesta per crimini di guerra contro Israele, sin da subito la stampa internazionale e ogni movimento antisemita della terra ha esultato.

Amnesty International è arrivata a scrivere che «la decisione odierna del procuratore della Corte penale internazionale è un passo storico verso la giustizia dopo decenni di crimini di guerra e altri crimini di diritto internazionale commessi nei territori palestinesi occupati (da Israele n.d.r.)».

In realtà il Tribunale Penale Internazionale non ha aperto alcuna inchiesta, non ancora, ma ha dichiarato di avere elementi per poterla aprire e ha delegato tre giudici della Corte (Péter Kovács, ungherese, Marc Perrin de Brichambaut, francese, e Reine Adélaïde Sophie Alapini-Gansou, del Benin) di valutare se il Tribunale Penale Internazionale ha giurisdizione per poterlo fare.

Il problema della giurisdizione non è secondario. La Palestina non è uno Stato e anche se ha aderito allo Statuto di Roma tecnicamente non può rivolgersi al Tribunale Penale Internazionale per avanzare accuse contro un altro Stato come Israele che, per di più, non ha aderito al TPI e quindi nemmeno lo riconosce.

Ma non è nemmeno questo il punto focale sulla giurisdizione del TPI su Israele. Il vero punto lo spiega bene un parere legale pubblicato dal Procuratore Generale di Israele, Avichai Mandelblit, il quale in 34 pagine spiega con dovizia di particolari perché il TPI non ha alcuna giurisdizione né su Israele né sulla cosiddetta “Palestina”.

Tra le altre cose il Procuratore Generale di Israele spiega che «anche nel caso in cui lo Statuto di Roma dovesse essere male interpretato in modo da consentire alle entità non sovrane di conferire giurisdizione alla Corte, gli accordi israelo-palestinesi esistenti chiariscono che i palestinesi non hanno giurisdizione penale né di diritto né di fatto sull’area C, Gerusalemme e sui cittadini israeliani – e quindi non possono validamente delegare tale giurisdizione alla Corte».

In sostanza è proprio lo Statuto di Roma ha stabilire che l’assenza di uno Stato sovrano palestinese interdice la Corte ad esercitare giurisdizione su quei territori indicati nell’annuncio emesso dal Tribunale Penale Internazionale, che per altro sono soggetti ad accordi riconosciuti internazionalmente i quali indicano espressamente che qualsiasi contenzioso tra le parti deve essere risolto attraverso negoziati diretti.

Le organizzazioni internazionali, tra le quali il Movimento BDS, Amnesty International e altre, affermano che l’adesione della cosiddetta “Palestina” allo Statuto di Roma nei fatti sarebbe un vero e proprio riconoscimento e che quindi i palestinesi hanno ogni Diritto a chiedere l’intervento del Tribunale Penale Internazionale.

È un’altra bugia. Proprio lo Statuto di Roma prevede che la Corte abbia giurisdizione sul “territorio di…” ovvero su uno Stato riconosciuto e con confini ben definiti. La cosiddetta “Palestina” non soddisfa nessuno di questi requisiti.

Il Procuratore Generale di Israele spiega ancora che «se il Tribunale Penale Internazionale conducesse una solida valutazione della documentazione legale e fattuale, la sua inevitabile conclusione dovrebbe essere che uno Stato sovrano palestinese non esiste e che quindi il presupposto per una sua giurisdizione su quei territori verrebbe a mancare ai sensi del Diritto Internazionale».

C’è poi un altro punto importante da valutare. Sempre secondo lo Statuto di Roma la Corte Penale Internazionale può avviare un procedimento solo se il governo di un paese non riesce a indagare adeguatamente sulle accuse ad esso rivolete. Non è il caso di Israele, una democrazia perfettamente in grado di mettere sotto accusa e giudicare i propri militari e politici nel caso compiano qualsivoglia reato, compreso quello di crimini di guerra. Gli israeliani lo hanno già ampiamente dimostrato in passato.

Fino a qui la “parte legale” che smonta il castello di menzogne messo in piedi da odiatori seriali e media in cerca di visibilità. Ora parliamo tranquillamente delle accuse rivolte a Israele.

Secondo il Tribunale Penale Internazionale l’IDF avrebbe commesso crimini di guerra a Gaza e in Giudea e Samaria. Nel primo caso i militari israeliani sono accusati di aver “deliberatamente ucciso civili palestinesi”, di “aver colpito ambulanze” e altre accuse, nel secondo caso invece l’accusa è quella di aver “deportato” la popolazione araba per costruire insediamenti il che, secondo il Diritto Internazionale, sarebbe un crimine di guerra in quanto Israele è considerato “potenza occupante”.

Ora, nel caso di Gaza l’accusa è inventata di sana pianta. L’esercito israeliano è riconosciuto dai più alti livelli militari mondiali come il più “eticamente corretto”, quello cioè che più di tutti tra gli eserciti regolamentari mette in primo piano la salvezza dei civili. Ma la cosa diventa difficile da fare se i terroristi palestinesi usano i civili come scudi umani o se posizionano le loro basi sotto gli ospedali, se posizionano le batterie di missili in mezzo alle case o se, ancora, trasportano uomini armati e armi all’interno di ambulanze.

L’uccisione accidentale di civili da parte israeliana è quindi la conseguenza di una deliberata strategia portata avanti in maniera conscia dai terroristi palestinesi e non di una deliberata decisione dei vertici militari o politici israeliani.

Per quanto riguarda invece la “deportazione” di popolazione araba per costruire insediamenti è davvero una balla colossale. Nessun cittadino arabo è stato forzato a lasciare la propria terra per costruire insediamenti che invece sono costruiti in zone non abitate e spesso aride, non adatte nemmeno alla pastorizia. Se poi gli israeliani sono bravi nel trasformare il deserto in verdi oasi non è certo un crimine.

Concludendo, si mettano il cuore in pace i giudici strumentalizzati e gli odiatori seriali. Nessuno può accusare Israele di crimini di guerra, sia dal lato del Diritto Internazionale che da quello dei fatti oggettivi. Basta solo informarsi un pochino in maniera oggettiva.



La Corte Penale Internazionale e il retroscena

http://www.linformale.eu/la-corte-penal ... UVBuEXAm_c

È di questi giorni la notizia che la Corte Penale Internazionale, attraverso il parere di un suo giudice, il Procuratore Capo Fatou Bensouda, possa aprire un procedimento contro Israele per crimini di guerra. Se, dalla fase dell’esame preliminare si passerà al procedimento effettivo, esso avrà pesanti ripercussioni per numerosi politici e militari israeliani. E’ utile ricordare che i procedimenti della Corte Penale Internazionale sono rivolti contro le persone e non contro gli Stati.

In passato, per tre volte, il Procuratore Capo Bensouda ha respinto, perché non vi erano gli estremi, un procedimento contro Israele sempre per “crimini di guerra”. E’ accaduto relativamente alla vicenda della Mavi Marmara del 2010, la nave che faceva parte di una flottiglia allestita da un’organizzazione terroristica turca, la IHH, “mascherata” da organizzazione umanitaria, con l’intenzione di rompere il blocco navale, legittimo, che Israele aveva imposto a Gaza per prevenire il traffico di armi gestito da Hamas. La presa di controllo della nave da parte di Israele costò la vita a 10 cittadini turchi. La richiesta di procedimento fu richiesta dalle Isole Comore nel maggio del 2013. Richiesta respinta dal giudice Bensouda. La richiesta fu, nuovamente, ripresentata da una camera pre-processuale della stessa Corte Penale Internazionale su insistenza delle Comore nel luglio 2015 e nuovamente rigettata dal giudice Bensouda. Infine – caso unico al mondo – ripresentata per la terza volta nel settembre del 2019 e cassata definitivamente il 2 dicembre. In che cosa di diversifica l’atteggiamento del giudice in merito al caso della Mavi Marmara e quello attuale dei presunti “crimini di guerra” di Israele in Giudea, Samaria, Gerusalemme e Striscia di Gaza?

Nel primo caso si è trattato di un “semplice” caso di verifica del rispetto o meno del diritto internazionale in una azione di autodifesa. Nel secondo si stratta di un “difficile” caso dove il diritto internazionale è completamente soppiantato da una logica politica, portata avanti in maniera maniacale da ONU, UE e dagli USA – cominciando co l’Amministrazione Carter e proseguendo fino all’Amministrazione Obama– che vede in Israele una “forza occupante” di “territori palestinesi” a prescindere della validità storica e giuridica di questo assunto.

I presupposti per individuare supposti “crimini di guerra”, sono essenzialmente due: la costruzione di abitazioni in Giudea, Samaria (Cisgiordania o West Bank) compresa Gerusalemme, e l’uso “sproporzionato” della forza nella Striscia di Gaza. Il primo presupposto si fonda sul Memorandum Hansell scritto da un giurista americano tra il 1978-1979 per volontà dell’allora presidente americano Jimmy Carter.

Nel suo memorandum, Hansell sostenne l’idea che Israele violasse il diritto internazionale e più precisamente l’art. 49 comma VI della IV convenzione di Ginevra del 1949, permettendo l’insediamento di civili in Giudea, Samaria e Gerusalemme. Il testo dell’articolo è il seguente:

Art. 49 Comma VI:

“La Potenza occupante non potrà procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della sua propria popolazione civile nel territorio da essa occupato.”

Sull’interpretazione data da Hansell a questo comma dell’articolo 49 della IV Convenzione di Ginevra si è costruita tutta intera la tesi dell’illegalità della presenza ebraica in Giudea, Samaria e Gerusalemme.

E’ opportuno ribadire che questa tesi non ha fondamento per due semplici ragioni:

Non si può parlare di “territori occupati” perché questi territori furono assegnati al popolo ebraico con il Mandato britannico di Palestina del 1922. Inoltre con gli accordi di Oslo del 1995 le aree dove sorgono i così detti “insediamenti” sono state riconosciute, dai palestinesi stessi, come di pertinenza esclusiva israeliana (area C) e di amministrazione mista area B. Quindi pienamente legali.
Considerare la presenza di civili ebrei in Giudea, Samaria e Gerusalemme come conseguenza di “deportazione o trasferimento” coatto non ha basi giuridiche (e di buon senso). Nel commentario della Croce Rossa Internazionale del 1958 sul terzo paragrafo della IV Convenzione di Ginevra (utilizzato in tutto il mondo giuridico sul tema dell’occupazione) si ribadisce in modo inequivocabile che per “ deportazione o trasferimento” si intende un’azione coatta sotto la minaccia delle armi, e si riferisce all’opera di deportazione e colonizzazione che fece la Germania nazista durante la Seconda Guerra mondiale quando invase i paesi dell’Est Europa. Cosa evidentemente non applicabile a Israele e ai “territori”, in quanto, in questo caso, la popolazione civile è tornata, in taluni casi, dopo essere stata cacciata dai giordani, in altri casi acquistando un terreno ed edificando, in altri ancora, andando a vivere in zone diverse e sparse sul territorio e mai in un luogo unico e concentrato, cioè in modo indipendente e senza imposizioni governative. Lo evidenzia anche il fatto che in diverse circostanze sono state demolite abitazioni costruite abusivamente e senza autorizzazioni con sentenza della stessa Corte Suprema israeliana.

La tesi di Hansel venne disconosciuta dall’Amministrazione Reagan ma è rimasta in voga in ambito internazionale. La sua flagrante pretestuosità è dimostrata dal fatto che in nessun caso al mondo – di reale occupazione – il comma 6 dell’articolo 49 della IV Convenzione di Ginevra sia mai stato applicato. Per di più non fu mai applicato neanche ai territori stessi di Giudea e Samaria durante l’illegale occupazione giordana durata del 1948 al 1967. Si è iniziato ad applicarlo politicamente, esclusivamente, a Israele, a partire dal 1978.

Il memorandum Hansell prevedeva la fine dell’”illegalità”, della presenza ebraica nei territori, nel momento in cui si fosse trovato un accordo con la Giordania. Cosa che è avvenuta nel 1994 con il trattato di pace tra i due paesi con il quale, la Giordania ha rinunciato definitivamente a ogni rivendicazione sopra i territori ad ovest del fiume Giordano.

Alla luce di ciò, se non è applicabile il comma 6 dell’articolo 49 della IV Convenzione di Ginevra, e il memorandum Hansell è di fatto terminato con il trattato di pace tra Giordania e Israele, come ha fatto la presenza ebraica in Giudea e Samaria a diventare addirittura un “crimine di guerra”?

In virtù di quello che è uno degli organismi internazionali più politicizzati assieme al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite e all’Assemblea Generale – il Tribunale Penale Internazionale. Ciò accadde con il Trattato di Roma del 1998 con cui si decise di far diventare crimini di guerra i divieti, imposti ad un paese occupante, sanciti dalla IV Convenzione di Ginevra.

Nello Statuto della Corte Penale Internazionale, approvato con il Trattato di Roma del 1998 e diventato operativo a partire dal 2002 dopo la ratifica di Istanbul del 2002, al suo articolo 8 comma VIII si legge:

“Il trasferimento, diretto o indiretto, ad opera della potenza occupante, di parte della propria popolazione civile nei territori occupati o la deportazione o il trasferimento di tutta o di parte della popolazione del territorio occupato all’interno o all’esterno di tale territorio”.

Questo articolo è praticamente identico all’art. 49 comma 6 della IV Convenzione di Ginevra con la fondamentale aggiunta dell’inciso, diretto o indiretto, relativo al trasferimento della popolazione. E’ una aggiunta di estrema importanza per due motivi:

1) Da conferma che l’art. 49 comma 6 della IV Convenzione di Ginevra prevedeva solo il trasferimento o la deportazione coatta di popolazione altrimenti non ci sarebbe stata necessità di questa aggiunta. E questo sconfessa la “dottrina Hansell” se c’erano dei dubbi.

2) La lettura dei verbali di stesura dello Statuto del Tribunale Penale Internazionale, ci fa capire in modo inequivocabile che furono i paesi dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica a volere fortemente l’inserimento di questo inciso con il chiaro intento di poterlo utilizzare un giorno contro Israele.

Il Tribunale Penale Internazionale è stato creato con modalità politiche del tutto simili a quelle relative all’Assemblea Generale. I paesi che vi hanno aderito sono 122 su 193 riconosciuti dall’ONU. Non vi hanno aderito tra gli altri Israele e gli USA. L’Amministrazione Clinton aveva firmato il trattato di Roma con molte riserve poi però il Congresso non lo ha ratificato rendendo nulla la firma. Nel 2002, il presidente George W. Bush, su indicazione di John Bolton, firmò una legge l’ “American Service Members’ Protection Act”, con la quale di fatto si autorizzano i presidenti USA ad utilizzare “tutti i mezzi” per liberare i soldati e il personale americano all’estero che, eventualmente, venisse condannato dal Tribunale Penale. Questa legge sancisce l’illegalità, per gli USA, dei provvedimenti del tribunale.

Dal 2015 è subentrato un centoventitreesimo Stato firmatario che uno Stato non è: la Palestina il cui ingresso contravviene lo stesso Statuto del tribunale. Per suo Statuto il Tribunale prevede, come tutti gli altri organismi internazionali riconosciuti dall’ONU, che vi possano aderite solo gli Stati riconosciuti cioè quelli con le caratteristiche legali previste dalla Convenzione di Montevideo. Lo “Stato di Palestina” non ha nessun requisito minimo per essere riconosciuto come tale, tanto è vero che non è riconosciuto come Stato dall’ONU, in quanto è necessario il riconoscimento da parte del Consiglio di Sicurezza che è l’unico organismo legale deputato a farlo. Si è trovato però il modo di aggirare l’ostacolo facendolo diventare “Stato Osservatore” tramite la decisione politica di un organismo squisitamente politico: l’Assemblea Generale dell’ONU. Questo sotterfugio ha permesso allo “Stato di Palestina” di venir accettato, presso il Tribunale Penale Internazionale nel 2015, ingresso a cui ha fatto immediatamente seguito da parte del suo rappresentante una denuncia nei confronti di Israele per “crimini di guerra”.

Va altresì sottolineato che la Corte Penale Internazionale agisce quando, in un Stato indipendente o in uno soggetto ad occupazione, avvengono dei presunti crimini e il sistema giudiziario dello Stato denunciato, per le più svariate ragioni, non ha l’autonomia o le capacità di giudicare i presunti colpevoli. Quindi, il tribunale si sostituisce all’autorità giudiziaria locale. In pratica si riconosce l’incapacità di uno Stato di poter garantire giustizia per dei crimini commessi al proprio interno. Applicando questo principio ad uno Stato di diritto come Israele con il suo sistema giudiziario altamente autonomo e garantista, ad iniziare dalla Corte Suprema, se ne delegittima completamente la legalità. Ed è questa, in ultima analisi, la finalità: delegittimare Israele come Stato di diritto oltre che come “forza occupante illegale” che non sarebbe in grado di perseguire i responsabili dei “crimini di guerra”.

Le motivazioni squisitamente “politiche” e non di diritto che hanno portato il giudice Fatou Bensouda a intravedere le basi di un procedimento contro Israele sono le seguenti:

L’accettazione della denuncia dello “Stato di Palestina” è un atto politico e non ha basi giuridiche, perché come evidenziato, si tratta di un “Stato” che ha solo i requisiti politici (decisione Assemblea Generale) e non giuridici (Consiglio di Sicurezza) per essere considerato tale.

Per fare degli esempi è come se un giorno, politicamente e non legalmente, si accettassero le istanze dei catalani, dei baschi, dei nord irlandesi o dei lombardi per denunciare i governi centrali dei paesi di cui fanno parte.

Seconda considerazione: il giudice asserisce nella sua motivazione a procedere, che ci sono delle basi in quanto si tratta di “territori occupati palestinesi” in base unicamente al fatto che così sono descritti da “numerose risoluzioni dell’Assemblea Generale dell’ONU” che però è un organo politico e non giuridico, e non entra mai in merito se dal punto di vista del diritto internazionale, li si possa considerare tali. Si tratta dunque di una considerazione politica e non legale, esattamente come, nel 2004, si espresse la Corte di Giustizia Internazionale in merito alla barriera difensiva di Israele.

Terza considerazione: il giudice non esprime un’opinione sul fatto che Israele abbia un sistema legale che possa autonomamente ravvisare violazioni dei diritti umani o “crimini di guerra”. Quindi se ritiene necessaria un’azione del Tribunale Penale Internazionale cio vuol dire che Israele non ha un sistema giudiziario all’altezza e implicitamente ne delegittima il sistema.

Quarta considerazione: nessun altro caso simile è mai stato aperto. In nessun caso di reale occupazione, per citare solo le più note: Cipro, Cambogia, Timor Est, Libano, Crimea, Sahara Occidentale, Nagorno Karabach, sono mai state ravvisati gli estremi per aprire procedure in base all’art. l’art. 49 comma VI della IV convenzione di Ginevra del 1949 o per “crimini di guerra” in base all’art. 8 comma VIII dello Statuto del Tribunale Penale Internazionale.

Il diritto per essere tale deve essere universale e applicabile a tutti i casi in egual modo e non una volta si e dieci no altrimenti è meramente un fatto politico e non giuridico.

Si può affermare senza ombra di dubbio che il voler vedere un “crimine di guerra”, nella costruzione di case e nel permettere a dei comuni cittadini che lo desiderano di risiedere in un territorio non occupato, non ha nulla a che fare con il diritto ma ha solo a che spartire con la politica.

In merito al presunto uso sproporzionato della forza, il diritto internazionale è molto vago e suscettibile di varie interpretazioni. Diventa assai difficile poterlo applicare in casi di conflitto “standard” cioè tra due eserciti e relative azioni militari che colpiscono la popolazione civile durante gli avvenimenti bellici ma diventa quasi impossibile in casi di guerra “asimmetrica” cioè tra uno Stato e un’organizzazione terroristica che fa uso della popolazione civile come scudo umano. Di questi casi negli ultimi anni se ne sono verificati molti: Hamas a Gaza, ISIS in Siria e Iraq, i Talebani in Afganistan per citare i più noti. In questo momento nessun organismo internazionale ha provato a definire e codificare situazioni di questo genere per capire dove si trova il confine legale tra un’azione militare e un uso “sproporzionato” della forza. Sicuramente si può affermare che Israele, di tutti gli Stati, oggi, coinvolti in guerre asimmetriche è quello che ha posto le maggiori attenzioni per ridurre le vittime civili.

Comunemente si pensa, perché cosi lasciano intendere i politici e gli “esperti”, che se una delle due parti in guerra subisce più vittime civili è la vittima, mentre l’altro diventa inevitabilmente, colpevole di uso “spropositato” della forza a prescindere dalle ragioni o dai torti, ma non è così per il diritto internazionale, perché bisogna tenere in considerazione i molti fattori (non il mero numero dei morti), adottati dagli eserciti per ridurre al minimo le vittime civili durante gli scontri tra cui tutti i dispositivi per assicurare la difesa dei civili.

Per il diritto internazionale l’uso proporzionato della forza è la forza militare necessaria per raggiungere un obiettivo militare che non deve essere superiore all’obiettivo posto. Se riduciamo la legalità dell’intervento militare al solo numero di vittime di una parte o dell’altra dicendo che ha “legalmente ragione” chi ha subito più morti a prescindere dal fatto di chi è l’aggressore o l’aggredito o se ha utilizzato dei civili come scudi o ha fatto di tutto per proteggerli, possiamo affermare senza tema di smentita che la Germania di Hitler e il Giappone di Hirohito avevano ragione e gli USA e gli alleati torto.

La qualifica “uso sproporzionato della forza” relativamente alla reazione di Israele ai lanci di razzi da parte di Hamas durante l’ultimo conflitto nella Striscia, quello del 2014, o durante la risposta di Israele ai tentativi di penetrazione all’interno dello Stato da parte di miliziani di Hamas e della Jihad Islamica, durante la cosiddetta Marcia della Pace del 2018, non solo è estremamente problematica, considerata la modalità dell’aggressore di utilizzare i civili come scudi umani o di farsi schermo della popolazione, ma viene abitualmente usata in modo del tutto strumentale.


Le ignobili accuse della Corte Penale Internazionale contro Israele
Niram Ferretti
21 Ottobre 2018

https://www.progettodreyfus.com/corte-p ... e-israele/

Ci dice Fatou Bensouda, procuratore capo della Corte Penale internazionale, l’organizzazione che recentemente John Bolton, Consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, ha platealmente sconfessato come un’organizzazione di parte, che se il villaggio beduino di Khan al’Ahmar sito nell’Area C della cosiddetta Cisgiordania, verrà demolito, si tratterà di un “crimine di guerra”. Non solo, la Bensouda, allarmata, avverte che terrà gli occhi bene aperti, non wide shut, su quello che succede ai confini di Gaza e Israele dove, la violenza è perpetrata “dagli attori di ambo le parti”. Quando si dice l’equanimità.

La violenza è violenza, naturalmente, e anche durante la seconda guerra mondiale i nazisti e gli angloamericani esercitavano violenza da ambo le parti, poi tocca intendersi su cosa rappresentavano e cosa rappresentano le due parti in contesa. Da una parte, per tornare all’attualità, Hamas che organizza una finta marcia per la pace e sguinzaglia miliziani il cui scopo è quello di introdursi oltre confine e non per portare ceste di fiori e frutta, dall’altra l’esercito regolare di uno stato democratico che spara e uccide soprattutto questi miliziani. Ma lasciamo a San Tommaso D’Aquino simili sottili distinzioni.

La Corte Penale Internazionale dell’Aia è la medesima che nel 2004 ha qualificato la barriera difensiva di Israele come illegale. Nessuna considerazione cogente venne data nel dispositivo della sentenza della ragione fondamentale per la sua costruzione; la salvaguardia della popolazione israeliana dalla violenza terroristica. Per la Corte, infatti, l’unica minaccia che avrebbe potuto giustificare da parte di Israele la costruzione di una barriera di protezione sarebbe stato l’attacco di uno stato armato. La virulenta ondata terroristica abbattutasi su Israele durante la Seconda Intifada non rappresentava per i giudici della Corte una ragione sufficiente perché esso dovesse dotarsi di una forma di difesa. Non a caso né Israele né gli stati Uniti hanno firmato il Trattato di Roma a cui la corte si ispira.

Ma Fatou Bensouda terrà gli occhi bene aperti su quello che accadrà in “Cisgiordania”, dopo che l’Alta Corte di Israele, ha rigettato l’appello contro la demolizione del villaggio, assurto a simbolo della “resistenza” araba contro la protervia sionista. Conta poco che secondo la legge israeliana il villaggio sia abusivo. Come possono gli israeliani decretare che qualcosa è abusivo se sono abusivi essi stessi? Così ci dicono, non Fatou Bensouda, che, non abbiamo dubbi, è giudice imparziale come Cassio era uomo d’onore, ma i paladini dei Diritti Umani, per i quali probabilmente, è giusto ciò che è scritto nello Statuto di Hamas del 1988, dove tutta la Palestina è considerata un waqf (dotazione perenne) islamica.

D’altro canto Israele è abituata a essere accusata di crimini di guerra, è una costante. Dalla fantomatica pulizia etnica del 1948-49 che ha moltiplicato negli anni la popolazione araba (unico caso al mondo), alle altre nefandezze compiute, come a Jenin nel 2002, quando dopo il virulento scontro tra esercito israeliano e arabi-palestinesi, Yasser Arafat decretò che il “massacro di Jenin” poteva essere paragonato solo all’assedio di Stalingrado, seguito a stretto giro di posta da Saeb Erekat, il capo negoziatore palestinese che dichiarò alla stampa: “Il numero di morti si aggira sui 500”, aggiungendo: “Il campo profughi di Jenin non esiste più, e abbiamo notizia che vi avvengono esecuzioni di massa”.

Il numero effettivo dei morti a Jenin fu di 53 palestinesi e 23 soldati israeliani. Ci fu poi il rapporto Goldstone del 2009 quando Israele venne ancora accusata di crimini di guerra dopo l’Operazione Piombo Fuso, sennonché fu lo stesso Goldstone, nel 2011, a disconoscere l’impianto accusatorio del suo rapporto come scrisse sul Washington Post:

“Se avessi saputo allora quello che so oggi, il Rapporto Goldstone sarebbe stato un documento diverso. Le accuse di premeditazione da parte di Israele erano fondate sulle morti e le ferite dei civili in situazioni nelle quali la nostra missione intesa a verificare i fatti non disponeva di nessuna prova sulla base della quale potere giungere a conclusioni diverse. Mentre le investigazioni pubblicate dall’esercito israeliano e accettate nel rapporto del comitato delle Nazioni Unite, hanno stabilito la validità di alcuni episodi da noi investigati relativamente a casi concernenti soldati singoli, esse indicano anche che i civili non vennero presi intenzionalmente di mira…”

E si potrebbe andare avanti ancora a lungo, ma per brevità arriveremo ai giorni nostri, e alla Marcia per il Ritorno, durante la quale sarebbero stati uccisi dagli spietati cecchini israeliani “ragazzi inermi” (Massimo D’Alema), o “pacifici manifestanti”, così qualificati da buona parte della stampa, i quali, Hamas stesso annunciò, erano propri miliziani.

Sì, vanno davvero tenuti gli occhi bene aperti su Israele e i suoi crimini di guerra. A Berlino dicono ci sia un giudice, pardon, all’Aia.




La Corte penale internazionale dell' Aia ha riconosciuto la Palestina come Stato.
https://www.facebook.com/photo?fbid=366 ... 1301468018


Gravissima persecuzione della Corte Penale Internazionale contro Israele
Franco Londei
Febbraio 6, 2021

https://www.rightsreporter.org/gravissi ... o-israele/

Ieri la Corte Penale Internazionale ha stabilito in maniera assolutamente autonoma e arbitraria che Gerusalemme Est, Cisgiordania e Gaza rientrano nella sua giurisdizione.

La mossa è chiaramente mirata ad esporre funzionari e militari israeliani a procedimenti penali per ipotetiche violazioni dei Diritti Umani e apre la strada a una pioggia di denunce da parte dei palestinesi e dei loro supporter.

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha condannato fermamente la decisione della Corte penale internazionale e ha ordinato al suo gabinetto di non commentare pubblicamente la questione.

“Oggi, la corte ha dimostrato ancora una volta di essere un organo politico e non un’istituzione giudiziaria”
Benjamin Netanyahu

“Oggi, la corte ha dimostrato ancora una volta di essere un organo politico e non un’istituzione giudiziaria”, ha detto Netanyahu in una nota.

“Il tribunale sta ignorando i veri crimini di guerra e sta perseguitando invece lo Stato di Israele, un paese con un forte regime democratico, che santifica lo stato di diritto e non è nemmeno un membro della corte” ha poi concluso il Premier israeliano.

“Con questa decisione, il tribunale ha violato il diritto delle democrazie di difendersi dal terrorismo. Continueremo a proteggere i nostri cittadini e soldati in ogni modo dalla persecuzione”.

Già la Corte Penale Internazionale aveva violato la legge quando nel 2015 aveva accettato di farvi entrare uno Stato che non esiste, la Palestina. E anche allora si pensò che il motivo per cui si violava così palesemente la legge internazionale fosse solo ed esclusivamente quello di perseguitare Israele.

Oggi, purtroppo, abbiamo la conferma di quanto a suo tempo si sospettava.

Adesso ci aspettiamo una forte presa di posizione, prima di tutto dagli Stati Uniti e poi anche dalle altre grandi potenze mondiali.

Poi ci aspettiamo un immediato passo indietro della Corte Penale Internazionale che non può ergersi a legislatore di se stessa auto-attribuendosi competenze che non può avere.

E se la Corte Penale Internazionale volesse proseguire su questa strada e se fosse una struttura onesta e imparziale, dovrebbe prima di tutto indagare sui crimini commessi da Hamas e dagli altri gruppi terroristici, a partire dal lancio premeditato di migliaia di missili contro la popolazione civile israeliana.

Ma sarebbe chiedere troppo a un organismo che – ormai è sempre più chiaro – è fortemente politicizzato e sempre più parziale nelle sue decisioni.



Natanyahu risposponde alla decisione della Corte penale internazionale della Corte penale internazionale)
https://www.facebook.com/LikudherutUK/v ... 224138094/



Il Dipartimento di Stato americano si oppone alla decisione della Corte penale internazionale dell'#Aia
Un portavoce del Dipartimento di Stato ha detto che gli Stati Uniti si sono opposti a una decisione secondo cui la Corte penale internazionale ha giurisdizione sui presunti crimini di guerra commessi nei territori palestinesi.
Israele respinge la decisione e intende difendere i propri funzionari da qualunque persecuzione.
È importante precisare che la responsabilità penale è individuale e mai collettiva, chi crede che Israele smetterà di difendersi è un illuso e rimarrà deluso.



VERGOGNOSA DECISIONE DELLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE DELL'AJA CONTRO ISRAELE
Per la Corte penale internazionale de L’Aja Israele va processato: una decisione a senso unico contro Gerusalemme sotto la spinta di Ong, gruppi terroristi e “amici europei”
di Davide Racca
7 febbraio 2021

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 8414625160

Secondo la sentenza emessa ieri dalla Corte penale internazionale de L’Aja Israele va processato. La decisione autorizza il procuratore capo, Pato Bensuda, ad aprire un’indagine sui “crimini di guerra israeliani” e ha stabilito, violando i principi di sovranità, che l’indagine possa svolgersi in Giudea e Samaria oltre che nei territori governati dall’Autorità nazionale palestinese.
La decisione dei giudici de L’Aja, oltre che condizionata fortemente dalla spinta di varie ong che agiscono deliberatamente in funzione anti-israeliana, è in palese contrasto con la mancata ratifica di Israele degli accordi che furono alla base della costituzione della corte penale internazionale. Infatti, i paesi che aderiscono allo Statuto di Roma sono 123 (stima dell’ottobre 2017) mentre altri 32 paesi hanno firmato ma non ratificato il trattato e fra questi, Israele, Russia, Stati Uniti e Sudan.
Nelle intenzioni dell’organismo de L’Aja, la delega al magistrato con la possibilità di svolgere investigazioni sui luoghi teatro dei presunti crimini, potendo coinvolgere nelle indagini anche membri dei governi competenti per territorialità e, potenzialmente, di emettere ordini di fermo/arresto anche nei confronti delle autorità delegate a imporre il rispetto delle leggi sul territorio nazionale.
A seguito di tale deliberazione, appare chiaro l’intento di indurre le presunte vittime a proporre denunce a raffica contro le autorità israeliane e le forze di difesa dello Stato ebraico, nella speranza di ottenere anche lauti rimborsi.
A parere dei giudici della corte penale internazionale, la cui decisione è stata approvata a maggioranza, la “Palestina”, i cui confini risalgono al 1967 e comprendono Gerusalemme est, è uno Stato membro della Corte internazionale di giustizia. Questo “particolare” è stato sottolineato dalla Corte dietro richiesta del magistrato delegato alle indagini che ha chiesto al tribunale di determinare i confini territoriali entro i quali deve essere condotta l’indagine sulla commissione di presunti crimini di guerra.
Ma non è certo questo il primo caso nel quale gli organismi internazionali vengono strumentalizzati e utilizzati per i fini dei nemici di Israele, anche in forza di “patti segreti” stipulati da vari Governi europei con le varie entità terroriste che operano in funzione antisionista per evitare il compimento di azioni violente sul territorio Continentale.
E neanche stupisce l’arbitrarietà con la quale la “decisione” è stata determinata sotto la continua spinta di varie entità che, nel corso degli ultimi anni, hanno inteso produrre il massimo sforzo allo scopo di tutelare le vittime di una violenza dagli stessi profusa e condannare coloro i quali sono delegati a prevenire e reprimere ogni tipo di aggressione.
Tra gli emeriti soggetti dediti al sostegno delle presunte “vittime”, il procuratore della Corte Fatou Bensouda che da anni insiste per poter svolgere indagini in merito ad eventi avvenuti nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, sostenendo la sussistenza di “basi ragionevoli” per credere alla commissione di crimini di guerra, ed indicando come possibili indagati sia l’esercito israeliano, che gruppi palestinesi come Hamas.


NETANYAHU: "INDAGINE L'AJA CONTRO ISRAELE E' ANTISEMITISMO RAFFINATO"
A proposito della ignobile decisione della Corte Penale Internazionale contro Israele, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu - בנימין נתניהו ha rilasciato un’aspra dichiarazione:
“Quando la Corte internazionale di giustizia de L’Aja indaga su Israele per crimini di guerra completamente falsi, è un antisemitismo raffinato. Questo tribunale è stato istituito per prevenire atrocità come l’Olocausto nazista contro il popolo ebraico, ora sta attaccando l’unico Stato del popolo ebraico. In primo luogo, afferma scandalosamente che quando gli ebrei vivono nella loro patria, a Shiloh, Hebron, Beit El, persino nella nostra capitale Gerusalemme, questo è un crimine di guerra. Secondo, sostiene che quando i nostri eroici soldati ci difendono dai terroristi che vengono ad uccidere i nostri figli, lanciano missili nelle nostre città, anche loro stanno commettendo un crimine di guerra. Ovviamente questo tribunale di tendenza, che fa queste accuse deliranti contro l’unica democrazia in Medio Oriente chiamata Israele – si rifiuta di indagare sui veri crimini di guerra commessi da dittature crudeli come Iran e Siria quasi ogni giorno”.
E conclude rivolgendosi agli israeliani: “State uniti, difendete i nostri soldati che ci proteggono, difendete la nostra patria con tutte le nostre forze. Questa palese ingiustizia grida al cielo, non ci arrenderemo mai “.


La Corte Penale Internazionale contro Israele, Corte antisemita internazi comunista e filo nazi maomettana
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L'ONU internazi comunista e nazi maomettano antisemita e antisionista
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Antisemitismo nazi comunista e nazi maomettano (e cristiano)

Messaggioda Berto » dom feb 07, 2021 7:52 pm

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Messaggioda Berto » mer feb 10, 2021 9:57 pm

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Messaggioda Berto » gio mar 18, 2021 10:07 pm

Dietrich Eckart, l'uomo che inventò Adolf Hitler
Progetto Dreyfus
Gianluca Pontecorvo
4 febbraio 2021

https://www.progettodreyfus.com/dietric ... lf-hitler/

Della cerchia ristretta di gerarchi nazisti e ideologi del Partito Nazional Socialista dei lavoratori tedeschi (NSDAP) tutti ricordano i nomi dei tristemente noti Hermann Göring, Rudolf Hess, Ernst Röhm, Heinrich Himmler o Joseph Goebbels ma in pochi conoscono la storia di Dietrich Eckart, l’uomo che per primo individuò in Adolf Hitler “il futuro della Germania”.

Gli albori

Dietrich Eckart da giovane

Nato a Neumarkt il 23 marzo 1868, Eckart era figlio di un notaio della casa reale nonché consigliere legale. Sua madre morì quando lui aveva solo dieci anni e nel 1895 perse anche il padre dal quale ereditò un ingente patrimonio.

Eckart iniziò gli studi di medicina a Monaco di Baviera, abbandonandoli però nel 1891. Forte delle ingenti finanze messe a disposizione dalla famiglia, iniziò a lavorare come poeta, drammaturgo e giornalista.

Vittima di attacchi di demenza, nel corso della sua vita venne internato più volte in un manicomio. Eckart era un uomo acculturato, con buone capacità di scrittura e convincimento. Il pensiero trovava ispirazione nella mitologia, nel razzismo e in una visione distorta della biologia umana, una miscela questa che non smetterà mai di incantarlo.

Fu lui a sviluppare per primo la teoria di un “genio umano superiore”, basata su scritti precedenti di Lanz von Liebenfels. Eckart, nel suo pensiero si rivedeva nella tradizione di Arthur Schopenhauer e Angelus Silesius e rimase anche affascinato dalle credenze Maya, ma non ebbe mai molta simpatia per il metodo scientifico. Eckart amava e si identificava fortemente anche con Peer Gynt di Henrik Ibsen.

Nel 1915 scrisse anche la commedia nazionalista “Heinrich der Hohenstaufe” (“Heinrich dell’Alto Battesimo”), in cui postulava una pretesa leadership mondiale del popolo tedesco.

Nel corso della sua vita Eckart ebbe rapporti anche con un gruppo di appassionati dell’occultismo di estrema destra, la “Società Thule” fondata da Felix Nieder e Rudolf von Sebottendorff, la quale era composta da personaggi distinti che credevano nel mito di Atlantide e nella razza ariana, da cui i tedeschi ne avrebbero raccolto l’eredità. All’interno di Thule c’erano esponenti che pensavano che gli ariani fossero stati indeboliti dagli incroci con razze inferiori e moralmente corrette, principalmente ebrei, comunisti e bolscevichi. Questi erano ritenute all’epoca al potere e colpevoli del caos che la Germania stava vivendo. Un primordiale concetto di complotto mondiale ebraico che Eckart avrebbe scoperto. Nonostante non ci siano prove di quel che Eckart affermava e per quanto strambe ed eccentriche, l’idea di un passato glorioso e di un nemico comune che stava distruggendo la patria dall’interno fece breccia nella società tedesca, ferita dalle umiliazioni del momento storico che il popolo tedesco stava vivendo. Un’identità storica forte e un modello da seguire.

La Germania come nazione aveva solo 40 anni di storia e scoprire le radici della germanicità fu un collante formidabile che permise alle idee del nazionalsocialismo di risultare sempre più attraenti.

Agli inizi del 1919, Eckart e la Società Thule avviarono un piano per divulgare e diffondere il proprio messaggio fondando un nuovo gruppo politico: il “Partito Tedesco dei Lavoratori”. Questo era solo una delle tante formazioni politiche che nascevano e si incontravano nelle birrerie e nelle cantine di Monaco di Baviera. Proprio in quell’anno a Versailles venne firmato un trattato che pose la Germania, al termine della WWI in enormi difficoltà economiche ma soprattutto dal punto di vista identitario e ideologico dando così la possibilità a idee estremiste di trovare terreno fertile in cui attecchire.

Nel 1918 cofinanziò l’acquisto del periodico antisemita Auf gut Deutsch (in buon tedesco) in cui criticava con rabbia il controllo degli ebrei sull’economia, la Repubblica di Weimar e il Trattato di Versailles , inserendo riferimenti alla sua passione per l’occulto e il paganesimo.

Nel 1919 si instaura la Repubblica di Weimar, che venne ritenuta da Eckart debole e dominata da politici liberali ed ebrei. Il suo desiderio era quello che il suo partito li sfidasse ma sentiva la mancanza di una leadership forte e un frontman capace di rappresentarli anche fuori dalle birrerie dove si incontravano. Un “messia” come lo definiva lui.

Fu durante questo periodo che Eckart divenne una figura essenziale nei caffè di Monaco, attirando il gratin nazionalista con la sua erudizione e il suo umorismo ironico.

In quel periodo Eckart scrisse un poema in cui descrisse una figura capace di assolvere a questo compito e chiamata “il senza nome” o “il grande”. Un soldato semplice tedesco dagli occhi ardenti capace di riportare la Germania ai fasti di un tempo. Figura che successivamente riuscì ad identificare in una riunione del suo partito nella primavera dell’anno successivo in un giovane ragazzo austriaco, ex soldato e attualmente impiegato come informatore al soldo dell’esercito. Il suo nome era Adolf Hitler.

Il giovane Hitler trovò quelle opinioni anticomuniste e antisemite profondamente aderenti al suo pensiero e riconobbe in quelle persone un linguaggio simile a quello da lui utilizzato.


L’incontro con Hitler

Era solo la seconda volta che Hitler partecipava a una riunione del Deutsche Arbeiterpartei. Nell’autunno del 1919, il caporale di 31 anni era nella stanza sul retro del birrificio Sternecker a Monaco di Baviera e ascoltando i discorsi fatti nella sala fu profondamente infastidito dalle parole del co-fondatore del movimento, Karl Harrer, a suo modo di vedere troppo tenero e ottuso.

All’improvviso, una voce fragorosa interruppe chi stava parlando: “A nessuno importa quello che dici!”. Hitler, sbalordito, si voltò e vide un colosso dallo sguardo azzurro intenso, testa calva, sottolineato da folti baffi a spazzola: Dietrich Eckart.

Questo incontro cambiò la sua vita. Alla fine del discorso, Anton Drexler, l’altro leader del movimento, presentò Hitler a Eckart e da lì inizio un percorso di formazione ideologica del futuro Fuher nel quale Eckart ricopriva il ruolo di talent scout e mentore.

Eckart si accorse immediatamente delle capacità oratorie di Adolf Hitler, del suo magnetismo, della sua passione politica e del tanto livore che usciva in ogni suo discorso pubblico. Capacitò che lui non riusciva a trasmettere nello stesso modo. Ne fu immediatamente folgorato. Individuo in Hitler la guida per la nazione che stava cercando. Nonostante le differenze caratteriali tra i due nacque subito un buon rapporto.

“Brillava dinanzi ai nostri occhi come una stella polare”
Adolf Hitler

Un acerbo e giovane Hitler non era però ancora pronto a compiere il disegno immaginato da Eckart e così, in un rapporto divenuto padre-figlio, quest’ultimo gli insegnò l’etichetta e lo aiutò a indirizzare meglio i suoi pensieri in discorsi persuasivi e convincenti.

Secondo Timothy W. Ryback, autore di In Hitler’s Private Library (2010, Pocket Book ed.), Il giovane austriaco rimase stregato da questo nazionalismo portato all’estremo, lontano dalle idee dei suoi genitori che erano piuttosto tolleranti. In pochi mesi diventò quindi il protetto del drammaturgo con il quale prendeva sempre più confidenza e acquisisce la credibilità che gli mancava.

Con Hitler che venne nominato a capo della propaganda del partito, i due lavorarono per perfezionare l’ideologia e il credo del movimento, completandosi così a vicenda. Eckart infatti non era un abile oratore ma un ottimo scrittore e teorico, Hitler invece aveva ancora pensieri incoerenti e non era capace di scrivere discorsi capaci di convincere le folle. Fu quindi Eckart a prendere le parole di Hitler e a trasformarle in comunicazione politica e propaganda. A quel punto a Hitler bastò esporle con la sua eccezionale e potente capacità oratoria che blandiva il pubblico.

I nazisti promettevano all’epoca di recuperare le terre rubate dal patto di Versailles, la riunificazione del popolo tedesco, la ridistribuzione dei profitti di guerra e del reddito, la partecipazione agli utili nelle grandi industrie, la nazionalizzazione dei fondi, gli aumenti nelle pensioni di vecchiaia, maggiori privilegi ai tedeschi e la negazione di cittadinanza agli ebrei. Promesse facili da ricordare e molto efficaci.

Fu lo stesso Eckart a coniare il motto “Deutschland erwache!” (Germania risvegliati!). A questo si aggiunse anche il nuovo simbolo del partito, la svastica. Secondo i mistici della Società Thule il simbolo della svastica aveva origini ariane, rafforzando così la narrativa intorno al movimento nazista.

Insieme, Eckart e Hitler, nel 1920 riuscirono ad andare oltre la demagogia spiccia da birreria acquistando, grazie ai fondi del primo dei due, il giornale settimanale della Società Thule, il Volkischer Beobachter, ormai agonizzante. Si trattava di un giornale fatto di titoloni e immagini inserite con il solo scopo di attirare l’attenzione dei lettori. In sostanza si trattava del primo approccio alla propaganda di massa nel tentativo di diffondere nelle strade il messaggio nazista.

Hitler allora era “solo” il portavoce del partito ma Eckart, nel suo nuovo ruolo di direttore del giornale non perdeva tempo nel presentarlo come il messia della Germania, considerandolo come der Kommenden Grossen (il grande che arriva) attribuendogli i poteri mistici di un mitico capo teutonico ariano. Questa scelta catturò l’interesse dei lettori ma anche l’ego dello stesso Hitler che iniziava a far sua questa immagine.

Con Eckart al suo fianco, Hitler si sentì di poter osare oltre. Nel gennaio 1920, sei mesi dopo l’adesione alla Deutsche Arbeiterpartei, licenziò il pallido co-fondatore del partito, Karl Harrer, ribattezzato poi Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei (Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi, noto con l’acronimo NSDAP).


L’ideologia antisemita comune tra Eckart e Hitler

Il tristemente noto dialogo tra Eckart e Hitler, Der Bolschewismus von Moses bis Lenin: Zwiegerspräch zwischen Adolf Hitler und Mir (Il bolscevismo da Mosè a Lenin: un dialogo tra Adolf Hitler e me), pubblicato alcuni mesi dopo la morte di Eckart, fu scritto dal solo Dietrich Eckart probabilmente all’insaputa dello stesso Hitler. Per alcuni storici, il Dialogo esprimeva la posizione ideologica di Hitler riguardo la questione ebraica; per altri il testo rispecchia molto più il modo di pensare di Eckart che non quello di Hitler. A prescindere, tuttavia, dalla paternità del pamphlet, quanto sappiamo su Eckart e Hitler ci induce a credere che il documento sia un’espressione del loro rapporto e delle loro idee comuni. Il Dialogo è infatti impregnato di visioni apocalittiche correlate alla minaccia ebraica. Il pamphlet di Eckart è certamente una delle rappresentazioni più estremizzate degli ebrei in quanto, come da loro definiti, storica forza del male. Alla fine del testo Hitler riepilogò secondo la sua visione l’obiettivo ultimo degli ebrei: “Le cose stanno certamente come tu [Eckart] hai scritto una volta;

“È possibile capire gli ebrei solo conoscendo il loro obiettivo finale. Essi vanno al di là del dominio del mondo, e tendono alla distruzione del mondo”.

Questa visione di una fine del mondo provocata dagli ebrei riappare, quasi testualmente, proprio anche nel Mein Kampf.

“Se, con l’aiuto del credo marxista, l’ebreo risulterà vittorioso sugli altri popoli del mondo la sua corona sarà la ghirlanda funeraria dell’umanità e il suo pianeta ruoterà nell’etere, come faceva migliaia di anni fa, del tutto privo di esseri umani”.

Al termine del secondo capitolo di Mein Kampf troviamo la sinistra dichiarazione di fede di Hitler:

“Oggi io ritengo di star agendo in accordo al volere del Possente Creatore: difendendo me stesso dall’ebreo io combatto per l’operato del Signore”.

In Eckart, e in Hitler, così com’egli andò postulando il proprio credo a partire dal 1924, l’antisemitismo redentivo trovò la sua più piena espressione culmine di un percorso di affiancamento e contaminazione ideologica progressiva e arrivato ormai al suo completamento.

Hitler e Göring meditano davanti alla casa dove morì Eckart (Collezione privata)


Il Putsch e il declino

Progressivamente il rapporto tra i due venne meno in quanto Hitler iniziò a pensare che Eckart non fosse sufficientemente rivoluzionario, parlava troppo ma faceva troppo poco.

Nel corso del Putsch organizzato da Göring, Hess e Röhm, Eckart rimase all’oscuro di tutto e quando il tentativo di prendere il potere con la forza in Baviera terminò rovinosamente con l’uccisione di 16 nazisti, al mentore di Hitler non rimase vedere il suo discepolo scappare via scortato prima di essere arrestato.

Nella sua vita Eckart fu assiduo un consumatore di alcolici (uno dei diversi fattori che lo fecero progressivamente allontanare dalla cerchia ristretta del futuro Fuher) e fu proprio l’alcolismo uno dei motivi che lo portò alla morte nel 1923.


L’ultima dedica di Hitler

Nel suo secondo manoscritto di Mein Kampf (1925), Adolf Hitler conclude il suo libro con questa dedica:

“L’uomo che ha dedicato la sua vita al risveglio del suo, del nostro popolo, attraverso la poesia e il pensiero, e infine azione: Dietrich Eckart”.
Adolf Hitler
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Messaggioda Berto » gio mar 18, 2021 10:08 pm

DALLA NORVEGIA UN CONDUTTORE RADIOFONICO COMMENTA LA CAMPAGNA VACCINALE ISRAELIANA: “AVREI PREFERITO CHE IL VACCINO NON FUNZIONASSE”
Progetto Dreyfus
10 febbraio 2021

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 2200422448

Il conduttore di un canale radiofonico norvegese ha espresso il desiderio che il vaccino contro Covid 19 non funzioni in Israele perché è “un paese di merda”. La settimana scorsa Shaun Henrik Matherson del canale musicale NRK P13, stava elencando le notizie del giorno quando si è ritrovato a commentare la campagna vaccinale israeliana e l’efficacia del vaccino della Pfizer-BionNTech. “Buone notizie da Israele, quand’è successo l’ultima volta? Sapete cosa, veramente non me lo ricordo. Sia i giornali che le radio hanno dimenticato qualcosa di importante, qualcosa che non dovrebbe essere dimenticato: Israele è un paese di merda, è una potenza occupante, un regime di apartheid, dove alcune persone valgono più di altre, dove gli altri sono soggetti ad una oppressione sistematica, la loro terra è stata rubata da loro e la loro acqua ed elettricità saranno tagliate se osano oltrepassare il limite. E se qualche razzo artigianale dovesse atterrare da qualche parte nella terra del popolo di D-o allora si abbatterebbe una terribile vendetta e migliaia di persone verrebbero uccise. Potrebbero esserci delle buone notizie da questo paese? In un certo senso si ma solo se pensiamo a noi stessi e dimentichiamo tutti gli abusi e gli omicidi che gli israeliani perpetrano contro il popolo palestinese. A quanto pare da Israele i numeri mostrano che più di un milione di persone sono state vaccinate e meno di mille sono infette. Non importa come lo giri o lo rigiri, queste sono buone notizie. Solo che desideravo provenissero da un altro paese, non so se capite cosa intendo dire. È come se desiderassi che il vaccino non funzioni”.
Il direttore del Centro Wiesenthal ha inviato una lettera al primo ministro norvegese Solberg denunciando la grave dichiarazione antisemita e condannando le parole del conduttore radiofonico. Amaro il commento dell'ambasciatore israeliano a Oslo, Alan Roth: «Sono rimasto scioccato nel sentire il discorso di odio selvaggio su Nrk: tali dichiarazioni possono avere conseguenze devastanti. La storia ci ha già mostrato gli orribili risultati dell'odio. La maledizione contro Israele non è qualcosa che pensavo avrei mai sentito su un canale nazionale norvegese di notizie». Intanto l’editore ha rimosso la puntata dagli archivi del canale ma finora non sono stati presi provvedimenti contro il conduttore.


Shaun Henrik Matherson
https://www.document.no/2021/02/02/nrk- ... israel-er/
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Messaggioda Berto » gio apr 08, 2021 7:40 am

Gina Carano, licenziata in tronco la star di «The Mandalorian»
Laura Zangarini
Il post shock pubblicato da Gina Carano Il post shock pubblicato da Gina Carano
11 febbraio 2021

https://www.corriere.it/spettacoli/21_f ... 3f5e.shtml

Bufera sulla star di «The Mandalorian», Gina Carano, che è stata licenziata dalla Lucasfilm per i suoi «inaccettabili» post sui social media. I produttori della serie di «Star Wars» (disponibile su Disney+), che lo scorso settembre ha trionfato agli Emmy Award, hanno confermato che l’attrice è stata licenziata. La ragione è da rintracciarsi in una serie di stories, pubblicate sull’account Instagram della diva e lottatrice MMA, e prima su altri social, nelle quali si assimilava la condizione di chi vota oggi per il partito repubblicano negli Stati Uniti a quella delle persone ebree ai tempi della Germania nazista.

«Gina Carano non è attualmente impiegata alla Lucasfilm e non ci sono piani perché lo sia in futuro. D’altro canto, i suoi post sui social media che denigrano le persone in base alle loro identità culturali e religiose sono abominevoli e inaccettabili», è la dichiarazione rilasciata da un rappresentante della Lucasfilm. Carano era già stata al centro di numerose polemiche per aver scritto su Twitter dei messaggi contro l’obbligo sociale a indossare la mascherina per contenere l’emergenza legata alla pandemia da Covid-19, e aveva anche accennato a possibili brogli elettorali rispetto al voto presidenziale. Tali posizioni avevano spinto l’hashtag #FireGinaCarano («licenziate Gina Carano») su Twitter. A far prendere la decisione definitiva dell’allontanamento potrebbe essere stata una storia pubblicata ieri su Instagram, nella quale si parlava della persecuzione degli ebrei in Germania in modo negazionista e fuorviante.



Gina Carano era già nel mirino di molti fan di Star Wars che su vari social avevano espresso malcontento per le posizioni repubblicane e a volte controverse dell'attrice.
https://www.facebook.com/paolo.canziani ... 6752349625

Il suo ultimo post è stato definito addirittura antisemita e filonazista, e in seguito a questo è stato deciso di estrometterla dalla serie tv The Mandalorian.
«Gli ebrei sono stati picchiati per le strade, non dai soldati nazisti ma dai loro vicini… anche dai bambini. Poiché la storia è modificata, la maggior parte delle persone oggi non si rende conto che per arrivare al punto in cui i soldati nazisti potevano facilmente radunare migliaia di ebrei, il governo ha fatto in modo che i propri vicini li odiassero semplicemente per il fatto di essere ebrei. Com’è diverso dall’odiare qualcuno per le loro opinioni politiche?»
La disamina è corretta. Il partito nazista non costruì l'antisemitismo dal nulla, ma lo ricercò nella società tedesca. «L'antipatia per gli ebrei era diffusa ovunque nel mondo occidentale», scrive Hobsbawm parlando dell'Europa ottocentesca. E lo confermano eminenti storici come Kershaw, Shirer e Rohan Butler.
Soprattutto tra gli intellettuali e tra i contadini, l'antisemitismo era diffusissimo e si manifestò non soltanto in Germania, ma anche sotto i totalitarismi dell'Europa orientale. La Guardia di Ferro rumena e le Croci Uncinate ungheresi fondarono sull'antisemitismo rurale e contadino la loro ideologia anche più dello stesso nazismo.
Il partito nazista non dovette fare altro che rendere man mano accettabile non soltanto l'odio verso gli ebrei, ma anche il loro progressivo allontanamento dalla società civile e, infine, il loro sterminio, avvenuto non tanto in segretezza ma sicuramente nell'indifferenza dei più.
L'attuale cultura dell'annullamento è sicuramente meno violenta fisicamente, ma opera con metodi non dissimili da quelli dei grandi totalitarismi del Novecento.
Gina Carano è stata soltanto l'ennesima vittima della cultura dell'annullamento. In "1984", O'Brien spiegava a Winston che il partito non ha l'obiettivo di uccidere chi la pensa diversamente, perché questo crea dei martiri: il partito deve invece cancellare completamente il dissidente dal presente, dal passato e dal futuro.
Il dissidente non è mai esistito. O viene "annullato", o viene "guarito".
Ovviamente nessuno sta apertamente cercando di annullare Gina Carano, ma la strada intrapresa dalla cultura dell'annullamento è questa: l'abbattimento delle statue, la cancellazione dei nomi, la riscrittura della storia in chiave moderna, l'attribuzione di epiteti come razzista a persone vissute 2000 anni fa in paradigmi totalmente diversi, è un tentativo di "ripulire" la storia di tutte le persone non gradite.
L'allontanamento dal mondo del lavoro di tutti i "dissidenti" risponde alla stessa logica di cancellare il pensiero differente. Tutti gli attori caduti per aver scritto un post o detto una parola fuori posto sono l'evidenza di come la cultura dell'annullamento tenda a uccidere socialmente chi non è gradito.
Il paragone che Gina Carano fa con gli ebrei è sicuramente eccessivo poiché nessuna SA ha bussato alla sua porta, tuttavia il fatto di essere stata estromessa dalla serie tv The Mandalorian è una discriminazione su basi ideologiche, da psicopolizia.
Gina Carano dovrà scrivere un bel post di scuse, che dovrà sembrare sincero, se vorrà riavere di nuovo qualche parte come attrice: dovrà dimostrare di essere guarita.
«Quando infine ti arrenderai a noi, ciò dovrà avvenire di tua spontanea volontà».


Gina Carano rompe il silenzio dopo il licenziamento da The Mandalorian: "Non possono cancellarci se non glielo permettiamo

https://www.badtaste.it/tv/articoli/gin ... rmettiamo/


Poco più di 24 ore dopo l’annuncio del licenziamento da The Mandalorian, Gina Carano rompe il silenzio e annuncia di essere al lavoro su un film in collaborazione con il sito conservatore The Daily Wire.

L’attrice ha spiegato a Deadline:

The Daily Wire mi sta aiutando a realizzare uno dei miei sogni – sviluppare e produrre un film tutto mio. Ho gridato, e la mia preghiera è stata ascoltata. Sto mandando un messaggio diretto di speranza a chiunque tema di essere cancellato dalla mafia totalitaria. Ho appena iniziato a utilizzare la mia voce, che non è mai stata così libera, e spero di ispirare altre persone a fare la stessa cosa. Non possono cancellarci se non glielo permettiamo.

L’attrice svilupperà, produrrà e sarà protagonista del film che verrà distribuito dal sito sulla propria piattaforma e prodotto in collaborazione con la Bonfire Legend di Dallas Sonnier (Bone Tomahawk).

“Non potremmo essere più entusiasti di lavorare con Gina Carano, un talento incredibile licenziata da Disney e Lucasfilm per aver offeso la Sinistra Autoritaria di Hollywood. Esistiamo per questo motivo: fornire un’alternativa non solo ai consumatori, ma anche ai creatori che rifiutano di inchinarsi alla mafia,” ha commentato il co-fondatore del sito Ben Shapiro. “Non vediamo l’ora di mostrare agli americani che la amano il talento di Gina, e di mostrare a Hollywood che se vuole continuare a cancellare chi la pensa diversamente non farà altro che aiutarci a costruire l’Xwing che abbatterà la Morte Nera”.

La Carano è stata “scaricata” anche dalla sua storica agenzia UTA, ma continua a essere rappresentata da Scott Karp presso l’agenzia The Syndication.
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Antisemitismo nazi comunista e nazi maomettano (e cristiano)

Messaggioda Berto » ven apr 16, 2021 1:28 am

Fabbrica antisionista
18 marzo 2021

http://www.linformale.eu/fabbrica-antisionista/

La città di Torino, come noto a chi si occupa di Israele e Medio Oriente, è la capitale italiana dell’antisionismo. Il centro propulsore delle attività anti-israeliane della metropoli piemontese è il Dipartimento di Culture, Politica e Società (CPS).

Da otto anni, il suddetto dipartimento, organizza e ospita la scuola estiva TOMidEast. Si tratta di una summer school che si pone l’obiettivo di “decostruire gli immaginari e gli stereotipi che hanno formato la rappresentazione del Medio Oriente a causa della copertura mediatica spesso imprecisa”. Dietro a questa esibizione di lemmi dal sapore vagamente sociologico, si cela un programma filoarabo e antisionista.

Nel comitato scientifico di TOMidEast siedono docenti con opinioni a dir poco problematiche su Israele, a cominciare dallo scienziato della politica Gilbert Achcar, autore del controverso libro “The Arabs and the Holocaust”.

Lo studioso di antisemitismo Matthias Küntzel, recensendo il testo di Achcar, lo ha definito: “Un libro in cui un autore della sinistra politica cerca di proteggere i dogmi dell’antisionismo occidentale dalla realtà dell’antisemitismo arabo”. Sebbene l’autore analizzi in modo critico l’affinità tra islamismo e nazismo, sempre secondo Küntzel, “come se rispondesse a un ordine di qualche Comitato centrale interno, nella seconda parte del suo libro Achcar ripudia le prove che egli stesso ha presentato nella prima parte dello stesso libro e si rivolge all’agitazione politica, il cui scopo essenziale è giustificare una alleanza antisionista con gli antisemiti e negazionisti dell’Olocausto di Hezbollah e Hamas”.

Achcar considera Israele come “ultima grande questione scottante del colonialismo europeo” e critica l’attuale capo dell’OLP Mahmoud Abbas, chiamandolo “il miglior amico palestinese di Israele e degli Stati Uniti”. Così Küntzel liquida il testo: “Il quadro antisionista opera attraverso un semplicistico modello bianco / nero: mentre gli israeliani sono ritenuti responsabili di tutto ciò che va storto nella regione, i palestinesi e la loro avanguardia islamista sono solo vittime, per le quali Achcar cerca instancabilmente scuse”.

Insieme ad Achcar, nel comitato scientifico in questione, è presente Rosita Di Peri, politologa del CPS, risulta tra i firmatari di una lettera-manifesto antisionista, pubblicata originariamente dal The Guardian, nella quale si esprime “preoccupazione” per la “strumentalizzazione”, messa in atto da Israele, della definizione di antisemitismo formulata dall‘IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance).

È presente, inoltre, la dottoressa Fadia Kiwan, direttore generale dell’Organizzazione delle donne arabe. In una lettera inviata a Coly Seck, Presidente del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, ha espresso preoccupazione per la situazione delle ragazze arabe e delle donne detenute nelle carceri israeliane, accusando Israele di “trattamento disciplinare disumano”.

In passato, nel 2017, il TOMidEast ospitò una lezione di Dina Matar, docente alla SOAS university di Londra e irriducibile sostenitrice del palestinismo. In un articolo del 27 marzo 2017, pubblicato su al-Shabaka, la professoressa scrive: “Le narrazioni palestinesi del vittimismo attingono all’ingiustizia racchiusa nella Dichiarazione Balfour del 1917 che iniziò ad essere implementata prima e durante il Mandato britannico del 1923 e dal piano di spartizione delle Nazioni Unite del 1947”. Affrontando la situazione palestinese afferma: “La situazione include una dinamica di potere ineguale dato che Israele è la potenza più potente e l’occupante; un gran numero di vittime palestinesi, compresi i bambini, a seguito di azioni e attacchi israeliani; e il controllo israeliano dello spazio e dei territori” e ancora: “Dalla creazione di Israele, le narrazioni storiche che danno valore al vittimismo ebraico sulla vita e sui diritti dei palestinesi sono state utilizzate ripetutamente dai politici israeliani”. La Matar considera Israele una realtà colonialista e illegale.

Anche quest’anno, il TOMidEast organizzerà un ciclo di lezioni e lo farà con il sostegno del Dipartimento di Culture, Politica e Società. Ancora una volta, l’università di Torino si qualifica come fiancheggiatrice della più bieca propaganda antisionista.




I propagandisti antisionisti in cattedra a Torino
22 marzo 2021

http://www.linformale.eu/i-propagandist ... -a-torino/

Chiunque si interessi di questioni relative al conflitto arabo-israeliano e all’antisionismo, prima o poi, inciamperà nello studioso rispondente al nome di Roberto Beneduce. Si tratta di un antropologo in forza al Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino, il perno accademico attorno al quale ruotano le attività anti-israeliane del Piemonte. Beneduce tiene numerosi corsi di insegnamento e un laboratorio intitolato “Il ciclo della violenza e i nodi della memoria. Apartheid, genocidi, colonialismo, a partire dalla questione palestinese”, nella cui scheda informativa troviamo scritto:

“Il caso palestinese, in ragione della perdurante violenza e della recente e illegale annessione di ulteriori territori, offrirà lo spunto e il paradigma di riferimento per analizzare altri contesti (Indios, Indiani nell’America del Nord, Herero, Armeni, Ebrei, Curdi, Tutsi, Cambogia, Indonesia, ecc.), all’interno di un’analisi comparativa di differenti situazioni, tanto contemporanee quanto passate e relative al contesto coloniale (analisi degli archivi coloniali relativi al Kenya, all’Algeria, al Mozambico, alla Repubblica Democratica del Congo, ecc.)”.

Inoltre, nella scheda di presentazione del laboratorio si consiglia la lettura del testo di Samah Jabr, Dietro i fronti. Cronache di una psichiatra psicoterapeuta palestinese sotto occupazione. Il testo è pubblicato dalla cooperativa editoriale Sensibili alle foglie, fondata da Renato Curcio, terrorista delle Brigate Rosse. Samah Jabr è una psichiatra palestinese seguace di Franz Fanon e attivista anti-israeliana.

Nel marzo dello scorso anno, la Jabr è stata invitata dal prof. Beneduce, in collaborazione con Associazione Frantz Fanon, Unione Culturale Franco Antonicelli, Progetto Palestina, BDS Torino, per due incontri tenutisi al Campus Luigi Einaudi di Torino. L’autrice ha discusso con altri ospiti, tra i quali Amedeo Rossi, esponente del movimento BDS torinese. Quest’ultimo è autore di un testo intitolato Il muro della Hasbarà. Il giornalismo embedded de «La Stampa» in Palestina, nel quale analizza la presunta propaganda sionista del noto quotidiano nazionale. Il libro gode di una prefazione di Moni Ovadia.

Ma torniamo a Beneduce, animatore di quasi tutte le attività antisioniste del Dipartimento di Culture, Politica e Società, che usa le sue lezioni per diffondere tesi palestiniste sconfessate e prive di fondamento scientifico. Nel corso di “Antropologia del corpo e della violenza”, il docente inserisce tra gli obiettivi formativi lo studio della “necropolitica”, ovvero “la produzione della morte nella colonia, nella post-colonia, nei conflitti contemporanei (‘terrorismo’, ‘guerre umanitarie’, ecc.); genocidi, ‘genocidio per sostituzione’, etnocidi, ‘pulizia etnica’ (Palestina, ex-Jugoslavia, ecc.)”. Non sorprende che Beneduce associ l’espressione “pulizia etnica” alla Palestina, infatti, tra i testi da studiare indica La pulizia etnica della Palestina del falsario Ilan Pappé.

Nella sua carriera di antisionista, il professore torinese ha sostenuto il boicottaggio del Technion di Haifa, accusato di essere “coinvolto nell’occupazione e nell’apartheid della Palestina”. Nel 2016 ha tenuto una conferenza dell’Israeli Apartheid Week, svoltasi al Campus Einaudi. Nel gennaio del 2020, sempre nei locali dell’università, ha preso parte all’ennesima conferenza organizzata da Progetto Palestina. Ospite era Ahmed Abu Artema, giornalista e attivista palestinese, che definì Gaza “peggiore di una prigione” e la paragonò a un “campo di concentramento” nel quale i palestinesi sarebbero privati delle più elementari cure mediche, dell’acqua e dell’elettricità. Affermazioni che non hanno riscontro nella realtà. Nel giugno del 2020, Beneduce ha partecipato, con Moni Ovadia, a un webinar organizzato dal BDS contro i soprusi israeliani.

La questione è sempre la stessa, da anni, perché l’università di Torino non vigila sui contenuti dei corsi di studio? Perché non si dissocia pubblicamente dalle attività dei suoi docenti? Perché non garantisce un dibattito serio sul conflitto arabo-israeliano? Attendiamo risposte e una seria azione contro i propagandisti mascherati da intellettuali.
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Messaggioda Berto » ven apr 16, 2021 1:32 am

I vaccini in Israele. Ho inviato al Direttore de Il Sole 24Ore questa lettera aperta:
Emanuel Segre Amar
7 aprile 2021

https://www.facebook.com/emanuel.segrea ... 8820860538

Gentile Direttore Tamburini,
in data 03/04/21, sul quotidiano da Lei diretto, è stato pubblicato, a firma di Roberto Bongiorni, un articolo fazioso intitolato: Medio Oriente: israeliani vaccinati al 60%, palestinesi sotto l'1%. Lo scritto è ricolmo di affermazioni false e sembra animato unicamente da un polemico spirito anti-israeliano, che si manifesta fin dal titolo, teso a sottolineare una disuguaglianza non imputabile allo Stato ebraico.
In apertura possiamo leggere: "Da una parte la popolazione festeggia il crollo dei contagi, si riversa per le strade, riempie i ristoranti appena riaperti, i cinema ed i centri sportivi. D'altra ad essere piene sono le terapie intensive, ormai al collasso, comunque insufficienti per far fronte ad un'impennata dei contagi a cui apparentemente non si riesce porre freno". Dal brano riportato si evince che, da un lato, vi sarebbero gli egoisti e cinici israeliani vaccinati; dall'altro gli arabi-palestinesi vittime dei loro vicini e della loro indifferenza.
"Occupazione", insieme a "Cisgiordania", è un termine che ricorre spesso nell'articolo. L'autore non si perita affatto di riportare le vergognose dichiarazioni di Matthias Kennes, che apprendiamo essere "medical adviser per i Territori palestinesi di Msf", che afferma: "Israele è una potenza occupante e possiede milioni di vaccini. La Palestina è un territorio occupato e ne ha appena poche migliaia".
La cosiddetta "Cisgiordania" – che sarebbe corretto chiamare col nome storico di Giudea e Samaria – non è un territorio "occupato". Esso, infatti, venne assegnato agli ebrei dal Mandato Britannico per la Palestina e il diritto mandatario a quella terra venne sancito dalla Società delle Nazioni e, successivamente, confermato dall'art.80 dello Statuto dell'ONU. Inoltre, quelli che vengono definiti ipocritamente come "insediamenti", sono costruiti nell'area C di Giudea e Samaria (della quale occupano solo il 2,5%), che è sotto il completo ed esclusivo controllo amministrativo e di sicurezza di Israele, come stabilito dagli accordi noti come Oslo II firmati da Israele e dall'Autorità Nazionale Palestinese nel 1995.
Nell'articolo possiamo anche leggere: "L'agenzia per i diritti umani dell'Onu ha rilasciato una dichiarazione in cui precisa che è responsabilità di Israele offrire un accesso paritario ai vaccini anti-Covid 19 per i palestinesi che vivono nella Striscia di Gaza ed in Cisgiordania", e ancora: "Agli occhi di Israele è l'Autorità palestinese ad essere totalmente e unicamente responsabile del processo vaccinale nei territori che amministra. E non lo sta facendo bene. Certo, l'Amministrazione palestinese non è mai stata tra le più attive, virtuose e trasparenti dell'area. Ma qualcosa non quadra. È dunque la solita, vecchia, spinosa questione".
Si tratta di affermazioni totalmente false. L'Autorità Nazionale Palestinese è l’unica responsabile della tutela sanitaria della sua popolazione, ma non "agli occhi di Israele", bensì sulla base dell'articolo 17 dei già citati accordi di Oslo II del 1995. Non si capisce perché Israele dovrebbe farsene interamente carico; forse per espiare una sua presunta "colpa" coloniale? Sarebbe stato solamente corretto, da parte di Bongiorni, scrivere che oltre 100.000
arabi palestinesi che lavorano in Israele sono stati tutti vaccinati da Israele, così come tutti quelli che vivono stabilmente nello Stato ebraico, senza dimenticare inoltre che Abu Mazen ha recentemente rifiutato gli aiuti sanitari inviati dagli Emirati solo perché erano transitati attraverso l'aeroporto israeliano di Tel Aviv.
L'ANP riceve ingenti finanziamenti dall'Unione Europea, dagli Stati Uniti, dalla Lega Araba e, anche da Israele. La Banca mondiale stima il trasferimento di denaro proveniente solo da Israele in 2,4 miliardi di dollari all'anno. L'ANP, però, preferisce usare il suddetto fiume di denaro per finanziare il terrorismo. Palestinian Media Watch ha documentato che l'Autorità Palestinese storna ogni anno ai terroristi circa 727 milioni di Shekel (duecento milioni di euro), che vengono utilizzati per pagare gli stipendi dei terroristi e delle famiglie dei "martiri", cioè degli assassini di civili ebrei. Le cose non vanno meglio a Gaza, dominata dal gruppo islamista e antisemita di Hamas, la cui popolazione riceve i beni essenziali da Israele. Perché non si mettono in luce questi fatti? Così come non si sottolinea la mancanza di solidarietà dei paesi arabo-musulmani verso i palestinesi.
L'articolo di Bongiorni, lungi dall'essere oggettivo, risente di un forte pregiudizio anti-israeliano. In sostanza, l'autore, vuole attribuire a Israele responsabilità e colpe che non le competono. L'immagine dello Stato ebraico che ne emerge, è quella di una nazione ricca, chiusa in se stessa e indifferente alle sofferenze della popolazione palestinese. Bongiorni suona lo spartito della più surrettizia propaganda antisionista.
Com'è possibile che un quotidiano pragmatico come Il Sole 24 Ore pubblichi articoli così ideologici? Attendiamo una risposta e una rettifica da lei, stimabile Direttore.
Ing. Emanuel Segre Amar,
Presidente Gruppo Sionistico Piemontese
Dott. Davide Cavaliere
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Antisemitismo nazi comunista e nazi maomettano (e cristiano)

Messaggioda Berto » ven apr 16, 2021 1:42 am

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