Ebrei - Sionismo, Risorgimento e Fascismo Italiano

Ebrei - Sionismo, Risorgimento e Fascismo Italiano

Messaggioda Berto » mar mar 21, 2017 9:27 am

Ebrei - Sionismo, Risorgimento e Fascismo Italiano
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Ebrei - Sionismo e Risorgimento Italiano, due fenomeni non assimilabili e non equiparabili
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Sionismo e Risorgimento Italiano

Messaggioda Berto » mar mar 21, 2017 9:28 am

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 5111775514

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Alberto Pento
Mi dispiace tanto ma Sionismo e Risorgimento Italiano sono due fenomeni completamente diversi, inequiparabili, è come confrontare le angurie con l'uva.
Il Sionismo ha prodotto del bene agli ebrei dispersi nel mondo mentre il Risorgimento I. ha prodotto del male alle genti italiche. In area italica il Risorgimento ha portato la dispersione pìù che la riunione e il ritorno in patria come per gli ebrei con il loro Sionismo.
Poi le genti italiche non sono affatto comparabili con gli ebrei; le prime costituiscono popoli diversi con tradizioni e culture differenti anche se pur un tempo soggette per qualche secolo allo Stato Romano che non ha costituito un'implementazione tale da renderle un'unico popolo, mentre gli ebrei sì che erano un unico popolo culturalmente omogeneo grazie alla loro tradizione religiosa specialissima che non è confrontabile con il cristianismo in generale e con il cattolicesimo romano in particolare.
Se tutti gli ebrei d'Israele e del mondo si riconoscono come figli di Abramo, le genti italiche non si riconoscono affatto come tutti figli di Enea o dei romani, ci mancherebbe altro!
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Re: Sionismo e Risorgimento Italiano

Messaggioda Berto » mar mar 21, 2017 9:30 am

Riportiamo da SHALOM n° 3 di marzo l'intervista di Angelo Pezzana ad Alberto Cavaglion dal titolo " Il legame fra Risorgimento italiano e Sionismo ".
Alberto Cavaglion


http://www.informazionecorretta.it/main ... 0&id=38928

Risorgimento italiano, risorgimento ebraico, unità d’Italia, stato d’Israele.
È possibile immaginare un cammino condiviso, in un secolo, l’ottocento, che ha visto la nascita di molte nazioni ? Lo chiedo ad Alberto Cavaglion, studioso e storico dell’ebraismo italiano, quanto ha influito sulla rinascita di Israele il secolo XIX ?

“Moltissimo. La rinascita di Israele è figlia dei movimenti nazionali dell’Ottocento. La cultura dei padri fondatori si sviluppa in Europa. Essendo arrivato cronologicamente per ultimo, il Risorgimento ebraico del XIX° ha potuto unire idealità nazionali con idealità sociali e dunque s’è arricchito mettendo a contatto la tradizione con la modernità, per esempio, del socialismo. La sola differenza è nell’afflato religioso che nutrì una parte del movimento sionista alle origini, ma non fu preponderante. Il nesso fra origini del sionismo e costruzione dello Stato italiano è stretto, di solito si dimentica di ricordare la simpatia con cui in Italia, sul finire dell’Ottocento, la stampa repubblicana e mazziniana) e poi soprattutto socialista ha accolto il sionismo.

Come giudichi il sionismo paragonandolo ai vari movimenti nazionali dell' '800 ? E con il Risorgimento italiano ?

Diciamo pure che ci sono dei tabù da infrangere su questo tema, come su tutta quanta la memoria del Risorgimento italiano. Circolano molte amnesie in Italia sia sulle origini del sionismo sia sul Risorgimento. Troppo comodo attribuire la colpa alla Lega. Se soltanto si pensa al silenzio di qualche anno fa, viene da sorridere. Il povero Spadolini tentò di sottolineare questo legame, purtroppo invano: penso alla solitudine in cui venne a trovarsi e con lui isolati si trovarono molti studiosi gravitanti intorno ai Musei del Risorgimento e alla Domus Mazziniana quando tentarono di rigettare l’assurdo paragone che Craxi i instaurò fra Mazzini e Arafat. Ricordo che Rosario Romeo e la sua eccellente biografia di Cavour erano vilipesi forse anche più della biografia di Mussolini scritta da Renzo De Felice. Non dobbiamo mai dimenticare che fino a non molti anni fa dominavano in Italia due forze sovranazionali: la democrazia cristiana e il partito comunista. Con rare eccezioni l’identità nazionale italiana, nel ’68, era considerato un disvalore rispetto agli ideali internazionalistici del momento.

- Può aver influito la partecipazione degli ebrei italiani al Risorgimento al formarsi di una coscienza sionista successiva?

In Italia una coscienza sionista inizia a concretizzarsi soltanto nei primi anni dei Novecento, ma questo avviene in un differente clima politico-culturale. Con il periodico “L’idea sionista” la discussione diventa ampia e culmina nel 1910, poi inizia una crisi, dovuta al sorgere e all’affermarsi del movimento nazionalista italiano, nel quale militeranno non pochi ebrei italiani fedeli alle memorie risorgimentali, ma ostili al sionismo. Credo che l’eredità risorgimentale sia stata decisiva nell’adesione al Sionismo di molti ebrei italiani sul finire dell’Ottocento. L’Ottocento ebraico-italiano è davvero una terra troppo poco esplorata e piena di sorprese. La sintonia sarà perfetta alla fine dell’Ottocento, quando il giovane movimento sionista guarderà con ammirazione all’Italia “sognata” dagli uomini del Risorgimento italiano. Per lunghi secoli anche l’identità ebraica è stata esclusivamente riconducibile a un sogno , come il ritorno a Sion e come dimostra la popolarità del coro verdiano del Nabucco. La sintonia con il sionismo è stata più forte che ai tempi delle guerre d’indipendenza. Gli ebrei italiani, nel loro insieme, non erano preparati all’emancipazione, perché non avevano un’adeguata consapevolezza politica.

- Perchè secondo te Israele è l'unico paese al mondo al quale viene negato il riconoscimento del suo movimento nazionale, cioè il sionismo ?

La storia del sionismo in quanto tale viene rimossa dal discorso pubblico italiano. Ciò accade da molto tempo. Viene rimosso tutto quanto il discorso sul sionismo, non soltanto il riconoscimento della sua radice ottocentesca, di movimento nazionale. Nella storiografia in Italia al sionismo capita oggi quello che per lungo tempo è accaduto alla storia degli ebrei. O non viene studiato e quindi viene rimosso- con le conseguenze che si possono immaginare – oppure viene relegato ai margini, per così dire “ghettizzato”, lasciato in mano soltanto a storici ebrei, come se non fossero argomenti che possono essere studiati al pari di altri. In Italia dal 1989 in avanti, cioè dopo il crollo del muro di Berlino molte cose sono cambiate – in meglio, per fortuna – con la storia degli ebrei in Italia, che è diventata patrimonio di tutti. Con il sionismo continua invece una situazione di generale rimozione, di persistenti forme di manicheismo ideologico. Credo che sia diffuso ancora un generico, irenico universalismo ostile a qualsiasi forma di idea nazionale: del resto lo si vede in questi giorni, nell’indifferenza generale che accompagna il discorso pubblico sul Risorgimento. Il movimento nazionale dell’Ottocento non scalda gli animi di nessuno. Che Israele sia il frutto di un movimento di indipendenza nazionale è un dato di fatto, da taluni, certo, dimenticato. Con astuzia, soprattutto quando si fa avanti la tesi dello stato bi-nazionale. Le menzogne su Israele più vergognosamente si costruiscono intorno alla storia più recente che non quella ottocentesca.

- In Italia scriviamo Risorgimento con la R maiuscola, ne celebriamo le ricorrenze, perchè allora non scriviamo Sionismo con la S maiuscola?

Non credo vi sia un legame così stretto fra idee e abitudini di scrittura. Sulla miopia con cui in Italia si guarda al passato avrei delle riflessioni da svolgere; sulla celebrazione delle ricorrenze ci sarebbe molto da dire e lo si vedrà assai bene in questo 2011 appena iniziato. Viviamo in un paese molto distratto. Le maiuscole in Italia si sprecano, la conoscenza storica è assai debole. C’è pure una inclinazione diffusa a trasformare in puro nominalismo il discorso storico, che richiede serenità di giudizio e predisposizione a scavare nei problemi del passato. Mi preoccupano di più le definizioni strumentali e maliziose del sionismo, la volgare sua equiparazione al razzismo, quello dell’uso della scrittura può essere un falso problema, marginale e minuscolo rispetto alle voragini di ignoranza che si spalancano davanti a nostri occhi quando affrontiamo il discorso nel mondo della scuola e anche nel livello di preparazione di molti giornalisti che senza mai essersi recati “sui luoghi”, disconoscendo la geografia, si fanno portatori di concetti sbagliati e mistificano la realtà.

- Puoi ricordare brevemente qualche nome di ebreo italiano che sia stato protagonista del Risorgimento, e come ne prese parte ?

Isacco Artom, segretario di Cavour, Salvatore De Benedetti, chiamato poi da De Sanctis a ricoprire a Pisa la prima cattedra di lingua ebraica, poi David Levi, socialista sansimoniano, che farà in tempo a comporre un solenne inno al Sionismo. Il primo documento ufficiale del Sionismo italiano è un telegramma inviato al congresso di Basilea del 1898. Lo firma un ebreo ungherese trasferitosi in Italia per combattere con Garibaldi, Marcou Baruch. Il telegramma reca una firma che oggi mi sembra notevole: “I prigionieri di Tito”. Penso ad Alberto Cantoni che scrisse il romanzo L’Illustrissimo per esortare i proprietari a capire i mezzadri e i villici, penso a Achille Loria, laico materialista nipote di rabbino. A Torino Angelo Brofferio promosse la collaborazione di ebrei ai suoi giornali. In Toscana bisogna ricordare Alessandro D’Ancona e rileggere nelle sue memorie una altissima testimonianza di tolleranza religiosa che trae origini dalla lotta dei patrioti. Ebrei militarono nella Giovine Italia e nel Partito d’Azione. Una figura caratteristica di nutrimento mazziniano fu Davide Levi. I suoi libri testimoniano le tappe del Risorgimento e il pathos, con cui ha descritto la prova musicale dell’inno nazionale, vale di essere ricordato nell’evento celebrativo del 17 marzo, con o senza la chiusura di uffici, stabilimenti e scuole. Un ruolo di organizzatore e amministratore, nel comitato per il milione di fucili fu svolto da Giuseppe Finzi, personaggio di spessore politico, con politico spostamento, deputato dal 1861 al 1886, di cui s’è occupato il professor Bruno Di Porto, che qui dobbiamo ricordare, tessendone le lodi, perché su questi temi , nel periodo del silenzio generale, ha condotto in perfetta solitudine studi pionieristici di altissimo valore. Ma non dobbiamo dimenticare, a Trieste, Giuseppe Revere, e fra gli amici ebrei di Mazzini, i fratelli Angelo ed Enrico Usiglio, modenesi: Angelo soprattutto, detto amichevolmente da Mazzini «il mio Angelo custode». Mazzini parla di lui e degli antenati dei Rosselli che conosce a Londra come di «stolidi buoni». Stolidi, non perfidi. E, soprattutto, «buoni». Nel clima, spesso avvelenato del dialogo fra ebrei e italiani che caratterizzerà la storia del Novecento, la definizione di Mazzini non ha perso smalto. Non mi offenderei se qualcuno dicesse di me che sono uno stolido buono.
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Re: Sionismo e Risorgimento Italiano

Messaggioda Berto » mar mar 21, 2017 9:31 am

Analogie e similitudini nella nascita dello Stato italiano e di quello ebraico
Quel legame profondo tra Risorgimento e Sionismo
di Vito Kahlun
https://forum.termometropolitico.it/620 ... nismo.html

Quando alle 20.00 del 19 Aprile 2010 cala il buio, si passa da Yom Ha’Azikaron, ovvero il giorno dedicato alla memoria delle vittime di guerra e del terrorismo, alla festa di Yom Ha’Azmaut. Ogni anno il 5 di Iyar, ottavo mese del calendario ebraico, israeliani ed ebrei di tutto il mondo festeggiano la proclamazione dell’indipendenza dello Stato di Israele.Un’indipendenza che in un certo senso ha dei legami con il nostro bel paese. Israele e Italia oltre che a succedersi nell’elenco alfabetico delle nazioni (Islanda, Israele, Italia..), ad avere delle repubbliche democratiche anagraficamente coetanee, a disporre di un patrimonio storico ed artistico di incredibile valore e ad avere al loro interno forti organismi religiosi, sono anche congiunte da un legame ideale ben più profondo: quello tra Risorgimento e Sionismo.
Nella prefazione al libro di Maurizio Molinari Ebrei in Italia: un problema di identità(1870-1938) Giovanni Spadolini, politico, giornalista e primo docente universitario di storia contemporanea del nostro paese, afferma che «Una cosa è certa. Il sionismo sta al Risorgimento ebraico così come il mazzinianesimo sta al Risorgimento nazionale italiano». A partire dal primo Risorgimento infatti «il grande profeta del sionismo – Theodor Herzl – ha sempre guardato all’esempio e all’insegnamento di Giuseppe Mazzini». Se il padre del sionismo ebbe un occhio di riguardo verso il nostro paese fu anche perché «l’Italia – secondo lo storico Arnaldo Momigliano – è forse stato l’unico paese in Europa in cui gli ebrei sono stati bene accetti dall’Esercito e dalla Marina e hanno potuto raggiungere i gradi più alti senza alcuna difficoltà»”. In tal senso basti pensare che nel 1907 Ernesto Nathan divenne sindaco di Roma e che basterà attendere il 1910 perché l’Italia abbia il suo primo Presidente del Consiglio di religione ebraica: Luigi Luzzatti.

Un legame che traspare anche nel libro Roma e Gerusalemme(1861) di Moses Hess, che oltre ad essere colui che convertì Engels al Comunismo, introdusse Marx ai problemi sociali ed economici e in buona parte fu uno “dei più diretti maestri di Herzl”, ripetendo i ritmi e le cadenze della terza Roma di Mazzini elabora un parallelismo fra la ricostruzione del popolo italiano in unità e il ritorno del popolo ebraico alla “terra promessa”.

Un sionismo – come ricordava giustamente Spadolini – che nonostante le sue vibrazioni messianiche era comunque destinato ad «emanciparsi, nella sua complessa esperienza politica, da ogni residuo teocratico». «Un processo di trasformazione – prosegue Spadolini – che non mancò nelle stesse file del mazzinianesimo e della democrazia repubblicana italiana senza mai annullare quel valore di fermento profetico e quasi millenaristico che la speranza mazziniana aveva suscitato agli albori in un paese frantumato, proprio nella intuizione di un legame indissolubile fra valori politici e valori di coscienza, fra morale religiosa e morale civile».
Un apporto quello dell’ebraismo italiano alla costituzione dello Stato d’Israele più qualitativo che quantitativo. Dei quasi quattromila ebrei italiani che contribuirono alla costruzione dello Stato di Israele – scrive Spadolini - molti ebbero ruoli di grande prestigio nel campo dell’università e della cultura «nel nesso profondo fra civiltà ebraica e civiltà italiana, complementari e mai contrapposte, intrecciate e non divise nel corse dei secoli».Un apporto quello dello Stato e della politica italiana al sionismo che fu innanzitutto di carattere politico. Vittorio Emanuele III – lo stesso Re che promulgò le leggi razziali – definì la Palestina come «un paese essenzialmente ebraico» anche se poi quando si trattò di muoversi presso Costantinopoli si tirò indietro non andando oltre espressioni di simpatia e di stima verso gli ebrei.
Politico perché – come scrisse Spadolini – il movimento democratico italiano, fra primo e secondo Risorgimento, fu sempre dalla parte degli ebrei. Per i democratici integrali infatti «sionismo è sempre stato sinonimo di patriottismo e di fedeltà al diritto di nazionalità».A 62 anni dalla nascita di Israele e a 150 anni dall’Unità di Italia il popolo senza terra ha uno Stato e il territorio senza popolo ha una sua identità. Tuttavia troppo spesso si mettono in discussione entrambe le conquiste. Parte del mondo arabo e diverse organizzazioni terroristiche si ostinano a non riconoscere il diritto all’esistenza di Israele senza però rendersi conto che l’ideale che lega un popolo prescinde dall’esistenza su carta di uno Stato.

Da noi invece la situazione è un’altra. Negli ultimi anni è infatti in atto un processo di delegittimazione del processo politico e culturale che ci ha portato all’Unità. C’è chi senza pudore alcuno, ma soprattutto ingigantendo singoli episodi, osa degli accostamenti tra Risorgimento e medioevo. Larghi settori del Parlamento, e del Governo, sembrano disinteressarsi alle celebrazioni dei 150 anni dall’Unità di Italia che rischiano di trasformarsi in simboli non riconoscibili.

Se di fatto gli ideali mazziniani furono in grado di ispirare un popolo senza stato oggi, in occasione del 62esimo anniversario dello Stato di Israele, dovremmo riflettere su quella che è la nostra condizione attuale. Quali sono gli ideali e la visione in cui si riconoscono i cittadini e i politici? Quanto investiamo nella formazione di un sentimento patriottico fondato su una visione storica condivisa? Quanto crediamo in noi stessi come italiani e agli ideali alla base della nostra Costituzione?Personalmente non ho una visione molto positiva in tal senso. Ciò non toglie che se davvero si vuole riformare un paese, che troppo spesso si sente estraneo a se stesso, è il caso di lavorare prima ai valori che dovrebbero ispirare il cambiamento e poi ai titoli, capi, sezioni, articoli e commi che lo materializzano. Il presente può dare sicuramente delle ottime indicazioni sulle esigenze attuali ma se non si ha una visione del futuro condivisa, o se peggio ancora si rinnega e non si riconosce l’importanza storica del nostro passato, si rischia di costruire un cambiamento fondato sulla pasta frolla.


Moses Hess (Bonn, 21 giugno 1812 – Parigi, 6 aprile 1875) è stato un filosofo, politico e attivista tedesco, aderente al socialismo ed al comunismo, precursore del sionismo.
https://it.wikipedia.org/wiki/Moses_Hess
...
Inizialmente Hess sosteneva l'integrazione ebraica nel movimento universalistico socialista e fu amico e collaboratore di Karl Marx e Friedrich Engels. Hess convertì Engels al Comunismo e introdusse Marx ai problemi sociali ed economici. Il ruolo di Hess fu importante per il passaggio dalla teoria della storia nella dialettica idealistica hegeliana al materialismo dialettico di Marx, secondo cui l'uomo è, con la sua azione consapevole, l'iniziatore della storia.
Probabilmente Hess fu autore di molte idee e slogan "marxiani", tra cui quello della religione come "oppio dei popoli". Con il tempo Hess diventò meno propenso a basare tutta la storia su cause economiche e lotte di classe, giungendo a considerare la lotta delle razze, o delle nazionalità, come fattore primario della storia passata.


Roma e Gerusalemme
https://it.wikipedia.org/wiki/Roma_e_Gerusalemme
L'ultima questione nazionale (Rom und Jerusalem, die Letzte Nationalitätsfrage) è un libro pubblicato da Moses Hess nel 1862 a Lipsia. Diede l'impulso iniziale al movimento del sionismo socialista. Nella sua opera Hess sosteneva il ritorno degli ebrei nella Terra di Israele e proponeva uno Stato socialista in cui gli ebrei si sarebbero ruralizzati attraverso un processo di "redenzione del suolo".
Il libro fu il primo scritto sionista a inserire la questione del nazionalismo ebraico nel contesto del nazionalismo europeo.
Hess fondeva filosofia secolare e religiosa, dialettica hegeliana e panteismo spinoziano e marxismo.
Il libro fu scritto nel contesto dell'assimilazionismo degli ebrei tedeschi, dell'antisemitismo tedesco e dell'antipatia tedesca per il nazionalismo nascente in altri Stati. Hess usava la terminologia dell'epoca, come il termine "razza", ma era un sostenitore dell'egualitarismo, credeva nei principi della Rivoluzione Francese e voleva applicare i concetti progressisti della sua epoca al popolo ebraico.

Temi principali - Scritto in forma di dodici lettere indirizzare a una donna addolorata per la perdita di un parente.

Nella sua opera, Hess espone le seguenti idee:
Gli ebrei saranno sempre degli stranieri tra i popoli europei, i quali potranno abolire le leggi discriminatorie per motivi di umanità e giustizia, ma non li rispetteranno mai fino a quando gli ebrei metteranno da parte la loro grande memoria nazionale e manterranno il principio
"Ubi bene, ibi patria." (in latino: "Dove si sta bene, lì è la patria")
Il tipo ebraico è indistruttibile e il sentimento nazionale ebraico non può essere sradicato, anche se le leggi tedesche, per amore di una emancipazione più ampia e generale, convincono se stessi e gli altri del contrario.
Se l'emancipazione degli ebrei è irreconciliabile con la nazionalità ebraica, gli ebrei devono sacrificare l'emancipazione per la nazionalità. Hess ritiene che la sola soluzione della questione ebraica stia nel ritorno in Terra di Israele.


Theodor Herzl (in ebraico: תאודור הרצל‎?; in ungherese: Tivadar Herzl; Pest, 2 maggio 1860 – Edlach, 3 luglio 1904) è stato un giornalista, scrittore e avvocato ungherese naturalizzato austriaco
https://it.wikipedia.org/wiki/Theodor_Herzl
Ebreo-ungherese di lingua tedesca di origine ashkenazita, fu il fondatore nel 1897 del movimento politico del sionismo, che si proponeva di far sorgere nei Territori Coloniali del Mandato britannico della Palestina uno Stato Ebraico.
Insieme a Max Nordau, Herzl è il padre del sionismo e il fondatore del movimento sionista al congresso di Basilea del 1897, in cui venne eletto presidente. Sostenne il diritto degli ebrei di fondare uno stato ebraico, in Palestina o in Uganda (come proposto dagli Inglesi). Questa patria sarebbe dovuta servire per accogliere gli ebrei che avessero voluto o non avessero potuto vivere serenamente nel paese in cui abitavano.
Le idee sioniste furono contrastate dagli ebrei marxisti, i quali consideravano che con la fine del capitalismo sarebbe finito l'antisemitismo, anche se la successiva evoluzione dell'Unione Sovietica fece venir meno, con la sua politica, tale argomentazione.
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Re: Sionismo e Risorgimento Italiano

Messaggioda Berto » mar mar 21, 2017 9:33 am

Il sionismo non è invasione e nemmeno colonizzazione
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Re: Sionismo e Risorgimento Italiano

Messaggioda Berto » mar mar 21, 2017 9:33 am

Il mito risorgimentale e le sue falsità italico-romane
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Re: Sionismo e Risorgimento Italiano

Messaggioda Berto » mar mar 21, 2017 10:50 am

Perché non sono assimilabili ed equiparabili il Sionismo con il Risorgimento Italiano e Gerusalemme con Roma

1)
il popolo ebraico disperso nel mondo non ha alcuna somiglianza con le genti italiche che non costituiscono di per sé un popolo o il Popolo Italiano
Tutti gli ebrei del mondo si riconoscono come discendenti di Abramo e si sono formati e tutt'ora si formano sulla base storico-filosofico-religiosa e culturale della Bibbia con tutti i suoi numerosi testi/libri sacri;
mentre le genti italiche non si riconoscono in alcun progenitore comune tanto meno in quelli dei latino-romani Enea e Latino poichè i progenitori delle genti italiche sono molteplici e nemmeno i libri classici romano-latini si possono considerare per le genti italiche come la Bibbia per gli ebrei.
Gli ebrei hanno la Bibbia e la loro lingua ebraica composita moderna (con i suoi elementi aramaici; l'aramaico era la lingua parlata da Cristo e i preponderanti elementi dell'ebraico biblico ed altro ancora), mentre i cristiani della penisola italica hanno le loro lunghe storie preistoriche, la storia del periodo romano con i suoi classici in latino, la Bibbia ebraica, la lunga storia medioevale con l'apporto culturale dell'intero continente europeo germanico e greco-balcanico-bizantino e le loro lingue locali (oltre al latino classico ed ecclesiale e all'italiano che è una lingua locale divenuta lingua standara dell'area italica).

2)
se il Sionismo aveva come obiettivo il ritorno nella Patria di Sion degli ebrei dispersi nel mondo prima dagli invasori romani e poi da quegli arabo-islamici, ove potessero sentirsi a casa loro e meglio difendersi dal male del mondo, come poi coerentemente realizzato;
il Risorgimento Italiano che si proponeva di liberare le genti italiche dal dominio straniero, ritenuto opprimente e indegno, ha avuto come conseguenza la miseria, la fame, la disperazione e la dispersione nel mondo di milioni di italici e la creazione di uno stato che è tra i meno democratici e i più corrotti dell'occidente con le sue caste opprimenti, molto più opprimenti dei domini stranieri che si proponeva di liberare.

3)
i miti fondanti del Sionismo (Israele o Palestina con la sua capitale Gerusalemme con le miliaia di anni di storia comune) e del Risorgimento Italiano (l'Italia romana con la sua capitale Roma, con i 8/6 secoli di dominio statale e imperiale romano) non sono assolutamente la stessa cosa: l'Italia romana era una realtà socio-politica ben diversa da Israele e nei secoli del dominio romano non si è mai formato un Popolo Italiano allo stesso modo che in Israele vi era il Popolo Giudeo; nemmeno quando negli ultimi secoli dell'Impero Romano, Roma divenne la capitale della Chiesa o Comunità Cristiano Cattolico Romana.
Se Israele era la terra sacra degli ebrei e Gerusalemme la loro sacra capitale, l'Italia Romana non è la terra sacra degli Italiani e la Roma repubblicana-imperiale e cattolica non è la loro sacra capitale.

4)
...


5)
...
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Re: Ebrei - Sionismo e Risorgimento Italiano

Messaggioda Berto » lun lug 02, 2018 7:54 pm

Ebrei italiani e Risorgimento
Roberto Riviello
1 luglio 2018

http://www.linformale.eu/ebrei-italiani-risorgimento

La storia dell’ emancipazione degli ebrei italiani è stata ampiamente studiata ed approfondita, a partire dai testi fondamentali di E. Capuzzo, F. Della Peruta, S. Foà, V. De Cesaris ed altri, per cui adesso ci è chiaro che il Risorgimento fu un’ occasione straordinaria per le comunità israelitiche presenti sulla Penisola di contribuire fattivamente al fenomeno rivoluzionario con due obiettivi: rivendicare la piena “italianità”; dimostrare che la loro diversa fede religiosa poteva benissimo fondersi con quella nuova religione civile del culto della Nazione diffusa innanzitutto da Mazzini.

Il successo complessivo della partecipazione degli ebrei alle vicende del Risorgimento fu, per così dire, consacrato dalla Legge sull’Emancipazione che Vittorio Emanuele II proclamò il 29 marzo 1848 all’interno del Regno di Sardegna e che successivamente estese a tutto il Regno d’ Italia, dando inizio così ad una storia nazionale che durante tutto l’ Ottocento andò quasi in controtendenza rispetto agli altri Stati europei, come la Francia e la Germania, dove nascevano sentimenti sempre più marcatamente antisemiti, dei quali il processo al capitano Dreyfus fu la manifestazione più emblematica ma non certo la sola.

La nazione Italia nasceva nel segno di una sovranità aperta – oggi diremmo “inclusiva”-, mentre altrove il vento del nazionalismo su base etnica iniziava a soffiare e ad alimentare il mito della razza pura, tra un revival di culti pagani tardogermanici e la diffusione del neoromanticismo di stampo wagneriano che, una volta contaminati dalle teorie socialdarwiniste ed eugenetiste, sappiamo bene a quali esiti tragici condussero. Questo ci spiega perché, mentre nella Germania degli anni Venti e Trenta del XX secolo l’ antisemitismo propagandato dai circoli razzisti e poi dal partito nazista di Hitler ed Himmler trovarono un fertile terreno di coltura, visto che era stato arato e preparato da quasi un secolo; nell’ Italia fascista, al contrario, non fu facile convincere gli italiani della “diversità razziale” dei loro compatrioti israeliti, i quali si erano conquistati la cittadinanza italiana sui campi di battaglia e non a chiacchiere, a partire dal Risorgimento per poi continuare durante tutta la Grande guerra.

Lasciamo da parte il discorso delle leggi razziali del 1938 che ci portebbe ben oltre l’ argomento presente, ma è giusto ribadire questa considerazione: con il Risorgimento si stabilì più che una semplice alleanza tra gli ebrei italiani e i patrioti laici e/o cristiani; forse il termine “fratellanza” potrebbe essere più indicato, se lo si ripulisce da ogni connotazione retorica e moralistica. Come ha spiegato benissimo Ester Capuzzo in Gli ebrei italiani dal Risorgimento alla scelta sionista, ci fu tra gli ebrei e il massimo esponente della filosofia risorgimentale, Giuseppe Mazzini, un vero e proprio scambio comunicativo in termini di valori: se i primi videro nella sua idea di Nazione la possibilità di riaffermare il loro bisogno mai sopito di una Patria in cui identificarsi e in cui finalmente trovare non solo le condizioni materali della sussistenza all’ interno dei ghetti – e quindi segnati nella diversità -, ma il pieno riconoscimento dei diritti civili e politici grazie alla nuova cittadinanza italiana-nazionale; Mazzini, da parte sua, si ispirò profondamente ai testi biblici, proponendo una lettura “risorgimentale” della Bibbia, sintetizzata nel suo celebre slogan di Dio e Popolo.

L’ idea mazziniana, dunque, che un popolo sia tale soltanto se trova la sua naturale dimora nello Stato-nazione e che questo sia non soltanto una giusta aspirazione di carattere politico, ma anche un tragitto segnato – potremmo dire “destinato”- come lo fu il cammino degli ebrei verso la Terra promessa, che fu guidato da un profeta e soprattutto indicato dalla volontà divina, ha evidentemente una chiara matrice biblica; che si capisce benissimo quando Mazzini, nella lettera Alla gioventù italiana, scrive : “Siate i Mosé che guidino la Nazione nella Terra promessa”.

Con quanto entusiasmo furono recepiti questi ed altri messaggi in ambienti israeliti, lo si capisce da quell’ anello fatto di sostegno materiale e di affetto che gli ebrei italiani costruirono intorno al Mazzini esule a Londra e che poi lo seguì a Roma durante l’ esperienza della Repubblica nel ’49 e non lo abbandonò mai, fino agli ultimi giorni della sua vita che egli trascorse, com’ è noto, a Pisa nella casa dell’amico ebreo Nathan Rosselli.

Si stabilisce così un legame che andò poi a consolidarsi nel corso della storia italiana e si ruppe solo con l’ avvento del fascismo. Il rapporto tra il mazzianesimo e l’ ebraismo non fu dunque occasionale e meramente legato all’ opportunità politica: fu in verità di natura profonda, etica e, per certi versi, religiosa. E ciò era reso possibile proprio dall’ idea mazziniana di nazione che, come abbiamo già detto, non era sottoposta a mire di tipo nazionalistico e suprematistico; bensì si fondava su princìpi umanitari e libertari che permettevano anche ai “diversamente” religiosi di sentirsi italiani e patrioti a tutti gli effetti.

Non a caso è stato qui evocato un cognome, Rosselli, che successivamente, grazie ai fratelli Carlo e Nello, fondatori di Giustizia e Libertà, assassinati a Parigi dai sicari dell’ estrema destra, diventerà un emblema della lotta contro il totalitarismo e l’ antisemitismo. E sicuramente la difusione del pensiero di Mazzini tra le comunità ebraiche italiane portò in seguito frutti molto importanti sul piano civile e culturale, che probabilmente meriterebbero di essere appronditi ( tra i nomi più significativi in questo senso, oltre ai Rosselli, bisognerebbe ricordare Felice Momigliano, Alessandro Levi, Rodolfo Mondolfo, Raffaele Vita Foa).

C’ è poi un’ altra questione che si inserisce in questo gioco di rimandi e di reciproci riconoscimenti tra Mazzini, i mazziniani e gli ebrei italiani che sposarono il suo credo e le sue idee politiche. Innanzitutto – diciamolo apertamente -il Risorgimento italiano permise a quegli uomini che da secoli erano stati confinati nei ghetti e privati dei diritti fondamentali, di armarsi e di combattere per un ideale che, come abbiamo precisato, era sì la loro emancipazione ma anche quello della nazione, in quanto conditio sine qua non. Inoltre, l’ idea stessa che fosse possibile concepire un’ Italia unita e indipendente (per cui valeva la pena di combattere e se necessario di morire), aprì nei patrioti ebrei anche una prospettiva più allargata e assolutamente innovativa. Potrebbe sembrare una contraddizione, ma in realtà non lo fu: l’ idea che fosse possibile trovare piena cittadinanza in Italia e riconoscere questa come patria, rese concreta la speranza che un altro Risorgimento, anch’ esso fondato su Dio e Popolo, avesse luogo a Sion, nella terra dei padri, in Eretz Israèl.
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Se l’ idea di nazione fu depurata da ogni connotazione nazionalistica su base etnica, come appunto avvenne grazie alla filosofia politica di Mazzini, non ci si poteva più limitare a identificarla mediante criteri geografici o semplicemente linguistici e antropologici; di conseguenza lo spazio nazionale diventava un elemento ideale e necessariamente aperto, come venne chiaramente indicato nel testo della costituzione della Repubblica romana del 1849 in cui, come ci ricorda E. Capuzzo, venne sancito “oltre al riconoscimento fondamentale di quella italiana, anche il rispetto per ogni nazionalità”. Ma non si deve fraintendere questo concetto: gli ideali mazziniani non derivano meccanicamente da quelli illuministici improntati ad un cosmopolitismo che nella sostanza annullava le differenze e le identità di tipo collettivo; il nazionalismo aperto di Mazzini è di tipo internazionalista, e proviene più dalla tradizione romantica e cristiana che non da quella razionalistica-voltairiana di origine francese. E qui mi sia concesso di aprire solo una brevissima parentesi in forma di domanda: come mai la famosa tollerenza di Voltaire arrivava ai protestanti, ma escludeva decisamente gli ebrei?

Per capire come la prospettiva risorgimentale venisse interpretata e allargata in una dimensione non soltanto italiana, bensì di Risorgimento ebraico, basterebbe leggere le lettere di Giacomo Venezian, giovane medico triestino morto per la difesa della Repubblica romana, il quale evocava con perfetto stile mazziniano: “la forma della nazionalità (opera di Dio) anche per il futuro d’ Israele”.

Siamo qui a contatto con quello zeitgeist tipicamente ottocentesco e profondamente romantico, che si declina già nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis di Foscolo e poi trova espressione in tutta la letteratura patriottico-risorgimentale da Silvio Pellico a Ippolito Nievo, mentre viene meravigliosamente celebrato in musica con le opere di Giuseppe Verdi.

Di questa sentimento nazionale, Giuseppe Mazzini fu senza dubbio uno dei massimi interpreti e comunicatori, per usare un termine dei nostri giorni. E non è certo un caso che tra i suoi più vicini allievi e collaboratori ci fossero degli ebrei; come Bendetto Musolino, patriota calabrese e fondatore dei Figlioli della Giovane Italia, anch’ egli combattente per Roma, autore di Gerusalemme e il popolo ebreo, in cui iniziava a ragionare sulla fondazione di un Principato ebraico in Palestina. Nel 1851 Musolino arrivò poi a formulare un vero e proprio progetto politico, che per quell’ epoca poteva definirsi futuristico anche se con scarsissime possibilità di essere implementato, in cui prevedeva il mantenimento della Palestina all’ interno dell’ Impero Ottomano ma con una chiara identità ebraica; garante dell’ operazione sarebbe stata l’ Inghilterra, in quanto antagonista dell’ Impero russo in cui si stavano manifestando forme di antisemitismo. La guerra di Crimea, di lì a breve, e il successivo trattato di Parigi misero definitivamente fuori gioco il progetto musoliniano.

Un altro testo che pochi anni dopo, precisamente nel 1862, stabiliva un nesso tra il Risorgimento italiano e la rinascita ebraica nella terra di Sion è Roma e Gerusalemme. L’ ultima questione nazionale, di Moses Hess, un filosofo ebreo tedesco che prevedeva già allora un futuro incerto (sic!) per gli ebrei nel nascente Reich prussiano. Ispirandosi chiaramente alla visione internazionalista di Mazzini, Hess scriveva : “ Con la liberazione della città eterna presso il Tevere, comincia pure quella della città eterna sul Moriah; con il risorgimento dell’ Italia, si inizia pure la rinascita della Giudea.” Implicito, ovviamente, il parallelo tra la Roma, la cui liberazione era ancora impedita da Napoleone III, e la Gerusalemme sottoposta alla dominazione turca.

Non si può fare a meno, a questo punto, di indicare, rimandando agli studi approfonditi (per esempio, L. Compagna, Theodor Herzl. Il Mazzini d’ Israele), la questione del nesso terorico ed ideologico tra il mazzianesimo e il sionismo, di cui Theodor Herzl fu il fondatore ma il calabrese Musolino senza dubbio resta un precursore. Il sionismo, che nasce nella seconda metà del XIX come reazione difensiva al diffondersi in Europa dei nazionalismi su base etnica e chiaramente antisemita, fa sua la lezione di quello che gli amici ebrei Nathan e Rosselli chiamavano affettuosamente il “grande rabbino”, Giuseppe Mazzini. E’ così che anche l’ idea di un ritorno alla terra dei padri, ad Eretz Israèl, non viene concepita con lo spirito nazionalistico ispirato ad una volontà di potenza o ad un fondamentalismo religioso; bensì agli ideali umanitari e universalistici che erano tipici del pensiero mazziniano, e che verranno pienamente recepiti in Der Judenstaat di Herzl.

Se, dunque, il Risorgimento italiano era il modello e la fonte di ispirazione; il Dio e popolo mazziniano diventò il trait d’ union dei patrioti italiani con i patrioti ebrei; e idealmente dei futuri coloni dei kibbutzim nella Palestina mandataria, nonché dei combattenti nella guerra del 1948 per la difesa dello Stato d’ Israele.

Il dibattito teorico

Esaminato a fondo da F. Della Peruta in Gli ebrei nel Risorgimento fra interdizioni ed emancipazione, il dibattito teorico sulla questione dell’ emancipazione si mostra nella sua complessità ed accesa articolazione, di cui, in questa sede, vorrei soltanto sottolineare alcuni aspetti essenziali. E’ importante innanzitutto ricordare che l’ Italia, pur non avendo visto in passato la penetrazione di concetti come la limpieza de sangre, elaborato nella Spagna del XVI secolo con evidenti e gravissime implicazioni di tipo razziale, era diventata però ricettacolo di un filone antigiudaico ( sulla continuità o differenza tra antigiudaismo e antisemitismo c’ è tutta una vasta letteratura, tra cui mi limito a ricordare i saggi di A. Foa, Ebrei in Europa. Dalla peste nera all’ emancipazione e di G. Miccoli, Antiebraismo e antisemitismo) che ovviamente trovava il suo centro di propagazione nella Chiesa romana e venne poi amplificato negli ambienti clerico-reazionari ostili al Risorgimento, al modernismo e, di conseguenza, anche agli ebrei che dell’ uno e dell’ altro erano visti come pericolosi sostenitori (su questo si veda G. Miccoli, Santa Sede, questione ebraica e antisemitismo fra Otto e Novecento).

Proprio per questo è nell’ ambito della cultura cattolica che il dibattito fu particolarmente articolato ed appassionato. L’ antiebraismo trovò i suoi più convinti sostenitori nel canonico piemontese Vincenzo Rossi, autore de Gli ebrei (1817), che suggeriva ai cristiani di non familiarizzare con i “discendenti di Giuda”; in padre Ferdiando Jabalot che nel 1825 pubblicò sul “Giornale ecclesiastico di Roma” una ferma condanna di tutti quelli che manifestavano “amore svisceratissimo” per gli ebrei; nel toscano Luigi Chiarini, professore di lingua ebraica e di ermeneutica biblica, che nella Théorie du judaisme definì il Talmud “ricettacolo di errori e di pregiudizi”; e persino in personaggi che contribuirono alla causa del Risorgimento, come il democratico Francesco Domenico Guerrazi, che nelle sue Note autobiografiche, scritte nel carcere di Portoferraio dove era recluso per aver svolto attività politica di ispirazione mazziniana, dichiarava apertamente di condividere i pregiudizi dei suoi concittadini di Livorno nei confronti della cospicua comunità ebraica livornese (“ Gli ebrei con Mosé, e dopo, presentano una vasta compagnia di masnadieri…”).

Dall’ altra parte, si segnala – sempre sulla scorta del saggio di F. Della Peruta – il formarsi di una corrente di pensiero, a partire dal 1830, i cui rappresentanti si schierarono per la completa emancipazione degli ebrei italiani: Pietro Regis, professore di teologia nell’ Università di Torino, Giuseppe Compagnoni autore di Saggio sugli ebrei e sui greci, e poi Giambattista Formentini, Giuseppe Maria Pujati, Giambattista Giovio, i quali, anche se con diverse sfumature e declinazioni, si espressero tutti a favore della concessione dei diritti civili e politici alla minoranza israelitica.

Ma soltanto nel 1843, con l’ avvento del neoguelfismo e del moderatismo liberale – che segnava una discontinuità con la tradizione insurrezionale mazziniana i cui limiti erano parsi assai evidenti – viene espressa, grazie al filosofo torinese Vincenzo Gioberti e al suo Primato, una presa di posizione di grande autorevolezza a favore dell’ emancipazione degli israeliti italiani, aprendo così una vera e propria breccia nella fortezza del cattolicesimo conservatore e dell’ antigiudaismo. Per il filosofo piemontese, bisognava pienamente integrare gli ebrei nel processo risorgimentale, proprio perché il nuovo concetto di nazione che stava prendendo forma aveva quei caratteri di universalità che lo rendevano valido per tutti i popoli (“Un secolo che biasima gli ergastoli non può approvare i ghetti”). Per Gioberti la causa degli ebrei doveva quindi essere considerata “giustissima” e “santa” ; ciò nonostante restava in lui un approccio basato sul principio della carità cristiana ma pur sempre di tipo conversionistico, che quindi prevedeva, proprio grazie alla concessione dei diritti, la possibilità di “ricondurre all’ ovile lo smarrito Israele”.

Altra personalità di spicco del cattolicesimo liberale che si mostrò particolarmente sensibile verso la questione ebraica, è Raffaello Lambruschini: pedagogista, agronomo nonché senatore del Regno, fu anche uno dei principali animatori del prestigioso Gabinetto Vieusseux a Firenze, dove conobbe Gino Capponi, Bettino Ricasoli, Niccolò Tommaseo. In degli articoli usciti inizialmente sul giornale “La patria” di Firenze nel 1847 e poi raccolti in Scritti politici e di istruzione pubblica, l’ intellettuale liberale di San Cerbone (presso Figline Valdarno aveva creato una scuola di agraria con metodologie avanzatissime per l ‘ epoca) poneva cattolici ed ebrei sullo stesso piano, secondo i dettami della “legge eterna del Vangelo”. A questi stessi princìpi cristiani, si richiamava Roberto

D’ Azeglio quando, il 23 dicembre 1847, scrisse a Carlo Alberto: “a pro degli infelici fratelli per cui durano ancora inesorabili rigori e le interdizioni a cui dannavali la barbarie della scorsa età, per la deplorevole inosservanza in cui rimase sino a questo giorno il più sublime fra i precetti che la carità di Dio impose all’ umana famiglia”.

Spostandosi nell’ ambiente veneziano di quegli stessi anni, bisogna necessariamnte ricordare l’ opera appassionata del cattolico dalmata Niccolò Tommaseo, che si collocò apertamente su posizioni filogiudaiche e di conseguenza favorevoli alla piena emancipazione degli ebrei italiani. Come ha rilevato E. Capuzzo, Tommaseo esaltava la loro “primogenitura” dei valori nazionali (e risorgimentali), che derivavano dallo stretto legame tra il popolo ebraico e la terra, come era chiaramente esplicitato nella Bibbia. Pertanto gli ebrei condividevano tre patrie: Israele, il paese dove erano nati e di cui serbavano il ricordo; l’ Italia, e il mondo in cui erano stati dispersi; ma questo non indeboliva il loro legame, anzi lo rafforzava rendendoli “compatrioti e fratelli” (N. Tommaseo, Diritti degli israeliti alla civile uguaglianza. Discorso).

Sul versante laico e repubblicano – per concludere questa breve rassegna -, gli scritti più significativi riguardo all’ emancipazione erano già arrivati nel 1835, in occasione della nota controversia tra il governo francese e il cantone svizzero di Basilea, che non aveva riconosciuto valido l’ acquisto fatto dai fratelli Wahl, ebrei francesi, di una proprietà nella campagna di quel cantone. Il primo ad intervenire in aspra polemica contro le autorità svizzere fu Mazzini, che nel novembre dello stesso anno, pubblicò due articoli sulla “Jeune Suisse” , dove smontava senza mezzi termini le argomentazioni antiebraiche. Mazzini richiamava i princìpi di tolleranza e di libertà, i valori assoluti, i diritti degli uomini: “Ma ciò di cui sentiamo il bisogno, è di alzare anche la nostra voce contro un’ eccezione tanto ingiusta quato retrogada, qual è quella con cui si perseguitano ancor oggi i seguaci della legge di Mosé; di protestare, in nome del progresso e delle nostre sante credenze umanitarie, contro ogni legge eccezionale, che viola il gran principio di tolleranza…”

Sempre in polemica contro la decisione dei magistrati di Basilea, si levò poi la voce del teorico del federalismo italiano, Carlo Cattaneo, che nel 1836 pubblicò un libro analizzando la questione sotto un profilo principalmente di natura economica. Il saggio, che si intitolava Ricerche economiche sulle interdizioni imposte dalle leggi civili agli israeliti, fu poi noto in tutta Europa col titolo sintetitico di Interdizioni israelitiche. Il federalista lombardo non si addentrava in questioni di carratere culturale o religioso, ma si limitava a spiegare le ragioni sociali ed economiche per cui gli ebrei si erano specializzati nelle attività di tipo commerciale e finanziario; sgombrando il campo da ogni pregiudizio circa le loro colpe teologiche e i loro presunti vizi morali, Cattaneo spiegò che le ricchezze degli ebrei erano solo il frutto delle interdizioni a cui erano stati sottoposti nel corso dei secoli. Ed auspicava il “generale pareggiamento degli israeliti”, come già era avvenuto in Francia ed in Inghilterra in nome della tolleranza e dei princìpi umanitari.

In conclusione, abbiamo precedentemente detto che il Primato del Gioberti avrebbe prodotto una sorta di breccia nelle mura del cattolicesimo conservatore e dell’ antigiudaismo; ebbene, circa trent’ anni dopo, quasi a ricambiare quel gesto, una breccia vera e propria fu aperta a Porta Pia dalle cannonate del IX Reggimento di artiglieria: il capitano che dette l’ ordine di aprire il fuoco era un giovane ebreo, si chiamava Giacomo Segre. Quel giorno, 20 settembre 1870, la città dei papi diventava finalmente la capitale del Regno e la storia del Risorgimento trovava il suo compimento.

Bibliografia

E. Capuzzo, Gli ebrei italiani dal Risorgimento alla scelta sionista, Le Monnier, Firenze 2004

E. Capuzzo, Gli ebrei nella società italiana.Comunità e istituzioni tra Ottocento e Novecento, Carrocci, Roma 1999

M. Beer e A. Foa (a cura di), Ebrei, minoranze e Risorgimento, Viella, Roma 2013

L. Compagna, Theodor Herzl. Il Mazzini d’ Israele, Rubbettino, Soveria Mannelli 2010

A. Foa, Ebrei in Europa. Dalla peste nera all’ emancipazione, Laterza, Bari 2018

S. Foà, Gli ebrei nel Risorgimento italiano, Carucci, Assisi-Roma. 1979

G. Miccoli, Antiebraismo e antisemitismo, Morcellania, Roma 2013

G. Miccoli, Santa Sede, questione ebraica e antisemitismo fra Otto e Novecento, in Storia d’ Italia, Einaudi, Annali 11

V. De Cesaris, Pro Judaeis. Il filogiudaismo cattolico in Italia (1789-1938), Guerini e Associati, Milano 2006

V. De Cesaris, I cattolici, gli ebrei e l’ “ebreo”. Note su antigiudaismo e filogiudaismo in Italia, in Ebrei,minoranze e Risorgimento, Roma 2013

F. Della Peruta, Gli ebrei nel Risorgimento fra interdizioni ed emancipazione, in Storia d’ Italia, Einaudi, Annali 11

F. Della Peruta, Mazzini e i rivoluzionari italiani. Il “partito d’ azione” 1830-1845, Feltrinelli, Milano 1974

T. Nocera, Un precursore di Herzl. Benedetto Musolino,il sionista calabrese, in “Keshet”, 16, 2009

B. Di Porto, Gino Capponi e gli ebrei. Un’ antipatia non meditata, in “La Rassegna Mensile di Israel”, febbraio 1968

B. Di Porto, Gli ebrei nel Risorgimento, in “Nuova Antologia”, CXV, 1980

M Ghiretti, Storia dell’ antigiudaismo e dell’ antisemitsmo, Bruno Mondadori, Milano 2002

D. J. Goldberg, Verso la terra promessa. Storia del pensiero sionista, trad.it. Bologna 1999

H. Arendt, Ebraismo e modernità, trad. it. Milano 2001
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Re: Ebrei - Sionismo, Risorgimento e Fascismo Italiano

Messaggioda Berto » dom nov 04, 2018 3:35 pm

Gli ebrei italiani e il fascismo
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Per cominciare va detto che l’ebraismo italiano era “profondamente integrato nella società plasmata dal regime fascista! Gli ebrei fascisti non erano un corpo estraneo allo stato e i suoi più alti ed influenti esponenti proclamavano “l’assoluta fedeltà degli israeliti al fascismo e al suo duce”. Renzo De Felice, sul suo “Storia degli ebrei italiani”, scrive che gli ebrei furono fondatori, per esempio, dei fasci di combattimento di Milano, ebbero parte attiva nelle squadre di Italo Balbo e furono fra i protagonisti della “marcia su Roma”. I Caduti ebrei di quella epopea figurano nel “martirologio ufficiale della rivoluzione fascista”. Furono anche fra i finanziatori del partito fascista.
E’ noto che i provvedimenti a favore degli ebrei nel 1930, perfezionati nel 1931, risultarono tanto graditi alla comunità ebraica italiana che i rabbini innalzarono preghiere di ringraziamento nelle sinagoghe. E’ anche noto l’attacco lanciato dal Duce, contro le teorie nazionalsocialiste. Il 6 settembre 1934, dal palazzo del Governo di Bari Mussolini, dopo aver esaltato la civiltà mediterranea, disse: “Trenta secoli di storia ci permettono di guardare con sovrana pietà talune dottrine d’oltr’Alpe, sostenute da progenie di gente che ignorava la scrittura con la quale tramandare i documenti della propria vita, nel tempo in cui Roma aveva Cesare, Virgilio e Augusto”. Uno spietato attacco all’antiebraismo della Germania. Pertanto sino ad allora non esisteva alcuna pregiudiziale anti ebraica nell’animo di Mussolini mo. E allora, come si giunse alle leggi razziali? SW

Le Sanzioni
la politica fascista cambiò repentinamente con la conquista dell’Etiopia. Con questa azione di forza, non concordata, l’Italia si mise in conflitto con le potenze che detenevano il potere e le ricchezze del mondo e non consentivano ad altri di intervenire sulla scena geopolitica mondiale. L’Italia era una nazione di serie B e tale doveva rimanere.
Bernard Show, in una intervista al Manchester Guardian (13 ottobre 1937) profetizzò: “Le cose già fatte da Mussolini lo condurranno prima o poi ad un serio conflitto con il capitalismo”. Infatti le nuove idee, che partivano dall’Italia fascista, si stavano espandendo in tutto il mondo; dalla Francia agli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna all’Australia, dall’Argentina alla Norvegia, nascevano movimenti di ispirazione fascista. Sembrava che, una volta ancora, l’Italia fosse ispiratrice di un nuovo messaggio universale di sapore rinascimentale: il Rinascimento del lavoro. Queste nuove idee, portavano in sé un difetto: mettevano in pericolo il sistema capitalistico allora vigente e padrone.
La guerra d’Etiopia provocò, dunque, un inasprimento delle relazioni con Francia e Inghilterra, le nazioni imperialiste per antonomasia, che guidavano la Società delle Nazioni. Anche per il subdolo intervento di Roosevelt, furono imposte all’Italia le “sanzioni”: cioè l’embargo economico. La Germania si dissociò e continuò ad intrattenere rapporti con l’Italia. Nel 1936 scoppia la guerra civile spagnola; i Paesi capitalisti si schierano, con l’Unione Sovietica, contro l’Italia che collabora con Francisco Franco. Di nuovo la Germania è accanto all’Italia. In questa fase storica si formano due schieramenti: uno di carattere democratico-capitalistico, guidato principalmente da Gran Bretagna, da Francia e dagli Stati Uniti di Roosevelt; l’altro da Germania e Italia. Mussolini cercò di evitare in ogni modo questa alleanza con il Führer di cui osteggiava fortemente la politica. Il 22 giugno 1936 rilasciò una intervista all’ex ministro francese Malvy, nella quale ribadiva la propria disponibilità a collaborare con la Francia e con l’Inghilterra: “Disse Mussolini: “La situazione è tale che mi obbliga a cercare altrove la sicurezza che ho perduto dal lato della Francia e della Gran Bretagna. A chi indirizzarmi se non a Hitler? Vi ho fatto venire perché informiate il vostro Governo della situazione. Io attenderò ancora, ma se prossimamente l’atteggiamento del Governo francese nei confronti dell’Italia fascista non si modifica, se non mi si darà l’assicurazione di cui ho bisogno, l’Italia diventerà alleata della Germania”. Questa testimonianza viene riportata da E. Bonnifour nella “Histoire politique de la troisième republique”.
Furono i Paesi capitalisti a “gettare l’Italia in braccio” alla Germania per annientarle successivamente entrambe. Lo affermano anche Winston Churchill e lo storico inglese George Trevelyan. Il primo (La Seconda Guerra Mondiale”, Vol. 2°, pag. 209) scrive: “Ora che la politica inglese aveva forzato Mussolini a schierarsi dall’altra parte, la Germania non era più sola”. George Trevelyan nella sua “Storia d’Inghilterra”, a pag. 834, scrive: “E l’Italia che per la sua posizione geografica poteva impedire i nostri contatti con l’Austria e con i Paesi balcanici, fu gettata in braccio alla Germania”. Mussolini chiese ripetutamente alla Comunità israelitica italiana di intervenire, presso le Comunità israelitiche anglosassoni e francesi, per dirimere la vertenza; la risposta fu negativa. Fu allora che il Duce abbandonò la politica favorevole agli ebrei.

Le leggi razziali
La storia stava così trascinando l’Italia alla “ineluttabilità dell’alleanza con Hitler e quindi della necessità di eliminare tutti i motivi non solo di frizione, ma anche solo di disparità con la Germania” (R. De Felice, Storia degli ebrei sotto il fascismo, pag. 137). Mussolini era conscio che l’antisemitismo occupava uno spazio preminente nell’ideologia nazionalsocialista, di conseguenza se voleva giungere ad una reale alleanza, doveva adeguarsi alle circostanze. Fu così che si giunse al distacco di Mussolini e del fascismo dall’idillio che c’era stato con la Comunità ebraica e questo viene confermato dal maggior studioso del fascismo che osserva: “Una volta che Mussolini fu gettato nelle braccia della Germania di Hitler, era impensabile che anche l’Italia non avesse le sue leggi razziali”. Il Duce, tuttavia, per renderle il meno dolorose possibili, impose di discriminare non perseguire, oltre a lasciar aperte numerose scappatoie per cui si giunse a situazioni paradossali, come il caso denunciato dal giornalista Daniele Vicini su “L’Indipendente” del 20 luglio 1993: “Ebrei e comunisti sciamarono verso l’Italia attraverso il Brennero, frontiera che potevano varcare senza visto a differenza di altre (americana, sovietica, ecc.) apparentemente più congeniali alle loro esigenze”. “Erano tutti pazzi a rifugiarsi in un Paese dove vigevano le leggi razziali, oppure i fuggitivi ben sapevano che quelle leggi erano poco meno che una farsa”? Fu creato un organismo ad hoc – il comitato di assistenza agli ebrei in Italia – che permise a circa diecimila profughi provenienti da Germania, Polonia, Ungheria e Romania di trovare rifugio nel nostro Paese; altri 80 mila ebrei poterono emigrare in Palestina e in altre nazioni grazie alla collaborazione delle autorità italiane. Dal porto Trieste gli ebrei emigranti viaggiavano su navi del Lloyd triestino che concedeva loro sconti fortissimi, fino al 75%!.
Dalla applicazione delle leggi discriminatorie erano escluse le famiglie di Caduti, mutilati o feriti in guerra o chi si era battuto per la “causa fascista”. In realtà nessuno fu mai colpito dalle leggi razziali fasciste. La maggioranza di ebrei, piccoli negozianti, non fu toccata; a nessuno fu imposta la stella gialla di David, molti finsero di convertirsi al cristianesimo, ecc. La eterna farsa italiana fu pari alla sua fama. Si parlò di professori universitari licenziati, ma questi erano dodici in tutto e, a seconda dei casi,vengono utilizzati come vittime delle leggi razziali o perché antifascisti o filocomunisti e così via. Ma questo è ridicolo se si pensa alla “pulizia ideologica” attuata negli Stati Uniti da Mac Carty e, in ogni caso, non furono perseguitati i professori i fascisti che non si riciclarono come antifascisti nel dopoguerra?
Ricordo le parole di Vittorio Mussolini quando disse che le leggi razziali lo colpirono in quanto sia lui che il fratello Bruno avevano amici di religione ebraica. Si indignarono con il padre minacciando di portare i loro amici ebrei a dormire a Villa Torlonia. Mussolini paternamente e bonariamente li rassicurò dicendo: “dite ai vostri amici di stare tranquilli per due o tre mesi.. poi sarà tutto finito”. E così fu in realtà. Ricordo che i grandi negozi di ebrei cambiarono ragione sociale così Cohen diventò “Prima”, Galtrucco e altri seguirono con altri nomi ma nessun commerciante fu sequestrato o messo in difficoltà. Agli ebrei fu vietato il privilegio e l’onore di servire la Patria in armi per cui furono esentati dalla leva obbligatoria; si può immaginare con quanta sofferenza per i giovani ebrei … ! Da ragazzo conobbi un tenente pilota tedesco che si chiamava Karl Reyer. Era ebreo ed aveva lasciato la Germania per arruolarsi nella aeronautica italiana con la quale aveva partecipato alla campagna in Russia meritandosi il riconoscimento della Luftwaffe e portava il nastrino all’occhiello della divisa! mi

Le persecuzioni
La guerra imperversava e i tedeschi rastrellavano gli ebrei nelle zone occupate ma, per ordine di Mussolini, “Ovunque penetrassero le truppe italiane, uno schermo protettore si levava di fronte agli ebrei (…). Un aperto conflitto si determinò tra Roma e Berlino a proposito del problema ebraico (…). Appena giunte sui luoghi di loro giurisdizione, le autorità italiane annullavano le disposizioni decretate contro gli ebrei (…)” (Léon Poliakov, “Il nazismo e lo sterminio degli ebrei”, pagg. 219-220). Questo schermo si ergeva, quindi, non solo in Italia, ma in Croazia, in Grecia, in Egeo, in Tunisia, e ovunque fossero presenti le truppe italiane.
Scrive Rosa Paini (ebrea) (“Il Sentiero della Speranza”, pag. 22): “Quel colloquio lo aveva voluto Mussolini ancora più favorevole agli ebrei, in modo da essere indotto a concedere tremila visti speciali per tecnici e scienziati ebrei che desideravano stabilirsi nel nostro Paese”.
Mordechai Poldiel (israelita): “L’Amministrazione fascista e quella politica, quella militare e quella civile, si diedero da fare in ogni modo per difendere gli ebrei, per fare in modo che quelle leggi rimanessero lettera morta”.
Israel Kalk (“Gli ebrei in Italia durante il Fascismo”): “.. Siamo stati trattati con la massima umanità” e,: “Credo di non temere smentite affermando che con voi la sorte è stata benigna e che la vostra situazione di internati in Italia è migliore di quella dei nostri fratelli che si trovano in libertà in altri paesi europei”.
Anche Salim Diamand (Internment in Italy – 1940-1945), scrive. “Non ho mai trovato segni di razzismo in Italia. C’era del militarismo, è ovvio, ma io non ho mai trovato un italiano che si avvicinasse a me, ebreo, con l’idea di sterminare la mia razza (…). Anche quando apparvero le leggi razziali, le relazioni con gli amici italiani non cambiarono per nulla (…). Nel campo controllato dai carabinieri e dalle Camicie nere gli ebrei stavano come a casa loro”.
L’autorevole docente dell’Università ebraica di Gerusalemme, George L. Mosse, nel suo libro “Il razzismo in Europa”, a pag. 245 ha scritto: “Il principale alleato della Germania, l’Italia fascista, sabotò la politica ebraica nazista nei territori sotto il suo controllo (…). Come abbiamo già detto, era stato Mussolini stesso a enunciare il principio “discriminare non perseguire”. Tuttavia l’esercito italiano si spinse anche più in là, indubbiamente con il tacito consenso di Mussolini (…). Ovunque, nell’Europa occupata dai nazisti, le ambasciate italiane protessero gli ebrei in grado di chiedere la nazionalità italiana. Le deportazioni degli ebrei cominciarono solo dopo la caduta di Mussolini, quando i tedeschi occuparono l’Italia”.
Durante la guerra, nonostante le pressanti richieste da parte tedesca, Mussolini si rifiutò sempre di consegnare gli ebrei italiani ai nazisti e diede disposizioni per attuare nelle zone controllate dall’esercito italiano (Tunisia, Grecia, Balcani e sud della Francia) vere e proprie forme di boicottaggio per sottrarre gli ebrei ai tedeschi (era sufficiente avere un lontanissimo parente italiano, spesso inventato, per ottenere la cittadinanza italiana e sfuggire in questo modo alla deportazione).
Pochi della paludosa e mefitica giungla antifascista amano ricordare che nel 1940, quando già l’Italia era in guerra, la nave italiana Esperia, carica di profughi ebrei, salpò per l’Egitto. I bugiardi senza rimedio fanno risalire quel viaggio alla audacia del capitano, il Capitano Stagnaro, ma è fuor di dubbio che il governo fascista autorizzò tacitamente quel viaggio. In modo del tutto analogo, nel 1942, cioè in piena guerra, una altra nave carica di ebrei provenienti dalla Croazia e dai Balcani, circa 1500 persone, partì da Trieste in direzione Palestina. Il trasporto era stato organizzato dal governo italiano e concordato con i comandi inglesi. Inoltre è noto che Giorgio Perlasca, un ambasciatore italiano, fece miracoli per salvare perseguitati ebrei ma nessuno dice che Perlasca agiva per conto del governo fascista. Si è mai visto un ambasciatore agire contro le direttive del proprio governo? Perché non dare a Mussolini quantomeno il beneficio di aver deliberatamente chiuso ambedue gli occhi su queste vicende, dovendo egli costantemente affrontare la intransigenza germanica che si vedeva, ed era la verità, presa in giro?

Dopo l’8 settembre
Con la resa dell’Italia la situazione per gli ebrei peggiorò non essendoci più lo scudo alzato da Mussolini. Fu in quei giorni, ed esattamente il 16 ottobre 1943 che i tedeschi effettuarono un rastrellamento nel ghetto di Roma catturando più di mille ebrei. Finalmente i tedeschi ebbero la possibilità di mettere in atto quanto sino ad allora era stato proibito. Perché non intervennero i partigiani a difendere i deportati? I tedeschi furono ostacolati solo dal fascista Ferdinando Natoni che ospitò nella sua abitazione alcune ebree facendole passare per sue figlie. Altri nomi di fascisti meritano di essere citati accanto a quello di Natoni: Perlasca di cui si è già detto, salvò la vita ad alcuni migliaia di ebrei in Ungheria; Zamboni (fascista) riuscì a far fuggire da Salonicco centinaia di ebrei; Palatucci (fascista) ne salvò alcune migliaia a Fiume; Calisse (fascista) operò in Francia e fece fuggire diverse decine di ebrei. Non dimentichiamo Farinacci, che nascose una famiglia di ebrei nella sua tipografia e il futuro segretario del Msi, Almirante che ne nascose alcuni nel Ministero dove lavorava. Potremmo citare altri casi e nomi, ma non possiamo abusare oltre. Mentre si svolgevano questi fatti, gli antifascisti e i w2 infamia più mostruosa, la menzogna più vergognosa per denigrare Benito Mussolini, é quella della complicità e connivenza nello sterminio di 5 milioni di ebrei. Non Roosevelt (che inviò la sua fleet per cannoneggiare un piroscafo carico di ebrei fuggiti nel 1939 da Amburgo), non Churchill che ordinò di silurare a Salinas un’altro carico di ebrei qualora non avesse invertito la rotta, non Stalin che lo storico russo Arkaly Vaksberg, (“Stalin against Jews”), dopo accurate ricerche in archivi riservati, accusa sostenendo che “il numero degli ebrei eliminati da Stalin è stato presumibilmente 5 milioni”, .. ma solo Mussolini… diventa complice delle nefandezze di Hitler. Ma allora, se la alleanza con la Germania implica la corresponsabilità dei crimini contro gli ebrei, per qual motivo gli alleati della Unione Sovietica non devono essere corresponsabili dei cento milioni di vittime del comunismo? E per qual motivo i crimini commessi da americani e inglesi, francesi, jugoslavi e truppe di ogni razza e colore non devono essere condivise in solido dagli altri alleati? E si tratta di crimini ben più gravi e distruttivi, dai bombardamenti agli eccidi, alle deportazioni, alle persecuzioni, dagli stupri agli assassini di gente inerme. Scrive Giorgio Pisanò (“Noi fascisti e gli ebrei”, pag. 19) “Si giunse così al 1939, vale a dire allo scoppio della guerra e fu allora che, all’insaputa di tutti, Mussolini diede inizio a quella grandiosa manovra, tuttora sconosciuta o faziosamente negata anche da molti di coloro che invece ne sono perfettamente a conoscenza, tendente a salvare la vita di quegli ebrei che lo sviluppo degli avvenimenti bellici aveva portato sotto il controllo delle forze armate tedesche”.

Conclusioni
Come già detto, le leggi razziali italiane del 1938 gettarono un’ ombra sul regime fascista e sulla splendida figura di Mussolini in particolare ma voler associare a Hitler la figura del Duce rendendo questi corresponsabile delle persecuzioni o dello sterminio di milioni di ebrei è un evidente oltraggio alla Verità storica, una falsità assoluta, una mostruosità dal punto di vista morale ed essa stessa una persecuzione della memoria e dell’operato di un grande Uomo, di un grande Italiano!
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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