Ixrael e USA

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Messaggioda Berto » mer feb 15, 2017 9:21 pm

Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ixrael e USA

Messaggioda Berto » mer feb 15, 2017 9:23 pm

Trump a Netanyahu: "Israele e Palestina? Uno Stato o due è la stessa cosa"
Il presidente americano ha ricordato l'importanza di trovare compromessi per raggiungere un'intesa, come rimandare la costruzione di nuovi insediamenti. Il premier israeliano: a concentrarsi sulla "sostanza" e non "sulle etichette"
15 febbraio 2017

http://www.repubblica.it/esteri/2017/02 ... -158401306

WASHINGTON - Al lavoro verso un "grande trattato di pace" fra Israele e i palestinesi con lo scopo di assicurare stabilità nella regione. A dirlo in una conferenza congiunta con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, è stato il presidente statunitense Donald Trump: la pace arriverà "ve lo prometto" ha detto Trump, "mi piacerebbe una soluzione a due Stati o a uno Stato" e "sarò felice con quello che piacerà a israeliani e palestinesi". Un importante cambiamento per la politica americana che da decenni parla della soluzione dei due Stati come la unica percorribile.

Trump ha detto che una volta pensava che la soluzione a due Stati fosse la più semplice ma ora non ne è più così sicuro. Ora preferirebbe che Israele "fermasse la costruzione degli insediamenti per un po'" perché per raggiungere la pace entrambe le parti dovranno scendere a compromessi. In tutta risposta il premier israeliano, ha invitato a concentrarsi sulla "sostanza" e non "sulle etichette", quando gli è stato domandata la propria posizione su una soluzione a due Stati per la pace tra israeliani e palestinesi.

Al negoziato per la pace in medio oriente potrebbero partecipare molti Paesi, ha aggiunto Trump. Secondo il presidente, gli israeliani dovranno mostrare di flessibilità, mentre i palestinesi dovranno sbarazzarsi "dell'odio" che insegnano ai ragazzi sin dai primi anni di vita.

Trump a Netanyahu: "Israele e Palestina? Uno Stato o due è la stessa cosa"

Trump e Netanyahu sono concordi su tutto, ponendo le basi per una alleanza totale sui temi del terrorismo, della Palestina e dell'Iran. In questo modo il presidente Usa ha voluto prendere le distanze dalle politiche di Obama, soprattutto su Teheran e sulla questione palestinese. "Quello con l'Iran è uno dei peggiori accordi mai visti. Farò di più per impedirgli di sviluppare un'arma nucleare", ha aggiunto Trump ricordando che le sfide che Israele affronta per la sua sicurezza sono "enormi".

Sullo spostamento dell'ambasciata a Gerusalemme, Trump ha poi aggiunto: "Mi piacerebbe che succedesse, seguiamo questa possibilità con grande attenzione". In tutto questo c'è anche un attacco all'Onu che per il presidente Usa ha trattato in modo ingiusto Israele. "Non accettiamo le azioni a senso unico contro Israele da parte dell'Onu".

L'incontro alla Casa Bianca è stato amichevole. Con tanto di siparietto sui rapporti di lunga data tra Netanhayu e il clan Trump. "Non c'è più grande sostenitore del popolo ebraico e dello stato ebraico del presidente Donald", ha detto il premier israeliano, sostenendo di conoscerlo da molto tempo, lui, i membri del suo team e la sua famiglia. Poi ha lanciato uno sguardo in prima fila sul genero (ebreo ortodosso) di Trump, il consigliere senior Jared Kushner cui il presidente ha affidato la regia dei colloqui di pace israelo-palestinesi. "Posso rivelare da quanto tempo ci conosciamo?", ha proseguito mentre Kushner annuiva, confermando una frequentazione di vecchia data è una sponda forte nel processo di pace in Medio Oriente.




Usa, Trump a Netanyahu: “Dall’Onu azioni ingiuste contro Israele. Soluzione dei 2 Stati? Conta solo pace in Medio Oriente”
Il premier israeliano è Washington per il primo incontro ufficiale con il presidente degli Stati Uniti. Sulla soluzione al conflitto il repubblicano segna un cambio di rotta rispetto alla dottrina seguita da Barack Obama: quello dei "due Stati, due popoli" è il principio su cui si sono basate le trattative di pace a partire dall’accordo di Oslo del 1993
di F. Q. | 15 febbraio 2017

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/02 ... id/3392689



Ribadisce il “vincolo inscindibile” con Israele, che va tutelato dalle “ambizioni nucleari dell’Iran“. Respinge “le azioni ingiuste dell’Onu”. Cambia paradigma sulla soluzione della questione israelo-palestinese, aprendo alla possibilità di mandare in soffitta la soluzione dei due Stati. Annuncia di voler “spostare l’ambasciata Usa a Gerusalemme“. Ma consiglia all’alleato di “contenersi un po’ sugli insediamenti”. Donald Trump conferma al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu l’appoggio annunciato in campagna elettorale.

In compagnia della first lady Melania, il presidente degli Stati Uniti ha accolto alla Casa Bianca il primo ministro israeliano con la moglie Sara nel primo incontro tra i due leader dall’insediamento del repubblicano alla presidenza. Una visita cruciale per i rapporti tra i due Paesi, che cade in un momento di particolare confusione per l’amministrazione a stelle e strisce dopo le dimissioni del consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn.

“Respingiamo le azioni unilaterali e ingiuste da parte delle Nazioni Unite contro Israele”, ha affermato Trump nella conferenza stampa al termine dell’incontro. Lo Stato di Israele “va trattato giustamente nei consessi internazionali”, ha aggiunto il capo della Casa Bianca, sottolineando “il legame indistruttibile con il caro alleato” descritto come “simbolo di resilienza contro l’oppressione e di sopravvivenza di fronte al genocidio“. Israele affronta “enormi problemi di sicurezza”, a partire dalle “ambizioni nucleari dell’Iran”, con il quale si è stretto “uno degli accordi peggiori che io abbia mai visto”, ha detto il presidente degli Stati Uniti in riferimento all’intesa raggiunta il 14 luglio 2015 dal cosiddetto gruppo “5+1” con Teheran e patrocinato da Barack Obama.

Particolarmente significativo il cenno alla soluzione dei due Stati. “Che la soluzione sia a uno o due Stati, quella che loro preferiscono”, l’importante è che sia pace, ha detto Trump sottolineando la necessità che siano direttamente le due parti, israeliani e palestinesi, a trovare una soluzione in negoziati diretti. Un cambio di rotta netto rispetto alla dottrina seguita da Barack Obama: quello dei “due Stati, due popoli” è il principio su cui si sono basate le trattative di pace tra israeliani e palestinesi a partire dall’accordo di Oslo del 1993.

Trump ha quindi ribadito la volontà della sua amministrazione di “spostare l’ambasciata americana a Gerusalemme. E’ una cosa a cui stiamo guardando con attenzione”. Un’azione che andrebbe a interrompere una consuetudine necessaria al mantenimento dei difficili equilibri della regione e di cui aveva parlato il 16 dicembre il nuovo rappresentante diplomatico Usa in Israele David Friedman, scatenando le proteste dei palestinesi.

Tramonta il dogma obamiano dei due Stati – Gli Stati Uniti non considerano più quella dei due Stati come l’unica soluzione per la questione israelo-palestinese. Il cambio di rotta rispetto al paradigma che era stato alla base dell’amministrazione Obama in materia era stato chiaro sin dalle ore immediatamente successive all’elezione di Trump, ma oggi trova una prima forma di ufficializzazione. A poche ore dall’incontro tra il presidente degli Stati Uniti e Netanyahu, la Casa Bianca aveva fatto sapere di sostenere l’obiettivo di un accordo di pace tra israeliani e palestinesi, sia che esso “arrivi con la forma della soluzione a due Stati se è ciò che le parti vogliono” sia che esso preveda “qualcos’altro“.

Immediata la risposta palestinese. Gli Usa “restino fedeli alla soluzione dei due Stati”, è l’appello del ministero degli Esteri del governo dell’Autorità nazionale palestinese. “Se fossero vere le indiscrezioni della stampa attribuite a una fonte responsabile della Casa Bianca secondo cui l’amministrazione di Trump avrebbe rinunciato alla soluzione dei due stati, si tratterebbe di uno sviluppo pericoloso non solo per l’amministrazione Usa e per la sua visione di come porre fine al conflitto israelo-palestinese, ma anche per le sue ripercussioni sulle posizioni di altri Paesi nel mondo e spianerebbe la strada a ogni sorta di soluzioni per il conflitto”, si legge in una nota del ministero. L’alternativa alla Soluzione a due Stati è “l’apartheid“, il commento di Saeb Erekat, segretario del comitato esecutivo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina. Anche Jibril Rajoub di Fatah, il partito del presidente palestinese Abu Mazen, replicava che “gli Usa non devono dimenticare che la pace della regione dipende dalla risoluzione della questione israelo-palestinese e che non c’è alternativa alla costituzione di uno stato palestinese”.

Anche le Nazioni Unite criticava il possibile cambio di paradigma: “Abbiamo concordato che l’unica soluzione per la situazione fra palestinesi e israeliani è quella dei due Stati”, ha detto il segretario generale Antonio Guterres parlando al Cairo al palazzo presidenziale di Al Itahadiya in conferenza stampa congiunta con il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shukri.

Il premier israeliano – che aveva salutato la vittoria del miliardario newyorkese alle elezioni definendolo “amico sincero di Israele” in contrapposizione a Barack Obama – è oggi Washington per il primo incontro ufficiale con Trump con l’obiettivo di concordare una linea politica riguardo a palestinesi e Iran. Netanyahu, che ha già avuto un facci a faccia il segretario di Stato Rex Tillerson e definito l’incontro “eccellente”, spera di ottenere lo stesso “appoggio incondizionato” che lui ha offerto all’allora candidato repubblicano durante la campagna per le presidenziali e ha anticipato che proporrà di rinnovare le sanzioni a Teheran a seguito dei test con missili balistici compiuti a gennaio. Netanyahu alloggia nella Blair House, di fronte alla Casa Bianca, residenza ufficiale per invitati e presidenti stranieri, e il suo ritorno in Israele è previsto per giovedì.

Netanyahu, che quanto meno ufficialmente accetta la soluzione a due Stati, il mese scorso ha dichiarato davanti ai deputati del suo partito, il Likud, che era disposto a concedere ai palestinesi “qualcosa in meno rispetto a uno Stato”, riducendo la sovranità attribuita a questa soluzione. Quanto a Trump, per la prima volta giovedì scorso si è pronunciato su un periodico israeliano, Israel Hayom (cioè Israele oggi), sugli insediamenti ebraici in territorio palestinese e ha detto che le colonie “non aiutano il processo” di pace e che il governo israeliano deve “agire con responsabilità”. “Non sono uno che crede che avanzare con le colonie sia buono per la pace, però stiamo esaminando diverse opzioni”, ha detto il magnate repubblicano. Da quando Trump ha assunto la presidenza degli Stati Uniti lo scorso 20 gennaio, l’esecutivo israeliano ha rilanciato la sua politica di colonizzazione dando il via libera a oltre 6mila case negli insediamenti a Gerusalemme Est e in Cisgiordania e ha dato luce verde a una legge per mettere in regola 4mila case che si trovano in Cisgiordania.

Altro punto cruciale in agenda sarà il trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, promesso da Trump in campagna elettorale. Ma lo scorso fine settimana il presidente Usa ha detto che “non è una decisione facile”. “Se ne è discusso per molti anni. Nessuno vuole prendere questa decisione e io ci sto pensando seriamente”, ha affermato. Il capo dell’intelligence palestinese, Majed Faraj, in questi giorni ha avuto per la prima volta contatti a Washington con membri del governo statunitense, dai quali secondo la stampa locale è uscito ottimista assicurando che Trump sta riconsiderando questi piani.

Intanto alcuni media israeliani riferiscono che il capo della Cia Mike Pompeo ha incontrato Abu Mazen alcuni giorni fa a Ramallah, in Cisgiordania. Al colloquio – il cui contenuto non è trapelato – avrebbe partecipato il capo dei servizi di sicurezza palestinesi Majd Freij.
di F. Q. | 15 febbraio 2017
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Re: Ixrael e USA

Messaggioda Berto » mer feb 15, 2017 9:25 pm

???

Il costo sbalorditivo di Israele per gli americani

Scritto da Pamela Olson e Altri

http://www.civg.it/index.php?option=com ... Itemid=101

If Americans knew.org
What every American needs to know about Israel/Palestine
http://ifamericansknew.org/stats/cost.html


Questa relazione contiene gli aggiornamenti al lavoro innovativo fatto da Richard Curtiss nella sua analisi del 1998, “Il costo di Israele per i contribuenti degli Stati Uniti”, pubblicato nel Rapporto di Washington sugli Affari del Medio Oriente.

Israele ha una popolazione approssimativamente di 7,8 milioni, ovvero un milione di meno di quella dello Stato del New Jersey. E’ uno dei paesi più ricchi del mondo con un reddito pro capite simile a quello europeo. [1] Il tasso di disoccupazione di Israele, del 5,6%, è di gran lungo migliore di quello dell’America, del 9,1% [2], e il commercio netto di Israele, i guadagni e i pagamenti lo pongono nel mondo al 48° posto mentre gli Stati uniti sono piazzati a un misero 198° posto. [3]


Eppure Israele riceve circa il 10% del bilancio annuale relativo agli aiuti esteri degli Stati Uniti. [4] Infatti, gli americani hanno fornito a Israele più aiuti di quanti ne abbiano concessi a tutti i paesi dell’Africa sub-sahariana, dell’America Latina e dei Carabi messi insieme, che, nel complesso, hanno una popolazione di oltre un miliardo di persone. [5] E l’aiuto estero è solo una componente di quello che rappresenta il costo sbalorditivo della nostra alleanza con Israele.

Tenuto conto dell’enorme sacrificio, è fondamentale prendere in esame perché mai siamo così prodighi nel fornire un aiuto tanto grande a Israele e se vale la pena concedergli i tanto sudati proventi fiscali degli americani. Ma prima diamo un’occhiata a ciò che costa veramente la nostra alleanza con Israele.

Prima della guerra in Iraq del 2003

Aiuti esteri diretti

Secondo il Congressional Research Service, l’importo dell’aiuto ufficiale degli Stati Uniti a Israele a partire dalla sua fondazione nel 1948 oltrepassa i 112 miliardi di dollari, e negli ultimi anni è stato dell’ordine di 3 miliardi di dollari all’anno. [6] (Nel 2011, per esempio, questo è pari a oltre 8,2 milioni di dollari al giorno)

Ma questo denaro è solo una parte della storia. Per prima cosa, Israele percepisce l’aiuto in valuta all’inizio dell’anno, a differenza degli altri paesi. [7] Ciò è importante: significa che Israele può cominciare a percepire interessi sul denaro fin da subito. E viene a costare agli Stati Uniti più degli ordinari esborsi di fine anno in quanto il governo opera in condizioni di deficit, per cui deve prendere in prestito il denaro per pagare Israele e rimborsare poi, per tutto l’anno, gli interessi relativi a tale somma.

Israele è anche l’unico destinatario di un aiuto militare da parte degli Stati Uniti cui è consentito utilizzarne ogni anno una parte cospicua per l’acquisto di prodotti realizzati da società israeliane invece di quelle statunitensi. (I costi causati agli americani da questo extra, unico nel suo genere, vengono trattati successivamente.)

Inoltre, gli Stati Uniti versano circa 2 miliardi di dollari all’anno all’Egitto e alla Giordania, in pacchetti di aiuti in gran parte concordati per compensare trattati di pace con Israele. I trattati non prevedono che venga giustizia ai palestinesi, e sono quindi altamente impopolari tra le popolazioni locali. [8]

Come se non bastasse, gli Stati Uniti consegnano ogni anno circa mezzo miliardo di dollari all’Autorità Palestinese, [9] in gran parte utilizzato per ricostruire le infrastrutture distrutte da Israele e per sostenere una economia che è soffocata dall’occupazione israeliana. [10] Tutto ciò non sarebbe necessario se Israele ponesse fine all’occupazione e permettesse ai palestinesi di sviluppare un’economia funzionante e autosufficiente.

Tuttavia, c’è ancora molto di più per la storia, perché parte degli aiuti americani a Israele sono infossati nei bilanci di varie agenzie statunitensi, per lo più del Dipartimento della Difesa. Ad esempio, almeno dal 2006, il bilancio della Difesa americano ha inserito tra i 130 e 235 milioni di dollari all’anno per il programma di difesa missilistica di Israele. [11]

In tutto, gli esborsi diretti degli Stati Uniti a Israele ammontano a circa il 10% di tutti gli aiuti all’estero, anche se gli israeliani rappresentano solo lo 0,001% della popolazione mondiale. In altre parole, gli israeliani ricevono pro capite 10.000 volte di più in aiuto estero della media, nonostante il fatto che è una delle nazioni più ricche al mondo. [12] E tale percentuale cresce in modo significativo se si considerano gli esborsi all’Egitto, alla Giordania, all’Autorità Palestinese e le spese per la difesa di Israele.



Ulteriore supporto ad hoc per Israele

Il Dr. Thomas Stauffer, economista di Harvard e professore specializzato in studi sul Medio Oriente che per due volte ha prestato servizio presso l’Ufficio Esecutivo del Presidente, nel 2003, ha scritto per in Washington Report on Middle East Affairs una relazione dettagliata su tutte le componenti del costo per i contribuenti americani dell’alleanza con Israele. Egli ha riferito:

“Un altro elemento è un sostegno ad hoc per Israele che non fa parte dei programmi ufficiali di aiuti all’estero. Non è stata rilasciata pubblicamente alcuna stesura completa del supporto americano a Israele. Altri elementi noti includono le garanzie sui prestiti…contratti speciali per le aziende israeliane, trasferimenti legali e illegali [13] di tecnologia militare commercializzabile, esenzioni di fatto dalle disposizioni per la protezione commerciale e vendite sotto costo o trasferimenti gratuiti del “surplus” dell’equipaggiamento militare degli Stati Uniti. Un fattore non quantificabile è dato dalle sovvenzioni al commercio o di altro tipo date alla Romania e alla Russia per agevolare la migrazione ebraica in Israele; che è venuto ad ammontare a diversi miliardi di dollari”. [14]

Israele ha usato spesso il suo accesso privilegiato alla tecnologia militare statunitense sia contro l’interesse del governo che delle aziende statunitensi. Nel 2002, secondo l’Associated Press, “Negli ultimi anni, le aziende israeliane hanno scalzato in Francia, Turchia, Paesi Bassi e Finlandia aziende americane sul tipo della Raytheon, Northrop Grumman e General Atomics nei contratti di armamenti del valore di centinaia di milioni di dollari. L’ironia, dicono gli esperti, sta nel fatto che decine di miliardi di dollari dei contribuenti USA e i trasferimenti di tecnologia militare americana hanno contribuito a creare e a far crescere l’industria di Israele, sovvenzionando a tutti gli effetti un concorrente straniero.”

L’articolo di AP ha citato un vice presidente delle Aerospace Industries Association of America, che senza mezzi termini ha dichiarato: “Diamo loro soldi per costruire cose per sé e i contribuenti americani non ottengono nulla in cambio”. [15]

Nel frattempo, secondo il Christian Science Monitor, Israele ha pure “bloccato alcune importanti vendite di armi americane, come gli aerei da caccia F-15 all’Arabia Saudita a metà degli anni ’80. Il che comporta un costo di 40 miliardi di dollari in dieci anni.” [16]

E peggio ancora, armi israeliane “vanno a rafforzare gli arsenali di nazioni come la Cina, che gli Stati Uniti considerano avversari strategici, destando preoccupazione negli strateghi militari,” ha continuato l’articolo dell’AP. “[Nel 2001] aerei da sorveglianza statunitensi che volavano lungo la costa della Cina sono stati minacciati da caccia cinesi armati di missili israeliani….Se i piloti dei caccia cinesi avessero ricevuto l’ordine di sparare, avrebbero potuto abbattere gli aerei degli Stati Uniti con missili israeliani Python III….I comandanti statunitensi della difesa sostengono che Israele ha venduto i missili alla Cina senza informare gli Stati Uniti”. [17]

Posti di lavoro persi, commercio e reputazione

Uno dei costi indiretti più devastanti dell’alleanza degli Stati Uniti con Israele è stato il boicottaggio petrolifero arabo del 1973. Gli Stati arabi imposero il boicottaggio per protestare contro il sostegno dato dagli americani a Israele durante la guerra del 1973, nella quale i paesi arabi avevano attaccato Israele per cercare di riconquistare le terre che Israele aveva invaso e occupato nel 1967.

Nel Washington Report on Middle East Affairs, Stauffer scrisse: “L’intervento di Washington ha dato il via a un embargo arabo sul petrolio che ha un doppio costo per gli Stati Uniti: in primo luogo, a causa della carenza di petrolio, gli Stati Uniti hanno perso circa 300 miliardi di dollari equivalenti a 600 miliardi del PIL, e, in secondo, si sono visti accollati ulteriori 450 miliardi di dollari per l’aumento dei costi di importazione del petrolio”. [18]

Poi c’è il costo in posti di lavoro persi. “La politica statunitense e le sanzioni commerciali ridussero le esportazioni americane in Medio Oriente di circa 5 miliardi di dollari all’anno, corrispondenti al costo di 70.000 posti di lavoro negli Stati Uniti, “ stima Stauffer. “La mancata richiesta ché Israele utilizzi gli aiuti statunitensi nell’acquisto di prodotti americani, com’è in uso nel caso degli aiuti esteri, è venuta a costare altri 125.000 posti di lavoro”. [19]

Ma forse il costo più deleterio è stato causato dal venir meno della presenza degli Stati Uniti nel mondo arabo e musulmano, dove l’indulgenza americana nei confronti di Israele, tutte le volte che questi si rende responsabile di violazioni dei diritti umani, [20] suscita un profondo risentimento. “Per molti musulmani del mondo, ciò pone il contribuente statunitense dalla parte di Israele per ciò che riguarda i suoi conflitti con gli arabi”, ha osservato l’articolo dell’Associated Express. [21]

Secondo Stephen Walt, docente ad Harvard, “La Commissione 9/11 ha riferito che ‘l’ostilità nei confronti degli Stati Uniti del cospiratore del 9/11 Khalid Sheikh Mohammed non deriva dalla sua esperienza vissuta là come studente, ma piuttosto dal suo ardente dissenso nei confronti della politica estera degli Stati Uniti a favore di Israele.’ Altri terroristi anti-americani - come Ramzi Yousef, che nel 1993 eseguì l’attentato al World Trade Center – hanno fornito spiegazioni simili della loro collera nei confronti degli Stati Uniti”. [22]

Ci sono molte più categorie potenziali di costi, che sono estremamente difficili da quantificare. Tutto sommato, Stauffer stima in circa 1.600 miliardi di dollari il costo di Israele per gli Stati Uniti, nell’intervallo di tempo tra il 1973 e il 2003, più del doppio del costo della guerra in Vietnam. [23]

Costi dallo studio di Stauffer del 2003

Fin dall’indagine di Stauffer del 2003, il costo di Israele per i contribuenti americani è rimasto elevato. Attualmente, gli Stati Uniti forniscono a Israele 3 miliardi di dollari in media all’anno in aiuti militari, in virtù di un accordo sottoscritto dall’amministrazione Bush di trasferire a Israele 30 miliardi di dollari in dieci anni, a partire dal 2009.[24]

Restano tutti gli altri costi e gli extra, e in alcuni casi dal 2003 sono aumentati. Ad esempio, il quotidiano israeliano Haaretz ha riferito che “Nonostante un clima economico difficile e la previsione di tagli di bilancio USA – comprese decurtazioni drastiche al bilancio militare – nell’anno fiscale 2012, il parlamento statunitense fornirà 236 milioni di dollari all’anno per lo sviluppo di tre programmi missilistici di difesa”.

Inoltre, il governo degli Stati Uniti, “ha messo a disposizione 205 milioni per supportare l’Iron Dome, prodotto dalla società statale israeliana Raphael Defense Advanced System Ltd. Il sistema utilizza piccoli missili a guida radar per fare esplodere in volo razzi del tipo Katyusha con una gittata dalle 3 alle 45 miglia, come pure bombe da mortaio….Una legislazione che proseguisse con una Camera dei Rappresentanti controllata dai repubblicani metterebbe a disposizione ulteriori 680 milioni di dollari fino al 2015 per il sistema Iron Nome.” [26]

E se, come molti esperti ritengono, gli Stati Uniti non avessero invaso l’Iraq senza la pressione intensa e prolungata di membri di Washington che ne sono gli strenui propugnatori per conto di Israele, [27] il fatto verrebbe ad aggiungere un’altra dimensione del costo sbalorditivo per l’equazione: “centinaia di miliardi di dollari, oltre 4.000 vittime americane e alleate, incalcolabili decine di migliaia di morti iracheni, e molte migliaia di altri americani, alleati e iracheni feriti”, secondo Shirl McArthur, funzionario in pensione del servizio esteri degli Stati Uniti. [28]

Il vincitore del Premio Nobel per l’economia, Joseph Stiglitz e la professoressa di Harvard Linda Bilmes hanno fissato il costo della guerra in Iraq a circa 3 trilioni di dollari, molto difficile da calcolarsi se si tiene conto dei costi delle risorse spese per questa guerra sterile. Ad esempio, i prezzi del petrolio più elevati a causa della guerra hanno avuto un impatto devastante sull’economia americana, e così è stato per il brusco aumento del debito federale e il suo ripianamento. Senza la guerra, quasi di certo la crisi finanziaria del 2008 non sarebbe stata così grave, e la guerra in Afghanistan molto probabilmente sarebbe stata più breve, più economica e più efficace [29]

La lobby israeliana e i faziosi si fanno attualmente in quattro per una guerra con l’Iran, con lo stesso zelo che hanno mostrato nel periodo che ha preceduto l’invasione dell’Iraq nel 2003.[30] Secondo tutte le valutazioni, i costi di una guerra con l’Iran saranno molto più alti di quelli per la guerra in Iraq. Oltre alla perdita di vite umane, gli analisti prevedono, per esempio, che se la produzione petrolifera iraniana venisse eliminata dal mercato mondiale, i prezzi del gas salirebbero del 25 – 70 %.

Se gli stretti di Hormuz (stretti adiacenti all’Iran attraverso i quali passa il 20 % della produzione mondiale di petrolio su base giornaliera) venissero attaccati e bloccati, il costo del petrolio salirebbe alle stelle, a un livello mai raggiunto prima, e la recessione economica o la depressione che seguirebbero sarebbero a dir poco “apocalittiche”, secondo quanto scrive per SlateMatthew Yglesias. [31]



Ragioni e conseguenze

Così siamo tornati alla questione del perché l’America continua a versare denaro a uno stato che commette quotidianamente violazioni dei diritti umani, sfida gli interessi strategici degli Stati Uniti, [32] provoca rabbia e risentimento in miliardi di persone, [33] entra in competizione ed emargina gli interessi statunitensi utilizzando tecnologia sovvenzionata dai contribuenti americani e vende segreti militari degli Stati Uniti ai suoi nemici. [34]

La risposta è semplice e ben riassunta dai professori Stephen Walt e John Mearsheimer nel loro articolo innovativo sul London Review of Books, “The Israel Lobby”, [35] e nel loro libro La Lobby Israeliana e la Politica Estera degli Stati Uniti. [36]

“Perché gli Stati Uniti sono disposti a mettere da parte la propria sicurezza e quella di molti dei suoi alleati, al fine di promuovere gli interessi di un altro stato?” Si chiede l’articolo.”Si potrebbe supporre che il legame tra i due paesi sia basato sulla condivisione di interessi strategici o di irrefutabili imperativi morali, ma nessuna spiegazione può giustificare il notevole livello del sostegno materiale e diplomatico fornito dagli Stati Uniti.”

“Invece, il senso della politica americana nella regione deriva quasi interamente dalla politica interna, e in particolare dall’attività della ‘lobby israeliana’. Altri rappresentanti di gruppi speciali sono riusciti a distorcere la politica statunitense, ma nessuna lobby è riuscita ad allontanarla da ciò che suggerisce l’interesse nazionale, e al contempo convincere gli americani che gli interessi degli Stati Uniti e quelli degli altri paesi – in questo caso Israele – sono sostanzialmente identici. [37]

L’AIPAC, l’American Israel Public Affaire Committee è costantemente classificata tra le prime due lobby più potenti di Washington. [38] Ed è solo un braccio della molto più grande, multiforme e ben finanziata lobby israeliana. [39]

Secondo il deputato Jim Moran, “l’AIPAC è molto ben organizzata. I membri sono disponibili a essere molto generosi per ciò che riguarda il loro patrimonio personale. Ma è una spada a due tagli. Se si scavalca l’AIPAC, essa non perdona e ti distruggerà politicamente. I loro mezzi di comunicazione, i loro legami con alcuni giornali e riviste, e le persone nei media sono notevoli e intimidatori. Ogni [membro] del congresso sa che è la meglio organizzata forza lobbystica nazionale”. [40]

Il senatore Joseph Lieberman ha dichiarato con orgoglio: “ Ogni tentativo di fare pressione su Israele per costringerlo al tavolo delle trattative con il negargli il sostegno, non passerà al Congresso….Il Congresso reagirà contro ogni tentativo di farlo”. [41]

E’ vero: il Congresso degli Stati Uniti, insieme all’esecutivo, supporta in pratica nella stragrande maggioranza qualsiasi iniziativa o desiderio del governo israeliano, non importa quanto sia in contrasto con l’interesse nazionale o della sicurezza degli Stati Uniti, [42] a causa, in primo luogo, del potere della lobby israeliana. [43]


Anche quando, nel 2005, due impiegati dell’AIPAC furono incriminati con l’accusa di spionaggio, essendo stato constatato che avevano ottenuto illegalmente informazioni classificate del governo degli Stati Uniti e le avevano inoltrate ad agenti israeliani, le accuse vennero fatte decadere, senza fare rumore, sulla base di motivi formali. [44] L’AIPAC licenziò i due dipendenti, e rilasciò una dichiarazione secondo la quale erano stati rimossi perché le loro azioni non si confacevano agli standard dell’AIPAC.[45] Uno dei dipendenti allontanati, Steven Rosen, ha intentato una causa di diffamazione, sostenendo che il suo operato era prassi comune nell’AIPAC. [46]

Quando, nel 1967, Israele ha tentato di affondare una nave della marina statunitense, la USS Liberty, uccidendo 34 americani e ferendone più di 170, il fatto non è riuscito comunque ad intaccare il sostegno a Israele. [47] Anzi, l’anno successivo gli aiuti sono quadruplicati. [48]

Sebbene gli uomini del Congresso ricevano ricompense e appoggio da parte della lobby in cambio della loro fedeltà, è al contribuente americano che viene lasciato il conto da pagare. Come descritto in precedenza, a partire dal 1948 il costo totale è andato da un minimo di 112 miliardi di dollari (il costo dei soli aiuti esteri) a 1,6 trilioni di dollari o più, calcolando gli stanziamenti per la difesa, per la crisi petrolifera, l’affondamento della USS Liberty, l’accresciuto rischio del terrorismo, il mercato perso, la tecnologia co-optata e gli innumerevoli altri fattori. Se nei calcoli si aggiungono la guerra all’Iraq e l’aumentato rischio di una guerra con l’Iran, il costo sale ancor più in alto delle stelle.

I critici sottolineano quanto più luminoso sarebbe stato il nostro futuro se avessimo investito questi miliardi o migliaia di miliardi nella cura e riabilitazione dei reduci, nell’istruzione, nella creazione di posti di lavoro, nell’assistenza sociale, negli alloggi, nel disinquinamento e nella tutela dell’ambiente, in strade, ponti, assistenza sanitaria e nella ricerca scientifica e sanitaria. O se semplicemente gli americani si fossero tenuti i dollari delle loro tasse e li avessero usati come meglio credevano nella propria economia. Se alcune delle stime più alte sono più prossime al segno, il nostro sostegno a Israele avrebbe potuto coprire facilmente il salvataggio TARP* di 700 miliardi di dollari con in più un avanzo abbastanza grande per un massiccio stimolo della spesa e/o per agevolazioni fiscali.

Se Israele stesse utilizzando questi fondi a fin di bene, si potrebbe discutere se il prezzo ne valeva la pena. Ma Israele usa la maggior parte del denaro per prolungare i 45 anni di occupazione militare (la qual cosa comporta regolarmente gravi violazioni del diritto internazionale), [49] commettere eclatanti violazioni dei diritti umani, [50] distruggere abitazioni e infrastrutture palestinesi del valore di miliardi di dollari [51] (con il risultato di dover inviare ai palestinesi per la ricostruzione di case, ospedali e scuole demolite ancor più soldi tratti dalle tasse degli Stati Uniti), mentre continua la costruzione su terra palestinese di colonie illegali per soli ebrei. [52]

Il tutto rende la prospettiva di pace sempre più lontana, crea una pericolosa ostilità nei confronti degli Stati Uniti, che mette in pericolo gli americani, e contribuisce a che il Congresso degli Stati Uniti violi l’ Arms Export Control Act, [53] tutto per ottenere dei contributi elettorali.

Non c’è alcuna buona ragione per continuare a buttare denaro buono divenuto cattivo in una politica fallita e senza fondamento. Il tempo passato per un ripensamento sostanziale dell’assegno in bianco del governo americano a Israele è lungo.

* [TARP: Troubled Asset Relief Program, insieme di misure governative varate nel 2008 per far fronte alla crisi dei mutui subprime. N.d.t.]

#

Questo rapporto è stato redatto dagli analisti di if Amaricans knew, e in particolare da Pamela Olson, President’s Scholar alla Stanford University, 1998 – 2002, con una specializzazione in Fisica e Scienze Politiche come materia complementare, e 1.600 di punteggi GRE. Prima di entrare in IAK, la Olson ha vissuto e lavorato in Cisgiordania, come ricercatrice a Mosca, in Siberia e in Cina ed era analista di ricerca presso l’Intitute for Defence Analysis. E’ autrice di Fast Times in Palestine .

Questa analisi è un aggiornamento del lavoro innovativo di Richard Curtiss, “The Cost of Israel to U.S. Taxpayers”, del 1998, pubblicato nel Washington Report on Middle East Affairs. Curtiss, dopo il servizio militare nella seconda guerra mondiale, è stato impiegato per 30 anni come career Foreign Service Officer. Ha ricevuto il premio U.S. Information Agency’s Superior Honor e il premio Edward R. Murrow for excellence in Public Diplomacy, il riconoscimento professionale più alto dell’USIA. E’ autore di due libri sulle relazioni USA – Medio Oriente.



QUANTO COSTA ISRAELE AGLI USA E QUANTO GLI COSTANO GLI ALTRI

https://www.facebook.com/photo.php?fbid ... 4575318063

A volte, i nemici di Israele, tra le tante balle che raccontano, raccontano anche quella della speciale protezione economica che Israele godrebbe da parte degli Stati Uniti, suo alleato principale. Tale favoritismo americano nei confronti del piccolo stato ebraico sarebbe una prova di quanto la fantomatica “lobby ebraica”, la versione moderna dei Savi di Sion, agisca sugli USA per influenzarne la politica e fargli sganciare molti soldi. Questa fantasia, una delle tante su Israele, è però sostanzialmente falsa.

L’ultimo stanziamento che gli Stati Uniti hanno predisposto per la sicurezza di Israele consta di un pacchetto decennale per l’ammontare di 36 miliardi di dollari, in altre parole 3 miliardi di dollari all’anno.

Il Giappone riceva uno stanziamento annuale di 27 miliardi di dollari, nove volte di più di quanto riceva Israele in un anno. In Giappone è stanziale un personale militare di 48, 828 unità. Segue la Germania, con un pacchetto annuale di 21 miliardi di dollari. In Germania sono stanziali 37, 704 unità militari. Anche la Corea del Sud supera abbondantemente Israele, con un budget di aiuti che arriva a 15 miliardi di dollari, per 27,533 unità militari sul terreno. L’Italia, sì, l’Italia riceve dagli Stati Uniti, 6 miliardi di dollari l’anno, il doppio esatto di Israele.

Ma c’è ne è anche per gli stati lillipuziani del Golfo come il Kuwait e il Bahrain che ricevono un aiuto militare pari a quello dello Stato ebraico.

Questi costi non includono, naturalmente, le enormi spese per la viglilanza che gli Stati Uniti esercitano nelle acque baltiche e in quelle cinesi a protezione degli alleati americani in Europa e nel Pacifico. Nessuna spesa del genere viene esercitata a vigilanza di Israele, il “preferito”.

Ma la fantasia galoppa nelle praterie dell’immaginazione dove Israele è il protetto principale degli USA, ne condiziona la politica e incassa più di tutti.
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Re: Ixrael e USA

Messaggioda Berto » gio feb 16, 2017 12:04 pm

Trump riceve Netanyahu alla Casa Bianca e rinsalda l'asse con Tel Aviv: "Faremo di tutto contro le armi nucleari dell'Iran"
Orlando Sacchelli - Mer, 15/02/2017

https://www.google.it/search?newwindow= ... l+giornale

Si rinsalda l'asse tra Washington e Tel Aviv. A ribadirlo, nel corso di una conferenza stampa dopo l'incontro alla Casa Bianca, è il presidente Usa Donald Trump, seguito a ruota dal premier israeliano Benjamin Netanyahu.

Per prima cosa Trump rassicura lo storico alleato americano, promettendo che farà di tutto per impedire che l’Iran riesca ad ottenere la bomba atomica. Tra l'altro, come aveva fatto diverse volte anche in campagna elettorale, ha definito quell’accordo "uno dei peggiori che abbia mai visto". Trump inizia l'incontro coi giornalisti stendendo il tappeto rosso a Netanyahu: "Ho l'onore di accogliere il mio amico, il premier Netanyahu, alla Casa Bianca. Con questa visita gli Stati Uniti ribadiscono il loro vincolo inscindibile con il nostro più caro alleato, Israele". Archiviati, dunque, i vecchi dissapori tra Israele e l'amministrazione americana, esplosi negli ultimi anni dell'era Obama.

Il premier israeliano si trova a suo agio ed è lieto del rilancio della vecchia amicizia con gli Stati Uniti: "Israele non ha un alleato migliore degli Usa e io voglio assicurare che gli Stati Uniti non hanno alleato migliore di Israele" . E che il rapporto tra i due Stati sia destinato a rinsaldarsi emerge a chiare lettere da queste parole: "L'alleanza fra Stati Uniti e Israele è stata incredibilmente forte - dice Trump- ma con la sua leadership ho fiducia che diventerà ancora più forte" . E Netanyahu risponde così: "Sono ansioso di lavorare con lei, per rafforzare la collaborazione" in diversi settori, fra cui anche quelli di "informatica e tecnologia".

In un passaggio del suo discorso Trump bacchetta l'Onu: "Respingiamo le azioni unilaterali contro Israele da parte delle Nazioni unite - dice a chiare lettere - che a mio avviso lo hanno trattato in modo ingiusto, così come quelle in altri forum o i boicottaggi". Trump prende spunto dalla recente risoluzione con cui il Consiglio di Sicurezza, il 23 dicembre scorso, ha condannato la costruzione e l’ampliamento degli insediamenti nei territori palestinesi occupati: nell’occasione gli Stati Uniti, allora ancora guidati da Obama, per una volta si astennero anziché esercitare il proprio (usuale) diritto di veto a favore del tradizionale alleato. "Ecco una ragione in più", sottolinea Trump, "per cui noi respingiamo le azioni inique e parziali contro Israele alle Nazioni Unite, che a mio avviso hanno trattato Israele molto, molto ingiustamente"

Nel negoziato di pace tra Israele e palestinesi, "entrambe le parti dovranno fare dei compromessi", sottolinea il presidente Usa rivolgendosi al leader israeliano. Poi, rispondendo ad una specifica domanda (possibile una soluzione a due Stati?), Trump mette le mani avanti: "La soluzione dei due Stati non è l’unica soluzione", poi si è detto aperto ad un piano di pace israelo-palestinese basato su altro: "La soluzione dei due Stati? Se loro sono felici, anche io lo sono. Io prendo in considerazione la (soluzione) due stati e uno Stato. A me piace quella che piace ad entrambe le parti". Al contempo Trump ha detto che preferirebbe che Israele "fermasse l’espansione dei suoi insediamenti per un po' di tempo". E la risposta di Netanyahu non si fa attendere: "La Palestina deve riconoscere lo stato degli ebrei, ma per ora i pre-requisiti per arrivare a una pace sono stati negati dalla Palestina. Questo è l’elemento del conflitto, ma questa condizione deve cambiare, voglio che cambi".

Da parte sua Trump ha tenuto a precisare che i palestinesi devono "sbarazzarsi dell'odio" che viene insegnato loro "sin da piccoli". E rivolgendosi a Israele ha detto che deve mostrare "una certa flessibilità" per arrivare a un accordo di pace. Il presidente americano ha poi ribadito quanto già espresso in passato: "Per quanto riguarda il trasferimento dell'ambasciata a Gerusalemme, mi piacerebbe che accadesse. Ce ne stiamo occupando con molta, molta energia. Ce ne occupiamo con molto, molto impegno, credetemi. Vedremo cosa succederà".

Intanto si è sparsa la voce - ovviamente non confermata - che in gran segreto il capo della Cia, Mike Pompeo, in gran segreto abbia incontrato Abu Mazen a Ramallah. L'indiscrezione viene fatta in via riservata da fonti di rango elevato in seno alla stessa Anp, citate dall’agenzia di stampa ufficiale palestinese "Maan", e in Israele dal quotidiano "Haaretz" e dal notiziario on-line "YnetNews". Da Pompeo sarebbero arrivati non meglio precisati "messaggi rassicuranti" per l’interlocutore a proposito della cosiddetta "soluzione dei due Stati": cioè della futura convivenza pacifica tra lo stato ebraico e la costituenda entità palestinese.
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Re: Ixrael e USA

Messaggioda Berto » gio feb 16, 2017 12:07 pm

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Re: Ixrael e USA

Messaggioda Berto » ven feb 17, 2017 9:52 pm

Usa-Israele, la svolta

di Fiamma Nirenstein • Pubblicato 16 febbraio 2017
http://www.italiaisraeletoday.it/usa-israele-la-svolta


L’East Room alla Casa Bianca è solo per le grandi occasioni, giammai Benjamin Netanyahu ci ha messo piede al tempo di Obama: ieri invece qui si è svolta la conferenza stampa congiunta di Donald Trump col leader israeliano. Le strette di mano, gli abbracci delle mogli, gli accenni entusiastici a un futuro di successo per la pace forse non rappresenteranno la soluzione dell’annosa questione israelo-palestinese, ma segnano una grande svolta. Forse più importante dei programmi, che il Medio Oriente costruisce spesso sulla sabbia, è il fatto che finalmente, dopo Obama, gli Usa e Israele tornano ad essere i grandi amici di sempre. I due leader hanno sottolineato l’identità nei valori e negli intenti con vero calore, le mogli si sono sorrise contente, e questa è la tessera più importante nel mosaico mediorientale striato dal sangue del terrorismo.

Le due maggiori forze antiterroriste sono di nuovo insieme, proprio qui dove si è sviluppata la più disastrosa fra le politiche di Obama, che ha portato a centinaia di migliaia di morti, ha fomentato lo scontro sciita-sunnita, ha dato fuoco alle polveri delle ambizioni imperialiste iraniane e degli Hezbollah mentre l’Isis arrotava i coltelli, ha spinto alla fuga milioni di profughi e ha lasciato crescere il terrorismo mentre la Russia approfittava del caos.

Trump ha descritto Israele come l’eroe della sopravvivenza del popolo ebraico alle persecuzioni antisemite, della sua presenza millenaria nell’area, come combattente di prima fila contro il terrorismo. L’islam politico è stato chiamato per nome e cognome dai due leader, decisi a combatterlo. I due leader hanno toccato in maniera simile e assertiva tutti i temi più importanti. Processo di pace: Trump vuole avere successo dove nessun altro è riuscito, il suo piano è non inside out ma out inside. Cioè, vuole placare il conflitto israelo-palestinese partendo dal mondo arabo, e non viceversa, come Obama e l’Europa. Prevede sorprendenti sviluppi provenienti da un nuovo clima coi sunniti moderati, e anche Netanyahu spiega che ormai il mondo arabo moderato è pronto. Gli insediamenti, i confini vengono lasciati all’incontro decisivo fra le parti, anche se Trump si aspetta compromessi da parte di Israele.

Nello stesso tempo accusa duramente la politica di odio nelle scuole e nella propaganda palestinesi. Netanyahu ripete le sue condizioni: i palestinesi accettino l’esistenza dello Stato ebraico e non si oppongano al controllo di sicurezza israeliano nella valle del Giordano, che di fatto è la barriera indispensabile contro il terrorismo.

Gerusalemme: Trump valuta con grande attenzione la possibilità di trasferire l’ambasciata. L’Iran è l’altro elemento centrale: «Il peggiore di tutti gli accordi possibili», così Trump definisce di nuovo gli accordi di Obama, e annuncia possibili nuovi sanzioni. Anche Netanyahu denuncia il ruolo dell’Iran nel terrorismo internazionale e di pericoloso mestatore in Medio Oriente.

La svolta di Trump nasce dall’idea che la pace è sempre stata inseguita e mai raggiunta perché puntava su un’inesistente decisione palestinese di dividere con gli ebrei la terra da cui hanno invece sempre sognato di espellere lo Stato di Israele: a lui quindi non importa se si arriverà a due Stati, uno Stato… e l’ha detto. Gli interessa il business della pace, e il successo di quello che considera un amico caro e leale, Israele. Una visione semplice che può, se cavalcata a dovere, consentirgli una posizione rivoluzionaria di successo.

La fase Obama ha sempre segnalato disapprovazione, nervosismo, insofferenza, disgusto per Israele. Insomma una profonda dissonanza: ma il popolo americano è sempre stato filoisraeliano per il 62 per cento, e solo per il 15 per cento filopalestinese secondo l’indagine Gallup. Non si è mai sognato di considerare gli insediamenti un problema mortale. Trump in sostanza è libero di immaginare con Netanyahu scenari che tengano conto del trauma terrorista di cui i palestinesi sono parte, e che rappresentino, invece che fantasmi di soluzioni impossibili, pure scuse per l’antisemitismo, vere ipotesi concrete. E ce ne sono.
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Re: Ixrael e USA

Messaggioda Berto » gio feb 23, 2017 9:43 pm

IL VICE PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI: “IN AMERICA NON C’E’ POSTO PER L’ODIO, IL PREGIUDIZIO E LA VIOLENZA ANTISEMITA”
Ieri il Vice Presidente degli Stati Uniti Mike Pence, si è presentato a sorpresa nel cimitero ebraico di St. Louis che lunedì scorso è stato profanato causando danni a quasi 200 tombe. Dopo aver espresso la sua solidarietà alla comunità ebraica, ha preso il rastello e ha iniziato a pulire il cimitero per rendergli il giusto onore.

https://www.facebook.com/IsraelAkshav/v ... 2160558230
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Re: Ixrael e USA

Messaggioda Berto » gio ott 05, 2017 7:04 am

Mike Pence: lo spostamento dell'ambasciata americana a Gerusalemme è solo questione di tempo

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 3229292701

Nella giornata di lunedì, durante il 12° Summit annuale di Christians United for Israel (CUFI) tenutosi a Washington il Vicepresidente statunitense ha dichiarato:

"Lasciatemi dire senza freni a tutti i presenti e a coloro che ci seguono da tutto il mondo, che il Presidente Donald J. Trump ed io siamo con Israele senza se e senza ma. Così sarà in futuro e per sempre. La ragione per cui io e il Presidente manterremo questa posizione è che la causa di Israele è la stessa degli Stati Uniti e di chiunque ami la libertà. I valori di Israele sono i nostri valori, la sua lotta è la nostra lotta"

Ha anche espresso la posizione della Presidenza sullo spostamento dell'ambasciata americana in Israele a Gerusalemme.

"Vi prometto che arriverà il giorno in cui il Presidente Donald Trump sposterà l'ambasciata a Gerusalemme. La cosa non è mai stata messa in discussione. È solo questione di tempo."


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Re: Ixrael e USA

Messaggioda Berto » gio ott 05, 2017 7:05 am

Ecco la prima base USA in Israele
data: 02-10-2017 a cura di: Marco Giulio Barone

http://www.portaledifesa.it/index~phppag,3_id,1968.html

Il 18 settembre gli Stati Uniti hanno ufficialmente comunicato la loro prima presenza permanente in territorio israeliano, la Site 883 Life Support Area. Una piccola cerimonia si è tenuta sulla base militare di Mashabim, nel deserto del Negev, che già ospita altri reparti dell’Israeli Air Defense Command (il comando della difesa aerea israeliana che gestisce la difesa missilistica).
Il complesso statunitense comprende alcune palazzine destinate ad ospitare i militari dello U.S. European Command (EUCOM) che gestiscono il radar mobile antimissile AN/TPY-2, schierato nel Negev dal 2009.

Questo personale, nei fatti, in precedenza operava come "ospite" senza uno status ufficiale, mentre adesso agisce a tutti gli effetti sotto la bandiera americana. Sebbene si tratti di un sedime piccolo, in grado di accogliere tra i 40 e i 100 uomini, sia Israele che gli Stati Uniti hanno enfatizzato molto l’evento, il quale è il punto di arrivo di una serie di accordi stipulati con il Presidente Obama a partire 2008, e confermati nel tempo. Gli ufficiali israeliani hanno parlato di “base statunitense” in territorio israeliano, mentre gli Stati Uniti hanno cautamente precisato che si tratta di una “facility logistica” all’interno di una base israeliana. Poco cambia, in realtà, sul ruolo statunitense in Israele, specialmente da quando è stato schierato il radar. Infatti, sebbene almeno parte del contingente si stabilirà nei pressi del kibbuz di Mashabei Sadeh, la posizione reale del radar è poco chiara. Alcune fonti lo riportano presso la facility radio di Dimona, altre presso la base aerea di Ramon, altre ancora presso la base aerea di Nevatim o addirittura presso una postazione fissa dell’intelligence israeliana sul monte Keren. Più probabilmente, il sistema non ha una postazione unica e si sposta periodicamente proprio per non dare punti di riferimento. L’AN/TPY-2 è un radar mobile in banda X ad altissima risoluzione e lungo raggio. Il sistema è autocarrato e comprende una grande antenna rettangolare con superficie di oltre 9 m2 (contenente oltre 25.000 moduli), un centro comando, generatori di energia, modulo supporto tecnico e alcuni container logistici, cui si aggiungono i veicoli di una piccola scorta. Tutto è costruito per operare in condizioni climatiche estreme, incluso l’ambiente desertico. Il TPY-2 può operare in 2 modalità: “forward-based mode”, in funzione di sorveglianza e pre-allarme a livello regionale, e “terminal mode”, ovvero asservito al sistema anti-missile Terminal High Altitude Area Defense (THAAD), per intercettare i missili balistici nella fase terminale del rientro in atmosfera. L’AN/TPY-2 presente nel Negev è utilizzato in modalità forward-based, configurazione che permette di acquisire, tracciare, discriminare, classificare, identificare e calcolare la traiettoria di minacce balistiche di ogni natura (SRBM, MRBM, IRBM e LRBM) a partire dalla fase di lancio. In questa modalità, il raggio d’azione del radar supererebbe i 5.000 km contro i “soli” 1.000 km di quando utilizzato in “terminal mode”. La grande portata consentirebbe agli Stati Uniti di scoprire il lancio di un missile balistico 6-7 minuti prima dei radar GREEN PINE/SUPER GREEN PINE israeliani (accreditati di 500 e 8-900 km rispettivamente) che servono le batterie del sistema antimissile ARROW-2/3, raddoppiandone il preavviso – gli israeliani avrebbero 11-13 minuti per reagire invece di 5-6. Resta, tuttavia, da capire se il mega complesso early warning israeliano bibanda (UHF/S) TERRA sia effettivamente già in servizio oppure no. Tornando al TPY-2, la gestione delle informazioni rimane esclusivamente statunitense considerato che il sensore rappresenta uno dei nodi della BMD (Ballistic Missile Defense) americana, integrato grazie al Command and Control, Battle Management and Communications (C2BMC) della Missile Defense Agency (MDA). E’ probabile che le 2 vistose antenne fisse installate a sudovest del Negev Nuclear Research Center servano proprio ad assicurare (o facilitare) il collegamento diretto e continuo tra il TPY-2 e gli Stati Uniti. In caso di lancio, sarebbe quindi la catena di comando statunitense ad avvertire prontamente gli israeliani della minaccia in arrivo, migliorando ulteriormente la già impressionante reattività delle batterie ARROW-2/3 e DAVID’S SLING. In questo modo gli Statunitensi si garantiscono il diretto e completo flusso di informazioni, mentre gli Israeliani si assicurano che gli Stati Uniti siano coinvolti fin dalle prime fasi di un confronto militare di questo livello.
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Re: Ixrael e USA

Messaggioda Berto » mer feb 14, 2018 8:31 am

Il Pentagono, “Siamo con Israele Pieno diritto all’autodifesa”
di Gianpaolo Santoro · 11 febbraio 2018

http://www.italiaisraeletoday.it/il-pen ... autodifesa

Un portavoce del Pentagono sabato ha detto che gli Stati Uniti “appoggiano pienamente” il diritto di Israele all’autodifesa e “condividono” le preoccupazioni che l’Iran sta destabilizzando il Medio Oriente.

In una dichiarazione, il portavoce del Pentagono Adrian Rankine-Galloway ha dichiarato: “Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti non ha partecipato a questa operazione militare. Israele è il nostro più vicino partner per la sicurezza nella regione e sosteniamo pienamente il diritto intrinseco di Israele di difendersi dalle minacce al suo territorio e alla sua popolazione.

“Condividiamo – ha continuato Rankine-Galloway – le preoccupazioni di molti in tutta la regione che le attività destabilizzanti dell’Iran che minacciano la pace e la sicurezza internazionale, e noi cerchiamo una maggiore risoluzione internazionale nel contrastare le attività maligne dell’Iran”.

Nel frattempo, la portavoce del Dipartimento di Stato Heather Nauert ha dichiarato: “Gli Stati Uniti sono profondamente preoccupati per l’escalation di violenza al giorno d’oggi sul confine di Israele e sostengono fortemente il diritto sovrano di Israele di difendersi. L’escalation della minaccia di espansione dell’Iran mette a rischio tutta la popolazione della regione, dallo Yemen al Libano.Gli Stati Uniti continuano a respingere la totalità delle attività maligne dell’Iran nella regione e chiedono la fine del comportamento iraniano che minaccia la pace e la stabilità”.


Iran, ebrei in Iran, persecuzione, guerra a Israel
viewtopic.php?f=197&t=2237

Islam scita, Iran e ebrei
viewtopic.php?f=188&t=2221

Palestina: le ragioni di Israele
viewtopic.php?f=197&t=2271
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