Palestina: Le ragioni di Israele

Palestina: Le ragioni di Israele

Messaggioda Berto » dom apr 01, 2018 5:03 pm

I soldati israeliani che hanno ucciso questi terroristi sono eroi
Riccardo Ghezzi
1 aprile 2018

http://www.linformale.eu/soldati-israel ... -sono-eroi

Durante l’estate del 2014, mentre era in corso l’operazione Margine di Protezione, l’ultimo conflitto diretto tra Israele e Hamas, il filosofo Gianni Vattimo affermava durante una trasmissione radiofonica di stare dalla parte del gruppo integralista islamico.

Vattimo è solo uno della schiera degli intellettuali europei e più in generale occidentali che hanno girato le spalle a Israele per abbracciare il jihadismo scambiandolo per “resistenza” nei confronti dell’oppressore. Si tratta di una capitolazione radicale dell’intelletto che vanta nomi illustri e che nel passato, sia a destra come a sinistra si è votato, da Sartre a Saramago, da Céline a Hamsun da Neruda a Schmitt, alle ragioni del totalitarismo nazista e comunista.

Oggi che nazismo e comunismo hanno terminato la loro corsa, (anche se il secondo continua come uno zombie a ripresentarsi sullo scenario della storia), resta pur sempre a una Europa sempre più afflitta da una profonda crisi identitaria, l’esecrazione di Israele. Non è qui possibile tracciare la genesi di questa affezione patologica, ma occorre dire che essa si nutre in parte sostanziale di terzomondismo e di anti-atlantismo declinato in modo classico come avversione nei confronti degli Stati Uniti.

I fatti recenti accaduti in Israele, i sedici morti arabi-palestinesi uccisi dall’esercito israeliano durante la manifestazione orchestrata a Gaza ai confini della barriera di separazione dallo Stato ebraico, hanno nuovamente dato la stura all’abituale coro di attacchi contro Israele per la sua risposta armata.

Il copione è fisso da decenni. Quando Israele interviene per difendere le proprie ragioni scatta subito l’esecrazione pubblica. I palestinesi uccisi diventano immediatamente vittime e i soldati israeliani carnefici. Lo abbiamo visto massimamente nel 2014 quando le piazze soprattutto europee si riempivano di manifestazioni anti-israeliane e i manifestanti marciavano con chi glorificava e glorifica gli estremisti islamici di Hamas.

Per costoro, che Hamas controlli dal 2007 dopo un golpe in cui esautorò Fatah dal potere, l’enclave costiera di Gaza, imponendo un regime di terrore costruito sulla violenza, la delazione, la corruzione e avvilendo in modo drammatico le condizioni di vita della popolazione, è irrilevante. Come è irrilevante sapere che dieci degli arabi palestinesi uccisi dal soldati israeliani ieri, appartenessero alla Brigata Izz ad-Din al-Qassam, l’ala armata del gruppo jihadista.

Quello che conta è la narrazione secondo la quale la Marcia per il Ritorno, che ha portato ai confini tra Gaza e Israele 30.000 persone, sia una manifestazione pacifica perché così è stata annunciata dagli organizzatori e che, improvvisamente, soldati killer israeliani abbiano deciso di sparare a casaccio sulla folla. Si vuole credere questo, è necessario credere questo. Se così non fosse bisognerebbe ammettere che il cosiddetto “ritorno” invocato dagli aderenti alla marcia e abilmente orchestrato da Hamas che si trova in un momento di estrema debolezza e tenta così di rilanciarsi, significa, come scritto chiaramente nella Carta programmatica del gruppo, la presa di tutta la Palestina. Significa la fine di Israele in quanto stato ebraico.

Bisognerebbe ammettere che Hamas, e prima di Hamas l’OLP di Arafat hanno sempre e solo cercato di giungere a questo obbiettivo attraverso la lotta armata e il terrorismo. Bisognerebbe ammettere che le ragioni di Hamas sono quelle del jihad islamico, bisognerebbe ammettere che se Hamas avesse la meglio e Israele scomparisse, al suo posto ci sarebbe un altro stato islamico fondato sul rigorismo della sharia.

Ma siccome ammettere questo significa dovere riconoscere la verità e capitolare difronte alla realtà, si preferisce rappresentare Israele come una potenza malvagia e assassina e chi ha in odio la democrazia, la libertà e il pluralismo, come “resistente” e “vittima”.

D’altronde, quanti qui in Europa nelle file della sinistra, al cospetto della terribilità del totalitarismo sovietico e dei suoi regimi satelliti, osava denunciarne l’orrore e la disumanità, e non preferiva invece esaltarne supposte virtù di eguaglianza, progresso, emancipazione umana dalle storture del liberalismo e del capitalismo?

Leggere la stampa italiana (ma non solo) a proposito dei fatti accaduti al confine tra Gaza e Israele insieme alle dichiarazioni di alcuni esponenti politici, tra cui l’ex presidente della Camera Laura Boldrini, provoca nel lettore il solito senso di vertigine per l’incapacità strutturale di vedere chiaramente la realtà e capire senza fallo da che parte abitino quei valori che l’Europa, nella sua travagliata storia si è conquistata faticosamente, e da che parte sta invece la barbarie.

Ma è uno dei segni terribili dei nostro tempo e di questa Europa che si crede al riparo dalle minacce rappresentate da chi ha in odio la democrazia e i suoi corollari, non sapersi riconoscersi senza se e senza ma nell’unico paese in Medioriente che sa difenderla senza indugio. Ed è forse questo il punto, che mentre Israele non ha mai smesso di difenderla, l’Europa sta progressivamente rinunciando a farlo.


"SIETE NEL MIO CUORE"
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Erdogan che dà del terrorista a Netanyahu, Erdogan, è uno di quegli scampoli di grottesco che la realtà ci regala spesso. Ma il satrapo omicida di Ankara, dei cui misfatti in Siria contro i curdi, pochissimi parlano e nessuno si indigna, sa che può contare su una platea di estimatori qui in Occidente, dove il sostantivo "terrorista" viene applicato con voluttà allo Stato ebraico.

Erdogan non avrebbe che da rallegrarsi a sfogliare una buona parte della stampa nazionale a proposito dei resoconti su ciò che è successo ieri al confine con Gaza. Così come avrebbe da rallegrarsi ulteriormente nel leggere le dichiarazioni dell'ex presidente, pardon, "presidenta", della Camera, Laura Boldrini, o di personaggi del calibro di Alessandro Di Battista.

Che bella compagnia quella di Hamas, della Turchia di Erdogan, di Hezbollah, dell'Iran di Khamenei, per questi grandi grandi paladini dei "diritti umani". E' con loro infatti che si associano quando ci dicono che Israele è il male ed è da sanzionare, da esecrare. Il neo presidente della Camera, il pentastellato, Roberto Fico, nel 2014, mentre Israele era sotto attacco di Hamas, con decine di razzi che venivano sparati ogni giorno contro le sue città, invitava l'Italia a richiamare il proprio ambasciatore in patria e a interrompere i rapporti con lo Stato ebraico.

Sono gli utili idioti, la manovalanza sull'attenti di teocrazie, satrapie, dittature. Lavorano per loro alacremente e giulivamente. Erdogan e soci ringraziano sentitamente.


Ma nessuno dice che il loro obiettivo è sterminare gli ebrei
Fiamma Nirenstein - Dom, 01/04/2018

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 11179.html

Il rischio che la «marcia del ritorno» di Hamas diventi terrorismo di massa e guerra sta diventando concreto; tutto il mondo sa che questo è il fine stesso dell'organizzazione insieme alla morte degli ebrei e la conquista dell'Occidente, sa che qui, con le marce di massa, siamo di fronte a una svolta strategica che è una scintilla terroristica nel pagliaio del Medio Oriente.

Ma l'Onu di nuovo biasima Israele allenandosi nel suo sport preferito, anche se stavolta senza riuscire a raggiungere una condanna: però Antonio Guterres, il segretario generale, non fa mancare la richiesta di un'inchiesta internazionale, si associa all'idea tradizionale e sbagliata che Israele abbia usato forza sproporzionata nel controbattere alle manifestazioni di massa sul suo confine, e passa l'idea che abbia ucciso dei palestinesi che marciavano «pacificamente» verso il suo confine. Si qualifica subito come loro difensore il campione dei diritti umani Mohamed Javad Zarif, il ministro degli esteri dell'Iran che detiene il primato del terrorismo internazionale: «I sionisti hanno assassinato dei pacifici dimostranti le cui terre furono rubate mentre marciavano per sfuggire il crudele e disumano confine di apartheid». Sul proscenio anche l'altro campione dei diritti umani Tayyip Erdogan, il primo ministro turco, i cui soldati hanno quasi concluso la pulizia etnica dei curdi ad Afrin nella Siria del Nord.

Hamas è un'organizzazione terroristica che domina dal 2007 tutta Gaza. Chi osa opporsi viene giustiziato. I marciatori, spinti verso il confine con Israele in massa, avevano guardie armate di Hamas anche in mezzo a loro, come testimonia la vanteria che fra i quindici morti, cinque erano suoi esponenti armati. Hamas prese il potere nel 2007 contro Fatah. Gli israeliani si ritirarono fino all'ultimo uomo dalla Striscia, lasciando i cittadini padroni di strutture produttive che sono state fatte a pezzi. Hamas si impegna solo nella guerra. La sua carta vede nel «sionismo mondiale» l'origine di ogni male citando i Protocolli dei Savi di Sion, dice che «Allah è il suo obiettivo, il profeta il suo modello, il Corano la sua Costituzione, la jihad il suo cammino e la morte in nome di Allah il più dolce dei suoi desideri». Hamas ha investito la magna parte dei suoi milioni giunti dall'Iran, dal Qatar e contribuenti simpatizzanti in missili e tunnel. La sua crisi umanitaria non esisterebbe se i fondi fossero andati in imprese e strutture sociali. Invece hanno finanziato la grande impresa terroristica che ha fatto migliaia di morti in Israele. Per altro Israele pure cercava di seguitare a consentire gli aiuti e i traffici necessari alla popolazione. Ma il confine è chiuso, e Hamas è più interessato all'uso terroristico della folla esasperata che al suo progresso. Dopo aver tentato invano di terrorizzare gli israeliani con l'Intifada, Hamas è passata alla strategia dei missili contro i cittadini del sud. Solo il sistema Iron Dome di difesa missilistica ha evitato la strage. Adesso Hamas muove le folle in un momento in cui Israele festeggia la Pasqua, Abu Mazen è debole e il mondo arabo si piega al nuovo corso inaugurato da Trump in cui l'ambasciata americana viene spostata a Gerusalemme. Non a caso le manifestazioni di Hamas devo rinnovarsi fino al 15 di maggio, giorno dell'indipendenza di Israele e del passaggio dell'ambasciata. La notte Hamas ha lanciato missili. Altri ne verranno, tanto più se l'Onu e il mondo arabo non prendono le distanze subito.



ONORE A LORO
Niram Ferretti
01/04/2018
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Hamas, durante la Marcia del Ritorno, usa la popolazione suddita per infiltrare facinorosi e membri della Brigata Izz ad-Din al-Qassam, della quale sono stati uccisi dieci membri da parte dell’esercito israeliano. Non dieci scouts.

Sì, questa è la risposta di Israele a protezione dei propri confini e dell'incolumità dei suoi cittadini. Ai terroristi non è permesso entrare.

Non sono più i bei tempi della Seconda Intifada quando si facevano esplodere in caffè, ristoranti, locali pubblici, autobus. Tutto questo è finito dal 2005, grazie alla barriera di protezione, quella che le quinte colonne jihadiste qui in Occidente chiamano "muro" per sottolineare come i "poveri palestinesi" sarebbero vittimizzati da Israele.

In uno splendido articolo del 2009, John R. Bolton, il nuovo Consigliere per la Sicurezza Nazionale di Donald Trump scriveva:

“Credono, (gli europei) di essere messi in pericolo da quelle nazioni che fino ad oggi hanno deciso di non potersi permettere di finire preda dei falsi sogni di riuscire a districarsi dai pericoli del mondo restando in uno stato di torpore o inginocchiandosi al cospetto di un attacco“.

Le nazioni a cui si riferiva Bolton sono Israele e gli Stati Uniti.

Israele non si inginocchia e non apre i propri confini ai terroristi, non consente che chi vuole da settanta anni cancellaro dalla mappa del Medioriente sia in grado di farlo.

John Bolton, grande estimatore di Israele, vede la debolezza dell'Europa, immersa nella convinzione che, in nome dei "diritti umani", questa formula affatturante, si debba subordinare ad essa la propria sicurezza.

Israele tutela la propria minoranza araba, 1700,000 arabi israeliani come non lo sa fare nessuno stato arabo, consentendo loro di partecipare alla vita democratica del paese, ma c'è chi, come Hamas e non nascondiamocelo, la parte maggioritaria di Fatah, che vorrebbe gli arabi sotto esclusiva tutela musulmana. In altre parole, come gli abitanti di Gaza, sotto un potere coercitivo, autoritario e barbaro, o come, nei territori della Cisgiordania aministrata dall'Autorità Palestinese, sotto una cosca mafiosa e corrotta fino al midollo.

I soldati dell'IDF che l'altro ieri hanno ucciso dieci terroristi di Hamas, non solo servivano la maggioranza ebraica del paese ma anche la minoranza musulmana e le altre minoranze.

Onore a loro, protettori della democrazia e dei migliori valori occidentali.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » lun apr 02, 2018 9:51 pm

Grazie Hamas per averci ricordato una verità fondamentale
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

http://www.informazionecorretta.com/mai ... o.facebook

A destra:
Guardate! gli israeliani attaccano le nostre donne e i bambini!!

Cari amici,

Contrariamente ad altri opinionisti amici di Israele, che comunque stimo moltissimo, io non mi sono affatto indignato con Hamas per la mortale pagliacciata che ha messo in scena venerdì (e che con ogni probabilità ripeterà nelle prossime settimane).

Ve l’avevo già annunciata su IC con qualche giorno di anticipo (http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0&id=69982 )
e ora penso che vada analizzata lucidamente.

Il primo motivo per cui non mi sono indignato è che si tratta di un gesto che tradisce disperazione. Mandare i propri sostenitori a sfidare un confine ben difeso con la speranza di travolgerlo potrebbe essere un esempio di idiozia militare totale; ma non è questo il caso di Hamas (ma forse di qualche solerte funzionario dell’UNRWA sì: https://www.israelnationalnews.com/News ... spx/243853 ).

Semmai implica la presa d’atto della propria totale irrilevanza, dell’impossibilità di danneggiare davvero Israele con il terrorismo che è la modalità di combattimento connaturata a questa organizzazione (si tratti di bombaroli, accoltellatori, guidatori che usano le macchine come armi, razzi o tunnel) e il tentativo di giocare la carta degli sconfitti agli occhi del mondo.

Dato che il solo scopo al mondo di Hamas è battersi con Israele, si tratta di una scelta estrema e chiaramente senza prospettive. La quale inoltre presenta un rischio altissimo per Hamas: prima o poi la gente potrebbe rendersi conto di essere stata mandata cinicamente allo sbaraglio disarmata contro un esercito ben organizzato e allertato. Potrebbe allora capitare che la popolazione si ribelli contro di loro. In fondo è quel che accadde in Siria dopo che il regime nel 2011 mandò proprio contro il confine israeliano sul Golan migliaia di abitanti del campo di Yarmoulk, che subirono gravi perdite nel tentativo di sfondarlo. I funerali furono l’inizio della manifestazioni contro Assad, che portò alla guerra civile.

È chiaro che Hamas è consapevole del rischio, ma evidentemente della vita dei suoi sudditi a Gaza non gli importa nulla e teme di più l’irrilevanza che la rivolta.

Ma c’è una ragione in più per cui non solo non sono indignato, ma sono addirittura grato a Hamas per questa criminale buffonata.
Eccola. Quel confine che Hamas ha condotto i suoi sudditi a sfidare non è il frutto della guerra del ‘67, non è “occupazione” insomma, secondo l’uso che normalmente si fa di questo termine rispetto a Israele (da cui io dissento con forza, ma non è questo il nostro tema). Fa parte, per usare altre terminologie discutibili ma frequenti, dell’”Israele vera e propria” o “storica”, del territorio che anche i “pacifisti” di estrema sinistra, anche l’amministrazione Obama, insomma di chiunque non sia per la distruzione totale e immediata di Israele attribuisce allo stato ebraico.

Non c’è piano di pace che attribuisca Sderot o Ashkalon o Netivot a un futuro “Stato di Palestina”. Ma è questo il territorio che Hamas ha guidato i suoi a cercare di conquistare, è questa la frontiera che ha cercato di sfondare.

Badate bene, con l’approvazione dei media di sinistra e vaticani. È questo il punto. Hamas ci ha reso, naturalmente senza volere, il favore di mostrare plasticamente che nessun piano di pace potrà far cessare la guerra che i palestinisti conducono contro Israele (e l’ha anche dichiarato con molta chiarezza, non solo in passato - https://www.ynetnews.com/articles/0,734 ... 78,00.html - ma anche durante la marcia: https://www.timesofisrael.com/hamas-lea ... -palestine ), il che lascia senza parole quelli che propongono di risolvere il conflitto con un accordo.

Non solo: la marcia ha mostrato che i bravi progressisti europei, politici e giornalisti, non difendono neppure l’integrità territoriale di Israele nei suoi confini “storici”). Se l’Italia mandasse delle masse aggressive a sfondare il confine a Muggia per rivendicare Istria e Dalmazia, o la Spagna volesse riprendersi Gibilterra con la forza, il diritto di difendere i propri confini da parte degli stati aggrediti sarebbe certamente espresso.

Con Israele non è così, è chiaro che l’Europa ignorerebbe un tentativo di conquista arabo (con conseguente genocidio) come fece a suo tempo con Hitler.

Bene, sono grato a Hamas per avercelo ricordato, se mai ce ne fossimo dimenticati. Israele si difende da solo o sparisce, non deve mai far conto sulla solidarietà internazionale perché non può farci minimamente conto.
Deve essere determinato e non deve aver paura dei ricatti morali.
Alla faccia di tutti coloro che lo verrebbero disarmato o compiacente coi propri nemici.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » mar apr 03, 2018 10:09 pm

NESSUN DORMA
Niram Ferretti
03/04/2018

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Jeffrey Goldberg dell'Atlantic, il giornalista di corte di Obama, intervista Mohammed Bin Salman. Nell'intervista il giovane principe, futuro re dell'Arabia Saudita, fa una affermazione politica rilevante, dichiara che Israele ha il diritto di esistere come stato. Nessun leader arabo lo aveva mai fatto.

Non inganniamoci, il principe saudita fa questa concessione unicamente sulla base della realpolitik che sta avvicinando sempre di più l'Arabia Saudita a Israele in funzione antiscita. È un'ottima cosa, assolutamente. Si prende ciò che passa il convento. La convergenza sunnita nei confronti di Israele con la benedizione americana è da salutare favorevolmente, ma si tratta di una convergenza tattica e non sappiamo quanto lungo sarà il suo respiro.

Per il resto dell'intervista Mohammed Bin Salman fa una comprensibile apologia dell'Islam inventando di sana pianta che esso sarebbe una religione della pace e che il jihad non sarebbe, come di fatto è, una sua componente intrinseca.

C'è un punto abbastanza esilarante in cui il principe saudita dice,

"Il nostro secondo dovere come musulmani è quello di diffondere la parola di Dio. Per 1400 anni i musulmani hanno cercato di diffondere la parola di Dio. Nel Medioriente, nel Nord Africa, in Europa, non erano autorizzati a diffondere la parola di Dio. Questo è il motivo per cui hanno combattuto per diffonderla. Ma vede che in molti paesi come l'Asia, l'Indonesia, la Malesia, l'India, i musulmani erano liberi di diffondere la parola. Gli veniva detto, 'Procedete, dite quello che volete dire, la gente ha il libero arbitrio di credere quello che vuole. In questo contesto non si trattava di conquistare, ma di diffondere pacificamente la parola".

L'Islam ha diffuso per tutta la sua storia la "parola di Dio" con la spada ovunque sia penetrato. È vero che in Medioriente, in Nord Africa e in Europa non gli venne permesso di diffondere "la parola di Dio", cioè Allah, e non gli venne permesso perchè la diffondevano con la spada, come prescritto dal profeta armato Maometto. Quanto al fatto che in Asia, Indonesia, Malesia e India all'Islam vennero aperte le porte con il sorriso sulle labbra, siamo al cabaret. La conquista islamica dell'India, tanto per citare l'ultimo paese elencato, è stata una delle pagine più sanguinose della storia umana.

Muhammad Qasim Hindu Shah, nato nel 1560 e morto nel 1620 è stao il primo a dare un'idea dell'orgia di sangue che ebbe luogo in India durante il dominio islamico.

Dall'epoca della dinastia degli Omayyadi nel 711 AD all'ultimo Mughal, Badhaur Shah Zafar nel 1858, vennero distrutte intere città e le popolazioni massacrate nell'ordine delle centinaia di migliaia. Lo stesso accadde in Afghanistan nell'anno 1000, dove la popolazione indù venne annichilita completamente. La regione si chiama ancora Hindu Kush, ovvero la regione del "massacro indù"

Dunque, di nuovo, bene la dichiarazione di Mohammed Bin Salman relativamente a Israele, ma per il resto non ci siano illusioni da farsi. La politica procede su binari contingenti. Le alleanze e le convergenze variano. I lupi si trasformano in agnelli solo quando conviene. Fidarsi cum grano salis.





Dragor Alphandar
Da buon arabo, questo individuo mente come respira. Quando la causa di "Israele ha il diritto di esistere" non servira' piu' i suoi interessi, sara' il primo a pugnalare Israele nella schiena.

Tassilo Del Franco
Ha parlato da wahabita: falso e bugiardo. Ha inventato un islàm che esiste solo nel velenoso piatto che servono agli ingenui, prima di farli fuori o di convertirli.
La fede maomettana si sarebbe diffusa pacificamente in tante parti del mondo?
Si sente tanto superiore, da musulmano, da credere di aver a che fare con dei poveri fessi. Il nostro dramma è che spesso ci azzeccano (mater ecclesia docet).
Almeno ha tanta paura della shia’a da essere -per il momento - ben disposto anche verso Israele...


מרצ׳לו דל מונטה
A parte in chiave anti-iraniana, Salman ha bisogno di Israele per il progetto Neom (guardate su google) e per la riforma dell'economia saudita senza cui il regno crollerebbe come un castello di carte nel giro di un paio di decenni. Come al solito grazzissime all'insostituibile Niram Ferretti

Francesco Birardi
L'Islam ha diffuso il SUO Dio, con le buone o con le cattive (quasi sempre con le cattive) ovunque e ogni volta che gli è stato possibile farlo. Ora tocca all'Europa.... Un'Europa che non è più neanche l'ombra di ciò che era all'alba del secolo scorso.... Quanto al "nuovo corso" in atto in Arabia saudita, esso riguarda solo gli equilibri regionali, ma non certo il suo ormai ben chiaro progetto di conquista dell'Europa. Mi auguro che Israele faccia bene i suoi calcoli.... E non ne dubito!

Bruno Caudana
Il problema è che quando la "diffusione della parola di Dio" viene ostacolata, allora è dovere dei mussulmani combattere per eliminare quegli ostacoli.
La convivenza è possibile solo se i non-mussulmani vivono in condizione di dhimmitudine, cioè di sottomissione ai mussulmani e alla legge di Dio. Questo scritto nel Corano immodificabile.


Mordechai Bar Ykutiel
Che carino. Ha pure detto che una delle tante spose di Maometto era ebrea facendo intendere che in fondo (ma proprio in fondo!) Maometto e quindi l'Islam..."non sono così male!". (..."solo" che ha omesso "i motivi" per cui Safiyya Bint Huyayy Ibn Ahtab (la "sposa" ebrea) "si è [dovuta] sposare con "il Profeta")(...su internet si può trovare la "storia")

Mordechai Bar Ykutiel
Infatti. Il mio nemico di oggi è il mio alleato di domani! Fino alla fine dei tempi...l'opportunismo (specialmente in politica) la farà sempre da padrone: è una "necessità" intrinseca dell'uomo!



Arabia Saudita, nasce la città del futuro "Neom". Il piano da 500 miliardi del principe Salman
30 ottobre 2017

http://www.rainews.it/dl/rainews/artico ... ab9e0.html

Le città degli anni Tremila, Mohammed Bin Salman ha intenzione di accelerare i tempi, immaginando "Neom". Una città del futuro all’insegna delle più moderne tecnologie, dagli ospedali, alla sanità, fino alla sicurezza, interamente alimentata da impianti solari ed eolici, con trasporti elettrici e con ogni servizio automatizzato.

In occasione del forum “Future investment initiative”, al quale ha partecipato anche il ministro Padoan, il giovane principe Salman ha lanciato il suo piano faraonico da 500 miliardi di dollari per costruire dal nulla un gigantesco ed innovativo polo industriale sulle sponde del Mar Rosso, in quell’angolo del Golfo di Aqaba dove l’Arabia confina con la Giordania e un lembo di mare la separa dall’Egitto. Una specie di Silicon Valley, versione araba.

L'ambizioso principe saudita vuole riuscire laddove gli altri suo predecessori hanno fallito: guarire l’Arabia Saudita dal morbo della petro-dipendenza e rilanciare l’economia attraverso la diversificazione e la liberalizzazione, creando posti di lavoro nel settore privato e snellendo la pesante burocrazia.

La portata del progetto

"Neom" si estenderà su una superficie pari a 26.500 kmq (più grande della Sardegna) e concentrerà le sue attività su energie, settore idrico, biotecnologie, filiera alimentare, scienze tecnologiche e digitali, produzione avanzata. Sarà una zona franca che godrà di una sua particolare tassazione, una legislazione ad hoc sul lavoro e di un sistema giudiziario autonomo.

"Neom - ha spiegato Bin Salman - sarà situata su una delle più importanti arterie economiche del mondo. La sua posizione strategica faciliterà anche la rapida affermazione della zona come un hub globale che collega Asia, Europa e Africa".

La chiave politica di "Neom"

Il progetto del principe Salman risulta importante anche in chiave politica. Recentemente il regno saudita ha varato importanti riforme, prima impensabili. Tra le ultime, il permesso di organizzare concerti, l’abolizione del divieto di guida per le donne e, dal 2018, la possibilità per le donne di partecipare agli eventi sportivi negli stadi.

Queste novità, come la stessa “Neom“, hanno l'obiettivo di produrre due tipi di effetti: da una parte, consolidare maggiormente la legittimità della monarchia, dall’altra ridimensionare il ruolo assegnato agli alleati wahabiti, di matrice sunnita.



http://www.ilsole24ore.com/art/commenti ... d=AENzN1uC
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » sab apr 07, 2018 6:57 pm

La “grande marcia del ritorno” palestinese, una vittoria della propaganda nazista
Di Riccardo Ghezzi
7 aprile 2018

http://www.linformale.eu/la-grande-marc ... da-nazista

Qualcuno il lavoro sporco lo deve pur fare. Il Fatto Quotidiano non si fa mancare nulla quando si tratta di delegittimare Israele. Oltre ad articoli specifici si avvale anche del rinforzo (così per dire), di una volonterosa manovalanza che si offre di sua sponte alla gioiosa macchina del fango antisionista che il giornale mette regolarmente in campo. Dopo il blog di Gianluca Ferrara, diventato senatore per i 5Stelle (e con chi altro?), ora è il turno di Chantal Meloni, avvocato e professore associato alla Statale di Milano dove insegna Diritto penale internazionale. Non bisogna farsi ingannare da due cose, la prima sono le associazioni morbide e zuccherose del nome e del cognome (la Meloni, come un’altra più nota di lei picchia con il martello sull’incudine), l’altra è la materia da lei insegnata. Le menzogne e la propaganda possono contagiare qualsiasi disciplina, ammorbandola fino al punto da stravolgerne completamente i lineamenti. Il preambolo è lungo ma necessario per introdurre un pezzo dell’avvocatessa che già dal titolo larmoyant, “Pasqua a Gaza dove i palestinesi non hanno nemmeno il diritto di manifestare”, introduce il lettore a uno scritto che sembra uscito direttamente dall’ufficio propaganda dell’OLP e di Hamas. Ne saggeremo qui alcuni campioni partendo dal primo paragrafo.

“Anni fa ho trascorso la Pasqua a Gaza. Era il 2010, io ero già lì da diversi mesi. La Striscia di Gaza era già governata da Hamas. Era già stretta da anni nella morsa di questo assedio, blocco, embargo, regime punitivo estremo imposto da Israele e supportato dall’Egitto. Gaza era distrutta dopo l’operazione Piombo fuso con le sue bombe al fosforo bianco ma stava cercando di ricostruirsi”.

Siamo qui di fronte al livello più elementare della menzogna, la piattaforma sulla quale poi edificare il resto. Alcuni fatti, per rinfrescare la memoria. Hamas prende il potere a Gaza nel 2007, esautora Fatah in un regolamento di conti sanguinoso nella più pura tradizione fratricida delle lotte intra-islamiche e quindi comincia ad applicare alla Striscia costiera gli insegnamenti impartiti dallo sceicco Ahmed Yassin il cui scopo era quello di rieducare il popolo al rigorismo salafita. Si comincia dalle università in cui si inizia ad insegnare che l’evoluzionismo è una aberrante teoria giudaica, per proseguire con la chiusura dei cinema, dei negozi che vendono liquori, la proibizione dei concerti e dell’abbigliamento occidentale per le donne, la persecuzione e l’uccisione degli omosessuali.

È questo “l’assedio”, il “regime punitivo estremo” a cui è sottoposta Gaza. Ma per la Meloni, le condizioni di sfacelo socioeconomico in cui si trova l’enclave costiera sono colpa di Israele, il quale provvede ogni giorno a fornire la Striscia con rifornimenti, di cui vengono soprattutto controllati i materiali edili che Hamas utilizza per costruire i tunnel il cui scopo è quello di infiltrare miliziani armati in territorio israeliano per perpetrare stragi.

Il fosforo bianco è un altro dei vecchi strumenti dell’armamentario della propaganda contro l’IDF. Nel 2013 l’Observer di Londra dovette pubblicare una smentita ad un articolo in cui era stato scritto che il fosforo bianco fosse un agente chimico,“ Il fosforo bianco, usato dalle forze israeliane a Gaza nel 2008, non è un’arma chimica così come è recepito dalla Convenzione sulle Armi Chimiche, e il suo utilizzo non è in ‘in contrasto con le convenzioni internazionali’”. Lo scopo del fosforo bianco, quello di creare schermi di fumo a scopo protettivo, non è mai stato usato da Israele se non ottemperando a questa sua funzione principale, ma, naturalmente, la leggenda che esso sia stato usato al fine di attacco personale appartiene alla lunga lista di turpitudini che l’esercito israeliano avrebbe perpetrato .

Ma il pezzo della Meloni contiene anche accensioni liriche struggenti come la descrizione fatta della celebrazione notturna pasquale avvenuta nella chiesa greco ortodossa di Gaza City. E’ un omaggio alla bellezza dei lampadari, al blu intenso degli affreschi, ai festosi canti. Tutto ciò la inebria. Il peana estetico, tuttavia, dura poco, la realtà torna a mordere:

“Se chiedi delle difficoltà di essere cristiani a Gaza si incazzano, ti rispondono che sono tutti nella stessa barca…ma in verità sono pochissimi i cristiani rimasti, essendo tra la fetta più benestante della società sono anche stati i primi a potersi permettere di andarsene”.

La barca è indubbiamente la medesima ma un po’ più angusta per i cristiani, circa mille, ancora risiedenti nella Striscia. Come ha dichiarato recentemente Padre Mario Da Silva, sacerdote cattolico brasiliano operativo a Gaza, “La nostra missione è quella di preservare la fede cristiana, aiutarli ad affrontare anche le spinte fondamentaliste che richiedono la conversione all’Islam. Queste pressioni, insieme alle difficili condizioni economiche e sociali, spingono i cristiani ad abbandonare Gaza”. Di questo nessun accenno, il blu degli affreschi è troppo abbacinante, non permette di vedere che i cristiani a Gaza sono minoranza sotto tutela. Quando Hamas prese il potere a Gaza lo sceicco Abu Saquer, leader di un gruppo a tutela della legge islamica, dichiarò, “Mi aspetto che i nostri vicini cristiani comprendano che le nuove regole di Hamas significano cambiamenti veri. Devono essere pronti al dominio islamico se desiderano vivere in pace a Gaza”. In altre parole, devono comprendere che sono dhimmi. Ah, ma il blu intenso degli affreschi…

Ma è nella descrizione dei recenti fatti avvenuti al confine tra Gaza e Israele che la Meloni si concede il meglio. Occorre ascoltarla:

“La grande Marcia del ritorno…organizzata dalla gente di Gaza, a cui hanno partecipato decine di migliaia di Gazani, famiglie intere contro il blocco, contro una situazione che li sta letteralmente affamando, contro il mancato accesso alle loro terre, per richiamare l’attenzione sui loro diritti negati”.

Gli accenti sono drammatici, quasi strazianti, fatti per intenerire i cuori di chi lotta contro le ingiustizie e vuole solo un mondo più giusto e sano, possibilmente dove le “vittime” (i palestinesi) siano liberati dai loro “oppressori”(gli israeliani). E’ questa la appassionante e fraudolenta fiction edificata a fine anni Sessanta nei laboratori moscoviti e arabi e che ha conquistato grande consenso in Occidente. La marcia “pacifica” mossa spontaneamente dalla gente e in cui Hamas non sarebbe implicata, è stata coordinata e utilizzata da sigle terroristiche con il fine ben preciso di usarla come copertura per le proprie finalità. Il 26 di marzo all’incontro del PLC, il Consiglio Legislativo Palestinese, Khaled al Batash, un membro anziano del PIJ, la Jihad Islamica Palestinese, ha dichiarato che tutte le forze, Hamas, Fatah, la Jihad Islamica e il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina averebbero partecipato alla Marcia del Ritorno. Tra i sedici palestinesi uccisi dall’esercito israeliano, 11 appartenevano a queste formazioni. Erano armati di fucili automatici e di granate. Che strano che i soldati israeliani che hanno sparato sulla “folla”, come ci ha raccontato buona parte della stampa, invece di centrare donne, bambini e anziani, abbiano ucciso con precisione chirurgica esponenti di sigle terroristiche.

Nell’articolo non ci viene detto in cosa consisterebbe il “ritorno” e quali sarebbero le terre reclamate, “le loro terre”, quelle del popolo affamato. E’ scritto chiaramente nello statuto di Hamas, all’Articolo 11:

“Il movimento Islamico di Resistenza crede che la terra della Palestina sia un Waqf islamico consacrato alle future generazioni musulmane fino al Giorno del Giudizio. Esso, o nessuna parte di esso, può essere dissipate, esso o nessuna parte di esso può essere alienato. Nemmeno un paese arabo né tutti i paesi arabi, né nessun re o presidente, né tutti i re e i presidenti, né nessuna organizzazione o tutte le organizzazioni, siano esse palestinesi o arabe, possiedono il diritto di poterlo fare. La Palestina è una terra (Waqf) islamica consacrata per le generazioni musulmane fino al Giorno del Giudizio. Essendo questo lo stato delle cose, chi può affermare di rappresentare le generazioni musulmane fino al Giorno del Giudizio?”.

“I fatti non hanno accesso nel regno delle nostre fedi” chiosava Proust. La Meloni non fa eccezione, la permanenza prolungata a Gaza ha irrobustito la sua fede, ha reso la dottrina catafratta a ogni empiria e così apprendiamo che:

“Già giorni prima della manifestazione di Gaza gli ufficiali israeliani avevano ripetutamente minacciato di ricorrere alla forza letale. Distorcendo le proteste per farle apparire immensi rischi per la sicurezza di Israele, evocando presunti scopi terroristici, e riferendosi a Gaza come ‘combat zone’, gli ufficiali israeliani hanno consapevolmente spianato la strada per l’uso della violenza sproporzionata e indiscriminata da parte dei militari”.

Diversi sono i livelli di sudditanza come diversi sono i gradi in cui si può essere impregnati dall’ideologia, quelli raggiunti qui sono quasi parodistici. Hamas, i martiri della Brigata Al Qassam, la Jihad Islamica, non rappresentano alcuna minaccia per Israele. Ricordiamolo, 11 tra i 16 (cifra non ancora ufficializzata) palestinesi uccisi dal fuoco israeliano venerdì scorso a Gaza erano miliziani. Non c’è stata alcuna “violenza sproporzionata” o “indiscriminate”. I cento cecchini inviati da Israele per difendere I suoi confini, che per la professoressa associata di Diritto internazionale, non devono essere difesi, hanno ucciso solo chi ha tentato, avvicinandosi alla barriera, di sabotarla, o di mettere a rischio la vita di questi ultimi.

Non contenta di apparecchiare questo florilegio di menzogne, l’avvocatessa professoressa associata di Diritto Internazionale si inventa che il comando israeliano militare israeliano avrebbe dato “l’ordine di uccidere chiunque si avvicinasse (alla barriera) anche se disarmato, come ben mostrano alcuni video”. E questa, nell’ordine delle menzogne contenute nell’articolo, è la più spregevole.

L’ordine di uccidere civili disarmati non è mai stato emanato. Le regole di ingaggio dell’IDF prevedono che i soldati aprano il fuoco nei confronti di chi, armato, si trovi a 300 metri dalla barriera di sicurezza, diversamente da quello che fa Hamas, totalmente privo di qualsiasi scrupolo nell’usare civili come scudi umani, così come è accaduto a Gaza nel 2009 e poi nel 2014.

Non esistono video che mostrano che civili palestinesi disarmati siano stati uccisi, ma esiste solo un spezzone di un video in cui un ragazzo palestinese cade colpito da un proiettile, senza che venga mostrata la sequenza temporale delle sue azioni precedenti.

È ora di concludere e lo faremo con la fine dell’articolo che abbiamo preso in esame:

“Il diritto al ritorno. Una utopia ormai. Il diritto alla vita e alla dignità umana. Cancellati. Calpestati. Neanche il diritto di manifestare e protestare è concesso ai palestinesi. Israele è ben consapevole che la lotta per la liberazione di un popolo oppresso passa anche da questi momenti di protesta”.

Il “diritto al ritorno” invocato, consisterebbe nei circa otto milioni di discendenti dei 700,000 palestinesi che lasciarono Israele nel 1948 a causa della guerra voluta dagli stati arabi. Unico caso al mondo, quello palestinese in cui lo status di rifugiato si perpetua ai discendenti di generazione in generazione. Questo ritorno sancirebbe automaticamente la fine di Israele come Stato ebraico, ed è sempre stato uno dei cavalli di battaglia dell’OLP, di Hamas, dell’Autorità Palestinese. Ma su una cosa l’autrice dell’articolo ha ragione, esiste un “popolo oppresso” palestinese. Non consiste, tuttavia, dei 1,700,000 arabi-palestinesi che vivono in Israele con diritti e qualità di vita che non avrebbero in alcuno stato arabo, ma negli oppressi dal rigorismo islamico instaurato da Hamas a Gaza e dagli altrettanti sudditi dell’Autorità Palestinese nei territori in Cisgiordania.

Come ha affermato Bassem Eid, il principale attivista palestinese per i diritti umani in attività oggi:

“Non mi fiderei mai dell’Autorità Palestinese né nella West Bank né a Gaza. L’obbiettivo principale della leadership palestinese è quello di continuare a tenere i palestinesi in ostaggio a vantaggio del conflitto. Questo è il suo scopo principale. Siamo ostaggi della nostra leadership, non di Israele, non dell’occupazione. Si tratta esattamente del contrario”.

Ma nel mondo delle Chantal di Gaza che insegnano Diritto internazionale, la realtà è solo quella fornita dalle veline di Hamas di cui è una solerte portavoce.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » sab mag 12, 2018 3:09 am

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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » sab mag 12, 2018 3:09 am

Portato al massimo livello il grado di allarme nel nord di Israele
7 maggio 2018

https://breaking.rightsreporter.org/por ... di-israele

Massimo grado di allarme nel nord di Israele dopo che nei giorni scorsi l’intelligence israeliana aveva lanciato l’allarme per possibili imminenti attacchi di ritorsione da parte degli iraniani, attacchi che avverrebbero con un massiccio lancio di missili sul nord di Israele.

Secondo fonti di intelligence israeliana il comandante delle Guardie della Rivoluzione iraniana, Qasem Soleimani, avrebbe avuto il via libera per un attacco su Israele direttamente dalla Guida Suprema iraniana, Ali Khamenei. La data scelta per l’attacco sarebbe stata individuata immediatamente dopo le elezioni libanesi che sono avvenute ieri, per di più concluse con la vittoria di Hezbollah.

Per questi motivi, con la massima serenità, in tutto il settore nord di Israele è stato elevato al massimo grado il livello di allarme.


Vergogna d'Eurabia!
Giulio Meotti
09/05/2018

https://www.facebook.com/noicheamiamois ... 8098374579

Il giorno dopo che gli Stati Uniti sono usciti dall'accordo nucleare con l'Iran cercando di costruire una alleanza occidentale che freni l'espansionismo iraniano, il presidente francese Macron ha telefonato al presidente iraniano Rouhani. "Abbiamo accettato di portare avanti sforzi congiunti con tutte le nazioni coinvolte, con l'obiettivo di continuare a implementare l'accordo nucleare e mantenere la stabilità regionale” recita la nota appena diffusa. È immenso il tradimento francese ai danni dell'Occidente e di Israele: nel 1967, quando De Gaulle fece la scelta filoaraba e applicò l'embargo a Israele; in piena Intifada, quando gli israeliani venivano macellati sui bus e l’ambasciatore francese a Londra Daniel Bernard definì Israele “quel piccolo paese di m...a”; con Saddam Hussein, quando la Francia corse a vendergli missili e tecnologia nucleare; con Arafat, trattato come un re da Mitterrand e morto a Parigi; con Valéry Giscard d’Estaing che concesse l'asilo a Khomeini e lo riportò a Teheran; con gli ebrei uccisi a Parigi e nelle banlieue e le autorità francesi incapaci di proteggerli. Jules Renard, un repubblicano di sinistra e un dreyfusardo, una volta disse dei francesi: “Noi siamo tutti anti-semiti, alcuni di noi hanno l'eleganza o il timore di non ostentarlo”. A me pare che sempre meno fra di loro se ne vergognino.


Iran, missili contro Israele dalla Siria
Davide Frattini
10 maggio 2018

https://www.corriere.it/esteri/18_maggi ... a69d.shtml

GERUSALEMME – Le sirene antimissile che risuonano sulle alture del Golan, gli israeliani che scappano dentro ai rifugi. Il raid è arrivato nella notte, venti missili sparati dalla Siria, dall’altra parte di quella che è ancora una linea d’armistizio: è dalla guerra di 44 anni fa che le montagne a nord non subivano un attacco così pesante. Tsahal accusa i Pasdaran, che avevano minacciato la rappresaglia dopo il bombardamento di aprile contro una base iraniana nel deserto tra Homs e Palmira. Nei giorni scorsi lo Stato Maggiore israeliano ha posizionato le batterie Iron Dome sul confine, è lo scudo che ha intercettato la maggior parte dei missili. I jet dell’aviazione hanno risposto colpendo due aeroporti militari nell’area di Damasco, una caserma della Quarta Divisione (le truppe scelte di Bashar Assad) e altri bersagli sulla mappa che – spiegano i portavoce dell’esercito – sono considerati «iraniani», basi messe a disposizione dal dittatore alle forze che gli hanno permesso di sopravvivere. L’Esercito israeliano ha annunciato di avere colpito decine di obiettivi militari iraniani in Siria durante la notte. «Quella della scorsa notte è stata la nostra operazione aerea maggiore negli ultimi anni», ha confermato in una conferenza stampa il portavoce militare israeliano Jonathan Conricus riferendosi alle «decine» di obiettivi militari iraniani colpiti in Siria. «Il nostro intento non era di provocare vittime, ma di colpire infrastrutture». Secondo Conricus i danni inflitti «sono molto significativi» e all’Iran occorreranno mesi per ripararli. Gli israeliani considerano Teheran responsabile, anche se dalla capitale siriana un parlamentare del regime twitta in diretta la rivendicazione dell’attacco sul Golan: «Il nostro esercito ha sparato 50 (non 20) missili contro bersagli militari israeliani».

La reazione

Lo scontro è avvenuto a un giorno dall’annuncio di Donald Trump, il presidente americano, che ha annullato l’accordo sul nucleare con l’Iran e a poche ore dalla visita a Mosca di Benjamin Netanyahu. Il premier israeliano ha – ancora una volta – chiesto a Vladimir Putin di avere libertà d’azione nei cieli attorno alla Siria per impedire agli ayatollah di arroccarsi. Questa volta sembra essere lo Zar ad avere il peso sufficiente per cercare di fermare lo scontro: ha investito per salvare Assad e non può permettere che una guerra allargata lo spazzi via, come ha già minacciato Yuval Steinitz, ministro




COMUNICATO IDF
10/05/2018

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 9200921101

Aerei a combattimento israeliani hanno colpito dozzine di obiettivi delle forze Quds iraniane in territorio siriano.

Sono stati colpiti, in un ampio attacco contro obiettivi militari iraniani in Siria:
Siti di intelligence affiliati all’Iran e all’Asse Radicale.
Basi logistiche delle forze Quds.
Una base logistica ad Al-Kiswah
Una base militare iraniana a nord di Damasco
Depositi di armi delle forze Quds nell’aeroporto internazionale di Damasco
Sistemi di intelligence e siti associati alle forze Quds.
Siti militari e di osservazione nella zona di cuscinetto.
In più è stato distrutto il lanciamissili usato per lanciare missili contro Israele.
Gli attacchi dell’aeronautica militare israeliana sono stati condotti sotto lattacco aereo siriano, che continuato a sparare nonostante L avvertimento israeliano. In risposta, l’aeronautica israeliana ha colpito diversi sistemi di intercettazione aerea (SA5, SA2, SA22, SA17) delle forze armate siriane.
Gli attacchi di questa notte sono stati in risposta ai missili che sono stati lanciati dalle forze Quds iraniane verso gli avamposti IDF nelle Alture del Golan. Non sono stati riportati feriti o danni in conseguenza all’attacco iraniano.
L’aggressione iraniana è un’ulteriore prova delle intenzioni che si celano dietro il consolidamento del regime iraniano in Siria e la minaccia che rappresenta per Israele e la stabilità regionale.
L’esercito israeliano ha deciso di mantenere la normale vita civile, mantenendo aperte le scuole e il lavoro agricolo. Il raduno di più di 1.000 persone sarà permesso solo in aree aperte nelle alture del Golan e a Katzrin.
La popolazione deve comunque rimanere allerta e mantenersi agli ordini dell’esercito.
L’IDF non permetterà alla minaccia iraniana di stabilirsi in Siria. Il regime siriano sarà responsabile di ogni accadimento sul proprio territorio. L’IDF è preparato a un’ampia barriera di scenari possibili. Finché questa aggressione continuerà ad esser una minaccia per la sovranità e per la popolazione israeliane L’IDF risponderà con forza e determinazione.



E adesso l’Europa condanni l’attacco iraniano a Israele
10/o5/2018

https://www.rightsreporter.org/e-adesso ... -a-israele

Ora basta, l’Europa deve uscire dall’ambiguità dei suoi rapporti con gli Ayatollah iraniani e condannare con estrema fermezza l’attacco missilistico iraniano contro Israele. Che l’Iran usi il territorio siriano per attaccare Israele è un fatto inconcepibile che non può passare sotto silenzio.

Altro che indignazione per l’uscita degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano. La notte scorsa gli iraniani hanno dimostrato tutta la loro pericolosità lanciando dal territorio siriano una salva di 20 missili contro lo Stato Ebraico.

Gli iraniani usano il martoriato territorio siriano per lanciare attacchi contro Israele

Voglio sottolineare “dal territorio siriano” perché è un dato importantissimo e dimostra come la presenza iraniana in Siria non sia finalizzata a distruggere ISIS come ci vorrebbero far credere gli Ayatollah iraniani, ma è unicamente finalizzata a creare una piattaforma d’attacco contro Israele.

L’Europa deve scegliere se essere complice degli assassini iraniani oppure se sostenere il Diritto alla difesa di una democrazia come quella israeliana minacciata continuamente di estinzione da parte dell’Iran.

Non ci sono giustificazioni all’attacco iraniano di questa notte e sinceramente non vorremmo che, come sempre succede, la risposta difensiva israeliana venga messa alla berlina e che a passare da “cattivi” siano gli israeliani.

L’Europa la deve smettere di chiudere gli occhi davanti all’evidenza del fatto che la presenza iraniana in Siria non solo mette a rischio una terra già martoriata da una guerra civile che dura ormai da otto anni, ma che essendo finalizzata esclusivamente ad attaccare Israele contribuisce a destabilizzare ulteriormente una regione già instabile di suo.

Ora ci aspettiamo una dura condanna nei confronti di Teheran da parte di Federica Mogherini, una condanna senza condizioni, senza se e senza ma, senza scusanti o attenuanti, senza accenni alla giusta risposta israeliana, una condanna che affermi senza ambiguità il Diritto dello Stato Ebraico a difendersi dalla minaccia iraniana. Ogni altra formula dimostrerà solo la contiguità tra Unione Europea e assassini iraniani.



Quando è necessario fare la voce grossa
11 maggio 2018

https://www.israele.net/quando-e-necess ... oce-grossa

“Qual è il problema se centinaia di migliaia di persone daranno l’assalto a questa recinzione, che non è un confine di uno stato? Qual è il problema?”. Lo ha detto giovedì, parlando con i giornalisti, il capo di Hamas nella striscia di Gaza, Yehiyeh Sinwar, sottolineando che – a suo dire – quelli di Israele non sono confini internazionali e non c’è l’obbligo di rispettarli. Israele ha ribadito che difenderà i propri confini e ha accusato Hamas di sfruttare i civili.

11 maggio 2018

L’ambasciatore israeliano all’Onu Danny Danon ha esortato il Segretario Generale Antonio Guterres e il Consiglio di Sicurezza a condannare il fallito attacco iraniano al territorio israeliano. In una lettera inviata giovedì sera a Guterres, Danon dice che “Israele ritiene il governo dell’Iran, insieme al regime siriano, direttamente responsabile di questo attacco e continuerà a difendere con vigore i propri cittadini da ogni atto di aggressione. Israele non è interessato all’escalation, ma in nessuna circostanza consentiremo all’Iran di stabilire una presenza militare in Siria il cui scopo è attaccare Israele e deteriorare la situazione già fragile della regione. Questo spudorato attacco alla nostra sovranità non nasce dal niente – continua Danon – Abbiamo ripetutamente ammonito sull’allarmante radicamento militare iraniano in Siria e questo atto di aggressione è purtroppo il risultato di quello sviluppo. Chiediamo al Consiglio di Sicurezza di condannare l’attacco iraniano ed esigere che l’Iran rimuova la sua presenza militare dalla Siria, che non minaccia solo Israele ma anche la stabilità dell’intera regione. La comunità internazionale non può restare a guardare mentre un regime tirannico attacca una nazione sovrana e continua a minacciare l’esistenza stessa di uno stato membro delle Nazioni Unite”.

11 maggio 2018

Il portavoce delle Forze di Difesa israeliane ha diffuso giovedì sera le immagini di uno dei bersagli colpiti mercoledì notte, dopo l’attacco di razzi iraniani dalla Siria. Si vede il momento in cui un missile israeliano colpisce una batteria S-22 dell’anti-aerea siriana che stava per sparare missili contro jet israeliani. Vedi il video su Times of Israel Un alto ufficiale dell’aviazione israeliana ha tenuto a precisare, giovedì, che la Forza Quds iraniana è ancora in grado di lanciare missili dalla Siria e che l’operazione, denominata “Operation House of Cards”, è stata un “pieno successo” ma non è stata semplice. Nell’arco di due ore prima dell’alba, in condizioni climatiche sfavorevoli i caccia F-15 ed F-16 israeliani hanno eluso “decine di missili” dell’anti-aerea e hanno sganciato “molte decine” di ordigni su più di 50 obiettivi iraniani in tutta la Siria. Le forze israeliane non hanno subito perdite, né a terra né in cielo, e nessun missile sparato dalla Siria si è abbattuto in territorio israeliano. L’ufficiale ha detto che le sue forze hanno colpito “ogni batteria che ha sparato” contro i jet israeliani.
11 maggio 2018

Gli attacchi israeliani contro obiettivi iraniani in Siria servono da monito per il regime del presidente Bashar Assad. Lo ha detto giovedì il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu chiarendo che le Forze di Difesa israeliane agiranno contro le forze siriane se esse aiuteranno militarmente l’Iran contro lo stato ebraico. Netanyahu ha aggiunto: “Chiunque ci colpisce verrà colpito sette volte tanto e chiunque si appresta a colpirci, noi lo colpiremo per primi. Questo è ciò che abbiamo fatto e questo è ciò che continueremo a fare”. “La comunità internazionale deve impedire il trinceramento della Forza Al Quds in Siria – ha concluso Netanyahu – Dobbiamo unirci per tagliare quei tentacoli che si espandono in Siria e ovunque”.

11 maggio 2018

“Fino a quando l’Iran continua a mantenere l’attuale status quo delle sue forze e dei suoi missili che operano nella regione, qualsiasi paese, compreso Israele, ha il diritto di difendersi eliminando la fonte del pericolo”. Lo ha scritto giovedì in arabo su Twitter il ministro degli esteri del Bahrain, Khalid bin Ahmed Al Khalifa, con una presa di posizione senza precedenti sul diritto all’autodifesa di Israele.

11 maggio 2018

Il ministro israeliano delle finanze Moshe Kahlon ha invitato gli iraniani giovedì mattina a “tornarsene a casa” dicendo: “Non avete niente da fare in Siria”. In un’intervista a YnetNews, Kahlon ha detto che la decisione del Gabinetto di sicurezza di impedire il radicamento militare iraniano in Siria è assolutamente corretta. Dal canto suo, la parlamentare dell’opposizione Tzipi Livni (Unione Sionista) ha detto giovedì alla Conferenza annuale di Herzliya: “Abbiamo la nostra quota di divergenze con il primo ministro Benjamin Netanyahu su questioni essenziali e importanti riguardo al futuro dello stato di Israele, ma oggi sosteniamo pienamente le Forze di Difesa israeliane”.

11 maggio 2018

Hamas ha condannato l’attacco notturno “dell’entità israeliana” sulle “fraterne terre siriane” (dopo che l’Iran aveva lanciato razzi dalla Siria contro Israele). In un comunicato, Hamas afferma che i raid della notte dimostrano che “questa entità (israeliana) è il principale nemico della nazione islamica e la più grande minaccia contro di essa”.

11 maggio 2018

“L’Iran ha cercato di colpire Israele, ma nessun missile si è abbattuto in territorio israeliano. Quelli che non sono caduti all’interno della Siria sono stati intercettati dal sistema anti-missilistico Cupola di ferro”. Lo ha detto giovedì il ministro della difesa israeliano Avigdor Lieberman, intervenendo alla annuale conferenza di Herzliya. “Le Forze di Difesa israeliane – ha detto Lieberman – hanno colpito quasi tutte le strutture iraniane in Siria: devono mettersi in testa che, se piove in Israele, in Siria diluvia”. Lieberman ha comunque aggiunto che la distruzione delle strutture iraniane in Siria non significa “una vittoria definitiva”. “Mi auguro – ha detto – che questo capitolo sia chiuso e che tutti abbiano recepito il messaggio. A differenza degli iraniani, noi non cerchiamo di espanderci né di stabilire nuovi confini. Non abbiamo alcun conflitto con il popolo iraniano. Noi non cerchiamo di piazzare sistemi d’arma al confine iraniano. E’ l’Iran che sta cercando di stabilire un confine militare con noi, ma noi non permetteremo che la Siria venga trasformata in un avamposto iraniano contro Israele. E’ l’Iran il paese che incarna questa ideologia estremista animata dalla volontà di sacrificare i suoi stessi cittadini e il loro futuro in nome di una teologia estrema. L’Iran ha investito miliardi nelle sue attività sovversive in Siria e altrove, con i finanziamenti che garantisce a Hezbollah, Hamas, Jihad Islamica, Houthi, e questa folle avventura va tutta a scapito dei cittadini che soffrono in Iran”.

11 maggio 2018

Fonti militari siriane hanno sostenuto giovedì che i raid aerei israeliani della notte hanno causato tre morti e due feriti e danneggiato un certo numero di unità della difesa aerea, radar e deposti di munizioni. L’Osservatorio siriano per i diritti umani ha invece affermato che gli attacchi israeliani su diversi siti militari in Siria hanno ucciso 23 combattenti, tra cui cinque soldati siriani e 18 membri forze armate straniere. L’Osservatorio non ha precisato se si trattasse di iraniani.

11 maggio 2018

Il ministero della Difesa russo ha dichiarato che gli attacchi israeliani in Siria hanno visto la partecipazione di 28 aerei con il lancio in totale di circa 70 missili.



Israele vs Iran, le incognite di un confronto prolungato
Niram Ferretti
11/05/2018

http://www.linformale.eu/israele-vs-ira ... prolungato

La notte del 10 di maggio, con l’operazione denominata House of Cards, Israele ha pesantemente contrattaccato l’Iran in Siria. Si è trattato dell’operazione più intensa su territorio siriano dalla Guerra di Yom Kippur del 1973. Lo scopo dell’intervento israeliano è stato quello di colpire precisi obbiettivi miltari riconducibili all’Iran a seguito del lancio di venti missili partiti dal sud della Siria e indirizzati sul territorio di Israele a nord. Quattro missili sono stati intercettati da Iron Dome mentre gli altri non sono andati oltre confine.

Ventotto aerei F-15 e F-16 hanno lanciato circa sessanta missili terra-aria coadiuvati da più di dieci missili terra-terra. I raid controffensivi israeliani sono stati circa cinquanta e hanno colpito centri di intelligence, depositi di armi, magazzini, posti di osservazione e centri logistici, localizzati tra Aleppo e Damasco, infliggendo alle infrastrutture militari iraniane il danno più massiccio ricevuto fino ad ora.

Si tratta dell’ultima tappa del confronto che è in corso dal 2013 tra Israele e Iran e finalizzato inizialmente da parte dello Stato ebraico a impedire l’approvvigionamento di armi da parte di Teheran a Hezbollah. In seguito ha poi assunto l’obbiettivo di cercare di impedire il consolidamento iraniano in Siria.

Non è un mistero per nessuno che Benjamin Netanyahu abbia più volte ribadito, soprattutto al principale alleato dell’Iran in Siria, la Russia, che Israele non permetterà mai all’Iran di insediarsi militarmente al confine con le alture del Golan in modo da potere usare la Siria come piattaforma per futuri attacchi nei confronti di Israele. Ed è stato proprio con Putin che Netanyahu si è intrattenuto il nove maggio a Mosca, dove ha partecipato alla commemorazione per il settantatreesimo della vittoria sovietica sulla Germania nazista.

Finora, tra Russia e Israele c’è stata una convergenza funzionale. Israele non è stato mai ostacolato da Mosca nei suoi interventi in Siria contro l’Iran, e anche in questa occasione, come nelle altre, la Russia era stata preventivamente avvisata dell’attacco. Tuttavia, la situazione presenta un forte margine di instabilità. L’Iran non rinuncerà al proprio programma di consolidamento in Siria, dove ha dato un alto contributo in termini di uomini e risorse a sostegno di Bashar Al Assad e, assai improbabilmente, la Russia potrà contenere un alleato che persegue interessi espansionistici molto risoluti. Fino a quando Israele e Russia potranno evitare di entrare in contrasto tra di loro? L’attrito è solo rimandato a fronte dell’intenzione iraniana di proseguire nei propri programmi.

Va comunque evidenziato che l’Iran si trova oggi oggettivamente in un momento di grave difficoltà dovuto a una sommatoria di fattori. L’uscita degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare, una economia interna sofferente che ha beneficiato poco o niente dal grande flusso di denaro sbloccato dall’Amministrazione Obama (sostanzialmente impiegato per mantenere le varie campagne militari all’estero, in Siria, Iraq, Yemen, e naturalmente a sostegno di Hezbollah in Libano), e i continui copi inferti da Israele in Siria.

Uno scontro diretto con Israele è improbabile, l’Iran non è militarmente attrezzato per una tale eventualità che metterebbe seriamente a rischio la sopravvivenza stessa del regime, ma la situazione resta comunque molto problematica. L’unica certezza è sul fatto che Israele abbia mostrato una determinazione inflessibile nel continuare a difendere la propria sicurezza.



Il “Rommel iraniano” che cerca il martirio con la brigata Gerusalemme – Italia Israele Today
11 maggio 2018
di Fausto Biloslavo

http://www.italiaisraeletoday.it/il-rom ... erusalemme

Il generale Qassem Soleimani è il «Rommel iraniano» stratega della guerra in Iraq, Siria e Yemen, che ha portato i corpi speciali dei Pasdaran di fronte alle postazioni israeliane sulle alture del Golan. Mai gli iraniani erano stati così vicini ad Israele e per la prima volta hanno colpito direttamente. Ieri l’esercito ebraico ha accusato il generale Soleimani «di avere ordinato e comandato l’attacco» con razzi e missili sulle alture del Golan nella notte fra mercoledì e giovedì.

Il «Rommel» iraniano, classe 1957, non sorride mai, anche se ama farsi fotografare in prima linea fra i miliziani sciiti in Iraq e Siria.

Barba e capelli bianchi, sempre ben curati, Soleimani è da un ventennio il responsabile delle operazioni clandestine all’estero della brigata Al Qods. Una forza d’elite composta da 15mila uomini, che fa parte dei Guardiani della rivoluzione iraniana.

Basso di statura è amico personale della guida suprema, il grande ayatollah Alì Khamenei. Figlio di una famiglia povera e numerosa è sempre stato molto religioso. Non parla quasi mai, ma ha fatto sapere che «il martirio è quello che cerco fra valli e montagne, ma non è ancora arrivato».

Gli israeliani avrebbero avuto il via libera dagli Usa per eliminarlo considerandolo il generale iraniano più pericoloso per le sue doti tattiche e strategiche. Eroe fin dai tempi della guerra fra Iran e Iraq negli anni Ottanta, la stella di Soleimani è cresciuta con la lotta allo Stato islamico in Iraq e l’appoggio al regime di Damasco in Siria. A Tikrit, una delle prime roccaforti irachene del Califfato a cadere, i suoi consiglieri non hanno disdegnato l’appoggio aereo americano, come nella battaglia finale a Mosul. In Siria ha convinto i russi ad intervenire «salvando» Bashar al Assad, ma fin dall’inizio della guerra civile aveva organizzato il dispiegamento dei miliziani sciiti libanesi Hezbollah e volontari dall’Iraq e dall’Afghanistan.

Carne da cannone schierata al fianco dell’esercito siriano. Soleimani ha guidato le operazioni per riconquistare Aleppo, la Milano siriana, cambiando le sorti del conflitto. Nella battaglia la sua unità preferita era la 4a divisione meccanizzata siriana rafforzata da miliziani sciiti e specialisti della forza Al Qods. Soleimani ha messo le mani anche nella guerra dello Yemen impegnando i sauditi, nemici storici, con i missili Scud lanciati su Riad. Lo scorso febbraio il Rommel iraniano ha pubblicamente dichiarato che «vuole spazzare via l’entità sionista» ovvero Israele. Operativi iraniani si sono posizionati attorno a Quneitra e Daara vicino al Golan e hanno impiantato almeno una decina di basi in Siria.

Soleimani, come Rommel, spunta a sorpresa in prima linea e sarebbe capace di scatenare un attacco allo Stato ebraico ben peggiore della punzecchiatura con i razzi di due notti fa. Il suo obiettivo, mai conclamato, è lo stesso nome delle brigata speciale che comanda: Al Qods, che significa «Gerusalemme».
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » sab mag 12, 2018 3:14 am

Bibi, visto da sinistra Comunque un grande leader
9 maggio 2018
Giulio Meotti

http://www.italiaisraeletoday.it/bibi-v ... nde-leader

Quando alcuni giorni fa il leader palestinese Abu Mazen ha tenuto un discorso a Ramallah in cui spiegava che l’Olocausto non era stato causato dall’antisemitismo ma dal “comportamento sociale degli ebrei”, attirandosi le condanne della comunità internazionale e persino del New York Times, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha pensato: “Ve lo avevo detto che non avevamo un partner con cui fare la pace”.

Poche ore prima, in una spettacolare diretta televisiva, Netanyahu aveva mostrato al mondo il risultato di una operazione clandestina del Mossad, il servizio segreto israeliano. Un archivio immenso di file e dati rubati dal programma atomico dei mullah. Netanyahu anche allora aveva pensato: “Ve lo avevo detto che gli iraniani mentivano al mondo mentre firmavano l’accordo nucleare”. E ora che quell’accordo è stato disdetto a Washington, gli occhi sono puntati su di lui, Benjamin Netanyahu, che il deal aveva sempre osteggiato.
anshel pfeffer and book cover

Un giornalista israeliano, Anshel Pfeffer, è “entrato” dentro la testa di Bibi firmandone una biografia, “Bibi. The turbulent life and times of Benjamin Netanyahu”. L’autore non nasconde la sua antipatia per il premier israeliano. Pfeffer scrive per Haaretz, il giornale della sinistra israeliana. Ma il libro è un documento prezioso per decifrare uno dei politici che hanno fatto la recente storia e, certamente, quella di Israele.

Ancora un anno al potere, infatti, e Netanyahu, sempre se sopravviverà agli scandali che lo inseguono da due anni, supererà David Ben Gurion, il patriarca e fondatore dello stato, come primo ministro più longevo nella storia israeliana.

Il segreto del successo di Netanyahu? Lo ha spiegato Tom Segev, un altro editorialista di Haaretz: “Gli israeliani vogliono sapere quanto vale lo shekel (la moneta israeliana, ndr) e che non ci siano bombe sotto la loro auto”. Netanyahu è stato un maestro nel dare loro entrambe le cose.

In economia, Benjamin Netanyahu ha inanellato un successo dietro l’altro, privatizzando una economia corporativa, arricchendo gli israeliani (quando Netanyahu ha sostituito Ehud Olmert il reddito pro capite era di 27 mila dollari, oggi è 37 mila), allacciando rapporti con i giganti asiatici (l’India da ultima) e l’Africa, scansando la crisi economica che ha colpito gli altri paesi occidentali. In sicurezza, mai un azzardo.

Per “Bibi”, il costo di un eventuale errore per Israele è sempre superiore agli eventuali benefici. Secondo uno studio citato nel libro di Pfeffer e realizzato da Nehemia Gershuni-Aylho, Netanyahu ha avuto come premier il minor numero di vittime di guerra e di attacchi terroristici. “Netanyahu non è un guerrafondaio” scrive Pfeffer. “È avverso al rischio di lanciare guerre”.

La pace con i palestinesi? Auspicabile ma non necessaria per la sopravvivenza di Israele. Anzi, nel caso di land for peace la metterebbe persino in discussione, la sua esistenza. Bibi, scrive Pfeffer, ha in mente per Israele “una società ibrida di paure antiche e speranze high-tech, una combinazione di tribalismo e globalismo, proprio come lo stesso Netanyahu”. Il premier vede “Israele dietro alte mura e che comunica con la sua anima gemella a seimila miglia di distanza”, ovvero gli Stati Uniti.

Dello stesso avviso un’altra biografia appena uscita, “The resistible rise of Benjamin Netanyahu” dello storico Neill Lochery, docente allo University College di Londra, in cui spiega che “per Netanyahu è tutta questione di sopravvivenza”. Quella di Israele e della propria politica.

“L’idea di Netanyahu come custode di Israele, che protegge il paese dagli attacchi fisici e politici, risuona in molti israeliani profondamente sospettosi nei confronti dei palestinesi, degli arabi e del resto del mondo”. Per essere il primo ministro di Israele, pensa Bibi e scrive Pfeffer, “bisogna avere una conoscenza della storia, una visione per il futuro e la forza d’animo di resistere a pressioni insopportabili.

Lo stato ebraico esiste da settant’anni, ma per Netanyahu la sua esistenza rimane precaria come la dinastia degli Asmonei, costantemente minacciati dall’Impero romano. Una mossa sbagliata e gli israeliani nel XXI secolo potrebbero affrontare un destino simile agli ebrei d’Europa nell’Olocausto”.

È il grande lascito dell’immobilismo di Netanyahu: essere riuscito a impiantare nella testa degli israeliani l’idea che il conflitto non se ne andrà mai via, che devono imparare a gestirlo e mai a risolverlo con formule illusorie, che devono essere forti e che alla fine prevarranno con il “muro di ferro”.

Nel suo discorso di accettazione del Premio Israele a fine aprile, lo scrittore David Grossman si è lamentato che il suo paese è una fortezza, ma non ancora una casa. Per Netanyahu è meglio una fortezza sicura di una casa che brucia.
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » mer mag 23, 2018 7:21 am

Riassunto delle principali tappe della intelligence israeliana Come è cambiata
maggio 22, 2018
Marco Loriga

https://www.rightsreporter.org/riassunt ... e-cambiata

Israele nasce nel 1948 con riconoscimento ufficiale dell’ONU. Prima della sua nascita la Gran Bretagna aveva un Mandato ereditato dall’Impero Ottomano dopo la Prima Guerra Mondiale. Durante questo periodo (tranquillo per gran parte degli anni venti e con rivolte arabe anche gravi negli anni trenta, come lo sciopero generale con tanto di assassinii ed esecuzioni) gli ebrei, come difesa, organizzarono un esercito clandestino, l’Haganah, e una sorta di rudimentale servizio di sicurezza con archivi, frutto del lavoro dei primi agenti e degli informatori svolto in molti villaggi arabi.

Alcune famiglie arabe erano in conflitto tra loro e furono ben disposte a collaborare con gli ebrei per danneggiare i clan rivali. Lo Shai fu il primo servizio di sicurezza degno di questo nome e fu in prima fila durante la guerra del 1948, scoppiata appena poche settimane dopo l’indipendenza. Circondato da cinque paesi arabi bramosi a eliminarlo (Egitto, Siria, Giordania, Libano e Iraq) e con grossi eserciti (a cui bisogna aggiungere la Legione Araba), Israele riuscì comunque a ottenere una netta vittoria nonostante non avesse il diretto appoggio di Stati Uniti (che avvenne solo alla fine degli anni sessanta) e della Gran Bretagna, ma grazie ai servizi di sicurezza che ottennero armi soprattutto dalla Cecoslovacchia.

Già prima della guerra iniziò l’esodo dei profughi palestinesi in Cisgiordania e al confine egiziano, dovuto al fatto che non volevano avere a che fare con uno stato a maggioranza ebraica. I vicini arabi non li fecero entrare nei loro paesi perché ciò avrebbe significato il riconoscimento dell’odiato vicino.

Si cercò da parte israeliana di allacciare i rapporti con altre minoranze presenti nell’area, come i cristiani maroniti del Libano e i drusi della Siria. Più avanti Israele mise in atto una strategia per una serie di alleanze chiamata “politica di periferia” con Iran, Etiopia, Turchia e nel nord dell’Iraq con i curdi Peshmerga. Tentò anche di allacciare rapporti con l’Egitto per un accordo di pace, saltato a causa della scoperta da parte delle autorità del Cairo di una grossa cellula di spie.

Fu un disastro per la comunità dell’intelligence, che proprio negli anni cinquanta dopo varie ristrutturazioni sarà organizzato da Aman (per le IDF), nello Shin Bet (o Shabak erede dello Shai – servizio informazioni – e facente parte del ministero dell’Interno) e Mossad (letteralmente “Istituzione”, per il ministero degli Esteri).

Intanto in Egitto la monarchia viene rovesciata a favore di una repubblica araba che avrà il suo leader in Nasser. Proprio l’Egitto con la complicità degli altri stati alleati finanziò i fedayn (guerriglieri o martiri suicidi) per le incursioni in territorio israeliano. L’obbiettivo era quello di scoraggiare l’aliyah (immigrazione) e favorire l’espatrio della popolazione ebrea. Con questa mossa Israele avrebbe vissuto nel terrore di attacchi improvvisi, imboscate e attentati. Nessuno sarebbe stato più al sicuro.

I servizi di sicurezza si comportarono di conseguenza presidiando il confine lungo il fiume Giordano, da dove i volontari fedayn provenivano direttamente dai campi profughi. La Giordania preoccupata da possibili rappresaglie cercò di controllare a sua volta il confine e scoraggiare le incursioni in Israele.

Il problema degli arabi è sempre stato quello di non essere compatti fra loro e avere grossi limiti organizzativi. Israele ha sempre approfittato di questa situazione, essendo dotato di una mentalità di tipo occidentale e di un intellighenzia tra le più raffinate al mondo. Ad esempio l’esodo degli ebrei dall’Iraq, favorito dal Mossad e dal governo di Baghdad, e dal Marocco privò questi paesi di uno zoccolo duro storico dal punto di vista socio-culturale che avrebbero pagato successivamente.

La guerra di Suez del 1956 vide Israele al fianco di Francia e Gran Bretagna contro l’Egitto di Nasser fortemente intenzionato a nazionalizzare il canale ed impedire la libera circolazione a paesi non alleati. La guerra fu condannata da USA e URSS, tanto che una portaerei americana stazionò nella zona in modo da obbligare i tre alleati a cessare le ostilità. L’ URSS ebbe un ruolo importante a differenza degli USA, perché rifornì a dovere le forze armate di Siria, Egitto ed Iraq e il suo servizio segreto collaborò con quello di questi paesi.

Nella seconda metà degli anni cinquanta fu creato il Fronte Arabo, guidato da Mosca per creare una rivoluzione rossa simile a quella algerina del 1954. Questi “arabi comunisti” furono messi sotto controllo dallo Shin Bet, che riuscì a prevederne le mosse. Il Mossad giocò un ruolo importante in questi anni grazie all’infiltrazione di agenti nell’URSS, i quali riuscirono a registrare il famoso discorso di Kruscev sulla “destalinizzazione” del sistema. Israele conosceva bene Mosca e la sua politica.

La Guerra dei Sei giorni del 1967 fu un esempio di efficacia di lavoro e coordinamento tra le tre agenzie. Già dal primo giorno le IDF misero fuori uso le aviazioni di Egitto (prime due ondate aeree), Siria, Giordania ed Iraq. Ogni pilota sapeva esattamente alla perfezione dove e cosa colpire; avevano una chiara visione degli obbiettivi, cercati e analizzati dai servizi segreti. I paracadutisti guidati da Ariel ‘Arik’ Sharon presero alle spalle i reparti egiziani nel Sinai dando il via libera ai reparti corazzati israeliani.

Dopo quest’ultimo conflitto i nazionalisti palestinesi, praticamente scomparsi dopo la guerra del ’48, ritornarono di moda. Al Fatah di Yasser Arafat era però più propenso a creare problemi alla Giordania che ad Israele, tant’è che re Hussein chiuse una volta per tutte l’ufficio dell’OLP ad Amman.

Il problema israeliano è quello di essere circondato da paesi governati da dittature dotate di grossi eserciti. Israele, oltre ad avere un esercito regolare, può contare sui riservisti tra la popolazione (fino a 65 anni). Questi devono essere addestrati ed equipaggiati. Una valutazione sbagliata su un eventuale attacco arabo porterebbe a richiamare in servizio i riservisti (che si affiancherebbero ai regolari e a quelli di leva) con gravi conseguenze politico economiche. Una mobilitazione non necessaria porterebbe ad una pericolosa escalation. Il lavoro dell’intelligence oltre ad essere costante e senza sosta è qundi anche molto delicato, proprio perché i paesi nemici hanno imparato ad adottare efficaci contromisure.

Il perfetto coordinamento organizzativo non fu applicato per la guerra durante la festività dello Yom Kippur del 1973. Morto Nasser nel 1969, la presidenza fu presa da Sadat che da subito dichiarò un’imminente guerra a Israele. Passarono tre anni e Israele non diede più importanza alle parole del generale egiziano. Le truppe egiziane si spostarono in forze nel Sinai al confine israeliano. Nonostante ciò l’Aman era convinto che le forze egiziane fossero ancora menomate dalla guerra del 1967 e si fecero prendere alla sprovvista dal cannoneggiamento dell’artiglieria araba. Ma nel giro di un paio di settimane le forze di Egitto, Siria e Iraq (la Giordania restò fuori) persero il loro iniziale slancio e Israele concluse il conflitto in trionfo.

I conflitti avvennero anche al di fuori del Medio Oriente, come la strage degli atleti israeliani per mano dei terroristi di Settembre Nero alle Olimpiadi di Monaco 72 e i vari dirottamenti aerei con atti dimostrativi eclatanti da parte palestinese. Quello più spettacolare e famoso fu il dirottamento dell’Airbus A300 dell’Air France, partito da Tel Aviv e diretto a Parigi. Il jet di linea fu dirottato a Entebbe in Uganda, dove, grazie ad agenti già operanti in quel territorio, nel giro di qualche giorno sei cargo militari atterrarono con squadre speciali che misero fuori gioco i dirottatori. Una dimostrazione di grande precisione attuata nel giro di poche ore.

Nel 1981 ci fu un altro storico successo con la distruzione del reattore nucleare in costruzione in Irak da parte delle IDF. Il reattore era ancora privo del materiale radioattivo, ottima occasione per colpirlo senza contaminare l’intera zona.

Nel 1985 fu colpita una base dell’OLP in Tunisia, con una complessa operazione vista la distanza tra i due paesi.

Come per la guerra del 1973 anche la durante Prima Guerra del Golfo del 1991 ci furono delle pecche. L’intelligence israeliana (in questo caso Aman e Mossad) sapevano delle mire di Saddam sul Kuwait già prima dell’invasione dell’agosto 1990, ma per motivi finanziari, scelte sbagliate (si preferì la Siria) ed errori di valutazione, si ritrovò sotto la tempesta di missili Scud e per la prima volta a doversi difendere senza portare la guerra in casa del nemico. Un intervento israeliano avrebbe causato un caos all’interno della coalizione anti-Saddam, con sauditi e arabi del Golfo che non avrebbero accettato l’alleato sionista.

La collaborazione fra i tre servizi segreti abbinata ad una tecnologia all’avanguardia fa di Israele un paese sicuro, molto più sicuro di alcuni paesi occidentali dove le lacune sono evidenziate dagli ultimi attacchi terroristici. Ovviamente i propri cittadini (ebrei, arabi, cristiani, drusi) devono convivere con possibili minacce e alcuni attacchi isolati non è possibile prevederli.
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » mar mag 29, 2018 11:19 am

Quello che ci ha insegnato la storia del kibbutz Nahal Oz
28 maggio 2018
di Daniel Gordis
(Jerusalem Post, Israelenet)

http://www.italiaisraeletoday.it/quello ... z-nahal-oz

In una settimana zeppa di notizie da prima pagina (l’ambasciata americana a Gerusalemme, i violenti scontri al confine di Gaza, persino la vittoria della cantante israeliana all’Eurovision), anche ai lettori più attenti può essere sfuggito un dettaglio relativo ai timori di Israele alla vigilia degli annunciati assalti al confine di Gaza.

Dato che Hamas aveva avvertito che i palestinesi avrebbero sfondato la recinzione, fatto irruzione in territorio israeliano e “messo fine al progetto sionista”, gli israeliani che vivono nei pressi di quel confine avevano concretissimi motivi di preoccupazione. “Almeno una delle comunità più vicine al confine, il kibbutz Nahal Oz – si leggeva in quei giorni in un articolo – ha considerato la possibilità, come forma di precauzione, di sgomberare i residenti prima delle sommosse, stando a quanto riferito dalla portavoce Yael Raz-Lahiani”.

Aprile 1956, l’allora capo di stato maggiore israeliano Moshe Dayan legge il discorso funebre per Roi Rotberg, il membro del kibbutz Nahal Oz ucciso nei pressi della striscia di Gaza (allora sotto occupazione egiziana)

Per apprezzare appieno quanto suonasse agghiacciante questa notizia apparentemente marginale, bisogna tornare alla storia di Israele sia del 1956 che del 1948. Due elementi di quella notizia meritano attenzione. In primo luogo il kibbutz Nahal Oz: un luogo che la tragedia che ha inciso nella memoria collettiva israeliana. Il 29 aprile 1956, il ventunenne Roi Rotberg stava pattugliando a cavallo i campi di Nahal Oz, dove viveva. Abituato a vedere gli abitanti di Gaza (allora sotto occupazione egiziana) rubare i raccolti del kibbutz, quando vide un gruppo di arabi nei suoi campi Rotberg si diresse verso di loro per farli andare via. Ma era una trappola. Quando Rotberg si avvicinò a quelli che credeva contadini, questi gli spararono e lo uccisero, e poi trascinarono il suo corpo a Gaza dove venne orrendamente mutilato.

Per combinazione, l’allora capo di stato maggiore Moshe Dayan aveva incontrato Rotberg pochi giorni prima. Dayan partecipò ai funerali del giovane e vi pronunciò un discorso funebre destinato a diventare la più classica dichiarazione di Dayan – e poi di molti israeliani – sulla inevitabilità di un lungo e gravoso conflitto tra Israele e i suoi vicini. “Non c’è da meravigliarsi per il risentimento e la violenza degli arabi – disse Dayan – Da otto anni sono bloccati nei campi profughi di Gaza [sotto controllo egiziano], e vedono davanti ai loro occhi come in questi anni abbiamo trasformato le terre e i villaggi ora di nostra proprietà”.

Ma se la semplice sopravvivenza di Israele doveva suscitare la rabbia araba, allora – avvertiva Dayan – gli israeliani dovevano prepararsi a vivere con la spada in pugno. “Non dobbiamo temere di guardare in faccia l’odio che consuma e riempie le vite di migliaia di arabi che vivono intorno a noi – disse – Non distogliamo lo sguardo, affinché non abbia a indebolirsi il braccio. Questo è il destino toccato in sorte alla nostra generazione. E questa è la nostra decisione: essere sempre pronti e armati, forti e determinati, affinché la spada non cada dalla nostra mano e le nostre vite non vengano recise”.

A più di sessant’anni di distanza, le parole di Dayan suonano ancora vere, e non solo per Nahal Oz ma per tutto lo stato ebraico. Affrontare quel pozzo di odio senza fondo è stato il destino non solo della generazione di Dayan, ma anche delle successive. Nei decenni seguiti al 1956, Israele è cambiato e si è sviluppato più di quanto chiunque allora avrebbe osato pensare. Gaza invece no, giacché è l’odio, ancor più della speranza in un futuro migliore, ciò che anima le vite di coloro che vi abitano: l’odio che alimenta l’intramontabile volontà di distruggere lo stato ebraico, più che di costruirne uno nuovo acanto ad esso.

Se questa costante non fosse già abbastanza spaventosa, c’è poi l’orribile eco degli sgomberi già fatti nella storia di Israele. Nel maggio 1948, quando apparve chiaro che i combattenti ebrei che difendevano i villaggi del blocco di Etzion (poco a sud di Gerusalemme) non avrebbero più potuto resistere agli attacchi delle forze d’invasione della Legione Araba, donne e bambini vennero evacuati. Alla fine il blocco cadde, giusto un giorno prima dell’indipendenza. Gli uomini che lo difendevano si arresero, dopo di che quindici di loro vennero trucidati dai vittoriosi combattenti arabi.

Nahal Oz non cadrà nelle mani di Hamas, e Israele non abbandonerà un centimetro di terra di fronte a questa nuova ondata di terrorismo. Ma il fatto stesso che si sia contemplata la possibilità di uno sgombero di civili, e proprio dal kibbutz Nahal Oz, dovrebbe servire a ricordare che Israele sta ancora combattendo la stessa guerra che combatteva nel 1948: per il riconoscimento del suo puro e semplice diritto di esistere. Anche se oggi è tanto di moda affermare che il conflitto tra Israele e palestinesi verte sulle terre conquistate da Israele nel 1967, in realtà ciò è falso.

Vuoi per lo scellerato discorso di Abu Mazen del mese scorso, in cui ha affermato che la Shoà non è stata causata dall’antisemitismo ma del comportamento antisociale degli ebrei e ha negato che gli ebrei abbiano qualunque legame con la Terra d’Israele, vuoi per i proclami di Hamas delle scorse settimane, secondo cui nel giorno della Nakba sarebbe iniziata la “catastrofe dell’impresa sionista”, e i timori delle Forze di Difesa israeliane che masse di fanatici palestinesi potessero varcare il confine e darsi al massacro di tutti i civili israeliani che fossero riusciti a raggiungere, in ogni caso questi primi mesi del 2018 offrono una atroce conferma della battaglia che Israele sta conducendo da oltre settant’anni. Ciò a cui abbiamo assistito ai confini fra Gaza e Israele non è stato solo un cinico sacrificio di vite umane palestinesi usate dai terroristi per distrarre l’attenzione dall’abissale fallimento del governo di Gaza. Ciò che abbiamo visto, e che tristemente continueremo con ogni probabilità a vedere per il futuro prevedibile, non è stata altro che l’ennesima battaglia della guerra d’indipendenza d’Israele, e la sua necessità senza fine di difendere il proprio stesso diritto di esistere.
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Re: Pałestina: Le raxon de Ixrael

Messaggioda Berto » ven giu 08, 2018 6:41 pm

Netanyahu rifiuta un incontro con Mogherini
francesco olivo
2018/06/08

http://www.lastampa.it/2018/06/08/ester ... agina.html

Mentre al G7 in Canada è scontro tra Usa e Unione europea, da Tel Aviv arriva la notizia che il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha rifiutato un incontro con il capo della diplomazia Ue Federica Mogherini e quest’ultima (di conseguenza) ha annullato la sua partecipazione ad un forum in Israele la prossima settimana. Lo riferisce la rete televisiva Hadashot. In base alla ricostruzione della tv, Mogherini ha chiesto di vedere il premier durante la sua presenza ad una conferenza del Global forum dell’American jewish committee in programma la prossima settimana a Gerusalemme, ma la sua richiesta è stata respinta e il ministro degli Esteri Ue ha annullato la sua partecipazione al convegno.

Da Bruxelles confermano che Mogherini è in viaggio in Medio-Oriente “e precisamente in Giordania”, nel prossimo week end e che è stata considerata la possibilità di una tappa a Gerusalemme. “La cosa non è stata possibile per ragioni di agenda” ma Mogherini ritiene “importante un incontro in Israele perché ci sono molte cose di cui discutere, a cominciare dall’Iran”. Mogherini sta considerando di tornare in quell’area nel prossimo futuro.



PER LADY PESC NON SUONANO PIU' I VIOLINI.
Niram Ferretti
08 giugno 2018

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Che il vento sia cambiato, Federica Mogherini avrebbe già dovuto capirlo un mese fa dopo la decisione di Donald Trump di fare uscire gli Stati Uniti dall’accordo nucleare con l’Iran, così amato dell’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri dell’Unione Europea. Ora, è arrivata un’ulteriore conferma dopo il rifiuto di Benjamin Netanyahu di incontrarla a Gerusalemme.

La Mogherini, attualmente in Giordania, avrebbe dovuto visitare Gerusalemme per prendere parte al Global Forum dell’American Jewish Committee che si terrà nella capitale israeliana domenica prossima.

Il rifiuto di incontrare la Mogherini, la cui ostilità nei confronti di Israele è sempre stata manifesta tanto quanto la sua devozione per l’Iran, non deve stupire più di tanto. Netanyahu, ultimamente non ha fatto certo mistero delle sue critiche all’Unione Europea e alla sua politica apertamente filoaraba.

In un incontro a porte chiuse il cui contenuto è diventato pubblico a causa di un microfono lasciato acceso nella stanza, il premier israeliano ha sottolineato come “L’Unione Europea sia l’unica associazione di paesi al mondo che condiziona le sue relazioni con Israele, che produce tecnologia in ogni ambito, sulla base di questioni politiche. L’unica. Non lo fa nessun altro”

No. Non lo fa nessun altro. È stata infatti l’Europa, ben prima di diventare Unione Europea, quando era ancora CEE, negli anni Settanta, a istituzionalizzare la religione laica del palestinismo, trasformando Arafat in un irredentista e nobilitando l’OLP. E l’Unione Europea non ha fatto altro che proseguire questa politica, ingerendo il più possibile negli affari interni di Israele, foraggiando ONG ostili allo Stato ebraico e di fatto offrendo sostegno al BDS.

Il problema attuale, per un Unione Europea sempre più in affanno, è che al timone degli Stati Uniti non c’è più l’europeo onorario Obama, ma lo yankee Donald Trump. E Trump, la sponda all'Unione Europea non la offre. Lo hanno scoperto, l'Iran, Hamas e Abu Mazen. Ora è il turno di lady Pesc.
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