La vera sfida iraniana? Preparare l’attacco a Israele alla luce del soleLila C. Ashuryan on 2 marzo 2018
http://www.rightsreporter.org/la-vera-s ... e-del-sole Preparare l’attacco a Israele alla luce del sole, quasi che fosse una cosa scontata, un atto dovuto. Fa pensare a questo la notizia che l’Iran sta costruendo l’ennesima base militare in Siria.
Impossibile che gli iraniani sperassero di non essere scoperti dai satelliti. A Teheran sanno benissimo che qualsiasi loro movimento in Siria viene costantemente monitorato e quindi è impensabile che sperassero di tenere la loro nuova base nascosta. Semplicemente non gliene importa nulla, anzi, sembra quasi una sfida aperta a Israele affinché intervenga ancora una volta.
La vera notizia non è quindi che gli iraniani stanno costruendo una nuova base in Siria, ma che lo fanno apertamente alla luce del sole e senza il timore di essere scoperti, come sa la cosa fosse normale, come se tutto quello che sia funzionale a mettere in pericolo Israele fosse una cosa del tutto lecita, quasi un dovere.
La cosa è perfettamente coerente con le dichiarazioni iraniane fatte negli ultimi mesi ai più alti livelli. Gli iraniani non nascondono la loro intenzione di attaccare Israele. A dire il vero non lo hanno mai fatto sin dai tempi di Ahmadinejad, ma in qualche modo fino ad ora dopo una minaccia era sempre arrivata una dichiarazione tranquillizzante. Non più di recente. Adesso alle minacce Teheran fa seguire i fatti e lo fa così apertamente da far sembrare un attacco a Israele una cosa normale, così normale che se si escludono gli Stati Uniti tutto il resto del mondo sembra averlo preso come un fatto acquisito, come appunto una cosa normale, tanto che nessuno fa un fiato su quello che gli iraniani stanno mettendo in piedi in Siria.
In sostanza gli iraniani hanno deciso che non ha più alcun senso nascondere le loro intenzioni ma che, anzi, la vera sfida sarebbe stata quella di inculcare nell’occidente e nel mondo musulmano l’idea che attaccare Israele sia una cosa lecita e giustificabile. Per questo se ne infischiano altamente dei satelliti. Per questo se ne infischiano se ogni giorno si scopre che nuovi miliziani sciiti arrivano da ogni dove in Siria per rafforzare le milizie di Hezbollah e le Guardie delle Rivoluzione Iraniana da mesi presenti ai confini con Israele.
E a dar loro manforte c’è quell’assurdo silenzio dell’occidente di fronte a questa vera e propria pianificazione di un genocidio. L’Europa non ha mai detto una sola parola né sulle minacce iraniane a Israele né su quello che Teheran sta facendo in Siria. La Russia sembra addirittura “complice con riserva”, nel senso che non vuole apparire apertamente complice e per questo continua a parlare con Israele, ma lo è, eccome se è complice di questo piano. L’Onu non è pervenuto, proprio se ne disinteressa.
E allora gli iraniani, prendendo per buono l’assunto che “chi tace acconsente”, continuano imperterriti nella costruzione del loro piano genocida verso lo Stato Ebraico, continuano a costruire la loro macchina da guerra a pochi Km dal confine con Israele e lo fanno tranquillamente alla luce del sole, senza più nemmeno il pudore di farlo segretamente.
I
ran, il countdown per la distruzione di Israele: “Mancano 8411 giorni”teodoro chiarelli
2017/07/05
http://www.lastampa.it/2017/07/05/ester ... agina.html Un orologio in piazza della Palestina, nel centro di Teheran, per segnare il tempo che manca alla “distruzione di Israele”. Esattamente 8411 giorni. È l’ultima provocazione dei manifestanti che hanno partecipato alla Giornata di Al-Quds, cioè Gerusalemme.
Un milione in piazza
Al canto di “morte a Israele” gli oltranzisti della rivoluzione khomeinista hanno ricordato la “profezia” dell’ayatollah Ali Khamenei, Guida suprema della Repubblica islamica: “niente” rimarrà dello Stato ebraico “entro il 2040”. Alla manifestazione hanno partecipato anche il presidente Hassan Rohani, su posizioni più moderate, e il presidente del Parlamento Ali Larijani che ha attaccato Israele frontalmente, come “madre del terrorismo” e “peggior terrorista di tutti i tempi”.
Missili dei Pasdaran
I dimostranti hanno anche lanciato slogan contro l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti, mentre la Guardia rivoluzionaria, i Pasdaran, hanno portato in piazza gli ultimi modelli di missili balistici, compresi quelli usati dieci giorni fa per colpire le postazioni dell’Isis in Siria, nella provincia di Deir ez-Zour. Secondo i media di regime, in piazza c’era un milione di persone.
Accuse incrociate di terrorismo
La giornata di Gerusalemme si tiene ogni anno ed è l’occasione in cui il regime esprime le sue posizioni più ostili nel confronti di Israele. Lo stesso presidente Rohani ha detto in una intervista all’agenzia Irna che “Israele aiuta i terroristi”. Le dichiarazioni si inseriscono nello scontro con il rivale sunnita dell’Iran, l’Arabia Sunnita, che ha accusato Teheran di essere “la punta di lancia del terrorismo globale”.
Israele-Iran: siamo di fronte all'inizio di una guerra?2018/03/24
https://www.tpi.it/2018/03/24/israele-iran-guerraLa recente violazione dello spazio aereo israeliano da parte di un drone iraniano, e le rappresaglie di Israele contro bersagli siriani ed iraniani, hanno indotto molti osservatori a suggerire che la crescente tensione regionale conseguente a tali episodi potrebbe scatenare una guerra tra Israele ed Iran/Hezbollah, che potrebbe forse inavvertitamente coinvolgere anche la Siria.
Io non sono d’accordo con questa prognosi.
Ritengo che nessuno degli attori coinvolti voglia intraprendere una guerra che infliggerebbe un altissimo livello di distruzione e di vittime senza realizzare alcun guadagno sostenibile a lungo termine.
Ciò, tuttavia, non preclude lo scoppio di una guerra accidentale, causata da un incidente involontario o da errori di valutazione.
A prescindere dall’astio reciproco e dalle minacce lanciate pubblicamente da ogni attore, gli interessi strategici di ciascuno sono tutelati al meglio evitando la guerra.
La domanda diventa allora: che tipo di misure di precauzione dovrebbero prendere tutti gli attori coinvolti, in particolare la Russia, in collaborazione con gli Stati Uniti, per evitare sviluppi tanto nefasti?
L’interesse strategico complessivo dell’Iran è quello di ottenere l’egemonia nella regione, obiettivo che è determinato a realizzare assicurandosi dapprima una striscia di terra contigua dal Golfo al Mediterraneo, in cui la Siria è un cardine fondamentale, e creare un fronte unito per minacciare Israele.
Per proteggere la sua base e la sua influenza in Siria, l’Iran è stato pronto a sfruttare la guerra civile fornendo ad Assad centinaia di milioni di dollari, migliaia di combattenti ben addestrati e le attrezzature militari per aiutarlo a sconfiggere i ribelli e l’Isis.
Avendo subito più di 500 vittime, l’Iran è diventato ancor più determinato a raccogliere i frutti dei suoi sforzi, perseguendo l’istituzione di una presenza militare permanente nel paese.
Il secondo obiettivo dell’Iran è mantenere uno stato di minaccia costante contro il suo più accanito nemico -Israele – cercando di stabilire una presenza militare in prossimità del confine israeliano.
L’Iran usa Israele come grido di battaglia per attrarre violenti estremisti a sostenere le sue guerre per procura e per promuovere i suoi interessi nella regione.
Perciò, conservando l’attacco pubblico contro Israele, l’Iran spera di mantenere l’ostilità e accrescere le preoccupazioni nei confronti della “minaccia israeliana” al mondo musulmano.
Inoltre, l’Iran continua a rimpolpare l’arsenale di Hezbollah in Libano; primo, perché vuole assicurarsi il suo punto d’appoggio in Libano.
Secondo, perché vuole aprire tre fronti strategici – in Siria, Libano e potenzialmente a Gaza tramite Hamas – da cui poter intimidire Israele, metterne alla prova la determinazione, e creare nuove tensioni controllate, come ha fatto di recente facendo volare un drone, rapidamente abbattuto da Israele, sopra i cieli israeliani.
Ciò detto, malgrado la sua spavalderia, Tehran non vuole sfidare Israele sul piano militare, sapendo che le ostilità aperte ora, e anche nell’immediato futuro, potrebbero provocare massicce ritorsioni di molto superiori alla rappresaglia per l’incursione iraniana nello spazio aereo israeliano, col potenziale di infliggere una sconfitta umiliante all’Iran.
Infine, l’Iran vuole preservare l’accordo nucleare con gli Stati Uniti e non vorrebbe dare a Trump motivi per annullarlo.
Detto questo, nonostante Trump potrebbe ancora ritirarsi dall’accordo, l’Iran vuole rimanere nelle grazie degli altri cinque firmatari per impedire la ripresa delle sanzioni, specialmente in un momento in cui il pubblico iraniano è irrequieto ed esige migliori condizioni economiche e maggiori libertà sociali.
Per evitare errori di valutazione che possano portare ad una catastrofica guerra con Israele, l’Iran dovrebbe piuttosto acconsentire ed evitare di stabilire basi militari vicine al confine israeliano, costruendole invece più a nord in Siria.
Così facendo, l’Iran contribuirebbe inoltre a prevenire ogni seria minaccia al potere di Assad, sulle cui richieste l’Iran giustifica la sua continuata presenza nel paese la quale, in ogni caso, ha la massima priorità nel suo schema di egemonia regionale.
Teheran sarebbe saggia a tenere sotto controllo Hezbollah ed impedirgli di provocare Israele, dal momento che ogni conflagrazione tra Israele ed Hezbollah potrebbe distruggere buona parte delle sue infrastrutture e della sua riserva di missili.
Dopotutto, l’Iran è più interessato a mantenere la minaccia contro Israele sul fronte libanese, cosa che fa il suo interesse strategico a lungo termine, consolidando il suo punto d’appoggio in Libano, solo se Hezbollah resta forte.
Hezbollah si è unito all’esercito siriano per combattere i ribelli durante la guerra civile in corso. Sebbene gran parte della sua forza militare sia temprata dalle battaglie, Hezbollah si trova ora sotto crescenti pressioni per ripristinare un po’ di normalità all’interno della più ampia comunità sciita del Libano e, nel frattempo, riorganizzarsi.
Hezbollah ha subito quasi 1300 vittime, e lo stesso Libano ha sofferto ampiamente dalla guerra civile siriana, alla quale sta ancora pagando un pesante tributo nel suo sforzo di ospitare più di un milione di rifugiati siriani.
Hezbollah, con il supporto dell’Iran, manterrà il suo atteggiamento minaccioso nei confronti di Israele proseguendo nei suoi sforzi per accrescere il suo arsenale di armi, ma non lo sfiderà militarmente.
Hezbollah sa che che la soglia di vittime accettabili per Israele è molto bassa, e la morte di 40-50 israeliani per mano degli attacchi missilistici di Hezbollah provocherebbe travolgenti attacchi di rappresaglia che potrebbero fare migliaia di vittime libanesi, cosa che Hezbollah vuole evitare.
In ogni caso, Hezbollah non avvierà ostilità contro Israele senza l’approvazione di Teheran perché una mossa simile nuocerebbe alle ambizioni strategiche dell’Iran nella regione.
In tali circostanze, Israele continuerà ad attaccare i convogli che trasportano le armi dall’Iran ad Hezbollah, e colpirà anche qualsiasi fabbrica di armi sul suolo libanese.
Questo, naturalmente, comporta un certo rischio di inasprire le ostilità. Ma visto che Hezbollah e l’Iran vogliono evitare la guerra, risponderanno agli attacchi israeliani nella stessa maniera in cui hanno risposto a quelli precedenti: dicendo poco e facendo anche meno.
Ciò, tuttavia, non significa che Israele possa fare ciò che desidera a mano libera. Gli attacchi israeliani si misureranno con lo sfondo del contesto complessivo, che viene limitato dal desiderio dello stesso Israele di evitare una guerra aperta, a meno che non sia minacciato nella sua esistenza.
Il regime di Assad: da quando è salito al potere nel 2000, il presidente siriano Assad non ha mai preso in considerazione di intraprendere una guerra contro Israele.
Come suo padre, ha aderito in pieno all’accordo di disimpegno con Israele del 1974. Infatti, per tutta la durata del suo regime, Assad ha fatto numerose aperture di pace nei confronti di Israele, ritenendo che la futura stabilità e prosperità della Siria dipenda dalla pace con Israele, o, almeno, dal mantenimento dell’assenza di ostilità.
Dallo scoppio della guerra civile, Assad si è assicurato di non fornire ad Israele alcuna ragione per entrare nella mischia.
Adesso che è sul punto di vincere contro i ribelli e l’Isis, grazie al decisivo sostegno di Russia ed Iran, è ancor più determinato ad evitare qualsiasi scontro militare con Israele, che la Russia in particolare vuole evitare ad ogni costo.
Assad si trova tuttavia tra la l’incudine e il martello: da una parte sa che la sua sopravvivenza dipende dal perdurare del supporto di Iran e Russia, e dall’altra vuole tenere l’Iran sotto controllo per evitare la guerra con Israele.
Al riguardo si trova perfettamente d’accordo con la Russia, ugualmente intenzionata a tenere l’Iran a debita distanza.
Per evitare errori di valutazione, che potrebbero risolversi in uno scontro diretto tra Israele ed Iran, lo stesso Assad deve avere la meglio sull’Iran ed impedirgli di stabilire impianti bellici vicino ai confini israeliani.
Assad può mettere in chiaro che una simile presenza militare iraniana solleciterebbe attacchi di Israele, che coinvolgerebbero la Siria e danneggerebbero la sua sicurezza nazionale.
A questo proposito, Assad può contare sul supporto della Russia, specialmente perché Mosca stessa non vuole (e non permetterà) che l’Iran abbia mano libera in Siria.
Mentre la sconfitta dell’Isis si avvicina, e si allenta la tensione con i ribelli, Assad dovrebbe insistere affinché le milizie iraniane, costituite in maggioranza da non iraniani e la cui lealtà è più rivolta al salario che alla causa dell’Iran, lascino il paese.
Assad dovrebbe mandare ad Israele un messaggio netto, attraverso i canali appropriati, per chiarire che non lo attaccherà militarmente e non sarà persuaso altrimenti dall’Iran. A questo proposito, la Russia fornirà certamente il suo pieno supporto ad Assad.
In più, se Assad vuole ristabilire la stabilità ed avviare un po’ di ricostruzione, il paese dovrebbe essere ripulito da ogni potenziale agitatore.
Ovvero, Assad non dovrebbe permettere una stabile presenza di Hezbollah in Siria, che attirerà solamente attacchi israeliani nel caso in cui qualsiasi ostilità accidentale o premeditata dovesse scoppiare tra Israele ed Hezbollah.
Israele vede l’Iran come il nemico numero uno, votato alla sua distruzione, ed è determinato ad eliminare ogni base militare iraniana in Siria vicina ai suoi confini.
Israele continuerà, come in passato, ad attaccare i convogli che trasportano armi sofisticate dall’Iran a Hezbollah passando per la Siria.
Israele accusa l’Iran di intraprendere regolarmente attività sovversive allo scopo di minare la sua sicurezza e instigare i palestinesi ad opporsi violentemente all’occupazione della sponda occidentale e al blocco su Gaza.
Israele crede che l’Iran sia determinato ad procurarsi armi nucleari allo scadere delle clausole di decadenza del Piano d’azione congiunto globale (il cosiddetto “Accordo sul nucleare iraniano”), particolarmente nella prima fase, al termine della quale all’Iran sarà gradualmente permesso di riprendere (pur con qualche restrizione) l’arricchimento dell’uranio.
Per questa ragione Israele sta compiendo sforzi estremi per convincere l’amministrazione Trump a “risolverlo o bocciarlo” (“fix it or nix it“, per come l’ha posta il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu).
Nonostante Israele sia certo di poter vincere ogni possibile scontro militare con i nemici che lo circondano, ha valutato che non trarrebbe alcun beneficio a lungo termine dallo scagliare attacchi preventivi contro le forze iraniane, siriane o di Hezbollah.
Per distruggere la riserva di Hezbollah di circa 150mila missili a corto e medio raggio, in gran parte incorporata nella comunità civile, Israele dovrà effettuare, almeno in parte, bombardamenti a tappeto che potrebbero comportare la morte di decine di migliaia di civili.
Israele, tuttavia, colpirà preventivamente solo se si troverà a fronteggiare una minaccia imminente.
Israele non ha avversione per il regime siriano in quanto tale, e preferirebbe vedere Assad al potere a patto che riesca a limitare lo spazio di manovra dell’Iran, facendogli capire chiaramente che non lascerà che la Siria diventi il campo di battaglia tra Israele ed Iran/Hezbollah.
Per evitare qualsiasi incomprensione ed errore di calcolo, Israele dovrebbe chiarire che vuole stare alla larga dalla guerra in Siria.
Ciò detto, Israele deve ribadire con forza all’Iran e (tramite la Russia) ad Hezbollah che, trovatosi a fronteggiare una qualsiasi minaccia, risponderà con forza imponente e sproporzionata a qualunque provocazione da entrambe le parti.
Israele dovrebbe definire apertamente che cosa possa costituire una “azione provocatoria”, concetto che dalla prospettiva israeliana include la violazione dello spazio aereo, lanciare missili, o l’infiltrazione di terroristi provenienti dal territorio libanese o siriano.
Israele dovrebbe dire chiaramente che qualunque di queste violazioni costituisce una linea rossa che né l’Iran né alcuno dei suoi surrogati possono superare impunemente.
Israele dovrebbe inoltre rendere inequivocabilmente chiaro a Teheran tramite la Russia che distruggerà qualunque base militare vicina al confine, e che, se l’Iran dovesse contrattaccare, Israele non esiterà, come recentemente dichiarato da Netanyahu, a bombardare specifici bersagli sul ruolo iraniano.
In ogni caso, il pubblico israeliano è psicologicamente abituato alla minaccia iraniana e si aspetta che il governo intraprenda qualunque azione necessaria ad infliggere intollerabili danni al nemico.
La Russia è il principale intermediario in Siria, e nessuna soluzione alla guerra civile siriana né instaurazione di alcun nuovo ordine politico tra le varie fazioni può verificarsi senza il suo consenso.
La Russia è presente in Siria da circa 50 anni, quando Mosca ha costruito la sua base navale a Tartus, e ha sempre avuto l’ambizione di riempire il vuoto creato dall’amministrazione Obama, che aveva scelto di stare per lo più fuori dal conflitto in Siria.
Il Cremlino ha colto l’opportunità di andare in aiuto del regime di Assad, che era sull’orlo del collasso, inviando truppe di terra e forze aeree a bombardare molti dei bersagli ribelli e dell’Isis, cosa che ha sensibilmente cambiato le sorti della guerra in suo favore.
La Russia ora usa la sua presenza dominante in Siria come trampolino da cui esercitare una maggiore influenza sul Medio Oriente, una posizione che ha ricercato negli ultimi dieci anni.
Persino Israele, che tradizionalmente attende il via libera degli Stati Uniti prima di intraprendere qualsiasi azione militare significativa, deve ora ricevere il benestare della Russia prima di attaccare le basi militari dell’Iran e di Assad in Siria.
Nonostante la Russia e l’Iran abbiano unito le forze per difendere Assad, la Russia vuole limitare l’influenza iraniana in Siria – in parte perché vuole restare la principale potenza in Siria, e in parte perché vuole evitare uno scontro violento tra Israele e l’Iran per scongiurare un’ulteriore destabilizzazione della Siria, che potrebbe minare i suoi interessi strategici.
Per sicurezza, Putin vuole salvaguardare la speciale posizione della Russia in Siria, ed è determinato ad impedire ad Iran, Hezbollah, Israele e persino agli Stati Uniti di guastare i suoi guadagni e la sua influenza, e non permetterà a nessuno dei suoi antagonisti di intervenire senza cooperare con la Russia.
Pertanto, la Russia si trova in una posizione unica per evitare errori di valutazione che potrebbero portare ad una guerra non intenzionale, e a tale scopo Putin deve stabilire delle norme di d’ingaggio a cui tutti i combattenti debbano aderire, a meno che si trovino davanti ad un’imminente minaccia esistenziale.
Primo, la Russia deve rendere chiaro all’Iran che non gli permetterà di installare alcuna base militare vicino ai confini israeliani.
Secondo, dovrebbe comunicare chiaramente ad Hezbollah che non deve cadere nella tentazione di provocare Israele, dato che a questo proposito la Russia non può impedire ad Israele di mettere in atto rappresaglie su larga scala, le quali potrebbero minare gli interessi strategici di Mosca.
Terzo, Putin deve persuadere la Turchia a fermare le sue incursioni in territorio siriano e distogliere Erdogan dalla sua missione di sottomettere i curdi siriani, cosa che aggraverebbe e prolungherebbe solo il conflitto in Siria.
Putin è convinto che la Turchia voglia mantenere una presenza permanente in Siria: una ricetta per prolungare la violenza tra le forze turche e il YPG, un ulteriore fattore destabilizzante.
Quarto, Putin deve ora cercare di ottenere il coinvolgimento degli Stati Uniti nella ricerca di una soluzione permanente alla guerra civile siriana.
Gli Stati Uniti restano una potenza regionale dominante e, nonostante la Russia sia il principale intermediario in Siria, l’appoggio degli Stati Uniti resta decisivo anche solo per per i suoi stretti legami con Israele, e per il fatto che potrebbero essere trascinati dentro un’eventuale futura guerra tra Israele ed Iran/Hezbollah.
Gli Stati Uniti: tristemente l’amministrazione Trump, che ha ampiamente seguito la politica di Obama nei confronti della Siria, si trova ora a dover fronteggiare una nuova realtà.
Gli Stati Uniti di Trump sembrano non avere una chiara strategia sul come occuparsi del conflitto (???).
Inoltre, limitare il coinvolgimento diretto americano nel conflitto ai soli tentativi di dissuadere Assad dall’utilizzare armi chimiche contro il suo popolo, come Trump ha fatto una volta in passato, ha avuto poco impatto sul corso della guerra e sul comportamento di Assad, finché ha potuto contare sull’appoggio russo.
L’attuale situazione in Siria è diversa per quattro motivi:
1) il presidente Assad, escluso dall’amministrazione Obama come parte della soluzione, rimarrà certamente presidente e verrà sicuramente “rieletto” non appena si terranno nuove elezioni;
2) il coinvolgimento diretto dell’Iran nella guerra civile siriana e la sua ambizione di radicarsi completamente nel paese è visto da Israele come una minaccia alla sua sicurezza;
3) anche quando la guerra civile finirà, il conflitto fra sette e la rivalità per il potere continueranno a perseguitare il paese per anni, assicurando una destabilizzazione che colpirà gli alleati locali degli Stati Uniti; e
4) gran parte del paese giace in rovina e avrebbe bisogno di decine di miliardi di dollari per la ricostruzione, la quale richiede per necessità la leadership degli Stati Uniti per raccogliere i fondi necessari.
Per evitare errori di valutazione che possano portare ad una guerra non intenzionale tra Israele ed Iran/Hezbollah, e forse all’accidentale coinvolgimento della Siria, gli Stati Uniti devono:
Mantenere la presenza delle truppe americane e dei consulenti inviati in Siria a combattere l’Isis, e aumentare ulteriormente la presenza per fornire agli Stati Uniti l’influenza di cui hanno bisogno per giocare un ruolo importante nella ricerca di una soluzione, in collaborazione con la Russia.
Riaffermare la propria dedizione alla sicurezza nazionale di Israele. Per di più, nonostante l’attuale coordinazione strategica delle difese dei due stati, l’amministrazione Trump dovrebbe prendere in considerazione di pubblicare un comunicato, seguendo il percorso imboccato col suo impegno nella Nato.
Gli Stati Uniti dovrebbero dichiarare che ogni grande attacco ad Israele costituirà un attacco agli Stati Uniti. Questo scoraggerebbe certamente l’Iran anche solo al contemplare qualsiasi ampia ostilità nei confronti di Israele.
Idealmente, Trump dovrebbe focalizzarsi sulla correzione dell’accordo sul nucleare con l’Iran in collaborazione con gli altri cinque firmatari, e farlo attraverso canali diplomatici invece che lanciando un ultimatum in cui minaccia di ritirarsi completamente dallo stesso entro maggio, cosa che acuirebbe semplicemente le tensioni regionali.
Conoscendo il disprezzo di Trump nei confronti dell’Iran e la sua descrizione dell’accordo come “il peggiore della storia”, potrebbe ancora ritirarsi dal patto. Come minimo, comunque, dovrebbe evitare di ripristinare le sanzioni, in modo che gli altri firmatari abbiano comunque l’opportunità di modificarlo attraverso le negoziazioni.
Altrimenti, la precipitosa ritirata dall’accordo agiterebbe semplicemente gli iraniani e potrebbe spingerli ad abbandonarlo del tutto, cosa che potrebbe potenzialmente condurre alla proliferazione del nucleare nella zona, che gli Stati Uniti e i loro alleati nell’area vogliono evitare.
Inoltre, in un momento in cui gli Stati Uniti vogliono negoziare la denuclearizzazione con la Corea del Nord, non dovrebbero revocare unilateralmente l’accordo con l’Iran per poi aspettarsi che la Corea del Nord si fidi della loro capacità di rispettare gli impegni presi.
L’ironia del tutto è che nessuno degli attori coinvolti in modo diretto o indiretto nella guerra civile in Siria vuole esacerbare il conflitto minacciando Israele, che non si fermerà davanti a niente per proteggere la sicurezza nazionale, specialmente se la minaccia è ritenuta esistenziale.
Ogni fazione sa inoltre che, a prescindere da quanti danni potrebbe incassare Israele in una guerra del genere, ne uscirebbe vittorioso, infliggendo livelli di distruzione forse senza precedenti ai suoi nemici.
In ultima analisi, ogni decisione relativa al conflitto si misura in termini di costi e benefici. Non c’è niente che suggerisca che uno qualsiasi degli attori coinvolti preveda di ottenere benefici strategici a lungo termine che potrebbero giustificare una guerra catastrofica.
La guerra potrebbe scoppiare per colpa di errori di valutazione, che possono però essere evitati. La Russia, in particolare, e gli Stati Uniti devono cooperare e fare forti pressioni sui rispettivi clienti per prevenire simili errori.
Leggi anche: L’Iran sta silenziosamente consolidando le sue forze armate in Siria
Articolo a cura di Alon Ben-Meir, traduzione a cura di Noemi Valentini
Luttwak sull'Iran:15/01/2018
http://www.linformale.eu/luttwak-procla ... ata-regimiIn una recente intervista all’Informale Daniel Pipes, a proposito dell’Iran, ci ha detto, “In qualsiasi giorno del futuro ci sarà una panetteria senza pane o un distributore senza benzina. Il risultato potrebbe essere un tumulto che si diffonderà attraverso il paese e che finirà per rovesciare il governo. È quello che prevedo, ma ovviamente, non posso sapere quando accadrà. Noi che ci troviamo all’esterno dovremmo intraprendere i passi necessari affinché questo giorno si avvicini”. È d’accordo con lui? L’occidente dovrebbe appoggiare le rivolte Iraniane anche rischiando che questa posizione possa mettere l’ayatollah nella posizione di dare la “colpa” all’occidente?
Beh non so cosa si intende esattamente quando si parla di occidente. L’Italia non ha strumenti per agire in Iran. I britannici un secolo fa erano efficaci a livello di intelligence operativa, ora non più. La CIA dispone di due o tre soggetti capaci di infiltrarsi in Iran, che parlano farsi, ma hanno limitate capacità operative.
Interventi esterni veri e propri sono difficili ed in alcuni casi controproducenti. La realtà iraniana funziona, e funzionerà in futuro in maniera autonoma fino al collasso del regime.
Mi spiego meglio: l’Iran è un paese di 80 milioni di abitanti, per andare avanti solo ed esclusivamente con i proventi del petrolio dovrebbe vendere 20 milioni di barili al giorno, allora sì che il paese sarebbe ricco. Ma con due, tre barili massimo di export al giorno, il guadagno è quasi nullo.
Chiaramente queste esportazioni sono importanti, ma sarebbe come dire che Israele è capace di mantenere tutto il paese esportando due navi piene di cemento al giorno, ovvero un’assurdità. Dunque l’Iran è un paese sostanzialmente povero, ciononostante le “avventure imperiali” dell’Iran in Siria hanno avuto delle spese militari altissime. Per non parlare di quanto costano le Guardie Rivoluzionarie. L’equazione è molto semplice, le spese per condurre questa guerra sono troppe, il paese non può sostenerle e si giungerà molto presto ad un collasso. Tutto ciò che deve fare l’occidente è aspettare il crollo del regime, perché è solo questione di tempo che ciò avvenga in maniera del tutto autonoma. Intervenire non avrebbe senso con queste premesse.
Gli Stati Uniti, con l’Amministrazione Trump, hanno riqualificato l’Iran come il principale stato islamico sponsor del terrorismo. In questo momento in Medioriente c’è un’inedita convergenza tra Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita finalizzata a contrastare la minaccia sciita. Si tratta di un ribaltamento a 180 gradi della dottrina Obama. È d’accordo con questa impostazione? Per quale motivo, secondo lei, l’occidente si è spinto così tanto ad equilibrare i rapporti con l’Iran durante l’amministrazione Obama e quali sono le conseguenze che paghiamo oggi?
L’Iran sembra una grande potenza se si guarda la situazione rispetto alla guerra in Siria, ma questa è solo un’immagine che non corrisponde alla verità. L’Iran mette in campo dodicimila soldati in Siria, sono miliziani appartenenti a gruppi sciiti dove la povertà regna sovrana e che per 3/4 dollari al giorno sono disposti a fare qualsiasi cosa. Vengono reclutati in Iran, Afghanistan, Pakistan.
L’Europa parla continuamente delle capacità iraniane avendo una visione totalmente distorta di questa realtà, e questo perché il regime teocratico è molto bravo a vendersi e a nascondere la propria natura fallimentare. Guardiamo solamente come stanno pubblicizzando l’aumento del prezzo del petrolio, come se una variazione cosi insignificante potesse davvero far fronte alle esigenze della popolazione: è semplicemente assurdo che l’Europa ci creda.
In ogni caso la responsabilità della sottomissione europea all’Iran si deve alla Mogherini, che è innamorata di questi regimi e fa di tutto per non offenderli, come ha fatto negli ultimi giorni non condannando la dura repressione del regime contro le proteste popolari. Negli Stati Uniti, Obama ha concesso l’accordo sul nucleare perché sperava che l’Iran cambiasse atteggiamento e che diventasse un interlocutore credibile. Ma dopo le numerose provocazioni degli iraniani, specialmente nel Golfo Persico, dove più di una volta hanno minacciato di attaccare le portaerei americane, dopo che per anni gli Stati Uniti hanno visto bandiere bruciate e politici inneggiare alla distruzione dell’America, l’amministrazione Trump sta iniziando a comportarsi come avrebbe fatto chiunque sotto minaccia.
Trump crede che un regime del genere, che inneggia alla “morte del grande satana americano” non debba essere considerato un paese amico. Possiamo dargli torto? Chi altri sopporterebbe tanto?
Per quanto riguarda i sunniti è un discorso diametralmente diverso. Queste nazioni sono incredibilmente vulnerabili e dipendono quasi esclusivamente dal petrolio. Quando si è così vulnerabili si ha paura che le proprie risorse vengano attaccate, e la più grande paura delle Monarchie Sunnite, in particolare dell’Arabia Saudita, è che le milizie sciite attacchino le infrastrutture finalizzate all’estrazione e all’esportazione di petrolio. Chiaramente nella loro ottica l’Iran sembra una superpotenza, di conseguenza hanno fatto di tutto per allearsi con Israele, che vuole agire contro l’Iran in maniera più occulta possibile. È chiaro che un via libera, seppur tacito, sugli aeroporti dei paesi del Golfo permetterebbe a Israele di avere un raggio d’azione contro l’Iran infinitamente maggiore.
Il recente voto all’ONU contro la decisione americana di dichiarare Gerusalemme capitale di Israele ha visto una netta contrapposizione tra Europa e Stati Uniti, con l’eccezione di alcuni paesi dell’Europa dell’Est. USA e Israele da una parte e l’Europa dall’altra. Chi è in grado di rappresentare meglio oggi i valori sui quali si incardina l’Occidente? A cosa si deve questa importante spaccatura?
Durante gli anni della guerra fredda Gerusalemme veniva considerata il centro del conflitto tra le due grandi potenze: Stati Uniti e Unione Sovietica.
Patto di Varsavia e NATO hanno scelto di non combattersi in territorio occidentale, perché si sarebbe consumata una guerra nucleare senza precedenti, e hanno quindi iniziato ad espandere le sfere di influenza in altri continenti appoggiando le posizioni degli attori coinvolti nei conflitti interni. Il fulcro dell’attività strategica è stato per decenni il Medio Oriente e il punto del Medio Oriente più conteso in assoluto nella storia è Gerusalemme.
Oggi Gerusalemme è considerata niente più che una città piena di storia e cultura ma non solletica più gli interessi delle grandi potenze. Solo due figure credono ancora nel ruolo strategico di Gerusalemme, ovvero il Papa e Federica Mogherini. Il primo deve crederci giocoforza, essendo la figura più importante del cattolicesimo. La seconda è stata per anni innamorata di Arafat e non vuole abbandonare l’idea che Gerusalemme debba essere consegnata ai palestinesi. Questo è il motivo per il quale in Europa si è fatta grande notizia sulla questione di Gerusalemme ed anche il motivo per il quale è stata trattata nelle ultime settimane come una città dalla grande rilevanza strategica, ma questo è solo lo specchio di quanto l’Europa sia così indietro.
È totalmente razionale proclamare Gerusalemme capitale di Israele, di fatto è cosi, tutte le altre opinioni restano mere mistificazioni della realtà, del tutto controproducenti e che rendono l’Europa poco credibile.
Il ruolo dell’ONU anche qua è stato totalmente marginale. È necessario rendersi conto che, ad oggi, l’ONU è un “luogo di cerimonie”. Da anni ormai non è più il centro del sistema internazionale, tutto ciò di cui si discute tra quelle mura non ha la minima rilevanza.
Dal Russiagate all’assurda tesi di Biden secondo il quale la Russia avrebbe degli interessi in Italia ( addirittura tanto da accusare Putin di essere intervenuto per i risultati del referendum), sembra che l’Europa sia totalmente ossessionata dalla Russia. Secondo lei a cosa si deve la russofobia europea? Sempre in merito alla Russia, che ruolo si è ritagliato Putin in Medio Oriente? E’ possibile che Israele, Russia e Siria possano trovare un accordo che limiti la presenza iraniana nella zona della Siria più prossima ad Israele e su quali basi potrebbe avvenire un accordo del genere?
Per quanto riguarda il Russiagate, è stato provato che lo sforzo russo di intervenire negli Stati Uniti è stato sotto i venticinquemila dollari. Questo significa che, seppur abbiamo inquadrato un minimo di intervento per influenzare i risultati delle elezioni americane, si parla di una cifra totalmente irrisoria, a fronte di un’esagerazione nella presentazione del caso da parte dei media statunitensi. Non difendo certamente questo tipo di azioni, lo considero uno schifo, ma allo stesso tempo sono realista e confermo che un investimento del genere non ha davvero alcun peso in un paese come gli Stati Uniti.
In Europa questo intervento non c’è mai stato. Angela Merkel non può attribuire i guai dei tedeschi ai russi, perché sono anni ormai che le sue politiche non tengono conto della volontà dei milioni di tedeschi, in primo luogo quelle sull’immigrazione.
In Medio Oriente, invece, la Russia sosterrà Assad fino alla fine, sono stati bravi e hanno dato l’esempio di come chi sostiene i russi non venga mai abbandonato. In generale si stanno muovendo benissimo su tutti i fronti: hanno appena concluso un accordo per la vendita di armi ai sauditi, hanno vinto senza riserve in Siria e contemporaneamente hanno mantenuto buoni i rapporti con Israele. Un accordo operativo mediato dalla Russia tra Siria e Israele è certamente possibile perché in un contesto come questo gli attori non si fidano più solo dei propri alleati, ma anche e soprattutto degli attori competenti.
La Russia può essere vista o meno come un alleato ma non può non essere vista come un attore credibile, efficace, competente. Questo lo hanno capito non solo la Siria e l’Iran, ma anche Israele e l’Arabia