Canan, Pałestina, Judea, Ixrael

Re: Canan, Pałestina, Judea, Ixrael: Shelach Lechà

Messaggioda Sixara » mar giu 28, 2016 9:28 pm

Shelach Lechà
(Numeri 13,1 - 15,41) Giunti finalmente in prossimità della Terra promessa, Mosè invia dodici uomini, uno per tribù, a esplorare il paese di Canaan. Al ritorno gli esploratori riferiscono che il paese è ricchissimo, i suoi frutti splendidi, ma i suoi giganteschi abitanti così forti da risultare praticamente invincibili. Solo due degli esploratori, Giosuè, e Calev, ricordando che tutto è possibile con l'aiuto divino, cercano di rassicurare il popolo che però, atterrito, si dispera. Dio, di fronte a questa nuova prova di sfiducia, vorrebbe distruggerlo. Le parole di Mosè riescono a distogliere dal Suo proposito Dio, che però condanna il popolo a restare quaranta anni nel deserto. La Parashà termina con i versetti che sono stati stabiliti come terzo brano dello Shemà'.

Dalle parole che Mosè nel Deuteronomio rivolge al popolo, risulta chiaramente che fu il popolo stesso che gli chiese di mandare degli esploratori a visitare il paese di Canaan: “E voi vi avvicinaste a me tutti quanti, e diceste: `Mandiamo degli uomini avanti a noi che esplorino il paese e ci riferiscano qualcosa del cammino per il quale dobbiamo salire...’” (Deut. 1,22-23).
Mosè gradì la richiesta e, con il consenso divino, scelse dodici rappresentanti del popolo, uno per tribù, e diede loro disposizioni dettagliate su quanto dovevano fare: esplorare il paese, accertarsi della forza della popolazione che lo abitava, di come erano fortificate le città e, soprattutto, di rendersi conto della fertilità del suolo e portarne qualche frutto.
I dodici esploratori tornarono dopo quaranta giorni, ma il loro rapporto gettò il popolo nello scoraggiamento, anzi nella disperazione: “Il paese è molto fertile, riferirono infatti, ma è abitato da popolazioni di giganti: è un paese che divora i propri abitanti!” (13,32).
Solo Calev, della tribù di Giuda, e Giosuè, della tribù di Efraim, protestarono contro il modo in cui i loro compagni avevano descritto le difficoltà che avrebbero dovuto superare, modo che dimostrava la loro mancanza di fiducia nel Signore.
Giosuè e Calev cercarono di convincere il popolo che l'aiuto divino, che non era mai venuto meno, che li aveva sempre sostenuti fino ad allora, non sarebbe certo mancato in futuro. Ma il loro intervento fu inutile: i figli di Israele, preda della paura, si ribellarono: preferivano tornare alla schiavitù d'Egitto, piuttosto che affrontare le difficoltà per conquistare la libertà.
È straordinariamente interessante, e deludente, questa reazione degli esploratori e del popolo d'Israele dinanzi ad un'impresa, indubbiamente difficile, ma certamente voluta e quindi protetta dal Signore.
Il marchio della schiavitù aveva indubbiamente lasciato la sua impronta sul popolo.
Un popolo di schiavi non diviene improvvisamente un popolo di fieri combattenti: la paura traspare delle parole degli esploratori: “Tutta la gente che vi abbiamo veduta è gente d'alta statura. E vi abbiamo visto i giganti, figli di 'Anak...” (13,33), e dalla reazione del popolo: “Allora tutta la radunanza alzò la voce, diede in alte grida; e il popolo pianse tutta quella notte”.
La paura dà corpo alle ombre, moltiplica le difficoltà fino a farle apparire insormontabili, persino soprannaturali: è probabile infatti che la popolazione di Canaan, tranquilla e ben nutrita, fosse più robusta della popolazione ebraica che usciva da oltre un anno di permanenza nel deserto, ma solo il terrore poteva farla apparire addirittura gigantesca, discendente da Anak, il mitico gigante.
La bellezza del paese, la ricchezza dei suoi prodotti, “è davvero un paese in cui scorre il latte e miele” (13,27), diventano così fattori assolutamente trascurabili dinanzi alla paura che fa loro gridare: “Fossimo pur morti nel paese d'Egitto; e fossimo pur morti nel deserto! Perché il Signore ci conduce in quel paese ove cadremo per la spada?” (14,2-3).
La distribuzione geografica dei popoli nella terra di Canaan, descritta all'inizio della relazione degli esploratori: “Gli Amalekiti abitano la parte meridionale del paese, i Chittei, i Gebusei e gli Emorei la regione montuosa, i Cananei abitano presso il mare e lungo il Giordano”; nonché le vicende storiche che li videro protagonisti, presentano una straordinaria analogia con un episodio recentissimo.
Quando l'O.N.U., nel 1947, votò per la spartizione della Palestina, i popoli arabi minacciarono di morte e di distruzione gli ebrei se avessero tentato di proclamare il loro Stato indipendente: i Libanesi e i Siriani si trovavano nella parte settentrionale del paese, nella zona montuosa, i Giordani lungo il corso del Giordano, gli Egiziani nella parte meridionale.
Erano giganti, e le difficoltà di una guerra parevano insormontabili: e ci pare calzante il paragone riportato proprio dagli esploratori: “Vi abbiamo visto i giganti, figli di 'Anak, appetto ai quali ci pareva di essere delle locuste. E come locuste essi ci vedevano”.
Noi eravamo un popolo che usciva dal “deserto” dei popoli stranieri, da duemila anni di schiavitù, di avvilimento, di persecuzioni. I lager nazisti erano una ferita viva e sanguinante.
Ma se ci fossimo lasciati prendere dal terrore e dalla disperazione di fronte ai “giganti” che ci circondavano, oggi non ci sarebbe uno Stato di Israele.
Abbiamo avuto fiducia in Dio e nella fermezza delle nostre intenzioni, nella volontà ferrea di riavere, dopo duemila anni, uno Stato tutto nostro, la Terra che Dio aveva promesso ai nostri progenitori.
Un coraggio che gli ebrei del deserto non ebbero. E Dio, che avrebbe voluto distruggerli per questa ennesima prova di sfiducia, si lasciò convincere a risparmiarli dalla difesa di Mosè. Ma li condannò a una permanenza di quaranta anni nel deserto: il tempo necessario perché la vecchia generazione, la generazione che aveva formato la propria mentalità alla scuola della schiavitù scomparisse, e nella nuova terra entrasse la nuova generazione; quella che era maturata all'insegna della libertà.
La Torà, narrandoci questo episodio, mette in risalto non soltanto ciò che accade quando non si ha fiducia in se stessi e nel Signore: essa ci mette in guardia anche contro il pericolo dello scoraggiamento e della rinuncia. Se non si ha il coraggio di intraprendere nulla di utile, di degno, di meritorio; se si vedono ovunque impedimenti e ostacoli; se abbiamo la tendenza a vedere splendido solo ciò che appartiene agli altri senza tener conto dei doni che ci sono stati riservati; se si preferisce tornare in “Egitto”, simbolo dell'inazione e della schiavitù, chinando il capo e sottomettendoci di nuovo a un giogo morale e spirituale, piuttosto che marciare avanti, lottare per raggiungere Gerusalemme, simbolo della luce dello spirito e dell'insegnamento divino, siamo destinati a rimanere schiavi per sempre.
Quando, troppo tardi, i figli di Israele si resero conto della colpa commessa rifiutando di muovere alla conquista di Canaan, e vollero muoversi da soli, furono sgominati dai loro nemici, “poiché l'Arca dell'Alleanza e Mosè non avevano lasciato l'accampamento” (14,44), non li avevano accompagnati nell'impresa.
Particolarmente suggestivo è l'insegnamento che i nostri Maestri hanno tratto da un particolare di questo episodio.
Quando gli esploratori si recarono nella terra di Canaan, Calev, l'esploratore che insieme a Giosuè si era battuto per convincere il popolo ebraico che con l'aiuto del Signore l'impresa era possibile, si recò a visitare Chevron, la città in cui si trova la grotta di Machpelà dove sono sepolti i Patriarchi.
Egli voleva così rendere omaggio ai progenitori del popolo; ma, ancor più, voleva trarre da quel luogo forza e coraggio per condurre a termine l'arduo compito che si era assunto.
Affermano i nostri Maestri: fu proprio come risultato di questa visita che egli riuscì a sfuggire alla disperazione da cui invece si lasciarono prendere i suoi compagni.
Ritto presso la grotta di Machpelà, riandò col pensiero alla promessa che l'Eterno aveva fatto ai Patriarchi, e tale ricordo rafforzò in lui la certezza che qualsiasi timore era ingiustificato.
L'insegnamento che si trae da questa interpretazione è chiaro: soltanto se abbiamo rispetto per il nostro passato saremo saldi e sicuri come Calev; soltanto se siamo spiritualmente vicini ai monumenti che sono testimonianza imperitura del nostro più antico patrimonio morale e culturale, soltanto se meditiamo sulle aspirazioni dei nostri Patriarchi, sulle lotte da loro sostenute, sulla loro incrollabile fedeltà alla morale dall'Eterno insegnataci, avremo l'entusiasmo indispensabile a rafforzare la nostra fiducia nel futuro.
È nostro dovere avere cura del passato per essere in condizione di avere cura del futuro.
Un popolo è paragonabile a un albero; come un albero esso ha origine da un piccolo seme che, dopo aver gettato solide radici, cresce e diventa sempre più grande. Il tronco, se è solido, ramifica in diverse direzioni: tutti i suoi rami dipendono però, per il loro nutrimento, da un'unica radice.
Se si recide un ramo dal tronco, le sue foglie appassiscono e muoiono. E se dobbiamo aver cura dei rami, è nostro assoluto dovere aver particolare cura della radice!
Un popolo che non avesse interesse alla sua storia, che dimenticasse il suo patrimonio spirituale e che vivesse soltanto nel presente, non avrebbe un futuro.
Dobbiamo rispettare il nostro passato, sapere che esso è la fonte da cui traiamo speranza e sostegno.
Ma non dobbiamo limitarci a visitare materialmente le tombe dei Patriarchi. Come Calev, anche noi dobbiamo rivolgere il nostro pensiero a loro in particolare nei momenti di crisi, di esitazione, di dubbio, quando i problemi e le difficoltà della vita quotidiana ci abbatterebbero, quando gli assilli ci porterebbero alla disperazione.

* * *

Un accenno vogliamo fare al passo finale della Parashà che costituisce il terzo brano dello Shemà', quello che impone l'obbligo dello tzitzith agli angoli delle vesti.
Lo tzitzith era costituito da una frangia composta di sei fili bianchi e due azzurri. I fili azzurri dovevano essere tinti con una tintura speciale tratta dal `chillazon', una conchiglia conosciuta dai Fenici e che oggi si è estinta.
Nelle frange dello tzitzith sono posti dei nodi che nella mistica rappresentano il Nome divino, perciò è dovere dell'ebreo mettere lo tzitzith negli angoli di ogni suo abito, per portare sempre con sé, simbolicamente, il nome di Dio e mai dimenticare la componente divina che Dio gli ha trasmesso con il suo soffio vitale.
Suggestiva è una spiegazione midrashica che si riallaccia al simbolismo dei colori bianco e azzurro.
Questi colori, secondo la tradizione, sono i colori preferiti dal Signore: l'azzurro rappresenta il Trono divino dal quale gli uomini sono giudicati per i loro peccati, il bianco rappresenta l'amore e la misericordia di Dio.
Nello tzitzith i fili azzurri si intrecciano ai fili bianchi per sottolineare che il rigore della giustizia di Dio viene mitigato dal Suo amore e dalla Sua misericordia; e il rapporto fra il bianco e l'azzurro, fra l'amore, la misericordia e la giustizia è di sei a due


© Elia Kopciowski, Invito alla lettura della Torà.

http://www.giuntina.it/Parasha/
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Re: Canan, Pałestina, Judea, Ixrael

Messaggioda Berto » mar lug 12, 2016 6:04 pm

Israele, torna alla luce città di Golia tremila anni dopo la sfida con Davide
Letizia Tortello
2016/07/11
http://www.lastampa.it/2016/07/11/multi ... agina.html


Tremila anni dopo l’epica sfida col pastore israelita Davide la città del gigante filisteo Golia, Gat, torna alla luce. Per il 21/mo anno consecutivo una squadra di archeologi guidati dal prof. Aren Maeir della Università Bar Ilan di Tel Aviv riporta alla luce a Tel Zafit (fra Gerusalemme e Ashqelon) i resti di una località abitata per cinquemila anni consecutivi, dall’era del bronzo in poi.

In una natura rimasta incontaminata per miracolo, non è difficile ricostruire anche oggi il tragitto possibilmente percorso da Golia. Sceso dal Tel (la maestosa collina di Gat che nel decimo secolo a.C. dominava militarmente la zona) uscì da un possente ingresso fortificato - i cui resti sono stati scoperti proprio nella scorsa stagione di scavi - e superò il letto di un fiume. Piego’ poi a destra nella valle (tuttora ben visibile) dedicata alla divinità Elah e puntò verso le colline antistanti Gerusalemme. A quindici chilometri da là era atteso da Davide. «Gat era allora la città principale - spiega Maeir - più vasta di Gerusalemme di almeno otto-dieci volte».

Cosa dice l’archeologia del drammatico duello fra Davide e Golia ? È un mito, o trova conferme ? «Il nostro compito non è quello di confermare o di contraddire la Bibbia» replica. «Possiamo solo sforzarci di offrire il `colore´, di aggiungere `carne´ al racconto biblico». In un coccio trovato una decina di anni fa sul Tel di Gat erano tracciati in lettere arcaiche due nomi filistei, di certo non semiti: `Alwat´ e `Walat´. «Come dico sempre - precisa lo studioso, con un largo sorriso - non abbiamo trovato proprio la ciotola dei corn flakes di Golia (Goliath, in ebraico), ma quella dei cugini».

Mentre accompagna fra le rovine il cronista dell’Ansa, le scoperte proseguono. Una volontaria ha appena trovato una spilla di rame che forse serviva da fermaglio di una tunica. Dal micro, al macro: attorno al Tel si distingue ancora un vallo che circonda Gat su 360 gradi. «Lo appronto’ nell’ 830 a.C Hazael re di Damasco, quando strinse d’assedio Gat, allora il regno più importante in questa zona. La popolazione fu stremata dalla fame. Dopo la resa, la città fu arsa. La sua tecnica militare ricorda quella utilizzata da Giulio Cesare contro i Galli ad Alesia. Ma la precedette di otto secoli». Nel 1099 d.C, sulle rovine di Gat, i Crociati eressero un posto di avvistamento che chiamarono `Alba Specula´ o `Blanche Guarde´.

Nei giorni nitidi, lo sguardo arriva quasi fino alla costa di Gaza. Gat, Gaza, Ashqelon, Ashdod ed Ekron erano - all’epoca della Bibbia - le principali città filistee, in lotta perpetua con gli israeliti, che invece vivevano sulle colline. «Si combattevano, eppure si frequentavano. Lo dimostrano i due matrimoni di Sansone con donne filistee, e lo confermano reperti sul terreno. In un certo senso erano un po’ come gli israeliani e i palestinesi oggi». Sansone morì a Gaza, sepolto nelle rovine di un Tempio filisteo: le piacerebbe scavare anche là ? Maeir sospira: «Temo non sia tanto fattibile. A Gaza si è costruito molto, sarebbe difficile trovare reperti». Possiamo dire che i palestinesi sono i filistei dei nostri giorni ? «Dal punto di vista culturale, no. I filistei venivano da Cipro, dalla Grecia e dall’Anatolia. Furono spazzati via da Nabuccodonosor, ma di loro rimase impresso il nome sulle terre che avevano popolato»; un nome che sarebbe stato tramandato nei secoli dai testi greci e romani. «Un po’ come avvenne a Manhattan - conclude.- Il nome è rimasto, ma di indiani là non ce ne sono proprio più.
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Re: Canan, Pałestina, Judea, Ixrael

Messaggioda Berto » dom ago 21, 2016 2:48 pm

Ancient Golden Treasure Found at Foot of Temple Mount
“Ophel Treasure” includes gold medallion with Menorah, Torah and Shofar etchings
09/09/2013

In summer excavations at the foot of the Temple Mount, Hebrew University of Jerusalem archaeologist Dr. Eilat Mazar made a stunning discovery: two bundles of treasure containing thirty-six gold coins, gold and silver jewelry, and a gold medallion with the menorah (Temple candelabrum) symbol etched into it. Also etched into the 10-cm medallion are a shofar (ram’s horn) and a Torah scroll.

http://new.huji.ac.il/en/article/18251

Ancient Golden Treasure Found at Foot of Temple Mount - English
https://www.youtube.com/watch?v=JYsjPFn ... e=youtu.be
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Re: Canan, Pałestina, Judea, Ixrael

Messaggioda Berto » mar set 13, 2016 8:31 pm

SIRIA - ISRAELE
Alture del Golan, Israele sostiene gruppi fondamentalisti islamici nella lotta contro Damasco
Pierre Balanian

13/09/2016

http://www.asianews.it/notizie-it/Altur ... 38568.html


L’aviazione israeliana ha bombardato postazioni dell’esercito siriano in risposta al lancio di un razzo. Cresce la tensione fra Damasco e lo Stato ebraico lungo i confini nel Golan. Fonti locali parlano di un coinvolgimento diretto di Israele nel conflitto con raid aerei, colpi di artiglieria e rifornimento di armi ai mujaheddin.

Damasco (AsiaNews) - Questa mattina l’aviazione israeliana ha bombardato postazioni dell’esercito di Damasco, in risposta al lancio di un proiettile dal territorio siriano e caduto nella zona delle Alture del Golan sotto il controllo di Israele. Un portavoce dell’esercito con la stella di David sottolinea che la caduta del proiettile “non era intenzionale” ed è con tutta probabilità conseguenza di un “conflitto interno in Siria”.

A seguire, le forze armate di Damasco avrebbero abbattuto un caccia e un drone israeliano nel sud-ovest del Paese. Pronta la replica di Israele, che ha smentito con forza la notizia.

Il governo guidato dal premier Benjamin Netanyahu considera Damasco responsabile della caduta di qualunque razzo sui propri territori nel Golan sebbene, come in questo caso, l’esercito siriano non sembra essere l’autore del lancio. Quello di ieri è il quarto episodio negli ultimi nove giorni.

A dispetto della tregua frutto del cessate il fuoco entrata in vigore ieri, non si attenuano le tensioni sul fronte meridionale, nella zona di al Qunaytara, a ridosso di Israele. Ieri le milizie irregolari dei gruppi armati mujaheddin, i combattenti della fede islamica, che si battono contro il governo centrale, hanno cercato di avanzare e occupare le posizioni dell’esercito siriano. In risposta, Damasco ha bombardato Tal Al Himariya, a sud di Hadar e i dintorni delle fattorie Amal, nella pianura settentrionale di Qunaytara. Colpiti anche convogli di uomini armati anti-governativi che stavano percorrendo la strada che collega Tarnaja a Jabana el Khashab.

In questa zona della provincia siriana di al Qunaytara, situata a ridosso delle Alture del Golan occupate da Israele, lo Stato ebraico ha aperto un passaggio per trasportare i feriti tra i mujaheddin siriani verso gli ospedali israeliani. A riferire la notizia è il Canale 10 della tv israeliana e trova conferme anche fra le fonti locali contattate da AsiaNews. Un testimone riferisce che finora sono stati trasportati in Israele per cure mediche almeno 283 miliziani ribelli, colpiti dai bombardamenti o feriti durante gli attacchi sferrati contro l’esercito governativo siriano.

Se confermato, questo numero sarebbe superiore persino al totale dei feriti trasportati in Israele per cure durante tutto l’arco del 2016.

Di contro, la stampa siriana pur confermando la notizia relativa al trasferimento di feriti da parte dello Stato ebraico, si spinge oltre e parla di sostegno aperto e incondizionato di Israele ai combattenti anti-siriani. Un aiuto che va oltre una mera operazione di soccorso dei feriti, così come va oltre il passaggio di informazioni e di monitoraggio attraverso l’aviazione, inglobando anche “un intervento diretto con l’artiglieria e raid dell’aviazione militare”.

Le forze armate di Damasco hanno inoltre accusato l’aviazione israeliana di aver compiuto, nei giorni scorsi, un bombardamento aereo contro le postazioni dell’artiglieria siriana a Tal Ashaar; un sostegno in piena regola ai ribelli siriani, in quella che hanno definito la battaglia della “Qadissiya meridionale”. Il riferimento storico è alla battaglia di Al Qadissiya contro la Persia avvenuta nei primi anni delle invasioni islamiche; essa è considerata dalla storiografia della religione di Maometto come la più importante per “islamizzare” l’Iraq. Essa si è consumata fra il 16 e il 19 novembre del 636 d.C. ed è terminata con la vittoria dei musulmani e l’uccisione del comandante persiano Rustum Farkhazad.

Secondo Ghassan Muhammad, esperto di affari israeliani intervistato da una emittente televisiva panaraba, “Israele ha paura del successo degli esiti dei colloqui di pace russo-americani e dell’eventualità di giungere ad una soluzione politica in Siria”. Questo, aggiunge, significherebbe che Israele finirebbe per perdere “i propri strumenti nella regione e fallirebbe nell’obiettivo di raggiungere gli scopi strategici prefissati. Fra questi il crollo dello Stato siriano e la disintegrazione delle forze armate e dell’esercito siriano”.

Secondo un giornalista arabo, Husam Zaydan, presente nella zona degli scontri, il sostegno dell’esercito israeliano alle milizie armate siriane “nell’hinterland di al Qunaytara è evidente”. Esso sta a dimostrare la volontà di “far rivivere il progetto dell’innalzamento di un muro divisorio ad Al Tayeb, nel sud della Siria”.

La sera dell’11 settembre migliaia di persone sono scese in strada a Majdal Shams, nel Golan siriano occupato da Israele, per manifestare contro l’appoggio militare, logistico e medico dato dallo Stato ebraico ai gruppi armati uniti. Questo ultimi autori di un attacco a Hadr contro l’esercito siriano.

Secondo informazioni non confermate, Israele ha perfino consegnato ai combattenti mujahiddin anti Regime armi moderne e droni.

Israele teme che a ridosso dell’Altipiano del Golan - in un’area di 1200 km occupata nel 1967 durante la guerra dei Sei giorni - possa sorgere una formazione di opposizione simile a quella creata dagli Hezbollah nel Sud del Libano, durante gli anni di occupazione israeliana. Un incubo durato anni, che ha infine costretto Israele a ritirarsi dal sud del Libano senza avere, per la prima volta nella sua storia, nessun accordo di pace in cambio di territori occupati evacuati.

Ora l’incubo del sud del Libano perseguita i sonni israeliani anche intorno al Golan.
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Re: Canan, Pałestina, Judea, Ixrael

Messaggioda Berto » gio nov 17, 2016 10:13 pm

Esercito iraniano alle porte di Israele e nessuno se ne preoccupa
Scritto da Sarah F.
Nov 17, 2016

http://www.rightsreporter.org/esercito- ... -preoccupa

Nei giorni scorsi, riprendendo un articolo di Ynet, il sito web di Israele.net pubblicava un dettagliato rapporto sulle divisioni iraniane schierate al confine nord di Israele. Questa importante quanto drammatica notizia è passata tuttavia pressoché ignorata sia dai grandi media internazionali che dalla diplomazia, troppo impegnata a interessarsi degli “insediamenti” israeliani in Giudea e Samaria.

Eppure ci sarebbe di che preoccuparsi non fosse altro che per la sfrontatezza dimostrata dagli iraniani e dai loro alleati di Hezbollah nel mostrare al mondo la loro potenza militare costruita sotto gli occhi poco vigili dell’Onu e addirittura attingendo agli arsenali libanesi generosamente forniti dagli Stati Uniti che pure considerano Hezbollah un gruppo terrorista. Nemmeno il tanto temuto Stato Islamico dispone di una simile forza militare. E se si considera che questa sfrontatezza non si limita alla muscolare messa in mostra di mezzi militari ma viene corredata da precise minacce ai vicini e in particolare a Israele, la cosa dovrebbe saltare in vetta alle preoccupazioni della politica internazionale invece di essere bellamente ignorata. Al-Safir, uno dei media legati ad Hezbollah, scrive infatti:

Qualsiasi campagna futura non sarà limitata al territorio libanese e questo è un preciso messaggio a Israele e ai terroristi.

Rights Reporter da mesi denuncia la sempre più massiccia presenza militare iraniana e di Hezbollah al confine nord di Israele, una presenza giustificata con la lotta allo Stato Islamico laddove lo Stato Islamico non c’è. Eppure questa crescita costante della minacciosa presenza iraniana sembra interessare solo Gerusalemme che monitora con apprensione le manovre militari degli Ayatollah a ridosso del proprio confine.

E sono proprio i rapporti della intelligence israeliana a preoccupare maggiormente i vertici militari del IDF, rapporti che raccontano non solo di un sempre più massiccio rafforzamento di mezzi e uomini ma anche di un posizionamento stabile delle truppe di elite iraniane e di Hezbollah in posizioni chiave sul Golan.

Ora si tratta di capire fino a quando Israele rimarrà fermo di fronte a questo progressivo posizionamento stabile che assomiglia tanto a un tentativo di accerchiamento dello Stato Ebraico e al preparativo di una invasione. E non è che iraniani ed Hezbollah nascondano la loro intenzione di attaccare Israele, lo dicono chiaramente. Per questo fa rimanere di stucco il silenzio della comunità internazionale, un silenzio che, ne siamo convinti, si romperà non appena Israele si muoverà in qualche modo per difendere i propri confini.
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Re: Canan, Pałestina, Judea, Ixrael

Messaggioda Berto » lun nov 21, 2016 9:10 pm

Ixrael, el 60% de i prodoti de ła so tera łi vien dal dexerto
https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 3503280676
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Re: Canan, Pałestina, Judea, Ixrael

Messaggioda Berto » sab dic 03, 2016 9:20 am

Se Israele è l’eterno nemico
Accettare la narrazione iper-semplicistica palestinese significa sostenere che Israele è un crimine in se stesso, e chiudere gli occhi su tutto il resto
Di Marc Goldberg
sabato 3 dicembre 2016

http://www.israele.net/se-israele-e-leterno-nemico

Nei minuti in cui state leggendo questo articolo delle persone vengono uccise in Siria. Nello stesso momento in cui il regime di Assad sta schiacciando la resistenza ad Aleppo e si consuma una delle peggiori crisi civili dalla seconda guerra mondiale, il tema più discusso nei campus universitari del mondo occidentale rimane la questione israelo-palestinese. Un conflitto fra opposte narrazioni.

Conosco bene la versione palestinese. So che è una narrazione iper-semplicistica che suona più o meno così: un giorno arrivarono gli ebrei che cacciarono via i palestinesi e ora li opprimono sulla terra che hanno rubato loro e, quel che è peggio, hanno la sfacciataggine di dire che quella terra è il loro paese.

Credere a questa narrazione significa credere nella colpa intrinseca dello stato d’Israele. Anche i paesi in cui libertà e democrazia non sono mai esistite, anche quelli in cui le minoranze vengono sistematicamente perseguitate, dove le persone vengono sommariamente giustiziate in pubblico, anche i paesi i cui conflitti hanno causato e continuano a causare un numero di vittime e distruzioni infinitamente più alto del conflitto arabo-israeliano, tutti questi paesi sono più accettabili di Israele. Perché le loro guerre potrebbero finire, i loro governi dispotici e sanguinari potrebbero cadere, le loro politiche retrograde potrebbero cambiare. Non è così per Israele. La narrazione palestinese sostiene che l’esistenza stessa di Israele è un crimine, frutto di pulizia etnica, spargimenti di sangue e razzismo. Perché tutto vada a posto nel mondo, Israele in quanto tale deve scomparire.

Celebrando ogni anno all’Onu la “Giornata di Solidarietà col Popolo Palestinese” proprio il 29 novembre (giorno in cui l’Onu approvò la spartizione del Mandato Britannico in due stati, uno arabo e uno ebraico) i palestinesi ribadiscono il loro rifiuto dell’esistenza di Israele, come confermano tutte le mappe della loro propaganda

La narrazione palestinese, se la si accetta, significa che tutta la Palestina doveva diventare un unico stato arabo affrancato dal dominio coloniale, come gli altri stati insieme ai quali avrebbe celebrato il conseguimento dell’indipendenza. In questo contesto, tutti gli interrogativi su democrazia, guerra e pace, diritti delle minoranze, sviluppo economico e sociale diventano insignificanti: sono tutte cose (teoricamente) temporanee, mentre l’esistenza di un paese viene vista come un dato permanente e definitivo, ed è per questo che è così importante condurre una perpetua campagna contro Israele indipendentemente da tutto quello che succede nel mondo. Poco importa se in Siria infuria una guerra civile devastante: prima o poi finirà e in qualche modo tutto si aggiusterà. Ma nulla può aggiustarsi per i palestinesi finché esiste Israele.

Ma questa non è l’unica narrazione. Non potendone più d’essere costretti nei ghetti, d’essere additati al disprezzo e all’odio dei loro concittadini, d’essere usati come capro espiatorio per qualunque male, gli ebrei riacquistarono la propria dignità reclamando il diritto alla loro patria ancestrale, dove sono nati come popolo, dove non hanno mai smesso del tutto di abitare, dove hanno sempre sperato di poter tornare. In un mondo che li aveva traditi e abbandonati più e più volte, gli ebrei si resero conto che potevano contare solo su se stessi, che dovevano prendere nelle loro mani il loro destino. E così ricostruirono il loro stato, riscattando un paese sottosviluppato e semi-abbandonato, e si guadagnarono la libertà che difesero da attacchi letali. Grazie all’autodeterminazione nazionale, gli ebrei non vivono più alla mercé del potere altrui, tirannico o democratico; non vivono più nel timore d’essere prelevati nel mezzo della notte per essere portati in un lager o in gulag. Con il loro esercito che li difende, noi devono più temere d’essere di nuovo soggiogati; con la loro voce tra le nazioni del mondo non devono più temere di restare di nuovo inascoltati, di poter essere di nuovo perseguitati o assassinati mentre il mondo sostiene di non sapere niente, di non poter fare nulla.

In questo scontro fra narrazioni ogni fatto, ogni missile, ogni bomba, ogni posto di blocco, persino ogni dichiarazione diventa semplicemente un’occasione per sostenere la stessa narrazione. E così arriviamo al punto in cui una serie di incendi che hanno imperversato nel paese mettendo in pericolo allo stesso modo cittadini ebrei e arabi e l’habitat in cui vivono, diventa solo un ennesimo pretesto per proclamare che Israele non dovrebbe esistere. E la Siria viene totalmente dimenticata quando un giovane soldato israeliano in visita ad un campus universitario di Londra diventa il fulcro di un’enorme manifestazione anti-israeliana che non ha niente a che fare con il miglioramento della condizione dei palestinesi che vivono in Cisgiordania e Gaza, e ha tutto a che fare con la volontà di imporre la narrazione iper-semplicistica per la cancellazione di Israele.

Pensateci, la prossima volta che vedete in tv la devastazione di Aleppo e gli studenti in un campus che gridano: “Palestina libera dal fiume al mare”.

(Da: Times of Israel, 1.12.16)
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Re: Canan, Pałestina, Judea, Ixrael

Messaggioda Berto » mer mar 29, 2017 8:18 am

Palestina: le ragioni di Israele
viewtopic.php?f=197&t=2271


Alcune domande scomode sulla Palestina su cui riflettere
Dic 30, 2015

http://www.rightsreporter.org/alcune-do ... riflettere

Riproponiamo questo pezzo non nostro sulla Palestina (ma ignoriamo l’autore altrimenti lo avremmo citato) pubblicato a suo tempo sul nostro forum che però ora non è più disponibile. Buona lettura e buona riflessione.

Egregio signore/a, sarebbe così gentile da rispondere a qualche domanda? Se lei è così sicuro che la “Palestina” sia stata fondata molti secoli fa, ben prima della presenza degli ebrei e abbia lasciato tracce nella storia, beni culturali da conservare, eredità da difendere, certamente lei sarà in grado di rispondere alle seguenti domande:

Quando è stata fondata e da chi?
Quali erano i suoi confini?
Qual era la sua capitale?
Quali erano le sue città più importanti?
Qual era la base della sua economia?
Qual era la sua forma di governo?
Può citare almeno un leader palestinese prima di Arafat e di Amin Al Husseini, il muftì di Gerusalemme amico di Hitler?

La “Palestina” è stata mai riconosciuta da un paese la cui esistenza a quel tempo non lascia spazio a discussioni?
Qual era la lingua parlata nello stato di Palestina prima degli ebrei?
Avevano un sistema politico? Il loro sovrano portava un titolo? C’era un parlamento o un consiglio? Hanno combattuto delle battaglie?
C’è un qualche libro palestinese prima del Novecento? Può nominare uno scrittore palestinese, un pittore, uno scultore, un musicista, un architetto palestinese prima di tale data?

Esiste un piatto tipico palestinese, che lei sappia? Un costume caratteristico?
Che religione aveva la Palestina prima di Maometto?
Qual era il nome della sua moneta? Ne esistono degli esemplari in qualche museo?
Scelga pure una data nel passato anche recente e ci dica: qual era il tasso di cambio della moneta palestinese nei confronti del dollaro, yen, franco, ecc.?
Poiché questo paese oggi non esiste, può spiegare la ragione per cui ha cessato di esistere? E può specificarne la data di estinzione?
Se la sua organizzazione piange per il destino dei poveri palestinesi “occupati”, mi può dire quando questo paese era orgoglioso e indipendente?
Se le persone che, a torto o a ragione, chiamate palestinesi non sono solo una collezione di immigrati dai paesi arabi e se davvero hanno una identità definita etnica che assicura il diritto di autodeterminazione, mi sa spiegare perché non hanno cercato di essere indipendenti dai paesi arabi prima della devastante sconfitta nella Guerra dei Sei Giorni? Perché datano l’”occupazione” dal ’67, se prima i “territori palestinesi” erano governati da stati “non palestinesi” come l’Egitto e la Giordania?

Le ho fatto tante domande, mi auguro che potrà rispondere almeno a qualcuna. Finisco solo con una nota: spero che lei non confonda i palestinesi con i Filistei, che erano una popolazione marittima di lingua indeoeuropea (i popoli del mare) che fecero un’invasione in terra d’Israele, come anche in Egitto e nell’attuale Libano verso il nono secolo a.C. Il solo rapporto è l’invenzione romana che dopo la distruzione del Tempio, nel I secolo, ribattezzò quelle terre per spregio con il nome di un antico nemico dei ribelli ebrei. L’etimologia non è storia.

Altre domande scomode
Come mai non è nato uno Stato palestinese tra il ’48 e il ’67?
E poi un’altra domanda: come sono stati trattati i profughi palestinesi dai fratelli arabi prima e dopo il ’67, dopo ma anche prima sottolineo?
Conoscete gli orrori del “Settembre nero” in Giordania? Conoscete il ruolo della Siria nel massacro del campo di Tal el Zatar?
Ma soprattutto: sapete che se i palestinesi avessero accettato il piano di spartizione dell’Onu, oggi avremmo due popoli e due Stati? Non c’era bisogno di tante guerre e tanto spargimento di sangue se gli arabi e i palestinesi avessero accettato il diritto degli ebrei ad avere uno Stato. Questo pochi lo sanno. Pochi lo vogliono sapere.
E’ possibile che 20 anni dopo Oslo, miliardi di dollari, miliardi di euro, aiuti da tutto il mondo, compreso Israele, l’Autorità Palestinese non sia stata capace di costruire un solo ospedale moderno, una qualsiasi struttura e continui a piangere miseria? Questa è la domanda che molti si fanno, per “molti” intendo le persone pensanti, non certo i pacifisti filopalestinesi o i sinistri antisraeliani che continuano il boicottaggio contro Israele, accecati dall’odio e dalla loro criminale ideologia. Allora?
Qualcuno sa dirmi dove sono finiti i miliardi e perché l’ANP (per non parlare di Gaza) pullula di villone con piscina di proprietà dei capi e capetti palestinesi mentre non esiste un ospedale degno di questo nome, non esistono università se non quelle dove si allevano amorevolmente giovani fanatici destinati a diventare possibili terroristi, (es.: Bir Zeit)?
Qualcuno sa dirmi perché, letteralmente affogati, alla Paperon de’ Paperoni, nei miliardi che il mondo manda da decenni all’ANP, miliardi che avrebbero potuto ricoprire d’oro ogni casa palestinese e rendere ricco ogni singolo abitante, miliardi che avrebbero potuto costruire ospedali e atenei all’avanguardia, la popolazione palestinese vive male e chi ha bisogno di cure serie deve venire in Israele o andare in qualche altro paese disposto ad accoglierli e a curarli gratis?

Alcune persone dicono che gli arabi sono “nativi palestinesi”, mentre gli ebrei sono “invasori” e”colonizzatori”. Quindi, io ho letto le biografie dei leader israeliani e palestinesi e sono diventato confuso.
Ecco chi tra i leader israeliani e palestinesi è Nato il in Palestina:

Leaders israeliani:
BENJAMIN NETANYAHU, Nato il 21 ottobre 1949 a Tel Aviv.
EHUD BARAK, Nato il 12 febbraio 1942 a Mishmar HaSharon, Mandato britannico della Palestina.
ARIEL SHARON, Nato il 26 febbraio 1928 a Kfar Malal, Mandato britannico della Palestina.
EHUD OLMERT, Nato il 30 settembre 1945 a Binyamina-Giv’at Ada, Mandato britannico della Palestina.
ITZHAK RABIN, Nato il 1 March 1922 a Gerusalemme, Mandato britannico della Palestina.
ITZHAK NAVON, Presidente israeliano nel 1977-1982. Nato il 9 aprile 1921 a Gerusalemme, Mandato britannico della Palestina.
EZER WEIZMAN, Presidente israeliano nel 1993-2000. Nato il 15 giugno1924 a Tel Aviv, Mandato britannico della Palestina.

Leader arabi “palestinesi”:
YASSER ARAFAT, Nato il 24 agosto 1929 al Cairo, Egitto.
SAEB EREKAT, Nato il 28 Aprile 1955, in Giordania. Ha la cittadinanza giordana.
FAISAL ABDEL QADER AL-HUSSEINI, Nato il 1948 a Bagdad, Iraq.
SARI NUSSEIBEH, Nato il 1949 a Damasco, Siria.
MAHMOUD AL-ZAHAR, Nato il 1945 al Cairo, Egitto.

Quindi i leader israeliani, che sono nati in Palestina, sono colonizzatori o invasori.
Mentre i leader arabi palestinesi che sono nati in Egitto, Siria, Iraq e Tunisia sono nativi palestinesi????-
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Re: Canan, Pałestina, Judea, Ixrael

Messaggioda Berto » dom set 10, 2017 4:15 pm

Scoperta archeologica a Gerusalemme, serie rara di sigilli tornano alla luce
8 settembre 2017

http://www.progettodreyfus.com/scoperta ... erusalemme

Sensazionale scoperta archeologica a Gerusalemme. Gli oggetti rinvenuti risalgono alla prima distruzione del Tempio per mano dei babilonesi nel 586aC. A comunicarla è stata l’Autorità Israeliana per le Antichità. Il prezioso ritrovamento è stato effettuato delle mura della Città Vecchia della capitale dello Stato ebraico.

I sigilli, che hanno rivisto la luce, recano i nomi di funzionari, risalenti al Regno di Giuda, e secondo Ortal Chalaf e Joe Uziel, direttori dello scavo finanziato dalla fondazione Ir David (Città di David), illustrano procedure e aspetti della macchina burocratica e amministrativa di Gerusalemme nel periodo del Primo Tempio.

Nell’antichità i sigilli erano uno strumento che lasciava un’impronta su una determinata lettera o documento, ed erano a forma cilindrica o piatta con l’incisione di uno stemma.

Ortal Chalaf e Joe Uziel hanno spiegato:

“I primi sigilli riportano per lo più una serie di immagini. Pare che, al posto di scrivere nomi di funzionari, siano stati usati simboli a riprova del firmatario o di quello che stava siglando. Attraverso questi ritrovamenti apprendiamo non solo sui sistemi amministrativi sviluppati in città, ma anche sui residenti e su quanti hanno vi hanno prestato servizio. Un sigillo particolarmente interessante menziona un uomo con il nome di Ahiav Ben Menahem”.

I nomi sono legati al Regno d’Israele. Menahem, infatti, era proprio un re d’Israele, mentre la figura di “Ahiav”, pur non comparendo nella Bibbia, è somigliante ad Ahav (Ahab), il re di Israele, le cui gesta sono raccontate dal profeta Elia.

I sigilli rinvenuti sono stati esposti per la prima volta durante una conferenza tenuta dall’Istituto Megalim al Parco Nazionale Città di Davide a Gerusalemme.
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Re: Canan, Pałestina, Judea, Ixrael

Messaggioda Berto » dom set 10, 2017 4:34 pm

Perché amo Israele
Giulio Meotti

http://formiche.net/blog/2017/09/10/vi- ... mo-israele

L'analisi di Giulio Meotti, giornalista e saggista

Pubblichiamo un post che Giulio Meotti, giornalista e saggista, ha scritto su Facebook di ritorno da Israele dove ha accompagnato assieme a Sharon Nizza un gruppo di 25 italiani a Gerusalemme e nei Territori post-1967

Israele non è mai diventata una Repubblica o ha adottato una Costituzione formale scritta, come se questo riflettesse il tragico destino della democrazia più tormentata del mondo, sopravvissuta contro qualsiasi logica e dimostrando che la fede e le idee muovono le montagne. Israele è l’unico Stato al mondo che vive con alle spalle un nemico fanatico che non ha paura di morire per distruggere gli ebrei (l’Iran sta finanziando Hamas e Hezbollah per preparare il prossimo ciclo di guerra).

Israele è lo Stato unico al mondo non solo più povero di amici ma anche più ricco di nemici che vorrebbero metterlo nella pattumiera della storia. E ci sono quelli che ripetono che Israele dovrebbe consentire agli arabi che premono da tutti i lati di farli entrare e batterli attraverso la non-violenza. Oggi, questa sensazione inconscia di voler vedere scomparire Israele anima un grande segmento dell’opinione pubblica internazionale. Eppure, le strade affollate d’Europa sono meno sicure delle strade israeliane colpite dal terrorismo.

Lo Stato ebraico è uno dei Paesi più riusciti del mondo. Ovunque in Israele si può vedere una grande forza militare, religiosa, demografica e culturale.

Militare: Israele non ha oggi una minaccia esistenziale se è in grado di impedire all’Iran di ottenere armi nucleari. Religiosa: ovunque in Israele si vedono giovani e anziani che pregano e studiano, con le yeshiva, i luoghi sacri e le sinagoghe sempre piene di persone. Demografica: non solo le famiglie religiose israeliane, ma anche i laici israeliani sono benedetti da molti bambini. Culturale: Israele ha uno dei più alti tassi al mondo di libri, pubblicazioni scientifiche e lauree pro capite. E ora confrontate queste cifre con quelle europee.

Il Vecchio continente si rifiuta di proteggere se stesso ed è uno scroccone della sicurezza statunitense. Religiosamente, l’Europa è un continente segnato dall’apatia o, peggio, da un sentimento antireligioso. Demograficamente, l’Europa è un continente sterile e invecchiato. Culturalmente, l’Europa produce ogni anno libri molto pessimisti sul proprio declino e irrilevanza. In Israele puoi annusare ottimismo ad ogni angolo. E lo Stato ebraico è più felice della maggior parte dei Paesi europei. All’alba, volando via da Tel Aviv, osservavo Israele dall’aria e pensavo a questa piccola enclave scintillante e circondata dalle tenebre e dai barbari. Israele è probabilmente l’ultimo Stato occidentale.
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