IL SIONISMO:
UN MAGNIFICO SOGNO O UN TERRIBILE SCACCO ?
http://www.doncurzionitoglia.com/Sionis ... Scacco.htm DON CURZIO NITOGLIA
Col presente articolo, attraverso l'analisi del pensiero e delle conquiste del Sionismo, si intende far vedere come la formazione dell'attuale Stato di Israele non risponda alle promesse divine.
All'analisi dell'evolversi dell'idea sionista seguirà lo studio del movimento sionista e dei suoi rapporti con le Superpotenze e con i vari Stati europei, compresi quelli nazifascisti, per arrivare alla questione teologica e dottrinale e al rapporto con la Chiesa.
1
Introduzione
Verso la seconda metà del XIX secolo si sviluppava il flusso migratorio di ebrei verso la Palestina, che non era tuttavia un fenomeno spontaneo, ma il prodotto del SIONISMO (1), col concorso di duecento delegati ebrei riunitisi a Basilea e l'adesione di più di cinquantamila ebrei, e con lo scopo di "lavorare al riscatto della Palestina, per crearvi uno Stato israelita" (2).
Il Sionismo non inizia però nel XIX secolo, ma "è l'espressione moderna del sogno vecchio di millenovecento anni, di ricostruire Israele, dopo che Roma aveva messo fine all'indipendenza ebraica in terra d'Israele" (3).
Varie tappe dell'idea sionista
a) Primo periodo: dalla caduta di Gerusalemme fino alla morte di Giuliano l'Apostata (70- 363).
Sotto il regno di Traiano (Ý 117) un falso Messia, chiamato Andrea, eccitò il fanatismo di alcuni ebrei al punto che, fra greci e romani, "duecentomila uomini perirono uccisi dalla spada e dal furore dei giudei" (4). Marco Turbo attaccò i rivoltosi e fece pagare loro col sangue un giorno di trionfo.
Sotto il regno di Adriano (130-135) si ebbe un secondo tentativo, quando un certo Bar-Cozbad si fece passare per il Messia e i Romani furono cacciati da Gerusalemme, che tuttavia ricadde ben presto nelle loro mani; ma mentre Tito aveva lasciato ancora qualche casa intera, con Adriano la città fu rasa al suolo e al suo posto fu costruita Elia Capitolina, che solo più tardi riprese il nome di Gerusalemme.
Sia il terzo tentativo di rivolta, avvenuto sotto il regno di Antonino (138-161), sia il quarto sotto Marco Aurelio (174-175) non ebbero successo e furono repressi.
Un'altra volta - la quinta - gli Ebrei, animati dalla speranza di restaurare politicamente il Regno di Israele, al tempo di Settimio Severo (193-211), cospirarono in Siria con i Samaritani contro la dominazione romana, ma ottennero solo di appesantire il giogo cui erano sottoposti.
Il sesto tentativo di riscossa si verificò sotto Costantino (321-327), ma venne anch'esso soffocato e "S. Giovanni Crisostomo nella seconda orazione contro i Giudei, ci racconta che Costantino, convinto che gli ebrei non avevano rinunciato al loro spirito di rivolta, fece tagliare loro una parte dell'orecchio, affinché, dispersi nell'Impero, portassero dappertutto su di sé il segno della loro ribellione" (5).
Sotto Costanzo si ebbe una settima rivolta, ma Gallo volò in Giudea, dove sconfisse i rivoltosi e rase al suolo Diocesarea, seggio dell'insurrezione: gli ebrei furono uccisi a migliaia e molte città, tra cui Tiberiade, furono bruciate.
L'ultimo tentativo di questo primo periodo è uno dei più celebri ed ha come cooperatore Giuliano l'Apostata, che non solo permise agli Ebrei di ricostruire il Tempio, ma li aiutò con tutti i mezzi: sull'esito finale si veda Sodalitium n° 39 e 40 (6).
Se un ruolo importante in tutti questi tentativi di rivolta è da attribuirsi alla tenacia ebraica, il fattore principale è dovuto, secondo l'ebreo convertito Augustin Lémann, ad una "interpretazione di certe profezie bibliche"(7); anzi "è proprio fondandosi su tali profezie che gli ebrei hanno sempre sperato di ritornare a Gerusalemme, di restaurarvi il Tempio (8), per gioirvi col Messia una piena e inalterabile prosperità" (9).
b) Secondo periodo: dalla morte di Giuliano l'Apostata fino alla Rivoluzione francese (363- 1789).
Questo lungo periodo fu marcato dalla rassegnazione, anche se si mantenne sempre una se pur sopita speranza, come afferma anche l'abbé Lémann: "con la morte di Giuliano l'Apostata e il trionfo definitivo del Cristianesimo, fino alla Rivoluzione francese, gli ebrei vivono un periodo di rassegnazione, ma sempre pieno di speranza" (10). Durante questo periodo "la capacità finanziaria e commerciale degli ebrei si sviluppa e si estende su tutte le nazioni, in maniera straordinaria [essi] divengono i finanzieri dei re Ma in mezzo alle preoccupazioni dei loro traffici e dei loro negozi, non smettono di pensare a Gerusalemme (11).
Verso il XVI e XVII sec. gli ebrei amanti della Terra Santa si spostarono verso Safed, a pochi chilometri da Betsaida; nel XVII sec. si contavano a Gerusalemme circa cento famiglie ebree e, a partire da quel periodo, i pellegrinaggi alla Città santa cominciarono a diventare sempre più numerosi.
c) Terzo periodo
Col filosofismo tedesco del XVIII secolo e con la Rivoluzione francese si assiste all'ABBANDONO dell'idea del ritorno a Gerusalemme e del dogma del Messia personale.
Quali furono le cause di un tale mutamento?
La prima è proprio il filosofismo impregnato di quello scetticismo settecentesco, che è stato agente corrosivo di tutte le religioni, compresa la talmudica, prima con Spinoza e poi con Mendelshon, che può essere considerato il fondatore di una sorta di neo-Giudaismo, mascherato da deismo. Comincia così a diffondersi nei ghetti l'idea che il Messia potrebbe essere un concetto, un regno, un popolo, ma non una persona, e sorge anche il problema della collocazione fisica e geografica di tale regno. È la Rivoluzione francese che concretizza questo mito. Nel 1791 fu concessa l'EMANCIPAZIONE agli ebrei francesi, che videro il Messia nei Diritti dell'uomo proclamati dalla Rivoluzione.
Dalla fine del XVII secolo fino al 1848 il mito del Messia impersonale ha avuto due scuole principali, di cui la prima fiorì in Germania sotto l'egida del filosofismo. Nel 1843 a Francoforte sul Meno si organizza un comitato ebraico riformista, al quale seguirono tre sinodi, uno nello stesso anno a Brunswick, uno ancora a Francoforte nel 1845 e un terzo a Breslau nel 1846, nei quali si affermava che l'unico Messia atteso era la libertà di essere ammessi tra le Nazioni; da questo il partito talmudista tedesco fu ferito a morte.
La seconda scuola si formò in Francia, sotto l'egida dell'emancipazione, che segna anche l'elemento diversificante delle due scuole. Infatti in Germania, dal momento che l'ebreo non era ancora emancipato civilmente, il suo pensiero era da considerare ardito e prematuro: la libertà civile, non ancora conquistata, era la perla per la quale si era pronti a sacrificare ogni cosa, anche il Messia personale. In Francia, invece, gli ebrei fin dal 1791 godevano della libertà civile ed erano quindi più moderati nell'evoluzione della fede circa il Messia. Nel Gran Sionismo del 1807 Napoleone era stato riverito ed insignito dei titoli riservati esclusivamente al Messia, anche se il partito talmudista era ancora abbastanza forte per fare da contraltare. Fu soltanto a partire dal 1848 che ogni "repressione" da parte della Sinagoga talmudica divenne inefficace anche in Francia. Infatti durante il regno di Luigi Filippo il razionalismo tedesco aveva esercitato un notevole influsso sull'Ebraismo francese. Nel 1846, durante l'insediamento del gran Rabbino di Parigi, il colonnello Cerf-Beer, in un discorso di circostanza gli fece comprendere che era ormai ora di iniziare con le riforme ("l'aggiornamento") anche in Germania: il partito talmudista non ebbe più la forza di reagire come in passato. Ormai anche il mondo ebraico francese affermava che la "La Rivoluzione era il vero Messia per gli oppressi" (12).
"La nuova Gerusalemme sarebbe stata la Gerusalemme del denaro, con un banchiere per Messia, con i fondi pubblici al posto della Thorà, la Borsa al posto del Tempio" (13). Quasi tutti i paesi dell'Europa occidentale e degli USA in cui gli ebrei conobbero l'emancipazione civile, accolsero tali idee sul Messia impersonale, col conseguente abbandono del dogma del Messia personale e del ritorno a Gerusalemme.
Breve storia del movimento sionista
Il Canale di Suez e la Gran Bretagna. Il progetto di aprire il canale di Suez suscitò, verso la metà dell'800, un vivo interesse in Europa, perché il Mediterraneo avrebbe riacquistato una notevole importanza. Erano interessate al progetto soprattutto la Francia, l'Impero asburgico e l'Italia. L'Inghilterra invece sarebbe stata svantaggiata. Chi si assunse l'onere economico dei lavori fu, in massima parte, il pascià d'Egitto Said, ma le finanze egiziane furono dissestate dall'enorme quantità degli esborsi. Nel 1863 gli succede suo nipote Ismail, al quale «vennero in aiuto le banche ebraiche Oppeneim e Rothschild, le quali, bloccato ogni diverso accesso al credito, strinsero in breve il sovrano in un abbraccio mortale Agli egiziani è imposto il controllo congiunto anglo-francese sulle loro finanze; è l'anticamera dell'occupazione coloniale La bancarotta egiziana e le difficoltà politiche che essa genera coincidono col destarsi dell'interesse britannico per il canale» (14). La Gran Bretagna incomincia così a cambiare politica nei confronti dell'Impero Ottomano, e dopo averlo difeso gelosamente, in chiave antirussa e antifrancese, decide di non opporsi la suo declino. Nel 1878 occupa Cipro e s'impossessa delle dogane turche. La situazione col passare degli anni degenera in violenti disordini e gli inglesi decidono di intervenire manu militari, per cui il 10 luglio 1882 le navi inglesi aprono il fuoco su Alessandria d'Egitto. Con la grande guerra (1914-1918) l'Inghilterra coglie l'occasione per assestare il colpo di grazia all'Impero Ottomano, prendendo il controllo della penisola arabica e della Siria, assicurandosi così la chiave d'accesso dal mediterraneo verso la Mesopotamia e il Golfo Persico. La Palestina avrebbe messo al sicuro le comunicazioni con l'India tramite il Canale di Suez. Il 18 dicembre 1814 la Gran Bretagna occupa l'intero percorso del canale. Gli inglesi, per essere più sicuri di aver debellato definitivamente l'Impero Ottomano, svolgono una politica atta a guastare i rapporti tra i turchi e le popolazioni dell'ex Impero Ottomano, (15). Contattano inoltre lo sceicco della Mecca Hussein, discendente della figlia di Maometto Fatima e perciò carico di un gran prestigio spirituale nel mondo islamico. (16). Si ruppe così la compattezza del fronte musulmano. Dopo tre anni di lotta la partita contro i turchi è vinta dagli arabi. Gli inglesi occupano Gerusalemme e Hussein Damasco. L'11 novembre 1918 un comunicato anglo-francese rassicura gli arabi promettendo loro dopo la lunga oppressione turca, l'insediamento di governi e amministrazioni arabe. Tuttavia gli arabi dovettero ricredersi e constatare che la Gran Bretagna non aveva per nulla in vista la liberazione dei popoli arabi dall'oppressore turco, quanto piuttosto desiderava imporre il proprio volere ai paesi dei Medio Oriente. Dalla dissoluzione dell'Impero Ottomano trassero vantaggio soprattutto l'Inghilterra e la Francia; il trattato di Sévres (10 agosto 1920) segna la fine definitiva dell'Impero Ottomano, la ratifica inglese di Cipro e dei poteri sul Canale di Suez. Estromessi i turchi, il destino dell'Arabia passa nelle mani anglo-francesi. Gli arabi non vogliono rinunciare all'indipendenza, ma il 24 luglio 1920 i siriani sono sopraffatti dai francesi e Damasco viene occupata. (17).
Frattanto la nascita del Sionismo, lungi dal risolvere l'eterna questione ebraica, la complicherà, trasportandola, in un'ottica conflittuale, nei paesi arabi, accenderà nuovo odio tra Islàm e Giudaismo, che prima, teologicamente, non esisteva e che si afferma per motivi nazionalistici e di indipendenza territoriale. L'Ebraismo internazionale mobilita i propri correligionari inglesi per ottenere l'intervento nella prima guerra mondiale degli USA. La Gran Bretagna concede ai capi sionisti impegnatisi a far scendere in guerra l'America, privilegi eccezionali. (18). Il 2 novembre 1917 il ministro degli esteri britannico lord Balfour consegna al presidente della federazione sionista britannica lord Rothschid una lettera che asserisce: . Questo focolare ebraico è una parola polisemantica, dietro la quale si cela il concetto di STATO EBRAICO. Tale progetto costerà caro soprattutto ai palestinesi, anche se l'insediamento ebraico non godrà mai sonni tranquilli in quella che si rivelerà in oriente, come già lo era stata in Occidente, un'avventura priva di certezze fin dal giorno in cui i capi del popolo dissero "Sanguis eius super nos et super filios nostros", assumendosi una terribile responsabilità per i figli di Israele fino a quando non si convertiranno e non rientreranno nella Chiesa di Dio.
La Palestina: un paese isolato. «Rompere l'unità della Grande Siria ed enucleare da esssa la Palestina è il primo passo per assicurare il buon esito del progetto sionista è una politica che genera nei palestinesi grande disorientamento. Essi si trovano d'improvviso in un paese occupato militarmente e tagliato fuori da qualsiasi precedente collegamento amministrativo e politico. La nuova entità territoriale che aveva sempre fatto parte di organizzazioni statuali più vaste e mai aveva manifestato aspirazioni autonomiste, è creata, fin dall'inizio, con l'obiettivo dello snaturamento etnico. L'originaria popolazione araba è destinata ad essere sommersa e sostituita» (19).
La reazione araba contro l'immigrazione e l'occupazione ebraica (che gli stessi inglesi autorizzavano) offrirà all'Impero britannico larghe possibilità d'ingerenza. Dietro l'alibi del mantenimento della pace, l'Inghilterra avrebbe potuto nascondere facilmente la sua volontà di presenza militare in Palestina sine die. Solo il processo di decolonizzazione iniziato alla fine della seconda guerra mondiale spingerà gli inglesi a lasciare la Palestina. Allora al colonialismo inglese subentrerà quello sionista.
Il "Libro Bianco". Il 17 maggio 1939 l'Inghilterra annuncia di voler abbandonare l'idea della spartizione della Palestina e il Foreign Office con un suo Libro Bianco, s'impegna a concedere ai palestinesi l'indipendenza; l'effettivo passaggio dei poteri, tuttavia, sarebbe avvenuto solo dieci anni dopo. Gli arabi pensano di intravvedere la fine delle loro sofferenze, ma la proposta inglese è condizionata all'esito della seconda guerra mondiale. Infatti il Libro Bianco segue di pochi giorni le garanzie antigermaniche rilasciate dall'Inghilterra a Polonia, Grecia e Romania, per cui rappresenta solo un diversivo o un espediente atto a accaparrarsi, in un momento così difficile, la simpatia e la neutralità del mondo arabo, la cui posizione è di estrema rilevenza strategica. L'Inghilterra in sostanza con il Libro bianco ha voluto solo tergiversare e congelare la questione palestinese e rinviare ogni decisione al termine del conflitto. Gli ebrei di Palestina si vedono accordare così una tregua provvidenziale di parecchi anni, una proroga all'eventuale sfratto e possono continuare ad accogliere nuovi immigrati. Nel maggio 1942 a New York, all'Hotel Biltmore, si riunisce una conferenza sionista che reclama la costituzione dello Stato ebraico e pretende l'annullamento di qualsiasi limite all'immigrazione, ed infine l'affidamento della supervisione sull'immigrazione alla Jewish Agency. «In Palestina intanto l'Haganah, l'organizzazione militare ufficiale dei sionisti che dal 1929 al 1939 si era armata con la connivenza della potenza mandataria (la Gran Bretagna), rafforza i suoi reparti e si prepara alla lotta contro gli inglesi nel caso costoro insistano a dare applicazione a quel Libro Bianco del 1939 col quale avevavo promesso ai palestinesi l'indipendenza. L'Irgun e la Banda Stern scatenano una campagna terroristica che si propone di piegare definitivamente gli inglesi al volere del Sionismo. Prima vittima illustre della Banda Stern è il ministro britannico per il medio Oriente, Lord Moyne, che viene assassinato nel novembre 1944» (20). Con la fine della seconda guerra mondiale assistiamo al coincidere de facto delle aspirazioni del Sionismo con quelle delle due superpotenze, (USA e URSS). Russi e americani hannno capito che uno Stato ebraico in Palestina è un valido elemento destabilizzante in una delle zone geopolitiche più importanti del mondo, che permetterà loro di interferire negli affari interni di tutti i paesi del Medio oriente e di innescarvi una grave conflittualità tra Europa e mondo arabo. Il compito dell'occupante britannico è ormai finito, ad esso subentreranno sionisti, USA e URSS. Il 29 novembre 1947 l'Assemblea Generale dell'ONU, con la risoluzione 181, approva il piano che prevede la spartizione della Palestina in due Stati: uno arabo e uno ebarico. (21). Il 14 maggio 1948 il consiglio Nazionale Ebraico proclama lo Stato d'Israele, mettendo il mondo davanti al fatto compiuto. (22). Mentre USA e URSS dietro lo schermo della guerra fredda collaborano sottobanco alla spartizione dell'Europa e del Medio Oriente, la stampa filo-ebraica presenta Israele come il bastione contro il comunismo - mentre in realtà era uno stato laico e socialista nato col consenso sovietico - tacendo però che il comunismo era fuori legge in tutti i paesi arabi, e creando il consenso del pensiero moderato e liberalconservatore. Con la guerra del 1967 l'intera Palestina è di Israele, compresa Gerusalemme, che secondo la risoluzione 181 avrebbe dovuto essere posta sotto amministrazione internazionale (23). Gli Ebrei non rispettano la decisione dell'ONU, le cui risoluzioni ingiungono il ritiro dell'esercito israeliano e che restano però lettera morta. Il 10 novembre 1975 l'ONU, per non perdere la faccia, è costretta a varare una risoluzione che equipara Sionismo e razzismo, ma Israele non si ferma, confidando nella irresolutezza dell'ONU, che di lì a qualche tempo sopprime la risoluzione.
La vittoria del Sionismo fallisce però il suo obiettivo principale, quello cioè di dare vita ad uno Stato nazionale pacificato e compatto anche etnicamente, come ha rilevato anche il giornalista ebreo Paolo Guzzanti in un recente articolo su La Stampa di Torino: «Questi giovani [di tel Aviv] così euroamericani, così laici, non hanno affatto l'aria di coltivare il nostalgico patriottismo dei padri e dei nonni Questa città sta perdendo la memoria Tel Aviv si va sempre di più costruendo dentro di sé come una minuscola simbolica New York l'intera città pullula di locali per gay, per lesbiche, per transessuali Le sfrenate passioni adolescenziali di molte ragazze di Tel Aviv per i Che Guevara di Hamas sono leggendarie Passioni in genere corrisposte da giovani palestinesi con spirito predatorio a senso unico: non si ha notizia di sciagurati sbandamenti delle ragazze palestinesi per i giovani soldati israeliani e matrimoni nei due sensi seguono la stessa legge: marito palestinese e moglie israeliana, sì. Marito israeliano e moglie palestinese, no. ()Un uomo che ha combattuto tutte le guerre mi dice: "La pace non è la fine dell'incubo I nemici che un tempo erano incapaci di combattere contro di noi che potevamo sconfiggere in un attimo OGGI SONO BRAVI COME ED ANCHE PIÙ DEI NOSTRI SOLDATI; sanno per che cosa combattere, sono bene armati ed addestrati. Da noi il patriottismo cede il passo al senso di colpa. Gli arabi ci odiano, ma parlano perfettamente l'ebraico. Noi non parliamo una parola di arabo e vorremmo essere amati da loro» (24).
IL SIONISMO: nascita e sviluppo del movimento sionista
a) Il primo Congresso di Basilea (agosto 1897).
Le origini del Sionismo attuale vanno ricercate nell'opera del giornalista viennese Theodore Herzl che, insieme al parigino Max Nordan, organizzò tre congressi a Basilea. Nel primo fu definito il programma del Sionismo, cioè "creare al popolo ebreo un domicilio garantito dal diritto pubblico in Palestina". Molto forti e vivaci furono le reazioni, quasi "una sollevazione massiccia del rabbinato contro tale progetto" (25), al punto che si parlò di DIVORZIO TRA SINAGOGA E SIONISMO. "La prima, soddisfatta dell'emancipazione, non voleva essere nient'altro che una religione. Il secondo, risvegliato dall'esplosione misteriosa dell'antisemitismo, proclama: noi siamo un popolo e vogliamo ricostruire la nostra nazionalità La prima non ha più la fede integrale di Mosé e dei profeti. IL SIONISMO NON CONSIDERA GLI EBREI CHE COME UN POPOLO, INVECE DI RICONOSCERE CHE È IL POPOLO, IL POPOLO DI DIO" (26).
Infatti è "unicamente in un FINE POLITICO E SENZA RIFARSI AL PASSATO RELIGIOSO D'ISRAELE che il Sionismo vorrebbe rientrare in possesso di Gerusalemme e resuscitarvi la nazionalità ebraica" (27).
D'altra parte il Rabbinato occidentale, pur avendo per lo più abbandonato la speranza di un Messia personale, rifiuta di associarsi al Sionismo e di incamminarsi verso Gerusalemme. Questo è il cuore del problema sionista e il principio della sua soluzione alla luce della fede cristiana, come vedremo in seguito.
Il Gran rabbino di Francia, Zadoc-Fahn spiega mirabilmente che "Il Sionismo risale alla distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte di Tito Ma vi è un'enorme differenza tra il Sionismo attuale e quello di diciotto secoli fa. PER I FEDELI DEI TEMPI ANTICHI ERA IL MESSIA INVIATO DA DIO CHE DOVEVA MIRACOLOSAMENTE RICOSTRUIRE SION NESSUNO AVREBBE MAI NEPPUR LONTANAMENTE PENSATO A COGLIERE TALE FINE MEDIANTE VIE NATURALI. Un tale spirito non poteva resistere all'influsso della Rivoluzione francese L'idea messianica si trasformò Il Messia divenne il simbolo del progresso, della fraternità umana, infine realizzata dal trionfo delle grandi verità morali e religiose che il Giudaismo ha sparso dappertutto" (28).
Se il Rabbinato occidentale, oramai ben integrato in Europa, rifiutava anche lo PSEUDO SIONISMO LAICO di Herzl, vi era ancora una frangia ebrea che attendeva un Messia figlio di David, ma "non avrebbe mai accettato di ritornare a Gerusalemme fino a che il Messia non fosse comparso" (29). RISTABILIRE UNO STATO D'ISRAELE CON MEZZI UMANI - come è avvenuto - NON ERA ACCETTABILE PER GLI EBREI TALMUDISTI. Gli Archives Israëlites scrivevano a questo riguardo: "Se per Sionismo si intende coloro che perseguono attualmente prima del tempo promesso la ricostruzione della nazionalità ebrea possiamo affermare che i sionisti di questa specie sono rari nantes in gurgite vasto" (30). Ed ancora: "Ricostruire il Regno di Giuda? Noi ebrei ortodossi, fedeli all'idea messianica, crediamo alla venuta del Messia fondatore di un impero universale. Ma quale rapporto vi è tra questo ideale religioso e il progetto del dottor Herzl e dei suoi amici?" (31).
b) Il secondo Congresso di Basilea (agosto 1898).
Durante il secondo Congresso apparve ancora più chiaro il nodo del problema e la contraddizione immanente al Sionismo moderno, per il quale il Giudaismo deve essere una nazione e non una religione, mentre per il rabbinato esso era una religione piuttosto che una nazione. Perciò il Rabbinato occidentale emancipato, benché liberal non voleva avere rapporti con il Sionismo, poiché quest'ultimo era soltanto un nazionalismo razionalista laicista e naturalista che non aveva alcuna radice nel suo passato religioso: "Noi non ci immaginiamo facilmente uno stato ebreo laico, di cui la Thorà non sia la carta necessaria non si riesce a capire l'esistenza di una società israelitica che non abbia la fede per suo fondamento. Tale nazionalismo puramente razionalista sarebbe la negazione della storia e delle profezie bibliche!" (32).
In sintesi il secondo Congresso segna l'abbandono di Gerusalemme da parte dei rabbini e l'abbandono della religione, e quindi del passato di Israele, da parte del Sionismo.
c) Il terzo Congresso di Basilea (agosto 1899).
L'ostilità del rabbinato esplode per la terza volta e la maggior parte degli ebrei d'Occidente si mostra fermamente contraria ai progetti dei sionisti. Tuttavia gli ebrei orientali, non ancora emancipati civilmente e quindi non assimilati, restano fedeli, per la maggior parte, all'idea del Messia personale e del ritorno miracoloso a Gerusalemme (33).
Il periodo di rassegnazione speranzosa è sempre sussistente nel Giudaismo orientale
Migliaia e migliaia di ebrei dell'Austria, della Romania, Polonia, Russia, dell'Asia e dell'Africa restano fedeli al Talmudismo, restano cioè estranei all'influsso del filosofismo, delle idee moderne e non hanno conosciuto la rivoluzione emancipatrice; perciò mantengono una fede cieca in un Messia bellicoso e conquistatore che li riporterà a Gerusalemme. Essi sono più numerosi degli ebrei occidentali. "Su sette, otto milioni di ebrei che esistono oggi [1901] come all'epoca di Gesù Cristo, la maggior parte risiede fuori dell'Europa occidentale" (34). È significativo l'appello indirizzato agli studenti ebrei dell'università di Praga dal Consiglio eletto del Corpo degli studenti della nazione ebrea: "Compagni Israeliti, gli ebrei non sono né tedeschi, né slavi, essi sono UN POPOLO A PARTE. Gli ebrei sono stati e restano un popolo autonomo per unità di razza, di storia, di sentimenti! Basta con le umiliazioni! ebreo, non sei uno schiavo!" (35).
il Sionismo e Il B'naÏ B'rith
Se lo scopo del presente articolo è quello di affrontare il discorso sul Sionismo alla luce delle profezie dell'Antico e del Nuovo Testamento ad esso inerenti, occorre tuttavia fare un costante riferimento al processo storico della realizzazione del Sionismo in Palestina dalla fine del XIX secolo ai giorni nostri, rimandando il lettore per gli argomenti più specifici alla bibliografia indicata alla fine.
Emanuel Ratier ha presentato recentemente uno studio molto interessante e ricco di documenti inediti sul B'naï B'rith (36), nel quale vi è un intero capitolo dedicato al Sionismo, la cui documentazione servirà ora per analizzare quale influsso la potente loggia dei "Figli dell'Alleanza" abbia avuto nella nascita dello Stato di Israele.
Fin dalla sua origine il B'naï B'rith è di ispirazione sionista, fin da quando due rappresentanti del B'naï B'rith romeno parteciparono nel 1898 al secondo congresso sionista di Basilea. Tuttavia le logge americane, a differenza di quelle europee, tutte filosioniste, erano su posizioni molto più moderate; ma l'evoluzione verso un atteggiamento favorevole al Sionismo fu rapida e già nel 1917 il giornale ufficiale del B'naï B'rith americano affermava che la dichiarazione di Balfour era (37). Anche le logge londinesi esercitarono una capitale influenza sullo sviluppo del Sionismo, come testimonia anche Paul Goodman nella storia della prima loggia del B'naï B'rith d'Inghilterra: (38). Anche il distretto di Germania, inizialmente ostile al Sionismo si avvicinò successivamente alle posizioni londinesi filosioniste. Nel 1897 in una dichiarazione del 27 giugno, il Comitato generale del B'naï B'rith tedesco, si dichiarò totalmente contrario al Sionismo, ma successivamente in una seconda risoluzione del Comitato generale del 22 maggio 1921 si schierò su posizioni assolutamente favorevoli alla creazione di uno Stato ebraico in Palestina.
Il B'naï B'rith in Palestina
(39). Da centinaia di anni il Giudaismo d'oriente viveva in uno stato quasi letargico sotto il regime ottomano: (40).
Nel 1865, ventitré anni prima della nascita del Movimento sionista di Herzl, il B'naï B'rith organizzò una grande campagna di aiuti alle vittime ebree del colera in Palestina e da allora non ha mai cessato di finanziare iniziative private in Israele. Non appena le circostanze politiche lo permisero, l'ordine si impiantò in Medio Oriente; in Egitto nel 1887 furono create due logge e l'anno seguente fu fondata la prima loggia di Palestina, il cui primo segretario fu Elieser Ben-Yehouda, il padre dell'ebraico moderno, allora considerato una lingua morta, nel quale tradusse la costituzione e il rituale segreto del B'naï B'rith. (41).
Nell'aprile del 1925 l'Ordine inaugurò la prima Università ebraica.
La grande Loggia di Palestina
Il B'naï B'rith aveva sempre temuto che la creazione di un distretto di Palestina insospettisse il regime turco, per cui la sede del distretto d'Oriente era stata posta a Costantinopoli. Il mandato inglese e la dichiarazione Balfour autorizzarono la creazione del XIV distretto il cui primo gran Presidente fu David Yellin. Nel 1948 il B'naï B'rith contava in Israele quarantotto logge, nel 1968 centotrentotto, mentre oggi il loro numero supera le duecento.
Durante il regime turco, tra il 1873 e il 1917, erano già state fondate sei logge massoniche in Palestina... di cui la prima, denominata Loggia del re Salomone, a Gerusalemme nel maggio 1873; durante il mandato britannico (1921-1947) la Massoneria conobbe un rapidissimo sviluppo.
La loggia inglese del B'naï B'rith e la Palestina
Il primo presidente del B'naï B'rith Herbert Bentwich era stato uno dei primi a condividere le tesi di Theodor Herzl sul Sionismo e nel 1897 aveva organizzato un pellegrinaggio di ebrei in Palestina tramite l'Ordine degli anziani Maccabei, a nome del quale aveva vi acquistato un terreno, a Gezer, dando inoltre alla First Lodge un orientamento spiccatamente sionista.
All'inizio della prima guerra mondiale fu creato un Comitato ebraico d'urgenza, composto esclusivamente da membri del B'naï B'rith, con lo scopo di fare pressione sui futuri negoziatori di pace, per ottenere nel dopoguerra una home nazionale ebraica in Palestina (42).
Henry Monsky
In America l'Ordine fu il principale luogo d'incontro e fusione tra gli ebrei di origine tedesca (borghesi e riformisti) e gli ebrei provenienti dall'Europa dell'Est (più poveri, ortodossi e filosocialisti), che si opponevano all'idea di fusione degli ebrei con il popolo americano. L'ascesa al potere di Hitler nel 1933 rilanciò l'interesse per la home nazionale ebraica in Palestina. «Il vecchio antisionista è così divenuto - scrisse Alfred Cohen, presidente del B'naï B'rith americano - un non-sionista. Egli guarda senza ostilità l'operazione Palestina Sarà tuttavia sempre contro il Sionismo politico, che apparirà, per il momento, come una causa per la quale non ci può infiammare. Le discussioni accese tra sionisti e antisionisti si sono raffreddate» (43).
Henry Monsky, eletto presidente del B'naï B'rith nel 1938, approfittò della seconda guerra mondiale per rilanciare l'Eretz Israel e dal 1941 rimase in stretto contatto con i principali dirigenti sionisti. Il B'naï B'rith nel 1942 approvò il programma di Baltimora.
Il 29 agosto 1943 si tenne una storica riunione dell'Ebraismo americano, voluta da Monsky, alla quale erano presenti sessantaquattro organizzazioni nazionali ebraiche, con cinquecentoquattro delegati - di cui almeno duecento fratelli del B'naï B'rith - in rappresentanza di un milione e mezzo di ebrei. La riunione fu tuttavia boicottata da due tra le principali organizzazioni ebraiche antisioniste, il Comitato ebraico americano e il Comitato del lavoro ebraico.
Monsky fu correlatore della risoluzione a sostegno del programma di Baltimora, approvata quasi all'unanimità (408 voti contro 3), e divenne il presidente della nuova struttura ebraica unitaria, la Conferenza ebraica americana, che ebbe termine nel 1949, ma che fu rimessa in piedi nel 1955 da un organismo più modesto, la Conferenza dei presidenti delle grandi organizzazioni ebraiche, in seguito al riconoscimento dello Stato di Israele. Samuel Happerin ha scritto: «Pur non avendo mai ufficialmente avocato a sé l'ideologia sionista le azioni effettive del B'naï B'rith hanno compensato tutte le esitazioni. Per valutare l'aumento di potere del Sionismo americano bisogna tener conto in maniera preminente della guida, del numero dei membri e dell'assistenza finanziaria del B'naï B'rith» (44). Il B'naï B'rith non aveva infatti preso ufficialmente posizione in favore del Sionismo fino al 1947, volendo evitare ogni divisione in seno all'Ebraismo americano al cui interno permaneva una minoranza antisionista.
Il B'naï B'rith fa riconoscere Israele
È stato il "B'naï B'rith" che ha provocato il riconoscimento (de facto) dello Stato d'Israele da parte del presidente americano Harry Truman, che era ostile ad un riconoscimento rapido d'Israele, e che a causa del suo "ritardismo" veniva accusato dai dirigenti sionisti di essere un traditore. Nessuno dei leaders sionisti era ricevuto, in quei frangenti, alla Casa Bianca. Tutti, tranne Frank Goldman, presidente del "B'naï B'rith", che non riuscì però a convincere il Presidente. Allora Goldman telefonò all'avvocato Granoff, consigliere di Jacobson, amico personale del presidente Truman. Jacobson, un "B'naï B'rith", pur non essendo sionista, scrisse tuttavia un telegramma al suo amico Truman, chiedendogli di ricevere Weizmann (presidente del Congresso Sionista mondiale). Il telegramma restò senza risposta, allora Jacobson chiese un appuntamento personale alla Casa Bianca. Truman lo avvisò che sarebbe stato felice di rivederlo, a condizione che non gli avesse parlato della Palestina. Jacobson promise e partì. Arrivato alla Casa Bianca, come scrive Truman stesso nelle sue "Memorie": «Delle grandi lagrime gli colavano dagli occhi... allora gli dissi: "Eddie, sei un disgraziato, mi avevi promesso di non parlare di ciò che sta succedendo in Medio Oriente". Jacobson mi rispose: "Signor Presidente, non ho detto neanche una parola, ma ogni volta che penso agli ebrei senza patria (...) mi metto a piangere" () Allora gli dissi: "Eddie, basta". E discutemmo d'altro, ma ogni tanto una grossa lacrima colava dai suoi occhi (...) Poi se ne andò» (13).
Ebbene poco tempo dopo, Truman ricevette Weizmann in segreto e cambiò radicalmente opinione, decidendo di riconoscere subito lo Stato d'Israele. Così il 15 maggio 1948 Truman chiese al rappresentante degli Stati Uniti di riconoscere de facto il nuovo Stato. E quando il Presidente firmò i documenti di riconoscimento ufficiale d'Israele, il 13 gennaio 1949, i soli osservatori non appartenenti al governo degli Stati Uniti erano tre dirigenti del "B'naï B'rith": Eddie Jacobson, Maurice Bisyger e Frank Goldman.
È poi da ascrivere al B'naï B'rith il mutamento della politica americana riguardo alla questione palestinese: infatti se negli anni cinquanta essa era stata globalmente favorevole agli Arabi, essa cambiò rapidamente in seguito alle continue pressioni dell'Ordine sul governo americano per ottenere enormi aiuti economici e bellici in favore dello Stato di Israele.
Con la "guerra dei sei giorni" si assiste infine alla sionizzazione definitiva de facto e de jure del B'naï B'rith e dell'A.D.L.; «Questa vittoria miracolosa ha permesso un'identificazione tra ebrei e Stato di Israele, del tutto diversa da quanto era avvenuto agli albori di tale Stato. È in questo frangente che l'A.D.L. e il B'naï B'rith pongono come pietra di paragone l'asserto che l'antisionismo equivale all'antisemitismo» (45).
il Laicismo sionista
L'idea sionista di Teodoro Herzl è assolutamente laica e (46), come testimoniano le sue parole: (47).
(48).
Ma l'idea sionista era molto forte, al punto da rasentare in tanti fondatori di Israele l'indifferenza verso il genocidio, come denuncia lo storico israeliano Tom Segev nel suo libro Le septiem million (49), e come scrive Barbara Spinelli su La Stampa: (50). Anche Fiamma Nirestein qualche giorno prima aveva ricordato, sullo stesso quotidiano, che Ben Gurion aveva fatto affondare una nave carica di giovani militanti dell'Irgum, perché erano di ostacolo al riconoscimento dello Stato di Israele.
Vana era stata anche la speranza, di Teodoro Herzl, di ottenere un riconoscimento da parte della Santa Sede, nonostante l'incontro con San Pio X il 25 gennaio 1904, preceduto da quello con il cardinale Merry Del Val il 22. (51).
La conquista della Terra Santa
"Questo piano - scrive il Lémann - sembra essere stato adottato dai promotori del Sionismo. È così che l'infiltrazione lenta e dissimulata preparerebbe, a colpo sicuro, gli elementi costitutivi dello Stato ebraico in Palestina, fino al giorno in cui un avvenimento propizio ed improvviso [la seconda guerra mondiale, n.d.r.], permetterà al Sionismo, sia mediante un tentativo ardito, sia mediante un'abile diplomazia, di mettere definitivamente la mano sul suolo tanto desiderato di tutta la Giudea" (52).
Con la dissoluzione dell'Impero ottomano (durante la prima guerra mondiale) il mondo cattolico cominciò a sperare che la Palestina sarebbe tornata in mani cristiane: (53). E Pasquale Baldi, uno dei più noti studiosi della questione dei luoghi santi, così scriveva: «Oggi per un prodigioso combinarsi di eventi, che noi riteniamo provvidenziale, Italia, Francia, Inghilterra, tre nazioni che ebbero tanta parte nelle guerre sante, tengono Gerusalemme sotto il proprio dominio. Oggi a ragione dunque i cattolici di tutto il mondo possono attendersi che suoni finalmente l'ora della giustizia; che per i Santuari della Palestina si rinnovino gli splendori dell'era costantiniana, gli splendori del primo secolo delle crociate!» (54).
Ciò che della questione dei Luoghi Santi maggiormente colpì l'attenzione dell'opinione pubblica europea fu la loro liberazione dal dominio musulmano e poi le controversie delle diverse confessioni cristiane circa il loro possesso. La Santa Sede agì diplomaticamente in vista di questi due obiettivi principali, situare la Palestina nella sfera di controllo delle potenze cattoliche, e porre un riparo alle usurpazioni compiute dai greci ortodossi nel 1757 (55). Quando gli Stati dell'Intesa, ormai in procinto di vincere il conflitto, manifestarono un orientamento favorevole alla INTERNAZIONALIZZAZIONE della Terra Santa, il mondo cattolico pensò che il primo obiettivo fosse quasi raggiunto.
L'idea di affidare la Terra Santa ad un governo internazionale non era nuova, ma fu soltanto nel corso della prima guerra mondiale che queste proposte assunsero un carattere di attualità. Con la caduta del regime zarista cessò anche ogni possibilità di intervento russo-ortodosso in Medio Oriente. (56).
Il Vaticano tuttavia non riteneva che la soluzione di affidare il governo della Terra Santa ad un governo internazionale fossa la migliore; lo stesso card. Gasparri puntualizzò che alla S. Sede sembrava più corretto parlare di «carattere di nazionalità intendendo sottolineare che i luoghi santi, anziché essere sottoposti al governo di più nazioni, avrebbero dovuto essere sottratti al controllo di qualsiasi organismo politico ed affidati ad istituzioni religiose come la Custodia di Terra Santa. In questo contesto potrebbero trovare spiegazione le voci - non però confermate - relative all'eventualità di un governo pontificio in Palestina. Tuttavia la consapevolezza dell'impossibilità di tradurre in pratica questo progetto ne aveva impedito qualsiasi elaborazione concreta ed aveva indotto la S. Sede a ripiegare sull'ipotesi di un regime internazionale» (57).
«Dopo la prima guerra mondiale gli sforzi della Santa Sede si erano indirizzati nel senso di realizzare un progetto di riaffermazione del Cattolicesimo ispirato dal "proposito di procedere ad una cristianizzazione non soltanto degli individui, ma della società e degli Stati da compiere con tutti i mezzi" (58). La codificazione canonica del 1917, dominata dall'immagine della Chiesa come societas juridice perfecta, e la politica concordataria degli anni venti e trenta, volta a restituire alla Chiesa quelle funzioni pubbliche che le erano state sottratte in epoca liberale, costituirono le manifestazioni salienti di questo intendimento, cui era sottesa una ecclesiologia che mirava ad instaurare visibilmente il regno di Cristo in ogni sfera della vita umana, compresa quella politica» (59).
Tuttavia le speranze della S. Sede ebbero vita breve, perché tra il 1917 e il 1918 il quadro politico subì radicali cambiamenti che portarono all'accantonamento del progetto d'internazionalizzazione.
Vi fu quindi la famosa dichiarazione Balfour, che impegnava la Gran Bretagna a favorire la creazione di una Casa nazionale ebraica in Palestina. (60). Il cardinal Gasparri stesso, nel dicembre 1917, aveva detto al rappresentante diplomatico del Belgio che , aggiungendo anche: (61). Lo stesso pontefice Benedetto XV intervenne pubblicamente ed affermò che deprecava l'eventualità di un (62).
Il Papa temeva soprattutto che (63).
Il Consiglio supremo Alleato riunito a Sanremo nell'aprile del 1920 pose definitivamente fine alla speranza di una internazionalizzazione della Palestina assegnandone il controllo alla Gran Bretagna, proprio a quel paese, cioè, di cui la S. Sede diffidava maggiormente, non solo per il sostegno promesso alla causa sionista, ma anche per l'influenza che la chiesa anglicana avrebbe potuto esercitare in Terra Santa (64).
La Santa Sede e la "Teologia del Sionismo"
La Santa Sede vedeva nella dichiarazione Balfour per la creazione di una sede nazionale ebraica in Palestina la conferma del timore già espresso da Benedetto XV, che si intendesse cioè concedere agli ebrei in Palestina. Il cardinal Gasparri da parte sua, aggiungeva in una lettera ai timori prettamente religiosi espressi dal Pontefice, una nuova motivazione, la difesa delle "popolazioni indigene" e delle "nazionalità" minacciate dalle aspirazioni sioniste (65). (66).
L'Osservatore Romano si occupò ampiamente dei problemi della Terra Santa e del Sionismo, non sottovalutando affatto l'enorme importanza e la portata escatologica della questione sionista. «In Europa - scriveva il suo corrispondente da Gerusalemme - si è troppo facili, con una superficialità che irrita, a guardare al nuovo fenomeno semitico palestinese con aria scettica di compatimento. Ma la realtà è una sola: gli ebrei lavorano con eroica serietà di propositi L'eventualità di un argine da parte degli arabi non ha nessuna consistenza. La loro opposizione di prammatica non arresterà nemmeno di un passo l'avanzata del Sionismo» (67).
Da questa osservazione nascevano due linee interpretative, l'una privilegiava una lettura in chiave religiosa del Sionismo, giudicato un punto di passaggio verso "la conversione degli ebrei al Cristianesimo" (68); l'altra, invece, insisteva piuttosto sui pericoli che derivavano alla presenza cristiana in terra Santa, dal rafforzamento del Sionismo.
La Civiltà Cattolica si segnalò per aver dato una visione teologica del problema sionista, definendo chimerico il disegno perseguito dal Sionismo: (69), oltreché ingiusta, perché (70). Il Sionismo inoltre, per i gesuiti della Civiltà Cattolica, si mostra incapace di dare una risposta convincente al problema ebraico: (71). Soprattutto costituiva (72). Il rimedio proposto per riportare la pace in Palestina non sarà che (73).
Nel 1943 Mons. Tardini, Segretario per gli affari straordinari della Santa Sede, confermò tale visione teologica sul Sionismo, asserendo che (74).
La condanna dell'antisemitismo razzista e biologico espressa da Pio XI nel 1928 «non implicava in alcun modo l'adozione di orientamenti più favorevoli al Sionismo. Essa infatti nasceva dalla preoccupata reazione della S. Sede per il dilagare in Europa di movimenti e dottrine ispirati a principi di esasperato razzismo e nazionalismo, ma non presuppone alcuna revisione della tradizionale concezione cattolica che negava al popolo ebraico, dopo la venuta di Cristo, qualsiasi ruolo nella storia della salvezza, che non fosse quello di testimoniare, con le sue sofferenze, la verità della Rivelazione cristiana. "Dopo la morte di Cristo, Israele fu licenziato dal servizio della Rivelazione", disse nel 1933 l'arcivescovo di Monaco, card. Faulhaber» (75).
Nel 1938 La Civiltà Cattolica ribadì in modo più esteso la sua posizione: «Tutto il valore del Giudaismo era nella sua sola ragione di essere la preparazione dell'Avvento del Messia Venuto il Messia, in persona di Gesù Cristo, cessò necessariamente e automaticamente il valore del Giudaismo tutt'insieme, e quale popolo "eletto" e quale religione» (76).
(78).
Come aveva scritto L'Osservatore Romano «il Sacrificio di Cristo, voluto da un popolo che se ne proclamò responsabile per sé e per i suoi figli, nei secoli, davanti al giudice umano come a quello divino, costituiva di fronte alla storia e alla civiltà mondiale una tale prescrizione di qualsiasi diritto sulla terra promessa da non avere certo bisogno di invocare venti secoli ormai trascorsi a suo favore per essere ratificato da qualsiasi tribunale politico» (79). Su tale base di natura teologica si innestavano poi precise ragioni di ordine politico, che confermavano l'avversione al movimento sionista della Santa Sede, il cui obiettivo prioritario era quello di mantenere in mani cristiane il controllo dell'intera Palestina e per la quale il mandato britannico appariva il male minore a fronte della costituzione di due stati non cristiani in Terra Santa: (80).
IL VATICANO E LA QUESTIONE PALESTINESE
La Santa Sede continuò a ribadire la sua ferma opposizione alla costituzione di una home ebraica in Terra Santa. In una lettera al delegato apostolico a Washington il Segretario di Stato vaticano il 25 maggio 1943 sosteneva esplicitamente che (81). Anche Mons. Tardini scriveva: «La Santa Sede si è sempre opposta alla dominazione ebraica sulla Palestina. Benedetto XV si è adoperato con successo per evitare che la Palestina divenisse uno Stato ebraico. In effetti dal punto di vista religioso (il più importante) la Palestina è una terra sacra, non solo per gli ebrei, ma molto di più per tutti i cristiani e specialmente per i cattolici. Darla agli ebrei significherebbe offendere tutti i cristiani e violare i loro diritti» (82). L'avversione alla costituzione di una home ebraica in Palestina non significava però che la Santa Sede fosse favorevole ad una dominazione araba sulla Terra Santa, (83). Tutta la politica vaticana riguardo alla Palestina era ispirata dal timore che sia una dominazione araba sia una dominazione ebraica risultassero pregiudizievoli per gli interessi cattolici in Terra Santa (84).
Ma la risoluzione approvata dall'Assemblea delle Nazioni Unite il 29 novembre 1947 introdusse un fatto nuovo nello scenario mediorientale: la creazione di uno Stato ebraico indipendente, prevista per l'ottobre del 1948. La prospettiva della costituzione di uno Stato ebraico in Palestina ebbe un'eco profonda in tutto il mondo cristiano. La proclamazione dell'indipendenza di Israele fu accolta in Vaticano con molto riserbo. L'Osservatore Romano asserì che (85).
i rapporti tra Sionismo e nazionalsocialismo
Nel 1922 Vladimir Jabotinsky si ritirò dall'esecutivo dell'Organizzazione sionistica e fondò nel 1924 il Partito Revisionista. Il Nuovo schieramento combatteva la politica dell'Esecutivo sionista troppo disponibile al compromesso con gli inglesi e con gli arabi e (86).
A questo proposito il Blondet è più esplicito e ricco di informazioni: (87).
(88). Conobbe poi un ex ufficiale zarista, mutilato, certo Joseph Trumpeldor e con lui ideò l'organizzazione di una "legione ebrea" all'interno di non importa quale esercito alleato. Proprio Trumpeldor ha dato il suo nome alla principale organizzazione di gioventù sionista revisionista, il BÉTAR o B'RITH TRUMPELDOR (Alleanza di Trumpeldor). Bétar è anche il nome della fortezza dove Bar Kochba condusse la rivolta contro le legioni di Roma nel secondo secolo.
Durante il dodicesimo Congresso sionista del settembre 1921 a Karlovy Vary, Jabotinsky, senza informare i dirigenti sionisti, firmò un accordo con Maxime Slavinsky, rappresentante del leader del governo ucraino in esilio, Simon Petlioura (accusato oggi di antisemitismo). Questo accordo con un regime che favoriva i pogrom, fu giustificato da Jabotinsky con l'affermazione che se l'Armata Rossa gli avesse fatto la stessa proposta, l'avrebbe egualmente accettata (89). L'alleanza con l'Ucraina costrinse Jabotinsky a dimettersi dall'Esecutivo sionista e dall'Organizzazione sionista. Nel 1923 pubblicò una serie di articoli in cui mirava ad intraprendere una sorta di REVISIONE del Sionismo, affermando che si trattava di un ritorno alle tesi originarie di Herzl. Sostenne così posizioni di ACCESO NAZIONALISMO, il cui unico fine era di trasferire milioni di ebrei in Israele facendo della Palestina uno Stato ebraico di fatto. Gli arabi, (91). Jabotinsky è convinto che lo stato abbia il primato sull'individuo, per cui non bisogna assolutamente rifarsi all'etica biblica ma attingere le proprie forze alle teorie del NAZIONALISMO INTEGRALE; (92). Jabotinsky è assolutamente contrario alla diaspora e PER IMPEDIRE L'ASSIMILAZIONE degli ebrei, SARÀ ANCHE PRONTO AD ACCOGLIERE favorevolmente LE IDEE ANTISEMITE, che avrebbero spinto gli ebrei a ritornare nella loro terra e a riscoprire l'identità che stavano perdendo. «Per Jabotinsky ogni assimilazione ai goyim è non solo infausta ma impossibile "La fonte del sentimento nazionale si trova nel SANGUE dell'uomo nel suo TIPO FISICO-RAZZIALE È inconcepibile che un ebreo possa adattarsi alla visione spirituale di un tedesco o di un francese"» (93). Inoltre elimina l'idea di un Dio trascendente e la sostituisce con quella di nazione, minando alla base le fondamenta stesse del Giudaismo ortodosso. A tutto ciò unisce un odio viscerale per il socialcomunismo, mentre vede, di conseguenza, la forza principale del Sionismo nel supercapitalismo.
a) Il Bétar (94)
Nel 1923 Jabotinsky fondò il braccio armato del Revisionismo sionista il Bétar B'rith Trumpeldor, i cui membri (95). Dal 1934 al 1937 una scuola navale del Bétar funzionerà in Italia, a Civitavecchia, con 153 cadetti diplomati. Per Marius Schattner (96). Il Bétar è un'organizzazione rigida, con un rituale stretto e severo: ogni betariano deve impegnarsi a consacrare i due primi anni del suo insediamento in Palestina alla militanza a tempo pieno nel Bétar, il quale si fonda sostanzialmente sul mito della forza, sulla potenza del cerimoniale, su una struttura paramilitare.
Negli anni 1931-32 Jabotinsky visse a Parigi, (97). Nel 1935 fondò a Vienna, durante un congresso, la Nuova Organizzazione Sionista (N.O.S.), che inaugurava una politica molto discussa con tutti i governi (anche antisemiti) PURCHÉ FOSSERO INTENZIONATI A REGOLARE LA QUESTIONE EBRAICA IN SENSO SIONISTA, consentendo cioè l'emigrazione ebraica in Palestina. Ciò non impedirà per altro a Jabotinsky di pronunciarsi, negli anni della guerra, a favore della creazione di un esercito ebreo destinato a combattere la Germania hitleriana.
b) Menahem Begin
Fino alla vittoria di Begin nel 1977 a capo del Likud, formazione politica erede del Bétar di Jabotinsky, la maggior parte degli storici del Sionismo avevano relegato il Revisionismo nel ghetto spirituale dei fanatici o addirittura dei lunatici esaltati. Ma nel 1977 il "fascista" Begin sale al potere in Israele e, fin dal suo primo discorso, si rifà esplicitamente alle idee di Jabotinsky, anche se aveva fatto parte dell'ala più radicale del Revisionismo, quella più vicina al fascismo e associata al B'ritj Ha Biryonim (il gruppo dei bruti), scavalcando a destra lo stesso Jabotinsky!
Dopo la seconda guerra mondiale Begin come leader del partito Hérout (Libertà) farà lavorare al quotidiano del partito il suo amico Abba Ahimert, ideologo estremista revisionista, che aveva scritto: (98).
Quando Begin si recò per la prima volta negli USA nel 1948, alcuni intellettuali ebrei, tra cui Einstein, Hannah Arendt e Sydney Hook, scrissero una lettera aperta al New York Times (4 dicembre 1948) in cui affermavano che il partito di Begin era . Begin non rinnegherà in nulla le sua vecchie idee estremiste: dopo di lui diverrà primo ministro di Israele il suo amico (e terrorista) Yitzhak Shamir, per il quale (99).
c) Revisionismo e nazismo
Nella primavera del 1936 una coppia di ebrei, i Tuchler, inviati dalla Federazione Sionista di Germania, ed una coppia di nazisti, i von Mildenstein, inviati dal N.S.D.A.P. e dalle SS., si ritrovarono alla stazione di Berlino dove presero il treno per Trieste e s'imbarcarono sulla Martha Washington per la Palestina. Lo scopo del viaggio era quello di fare un'indagine il più possibile completa e documentata sulle POSSIBILITÀ DI INSEDIAMENTO DI EBREI TEDESCHI IN PALESTINA. «Malgrado le dichiarazioni di principio e diverse misure specifiche (boicottaggio degli ebrei tedeschi a partire dal 1 aprile 1933), tutti gli storici sono d'accordo nell'ammettere che Hitler non aveva una politica d'insieme precisa sulla questione ebraica fino alla notte dei cristalli del 9-10 novembre 1938. Ciò lasciò campo libero all'Ufficio degli Affari ebraici delle SS, per esplorare le diverse politiche attuabili. Il viaggio del barone von Mildenstein fu una di esse. Ora Mildenstein era ufficiale superiore delle SS s'era interessato da molto tempo alla questione ebraica Fervente sionista, entrò nelle SS. e fu reputato uno dei più qualificati specialisti del Giudaismo. Fu lui che vide per primo l'interesse che si poteva trarre dalle organizzazioni sioniste, specialmente revisioniste Scrisse una serie di dodici lunghi articoli, molto documenteti, sul quotidiano berlinese Der Angrif di Goebbels, dal titolo Un nazista viaggia in Palestina. Vi esprimeva la sua ammirazione per il Sionismo e concludeva che "il focolare nazionale" ebreo in Palestina "indica un mezzo per guarire una ferita vecchia di molti secoli: la questione ebraica". Per commemorare tale visita fu coniata una medaglia, su richiesta di Goebbels. Una faccia era ornata dalla svastica nazista e l'altra dalla stella di David Le SS. erano divenute la componente più filosionista del partito nazista» (100). In seguito a questo viaggio il giornale delle SS. Das schwarze Korps proclamò ufficialmente il suo appoggio al Sionismo (101). Il 26 novembre lo stesso quotidiano rinnovava il suo appoggio al Sionismo: (102). Ancora, nel maggio 1935 Heyndrich in un articolo distingueva gli ebrei in due categorie dimostrando una forte predilezione per quelli che e Alfred Rosemberg scriveva che (103). Con l'avvento al potere di Hitler il Bétar fu la sola organizzazione a continuare ad uscire in parata in uniforme nelle strade di Berlino. Il 13 aprile 1935 la polizia della Baviera (feudo di Himmler e di Heyndrich) ammetteva eccezionalmente che gli aderenti al Bétar potessero indossare la loro uniforme. Questi cercavano così di spingere gli ebrei di Germania a CESSARE DI IDENTIFICARSI COME TEDESCHI e a farli innamorare della loro nuova identità nazionale israeliana (104). La Gestapo fece tutto il possibile per favorire l'emigrazione verso la Palestina; ancora nel settembre 1939 autorizzò una delegazione di sionisti tedeschi a partecipare al 21° Congresso sionista di Ginevra. Jabotinsky invece si era pronunciato per il boicottaggio della Germania, mentre Kareski, membro del movimento revisionista, perseguiva una politica di collaborazione con la Germania in vista di poter costituire lo Heretz Israel. Nel 1942 restava ancora in attività nella Germania un Kibbutz a Nevendorf per esercitare dei potenziali emigranti verso la Palestina. (105).
d) Un patto segreto tra la banda Stern e il terzo Reich
I dirigenti ebrei della gang Stern - incredibile ma vero - fecero ai nazisti una proposta di alleanza nel 1941 per lottare contro gli inglesi: la cosa che più colpisce è che uno di essi era Yitzhak Shamir, futuro primo ministro di Israele. «Lo scarso equipaggiamento militare dell'Italia, sia in Libia che in Grecia, convinse Stern che l'Italia non aveva i mezzi per condurre a termine la sua politica, mentre la Germania nel 1940, riportava vittoria su vittoria. Tali successi impressionarono Stern, che si lanciò in un'avventura folle e senza uscita: formare un'alleanza con la Germania hitleriana. Stern lavora fino al febbraio 1941 (quando fu ucciso dagli inglesi) a concretizzare questo obiettivo, fondandosi su un'analisi insolita della situazione del Giudaismo. Per lui l'Inghilterra è il vero nemico, mentre la Germania è solo un OPPRESSORE che appartiene alla linea dei PERSECUTORI che il popolo ebreo ha incontrato durante la sua storia. Questo è l'errore più grande di Stern: vede nel Nazismo un movimento animato da un antisemitismo ragionevole» (106). All'inizio del 1941 Lubentchik, agente segreto della banda Stern, propone un patto militare tra l'Organizzazione militare sionista Irgun (una scissione della stessa banda) e la Germania, proposta nota col nome di testo di Ankara (107), trasmesso a Berlino l'11 gennaio 1941 e ritrovato tempo fa negli archivi dell'ambasciata tedesca in Turchia. In esso si legge: «I principali uomini di stato della Germania nazionalsocialista hanno spesso insistito sul fatto che un Ordine Nuovo in Europa richiede come condizione previa una soluzione radicale della questione ebraica, mediante l'emigrazione. L'evacuazione di masse ebree d'Europa è la prima tappa della soluzione della questione ebraica. Tuttavia, il solo mezzo per cogliere tale fine è l'installazione di queste masse nella patria del popolo ebraico, la Palestina, mediante lo stabilimento di uno Stato ebraico nelle sue frontiere storiche» (108). Lo Stato maggiore tedesco, tuttavia, decise di appoggiarsi nella lotta alla Gran Bretagna, agli arabi che erano milioni, piuttosto che agli ebrei, che non erano che un pugno di uomini (109). La veridicità di questo documento è stata messa in dubbio, ma Israël Eldadsnab, uno dei capi storici del gruppo Stern, ha confermato la verità dei fatti (110) e il settimanale Hotam affermò che tale documento era stato consegnato personalmente da Shamir e Stern. Quando il 10 ottobre Shamir divenne primo ministro dello Stato di Israele dopo il dicastero Begin, l'Associazione Israeliana dei combattenti antifascisti e delle vittime del Nazismo manifestò la sua indignazione in un telegramma al presidente Herzog nel vedere il posto di primo ministro occupato da (111). Se la banda Stern fu l'unico gruppo sionista revisionista a negoziare col Terzo Reich in piena guerra, le organizzazioni sioniste moderate non avevano esitato a farlo prima della guerra, in gran segreto. «I circoli nazionalisti ebrei sono molto soddisfatti della politica della Germania, poiché la popolazione ebrea in Palestina sarà da tale linea politica talmente accresciuta che in un futuro prossimo gli ebrei potranno contare su una superiorità numerica di fronte agli arabi» (112).