Nella storia dove è arrivato l'Islam è poi sempre avvenuta la guerra civile e religiosa e lo sterminio di tutti i diversamente religiosi e pensantiviewtopic.php?f=188&t=1895Filippine, battaglia strada per strada a Marawi: "L'Isis vuole conquistare la città"L'esercito di Manila sta combattendo contro alcune decine di militanti del gruppo Maute, che ha giurato fedeltà ad al-Baghdadi, e che cerca di insediare un emiro a capo del "califfato" di Lanao. Ed è allarme senza precedenti per il tentativo ormai ripetuto di stabilire un’area franca sotto l’egida dell’Isis in una delicata provincia dell’arcipelago a maggioranza cattolica
di RAIMONDO BULTRINI
23 maggio 2017
http://www.repubblica.it/esteri/2017/05 ... -166224382Soldati inviati da Manila nel sud del paese
Nel sud delle Filippine un gruppo alleato dello Stato islamico sta combattendo armi in pugno per stabilire il califfato di Lanao al comando di un “emiro”. La battaglia è ancora in corso nella città di Marawi, capitale dell’omonima provincia, tra l’esercito di Manila e alcune decine di militanti del gruppo Maute, ex membri del Fronte islamico Moro affiliati all’IS e alleati dei terroristi-sequestratori di Abu Sayyaf.
Anche se non accade niente di paragonabile agli scenari di guerra di Mosul, l’assalto su larga scala contro il carcere cittadino, dato alle fiamme, l’ospedale generale, diversi edifici governativi e una serie di altri obiettivi, ha provocato devastazioni e un numero imprecisato di feriti tra la popolazione civile. Ma ha soprattutto creato un allarme senza precedenti per il tentativo ormai ripetuto di stabilire un’area franca sotto l’egida dell’Isis in una delicata provincia dell’arcipelago a maggioranza cattolica.
Le autorità hanno invitato la popolazione a mantenere la calma e a denunciare ogni movimento sospetto attorno alle loro case, mentre altre truppe stanno raggiungendo l’area degli scontri per difendere ed evacuare gli abitanti sotto minaccia oltre a liberare le strade dai militanti che secondo alcuni testimoni hanno anche issato bandiere dell’Is su qualche tetto.
Non è la prima impresa attribuita alla formazione che porta il nome del suo fondatore, Abdullah Maute. Per celebrare l’alleanza con i fratelli di fede in Siria, il Maute assaltò nel novembre scorso una scuola di Butig, dove venne per la prima volta issata la famigerata bandiera nera su territorio filippino, oltre a occupare una moschea e altri obiettivi della città che ospita il quartier generale del gruppo, il califfato di Lanao e il Fronte islamico Moro, gestiti da vere e proprie famiglie di militanti legate da antichi vincoli di sangue e di matrimonio, anche se spesso in contrasto tra loro sulle strategie dei sequestri e della lotta armata.
I portavoce dell’esercito e della polizia hanno dichiarato che i nuovi attacchi di Marawi, dove una buona parte della popolazione è fuggita dal fuoco incrociato lasciando le strade semideserte, sarebbero guidati personalmente da Isnilon Hapilon, 50 anni, già comandante di Abu Sayyaf e da poco autoproclamato “emiro” dei guerrieri islamici di Lanao. Dal gennaio scorso l’IS ha riconosciuto il suo gruppo, formato da 100 o 200 uomini, come un membro effettivo e rappresentante ufficiale nel Sud est asiatico, dopo che nell’aprile del 2016 tutti i “Maute” hanno promesso la loro fedeltà ad Abu Bakr al-Baghdadi. Ma solo a novembre, dopo ripetuti dinieghi, il governo di Manila ha ammesso i legami tra militanti filippini e IS con un discorso in tv del presidente Duterte, a sua volta appena reduce da un attentato compiuto proprio a Butig contro la sua scorta, con 9 guardie speciali ferite poco prima del suo arrivo.
Come nel caso dei sospetti sul nucleo di ex guerriglieri addestrati in Siria o Iraq e rientrati a Manchester e in Inghilterra, anche parte dei militanti del califfato di Lanao sarebbero reduci recenti dai campi dell’IS. L’ipotesi è confermata dalle intelligence straniere e dalle indagini degli esperti filippini, anche se il numero dei militanti armati effettivi resta incerto, come lo sono i legami tra Maute, Abu Sayyaf, irriducibili del Fronte Moro contrari agli accordi di pace col governo e Jemaah Islamiyah, la più grande formazione islamica del Sud Est con base in Indonesia e ambizioni altrettanto forti di formare un califfato pan-asiatico.
Secondo la ministra degli Esteri australiana Julie Bishop i militanti sudorientali di ritorno dai campi di battaglia in Iraq e Siria sarebbero almeno 600. “C'è la preoccupazione reale – disse due mesi fa di ritorno da un vertice antiterrorismo negli Usa - che IS possa cercare di dichiarare un califfato islamico nelle Filippine meridionali".
Per questo nessuno sottovaluta gli incidenti di questi giorni a Marawi, nonostante la confusione sulle dimensioni reali del conflitto ancora in corso, che potrebbe coinvolgere anche Cagayan de Oro, Butig e altre località comprese nel nascente e ancora sconosciuto “emirato di Lanao”.
Filippine, militanti Isis assediano la città di Marawi: 21 morti, scontri a fuoco nelle strade e gruppo di cattolici in ostaggio25 maggio 2017
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/05 ... io/3613895 Il capo della polizia decapitato, edifici governativi presi d’assalto, una cattedrale data alle fiamme, il prete e una dozzina di fedeli cattolici presi in ostaggio: le Filippine sono piombate nel caos per la guerriglia portata avanti da alcuni militanti affiliati all’Isis. E il presidente Rodrigo Duterte, eletto nel 2016, ha proclamato la legge marziale nel sud del Paese, promettendo di usare il pugno di ferro contro la crescita dell’estremismo islamico, considerata una minaccia alla sicurezza nazionale. “Sarò duro”, ha affermato il presidente, tracciando un collegamento tra la sua legge marziale e quella dell’ex dittatore Ferdinand Marcos e dicendosi pronto a tenerla in vigore per un anno, senza escludere di estenderla da Mindanao a tutto l’arcipelago a maggioranza cattolica se la minaccia islamica dovesse propagarsi.
La crisi è scoppiata martedì 23 maggio a Marawi, una città di 200mila abitanti nell’isola di Mindanao, dopo un blitz fallito dell’esercito per mettere le mani su Isnilon Hapilon, comandante del gruppo ribelle Abu Sayyaf e considerato tra i terroristi più pericolosi del Paese. I miliziani hanno chiamato i rinforzi del gruppo islamico Maute, che ha giurato fedeltà all’Isis. Decine di uomini armati hanno assaltato diversi edifici tra cui un carcere e una chiesa, a cui hanno appiccato il fuoco. Un sacerdote e almeno altre 13 persone tra fedeli e personale della chiesa sono state prese in ostaggio, con la minaccia di ucciderli se l’esercito non interromperà l’offensiva. Si contano almeno 21 morti, tra cui 12 militanti islamici, negli scontri con l’esercito, e migliaia di residenti hanno ormai abbandonato le proprie case mentre proseguono le operazioni militari per riprendere il controllo delle aree occupate dai combattenti, che continuano ad avere 13 persone sotto ostaggio.
L’esplosione di violenza ha sorpreso Duterte mentre si trovava in visita a Mosca per incontrare Putin. Il leader è tornato in patria mercoledì, dicendosi pronto a combattere gli estremisti e proclamando la legge marziale a Mindanao. Già nei mesi scorsi Duterte aveva lanciato un’offensiva contro alcuni piccoli gruppi islamici radicali che avevano giurato fedeltà all’Isis, con scontri nelle campagne che avevano causato decine di morti. La prospettiva della legge marziale era stata evocata più volte: “Vi avevo detto di non costringermi a farlo”, ha dichiarato mercoledì. “Se volete morire, morirete. E se molte persone dovessero morire, che sia così”.
“Non è escluso” che la legge marziale proclamata a Mindanao possa essere estesa a tutto il Paese se la minaccia dell’Isis si dovesse diffondere al resto dell’arcipelago. Ma il presidente ha aggiunto che non permetterà abusi del provvedimento. Per quanto l’opinione pubblica cattolica sia fermamente ostile al pericolo di infiltrazione dell’Isis, il provvedimento è storicamente associato agli abusi dei diritti umani perpetrati dal regime di Marcos. Il predecessore di Duterte, Benigno Aquino, non proclamò la legge marziale quando dovette fronteggiare una simile situazione a Zamboanga, nel cui assedio morirono 200 persone. Ma l’attuale presidente ha già dimostrato di essere pronto a tutto per far fronte alle minacce: nella sua crociata contro la droga e il crimine sono già morte 9mila persone.
Filippine, l’Isis controlla una città di 200 mila abitanti Ottocento jihadisti occupano Marawi: chiese bruciate e bandiere nere
25/05/2017
giordano stabile
http://www.lastampa.it/2017/05/25/ester ... agina.html Con un blitz a sorpresa i gruppi jihadisti filippini alleati con l’Isis hanno occupato la città di Marawi, 200 mila abitanti, nell’isola meridionale di Mindanao. Le formazioni Abu Sayyaf e Maute si sono unite per formare un battaglione di “500-800 combattenti”, secondo stime locali. Sono armati con moderni fucili mitragliatori, armi pesanti, fuoristrada.
Gli islamisti hanno cacciato la polizia locale, ucciso numerosi agenti, occupato l’ospedale principale, assaltato e distrutto la prigione, issato la bandiera nera sugli edifici governativi del distretto. Poi hanno assaltato la Cattedrale di Nostra Signora, dato alle fiamme l’edificio e sequestrato il sacerdote Teresito Sugano, assieme a 13 fedeli, come ha confermato la Conferenza episcopale delle Filippine.
Il governo del presidente Rodrigo Duterte ha reagito con l’imposizione della legge marziale, ha chiesto a tutta la popolazione di chiudersi in casa. Le forze speciali della 103esima brigata, unità di élite per il controterrorismo, stanno per dare l’assalto ai check-point islamisti nei sobborghi della città e nei villaggi circostanti.
Mindanao: l’esercito filippino controlla gran parte di Marawi29 maggio 2017
(con fonte AsiaNews)
http://www.analisidifesa.it/2017/05/min ... -di-marawiLe forze armate filippine hanno dichiarato di avere assunto il controllo della maggior parte della città di Marawi, città islamica nell’isola di Mindanao di circa 200mila abitanti, dove militanti armati legati allo Stato islamico hanno lanciato un sanguinoso assedio quasi una settimana fa. Il 23 maggio avevano incendiato la cattedrale cattolica e rapito alcune persone.
Ernesto Abella, portavoce presidenziale, ha dichiarato oggi che solo alcune piccole aree della città rimangono sotto il dominio di un numero imprecisato di guerriglieri Maute e jihadisti di Abu Sayyaf, gruppo che aveva già aderito ad al-Qaeda.
I combattimenti a Marawi (video) si sono intensificati dal momento che i miliziani oppongono una strenua resistenza, inaspettata dal comando filippino, sfidando i militari che hanno schierato elicotteri, UH-1H e pribabilmente AW-109, mortai e obici da 105 millimetri, veioli blindati V-150 e GKN FS-100 Simba e migliaia di soldati.
I vertici militari hanno disposto ieri i primi attacchi aerei per respingere i terroristi, mentre centinaia di civili hanno agitato drappi bianchi dalle proprie abitazioni per segnalare la loro presenza all’aviazione filippina. La Regione autonoma del Mindanao musulmano ha riferito che, a partire da sabato, 42.142 persone sono fuggite dalle loro case.
Circa 30.600 persone si trovano nei centri di evacuazione, mentre altre 11.500 hanno trovato rifugio dai parenti fuori Marawi. Circa 2.200 abitanti sono invece segnalati in città, intrappolati nei combattimenti.
Nel frattempo, i soldati hanno proseguito le operazioni porta a porta per stanare i jihadisti e le autorità hanno comunicato ieri il ritrovamento di 19 cadaveri nelle strade della città. Tra questi vi erano i corpi di otto civili, comprese tre donne e un bambino, giustiziati dai terroristi.
Dall’inizio delle ostilità sale così a 97 il numero delle vittime. Hanno perso la vita 19 civili, 13 soldati, quattro poliziotti e 61 membri del gruppo Maute e Abu Sayyaf. Tra questi ultimi, sei combattenti sono stranieri, indonesiani e malaysiani.
Le violenze a Marawi sono scoppiate lo scorso 23 maggio, quando l’esercito filippino ha tentato la cattura di Isnilon Hapilon, leader islamico estremista. Attaccati dalle forze governative, Hapilon e più di una dozzina dei suoi uomini hanno trovato il sostegno dei guerriglieri Maute e in circa 50 sono riusciti ad entrare nella città.
Hapilon è riuscito a scappare e i combattenti a lui fedeli hanno occupato alcune parti di Marawi, bruciando edifici, tra cui la cattedrale e facendo 14 ostaggi, compreso padre Teresito “Chito” Suganob. Le loro condizioni sono al momento sconosciute.
Nei giorni scorsi si è diffusa la notizia, non confermata, della liberazione del sacerdote. Una fonte di AsiaNews a Mindanao dichiara che “le notizie da Marawi sono molto confuse, ma la liberazione di padre Chito, conosciuto e rispettato dai musulmani locali, è credibile. Per quanto riguarda i tre impiegati della chiesa e i 10 fedeli, l’intenzione dei guerriglieri è quella di usarli come scudi umani e avere un maggior margine di trattativa con il governo”.
Hapilon, comandante dei guerriglieri di Abu Sayaaf, nel 2014 è stato nominato emiro dallo Stato islamico, quando ha giurato fedeltà ad al Baghdadi. I Maute sono uno dei nuovi gruppi armati filippini di stampo islamista che hanno sposato l’ideologia del Califfato siglando con altri gruppi nel sud delle Filippine un’alleanza, della quale si ritiene Hapilon sia il leader e promotore.
Le violenze hanno spinto il presidente Rodrigo Duterte a dichiarare la legge marziale per 60 giorni nel sud del Paese, dove da decenni è in corso una ribellione della minoranza musulmana, che rappresenta circa il 20% della popolazione filippina. Nei mesi scorsi il presidente aveva paventato la possibilità di imporre il provvedimento qualora i ribelli avessero tentato azioni violente.
L’amministrazione Duterte, da un lato cerca di condurre dei colloqui di pace con i ribelli islamici, dall’altro ha dato mandato all’esercito di distruggere la rete dei gruppi armati minori, legati allo Stato islamico. Di fronte alla decisione di Duterte, i gruppi di attivisti per i diritti civili e l’opposizione esprimono i propri timori che i poteri derivanti dalla legge marziale possano condurre il Paese verso una deriva autoritaristica.
Tuttavia, un’altra fonte di AsiaNews afferma: “I critici ritengono che queste violenze siano solo un pretesto, ma la maggioranza della popolazione sostiene la presa di posizione di Duterte. Nell’ultimo anno l’isola di Mandanao è diventata un luogo di addestramento per gli islamisti, filippini e stranieri, e gli abitanti sono molto spaventati. Crescono infatti gli episodi di intolleranza nei confronti dei cristiani, anche se il governo non ne parla”.
Ad aumentare le paure sono però le dichiarazioni del presidente, che lo scorso 28 ha affermato che ignorerà il parere della Corte Suprema e del Congresso, qualora non venisse accordato il prolungamento del periodo di legge marziale.
“Fino a quando le forze armate non dicono che le Filippine sono al sicuro, questa legge marziale continuerà. Non voglio ascoltare altri. I giudici della Corte Suprema, i congressisti, non sono qui”, ha detto Duterte in un discorso ai soldati.
La Costituzione del 1987 impone limiti alla legge marziale per impedire una ripetizione degli abusi effettuati sotto il regime del dittatore Ferdinand Marcos, deposto nel 1986 dalla rivoluzione di Edsa People Power.
La Costituzione richiede che il Congresso approvi la dichiarazione della legge marziale e limita la regola militare a 60 giorni. Se il presidente vuole estendere la durata della legge marziale, deve nuovamente ottenere l’approvazione del Congresso.
Guerra nelle Filippine. L'estremismo islamico avanza ma i media occidentali se la prendono con Duterte(di Giampiero Venturi)
30/05/17
http://www.difesaonline.it/geopolitica/ ... ccidentaliL'isola di Mindanao è per tradizione l’isola “diversa” della Repubblica delle Filippine e per evidenza il tallone d’Achille della sua stabilità. Grande un terzo dell’Italia e tra le dieci isole più popolose del mondo, è da decenni il covo del separatismo islamico e dell’opposizione alla supremazia cristiano-cattolica di Manila.
L’attacco all’unità del Paese e alle sue radici è più forte nella Regione Autonoma del Mindanao Musulmano, territorio speciale di 5 province a cui si aggiunge la città autonoma di Marawi. La storia dell’attrito è lunga ma le evoluzioni recenti meritano un’attenzione particolare.
La galassia delle milizie islamiche filippine ha ruotato fin dagli anni ‘70 intorno al Fronte di Liberazione Islamico Moro ma nell’ultimo ventennio è rimasta attratta dai metodi più spiccioli di Abu Sayyaf, milizia operativa dal ‘91 e intenzionata ad allargare la pressione islamista a tutto il Sudest asiatico.
L’arrivo nel 2013 del gruppo Maute (scissionista dal Fronte Islamico impegnato in colloqui col governo) e la sua scelta successiva di affiliarsi all'ISIS, ha ufficialmente trasformato la jihad filippina da focolaio locale a problema internazionale. Messo alle corde in Medio Oriente, lo Stato Islamico appare dunque ancora capace di proiettare fascino e rigenerare il progetto fondamentalista in altre parti del mondo, tra cui sembra spiccare proprio l’Asia.
Agli attacchi sistematici ma circoscritti contro le forze armate e la polizia, sono seguiti atti di vera e propria insorgenza militare sfociata il 23 maggio in guerra aperta.
500 miliziani islamisti hanno occupato Marawi, città di 200.000 abitanti, a cui è seguita la reazione dei militari di Manila.
A Mindanao lo schiermento di forze filippine è imponente: oltre alle 1a, 4a, 6a e 10a Divisione di fanteria dell’esercito (tutte impegnate contro la guerriglia separatista nell’isola) vanno considerate le forze speciali tra cui il 1° Reggimento, il Light Reaction Regiment e i Rangers, tutti derivazione della Delta Force USA e coordinati direttamente dal Comando Operazioni Speciali di Manila. A questi si aggiungono i ”seals” della marina filippina e il 710° Squadrone Operazioni Speciali delle forze aeree.
Lo sforzo è immenso e si è concretizzato negli ultimi giorni in un intervento accompagnato da bombardamenti aerei e da operazioni mirate condotte con elicotteri.
Le notizie che Reuters rimbalza in queste ore da quotidiani locali, parlano di recupero dell’80% della città da parte dei governativi grazie ad un’operazione di rastrellamento che ha portato alla luce esecuzioni di civili e violenze inenarrabili da parte dei miliziani islamici. Gli scontri sarebbero tuttavia ancora in corso.
Mindanao non è solo importante per l'unità della Repubblica delle Filippine ma è strategica per tutto il Sudest asiatico. La presenza di combattenti stranieri è già stata segnalata tra i miliziani integralisti filippini e l'insorgenza islamista appare in evidente progressione in tutta la regione: Malesia, Brunei, Indonesia (più grande paese islamico al mondo) Singapore, Tailandia sono interessati al fenomeno e rischiano di divenire parte di un dinamismo integralista continentale. Fondamentalismo e jihad hanno già trasformato il subcontinente indiano (Bangladesh), l’Asia centrale (Uzbekistan, Kirghizistan) e la Cina occidentale (Xinjiang) in serbatoi di reclutamento per il terrorismo internazionale islamico. L'apertura di ulteriori fronti potrebbe innescare una spirale incontrollabile, soprattutto alla luce del fatto che il Sudest asiatico è caratterizzato da un'enorme pressione demografica e da infiniti disagi sociali.
L'Islam radicale è un pericolo quindi per l'Asia sudorientale?
La risposta è sì, ma ovviamente in Occidente le preoccupazioni sono altre.
Anziché puntare i riflettori sulle esecuzioni di massa, sulle violenze e sulle prospettive legate all'avanzata islamista, i media occidentali preferiscono soffermarsi sulle pesanti dichiarazioni del presidente filippino Duterte e sui suoi metodi da sceriffo.
Dopo aver criticato la sua richiesta di prolungamento della Legge Marziale, necessaria per le operazioni di controguerriglia a Mindanao, i media (anche gli italiani, nessuno escluso) si sono soffermati sulle parole sessiste di Duterte, che in un discorso ai soldati avrebbe "incitato” allo stupro.
Nell’occhio del ciclone mediatico fin dal suo insediamento, a Duterte viene perfino imputata la guerra al traffico di droga, ambito nel quale ha ottenuto finora risultati macroscopici, seppur con metodi violenti. Amnesty e Human right Watch, rimbalzati da La Repubblica (4 marzo, nda), parlano senza mezzi termini di guerra finta, usata come scusa per uccidere i poveri e instaurare una dittatura.
Nemico del politically correct e noto per il suo stile bellicoso (leggi articolo) e indiscutibilmente provocatorio, Duterte non piace al bon ton politico dell’Occidente. Per quanto criticabile sotto molto aspetti, relativamente all’Islam radicale sta però fronteggiando da solo una sfida che riguarda l'Occidente più di quanto la geografia non dica. Le sue proposte di sforzo congiunto fatte ai separatisti non jihadisti e ai guerriglieri comunisti dell'NPA (nemico storico di Manila), lasciano spunti per più di una riflessione.
Mentre l’Asia estrema s’infiamma, l’unico contributo occidentale sembra essere per ora una campagna di scredito sistematico, la cui utilità pratica nel contesto del radicalismo islamico attuale appare quanto meno discutibile.