Kurdistan e dintorni

Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » mer ott 14, 2015 8:22 am

https://www.facebook.com/MagdiCristianoAllam?fref=ts

Cari amici, il bilancio della strage dei manifestanti curdi ad Ankara si aggrava di ora in ora.
Sono 128 i morti, 508 i feriti di cui 65 in gravi condizioni.
È la più sanguinosa strage terroristica della storia della Turchia.
A perpetrarla sarebbero stati due giovani terroristi suicidi, un uomo e una donna.


Il governo del presidente islamico Erdogan punta il dito contro i terroristi dello “Stato islamico” dell’Isis, di cui proprio lui è il principale sostenitore. In ogni caso l’Isis non ha rivendicato l’attentato.
Secondo i servizi segreti “l'attacco è nello stile di Suruc, tutti i segnali indicano che è una copia di quell'attacco. Quindi puntano all'Isis". Il 20 luglio a Suruc un kamikaze dell'Isis uccise 33 filo-curdi.
"Nessuno ha rivendicato le esplosioni", ha detto il premier Ahmet Davutoglu, "È l'episodio più doloroso della storia della repubblica, ci sono seri indizi della presenza sul luogo delle esplosioni di due attentatori suicidi. Negli ultimi tre giorni a Istanbul e Ankara sono stati arrestati diversi potenziali kamikaze”.

Ma il leader del partito filo-curdo Hdp, Selahattin Demirtas, accusa esplicitamente il regime di Erdogan: "Stiamo assistendo a un enorme massacro. È una continuazione di quelli di Diyarbakir e Suruc", rievocando l'attentato a un suo comizio nel capoluogo della regione curda del sud-est della Turchia in cui morirono 2 persone alla vigilia del voto del 7 giugno. Ed ha detto senza mezzi termini: "Siamo di fronte a uno Stato assassino che si è trasformato in una mafia”.

I cartelli innalzati dai manifestanti curdi ad Ankara e a Parigi non lasciano margini al dubbio: il mandante della strage è Erdogan, sia che a perpetrarla siano stati dei terroristi suicidi arruolati dall’Isis sia che siano direttamente al soldo del suo regime.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » lun ott 19, 2015 8:33 pm

Anca i curdi łi se fa ciapar da l'xlam sasin, pecà!

Immagine
https://www.filarveneto.eu/wp-content/u ... -sasin.jpg


Il double standard degli islamici d'Australia quando si tratta di censurare Wilders

Nella spinosa questione del fanatismo islamista che travaglia ormai anche la società australiana, la caratteristica più sonora dei leader della comunità musulmana è stata, sinora, il silenzio

di Mario Rimini | 14 Ottobre 2015

http://www.ilfoglio.it/esteri/2015/10/1 ... e_c337.htm

Nella spinosa questione del fanatismo islamista che travaglia ormai anche la societa' australiana, la caratteristica più sonora dei leader della comunità musulmana e' stata, sinora, il silenzio. Non che siano mancate loro le occasioni, le motivazioni, le circostanze per esprimersi. Tutt'altro.

Soltanto nell'ultimo anno, abbiamo avuto gli ostaggi del caffè Lindt nel centro di Sydney e l'esecuzione a sangue freddo di uno di loro da parte di Man Haron Monis, ufficialmente semi squilibrato, in realtà almeno semi sano, ex rifugiato iraniano fattosi islamista; i tanti adolescenti nati e cresciuti nel benessere di Sydney e Melbourne e partiti alla volta dell'Iraq e della Siria per arruolarsi nelle milizie del Califfo; Tarek Kamleh, il medico belloccio di Perth che compare regolarmente nei video propagandistici di Isis e proclama la sua militanza in favore dello Stato islamico invitando i colleghi a emulare la sua scelta; i numerosi raid delle forze dell'ordine nei sobborghi delle maggiori città australiane che hanno sventato attacchi terroristici imminenti.

Puntualmente, ognuno di questi avvenimenti è stato seguito da due processi paralleli e interdipendenti: da un lato, un collettivo processo di rimozione per cui poche, pochissime voci hanno osato sentenziare la certa appartenenza della parola Islam accanto alla parola "terrorismo", mentre la maggior parte dei media, della classe politica e dell'opinione pubblica si sono piuttosto preoccupati di ammonire i razzisti nostrani in malafede affinché non approfittassero delle circostanze per discriminare i musulmani d'Australia. E dall'altro lato, un'omertà che ha inghiottito il senso civico delle comunità islamiche ufficiali, che di norma si sono defilate, rilasciando raramente – e sotto pressione – soltanto qualche timida dichiarazione asciutta e vagamente moderata. Per poi richiudere alle loro spalle i cancelli delle moschee e dei centri culturali e degli uffici stampa e fare quello che fanno sempre per affrontare la crisi a loro interna: nulla.

Poi, però, e' arrivato il ragazzino del Jihad, Farhad Khalil Mohammed Jabar.
Poco meno di due settimane fa, questo imberbe curdo iracheno, nato in Iran e appena quindicenne, dopo la preghiera in moschea ha ammazzato a colpi di pistola un pover'uomo impiegato nella sede della polizia di Parramatta, secondo cuore finanziario e demografico dell'area metropolitana di Sydney. E non frequentava, Farhad, un'oscura madrassa nascosta nell'anonimato della periferia. Pregava invece proprio nella grande moschea del quartiere, una delle maggiori sul territorio australiano, dove la sua radicalizzazione e conversione all'islamismo militante e terrorista si sono sviluppate e sono culminate con le pallottole nel cranio di un innocente ragioniere. La sorella, poco prima, era partita per la Turchia, prima tappa di un viaggio verso la Siria del califfo.

Soltanto quest'ultimo episodio di violenza ha infine colmato la misura. L'assassinio a sangue freddo di un padre di famiglia impiegato della polizia poco prima che il turno di lavoro terminasse in un pomeriggio qualunque a Sydney ha finalmente aperto la bocca all'Imam della moschea di Parramatta, Neil El-Kadomi. E ha dichiarato, l'Imam, che nel sermone del venerdì avrebbe detto chiaro e tondo ai fedeli che l'Australia e' un bel posto e ci si vive bene in fondo, e che quindi le sue leggi vanno rispettate e chi non e' d'accordo - e ha usato qui, curiosamente, la classica espressione attribuita ai presunti xenofobi e razzisti australiani - e' libero "di tornare da dove e' venuto".

Meglio di niente. Ma certo ancor poco, considerando che quasi nulla ha invece detto il dottor Ibrahim Abu Mohammed, Gran Mufti d'Australia. Il quale si è rifiutato di qualificare l'attentato come "terrorismo", spingendo lo stesso Imam Kadomi a un rarissimo sfogo che mette in luce tensioni e divisioni all'interno dell'ermetica comunità islamica. In un breve scontro verbale – in arabo – al margine di un incontro al massimo livello tra l'Imam, il Gran Mufti e Mike Baird, Premier del New South Wales, i due rappresentanti musulmani si sono beccati per poi concludere intimandosi l'un l'altro di tacere. Il Gran Mufti, si mormora, simboleggia in parte il problema di una leadership che ha perso il contatto con la realtà dei fedeli, e soprattutto con le giovani generazioni. Per usare le parole esasperate di Kadomi, "non parla neanche l'inglese lui".

Poco e tardi, ancora, se si considera che le manifestazioni anti americane e contro "l'aggressione occidentale" nei confronti dell'Islam e la partecipazione dell'Australia alle campagne aeree in Iraq o in Siria mobilitano di solito almeno parecchie centinaia di persone appartenenti alle comunità islamiche locali. E spesso, con tanto di cartelloni che invocano la guerra santa e la decapitazione degli infedeli e tutto il repertorio ideologico del classico islamista militante. A Sydney, non molto tempo fa, erano persino comparsi bambini vestiti di nero come i piccoli martiri di Hamas a Gaza, con slogan che inneggiavano al martirio e all'esecuzione di chiunque non si pieghi alla verità del Corano.

Bene dunque per l'onestà tardiva dell'Imam, che poveraccio si è trovato per le mani il ferro incandescente della prova schiacciante – l'attentatore che apparteneva alla sua moschea. In cui, certo, qualcosa non funziona come dovrebbe. Male, purtroppo, la latitanza della vox populi dei musulmani d'Australia.

A questo proposito, risuona di uno iato improvviso la tempestiva, decisa, e stranamente dispositiva presa di posizione dei leader della comunità islamica libanese, che proprio in questi giorni hanno ufficialmente chiesto al governo australiano di cancellare il visto concesso – dopo anni di tentativi e di rifiuti – a Geert Wilders, il politico olandese erede di Fortuyn e della sua strenua profezia anti islamica. Il presidente dell'associazione islamica libanese, Samier Dandan, si è rivolto direttamente a Malcolm Turnbull, il primo ministro, chiedendogli di dichiarare Wilders persona non grata e paragonandolo al caso di un rapper americano, Chris Brown, cui l'Australia ha negato il visto di recente a causa dei suoi guai con la legge per violenza domestica. Insomma Wilders sarebbe l'equivalente di un marito violento che rischia di fuorviare il pubblico australiano, e di corromperlo. Nel caso specifico, la presenza del politico olandese nel paese rischierebbe, sostiene Dandan, di "indisporre" la comunità islamica australiana, quando invece ne abbiamo bisogno per arginare la radicalizzazione dei suoi membri.

Un tentativo poco felice e poco ortodosso di ingabbiare la libertà di espressione e il libero dibattito in una democrazia occidentale, da cui anche Wilders proviene e in cui ha pieno diritto di cittadinanza; ma anche un paradossale e alquanto ironico paragone con il rapper sotto accusa per aver picchiato la compagna. Perché si da il caso che soltanto lo scorso fine settimana, a Melbourne, nelle aule di una prestigiosa università, la Deakin University, si sia tenuta una conferenza organizzata da un gruppo salafista radicale il cui leader, un musulmano indiano messo al bando da svariati paesi come il Regno Unito e il Canada, predica la pena di morte per gli omosessuali, la lotta violenta contro i cristiani, l'antisemitismo estremo, l'apologia e anzi l'ammirazione per la persona e il messaggio di Bin Laden, e udite udite - la violenza contro le donne, le mogli, la cui sottomissione andrebbe assicurata anche con la forza.

Nessuno, tra i leader della comunità islamica, ha sollevato obiezioni ai visti concessi ai fondamentalisti. Nessuno ne ha parlato. E così gli islamisti hanno serenamente ottenuto il diritto di sbarrare la porta ai pochi giornalisti recatisi all'università per curiosare tra sermoni e sure. In nome dell'antirazzismo multiculturale.

Ma se la comunità islamica non parla, l'Australia, dal canto suo, non vuol sentire. La stampa rimane in maggioranza aggrappata all'imprimatur corretto e antirazzista per cui Wilders viene definito un politico "di estrema destra" ed e' soggetto a una regola ben chiara - non se ne parli. E se proprio si deve, se ne parli male. E' la stessa regola, ma al contrario, che viene applicata ai fondamentalisti Islamici: se proprio bisogna parlarne, si sprechino i caveat, per scongiurare l'accusa di razzismo. Un po' come il regime dei visti - spalancato per i salafisti apologeti del terrore, e arcignamente centellinato per Wilders, eretico e scomunicato dal culto antirazzista.


https://en.wikipedia.org/wiki/2015_Parramatta_shooting
On 2 October 2015, Farhad Khalil Mohammad Jabar, a 15-year-old boy, shot and killed Curtis Cheng, an unarmed police civilian finance worker, outside the New South Wales Police Force headquarters in Parramatta, Australia. Jabar was subsequently shot and killed by special constables who were protecting the police station.
Police Commissioner Andrew Scipione described the event as a politically motivated act of terrorism.

http://www.dailymail.co.uk/news/article ... ammad.html
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Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » dom gen 03, 2016 9:41 am

Turchia, serie raid militari uccidono centinaia di ribelli curdi
Andrey Stenin
02.01.2016

http://it.sputniknews.com/mondo/2016010 ... curdi.html

Lo ha riferito lo Stato Maggiore turco. L'operazione militare ha riguardato tre distretti lungo le province di Sirnak e Diyarbakir nella zona sud-orientale

Quasi 300 militanti del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) sono stati uccisi in Turchia durante una serie di raid militari. Lo ha riferito lo Stato Maggiore turco. L'operazione militare ha riguardato tre distretti lungo le province di Sirnak e Diyarbakir nella Turchia sud-orientale, zone dove la maggioranza della popolazione è curda.

L'esercito turco ha dichiarato di aver disinnescato decine di ordigni esplosivi improvvisati, di aver rimosso blocchi stradali eretti dai combattenti del PKK nei distretti di Cizre e Silope e di aver distrutto una scuola utilizzata presumibilmente dai militanti per la formazione.

Il gruppo PKK, fuorilegge in Turchia, sta lottando per l'indipendenza delle regioni curde nel sud-est. I ribelli curdi stanno cercando di creare uno stato sovrano nei territori appartenenti a Turchia, Iraq e Siria.
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Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » dom feb 14, 2016 8:19 am

Kurdistan turco: non disturbate il massacratore
Fabio Marcelli

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02 ... re/2454397

Notizie tragiche e inquietanti arrivano dal Kurdistan turco. In particolare dalla cittadina di Cizre, sottoposta a un assedio incessante e crudele da parte delle Forze armate turche. Un drammatico messaggio è giunto da una delle 40 persone asserragliate in una cantina del quartiere Sur della cittadina. Derya Koç, ex copresidente della locale sezione del partito democratico dei popoli (HDP) ha riferito che già venti persone sono state bruciate vive e che i venti sopravvissuti potrebbero uccisi da un momento all’altro. Due giorni nella zona sono stati uccisi circa sessanta civili con l’uso di armi chimiche.

L’azione militare in questione, che sta provocando numerose vittime fra i civili, si configura, per il suo carattere indiscriminato, come un crimine di guerra e contro l’umanità. Non è al momento possibile portare di fronte alla Corte penale internazionale gli autori e ideatori di tale crimine, dato che la Turchia si è ben guardata dal ratificare il trattato istitutivo della Corte e che le vittime sono di nazionalità turca. Forte della sua impunità e della connivenza dell’Occidente, in particolare degli Stati europei, il regime di Erdogan sta conducendo da mesi una feroce offensiva nella parte kurda del Paese. Un recente rapporto della un recente rapporto della Fondazione turca per i Diritti Umani (TIHV) ha accertato 224 vittime civili, fra i quali 42 bambini, nel periodo da agosto 2015 a febbraio 2016. La citata città di Cizre è la più colpita, con 114 vittime.

Ovviamente il regime turco si giustifica sostenendo che tutti coloro che sono stati uccisi, inclusi bambini in tenera età, sono “terroristi”. E’ peraltro evidente come il vero terrorista sia un regime che usa armi ad effetti indiscriminati nel tentativo di prosciugare l’acqua dove nuotano i pesci, vale a dire i guerriglieri delle forze di autodifesa kurda. Si tratta di una vera e propria ossessione per il governo di Ankara, il quale ha abbandonato ingiustificatamente i negoziati di pace con il Pkk in corso da anni e che avrebbero finalmente condotto turchi e kurdi all’agognata meta della pace.

Erdogan, preoccupato per il prestigio internazionale e il controllo territoriale conseguiti dai kurdi della Rojava, che hanno sconfitto l’Isis, sta facendo ricorso a ogni mezzo contenuto nel suo ben dotato arsenale repressivo pur di annientare la resistenza dei Kurdi e della sinistra turca. Giornalisti prestigiosi, come il direttore di Cumhuryet, uno dei principali quotidiani del Paese, rischiano l’ergastolo per avere denunciato le connivenze tra Erdogan e l’Isis. Nel Paese sono stati compiuti una serie di attentati dalla crescente distruttività, a Diyarbakir (di questo sono stato testimone oculare), Suruç, Ankara e da ultimo Istanbul. Le responsabilità di Erdogan a tale proposito, anche nell’ultimo degli attentati menzionati, che ha provocato la morte di vari turisti tedeschi, sono state evidenziate da Noam Chomsky, il quale, in una lettera al Guardian ha chiesto la fine della repressione contro i kurdi e l’invio nella zona di osservatori internazionali. Sono stati intimiditi e repressi anche gli accademici turchi che hanno chiesto la cessazione della repressione.

Quello che realmente scandalizza è però in ultima analisi l’atteggiamento dell’Unione europea, ribadito dalla solidarietà manifestata ad Erdogan dalla Merkel nella sua recente visita in Turchia.

???
Questa Europa, terrorizzata dall’afflusso dei profughi provocato dalle sue stesse politiche irresponsabili e in taluni casi criminali ???, delega al governo turco la gestione delle proprie frontiere e chiude entrambi gli occhi di fronte a violazioni gravissime. Come in casi analoghi, tra cui quello del generale Sisi che si è reso di recente colpevole dell’assassinio di un nostro valoroso concittadino, Giulio Regeni ???, torturato a morte al Cairo, questa Europa sotterra i principi che dovrebbero essere a suo fondamento civile e giuridico, come la tutela dei diritti umani, della pace e dello Stato di diritto. Un’Europa basata solo su meschini interessi di parte, pronta a estendere attestati di amicizia e stima a torturatori e massacratori e che, anche per questo, non sembra certa destinata a lunga e prospera vita.
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Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » gio mar 17, 2016 7:59 am

Washington invita Ancara a cessare i bombardamenti dei curdi, tuttavia Recep Erdogan non ha intenzione di darsi per vinto in quanto vede negli alleati USA la minaccia principale al suo regime.

http://it.sputniknews.com/mondo/2016021 ... rchia.html

16.02.2016

Il Frankfurter Rundschau scrive che la Turchia si sta concentrando sempre di più sulla minaccia curda, e adesso gli USA possono considerarla una alleato adeguato.

Nel corso dei recenti bombardamenti Ankara ha distrutto alcuni punti d'appoggio dei reparti popolari curdi di autodifesa vicini alla città siriana di Azaz, a otto chilometri dal confine turco. Gli USA hanno richiesto ancora una volta alla Turchia di porre fine all'aggressione dei suoi alleati, ma sullo sfondo dei successi dell'esercito siriano e la sua conquista di Aleppo, nonché il ruolo attivo della Russia, le paure del presidente Recep Erdogan crescono con una nuova forza e i bombardamenti stanno diventando sempre più crudeli — sottolinea l'autore dell'articolo.

Ultimamente, le attività militari nel nord della Siria sono state concentrate per la maggior parte nella città di Azaz, la quale si trova su una importante arteria strategica tra la Turchia e Aleppo. Dopo che l'esercito governativo è entrato ad Aleppo, i curdi hanno avuto la possibilità di avanzare verso Azaz e hanno riconquistato la base aerea di Minneh, che si trovava sotto il controllo dei guerriglieri di al-Nusra.

Il governo turco considera i successi dei reparti popolari di autodifesa come il primo passo sulla via della creazione di uno "pseudo-stato curdo" in prossimità delle proprie frontiere. Dato che i curdi compongono una significativa parte della popolazione della stessa Turchia, la situazione che si è venuta a creare minaccia seriamente Erdogan e il suo governo. Temendo per il regime esistente, la Turchia è pronta a concedere velocemente aiuto a quei gruppi come al-Nusra e considerare i curdi più malvagi del Daesh.

La politica dubbia di Ankara produce inoltre la posizione divergente della Turchia con i suoi alleati a Washington. L'ossessione di Erdogan alla lotta con i curdi mostra che nel conflitto in corso, la Turchia riconosce soltanto i propri obiettivi e interessi, e quindi, la Casa Bianca non può più contare su Ankara come un partner affidabile. E anche se gli Stati Uniti hanno ignorato la richiesta di fare una scelta formale tra curdi e turchi, Washington di fatto tende a favore del sostegno ai curdi.
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Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » gio mar 17, 2016 8:02 am

La Turchia e la questione curda - Osservatorio Balcani e Caucaso
16 marzo 2016

http://www.balcanicaucaso.org/aree/Turc ... rda-169059

Migliaia di morti, quartieri distrutti, 90mila profughi: questo il tragico bilancio dei combattimenti tra le forze di sicurezza turche e il PKK curdo dal luglio 2015. Uno scontro pericolosamente sconfinato anche nella vicina Siria.

È di nuovo scoppiato, in tutta la sua violenza, il conflitto tra lo Stato turco e i curdi di Turchia. Il Sud Est del Paese, regione a maggioranza curda, è sconvolto da scontri che hanno causato migliaia di morti, distrutto interi distretti di varie città e colpito duramente la popolazione civile.
I coprifuoco imposti dall’esercito nel corso delle operazioni contro i militanti del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) e i combattimenti, condotti anche con armi pesanti da guerra, hanno causato migliaia di vittime e isolato intere aree dall’approvvigionamento di cibo, acqua, elettricità, oltre all’accesso alla sanità. Si stima che 220 mila civili abbiano subito le conseguenze degli scontri, mentre sono oltre 90 mila quelli costretti ad abbandonare le proprie case.

Il conflitto turco-curdo ha origini antiche quanto la Repubblica stessa. I turchi sentono minacciata l’unità territoriale dello stato, i curdi temono per la loro stessa sopravvivenza e conducono una lotta in difesa dell’identità etnica, culturale e linguistica. Tuttavia, alla base del conflitto riesploso nel luglio 2015 si sono aggiunte nuove ragioni rispetto a quelle che hanno caratterizzato il XX secolo.

Nell’era kemalista e per tutto il XX secolo, la questione turco-curda si fonda essenzialmente sullo scontro etnico: il tentativo di assimilazione turco contro la resistenza identitaria curda. Con l’avvento al potere dell’islam politico all’elemento etnico, che pur continua ad avere un ruolo notevole, si affianca l’elemento ideologico.

Per il partito dell’attuale presidente turco – l’Akp, una formazione islamico conservatrice che ha sposato la tradizione liberista inaugurata negli anni Ottanta da Turgut Özal – l’elemento conflittuale non si trova solo nei confronti dei curdi in quanto tali, quanto piuttosto nell’ideologia anti-statale, collettivista e secolare del Pkk, oltre che in ragioni di opportunismo politico. A dimostrazione di ciò basta considerare due elementi: l’ampio consenso elettorale che l’Akp ha riscosso tra i curdi conservatori di Turchia e le buone relazioni diplomatiche con l’entità politica curda che si è affermata nell’Iraq settentrionale, la regione del Kurdistan iracheno di Mas’ud Barzani.

Per i primi 15 anni del nuovo millennio, pur tra difficoltà e violenze, si è assistito a un progressivo avvicinamento tra governo turco e militanti curdi, avvicinamento culminato con il processo di pace avviato nel 2012, quando Erdoğan annunciò pubblicamente negoziati col leader storico del Pkk, Abdullah Öcalan, in carcere dal 1999. I negoziati ebbero esito felice nel 2013 quando Öcalan si appellò ai curdi affinché abbandonassero la lotta armata in favore della ricerca di una soluzione politica. L’accordo prevedeva il ritiro delle milizie del Pkk dal territorio turco verso l’Iraq settentrionale, in cambio di modifiche costituzionali necessarie al riconoscimento formale dell’identità curda nella costituzione e alla tutela di diritti fondamentali, in particolare quelli legati all’uso della lingua.

Il processo non era però esente da difetti che, a lungo andare, ne avrebbero minato la stabilità fino al suo collasso. Non era inclusivo, ma gestito come un affare personale tra il governo e le rappresentanze curde, con i partiti d’opposizione Chp e Mhp esclusi dal tavolo. Inoltre, nessuna calendarizzazione ufficiale è stata stabilita, con il risultato che, dopo l’avvio del ritiro, si è assistito ad una reciproca, logorante attesa che ha rallentato il processo fino alla totale stagnazione e distrutto il precario clima di reciproca fiducia: mentre il Pkk attendeva che il governo promuovesse le riforme (mai avviate), il governo aspettava il completamento del ritiro (mai completato) e, nel frattempo, riaffermava militarmente il controllo sul territorio.

Erdoğan ha poi legato a doppio filo l’esito del processo a un’altra ambizione: la riforma costituzionale per trasformare la repubblica turca da parlamentare a presidenziale, per la quale i voti curdi in parlamento gli erano necessari.

Le elezioni del giugno 2015 hanno dato il colpo di grazia ad un processo che già stentava. Durante la campagna elettorale il partito filo-curdo Hdp, che per il suo ruolo di mediazione tra governo e Pkk stava raccogliendo consensi importanti, ha dichiarato che non avrebbe mai concesso ad Erdoğan il suo sogno presidenzialista. Per il leader dell’Akp, nel frattempo diventato presidente della Repubblica, questo ha significato un attacco personale. Il successo elettorale dell’Hdp ha poi privato il partito di governo di quella maggioranza assoluta di cui godeva fin dal 2003. Da allora Erdoğan, non trovando più alcuna convenienza nel continuare a sostenere il processo di pace, ha mutato radicalmente la propria retorica nei confronti della questione curda, improvvisamente divenuta inesistente, e dei gruppi curdi (Pkk e Hdp), passati nuovamente dall’essere interlocutori a terroristi nemici dello Stato.

Con lo scoppio aperto delle ostilità nel luglio 2015, i militanti vicini al Pkk hanno cominciato a creare nelle città aree dove tentare di escludere l’autorità statale in favore dell’autonomia locale e forme di autogoverno. L’esercito è intervenuto con operazioni che hanno devastato il tessuto urbano, mentre una serie di attentati sta trasferendo la lotta anche nell’occidente del Paese.

Un nuovo elemento si è poi affacciato sullo scenario: il fervore religioso, in parte dovuto alla «nuova Turchia» che l’Akp sta plasmando negli ultimi anni, in parte proveniente dal vicino conflitto siriano.

È soltanto attraverso l’enorme differenza ideologica tra Akp e Pkk che si spiega il diverso approccio di Ankara nei confronti dei curdi siriani rispetto ai ben più pacifici rapporti con i curdi iracheni. Il partito di Barzani, che governa il Kurdistan iracheno, è di stampo conservatore e legato alle vecchie dinamiche tribali di clan di cui il Pkk si è liberato decenni addietro. Il Pyd, che a partire dal luglio 2012 governa le tre regioni autonome che i curdi sono riusciti a ricavare dallo sfascio dello stato siriano, è invece affine al Pkk. Tra Barzani e Pyd, pur etnicamente accomunati, non corre buon sangue.

In più, i tre cantoni di Afrin, Rojava e Jazira sono la realizzazione concreta del progetto di confederalismo democratico teorizzato e promosso da Öcalan. Il loro successo è non solo uno schiaffo all’appoggio che la Turchia ha offerto ai ribelli sunniti contro Assad – moderati e radicali –, ma significa anche un rafforzamento di quello che oggi è tornato ad essere il nemico interno. Il collasso del processo di pace in Turchia è andato di pari passo con il successo dei curdi siriani: man mano che questi guadagnavano territorio e riconoscimento internazionale, il governo turco si è fatto irrequieto e ha avviato politiche ostili, sfruttando i collegamenti con i ribelli in Siria, che hanno adirato il Pkk in Turchia. Quando poi il tavolo è saltato dopo le elezioni di giugno, ecco che il conflitto è divenuto inevitabile.
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Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » gio mar 17, 2016 8:06 am

PRESIDIO A ROMA A FIANCO DEL POPOLO CURDO
Notizia scritta il 16/03/16

http://www.radiondadurto.org/2016/03/16 ... polo-curdo

L’Ue prosegue a far buon viso a cattivo gioco. alle violenze quotidiane del governo turco nei confrnti dellopposizione, in particolare quella curda, il vecchio continente continua a vedere nella Turchia l’avamposto ideale per barrciarsi e impedire gli arrivi di profughi e migranti.

Sulla questione migranti e le richieste turche, più soldi e visti più facili di ingresso per i cittadini turchi in Ue, ha preso parola oggi 16 marzo, alla vigilia dell’ennesimo vertice Ue sulla questione, il vicepresidente della Commissione Europea Frans Timmermans.

“La liberalizzazione dei visti resta soggetta a condizioni, non ci sono scorciatoie, la Turchia deve fare sforzi entro fine aprile per rispettare la scadenza di giugno” ha detto il vicecommissario Ue, sostenendo che l’accordo con la Turchia non produrrà “rimpatri a tappeto e respingimenti. L’accordo rispetterà il diritto Ue e la legge internazionale”.

Questo pomeriggio con lo slogan “No all’accordo UE-Turchia. La Turchia si boicotta, non si finanzia!” è stato indetto un presidio che si è tenuto in piazza delle 5 lune, vicino al Senato. Sentiamo Garip, dell’ufficio informazione Kurdistan in Italia. Ascolta o scarica

DI SEGUITO IL COMUNICATO DIFFUSO DALLA RETE KURDISTAN ITALIA

Il prossimo 17 e 18 marzo il Consiglio Europeo si riunirà nuovamente per decidere la sorte dei migranti, dopo il vertice avuto con la Turchia lo scorso 7 marzo. Tra le altre cose all’ordine del giorno ci sono:

-la ratifica dell’ulteriore finanziamento alla Turchia di 3 miliardi di euro come incentivo per impedire ai migranti di lasciare la Turchia e raggiungere i paesi europei attraverso la Grecia.
-la messa a punto di un piano di identificazione e schedatura dei migranti presso hot-spots situati nelle isole greche, gestiti congiuntamente dafunzionari greci e turchi.
-l’individuazione di procedure per l’espulsione dei migranti che non siano ritenuti idonei di ricevere protezione verso la Turchia entro 48 ore dal loro arrivo in Grecia.

Quello che si deciderà a Bruxelles sarà quindi il più grande piano di deportazione e concentramento mai concepito dalla fine della seconda guerra mondiale e l’ultima abiezione della politica del filo spinato che i governi d’Europa praticano da mesi, in spregio a qualsiasi principio umanitario e in barba agli stessi trattati europei.

La Turchia non può essere considerato un “paese sicuro” per i profughi, come ipocritamente dichiarano i governanti europeo. Il suo Governo non è in grado di garantire sicurezza e libertà neanche per i suoi cittadini: da mesi massacra la minoranza curda, incarcera e inquisisce giornalisti, magistrati, sindacalisti e docenti universitari.

L’Europa libera di Schengen, l’Europa dell’accoglienza e dei “buoni principi” è un simulacro dietro cui si nasconde il suo fondamento neoliberista: tutelare proprietà e benessere delle classi dominanti europee a discapito degli oppressi che, dentro e fuori i suoi confini, lottano per la loro sopravvivenza.Noi sappiamo che i soldi che l’Europa darà alla Turchia di Erdogan non serviranno ad aiutare i profughi, ma andranno a finanziare la guerra in Siria contro le forze di autodifesa delle Ypj e Ypg che da anni contrastano l’avanzata dell’Isis e la devastazione dei territori curdi del sud est turco, dove vige costantemente il coprifuoco.

Con il pretesto della “guerra al terrorismo”, la città di Cizre e il quartiere di Sur a Diyarbakir sono stati letteralmente rasi al suolo dalle forze di sicurezza turche, provocando centinaia di morti e migliaia di sfollati. Come accade da più di cento anni, il popolo curdo viene ancora una volta sacrificato in nome dei reciproci interessi di Europa e Turchia.

Noi chiediamo che i nostri soldi non vadano a finanziare la guerra che il governo di Erdogan sta portando avanti dentro e fuori i suoi confini contro la popolazione curda e deploriamo qualsiasi dichiarazione che lo stato turco ha fatto sull’ennesima strage ad Ankara additando il Pkk come il responsabile per giustificare una nuova offensiva militare nelle città del Kurdistan turco e in Siria contro le postazioni delle forze di autodifesa del popolo.

Mercoledi 16 marzo ore 15.30 a piazza delle 5 lune, vicino al Senato-Roma
– per ribadire il nostro no all’ennesimo finanziamento al governo assassino di Erdogan
– in solidarietà alla lotta e alla resistenza della popolazione curda in Siria e nel sud est della Turchia
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Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » gio mar 17, 2016 8:10 am

La scrittrice curda Bejan Matur: "Così Mizgin si è unita al Pkk"
Viviana Mazza

http://27esimaora.corriere.it/articolo/ ... ita-al-pkk

Bejan Matur ha deciso di raccontare cosa spinge i curdi a diventare combattenti del Pkk, perché è una storia che ha radici nella sua infanzia. La storia di una sua amica che si unì al Partito dei lavoratori del Kurdistan. “Si chiama Mizgin, che significa Buona Novella – racconta la scrittrice al Corriere della Sera -. È un’amica d’infanzia che non vedevo da 19 anni. L’ultima volta che ci eravamo viste, ad Ankara, era venuta a salutarmi perché partiva. Non sapevo dove stesse andando. Quando l’ho incontrata in un campo a Qandil per me è stata una sorpresa, lei invece sapeva che sarei venuta. Ci siamo parlate, ma abbiamo comunicato soprattutto con gli sguardi. A volte i silenzi riescono a raccontare tante cose in più. Non le ho chiesto perché fosse partita, le ho chiesto di tornare. Capire le ragioni che spingono a partire è il motivo per il quale ho scritto questo libro”.

Il libro si chiama Guardare Dietro la Montagna (Poiesis Editrice, tradotto da Giulia Ansaldo) e Bejan Matur lo ha presentato in Italia, mentre l’aviazione turca continua a bombardare i curdi del Pkk (ben più dei jihadisti dell’Isis). Amnesty International ha denunciato che 200mila persone sono a rischio nelle operazioni anti-Pkk. “Muoiono civili, donne, bambini - spiega Matur -. Con una violenza cieca perdiamo persone, molte di loro sono costrette a lasciare le proprie terre, ci sono corpi nelle strade, non viene data la possibilità di seppellire i propri cari. Viene meno anche la sacralità della morte. Si vuole far dimenticare che i curdi siano esseri umani. La nostra più grande preoccupazione al momento è che tutto questo si protragga fino a un punto di non ritorno. Non voglio credere che la speranza di pace sia persa per la Turchia”.

A gennaio, oltre duemila intellettuali hanno denunciato la campagna militare del governo di Erdogan contro gli insediamenti curdi nel sud-est del Paese. “Sostengo ciò che hanno fatto gli accademici – continua la scrittrice - ma firma o non firma, in questo momento siamo tutti sotto minaccia, viviamo un momento molto teso. Tutti noi, in ogni momento siamo a rischio di persecuzione”.

La storia di Kobane, la resistenza dei curdi contro l’avanzata dell’Isis nella cittadina al confine turco-siriano, ha portato maggiore consapevolezza sulla questione curda. “Ha fatto sì che smettesse di essere una questione locale. Allo stesso tempo ha complicato ulteriormente lo stato di cose. Ha inserito il problema in una nuova equazione. Le due parti che negli ultimi anni in Turchia avevano dialogato per la pace hanno ora deciso di protrarre il conflitto. Il motivo è il cambiamento degli equilibri dei curdi in Medio Oriente, e un secondo motivo, per quanto mi riguarda, è una profonda contraddizione ideologica tra Erdogan e il Pkk. La struttura laica e socialista del Pkk non si accorda con il conservativismo; forse il sogno di Erdogan sarebbe quello di instaurare la pace in un contesto curdo conservatore, perché non vedrebbe ciò come una minaccia alla propria ideologia; ma la realtà è ben altra. Se Erdogan avesse saputo superare questo conflitto ideologico sarebbe stato ricordato come il leader che ha condotto la pace ma purtroppo ha scelto il contrario”.

E’ un conflitto in cui le donne sono diventate un simbolo. “La società curda è una società tradizionale, in cui le donne sono oppresse ma in realtà si tratta di una società fortemente matriarcale. Nel momento in cui c’è stata l’occasione, hanno dimostrato di sapersi esprimere come individui anche al di fuori delle loro case. Se si vuole minare una società nel profondo sono le donne e i bambini che vengono presi di mira, anche in Kurdistan è avvenuto questo; a Sinjar sono state prese prigioniere e vendute come schiave del sesso, e le nostre donne e i nostri bambini sono ancora nelle mani dell’Isis. Questa situazione ha creato una ferita nei curdi di tutto il mondo. Quella di Kobane e di Sinjar non è stata solo una guerra per l’esistenza dei curdi ma anche una guerra per difendere l’onore dei curdi. A Kobane, ha combattuto un popolo unito la cui terra era occupata. Tutti hanno resistito dimostrando di saper agire come unità e ci sono riusciti”.

Per la scrittrice, la decisione del governo di Erdogan l’anno scorso di sospendere il dialogo con le fazioni più moderate del Pkk è stato un gravissimo errore. “E’ stato uno sbaglio perché i problemi possono risolversi solo parlando, facendosi la guerra si produce solo altro dolore, le richieste dei curdi sono richieste giuste. I curdi sono l’unico popolo che conta 40 milioni di persone senza avere uno Stato, se fossimo vissuti in Alaska non avremmo forse avuto questi problemi, ma viviamo in Medio Oriente, una luogo geografico che indirizza le politiche mondiali. In questo stato di cose la guerra appare la scelta più semplice, ma mettendo al primo posto la vita umana, credo che si debba preferire il dialogo. Noi curdi sogniamo la pace, i turchi sognano la pace. Ne abbiamo bisogno entrambi. Ed è una questione che riguarda il mondo intero, non è una questione solamente locale. Le persone che scappano dalle guerre del Medio Oriente affogano in mare. Le vite disperse dalle guerre vengono sbattute dalle onde sulle coste del Mediterraneo. Abbiamo tutti bisogno di pace e siamo tutti responsabili della pace”.

Ma un libro che cosa può cambiare? Può parlare alle coscienze, a volte anche delle persone più insospettabili. “Questo genere di conflitti si protrae con la disumanizzazione e la demonizzazione del nemico; è la lingua della propaganda politica che lo permette. Vogliono far dimenticare che ci sono persone dietro l’etichetta di nemico. Con questo libro ho cercato di offrire un altro punto di vista che passi dalla comprensione e dall’empatia. Quando si crea quest’empatia le persone non giudicano più nella stessa maniera. Un militare turco in pensione mi ha scritto dicendomi di essere stato in servizio per anni nelle regioni del sud-est, mi ha detto di aver sparato per anni contro quello che per lui non era altro che buio, pietre, animali, alberi… Mi ha detto che solo dopo aver letto questo libro si è reso conto che davanti a lui c’erano delle persone. E che queste persone cominciavano a entrare nei suoi sogni, parlava con loro. Per questo voleva che la lettura del libro fosse lenta, per continuare il dialogo. Dopo la lettura, a cambiare il proprio punto di vista sulla questione curda sono stati soprattutto nazionalisti, conservatori e kemalisti”.
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Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » gio mar 17, 2016 8:17 am

Siria, nasce il Kurdistan “federale”, primo passo della spartizione
Le altre due entità potrebbero essere quelle alawita e sunnita

https://www.lastampa.it/2016/03/16/este ... agina.html

Siria, nasce il Kurdistan “federale”, primo passo della spartizione

Le autorità curde del Rojava, il Kurdistan siriano, hanno annunciato il passaggio a “entità federale” della nuova Siria dei tre cantoni sotto il loro controllo. Il passaggio avverrà su decisione di una assemblea che riunirà le diverse rappresentanze politiche ed etniche della regione, in particolare curdi e arabi. La nascita della prima entità federale può essere il preludio di una nuova Siria, divisa fra curdi, alawiti e sunniti.

Rojava, occidente in lingua curda, comprende tre cantoni – Afrin, Kobane, Jazira – che occupano la striscia di terra settentrionale della Siria, lungo il confine con la Siria. Hanno una superficie di circa 25 mila chilometri quadrati e due milioni di abitanti. Sono sotto il controllo militare dei guerriglieri dello Ypg, vicino alla posizioni del Pkk, il movimento armato curdo in Turchia.

Per questo la nascita di un Kurdistan siriano, che potrebbe essere già annunciata domenica, allarma al massimo Ankara, impegnata a reprimere la guerriglia del Pkk appena oltre il confine e a bombardare le postazioni dello Ypg in Siria.

Oggi il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha di nuovo intimato alla Grande Assemblea Nazionale, il Parlamento monocamerale di Ankara, di revocare l’immunità ai deputati dell’Hdp, il filo-curdo Partito Democratico del Popolo: “Dobbiamo chiudere velocemente la questione dell’immunità”. L’Hdp, che alle ultime elezioni ha preso l’11 per cento dei voti, è accusato di essere complice del Pkk.


Ecco cos’è successo in Siria dal 2011: 5 anni di guerra spiegati in 2 minuti

15 marzo 2011

La Primavera araba arriva in Siria. Cominciano le grandi manifestazioni di massa contro Bashar al-Assad a Daraa, Hama, Homs

4 giugno

A Jisr al-Shugur, vicino al confine turco c’è il primo scontro armato. La polizia spara su un funerale, i ribelli assaltano la caserma. Comincia la rivolta armata. Il 29 giugno nasce il Free Syrian Army (Fsa) prima forza d’opposizione armata. In cinque anni la guerra civile farà 250 mila morti, 4,8 milioni di rifugiati all’estero, 6 milioni di sfollati interni

3 febbraio 2012

L’esercito lancia una massiccia offensiva contro i ribelli a Homs e Idlib e riprende le città. La foto di bambini uccisi stesi su un telo rosso fa il giro del mondo

12 aprile

Con la mediazione Onu di Kofi Annan si arriva a una tregua. Ma a luglio riprendono i combattimenti: le battaglie maggiori sono ad Aleppo, nei sobborghi di Damasco

5 marzo 2013

Le formazioni islamiste diventano sempre più potenti. Al-Nusra, branca di Al Qaeda, conquista Raqqa e ne fa la sua capitale. A gennaio 2014 viene sostituita dall’Isis, formato da ex qaedisti ancora più estremisti

21 agosto

Attacco chimico a Goutha, nei sobborghi di Damasco, muoiono 1300 persone. L’Onu chiede alla Siria di smantellare il suo arsenale

4 marzo 2014

Con l’aiuto dell’Hezbollah libanese l’esercito siriano riprende il controllo del confine con il Libano, sul Mont Qalamoun. Il 3 giugno Assad viene rieletto presidente con l’88 per cento dei voti

29 giugno

L’Isis conquista Mosul in Iraq e dichiara la rinascita del Califfato, controlla un terzo della Siria e dell’Iraq. Il 19 agosto il giornalista americano James Foley, ostaggio degli islamisti, viene decapitato

23 settembre

Cominciano i raid americani contro l’Isis in Siria. Il 3 ottobre l’Isis lancia l’offensiva contro la città curda di Kobani. Verrà sconfitto nel gennaio 2015

24 marzo 2015

L’altra forza islamista, Al-Nusra, conquista tutta la provincia di Idlib. A maggio l’Isis avanza verso Ovest, prende Palmira e controlla quasi mezza Siria

30 settembre

Assad è assediato nella capitale Damasco e controlla solo il 20% del territorio. Intervengono i russi con oltre 100 cacciabombardieri. I ribelli, islamisti e no, sono respinti a Lattakia, sobborghi di Damasco, Aleppo

27 febbraio 2016

La lunga mediazione dell’inviato speciale dell’Onu Staffan de Mistura ha successo: comincia la prima vera tregua in cinque anni. A Ginevra, il 14 marzo, riprendono i colloqui di pace fra governo e opposizione. Putin annuncia il ritiro parziale delle forze russe.

Di Giordano Stabile, Ugo Leo, Elena Masuelli
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Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » gio mar 17, 2016 9:16 am

Turchia, un Paese in guerra dentro e fuori
di Alberto Negri - 13 marzo 2016

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/20 ... d=ACCnUUnC

La chiamano strategia della tensione, altri indicano i soliti sospetti, il Pkk curdo e l'Isis, ma c'è sempre una certezza negli attentati in Turchia: quasi mai si capisce chi sono i veri colpevoli e quasi mai le spiegazioni delle autorità sono convincenti. Non che questo accada soltanto in Turchia: la storia dell'Italia degli anni'70-80 è costellata di stragi lasciate senza una risposta.

In Turchia la verità del momento spesso coincide con una verità di comodo. Il problema è che la Turchia è un Paese in guerra dentro e fuori: la questione curda dura da oltre tre decenni, a questa si è aggiunto il conflitto in Siria, dove Ankara è diventata l'avamposto dei jihadisti che volevano abbattere il regime di Bashar Assad, e l'afflusso di 2,5 milioni di profughi ha complicato la situazione: l'Europa se ne vuole sbarazzare pagando Erdogan in euro e visti ma sarà costretta in ogni caso a fare i conti con la destabilizzazione della Turchia.

Se i curdi siriani hanno successo, con l'appoggio anche di Mosca, possono cambiare i rapporti di forza ai confini di un Paese membro della Nato. È una guerra dentro la guerra siriana e per ora senza soluzione, nonostante un cessate il fuoco comunque sempre labile. I negoziati sulla Siria che riprendono a Ginevra non porteranno ad alcuna soluzione, fino a quando almeno non cadranno le roccaforti dell'Isis a Raqqa e Mosul in Iraq.

Soltanto la consueta faciloneria degli europei del Nord può indurre a pensare che la Turchia sia la soluzione e non il problema. Ankara fa parte del problema mediorientale e dopo l'intervento della Russia a fianco di Assad è un Paese sul piede di guerra, ipersensibile a quanto accade alle frontiere, avviluppata dall'incubo che possa costituirsi uno Stato o una regione autonoma curda.

Ma questo non assolve il presidente Tayyip Erdogan e la sua politica, incoraggiata per altro a lungo proprio dalla signora Hillary Clinton, ex segretario di Stato e ora in campagna elettorale, e dagli altri Stati europei come la Francia. La Turchia sta pagando i calcoli sbagliati della sua leadership: aveva puntato sulla caduta di Bashar Assad a Damasco e con l'assenso anche delle potenze occidentali ha favorito il passaggio di migliaia di jihadisti.

Non solo: l'”autostrada della jihad” si è chiusa con l'ingresso in campo di Mosca il 30 settembre scorso, ma adesso i jihadisti e i gruppi di opposizione hanno perso la battaglia di Aleppo e ripercorrono in senso contrario la rotta della guerriglia mescolandosi ai profughi che fuggono in Turchia. È per questo che la Turchia e l'Arabia Saudita si stanno mobilitando: rischiano un'altra sconfitta per il fronte sunnita anti-Assad e un ulteriore rafforzamento dell'influenza iraniana nella regione.

Ma la Turchia paga soprattutto una questione nazionale non risolta, le cui radici certamente non dipendono da Erdogan, il quale che dopo avere concluso un accordo con Ocalan ha preferito poi imboccare la strada della repressione violenta, favorito anche dalle decisioni spericolate del Pkk che ha messo in difficoltà il partito curdo Hdp di Salahettin Demirtas. La pacificazione, come dimostrano le distruzioni di Cizre, Silvan e del quartiere di Sur a Diyarbakir, è ancora molto lontana. La crisi curda è un'emergenza cronica che serve a Erdogan per giustificare il pugno di ferro, come un tempo serviva ai generali kemalisti per restare in sella.

E soprattutto è ancora utile a coprire la protezione fornita ai jihadisti in questi anni, le complicità con i gruppi salafiti, finanziati dai sauditi e dalla monarchie del Golfo. Questo è il motivo di fondo per cui sapere la verità dei fatti in questo intreccio è assai complicato. Ma chi semina grandine raccoglie tempesta, anche se poi pagano gli innocenti a una fermata di un autobus: banale, ma è proprio questa la banalità del male contemporaneo e di un terrorismo feroce.
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