Libano, l'invasione nazi-maomettana e Israele

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Messaggioda Berto » mer mag 09, 2018 12:53 pm

Libano, l'invasione nazi-maomettana e Israele
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Liban
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Messaggioda Berto » mer mag 09, 2018 12:54 pm

Nella storia dove è arrivato l'Islam è poi sempre avvenuta la guerra civile e religiosa e lo sterminio di tutti i diversamente religiosi e pensanti
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Libano, l'invasione nazi-maomettana e Israele

Messaggioda Berto » mer mag 09, 2018 12:55 pm

Libano
https://it.wikipedia.org/wiki/Libano
Mentre un tempo i cristiani costituivano la maggioranza, attualmente, secondo le stime del governo statunitense, i musulmani, dopo la migrazione dei palestinesi, dal 1948 in poi, sono all'incirca il 60% della popolazione libanese. Alcuni drusi focalizzano la loro identità in senso lato, dissociandosi dall'essere accomunati classicamente con i musulmani. Alcuni cristiani maroniti, in particolare quelli provenienti dal Monte Libano non si identificano come arabi, ma come semiti etnicamente discendenti dai fenici e dalla mescolanza di popoli che vivevano in Siria e in Libano prima dell'arrivo degli stessi arabi (principalmente popolazioni di lingua siriaca e bizantini). Successivamente i maroniti si sarebbero mescolati anche con i crociati. Numerosi storici hanno tuttavia contestato o criticato queste tesi. È da sottolineare che, secondo alcune opinioni attuali, è considerato arabo qualsiasi persona avente la lingua araba come lingua madre, a prescindere dai riferimenti genealogici. L'1% dei libanesi è di origine curda.
Sinagoga a Deir al-Qamar risalente al 600 d.C.
Esiste anche una comunità ebraica libanese composta attualmente da circa 100 individui; la maggior parte degli ebrei libanesi ha infatti scelto di lasciare il paese a causa della guerra civile. Dal gennaio 2009 è stato istituito il sito ufficiale della comunità ebraica libanese che va ad affiancare il blog di discussione nato nel 2006.

La lingua ufficiale è l'arabo standard moderno. L'arabo parlato correntemente dalla popolazione differisce dall'arabo standard utilizzato nella forma scritta e per alcuni costituisce addirittura una lingua "neo-araba" o persino una lingua semitica a sé stante.

Una guerra civile è stata combattuta nel paese tra il 1975 ed il 1990, che ha visto numerosi contendenti e frequenti capovolgimenti di alleanze. A fronteggiarsi furono da una parte le milizie composte da cristiani maroniti – delle quali la principale faceva riferimento al partito falangista di Pierre Gemayel – e dall'altra una coalizione di palestinesi alleati a libanesi musulmani sunniti, sciiti (Amal) e drusi.Nel 1976 la guerra stava volgendo a favore degli stessi cristiani maroniti, quando la Lega Araba, dopo l'accordo di Riyāḍ del 21 ottobre 1976, autorizzò l'intervento di una Forza Araba di Dissuasione (FAD) a maggioranza siriana, che riuscì a riportare con la forza una provvisoria e fragile pace nella nazione.
La "linea verde" che divideva Beirut tra la zona est (cristiana) e quella ovest (musulmana)
Il 14 marzo 1978 Israele lanciò l'Operazione Litani, occupando l'area a sud del paese, eccetto Tiro, con più di 25.000 soldati. Gli obiettivi fissati erano di spingere i gruppi militanti palestinesi, in particolare l'OLP, lontano dal confine con Israele. Fu creata allora la Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite (UNIFIL) per rafforzare il mandato e riportare pace e sovranità al Libano.

http://www.misteriditalia.it/terrorismo ... Libano.pdf

http://www.oasiscenter.eu/it/articoli/l ... ondo-arabo



Il Libano un caso unico nel mondo arabo
Samir-Khalil Samir | domenica 4 ottobre 2009

La situazione del Libano è assai diversa da quella di tutto il resto del mondo arabo: è l'unico dei 22 paesi arabi (???) a non essere "musulmano", bensì una realtà "bi-religiosa". Caratteristica propria del Paese è, infatti, che tutto il sistema è costruito su due comunità, l'una musulmana e l'altra cristiana, ciascuna a sua volta composta da sotto-comunità.
Le due vivono in una condizione di parità che si manifesta, per esempio, nel Parlamento: in esso siedono 64 cristiani e 64 musulmani. O ancora nella divisione dei compiti e ruoli di potere. Il Presidente della Repubblica è cristiano del sotto-gruppo cattolico-maronita, il Primo Ministro è musulmano sunnita e il Presidente del Parlamento è musulmano sciita.
In genere in tutti gli uffici statali si cerca un equilibrio nel numero degli impiegati di alto livello cristiani e musulmani, anche se la cosa diventa sempre più difficile visto l'aumentare del numero dei musulmani (ormai il 60-65% della popolazione) e il diminuire dei cristiani (circa il 35-40 %).
Tutto ciò è molto rilevante perché significa che i musulmani libanesi - per quanto siano la maggioranza e lo stiano diventando in modo sempre più massiccio - ritengono importante per la loro vita mantenere l'equilibrio islamo-cristiano, anche contro una stretta logica delle proporzioni nella rappresentanza che sarebbe sfavorevole alla minoranza dei cristiani.
Non si può sapere fino a quando questa situazione durerà, ma per il momento l'esperienza libanese sotto questo profilo è positiva e lo resterà finché non prevarranno forme di confessionalismo.
D'altra parte non abbiamo in Oriente un sistema che possa dirsi perfetto. Non è possibile adottare e traslocare in Oriente sistemi validi per l'Occidente, tipo il sistema statale per cui i cittadini sono anonimi e tutti uguali o un sistema tipo quello francese o americano. Non avrebbe senso né fondamento, perché questi presuppongono un forte e quasi esclusivo riferimento allo Stato che viene prima di tutto, mentre in Libano il primo punto di riferimento è la propria appartenenza religiosa, in secondo luogo lo Stato.
Il fondamentalismo scatta invece là dove la religione diventa il primo, unico e ultimo riferimento.
Grazie a questo tipo di organizzazione, in Libano il problema della libertà religiosa in parte è risolto o "prevenuto".
Un esempio della storia recente aiuta a capire come. Tre o quattro anni fa, per caso, presso gli uffici del Ministero degli Interni si scoprì un documento, già pronto per essere firmato, che prevedeva l'inserimento del Libano in un progetto del Sisco (associazione islamica che corrisponde all'incirca all'Unesco) di promozione di programmi islamici nelle scuole. È stato subito bloccato. Tutti i giornali cristiani reagirono ribadendo il principio di libertà che ha sempre qualificato il Libano anche in campo religioso.
L'esempio spiega che anche quando qualcuno prova a modificare l'attuale situazione, vince il principio dell'equilibrio e della parità nella rappresentanza e nei trattamenti nei confronti delle diverse comunità religiose.
In Libano tu puoi suonare le campane della chiesa come vuoi, così come un altro può chiamare alla preghiera in moschea come vuole, libertà che non si conosce negli altri paesi dove tutto è controllato e misurato.
Un altro esempio viene dal mondo universitario: in Libano puoi studiare in un'università cristiana, cosa che non accade in nessuno dei 22 paesi arabi. Vige il principio della parità intesa in questo senso: se vuoi avviare un'università cattolica o ortodossa, lo puoi fare, ma deve aprire anche una musulmana (o viceversa). Quando i monaci Antonini manifestarono la richiesta di costruire un'università, il permesso gli fu accordato, ma dovettero aspettare che da parte musulmana ci fosse una simile richiesta. Così se ne costruirono due nuove.
Agli altri paesi musulmani un Libano siffatto può insegnare che la presenza cristiana è un "di più" per il mondo arabo-musulmano.
Anche se l'espressione può apparire semplicistica, la presenza dei cristiani, che sono per una certa predisposizione più aperti e vicini all'Occidente, essendo quest'ultimo di matrice cristiana, può aiutare il Paese a essere aperto tanto a comprendere l'Oriente quando l'Occidente.
L'esperienza del Libano può mostrare al Medio Oriente che la libertà religiosa - e, in senso più ampio, la dimensione religiosa -, che non coincide con il fanatismo, non costituiscono un freno per la società, ma uno stimolo continuo; non è un pericolo per la laicità, ma una ricchezza da condividere. Perché là dove ci sono opinioni e giudizi diversi che si confrontano, è più concreta e fondata la possibilità di una critica reciproca che fa crescere e tendere al meglio.
In Libano lo vediamo anche rispetto ai problemi legati ai valori fondamentali della vita, della bioetica, per esempio, e sui problemi etici in generale.
Il freno può essere invece rappresentato da un certo modo di vivere le tradizioni che limitano questa libertà. Per esempio nel campo dei matrimoni tra persone di fede diversa. La legge non li rende impossibili, ma le tradizioni consolidate li rendono difficili da gestire, soprattutto in vista dell'educazione dei figli, del loro eventuale battesimo, dei rapporti tra parenti vicini, ecc.
Sia in ambienti cattolici che sunniti o sciiti, le tradizioni e le consuetudini antiche in qualche modo azzoppano la libertà religiosa.
Alla luce di tutto questo il Libano resta una realtà da conoscere, un modello da considerare anche come esempio cui ispirarsi altrove soprattutto in Medio Oriente e da difendere da chi lo vuol snaturare.
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Messaggioda Berto » mer mag 09, 2018 12:56 pm

???

Cristiani e musulmani: la sfida del dialogo
LIBANO Settembre - 2007Anna Pozzi
Faccia a faccia con due leader islamici
Uno è sunnita, l'altro sciita: entrambi sono particolarmente rappresentativi delle loro comunità. E sorprendentemente molto vicini su alcuni temi cruciali dell'incontro islamo-cristiano.
http://www.rivistamissioniconsolata.it/ ... hp?id=2493
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Messaggioda Berto » mer mag 09, 2018 12:56 pm

L'eterna emergenza dei profughi palestinesi in Libano
Nicola Lofoco
19/04/2016

http://www.huffingtonpost.it/nicola-lof ... 94004.html

Nella grande emergenza profughi che ormai sta letteralmente esplodendo in tutta Europa ci si è ormai dimenticati che vi sono state nazioni che per tantissimo tempo hanno vissuto sulla propria pelle l'eterna emergenza di chi è stato costretto ad allontanarsi dalla propria casa e ad abbandonare la sua terra per sfuggire ad una morte certa. Uno dei casi più emblematici riguarda il Libano, che negli ultimi anni ha dovuto accogliere tantissimi siriani ed iracheni, ma che da tanto tempo ospita circa 400.000 palestinesi dislocati in 12 campi allestiti , nella maggior parte dei casi, in condizioni di bassa sicurezza per gli abitanti ed in precarie condizioni igienico-sanitarie.

Tra questi va ricordato il campo di Chatila, che nel 1982 insieme a quello ormai scomparso di Sabra fu orrendo teatro di morte e terrore per una strage che costò la vita ad oltre 3000 persone. Responsabili degli orrori di quell'eccidio furono i miliziani della Falange maronita libanese a cui si aggiunsero, successivamente, anche le accuse verso l'allora ministro della difesa israeliano Ariel Sharon, che fu accusato inizialmente anche da Israele stesso (con la commissione Kahan) sino ad arrivare nel 2001 alla richiesta da parte di un tribunale belga di poterlo processare. Sabra ormai non esiste più, mentre Chatila è diventato un quartiere periferico di Beirut dove si può entrare liberamente, al contrario degli altri villaggi dove è necessario avere un preciso permesso per poterci mettere piede. Uno dei campi che invece versava in buone condizioni, soprattutto edili, era quello di Nahr El Bared.

Nel 2006 la cellula salafita "Fatah Al Islam", vicina ad al-Qaeda, era riuscita ad introdursi nel campo per sfuggire alla caccia dell'esercito nazionale libanese. Una volta individuati nacque un violentissimo scontro armato che semidistrusse l'intero campo. Tra il 2003 ed il 2004 altre cellule qaediste avevano già tentato di infiltrarsi anche in tutti gli altri campi. Ma in quel momento i pericolosi tentativi dell'organizzazione terroristica capeggiata in quegli anni da Osama Bin Laden erano sfumati grazie alla politica del primo ministro Rafik Hariri, che aveva stretto un accordo con tutti i capi dei campi affinché tutti gli appartenenti ad Al Qaeda che cercavano da loro riparo, mimetizzandosi tra i profughi, fossero denunciati. Questa politica aveva fatto sì che per molti anni i campi restassero letteralmente "puliti" da ogni tipo di infiltrazione terroristica. Situazione che è totalmente cambiata dopo lo scoppio della guerra civile siriana, in cui l'Isis ha sostituito Al Qaeda nella minaccia globale. Controllare ora in maniera capillare i tanti profughi siriani che si sono riversai nei campi palestinesi è diventato molto difficile.

Tutto questo non ha fatto altro che rendere ancora più grave la situazione complessiva di tutti e 12 i campi. Il vero problema è che verso la questione palestinese vi sono stati oltre 60 anni di cecità totale da parte di tutti i governi che si sono succeduti in Libano. I palestinesi non hanno mai avuto accesso a molte professioni, a differenza di quello che era stato in Siria o in Giordania dove in molti avevano anche ottenuto la cittadinanza. In Libano questo è sempre stato proibito perché i profughi palestinesi sono circa 400.000, tutti musulmani sunniti.

Se venisse data loro la possibilità di votare sbilancerebbero il rapporto di equilibrio tra le varie religioni previsto dal sistema politico libanese con forti ricadute sulla composizione dei seggi elettorali. La loro drammatica situazione è quindi da sempre in balia della piena strumentalizzazione politica. Per questo sarebbe anche il caso di non dimenticare una tragedia che dura ormai da troppi anni, stimolando in tal senso il governo libanese. Risolvere l'eterna emergenza profughi in Libano e, più in generale, tornare a cercare meticolosamente una soluzione al conflitto israelo-palestinese (del quale ormai si parla pochissimo) potrebbe essere un efficace "olio santo" contro tutte le guerre che stanno letteralmente sbranando ancora oggi il Medio Oriente. Non dimentichiamolo mai.
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Messaggioda Berto » mer mag 09, 2018 12:57 pm

In Libano, i cristiani sono sotto la minaccia islamista
di Shadi Khalloul
3 maggio 2016

http://it.gatestoneinstitute.org/7972/l ... -islamisti

Pezzo in lingua originale inglese: Lebanon, Christians, Under Islamist Threat
Traduzioni di Angelita La Spada

I gruppi jihadisti minacciano i cristiani libanesi e chiedono che essi si sottomettano all'Islam. I cristiani del Libano, che discendono dagli aramei siriaci, appena un secolo fa costituivano la maggioranza del paese.

Saad Hariri, un politico musulmano sunnita appoggiato dall'Arabia Saudita, ha invitato nel suo ufficio tutti i partiti libanesi per firmare un documento che conferma che il Libano è uno Stato arabo. Questo mira chiaramente a trasformare il Libano in un altro Stato arabo musulmano.

Il passo successivo sarà quello di chiedere che la Costituzione del Libano venga modificata in modo che il paese sia governato dalla legge islamica della Sharia, come molti altri paesi arabi e islamici, compresa l'Autorità palestinese (Ap). La Costituzione dell'Ap dichiara: "I principi della Sharia islamica sono la fonte principale della legislazione".

A causa dei recenti disordini in Libano le comunità locali cristiane temono per la loro esistenza di eredi e discendenti dei primi cristiani. I cristiani del Medio Oriente oggi si trovano a dover affrontare un genocidio di vaste proporzioni, simile al genocidio cristiano compiuto dopo la conquista islamica del Medio Oriente avvenuta nel VII secolo d.C.

I gruppi jihadisti minacciano i cristiani libanesi e chiedono che essi si sottomettano all'Islam. I cristiani del Libano, che discendono dagli aramei siriaci, appena un secolo fa costituivano la maggioranza del paese.

La conversione all'Islam dei cristiani è quanto preteso dall'Isis e da altri gruppi islamici che si nascondono nella regione montuosa al confine tra Siria e Libano.

Saad Hariri, un politico musulmano sunnita appoggiato dall'Arabia Saudita e figlio del premier assassinato Rafik Hariri, ha di recente invitato nel suo ufficio tutti i partiti libanesi per firmare un documento che conferma che il Libano è uno Stato arabo. E Stato arabo è sinonimo di leggi islamiche, come per tutti i membri della Lega araba. Perché è così importante per Hariri o per il mondo sunnita e islamico includere il Libano tra gli stati arabi e cancellare il suo nome attuale di Stato libanese?

E perché gli Stati arabi, tra cui l'Autorità palestinese, rifiutano di riconoscere Israele – dove gli ebrei costituiscono l'80 per cento della popolazione – come Stato ebraico, cercando però di far sì che il Libano – con il 35 per cento della popolazione cristiana – venga definito ufficialmente uno Stato arabo?

Circa un milione di maroniti siriaci hanno lasciato il Libano così come altri 700.000 cristiani appartenenti ad altre chiese. Inoltre, più di otto milioni di maroniti siriaci vivono nella diaspora. Questi otto milioni di cristiani sono fuggiti nel corso dei secoli a causa delle persecuzioni da parte dei musulmani, spesso conquistatori delle terre cristiane. Il Libano non è mai stato prettamente arabo o musulmano. Ma questo è il passo che vorrebbe farci compiere Saad Hariri, volto più mite dell'ideologia espansionista dell'Isis, camuffata da moderato e moderno fronte laico sunnita.

Saad Hariri, un politico musulmano sunnita appoggiato dall'Arabia Saudita, ha invitato di recente nel suo ufficio tutti i partiti libanesi per firmare un documento che conferma che il Libano è uno Stato arabo. Nella foto sopra: Saad Hariri (a destra) con il defunto sovrano saudita Abdullah (a sinistra), nel 2014.

La richiesta di Hariri rivela ciò che il mondo islamico sta progettando per il Libano, Israele, e alla fine per l'Europa e gli Stati Uniti. Le potenze mondiali hanno bisogno di proteggere i cristiani, gli ebrei e le altre minoranze in Medio Oriente. Il Libano e Israele devono continuare a essere la patria delle minoranze perseguitate: una patria cristiana in Libano e una ebraica in Israele – due paesi che sono collegati tra loro geograficamente, che si prestano reciproca assistenza economica e presto forse firmeranno un accordo di pace che potrebbe creare un ponte nell'ambito della cultura e dei diritti umani tra Occidente e Oriente.

Bashir Gemayel, il grande leader libanese cristiano-maronita che fu assassinato dopo essere stato eletto presidente nel 1982, aveva avvisato l'Occidente durante la guerra civile libanese che se le forze islamiche in lotta contro i cristiani avessero vinto avrebbero continuato a combattere contro il mondo occidentale, come di fatto stanno facendo attualmente.

Questo accordo per uno Stato libanese arabo come richiesto dalla leadership saudita è finalizzato a trasformare il Libano in un altro Stato arabo musulmano. Il suo scopo è quello di negare i diritti della popolazione autoctona, esattamente come è accaduto ai cristiani copti d'Egitto e a quelli aramei siriaci. In Libano, la popolazione originaria del paese è costituita dai cristiani aramei-fenici – soprattutto i maroniti – che ancora preservano il siriaco (la lingua parlata da Gesù) come loro lingua sacra. Il 95 per cento dei villaggi libanesi sono ancora chiamati con i loro nomi siro-aramei. L'Islam e la lingua araba sono arrivati tardi in Libano dalla Penisola arabica, dopo il VII secolo.

Hariri potrebbe anche avere l'appoggio di Hezbollah, il partito musulmano sciita: sunniti e sciiti sono entrambi islamici. Il passo successivo sarà quello di chiedere che la Costituzione del Libano sia modificata in modo tale che il Paese dei Cedri sia governato dalla legge della Sharia, come molti altri paesi islamici, compresa l'Autorità palestinese. L'art.4 della Costituzione del futuro Stato palestinese dichiara espressamente: "I principi della Sharia islamica sono la fonte principale della legislazione".

Applicare la legge islamica della Sharia significa avere la sovranità musulmana e il controllo sulla comunità cristiana aramea.

Se questa ideologia islamica, attuata da così tanti paesi, non è razzismo, allora che cosa è il razzismo?

Perché il mondo libero, comprese le chiese e i leader occidentali laici, tace e demonizza solo Israele ebraico per proteggersi dalla stessa minaccia e ideologia?

"Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi." I cristiani del Libano e di tutto il Medio Oriente possono salvarsi solo se interiorizzano questa frase dei libri sacri.

Shadi Khalloul è il fondatore del Movimento aramaico israeliano. Prima della laurea conseguita presso l'University of Nevada, a Las Vegas, è stato luogotenente paracadutista nelle IDF. È anche un imprenditore, leader della sua comunità e candidato alle elezioni politiche israeliane.
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Messaggioda Berto » mer mag 09, 2018 12:57 pm

Il Libano: un Paese tormentato
Di Benigno Roberto Mauriello

https://www.riscossacristiana.it/il-lib ... rmentato-2

Il Libano rappresenta un protagonista quasi abituale delle cronache dei quotidiani e dei telegiornali. Ingerenze straniere, tensioni internazionali, traffici più o meno leciti e, sullo sfondo, il conflitto arabo-israeliano hanno fatto del paese dei cedri un’area di tensione e di destabilizzazione. Eppure la causa principale del fallimento del Libano come nazione dipende soprattutto dal suo atto di nascita, non solo dalle interferenze esterne.

Cenni storici.

L’area geopolitica che comprende l’attuale stato libanese ha sempre costituito un’entità sociale, storica e culturale molto particolare nell’ambito di quel territorio che si estende dal Canale di Suez allo Shatt-el-Arab, la cosiddetta Mezzaluna Fertile, a causa della presenza, in un ambito geografico relativamente ristretto, di una molteplicità di gruppi etnici e religiosi che non ha eguali in nessuna parte del mondo. La natura montuosa del territorio libanese ha consentito, inoltre, la sopravvivenza nella zona di una relativamente numerosa popolazione cristiana anche durante il dominio ottomano, facendo del paese dei cedri un rifugio per le minoranze oppresse dai turchi. I primi riferimenti storici ad una nazione libanese risalgono ai secoli XVI e XVII e provengono da esponenti della Chiesa maronita, che desideravano la costituzione di uno stato cristiano separato dal circostante mondo islamico. Questa aspirazione fu espressa dal vescovo maronita di Cipro, Jibra’il ibn al-Quila’i, morto nel 1516, mentre, nel XVII secolo, il patriarca maronita Istifan al-Duwayhi ribadiva questo concetto e sottolineava lo stretto legame con Roma e l’Occidente ricordando l’aiuto fornito ai crociati nella guerra contro gli islamici. Successivamente il concetto di identità nazionale maronita veniva fatto risalire ai Fenici, tesi sostenuta fra gli altri da Tannous al-Shidyaq, morto nel 1861, per rivendicare un’origine storica e culturale anteriore alla presenza islamica[1]. Lo storico Kamal Salibi[2], invece, non dà credito a questa ipotesi, anzi sostiene che il Libano iniziò ad assumere una sua identità sotto la guida dei principi drusi che, nel corso del XVII secolo, estesero la propria influenza. Nello stesso tempo, comunque, la Chiesa maronita andò approfondendo quei legami con il Vaticano, con il quale era entrata in comunione religiosa all’epoca delle Crociate. In ogni caso, grazie all’inefficienza e all’arretratezza dell’apparato amministrativo ottomano, la regione sviluppò una certa autonomia anche se le continue rivalità tra maroniti e drusi fornivano ai turchi il pretesto per intervenire e sfogare il loro odio anticristiano. Le tensioni etniche sfociarono nei massacri del 1860, quando i drusi, con la complicità del governo ottomano, uccisero migliaia di cristiani, soprattutto nel sud del paese. L’intervento militare francese pose fine agli eccidi e i turchi furono costretti a concedere un’estesa autonomia alla zona mediante una nuova organizzazione amministrativa, il “mutassarifiate”, retto da un governatore cristiano coadiuvato dai rappresentanti di tutti i gruppi etnico-religiosi del paese.

Il nuovo regime consentì più stretti legami con il mondo cattolico occidentale, accentuando le differenze di civiltà, cultura e benessere tra i cristiani e il circostante mondo musulmano, invidioso del progresso dei maroniti. Questa struttura politica andò avanti fino alla grande guerra quando i turchi imposero l’occupazione militare diretta con il pretesto dell’ordine pubblico.

Il mosaico etnico-religioso.

Secondo il censimento del 1865 il Libano, che all’epoca comprendeva solo il comprensorio dell’omonimo massiccio montuoso, con capitale Dair el-qamar, e dal quale erano escluse Beirut, la valle della Bequaa, Tripoli e i territori meridionali, era composto dalle seguenti comunità:

Maroniti 170.000 abitanti

Greci ortodossi 29. 500 abitanti

Drusi 28. 560 abitanti

Greci cattolici 19. 370 abitanti

Musulmani sciiti 9. 820 abitanti

Musulmani sunniti 7. 611 abitanti

Totale 266. 661 abitanti

Invece, secondo il censimento del 1956, nella repubblica libanese vivevano:

Maroniti 424.000 abitanti

Sunniti 286.000 abitanti

Sciiti 250.000 abitanti

Greci ortodossi 149.000 abitanti

Greci cattolici 91.000 abitanti

Drusi 88.000 abitanti

Armeni ortodossi 64.000 abitanti

Armeni cattolici 15.000 abitanti

Protestanti 14.000 abitanti

Ebrei 7.000 abitanti

Siriani cattolici 6.000 abitanti

Siriani ortodossi 5.000 abitanti

Cattolici Romani 4.000 abitanti

Nestoriani 1.000 abitanti

Altri 7.000 abitanti

Totale 1. 411.000 abitanti

più circa 200.000 profughi palestinesi privi di cittadinanza[3].

Come si vede dalle statistiche la componente più numerosa era quella cristiano-maronita, la più evoluta culturalmente e socialmente. Attualmente, invece, i musulmani sciiti, arretrati e legati a forme di fanatismo religioso estremista, rappresentano la maggioranza della popolazione, decretando di fatto la scomparsa di quel Libano civile, cattolico e filo-occidentale, stimato in tutto il mondo. I maroniti, dal nome di Marun, un anacoreta del IV secolo, hanno costituito la quintessenza dello stato libanese. Essi entrarono in piena comunione con la Chiesa cattolica all’epoca delle Crociate, abbandonando l’Ortodossia. A partire dal XIX secolo i maroniti, avendo a modello l’Europa e accentuando il distacco da un’area massicciamente islamizzata, sono diventati la comunità più evoluta e potente prima dei monti libanesi e, successivamente, dello stato, ricoprendo le più importanti posizioni in campo politico, amministrativo, economico e culturale, facendo del Libano uno stato modello per l’intera regione, con un benessere diffuso tra tutti gli strati della popolazione. La loro espressione politica più rilevante, la Falange, fondata da Pierre Gemayel nel 1936, si è sempre posta l’obiettivo di difendere l’identità libanese dalle pressioni del mondo islamico opponendosi all’unificazione tra Libano e Siria che sarebbe avvenuta ovviamente sotto l’egemonia musulmana.

La seconda comunità cristiana per numero è quella greco-ortodossa, meno coesa di quella maronita perché dispersa su un vasto territorio e più accondiscendente nei confronti dei progetti di panarabismo e pansirianesimo. Altri gruppi cristiani di minore peso demografico sono i greco-cattolici, i siriani cattolici e ortodossi, gli armeni, i nestoriani, oltre a sparuti gruppi di protestanti. Gli armeni hanno ottenuto la piena cittadinanza nel 1924 e, pur conservando la memoria delle proprie origini etniche e culturali, sono ben inseriti nella società libanese. Essi giunsero nel paese dei cedri a ondate per sfuggire alle violente persecuzioni e alle stragi pianificate dal governo turco e culminate nel genocidio del 1915, nel quale persero la vita quasi due milioni di armeni.

Fra i musulmani la componente più importante e numerosa era quella dei sunniti, ancora oggi la maggioranza dei fedeli islamici nel mondo, di gran lunga superati ai nostri tempi dagli sciiti, i seguaci di Alì, da loro considerato il legittimo successore di Maometto. Gli sciiti rappresentano lo strato più sottosviluppato della popolazione libanese. Tra i sunniti bisogna ricordare la piccola comunità curda, dotata di una propria lingua. Una setta religiosa islamica molto particolare è quella degli alawiti, che vivono principalmente in Siria. Essi uniscono alle tradizioni religiose islamiche elementi dottrinali mutuati da sette gnostiche paleocristiane in una forma di sincretismo religioso caro agli esoteristi di ogni tempo.

Altra importante comunità musulmana è quella drusa, relativamente poco numerosa, ma molto influente a causa dello stretto legame quasi mistico che unisce i suoi adepti ai capi. I drusi non praticano alcuna forma di proselitismo e la loro teologia è segreta. Non hanno luoghi di culto istituzionalizzati e venerano un califfo fatimide dell’XI secolo, al Hakim, che sosteneva di essere l’incarnazione di Dio. Tra i suoi fondatori vi furono al Darazi, da cui il nome della setta, e il persiano Hamza ibn’Alì, che diedero fondamento teologico alle pretese del califfo fatimide. Solo gli Uqqal, i leader spirituali, conoscono a fondo la loro religione, che pertanto assume carattere gnostico e iniziatico.

La nascita del Libano contemporaneo.

Con la fine della prima guerra mondiale e la caduta dell’impero ottomano il Medio Oriente fu diviso tra la Francia e la Gran Bretagna, mentre le aspirazioni arabe all’indipendenza non ebbero soddisfazione. All’epoca il Libano, che non comprendeva gli attuali confini, godeva di un regime autonomo in base allo statuto del 1861 concertato con le potenze europee e modificato nel 1864. Era un sangiaccato autonomo, affidato ad un mutassarif cristiano nominato da Costantinopoli in accordo con le potenze europee. Il territorio libanese comprendeva i sette cazà di el-Shuf, el-Matu, Kesrawan, Batrun, Gizzin, Kurah e Zaleh e aveva per capoluogo Deir el-Qamar. Beirut, Tripoli, Tiro, Sidone e la valle della Bequaa non facevano parte del territorio libanese. I francesi fecero pesare sul tavolo delle trattative i legami politici e culturali e la grande missione di civiltà che da tempo svolgevano in quelle zone, soprattutto dopo la crisi libanese del 1860, quando le autorità ottomane fomentarono la violenza dei musulmani contro i cristiani. Solo l’intervento francese, in accordo con le altre potenze europee, mise fine alle stragi garantendo ai monti libanesi uno speciale statuto di autonomia. Da questo momento ebbe inizio un notevole sviluppo civile ed economico che si è arrestato solo con lo scoppio della guerra civile del 1975, mai veramente terminata e che ha posto fine al predominio cristiano arretrando il paese al livello dei confinanti stati islamici.

Una volta sistemati i contrasti con la Gran Bretagna, i francesi ebbero mano libera in Siria, dove si erano insediati i beduini dell’emiro Faisal, che aspirava alla corona dello stato. Le truppe francesi, nel luglio del 1920, agli ordini del generale Henri Gouraud, occuparono rapidamente il paese incontrando una resistenza debole e sporadica. Faisal abbandonò Damasco il 27 luglio. Il governo francese riorganizzò i territori del suo mandato dividendo la Siria in alcuni distretti amministrativi. Già nel 1919, con gli accordi Hoyek[4]-Clemenceau era stata riconosciuta la piena indipendenza del Libano dalla Siria, tuttavia il territorio dello stato libanese venne esteso con il decreto del generale Gouraud del 10 settembre 1920 alle zone siriane di Beirut, Tripoli, Tiro, Sidone e valle della Bequaa. Il territorio venne così raddoppiato rispetto a quello del 1864. Con questo provvedimento la stessa composizione etnica, religiosa, politica e sociale del Libano venne completamente stravolta, poiché i territori di recente annessione erano abitati in prevalenza da popolazioni musulmane, ostili al nuovo stato. I maroniti continuavano ad essere la comunità più influente ma erano, ormai, meno della metà della popolazione. La classe dirigente francese, imbevuta di idee giacobine, non riusciva a comprendere che il miscuglio religioso così creato non poteva reggere a lungo. Fu giusta l’idea di dare l’indipendenza al Libano ma fu inopportuno annettere a questo stato territori abitati da popolazioni islamiche. A questo punto sarebbe stato logico incentivare l’immigrazione dei cristiani dai paesi musulmani confinanti e l’emigrazione degli islamici verso quei paesi, come avvenne con lo scambio di popolazione tra Grecia e Turchia negli anni Venti. Infatti, i musulmani, nonostante un tenore di vita più elevato rispetto a quello delle popolazioni dei vicini stati islamici, hanno sempre osteggiato lo stato libanese a guida cristiana fino a farlo diventare un covo di terroristi, grazie anche alla complicità del governo di Damasco, che non ha mai cessato di rivendicare come suoi quei territori sottrattigli con il decreto Gouraud. Il Censoni, a tal proposito ricordava già nel 1948 che in questo modo “si creava invero un insanabile dissidio tra elementi cristiani ed elementi musulmani nell’ambito stesso del territorio libanese…. . e ancora, un pomo di discordia che doveva intorbidire per l’avvenire i rapporti siro-libanesi, rivendicando la Siria come suoi quei territori che si erano aggiunti al Libano”[5]. Solo la presenza delle forze francesi riusciva a garantire l’ordine; tuttavia, il 15 novembre del 1936 a Beirut si verificarono degli incidenti tra cristiani e musulmani che lasciarono quattro morti sul campo e decine di feriti. Raggiunta la piena indipendenza dopo la seconda guerra mondiale con la fine del mandato francese, la vita politica libanese si è sempre basata su difficili compromessi tra le varie comunità. Infatti, i leader libanesi conclusero nel 1943 un patto nazionale inteso a regolare la rappresentanza politica delle diverse componenti religiose. La presidenza della repubblica doveva essere assegnata ad un cristiano maronita, il primo ministro doveva essere sunnita, il presidente del parlamento sciita, fino a stabilire in dettaglio tutte le cariche dello stato.

Una convivenza difficile.

Il sistema costituzionale così creato non funzionò. Il Libano conobbe un periodo di eccezionale sviluppo civile ed economico sotto le presidenze di Bisharah el Khouri e di Camille Chamoun, tanto da meritarsi l’appellativo di Svizzera del Medio Oriente, ma la vita politica continuava ad essere caratterizzata da tensioni e disordini. Nel 1958, in seguito all’affermazione dell’emergente panarabismo di stampo nasseriano, scoppiò un’insurrezione tra la popolazione islamica guidata dall’opposizione socialista di Kamal Jumblatt e Rashid Karame. La guerra civile fu scongiurata soltanto grazie all’intervento statunitense sollecitato dal presidente Chamoun. La presidenza di compromesso del generale Fuad Chehab dal 1958 al 1964 servì a mantenere calma una situazione sempre carica di tensione. Al conflitto interno dovuto alla composizione dello stato si aggiungeva, infatti, l’acuirsi della guerra fredda tra i due blocchi e la mancata soluzione del conflitto arabo-israeliano, che anzi faceva salire la tensione in tutta l’area. Nel frattempo la popolazione musulmana era cresciuta di numero, superando nel suo insieme quella cristiana. Il rifiuto dei maroniti di alterare la composizione dello stato portò alla presidenza della repubblica il conservatore Charles Helou, approfondendo il solco tra paese reale, a maggioranza islamica, e paese legale, legato ai patti sottoscritti precedentemente. Nel 1966 uno scandalo finanziario colpì alcune banche, soprattutto la Intra Bank, che fu costretta a chiudere gli sportelli. Tuttavia l’economia reale ne risentì poco mentre il paese dei cedri continuava ad essere una piazza commerciale importante e andava sviluppando notevolmente la sua industria turistica. L’arrivo di flussi incontrollati di profughi palestinesi dopo la guerra dei “sei giorni” del 1967 acuì la tensione tra i cristiani e i musulmani, essendo questi ultimi favorevoli ad appoggiare i palestinesi nella loro lotta contro gli israeliani, in nome del panarabismo, mentre i cristiani non volevano essere coinvolti in un conflitto che non li riguardava. Nel maggio del 1968 ebbero luogo degli scontri tra palestinesi e israeliani alla frontiera libanese e nel dicembre dello stesso anno l’aeronautica israeliana distrusse, attaccando l’aeroporto civile di Beirut, gli aerei della compagnia di bandiera nazionale, la Middle East Airlines, in seguito ad un attentato subito da un aeromobile di linea israeliano. Le azioni della guerriglia palestinese si moltiplicavano e così le rappresaglie israeliane. Il 2 dicembre del 1969 fu concluso al Cairo un accordo tra Yasser Arafat, capo dell’OLP, e il generale Boustany, comandante dell’esercito libanese, per limitare l’attività dei gruppi palestinesi in determinate aree del paese. Il Libano abdicava, di fatto, alla sovranità su parti del suo territorio. Nel 1970 fu eletto presidente Suleiman Franjieh, che continuò ad avere una condotta ambigua nei confronti dei palestinesi, che avevano costituito uno stato nello stato, grazie alla complicità dei musulmani. L’ondivaga politica di Franjieh andò avanti fino al 1973, quando l’esercito libanese bombardò i campi profughi. Nell’aprile del 1975, in seguito ad uno scontro tra i miliziani della falange libanese di Pierre Gemayel e i guerriglieri dell’OLP, scoppiò una sanguinosa guerra civile, con la popolazione musulmana schierata a fianco dei palestinesi. La Siria ne approfittò per inviare truppe, ufficialmente per garantire l’integrità dello stato libanese, nell’aprile del 1976. I lunghi anni della guerra civile videro scontri sanguinosi, capovolgimenti di alleanze, interventi di potenze straniere, invii a più riprese di inutili interventi umanitari, da parte dell’ONU, Lega Araba e altri soggetti internazionali. Particolarmente grave fu l’invasione israeliana iniziata il 6 giugno 1982, l’operazione “pace in Galilea”, diretta a smantellare le strutture dello stato di fatto palestinese. Anche in questa occasione i libanesi si divisero, con la popolazione islamica schierata a fianco dei palestinesi e i falangisti simpatizzanti di Israele. Il 23 agosto il capo della falange e figlio del fondatore, Bechir Gemayel, venne eletto presidente della repubblica da un parlamento a ranghi ridotti. Sembrò giunto il momento per riaffermare la supremazia cristiana sul Libano e iniziare la ricostruzione della nazione. Dopo pochi giorni, tuttavia, Bechir Gemayel morì in un attentato mentre l’esercito israeliano si ritirava sostituito da una forza multinazionale di pace. Il fratello del presidente assassinato, Amin Gemayel, fu eletto presidente della repubblica. Nonostante la partenza degli armati palestinesi e dei soldati israeliani, la guerra civile riprese con maggiore intensità tra le milizie druse, i morabitun sunniti e gli sciiti di Amal contro i falangisti e la componente cristiana dell’esercito, mentre i militari di fede islamica avevano disertato portando l’armamento alle rispettive fazioni. Vaste zone del paese erano tuttavia controllate dai siriani, attestati nel nord e nella valle della Bequaa, la cui presenza era messa in discussione dai soli cristiani, mentre gli israeliani mantenevano l’occupazione di una fascia di territorio libanese profonda fino a 15 chilometri a ridosso della propria frontiera per motivi di sicurezza. Allo scadere del proprio mandato, il 23 settembre del 1988, Gemayel nominò capo del governo il generale Michel Aoun, valoroso e invitto comandante dell’esercito libanese, con l’incarico di supplire anche all’ufficio del presidente della repubblica, poltrona rimasta vacante per mancata elezione di un successore. Aoun, forte delle sue capacità militari e dell’appoggio del presidente iracheno Saddam Hussein, oltre che delle simpatie occidentali, mise in difficoltà le milizie avversarie che dovettero ricorrere all’appoggio sempre più aperto della Siria. Proprio su pressione del governo di Damasco i parlamentari libanesi dello schieramento contrario al generale si riunirono a Taif, Arabia Saudita, tra il settembre e l’ottobre del 1989 per varare delle riforme istituzionali più favorevoli alla componente musulmana. Questo accordo aprì la strada ad una serie di riforme. Fu varata una direzione collegiale dello stato retto dal presidente, cristiano, dal premier, sunnita e dal presidente del parlamento, sciita, con un riequilibrio del potere a favore dei musulmani. Il numero dei deputati fu portato a 128, in parti uguali tra cristiani e musulmani. Furono eletti due presidenti creature della Siria, Renè Muawad e, dopo il suo assassinio, Elias Hrawi. Con lo scoppio della crisi del Kuwait del 1990, lo schieramento cristiano maronita del generale Aoun fu travolto da un duro attacco dell’esercito siriano il 13 ottobre dello stesso anno. Ben 300 ufficiali cristiani dell’armata libanese e varie personalità politiche, come Dany Chamoun, figlio dell’ex presidente, ucciso con i suoi familiari, vennero assassinati dai militari siriani nell’indifferenza del mondo occidentale, troppo occupato ad indignarsi per la sorte degli sceicchi kuwaitiani e del loro petrolio. La pax siriana imposta dal governo di Damasco ha consentito il disarmo di alcune milizie, la nomina di un altro presidente-fantoccio, Emile Lahoud, mentre nel sud del paese, popolato prevalentemente da musulmani sciiti, si è andato rinforzando il movimento integralista religioso Hezbollah, di ispirazione, e finanziamenti, iraniana. Nel 1997 il Papa Giovanni Paolo II visitò il Libano, portando conforto ai cristiani oramai diventati sudditi siriani. Questo equilibrio è durato fino al 14 febbraio 2005, quando, con l’assassinio del premier Rafiq Hariri, l’occidente si è di nuovo occupato del Libano. In seguito a minacce di guerra da parte statunitense, l’esercito siriano ha dovuto sgombrare il paese dei cedri. Con gli abituali colpi di scena della politica libanese si è assistito, in tempi recenti, ad un ennesimo capovolgimento di alleanze. Si sono formati due blocchi, uno filoccidentale, composto dai sunniti, i drusi e i cristiani dell’ex presidente Gemayel, l’altro filosiriano, con Hezbollah e il generale Aoun tornato dall’esilio. Particolarmente grave risulta il persistere di divisioni all’interno del campo cristiano, nonostante i buoni uffici della Chiesa maronita. Gli hezbollah nel frattempo, grazie ai cospicui finanziamenti iraniani e la beneplacito siriano, sono riusciti a creare uno stato di fatto nel sud ingaggiando numerosi scontri contro gli israeliani, come anni prima avevano fatto i palestinesi. Questa prova di forza ha portato ad una guerra nell’estate del 2006, sterile di risultati militari per gli israeliani, che non sono riusciti a sfondare le linee nemiche, ma con un bilancio pesante per il Libano, le cui zone popolate dai musulmani sono state pesantemente colpite dalle forze aeree dello stato ebraico. Ancora una volta è giunta una forza di pace internazionale a dividere i combattenti, mentre l’esercito libanese ha ripreso il controllo nominale del sud del paese, ma gli hezbollah continuano ad armarsi preparando, probabilmente, un nuovo conflitto con Israele impegnato in una prova di forza contro l’Iran, e imponendo, come i palestinesi e i panarabisti nasseriani 50 anni prima, una guerra che i cristiani vorrebbero evitare. Recentemente è stato eletto un nuovo presidente della repubblica nella persona del generale Michel Suleiman, dopo difficili negoziati e compromessi. Il Libano rappresenta, quindi, il principale esempio di fallimento di convivenza tra cristiani e musulmani, monito per tutti i seguaci di quelle utopie che parlano di società multiculturale e di un malinteso concetto di tolleranza, pretesti ideologici dietro i quali si nascondono progetti di sovversione delle identità religiose e nazionali.

[1] Cfr. D.C. Gordon, Lebanon. The fragmented nation, London, 1980, p. 149.

[2] Cfr. K. Salibi, The modern history of Lebanon, London, 1965.

[3] Tutte le informazioni relative alla composizione etnico-confessionale della popolazione libanese sono state tratte dal citato saggio di D.C. Gordon.

[4] Elìas Boutros el-Hoyek, patriarca maronita ( 1843- 1931).
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Libano, l'invasione nazi-maomettana e Israele

Messaggioda Berto » mer mag 09, 2018 12:58 pm

Guerra civile libanese provocata dai nazi maomettani palestinesi


La guerra civile libanese è stata una guerra civile combattuta nel paese tra il 1975 ed il 1990, che ha visto numerosi contendenti e frequenti capovolgimenti di alleanze.

https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_civile_in_Libano
Le cause del conflitto sono sia interne che esterne. L’elemento che innescò la guerra fu il contrasto inter-etnico tra la componente cristiana del Libano, che temeva di perdere la propria prevalenza demografica in seguito all’arrivo dei profughi palestinesi, e la componente musulmana, che si sentiva sottorappresentata nelle istituzioni e intendeva rimettere in discussione i rapporti di forza. Ad alimentare e prolungare la guerra contribuirono fattori esterni, ossia l’intervento di altri Stati decisi a perseguire i propri interessi: la Siria, intenzionata a porre sotto tutela il Libano secondo il progetto di una "grande Siria", e Israele, che intendeva contrastare i miliziani dell’Olp creando una fascia di sicurezza sotto il proprio controllo.

Fra il 1948 ed il 1975, la demografia del Libano, già di per sé estremamente complessa in seguito alle secolari vicende del paese, era mutata per via dell'afflusso di un forte numero di profughi palestinesi. Nel 1958 le milizie cristiano maronite delle Falangi libanesi, a sostegno della politica filo occidentale del presidente Chamoun, si scontrarono con le milizie filonasseriane del primo ministro Karame. Servì lo sbarco di 15 000 marines americani per sedare gli scontri.

Nel 1975 il numero dei profughi palestinesi nel territorio libanese era cresciuto sino a circa 300.000 unità. Il Libano diventò anche rifugio dei miliziani palestinesi dell'OLP, i quali, cacciati dall'esercito giordano di re Husayn di Giordania, continuarono il terrorismo contro il confinante Israele. Gli accordi del Cairo legalizzarono la presenza dei miliziani palestinesi all'interno del territorio libanese. Il risultato fu che il Libano si trasformò in un campo di battaglia, per la risposta con bombardamenti aerei e con tiri di artiglieria da parte d'Israele. Tali risposte colpirono indistintamente sia i miliziani palestinesi sia i profughi palestinesi.

L'inimicizia tra le diverse etnie già presenti in Libano e l'inefficienza dell'esercito nazionale libanese trasformarono l'invasione dell'OLP e gli atti di guerriglia contro Israele in vera e propria guerra civile. I miliziani dell'OLP avevano la simpatia dei libanesi musulmani, mentre i cristiani erano filo-occidentali e sentivano la loro presenza come una forte minaccia per il paese, questo anche perché l'esercito del Libano non era in grado di contrastare i palestinesi come invece aveva fatto quello giordano.

I musulmani si sentivano sottorappresentati rispetto ai cristiani, e sotto la spinta del leader druso Kamal Jumblatt, che aveva fatto dei suo partito PSP una milizia, si unirono nel Movimento Nazionale Libanese, a cui si aggiunsero i palestinesi dell'OLP e dell'FPLP. Arrivarono a controllare il 70% del paese e la metà di Beirut.

Nel 1978 molti maroniti capirono che i siriani avevano intenzione di occupare e controllare il paese, realizzando così il loro antico sogno della "Grande Siria", in quanto il Libano era considerato come una provincia dello Stato siriano e non come entità nazionale a sé stante. Questa occupazione – sanzionata dagli Stati arabi – assunse forme esplicite a partire dal settembre di quell'anno.


Israele si difende

La prima invasione israeliana del Libano, avvenuta il 14 marzo 1978, è nota in ambito militare israeliano come "operazione Litani", nome in codice datole da Tzahal (le Forze di Difesa Israeliane).

https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_del_Libano_(1978)

Il Governo israeliano motivò questo intervento con la necessità di creare una fascia di sicurezza ben all'interno del territorio libanese (sino al fiume Leonte/Litani appunto), così da tenere i suoi villaggi frontalieri fuori dal raggio d'azione dell'artiglieria, che con attacchi ripetuti causava molte perdite fra i civili.

Benché abbia preso la forma di un'incursione militare israeliana nel Libano meridionale, l'Operazione Litani prendeva piede dai conflitti arabo-israeliani di lungo corso. Dal 1968 l'OLP, Organizzazione per la Liberazione della Palestina, e altri gruppi palestinesi avevano creato una parvenza di Stato nel Libano meridionale, usandolo come base per raid nella zona settentrionale di Israele. Questa situazione era stata esasperata dall'afflusso di 3.000 militanti dell'OLP in fuga dopo la disfatta della guerra civile in Giordania che si raggrupparono nel Libano meridionale. Israele rispose con attacchi contro villaggi libanesi e basi dell'OLP. La violenza salì, culminando infine nella guerra del 1982 e l'espulsione dell'OLP dalla nazione.


https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_del_Libano_(1982)
La guerra del Libano del 1982 (ebraico מלחמת לבנון, Milkhemet Levanon, Milkhemet Levanon, arabo حرب لبنان, ossia "Guerra del Libano"), anche indicata in ambito militare israeliano con l'espressione Operazione Pace in Galilea (מבצע שלום הגליל, Mivtsa Shalom HaGalil), cominciò il 6 giugno 1982, allorché le Forze di Difesa Israeliane (FDI) invasero il sud del Paese dei cedri. Il governo d'Israele dette il via libera all'invasione come risposta al tentativo di assassinio messo in atto da parte del Fath contro l'ambasciatore nel Regno Unito Shlomo Argov, e in risposta ad attacchi d'artiglieria dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina contro aree popolate nel nord della Galilea. Nel 1978, Israele aveva già tentato un'invasione del Libano per creare una "zona cuscinetto", con l'Operazione Litani.
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Libano, l'invasione nazi-maomettana e Israele

Messaggioda Berto » mer mag 09, 2018 1:12 pm

Il massacro di Sabra e Shatila fu una conseguenza dell'aggressione dei nazi maomettani palestinesi al Libano, ai cristiani del Libano e a Israele


Il massacro di Sabra e Shatila (in in arabo: مذبحة صبرا وشاتيلا‎, madhbaḥa Ṣabrā wa-Shātīlā)
https://it.wikipedia.org/wiki/Massacro_ ... _e_Shatila

fu l'eccidio, compiuto dalle Falangi libanesi e l'Esercito del Libano del Sud, con la complicità dell'esercito israeliano, di un numero di civili compreso fra 762 e 3.500, prevalentemente palestinesi e sciiti libanesi. La strage avvenne fra le 6 del mattino del 16 e le 8 del mattino del 18 settembre 1982 nel quartiere di Sabra e nel campo profughi di Shatila, entrambi posti alla periferia ovest di Beirut.

All'inizio di giugno del 1982 gli israeliani iniziarono l'assedio di Beirut e accerchiarono i 15.000 combattenti dell'OLP e dei suoi alleati libanesi e siriani all'interno della città. All'inizio di luglio, il presidente degli USA Ronald Reagan inviò Philip Habib, affiancato da Morris Draper (anch'egli in veste di inviato speciale per il Medio Oriente del Presidente Ronald Reagan nel corso della crisi del Libano), con l'incarico di risolvere la crisi. Cominciarono lunghe ed estenuanti trattative rese assai difficili dal fatto che gli israeliani e gli statunitensi non vollero discutere direttamente con i palestinesi, e i palestinesi asserragliati nella città non vollero abbandonarla perché temevano ritorsioni dei soldati israeliani e dei loro alleati falangisti.

...

In cerca di vendetta per l'assassinio di Gemayel e coordinandosi con le forze israeliane dislocate a Beirut ovest, le milizie cristiano-falangiste di Elie Hobeika alle 18:00 circa del 16 settembre 1982, entrano nei campi profughi di Sabra e Shatila. Il giorno prima, l'esercito israeliano aveva chiuso ermeticamente i campi profughi e messo posti di osservazione sui tetti degli edifici vicini. Le milizie cristiane lasciarono i campi profughi solo il 18 settembre. Il numero esatto dei morti non è ancora chiaro. Il procuratore capo dell'esercito libanese in un'indagine condotta sul massacro, parlò di 460 morti, la stima dei servizi segreti israeliani parlava invece di circa 700-800 morti.
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Libano, l'invasione nazi-maomettana e Israele

Messaggioda Berto » gio mag 10, 2018 9:11 pm

Non più dhimmi - Il trauma dei cristiani in Medio Oriente
23/01/2018

http://www.linformale.eu/non-piu-dhimmi ... niel-pipes


Questo articolo è la trascrizione aggiornata di una conferenza tenuta da Daniel Pipes il 7 marzo 2012 al Christian Solidarity International, un organismo internazionale con sede a Zurigo, in Svizzera, ed è contenuto nel volume The Future of Religious Minorities in the Middle East, a cura di John Eibner. Lanham, Md.: Rowman & Littlefield, 2018, pp. 13-20.

Nel mondo musulmano sunnita, si è sviluppata una nuova corrente di pensiero: la pulizia etnica. Non è un genocidio, ma riguarda l’espulsione delle popolazioni non sunnite. La sua diffusione implica che le minoranze non sunnite avranno un triste futuro nei paesi a maggioranza musulmana; e alcune potrebbero anche non avere un futuro.

Traccerò le origini della pulizia etnica in Medio Oriente, ne rileverò l’impatto soprattutto sui cristiani e analizzerò le possibili reazioni a questo.

Per cominciare, esaminiamo la posizione dei non musulmani nei paesi a maggioranza musulmana prima del 1800.

I musulmani dividevano i non musulmani in due categorie: i monoteisti riconosciuti dall’Islam come seguaci di una fede valida (per lo più ebrei e cristiani) e i politeisti (soprattutto gli induisti), privi di tale riconoscimento. La prima categoria, l’argomento di cui ci stiamo occupando, è nota come Genti del Libro (Ahl al-Kitab).

I musulmani erano relativamente tolleranti nei confronti delle Genti del Libro – ma solo se esse accettavano di diventare dhimmi (persone protette) riconoscendo il dominio dei musulmani e la superiorità dell’Islam: in altre parole, se accettavano di essere inferiori. I dhimmi dovevano pagare tasse speciali (la jizya), non potevano servire nell’esercito o nella polizia, o più in generale non potevano esercitare alcuna autorità sui musulmani. Le leggi suntuarie abbondavano; un cristiano o un ebreo doveva camminare a piedi o andare in groppa a un mulo, ma non a cavallo e per strada doveva cedere il passo ai musulmani. (Ovviamente, la pratica effettiva differiva da un paese all’altro o da un’epoca all’altra.)

Lo status accordato alle minoranze religiose rese i paesi governati dai musulmani molto diversi dal Cristianesimo premoderno. I cristiani che vivevano sotto il dominio islamico godevano di condizioni di vita migliori rispetto a quelle di cui godevano i musulmani sotto il dominio cristiano. Intorno al 1200, si preferiva essere un cristiano nella Spagna islamica anziché un musulmano nella Spagna cristiana. E così anche per gli ebrei: Mark R. Cohen osserva che “sotto l’Islam, soprattutto durante i secoli formativi e classici (fino al XIII secolo), gli ebrei subirono molte meno persecuzioni rispetto agli ebrei vissuti nel mondo cristiano”.

Ma non dobbiamo idealizzare la condizione di dhimmitudine. Sì, è vero, offriva un certo livello di tolleranza, convivenza e deferenza – ma queste si basavano sul presupposto della superiorità musulmana e dell’inferiorità non musulmana. I musulmani potevano anche abusare a piacimento di questa condizione. Nessun cittadino moderno accetterebbe gli inconvenienti di vivere come dhimmi.

Di fatto, la condizione di dhimmitudine fu abolita nei tempi moderni, vale a dire dopo il 1800, quando le potenze europee (quella inglese, francese, olandese, spagnola, italiana, russa e altre) sconvolsero quasi tutto il mondo islamico. Perfino quei pochi paesi – Yemen, Arabia, Turchia, Iran – che sfuggirono al diretto controllo europeo sentirono il predominio dell’Europa.

Gli imperialisti cristiani ribaltarono la dhimmitudine, favorendo i cristiani e gli ebrei, i quali mostrarono una maggiore disponibilità ad accettare i nuovi governanti, ad imparare le loro lingue e competenze, a lavorare per loro e a fungere da intermediari per la popolazione a maggioranza musulmana. Ovviamente, le popolazioni a maggioranza musulmana mal sopportavano questo elevato status di cristiani ed ebrei.

Quando il dominio europeo raggiunse la sua inevitabile fine, i musulmani, una volta tornati al potere, ricollocarono le minoranze al loro posto, e cosa peggiore, non ripristinarono la dhimmitudine, che era stata eliminata. Insicuri di se stessi, i nuovi governanti in genere guardavano cupamente le Genti del Libro, arrabbiati con loro per aver servito gli imperialisti e sospettosi dei loro legami permanenti con l’Europa (e nel caso degli ebrei, i legami con Israele).

Si potrebbe dire che lo status di cittadini di seconda classe dei dhimmi sia ora diventata una condizione di cittadini di terza o quarta classe. Con il crollo dell’Impero ottomano ci furono più persecuzioni di cristiani ed ebrei di quanti ce ne fossero mai state prima, a cominciare dal genocidio del popolo armeno in Turchia nel primo decennio del XX secolo fino ad arrivare ai recenti traumi subiti dai cristiani in Iraq e in Siria.

Prima di continuare con l’esperienza cristiana, soffermiamoci brevemente su quella ebraica. Le antiche comunità ebraiche scomparvero a seguito della fine dello status di dhimmitudine e la creazione dello Stato di Israele nel 1948. Gli ebrei se ne andarono o furono cacciati soprattutto nei venti anni successivi alla Seconda guerra mondiale. La piccola ma vivace comunità ebraica dell’Algeria offre forse l’esempio più lampante dei cambiamenti post-imperiali. Gli ebrei residenti in quel paese erano talmente legati al governo francese che l’intera comunità ebraica lasciò l’Algeria nel luglio 1962 insieme ai governanti francesi. [i] Nel 1945, la popolazione ebraica dei paesi a maggioranza musulmana contava circa un milione di persone; oggi, si aggira tra i 30-40 mila e quasi tutte vivono in Iran, Turchia e in Marocco. In pochissimi risiedono altrove: forse in Egitto ci sono60 ebrei, 9 in Iraq e ancora meno in Afghanistan. Queste sparute comunità di persone anziane non esisteranno più nel giro di pochi anni.

C’è un modo dire che recita: “Prima il popolo del Sabato poi il popolo della Domenica”. E adesso è il turno dei cristiani. I cristiani ora reiterano l’esodo ebraico. Dal 1500 al 1900, i cristiani costituivano un consistente 15 per cento della popolazione mediorientale, secondo David B. Barrette Todd M. Johnson. Nel 1910, questa percentuale era scesa al 13,6 per cento, secondo Todd M. Johnson e Gina A. Zurlo; e nel 2010, i cristiani si erano ridotti a un misero 4,2 per cento, ossia meno di un terzo rispetto a un secolo prima. Ovviamente, la tendenza al ribasso continua rapidamente.

Come afferma il giornalista Lee Smith: “Essere cristiani in Medio Oriente non è mai stato facile, ma l’ondata di tumulti che ha investito la regione in quest’ultimo anno ha reso quasi insopportabile la situazione per la minoranza cristiana della regione”.[ii] Gli esempi sono allarmanti e per molti versi senza precedenti nella lunga storia delle relazioni fra cristiani e musulmani. Eccone alcuni (a tale riguardo, ringrazio Raymond Ibrahim):

In Nigeria, il gruppo islamista BokoHaram uccise nel 2010 almeno 510 persone, soprattutto cristiane, incendiando o distruggendo più di 350 chiese in dieci stati nel nord del paese.
In Uganda, la vigilia di Natale del 2011, i musulmani gettarono dell’acido in faccia a un pastore di una chiesa provocandogli gravi ustioni.
In Iran, le forze di sicurezza hanno fatto irruzione in una chiesa dove si stava celebrando il Natale e tuti i presenti, compresi i bambini della scuola domenicale, sono stati arrestati e interrogati.
In Tajikistan, un giovane vestito da Nonno Gelo (ossia Babbo Natale) è stato accoltellato a morte mentre visitava i parenti e portava doni.
In Malesia, i parroci e i dirigenti delle chiese hanno dovuto ottenere il permesso per cantare le carole natalizie, fornendo le loro identità e i numeri delle loro carte d’identità alle stazioni di polizia.
In Indonesia, “vandali” hanno decapitato la statua della Vergine Maria.

Il messaggio è chiaro: “Cristiani, non siete i benvenuti. Andatevene”.

I cristiani hanno risposto rapidamente lasciando il Medio Oriente, al punto che la fede sta morendo nel suo luogo di nascita. In Turchia, la popolazione cristiana contava 2 milioni di fedeli nel 1920, ma ora ne conta qualche migliaio. In Iraq, il Christian Solidarity International ha scoperto nel 2007 che circa la metà del milione di cristiani che vivevano lì, nel 2003 era fuggita dal paese.Forte il grido dell’Iraqi Christian Relief Council: “Siamo in via di estinzione”.[iii] In Siria, all’inizio del secolo scorso, i cristiani rappresentavano circa un terzo della popolazione, oggi sono meno del 10 per cento. In Libano, la percentuale è passata dal 55 per cento di 70 anni fa a meno del 30 per cento di oggi. I copti se ne stanno andando come mai era successo prima nella loro lunga storia.

In Terra Santa, i cristiani costituivano il 10 per cento della popolazione nel periodo ottomano; quella cifra si attesta oggi intorno al 2 per cento. Betlemme e Nazareth, le più identificabili di tutte le città cristiane, per quasi due millenni sono state a maggioranza cristiana, ma ora non più: sono città a maggioranza musulmana. A Gerusalemme, nel 1922, i cristiani erano più numerosi dei musulmani; oggi, i cristiani della città sono solo il 2 per cento della popolazione. Nonostante questa emigrazione, Khaled Abu Toameh, un giornalista palestinese musulmano, osserva che “Israele rimane l’unico posto in Medio Oriente dove i cristiani arabi si sentono protetti e al sicuro”.[iv]

Il Wall Street Journal riporta che oggi “sono più numerosi i cristiani arabi che vivono al di fuori del Medio Oriente di quelli rimasti nella regione. Circa venti milioni vivono all’estero, contro i 15 milioni di cristiani arabi che rimangono nel Medio Oriente, secondo un rapporto dell’anno scorso di un trio di charities cristiane e dell’Università di East London”. Citando Samuel Tadros dello Hudson Institute, il quotidiano rileva che il numero delle chiese copte negli Stati Uniti è aumentato passando da due nel 1971 a 252 nel 2017.

I cristiani d’Oriente stanno affrontando questa crisi in vari modi. Ne esaminerò tre.

I cattolici melchiti (che vivono principalmente in Libano e in Siria) hanno cercato di evitare problemi dicendo ai musulmani esattamente ciò che vogliono sentirsi dire. Il patriarca Grégoire III Laham di Antiochia, disse in modo memorabile nel 2005:

Noi siamo la Chiesa dell’Islam. (…) L’Islam è il nostro ambiente, il contesto in cui viviamo e con cui siamo storicamente solidali. (…) Capiamo l’Islam dall’interno. Quando sento un versetto del Corano, per me non si tratta di una cosa estranea. È una espressione della civiltà cui appartengo.[v]

Grégoire III accusava l’Occidente dell’islamismo: “Il fondamentalismo è una malattia che si scatena e prende piede davanti al vuoto della modernità occidentale”.[vi] Allo stesso modo, il patriarca di Antiochia nel 2010 accusò Israele degli attacchi jihadisti ai cristiani d’Oriente: La violenza non ha niente a che fare con l’Islam. (…) Ma in realtà è un complotto ordito dal sionismo e da alcuni cristiani con orientamenti sionisti e mira a minare l’Islam e a darne una cattiva immagine. (…) È anche un complotto contro gli arabi (…) per negare loro i diritti e soprattutto quelli dei palestinesi.[vii]

E nel 2011 Grégoire III ha aggiunto che il conflitto arabo-israeliano è “l’unico” motivo dell’emigrazione dei cristiani orientali dal Medio Oriente e questo sta causando la loro “estinzione demografica”.[viii]

L’approccio del patriarca di Antiochia equivale a dire: musulmani, per favore, non fateci del male; diremo tutto ciò che volete. Non abbiamo una nostra identità. Siamo, di fatto, una specie di musulmani. È una supplica dhimmi per l’era post-dhimmi.

I maroniti storicamente hanno offerto l’esempio più eclatante di contrapposizione a questa autodenigrazione. Per ragioni teologiche (la Chiesa cattolica) e geografiche (le montagne), essi rappresentavano la comunità cristiana più assertiva e libera del Medio Oriente. Armati e autonomi, mantennero a distanza i signori islamici.

Nel 1926, indussero una potenza imperiale, la Francia, a creare uno Stato – il Libano – per loro. Ma i maroniti erano avidi: anziché accettare un “Piccolo Libano” dove loro e altri cristiani avrebbero costituito l’80 per cento della popolazione, chiesero e ottennero un “Grande Libano” dove costituirono meno del 40 percento della popolazione totale. Cinquant’anni dopo, nel 1976, i maroniti pagarono il prezzo di questa pretesa quando i musulmani scatenarono una guerra civile che durò quindici anni e distrusse il potere maronita.

I maroniti reagirono accusandosi a vicenda. Se alcune fazioni continuarono ad essere ribelli, la fazione più importante divenne simile ai melchiti. Nel 1991, l’ex generale Michel Aoun affrontò i siriani; oggi, adula Hezbollah e serve il jihad. Come rilevato da Lee Smith:

I maroniti si erano sempre distinti per essere una delle più ostinatamente indipendenti sette religiose della regione. Ma la paura, il risentimento e il calcolo politico a breve termine oggi li hanno spinti a cercare protezione e patrocinio da parte degli elementi più pericolosi e retrogradi del Medio Oriente: la Siria, l’Iran e Hezbollah.[ix]

In breve, i maroniti sono passati dall’essere dei cristiani liberi a dhimmi parziali.

Dalla conquista islamica, circa quattordici anni fa, i copti egiziani hanno intrapreso un cammino quasi opposto a quello maronita. La loro geografia (piatta), la loro storia (un forte governo centrale) e la loro società (frapposta tra i musulmani) erano sfavorevoli al potere indipendente, costringendo i copti a chinare il capo. Accettando pienamente la condizione di dhimmitudine, i copti sopravvissero e riuscirono a resistere all’islamizzazione meglio di quanto fecero molti altri cristiani d’Oriente, come attestano i loro numeri relativamente elevati.

L’epoca coloniale offrì loro un ruolo più importante, che assunsero prontamente, come simboleggiato dal nonno dell’ex segretario generale delle Nazioni Unite BoutrosBoutros-Ghali, che fu primo ministro dell’Egitto dal 1908 al 1910. Questa parentesi di potere terminò con la partenza degli inglesi negli anni Cinquanta.

A partire dal 1980, ebbero luogo due sviluppi paralleli. Da un lato, gli islamisti presero sistematicamente di mira i copti, praticando varie forme di coercizione e violenza contro di loro, spalleggiati dal governo egiziano, che in genere attribuisce al fatto di mantenere ottime relazioni con gli islamisti maggiore priorità rispetto al fatto di proteggere la sua minoranza cristiana. I cristiani divennero una specie di calcio politico; ad esempio, Hosni Mubarak fece il doppio gioco, fingendo di essere il protettore dei copti, mentre era tutt’altro.

In compenso, i copti, dopo secoli di semisilenzio, trovarono la loro voce collettiva. Si organizzarono per difendersi, per parlare apertamente del loro dramma e guidare le proteste quando un presidente egiziano si recò in visita a Washington. Nonostante una lunga tradizione di quiescenza, i copti stavano diventando i nuovi maroniti.

Nonostante questi disparati metodi – super-dhimmi, dhimmi e assertivo – il futuro del Cristianesimo in Medio Oriente sembra cupo. La posizione ammessa del dhimmi ha lasciato il posto a un fugace miglioramento seguito da una mentalità di pulizia etnica.

Si sente molto parlare dell’odio e della paura dell’Islam, ora chiamati “islamofobia”. Ma secondo Ayaan Hirsi Ali, ex musulmana ed ex parlamentare olandese, il vero problema è qualcosa di completamente diverso: la cristofobia.

Una valutazione imparziale degli eventi e delle tendenze recenti porta alla conclusione che l’entità e la gravità dell’islamofobia impallidiscono rispetto alla sanguinosa cristofobia che attualmente è in corso nei paesi a maggioranza musulmana da un capo all’altro del globo. Il complotto del silenzio che circonda questa violenta espressione di intolleranza religiosa deve cessare. È in gioco nientemeno che il destino del Cristianesimo, e in definitiva di tutte le minoranze religiose [tra i musulmani].[x]

Insieme, la pulizia etnica degli ebrei e quella dei cristiani segnano la fine di un’era. L’affascinante molteplicità di aspetti della vita mediorientale viene ridimensionata alla piatta monotonia di un’unica religione e di una manciata di minoranze assediate. L’intera regione, non solo le minoranze, è impoverita da questa tendenza.

Cosa possono fare gli occidentali – e in particolare Christian Solidarity International – per risolvere questo problema?

Esistono soltanto due opzioni: proteggere i non musulmani – cristiani ed altri – in modo che continuino a vivere nei paesi a maggioranza musulmana oppure aiutarli ad andarsene, rinunciando alle loro storiche patrie.

La prima opzione è ovviamente preferibile perché i cristiani hanno un diritto inalienabile a restare nei loro paesi. Ma in che modo gli occidentali li aiutano a raggiungere questo obiettivo? Ciò richiede sia atti di volontà da parte loro sia una propensione da parte dei musulmani al cambiamento. Ma nessuna delle due ipotesi sembra minimamente una prospettiva realistica. Soprattutto quando sono in gioco i diritti umani degli altri, i governi democratici da soli non possono prendere delle decisioni: hanno bisogno del sostegno popolare. Al momento, gli occidentali sembrano riluttanti a prendere i provvedimenti necessari – come la pressione economica e militare – per garantire la sopravvivenza in loco del Cristianesimo mediorientale.

Il che rende l’alternativa meno allettante: aiutare i cristiani ad andarsene e accoglierli. L’emigrazione è un’esperienza intrinsecamente dolorosa e le democrazie avranno difficoltà a formulare politiche che diano priorità ai fedeli di certe religioni. Indipendentemente da questi e altri aspetti negativi, la migrazione è un’opzione reale e su cui agire quotidianamente.

E così, i cristiani d’Oriente,tragicamente, stanno scomparendo sotto i nostri occhi dalle loro antiche terre natali.

Traduzione in italiano di Angelita La Spada

Qui l’articolo originale in lingua inglese

Opere citate

Ali, AyaanHirsi. “The Global War on Christians in the Muslim World”. Newsweek. February 6, 2012.

Berger, Judson. “Mob Attacks on Iraqi Christian Businesses Raise Security Concerns”. Fox News. December 9, 2011.

Lloyd C. Briggs and NorinaLamiGuède, No More For Ever: A Saharan Jewish Town, (Cambridge, Mass: Papers of the Peabody Museum of Archaeology and Ethnology, 1964).

Cohen, Mark. Under Crescent and Cross – The Jews of the Middle Ages (Princeton: Princeton University Press, 1994).

Fowler, Jack. “Melkite Patriarch Absolves Islam, Blames ‘Zionist Conspiracy’”. National Review. December 13, 2010.

The Free Library. “Catholic patriarch warns Christians face ‘extinction’”. The Free Library. No date.

Toameh, Khaled Abu. “Arab Spring Sending Shudders Through Christians in the Middle East”. GatestoneInstitute. December 20, 2011.

Valente, Gianni. “Noi siamo la Chiesa dell’islam. Intervista con il patriarca di AntiochiaGrégoire III Laham”. Sinodo dei Vescovi n. 10 (2005).

[i] Lloyd C. Briggs and NorinaLamiGuède, No More For Ever: A Saharan Jewish Town, (Cambridge, Mass: Papers of the Peabody Museum of Archaeology and Ethnology, 1964).

[ii] Lee Smith, “Agents of Influence,” Tablet, January 4, 2012 (consultato il 17 febbraio 2017).

[iii]Citato in precedenza da Judson Berger, “Mob Attacks on Iraqi Christian Businesses Raise Security Concerns,” Fox News, December 9, 2011 (consultato il 17 febbraio 2017).

[iv]Cfr.Khaled Abu Toameh, “Arab Spring Sending Shudders Through Christians in the Middle East,” Gatestone Institute, December 20, 2011 (consultato il 17 febbraio 2017).

[v]Citato in precedenza da Gianni Valente, “Noi siamo la Chiesa dell’Islam”. Intervista con il patriarca di Antiochia Grégoire III Laham, Sinodo dei Vescovi no. 10 (2005) (consultato il 17 febbraio 2017).

[vi]Ibid.

[vii] Citato in precedenza da Jack Fowler, “Melkite Patriarch Absolves Islam, Blames ‘Zionist Conspiracy,'” National Review, December 13, 2010 (consultato il 17 febbraio 2017).

[viii]Citato in precedenza daThe Free Library, “Catholic patriarch warns Christians face ‘extinction,'” The Free Library, n.d. (consultato il 17 febbraio 2017).

[ix] Lee Smith, “Agents of Influence,” Tablet, January 4, 2012 (consultato il 17 febbraio 2017).

[x] AyaanHirsi Ali, “The Global War on Christians in the Muslim World,” Newsweek, February 6, 2012, (consultato il 17 febbraio 2017).

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