Il mito della tolleranza islamica

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Messaggioda Berto » lun giu 12, 2017 6:40 am

Il mito della tolleranza islamica
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Il mito della tolleranza islamica

Messaggioda Berto » lun giu 12, 2017 6:41 am

???

Il mito della tolleranza islamica
http://www.giovannidesio.it/articoli/gr ... lamica.htm

Giovanni De Sio Cesari
INDICE: introduzione -cristiani e islamici- Spagna medioevale- conquista di Granasa- conclusione

INTRODUZIONE

Nel sentire comune si è radicato il mito della Granada islamica che praticava grande tolleranza religiosa verso cristiani ed ebrei in contrapposizione alla Spagna cattolica fanaticamente intollerante: questo paradigma viene spesso allargato a tutti i rapporti fra islamici e cristiani. Il mito ha un fondamento storico reale perché, effettivamente, nella Granada islamica ebrei e cristiani godevano di ampia tolleranza mentre con la sua conquista cristiana nel 1942 in Spagna iniziò una politica di repressione dei non cristiani: gli ebrei furono cacciati e i mussulmani costretti a conversioni forzate attraverso discriminazioni e persecuzioni. Tuttavia i fatti vanno inquadrati nel contesto storico per essere compresi nel loro significato

Cristiani ed islamici

Vediamo innanzitutto i rapporti che si instaurarono in generale fra cristiani e mussulmani nel medio evo.

Per i Mussulmani, nel Corano, troviamo una distinzione fondamentale dei non credenti fra gli idolatri e cristiani ed ebrei,gli Ahl al-Kitab (“genti del libro” cioe della bibbia, ) Per i primi non è prevista alcuna tolleranza che è invece concessa ai secondi.

L’islam riconosce infatti come predecessori di Maometto i profeti biblici e Gesù, considerato anche esso un grande profeta anche se diversamente interpretato rispetto al cristianesimo: pertanto cristiani ed ebrei erano considerati comunque adoratori del vero Dio che si era poi manifestato anche a Maometto

Ma vi era soprattutto una esigenza politica concreta: l’Islam si diffuse in tutto il Medio Oriente in un mondo già da secoli pienamente e unanimemente cristiano: la conversione improvvisa e coatta di tutti i popoli conquistati sarebbe stata una follia dal punto di vista politico. Anzi l’espansione militare fu anche ampiamente favorita dalle lotte interne fra cristiani per le quali i musulmani potevano essere considerati, al limite, una soluzione: ad esempio la chiesa copta di Egitto accolse gli eserciti islamici quasi come liberatori perchè in grave scontro politico e religioso con la chiesa di Costantinopoli.

Si creavano quindi comunità distinte: cristiani ed ebrei non furono mai equiparati ai mussulmani,” la parte migliore” e l’unica che avesse la pienezza dei diritti politici : venivano considerati dhimmi (protetti) in cambio di una tassa detta gizha che dovevano pagare ai mussulmani spesso con modalità umiliati (shāghirūn )

Vigeva il principio di segregazione delle due comunità: la tolleranza era subordinata a certe condizioni come il non fare propaganda religiosa, non danneggiare in nessun modo gli islamici, non calunniarli ma tali principi erano cosi vaghe da permettere poi ogni interpretazione.

La condizione dei dhimmi pertanto, in effetti, poteva variare moltissimo secondo l’arbitrio delle autorità che poteva più o meno essere generose o tiranniche: a volte i cristiani diventavano consiglieri apprezzati, a volte invece si ebbero delle vere e proprie persecuzioni e progrom

Ad esempio nell’India dell’impero del Gran Mogol mentre Akbar ebbe molta tolleranza verso gli indu invece Aurangzeb adottò una politica intransigente e persecutoria che determinò poi la rovina dell’impero e che permise poi agli Inglesi di prenderne facilmente il controllo,

Il passaggio graduale delle popolazioni sottomesse all’islam era così favorito dal desiderio di uscire dalla propria emarginazione e di ottenere la pienezza dei diritti. D’altra parte una legge fondamentale dell’islam vietava che si potesse passare dall’islam ad altra religione (anche a quella prima professata) comminando la pena di morte: veniva assolutamente vietato qualunque apostolato dei non musulmani

Nell’ambito cristiano non esistevano norme del genere in quanto si era, in generale, sulla difensiva, non si occupavano terre precedentemente islamiche : tuttavia i principi erano sostanzialmente gli stessi di quelli islamici e vennero adottati soprattutto verso gli ebrei le cui comunità erano numerose nel mondo cristiano. Essi si trovarono, in pratica, nella stessa condizione dei dhimmy nelle terre islamiche.

In alcuni casi, perè, i cristiani riconquistarono terre che originariamente cristiane, erano state occupate dai mussulmani: la Palestina, la Spagna. la Sicilia. La Palestina costituisce un caso a parte, della Spagna parleremo dopo : accenniamo brevemente alla Sicilia. Nell’isola la dominazione islamica fu piuttosto breve: i primi sbarchi avvennero nel 827, la conquista completa si ebbe nel 902; nel 1091 i normanni la conquistarono riportandola nell’ambito cristiano. Ma i mussulmani di Sicilia continuarono a prosperare sotto il domini cristiano usufruendo di ampia tolleranza e prestigio. Il successore dei normanni , Federico II di Svevia (1207- 1250) si circondò di dotti arabi di cui conosceva perfettamente la lingua e reclutò fra gli Arabi le sue milizie più fedeli. La rovina per gli Arabi venne con l’invasione degli Angioini che sconfissero l’ultimo degli Svevi , Manfredi, a Benevento nel 1266: la comunità islamica fu dispersa ma non tanto per motivazioni religiose quanto politiche in quanto i mussulmani erano partigiani fedeli degli Svevi

NELLA SPAGNA MEDIOEVALE

Agli inizi del ‘700 d C gli arabi mussulmani passarono lo stretto di Gibilterra (gebel el tarik: monte di Tarik che era il loro condottiero) e rapidamente conquistarono la Spagna che era tutta cristiana, passarono i Pirenei , si riversarono in Francia dalla quale, però, furono respinti nella battaglia di Poitiers nel 732 ,dai Franchi di Carlo Martello

Dopo la caduta degli Omeyyadi la Spagna islamica si rese autonoma dal resto dell’impero arabo mussulmano e tale rimase sempre. Non costituirono però uno stato unitario ma si divisero in tanti staterelli (emirati, califfati)

Dall’altra parte si formarono regni cristiani che iniziarono una lunga riconquista che dopo 700 anni si concluse con la conquista di tutta la Spagna. Non si deve, però, pensare a una grande guerra continua fra cristiani e mussulmani: erano assolutamente comuni le alleanze trasversali fra regni cristiani e mussulmani, ciascuno dei quali poi era preda di continue lotte interne per la successione. Quindi non una grande guerra di religione quanto una instabilità generale tipica dell'Europa feudale. Ciascuno dei re cristiani o califfi mussulmani si trovava ad avere sudditi sia cristiani che mussulmani. La Spagna costituiva quindi l’unica terra nella quale cristiani e mussulmani effettivamente si conoscevano e collaboravano: infatti fu dalla Spagna che tornarono all’Occidente le opere degli antichi ( per esempio quelle di Aristotele) attraverso la mediazione araba. E’ vero che in tutto il Medio Oriente islamico vi erano comunità cristiane ma erano comunità he avevano perso ogni rapporto con la cristianità europea mente i cristiani spagnoli rimasero sempre in contatto diretto con tutta la cristianità occidentale

Per constatare come fossero diversi i rapporti in Spagna basta confrontare il poema francese “ La chanson de Roland” con quella spagnola del “ Cantar de mio cid” Nel poema francese i mussulmani sono i malvagi ,gli empi, vengono confusi con i pagani e addirittura definiti adoratori di Bacco mentre è risaputo che la loro fede proibisce gli alcolici: Invece nel poema spagnolo il protagonista, Diego de Vivar, porta l’appellativo di Cid (in arabo significa “signore”), tratta alleanze con gli Arabi di cui evidentemente conosce benissimo la lingua e la cultura e verso i quali dimostra sempre grande rispetto e considerazione.

Tuttavia la reciproca tolleranza e considerazione veniva ogni tanto messa in disparte con la proclamazione dall’una o dall’altra parte di guerre sante.

In particolare periodicamente dall’africa del nord venivano ondate di i fanatici guerrieri dell’islam pronti a guadagnarsi il paradiso morendo per distruggere il cristianesimo.

Il momento cruciale fu nel 1212 con la la battaglia de Las Navas de Tolosa nella quale cristiani e mussulmani si affrontarono nella maggiore battaglia campale della Spagna medievale Da parte mussulmana il nucleo combattente principale era costituito da milizie venute dall’africa del nord decise a sradicare il cristianesimo. Ma gli an- dalus (i mussulmani di Spagna) non condividevano affatto tale fanatismo religioso tanto che i rapporti si fecero molto tesi raggiungendo il culmine quando al Nasr fece giustiziare il governatore mussulmano di Calatrava accusandolo di tradimento: per questo gli an-dalus parteciparono alla battaglia ma di mala voglia. L’esercito cristiano era formato da una alleanza di quasi tutti gli stati cristiani di Spagna: ad essi si volevano aggiungere cavalieri venuti dal resto d’Europa ( gli ultramontani, venuti cioè da oltre i Pirenei). Questi volevano, però, sradicare l’islam cosa che i sovrani cristiani invece non volevano affatto perché avevano sudditi mussulmani : per questo solo pochi cavalieri ultramontani combatterono poi effettivamente. La battaglia si risolse con la disfatta completa dei mussulmani. Tuttavia i cristiani non poterono sfruttare la vittoria perchè subito dopo la alleanza si sfaldò e ogni regno torno a seguire una propria politica particolare essendo ormai venuto meno il pericolo esterno.

LA CONQUISTA DI GRANADA

Nella seconda metà del 200 gli stati cristiani ripresero l’offensiva e alla fine del secolo conquistarono tutta la Spagna tranne il califfato di Granada che cadde solo nel 1492, due secoli dopo: in tutto questo tempo ci fu una ampia tolleranza religiosa. Con le conquiste i re cristiani si trovarono ad avere molti sudditi mussulmani e poiché questi erano generalmente più evoluti dal punto di vista economico e culturale i mussulmani formavano una specie di classe dirigente amministrativa ed economica dei regni cristiani. D’altra parte Granada mussulmana poteva sussistere solo con il benestare cristiano e quindi si guardava bene dal perseguitare i cristiani . La situazione venne a mutare profondamente verso la fine del '400 con l’affermarsi dello stato assolutistico. Nello stato medioevale il potere centrale era debole ed esercitava una scarso controllo sul territorio che era invece sostanzialmente amministrato localmente dai feudatari o dalle comunità ( comuneros). In questo contesto erano del tutto compatibili comunità religiose diverse ciascuna delle quali si governava con proprie leggi religiose. Ma in Spagna come in Francia e Inghilterra si andava affermando la monarchia assoluta nella quale il sovrano prendeva effettivamente il controllo del territorio e la nobiltà perdeva la sua autonomia fornendo i quadri dell’esercito del re e dell’amministrazione dello stato. Con una lunga e accorta politica matrimoniale tutta la Spagna si trovava unita con il matrimonio di Ferdinando il Cattolico e Isabella di Castiglia. In realtà si trattava solo di una unione dinastica perché i regni restavano distinti giuridicamente e la formazione di un regno unitario in Spagna avvenne solo un secolo dopo al tempo di Filippo II. Di fatto, però, l’unita era costituita .Le forze unite si rovesciarono sull’ultmo stato islamico di Granada che si difese accanitamente e si arrese nel 1492 con la promessa della tolleranza religiosa verso i mussulmani .

Ma la politica di tolleranza religiosa veniva a rovesciarsi per le esigenze dell’assolutismo monarchico. Gli ebrei nello stesso anno furono cacciati dalla Spagna cosi come era già avvenuto in Inghilterra ( 1290) e Francia (1322) . Verso i mussulmani cominciò una politica di emarginazione, di repressione per sottrarsi alle quali i mussulmani dovevano convertirsi al cristianesimo. Una parte dei mussulmani infatti accettò la conversione che era in genere solo formale mentre continuavano a seguire i precetti islamici. In questo quadro entra allora in scena la terribile Santa Inquisizione. Essa non aveva potere su i non cristiani . ma quelli che si erano dichiarati cristiani ricadevano sotto la sua giurisdizione. Quindi essa indagava, scopriva e puniva inflessibilmente quelli che si erano detti cristiani ma seguivano le pratiche mussulmane considerandoli eretici.

La questione dei mussulmani di Spagna ( moriscos) si protrasse ancora per oltre un secolo: le ultime comunità furono disperse nel 1614 in seguito ad una ennesima rivolta.

Si affermo invece il principio della “limpieza de sangre” ( purezza del sangue) che non era, come può sembrare, un concetto razzistico biologico ma storico culturale: in indicavano con questa espressione quelle persone che non essendo discendenti da mussulman,i erano certamente veramente cristiani e non nascostamene mussulmani. (marranos) Una parte dei mussulmani, però, si converti effettivamente al cristianesimo ed entrarono nella nazione spagnola: gli spagnoli attuali hanno quindi anche degli antenati mussulmani.

Conclusione

Non si può contrapporre una tolleranza islamica a una intolleranza cristiana. Cristiani e mussulmani ebbero pressappoco lo stesso grado di tolleranza che in genere fu molto alto in Spagna in cui convissero negli stessi stati appartenenti ad ambedue le religioni. La fine della convivenza e della tolleranza non ebbe tanto motivazioni religiose quanto politiche . Fu l’affermazione dello stato assolutistico moderno a emarginare i non cristiani cosa che accadde poi anche nel resto dell’Europa relativamente agli ebrei.
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Re: Il mito della tolleranza islamica

Messaggioda Berto » lun giu 12, 2017 6:42 am

Origini della famigerata tolleranza islamica. Fatto o finzione?
http://islamicamentando.altervista.org/ ... a-finzione
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Re: Il mito della tolleranza islamica

Messaggioda Berto » lun giu 12, 2017 6:42 am

Il mito della tolleranza in Andalusia(di Guglielmo Piombini su Radici Cristiane n. 39)

http://hispanismo.org/italiano/17543-il ... lusia.html

Nel suo fondamentale studio Eurabia, Bat Ye’or ha rivelato al pubblico l’esistenza di un progetto di graduale trasformazione del vecchio continente in un appendice del mondo arabo-musulmano, perseguito attraverso le strutture del cosiddetto “dialogo Euro-Arabo”, un ombrello di organizzazioni controllato dalle élite politiche dell’Unione Europea e del mondo arabo.
Eurabia

L’Eurabia è essenzialmente un progetto politico che mira alla simbiosi tra Europa e mondo musulmano per ricreare, come ai tempi dell’Impero Romano, un nuova entità politica che abbracci tutto il Mediterraneo.

Gli strumenti che le élite politiche stanno mettendo in atto per realizzare questo obiettivo sono: la promozione dell’immigrazione di massa di musulmani in Europa, la presentazione benevola della storia e della religione musulmana nelle università e nei mezzi d’informazione, la lotta al Cristianesimo e alle identità nazionali, la promozione del multiculturalismo, l’introduzione di reati d’opinione come l’islamofobia per colpire giudiziariamente le critiche all’islamismo.
Il mito andaluso

Un progetto del genere, che sarà verosimilmente osteggiato dalla popolazione europea autoctona, necessita di miti ideologici per essere portato avanti. Il più diffuso è senza dubbio il “mito andaluso”, secondo cui la Spagna medievale prima della Reconquista cristiana rappresentava un bellissimo esempio di tolleranza e pacifica convivenza tra musulmani, cristiani ed ebrei.

Quel modello dimostrerebbe che un islam illuminato esiste ed è esistito, e che una società multiculturale a prevalenza islamica, cioè il futuro che le élite eurabiche stanno preparando per il vecchio continente, non deve far paura a nessuno.
Peccato che le ricerche storiche più approfondite abbiano dimostrato che quello della tolleranza andalusa, a dispetto della sua continua diffusione nei media politicamente corretti, non sia altro che un vero e proprio capovolgimento della realtà.

La conquista e l’occupazione islamica della Spagna furono caratterizzate infatti da un continuo uso della violenza. La Spagna venne invasa nel 710-716 d.C. da tribù arabe originarie della penisola arabica, che compirono immense razzie, schiavizzazioni, deportazioni e uccisioni delle popolazioni conquistate.
La maggior parte delle chiese vennero convertite in moschee. Dopo la conquista seguì la colonizzazione della penisola iberica attraverso una massiccia immigrazione berbera e araba.

Nelle regioni iberiche che si vennero a trovare sotto una stabile controllo islamico i cristiani e gli ebrei vennero relegati, come in tutto il resto del mondo islamico, nella condizione di dhimmi, vera e propria forma di apartheid su base religiosa che si manifesta attraverso il pagamento di una tassa, la jizya, e molte altre forme umilianti di sottomissione dei popoli “infedeli” ai padroni musulmani.
La società andalusa venne infatti divisa per caste, con al vertice i conquistatori arabi, seguiti dai colonizzatori berberi, dagli iberici convertiti all’islam (chiamati Muwalladun) e infine dai dhimmi cristiani (detti mozarabi) ed ebrei.

In quanto cittadini di infima classe, i dhimmi non potevano costruire nuove chiese o sinagoghe né restaurare quelle vecchie; erano segregati in speciali quartieri, dovevano portare abiti che li rendessero riconoscibili ed erano soggetti ad una pesante tassazione speciale; nelle campagne i contadini cristiani diventarono una classe servile al servizio dei padroni islamici; feroci rappresaglie mediante mutilazioni e crocifissioni punivano implacabilmente i mozarabi che chiedevano aiuto ai re cristiani.
Esempi di convivenza islamica…

L’umiliante status imposto ai cristiani e la confisca delle loro terre provocarono continue rivolte, punite con massacri, a Toledo (761, 784-86), Saragozza (dal 781 al 881), Cordoba (805), Merida (805-813, 828) e di nuovo a Toledo (811-819).
Talvolta gli insorgenti vennero crocifissi, come prescrive il Corano alla sura 5, 33 («La ricompensa di coloro che fanno la guerra ad Allah e al Suo Messaggero e che seminano la corruzione sulla terra è che siano uccisi o crocifissi, che siano loro tagliate la mano e la gamba dai lati opposti o che siano esiliati sulla terra»). La rivolta di Cordova dell’818 venne repressa con tre giorni di massacri e saccheggi, al termine dei quali trecento notabili cristiani vennero crocifissi e ventimila famiglie espulse.

Al-Andalus rappresentava la terra del jihad per eccellenza. Ogni anno, talvolta anche due volte all’anno, dalle regioni meridionali della penisola iberica partivano i raid dei musulmani per la conquista di bottino e schiavi nei regni cristiani del nord della Spagna, nelle regioni basche, nella Francia e nella valle del Rodano.

I corsari andalusi attaccavano e invadevano le coste dell’Italia, della Sicilia e delle isole egee, saccheggiando e bruciando tutto quello che incontravano. Migliaia di persone vennero deportate come schiavi in Andalusia, dove il califfo manteneva una milizia composta da decine di migliaia di schiavi cristiani catturati in ogni parte d’Europa, e un harem di donne cristiane catturate.

Uno dei più importanti giuristi arabo-andalusi dell’epoca, Ibn Hazm di Cordoba (morto nel 1064) scriveva che Allah aveva stabilito la proprietà degli infedeli al solo scopo di fornire bottino ai musulmani.
Anche la dinastia berbera degli almohadi, che regnò in Spagna e Nord Africa dal 1130 al 1232, arrecò enormi distruzioni alla popolazione cristiana ed ebrea. Questa devastazione, realizzata mediante massacri, prigionie e conversioni forzate, è stata raccontata da alcuni scrittori ebrei, come il cronista Abraham Ibn Daud e il poeta Abraham Ibn Ezra.

Quando non erano convinti della sincerità delle conversioni degli ebrei all’islam, gli inquisitori musulmani (che precedettero di tre secoli quelli cristiani!) sequestravano i bambini di quelle famiglie per affidarli ad educatori musulmani.
Nel suo libro Moorisch Spain lo storico Richard Fletcher conclude quindi che «la Spagna dei Mori non fu una società tollerante e illuminata nemmeno nelle sua epoca più raffinata».
Un piano di scristianizzazione

Questa terribile eredità della dominazione musulmana nella penisola iberica è rimasta impressa fino ad oggi nella memoria degli spagnoli. Ogni anno, in una tradizione che risale al XVI secolo, i villaggi spagnoli festeggiano la liberazione dai Mori durante i festival “Moros y Cristianos”, nei quali viene distrutta e bruciata l’effigie di Maometto (chiamata “la Mahoma”).

Solo dopo l’attentato dell’11 marzo 2004 alla stazione di Madrid, che ha fatto 192 vittime, alcuni villaggi, come quello di Boicarent vicino a Valencia, hanno deciso di interrompere la plurisecolare tradizione per paura di ritorsioni.
Da parte sua il governo socialista di Zapatero, salito al potere solo grazie all’effetto dell’attentato, ha approvato un piano che limita l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche e che prevede finanziamenti per l’insegnamento della religione islamica e per la costruzione di moschee a favore del milione di musulmani che già vivono nel Paese iberico.

Il cardinale Antonio Maria Rouco Varela ha denunciato la politica filo-islamica dei socialisti come un tentativo di cancellare secoli di storia spagnola per riportare il Paese alla situazione precedente alla Reconquista.

È prevedibile che questo progetto di sradicamento forzato dell’identità cristiana della Spagna, se mai andrà in porto, non riporterà in auge una nuova Andalusia “tollerante e multiculturale”, che non è mai esistita se non nelle menzogne di chi falsifica la storia per professione, ma riporterà in vita i secoli più tragici della storia spagnola.
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Re: Il mito della tolleranza islamica

Messaggioda Berto » lun giu 12, 2017 6:44 am

Tolleranza islamica

http://www.vietatoparlare.it/tolleranza-islamica

10 gennaio 2011

(…) Cos’è la tolleranza islamica? Questa domanda suscita una importante considerazione “gnoseologica”. Il significato che diamo alle parole dipende dalla nostra cultura. Pertanto quando parliamo con un musulmano di tolleranza, pace, giustizia, fratellanza, morale, bontà, innocenza, elemosina ecc, non è assolutamente sicuro che intendiamo le stesse cose, anzi è certo che i concetti espressi da queste parole siano profondamente diversi.

Per sapere se l’islàm è una religione tollerante, dobbiamo esaminare

1) i testi sacri, in primis il Corano, integrato dalla Sunna o Tradizione, costituita dagli ahadith, i detti e i fatti del Profeta e dalla Sira, la biografia del Profeta.

2) la shari’a, cioè la legge islamica ricavata dalla rivelazione divina, cioè dai testi sacri, elaborati e interpretati dai giureconsulti islamici ( fuqaha, sing. faqih).

3) la storia dell’islàm, per valutare l’applicazione pratica della shari’a nella storia degli imperi musulmani.

1) i testi sacri

Potrei utilizzare tutto il tempo a disposizione leggendo e commentando i vari versetti coranici, ma è una cosa che potete fare da soli, infatti, non bisogna bruciare il Corano, bisogna leggerlo. Preferisco quindi esporvi i concetti, citando soltanto Sura e numero dei vari versetti.

Il Corano è la diretta parola di Dio rivelata a Maometto dall’arcangelo Gabriele. Non è un racconto o un testo ispirato, è la ripetizione esatta delle parole di Allah rivelate a Maometto, Suo messaggero. Si tratta quindi di parole eterne, immutabili nel tempo e nello spazio.

Purtroppo troviamo versetti tolleranti (pochi) e versetti violenti (moltissimi). La rivelazione del Corano non è stata istantanea, ma si è compiuta in un periodo di 23 anni (dal 610 al 632, anno della morte di Maometto). E’ interessantew notare che i versetti tolleranti sono stati rivelati all’inzio della missione profetica di Maometto, alla Mecca e sono man mano diventati meno tolleranti dopo l’Egira a Medina (622) per diventare decisamente violenti verso la fine (Sura 9)

Alla Mecca, in 13 anni di predicazione, Maometto aveva convertito meno di un centinaio di persone e si era reso inviso ai notabili Meccani che, dopo numerosi tentativi inefficaci di trovare un compromesso decisero di passare alle maniere forti, provocando la fuga dei musulmani a Medina. In questo periodo la predicazione di Maometto fu intransigente dal punto di vista dottrinale (monoteismo assoluto) ma conciliante con Ebrei e Cristiani, di cui ripeteva a grandi linee il messaggio, e anche con i politeisti.

Dopo l’egira il tono della rivelazione cambiò e prescrisse di combattere gli infedeli. Il motivo di questa aggressività risiedeva nella convinzione che chi rifiutava di riconoscere la verità dell’annuncio fatto da Maometto, commetteva un’ingiustizia. Diventava quindi “colpevole” di miscredenza e la miscredenza era di per sé un’aggressione contro l’islàm.

C’è una evidente discrepanza tra i versetti tolleranti rivelati alla Mecca e quelli violenti e aggressivi rivelati a Medina. La brillante soluzione alle contraddizioni del Corano è il “Principio di Abrogazione”, in Arabo “Annaskh wa al manswkh” (L’abrogante e l’abrogato) proposto dallo stesso Corano:

Non abroghiamo un versetto né te lo facciamo dimenticare, senza dartene uno migliore o uguale . Non lo sai che Allah è Onnipotente? (CORANO 2:106)

In base a questo versetto quelli rivelati posteriormente hanno la prevalenza su quelli rivelati anteriormente. Pertanto, siccome i versetti tolleranti sono quelli rivelati alla Mecca prima dell’Egira, mentre quelli violenti sono quelli rivelati posteriormente, a Medina, dopo l’Egira, ovviamente hanno la prevalenza sui versetti meccani.

Rimane un dubbio: come può un versetto rivelato da Allah non essere vero e perfetto come tutto quanto viene da Dio che è perfezione assoluta? La risposta è semplice, se non per noi, almeno per una mentalità semitica. Tutti i versetti sono veri e da applicare, sia quelli tolleranti che quelli intolleranti. Ciò significa che sia la tolleranza che l’intolleranza sono lecite e ammesse, anche se l’intolleranza è preferibile, in quanto prescritta da versetti posteriori, quindi di maggior rilevanza. In pratica ogni musulmano è libero di scegliere il corso di azione che reputa migliore.

Il fatto è che la misura della morale è la vittoria dell’islàm, cioè della verità sulla menzogna e sull’ignoranza. Non esiste un bene assoluto nell’islàm, se non la volontà di Allah. Ciò che vuole è giusto e morale, ciò che proibisce è ingiusto e immorale. Anche la verità non è un valore assoluto come per il Cristianesimo. Se ai musulmani la verità fosse dannosa, si è assolutamente autorizzati a mentire. Questa pratica dell’inganno si chiama “Taqiyya” ed ha una precisa autorizzazione coranica:

I credenti non si alleino con i miscredenti, preferendoli ai fedeli. Chi fa ciò contraddice la religione di Allah, a meno che temiate qualche male da parte loro. Allah vi mette in guardia nei Suoi Stessi confronti. Il divenire è verso Allah. (CORANO 3:28)

Ed ecco cosa scrive in merito il celebre commentatore medioevale del Corano, Ibn Kathir (1301-1373), nel suo rinomato Tafsir:

Allah poi disse, (a meno che temiate qualche male da parte loro) intendendo, tranne quei credenti che in qualche area o in qualche tempo temano per la loro sicurezza da parte dei miscredenti.

In questo caso, questi credenti sono autorizzati a mostrare amicizia per i miscredenti, esteriormente, ma mai interiormente. Per esempio, Al-Bukhari ha registrato che Abu Ad-Darda’ disse, “Sorridiamo di fronte a certe persone benché i nostri cuori li maledicono.” Al-Bukhari riferì che Al-Hasan disse, “La Tuqyah (Taqiyya) è permessa fino al giorno della Risurrezione.”

Il fatto è che chiunque si oppone all’islàm e non accetta la missione profetica di Maometto è automaticamente un ingiusto, corrotto, moralmente condannabile, incluso il popolo del Libro che, se fosse onesto, di fronte alla evidente verità del Corano si convertirebbe: se non lo fa è solo per la sua intrinseca immoralità. doppiezza e malafede. Infatti:

Sono certamente miscredenti quelli che dicono: «Allah è il Messia figlio di Maria». (CORANO 5:17)

Dopo queste doverose precisazioni vediamo il famoso versetto 29 della Sura 9, che sta alla base della tolleranza islamica verso le altre religioni.

Combattete coloro che non credono in Allah e nell’Ultimo Giorno, che non vietano quello che Allah e il Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità, finché non versino umilmente il tributo, e siano soggiogati. (CORANO 9:29)

Poiché gli infedeli “(Corano 2:256: coloro che non credono in Allah e nell’Ultimo Giorno, che non vietano quello che Allah e il Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, …, che non scelgono la religione della verità”) sono esseri inferiori e spregevoli (Corano 8:55 Di fronte ad Allah non ci sono bestie peggiori di coloro che sono miscredenti e che non crederanno mai; Corano 98:6 In verità i miscredenti fra gente della Scrittura e gli associatori, saranno nel fuoco dell’Inferno, dove rimarranno in perpetuo. Di tutta la creazione essi sono i più abbietti.), devono essere eliminati. Ma se appartengono alla “gente della Scrittura”, cioè Cristiani ed Ebrei e poi, per ragioni pratiche, Zoroastriani e Sabei, possono essere “ tollerati”, a patto che paghino per la protezione (finché non versino umilmente il tributo) e che si comportino da servi fedeli, obbedienti e riconoscenti (e siano soggiogati).

Quindi, anche senza abrogazione, si dimostra che: “Non c’è costrizione nella religione” Infatti, mentre per i politeisti non ci sono opzioni alternative (conversione oppure morte o schiavitù) per il Popolo del Libro non c’è obbligo di conversione. Possono continuare a praticare la loro “falsa” religione purché siano sottomessi e paghino la “jizya”, con una serie di limitazioni, in vigore ancora oggi in quasi tutti i paesi islamici, che li rendono cittadini discriminati, inferiori ai musulmani.

Il versetto è ulteriormente confermato da molti ahadith; qui riassumo quello N° 4294 di Muslim (Sahih Muslim, Libro 19, N° 4294) che riporta le istruzioni di Maometto a chi andava a combattere contro gli infedeli.

“Maometto disse: di fronte agli infedeli hai solo tre opzioni:

1 chiedere la conversione all’islàm

2 in caso di rifiuto chiedere la sottomissione e il pagamento della jizya

3 in caso di rifiuto combattere, con l’aiuto di Allah”

2) LA SHARI’A

La shari’a, o giurisprudenza islamica è la legge sacra derivata dalla rivelazione coranica e dall’esempio di Maometto, per regolare ogni aspetto della vita quotidiana della comunità musulmana e di ogni singolo musulmano. Nello stato islamico, la shari’a regola anche la vita dei sudditi non musulmani e i rapporti tra loro e i musulmani. I non musulmani, in base al Versetto 9:29 erano soggetti al pagamento di una tassa capitaria chiamata “jizya” che garantiva loro la protezione del governo islamico. Questa “protezione” era chiamata Dhimma e quindi i soggetti protetti erano definiti dhimmi.

In cambio di una relativa libertà di culto (non erano obbligati alla conversione) erano tuttavia sottoposti a una serie di misure restrittive abbastanza stabili nel tempo e nello spazio, fino a tempi recentissimi che garantivano la completa soggezione dei dhimmi allo stato islamico e la discriminazione sociale nei confronti dei cittadini musulmani

Il famigerato versetto 9:29 sta alla base del famoso “Patto di Omar”, che riassume le caratteristiche delle misure discriminatorie previste dalla shari’a, comuni alle 4 scuole classiche di giurisprudenza islamica. La misura più grave era l’obbligo al pagamento dellajizya, a cui si accompagnavano numerose altre limitazioni che discriminavano i dhimmi sia sul piano sociale (non costruire nuovi luoghi di culto, nè riparare quelli esistenti, non costruire edifici più alti di quelli musulmani, non poter risiedere nei quartieri musulmani, non poter seppellire i morti vicino ai cimiteri musulmani ecc) che personale (obblighi di vestire in modo da essere riconoscibili, impossibilità di testimoniare nei tribunali islamici, divieto di proselitismo, divieto di criticare l’islàm e il governo islamico ecc).

Non solo i principi enunciati nel Patto di Omar hanno regolato i rapporti con gli infedeli in tutti gli stati islamici e per tutta la loro storia, ma sono validi ancora oggi, come dimostra la recente pubblicazione (1991) della traduzione inglese di un classico manuale di Giurisprudenza islamica del quattordicesimo secolo, “Reliance of the traveller”. L’opera ha ottenuto l’approvazione della celebre Università Islamica al-Azhar del Cairo che attesta che:

la traduzione Inglese è assolutamente conforme al significato del testo originale, che oltretutto è riportato a margine.

la traduzione Inglese (accessibile ai lettori occidentali) rappresenta la versione ortodossa, valida anche oggi, della “shari’a”, la Sacra Legge dell’islàm.

La shari’a sta anche alla base della Dichiarazione del Cairo del 5 Agosto 1990, sottoscritta da tutti gli stati membri dell’OIC (Organizzazione della Conferenza Islamica) che comprende i 57 stati Islamici riconosciuti dall’ONU. La Dichiarazione stabilisce la “Carta dei diritti dell’Uomo nell’islàm”, in contrapposizione alla “Carta dei Diritti Universali dell’Uomo” dell’ONU. In questo documento, i due articoli finali (24 e 25) subordinano tutti i diritti umani alla shari’a e recitano testualmente:

Articolo 24: Tutti i diritti e le libertà enunciate nella presente Dichiarazione sono soggette alla shari’a islamica.

Articolo 25: La shari’a islamica è la sola fonte di riferimento per l’interpretazione di qualsiasi articolo della presente Dichiarazione.

3) La storia

La rivelazione divina ha stabilito regole di vita e di condotta per l’umanità che sono state codificate nella shari’a. Anche i rapporti tra musulmani e infedeli sono stati codificati dalla shari’a. Ovviamente l’applicazione ha subito variazioni nel tempo e nello spazio, essendo applicata in modo più o meno rigido a seconda delle situazioni storiche contingenti e della volontà del governante di turno. Non si può in questa sede ripercorrere tutti i 1350 anni della storia islamica. Mi limiterò a commentare i resoconti storici che ci presentano gli idilliaci rapporti tra le varie comunità religiose negli stati islamici.

La storia che ci viene raccontata sorvola sui secoli di conquiste Arabe e Turche di territori e popolazioni non musulmane e sui metodi della loro sottomissione, ma si concentra solo su alcuni episodi, veri o presunti, creando una vera e propria “metastoria” islamica.

Si intende per “metastoria” una “immaginazione storica” (dal titolo dell’opera di Hayden White del 1973) ossia storia immaginaria, storia mitica o storia mitizzata, ispirata da una ideologia precostituita (spesso, ma non solo, una religione rivelata), utilizzata per dimostrare la realtà del mito, mediante una ricostruzione fantastica della storia a sostegno della tesi ideologica..

Pilastri della metastoria sono:

la “invenzione verosimile” di eventi a sostegno della tesi ideologica.

la “scelta interessata” di eventi reali, con l’esposizione, spesso enfatizzata degli “eventi positivi” utili alla conferma dell’ideologia, con l’esposizione parziale degli “eventi controversi” e con la cancellazione o la negazione degli “eventi negativi”, cioè di quelli contrari alla tesi sostenuta (negazionismo).

la “interpretazione orientata” dei fatti sia inventati, che scelti o negati (in parte o in toto) al fine di far apparire reale una realtà fittizia (teorie del complotto e simili) o guadagnare una giustificazione morale per azioni e decisioni discutibili (giustificazionismo)

La metastoria islamica si basa sulla rappresentazione enfatizzata e distorta di pochi episodi della lunga storia islamica. Abbiamo una interpretazione settaria delle Crociate, dipinte come una aggressione colonialista del pacifico oriente islamico, mentre fu solo una tardiva e inefficace reazione a oltre 4 secoli di jihad islamica contro pacifiche e ricche popolazioni Cristiane, scatenata dalla profanazione dei luoghi più sacri della Cristianità, dalle continue aggressioni sui pellegrini Cristiani e dalla richiesta di aiuto dell’imperatore Bizantino Alessio Comneno, dopo la grave sconfitta subita da Bisanzio a Mazincerta nel 1071, in seguito alla quale aveva perduto gran parte dell’Anatolia.

Abbiamo una rappresentazione idilliaca dell’Andalusia islamica dove musulmani Ebrei e Cristiani avrebbero vissuto in armonia tanto da denominare “Progetto Cordoba” la proposta di costruzione della mega-moschea di New York. In realtà le cose non erano così idilliache, dato che la popolazione dhimmi era sottoposta a gravose tasse che consentivano ai musulmani un benessere non legato alla loro capacità produttiva. L’unica difesa contro la rapacità fiscale della classe dominante musulmana era la conversione, tanto che si giunse a vietare la conversione pur di garantire un adeguato introito fiscale. Per chi non riusciva a pagare la jizya la pena era la schiavitù, pratica ampiamente utilizzata dai musulmani che oltretutto razziavano le terre degli infedeli per procurarsi continuamente nuovi schiavi o per rilasciare i prigionieri catturati dietro adeguato riscatto. Questa pratica continuò fino al XIX secolo.

Che la tanto decantata “Convivencia” Andalusa sia solo una rappresentazione metastorica è documentato dal massacro della popolazione Ebraica di Granada del 1066. Il Sultano aveva nominato suo vizir un Ebreo, Salomon Al-Nagrila, originariamente un commerciante, incaricato poi dell’esazione delle tasse. Il successo come esattore gli procurò la nomina a Vizir, carica che poi fu trasferita al figlio Giuseppe. Purtroppo questa situazione non cambiò la shari’a e le sue regole. La folla musulmana fu aizzata contro i due Vizir dai mullah che sostenevano, shari’a alla mano, che i musulmani non potevano essere sottoposti a un infedele, come era il Vizir Ebreo. Scoppiò una rivolta antiebraica, durante la quale sia Salomon che il figlio Giuseppe furono uccisi, dopo di che la folla si scatenò contro la popolazione Ebraica che fu sommariamente massacrata e i cui beni furono razziati. Si calcola che le vittime abbiano superato le 4000 unità, molte di più del totale degli eccidi antisemiti perpetrati nella valle del Reno durante la prima Crociata da Emico von Leisingen e dai suoi accoliti.

Abbiamo poi la testimonianza di Mosé Maimonide, Ebreo nativo di Cordova, uno dei più grandi intellettuali del medio evo, la cui famiglia fu costretta a fuggire in Marocco nel 1148, quando Maimonide aveva solo 13 anni, a causa delle persecuzioni scatenate dai nuovi governanti della Spagna islamica, gli Almohavidi. Purtroppo anche Fez, dove la famiglia si era rifugiata, non era sicura, per cui Maimonide fuggì nuovamente, rifugiandosi prima ad Acri e poi definitivamente nell’Egitto dei Fatimidi, dove la shari’a era applicata con meno rigore tanto che divenne medico personale del Saladino. Nello stesso periodo si scatenò una violenta persecuzione antiebraica nello Yemen con una politica di conversioni forzate che spinsero Maimonide a scrivere ai suoi correligionari Yemeniti la celebre “Epistola agli Ebrei dello Yemen” in cui descrive e stigmatizza le persecuzioni dei musulmani contro gli Ebrei e in cui definisce il Profeta dell’islàm come il “meshugga”, parola ebraica per “il pazzo”.

Anche l’idea della intolleranza dell’Europa Cristiana rispetto alla tolleranza dell’islàm è smentita dai numeri. Senza voler sostenere che in Europa non ci fu discriminazione antiebraica, bisogna però concludere che fu meno pressante delle persecuzioni antiebraiche dell’islàm. Molti degli Ebrei espulsi dalla Spagna si rifugiarono in altre nazioni Europee (particolarmente Italia e Portogallo) mentre molti si spostarono in Nord-Africa per poi giungere a Istanbul. La popolazione Ebraica di Istanbul crebbe da 20 mila a 40 mila unità, ma in meno di 50 anni ritornò ai livelli pre emigrazione Spagnola. Non solo, ma la popolazione Ebraica dell’impero Ottomano si mantenne stabile, mentre quella dell’Europa Occidentale crebbe stabilmente.

Abbiamo infine l’apprezzamento della tolleranza dell’impero Ottomano come esempio di società multi-razziale e multiculturale, anche se in realtà il miglioramento delle condizioni dei dhimmi dipese dall’influenza delle potenze occidentali su di uno stato ormai in disfacimento. Ma nessuno parla della schiavitù istituzionalizzata nel mondo islamico che raggiunse vette di perfezione mai raggiunte dallo schiavismo Americano. Pochi sanno infatti cosa sia il “devshirne” o tassa del sangue, una pratica Ottomana consistente nel requisire come schiavi dal 10 al 20 % dei bambini maschi, figli dei Cristiani dei Balcani, da istruire come musulmani e da arruolare nel corpo dei Giannizzeri, le truppe scelte del Sultano. Il devshirne fu praticato dal 14° fino alla fine del 17° secolo, periodo in cui la devastazione psicologica delle popolazioni dhimmi era talmente profonda che alcune famiglie auspicavano la scelta dei loro figli come schiavi del devshirne, considerandolo l’unico mezzo per sottrarli alla dhimma e sperare in una possibile elevazione sociale, se pure al prezzo della perdita della libertà e di ogni legame familiare e culturale con la terra di origine.

Ciò per quanto riguarda la storia meno recente. Per quanto riguarda la storia più recente, basta leggere la cronaca giornalistica attuale delle persecuzioni anti cristiane in Egitto, Iraq, Pakistan, Sudan, Nigeria, Indonesia ecc.

Le responsabilità occidentali nell’origine del mito

Attualmente nei paesi musulmani è diffusa una evidente ostilità contro l’occidente e una evidente intolleranza verso le minoranze non musulmane locali; i discorsi sulla tolleranza, invece, sono pronunciati principalmente dagli esponenti e dagli intellettuali musulmani dell’occidente che cercano di accreditare una immagine benevola dell’islàm per ottenere accettazione, accoglienza e benefici.

Questo atteggiamento ben si accorda con il relativismo morale cui si è accennato in precedenza (tolleranza del Corano meccano, intolleranza del Corano Medinese) e con la pratica della Taqiyya.

Ma una grave responsabilità è pure imputabile ai non musulmani, in particolare agli intellettuali, agli artisti e ai politici di casa nostra, responsabilità che ha origini lontane.

Intellettuali

Spesso gli intellettuali si scoprono moralisti e per criticare i costumi del loro tempo indulgono a confronti con altre civiltà ritenute moralmente più corrette. Uno dei primi esempi ci viene fornito dal grande storico romano Tacito che nel suo trattatello “Germania” esaltava le virtù dei barbari Germani, contrapponendole ai corrotti costumi dell’impero romano. Dobbiamo poi ricordare il mito del nobile selvaggio iniziato da Pietro Martire Anglerio (e ripreso molto più tardi da Rousseau) e sviluppato da Montaigne nel suo trattatello “Sui cannibali” in cui apprezzava la buona abitudine dei cannibali Americani di cibarsi dei nemici morti, mentre in Europa si facevano a pezzi i vivi, mangiandone direttamente proprietà e onore (in senso metaforico, ma non troppo). La moda continuò durante l’illuminismo, esaltando le virtù di civiltà esotiche e poco note per criticare per contrasto la società Europea contemporanea. I primi resoconti sulla tolleranza islamica si trovano nelle “Lettere Pastorali” di Pierre Jurieu in cui si esalta la tolleranza dei Maomettani rispetto all’intolleranza Cattolica, per scoprire che Jurieu era un Ugonotto nemico giurato di Bossuet e della chiesa Cattolica. Nel ‘700 poi si ha un profluvio di operette morali di questo tipo, molte delle quali ispirate ai musulmani, o, come si diceva allora, ai Turchi. Così, oltre alle “lettere Cinesi”, alle “lettere di una Peruviana” e alle “lettere di Xo-Ho”, abbiamo le famose “lettere Persiane” di Montesquieu e le “Lettere scritte da una spia Turca”.

A queste prime opere seguono opere più specifiche riguardanti l’islàm, se pure di grande superficialità, anche perché ispirate dalla feroce critica illuminista all’oscurantismo ecclesiastico della Chiesa Cattolica. Si tratta infatti di opere di illuministi atei, tipo Voltaire o di intellettuali protestanti che scrivono principalmente contro la chiesa cattolica. Questa visione edulcorata e totalmente falsa del mondo Ottomano influenzò anche uno storico del calibro di Gibbon che aveva una visione molto superficiale e approssimativa del mondo islamico.

Artisti

Come documentato da numerosissimi rapporti diplomatici del tempo, la situazione sul campo era tutt’altro che rosea, ma si trattava di documenti conservati nelle cancellerie Europee che non raggiungevano il grande pubblico la cui idea dell’oriente e dell’islàm veniva plasmata dai libri scritti con intenti morali e didascalici e non come valutazioni storiche. Così, l’dea della tolleranza islamica si diffuse anche tra gli artisti: basti ricordare Mozart, col suo “Il ratto dal serraglio” basato sull’idea del “Turco generoso”! Col romanticismo l’idea di un islàm benevolo e socialmente avanzato esplose col romanzo pseudostorico. Possiamo ricordare tra gli autori più celebri del tempo (oggi un poco meno noti) Sir Walter Scott che dipinge le tenzoni cavalleresche tra Cristiani e Saraceni, Washington Irving (1783-1859) con i suoi “Racconti dell’Alhambra” che ci racconta le meraviglie dell’Andalusia islamica e François-René de Chateaubriand che ci racconta la triste fine dell’Emirato di Granada nelle “Avventure dell’ultimo degli Abencerages”. Purtroppo la finzione romanzesca di questi autori romantici aveva poco da spartire con la realtà della vita quotidiana dei dhimmi sottoposti ad ogni tipo di vessazione.

Politici

L’apertura del mondo islamico all’occidente si ebbe dopo l’invasione Napoleonica dell’Egitto nel 1798, che fu uno shock inaspettato per la società Ottomana sicura da secoli di essere la migliore e più potente società possibile. E’ dopo questa spedizione che in Europa iniziano seri studi del vicino Oriente, studi che continuano fino a metà del XX secolo. Ma, fin quasi dall’inizio, le contese tra le varie potenze Europee interferirono con la valutazione onesta dell’islàm e della società che aveva prodotto.

Iniziamo con l’invenzione della Tolleranza Ottomana e della sua meravigliosa cultura interrazziale, propagandata dalle potenze Europee in funzione antirussa. Chi ricorda la guerra di Crimea, parte del famoso Risorgimento Italiano? chi erano i belligeranti? Anche gli alleati dell’impero ottomano non si amavano e, temendo di non riuscire ad arraffare le sue spoglie, e quindi di consentire il rafforzamento dei loro avversari, si impegnarono a sostenerlo, convincendo l’opinione pubblica che il sistema tollerante dell’islàm Turco era la ricetta migliore per governare le popolazioni balcaniche Cristiane Orientali, slave, greche, armene e bulgare. La cosa non funzionò e si arrivò alla prima guerra mondiale; gli Ottomani si schierarono con Austria e Prussia e la loro resistenza a Gallipoli bloccò l’avanzata degli alleati nel mar Nero, favorendo la caduta del regime zarista del 1917 e l’allungamento della guerra.

Seguirono le schermaglie post belliche in cui Francia e Inghilterra, potenze vincitrici, si preoccuparono di spartirsi la maggior parte del medio-oriente, abbandonando al loro destino le popolazioni dhimmi e cercando di ingraziarsi la maggioranza Arabo-musulmana, inventandosi un immaginario e improbabile panArabismo nazionalista e laico che riuscì solo a preparare il terreno per il panislamismo aggressivo odierno. Anche questa operazione era basata sulla propaganda, utilizzata per convincere l’opinione pubblica occidentale della tolleranza islamica e quindi della possibilità di organizzare il medio oriente in unità nazionali Arabe ove Cristiani Ebrei e Musulmani potessero vivere come cittadini con pari diritti, dimenticando 13 secoli di soggezione, discriminazione e persecuzione religiosa.

Si arriva così alla seconda guerra mondiale, in cui, nonostante i tentativi di Inghilterra e Francia di guadagnarsi il favore degli Arabi, questi si schierano decisamente con le forze totalitarie dell’asse, contro le democrazie, commettendo l’ennesimo errore e subendo l’ennesima sconfitta. Da notare che dopo la sconfitta si arriva alla miracolosa fondazione dello Stato di Israele all’ONU, con il voto favorevole determinante del blocco sovietico (che disponeva di 5 voti: bastava che ne mancassero solo 3 per bocciare la mozione!), il voto favorevole personale del Presidente Americano Truman, in contrasto con il parere ferocemente avverso del suo Dipartimento di Stato, in mano ai petrolieri dell’ArAmCo, e con la pilatesca astensione della Gran Bretagna.

In seguito contò solo il petrolio e l’enorme potenza economica dell’Arabia Saudita che consentì di finanziare, con vagoni di petrodollari, la propaganda islamica non solo nelle moschee del mondo occidentale ma specialmente nelle Università Americane ed Europee.

Conclusione

In conclusione possiamo dire che l’islàm è una religione e un sistema di vita tollerante verso le minoranze discriminate e soggiogate. La tolleranza dipende dal fatto che a soggetti definiti inferiori dalla shari’a è consentito vivere e lavorare al fine di pagare tasse che consentano ai loro padroni islamici un immeritato benessere, ma, come per la gallina dalle uova d’oro, non bisogna esagerare: se la popolazione dhimmi viene troppo vessata, alla fine diventa improduttiva e non risulta più utile alla società islamica dominatrice; si riscatena allora l’intolleranza contro i dhimmi che rimangono sempre e comunque cittadini di seconda classe.

Pertanto la finta “tolleranza” islamica deve essere assolutamente rifiutata e bisogna imporre agli islamici il principio che tutti gli esseri umani sono uguali e con identici diritti e doveri per il solo fatto di essere umani. Essere musulmano non deve procurare alcun particolare vantaggio e non esserlo non deve comportare alcun particolare svantaggio: solo così si potrà eliminare lo scandalo della “tolleranza islamica”.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Il mito della tolleranza islamica

Messaggioda Berto » lun giu 12, 2017 6:49 am

La Sicilia araba tollerante? Ecco cosa insegna la storia
PASQUALE HAMEL

http://siciliainformazioni.com/pasquale ... -la-storia


Ma è proprio vero che negli anni in cui gli arabi furono padroni della Sicilia, parlo dei secoli dal IX al XI, l’Isola sia stata un luogo di tolleranza di pace? La risposta, alla luce di quanto normalmente si racconta, sembrerebbe scontata. Ci si potrebbe accontentare, per averne conferma, di leggere un capolavoro della storiografia ottocentesca come “Storia dei musulmani in Sicilia” di Michele Amari.

Amari, con puntualità, ripercorre infatti quel periodo rilasciandocene un’immagine particolarmente positiva, per cui, chi legge l’opera dello storico siciliano si fa un’idea ben precisa del periodo della dominazione araba come di una parentesi luminosa della storia siciliana. Fino a qual punto questa di Amari può essere considerata una corretta rappresentazione di quel tempo?

Diciamo subito che Amari, non è solo un grande storico, è anche un uomo impegnato politicamente e che la sua cultura è figlia di quelle sensibilità intellettuali proprie di molti uomini dell’Ottocento motivati dalla lotta all’oscurantismo e al tradizionalismo. Amari è infatti dichiaratamente anticlericale e sicuramente massone e, in quanto tale, vede la Chiesa e le sue istituzioni come il fumo negli occhi.

Non meraviglia, dunque, che la sua ricerca storica sia stata influenzata da forti pregiudizi ideologici e culturali. Scriveva Goethe che “scrivere la storia è un modo di sbarazzarsi del passato”, nel caso di Amari potremmo dire che, proprio le sue passioni politiche, c’è un recupero del passato per poterlo utilizzare a giustificazione di un’idea. Così, il nostro storico, dovendo portare acqua al mulino della propria visione del mondo, trova corretto occuparsi ed enfatizzare un periodo, per fortuna breve, della storia siciliana, quello appunto della presenza musulmana, caricandolo oltremisura di positività. E, siccome di quel periodo la ricerca storica non si era fino ad allora occupata, la narrazione del grande intellettuale siciliano non ha trovato contraddittori fino al punto da essere accettata senza contraddittori.

Oggi, però, le cose per fortuna sono alquanto cambiate, storici di rilievo si sono spinti infatti nello spazio di ricerca dove sembrava fosse stato detto tutto o quasi. Fra gli altri, due bei libri, quello di Alessandro Vanoli “La Sicilia Musulmana” e quello di Salvatore Tramontana “L’isola di Allah”, hanno aperto brecce nella visione consolidata dell’Amari violando e ridimensionando la visione paradisiaca che lui stesso ci ha regalato.

Ci siamo chiesti, in avvio del discorso, se la Sicilia islamica fosse quell’esempio di tolleranza che è stato tramandato ai posteri e la risposta non può che essere quantomeno problematica perché alla luce dei documenti pervenuti bisogna riconoscere che la tesi di Amari deve essere riconsiderata. La Sicilia al tempo dell’Islam non fu più tollerante di come lo furono altri territori del mondo conosciuto dove un vincitore si è insediato con la forza strappando il dominio ai popoli indigeni.

Infatti, gli islamici, fin dall’inizio della loro avventura siciliana – un’avventura che durò 137 anni a causa della strenua resistenza che i siciliani opposero all’invasore – furono abbastanza rigidi e il loro impegno teso all’islamizzazione dell’isola non fu per niente indifferente. Impegno che non si rivolse solo nei confronti delle istituzioni e delle evidenze architettoniche, creazione di un emirato islamico e trasformazione di chiese e sinagoghe in moschee, ma si rivolse soprattutto nei confronti delle comunità cristiane ed ebraiche.

Non per nulla, in maniera più o meno rigida, fu applicato nel tempo, l’aman del califfo Omar, personaggio reso famoso dalla storia per essere stato responsabile dell’incendio della biblioteca di Alessandria, uno dei più grandi delitti contro l’umanità. Questa sorta di editto, elencava tutta una serie di obblighi o divieti cui erano sottoposti i dhimmi, cioè i non musulmani che vivevano nell’isola. La condizione di dhimmi, diremmo, con linguaggio moderno, di cittadini a diritti limitati, era quella che, secondo il dettato del Corano, veniva attribuita alla gente del libro, cioè agli ebrei e ai cristiani.

Per garantirsi questi pur limitati diritti, i dhimmi dovevano pagare una tassa di capitazione, la jizya e, se proprietari di fondi, dovevano aggiungere la “kharàg” una sorta di sovrimposta sugli immobili che i musulmani non erano tenuti a pagare. Ma erano soprattutto le limitazioni imposte dall’aman di Omar che pesavano sui dhimmi. L’elenco dell’aman indicava diciassette divieti estremamente pesanti e in qualche caso addirittura umilianti. Fra questi divieti, a parte quelli di manifestare e praticare in pubblico la propria fede e di costruzione o riparazione di edifici di culto, ve n’erano alcuni che incidevano sulla vita privata dei singoli.

C’era fra questi l’obbligo di ospitare un musulmano nella propria dimora, quella di cedere i posti a sedere ai musulmani, di non utilizzare selle per le cavalcature o di non costruire edifici che fossero più alti di quelli dei musulmani. Ma c’erano anche imposizioni umilianti come quello di portare segni distintivi per distinguersi dai musulmani; tipico segno distintivo era, ad esempio, l’obbligo di rasarsi la parte anteriore della testa. Questi divieti che, ripeto, non furono sempre applicati rigidamente, e la pesantezza delle imposte applicate, furono lo strumento che consentì di attuare una rapida islamizzazione dell’isola, fatto a cui gli stessi governanti musulmani cercarono di porre un freno per ragioni economiche. Le conversioni facevano venir meno le ingenti risorse provenienti dalle imposte cui erano sottoposti i dhimmi.

Questa situazione vessatoria, ben lontana dalla idea comune di tolleranza cui ci ha abituati certa letteratura, ci da anche la chiave di lettura dello straordinario successo della conquista normanna. Trecento o mille cavalieri normanni che furono, il numero è imprecisato, pur ben armati e motivati, non avrebbero mai potuto battere le migliaia di armati islamici presenti nell’Isola se non avessero avuto l’aiuto dei residenti cristiani cui si aggiunse la sapiente politica di sfruttamento dei conflitti e delle lotte fra i potentati isolani.

Tornando al nostro tema, con buona pace di quanti ancora coltivano il mito della presenza musulmana in Sicilia, bisogna riconoscere che la tolleranza non fu la cifra specifica di quel tempo quanto piuttosto, e anche qui da prendere cum grano salis, del successivo periodo normanno; il Granconte Ruggero d’Altavilla e il figlio Ruggero II, opponendosi alle insistenze di Roma che avrebbe voluto una immediata ricristianizzazione dell’Isola, intuirono infatti che, quel che chiamiamo oggi tolleranza, sarebbe stata una valore aggiunto per il benessere dei loro domini e non ebbero dubbi a farla propria.
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Re: Il mito della tolleranza islamica

Messaggioda Berto » lun giu 12, 2017 6:50 am

Nazismo maomettano = Islam = dhimmitudine = apartheid = razzismo = sterminio
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Re: Il mito della tolleranza islamica

Messaggioda Berto » lun giu 12, 2017 6:56 am

Come muore una religione
Il Foglio
di Philip Jenkins

http://www.ilfoglio.it/gli-inserti-del- ... ione-94206

Anticipiamo alcuni estratti de “La storia perduta del cristianesimo”, di Philip Jenkins. Il volume, edito da Emi (352 pp., 20 euro), da pochi giorni in libreria. Jenkins, professore emerito alla Penn State University in Pennsylvania, è ora docente di Storia e Scienze religiose alla Baylor University, in Texas.

Le religioni muoiono. Nel corso della storia, alcune religioni svaniscono del tutto, altre si riducono da grandi religioni mondiali a una manciata di seguaci. Il manicheismo, una religione che un tempo attirava adepti dalla Francia alla Cina, non esiste più in alcuna forma organizzata o funzionale; né esistono più le fedi che, mezzo millennio fa, dominavano il Messico e l’America Centrale. In alcuni casi le religioni possono sopravvivere in qualche parte del mondo, ma si estinguono nei territori che un tempo erano considerati le loro patrie naturali. Per mille anni l’India è stata prevalentemente buddhista, fede che ora risulta marginale in quella terra. Una volta la Persia era zoroastriana, la maggior parte della Spagna musulmana. Non è difficile trovare paesi o addirittura continenti che un tempo furono visti come le terre natali di una determinata fede, in cui tale credo è oggi estinto; e queste catastrofi non riguardano solo credenze primordiali o “primitive”. I sistemi che noi consideriamo grandi religioni mondiali sono vulnerabili alla distruzione quanto la fede degli aztechi o dei maya nelle loro particolari divinità. In diverse occasioni anche il cristianesimo è stato distrutto in regioni dove un tempo aveva prosperato. Nella maggior parte dei casi, l’eliminazione è stata tanto meticolosa da cancellare ogni memoria dei cristiani sul territorio, al punto che oggi qualsiasi presenza cristiana da quelle parti è guardata come una sorta di specie invasiva arrivata dall’Occidente. Questa osservazione sulla distruzione delle chiese, però, appare in contrasto con la visione che molti popoli hanno della storia del cristianesimo. Di solito, tale storia viene presentata come il racconto di una costante espansione, dal Medio Oriente all’Europa e infine sulla scena mondiale. Il cristianesimo sembra essersi diffuso liberamente e inesorabilmente, tanto che di rado si ricordano grandi sconfitte e battute d’arresto.

I disastri e le persecuzioni sono rammentati, di solito, come il preludio ad ancora maggiori progressi, come opportunità per offrire una resistenza eroica all’oppressione. I protestanti sanno che la loro fede è sopravvissuta a tutte le persecuzioni e stragi delle guerre di religione; i cattolici ricordano che le peggiori atrocità loro inflitte da regimi protestanti e atei non sono riuscite a far tacere la vera fede. Osservatori più recenti testimoniano la sopravvivenza delle chiese sotto il comunismo, e il trionfo finale simboleggiato da papa Giovanni Paolo II. Come insegna l’inno, la verità durerà, nonostante la prigione, il fuoco e la spada. Chi si interessa alla storia del cristianesimo conosce la fondazione, la crescita e lo sviluppo delle chiese, ma quanti hanno letto i racconti del declino o dell’estinzione di comunità e istituzioni cristiane? Sembra che la maggior parte dei cristiani trovi inquietante la sola idea. Eppure tali eventi si sono sicuramente verificati, e molto più spesso di quanto non si pensi. Nel tardo Medioevo, defezioni di massa e persecuzioni in tutta l’Asia e il Medio Oriente sradicarono alcune comunità cristiane che erano tra le maggiori del mondo di allora: chiese che avevano un legame diretto, in termini di discendenza e di cultura, con il primo movimento di Gesù in Siria e in Palestina. Nel XVII secolo il Giappone eliminò una presenza cristiana che era sul punto di acquisire un reale potere all’interno del paese, e forse di ottenere la conversione dell’intera nazione. Più volte, nel corso della sua storia, l’albero della Chiesa è stato potato e tagliato, spesso selvaggiamente. Questi episodi di espulsione o distruzione di massa hanno plasmato in profondità il carattere della fede cristiana. Oggi siamo abituati a pensare al cristianesimo come a una fede tradizionalmente ambientata in Europa e nel Nord America, e solo gradualmente apprendiamo lo strano concetto che quella religione si propaga su scala globale, poiché il numero dei cristiani sta aumentando velocemente in Africa, in Asia e in America Latina. Il cristianesimo è talmente radicato nel patrimonio culturale dell’Occidente da far sembrare quasi rivoluzionaria una simile globalizzazione, con tutte le influenze che essa può eserci- tare sulla teologia, l’arte e la liturgia. Una fede associata principalmente con l’Europa deve in qualche modo adattarsi a questo mondo più vasto, ridimensionando molte delle proprie premesse, legate alla cultura europea. Alcuni si chiedono addirittura se questo nuovo cristianesimo globale o mondiale rimarrà pienamente autentico, come se le norme europee rappresentassero una sorta di gold standard. Queste domande, tuttavia, non hanno più senso quando ci si rende conto di quanto sia artificiosa l’accentuazione del carattere euroamericano nel contesto più ampio della storia cristiana. La particolare forma di cristianesimo a noi familiare costituisce una svolta radicale rispetto a quella che è stata per oltre un millennio la norma storica: una volta esisteva un altro e più antico cristianesimo. Per la maggior parte della sua storia, il cristianesimo è stato una religione tricontinentale, con potenti rappresentanze in Europa, Africa e Asia, e tale è rimasto fino al XIV secolo inoltrato. In seguito è diventato prevalentemente europeo non perché questo continente abbia affinità evidenti con la fede cristiana, ma per un fatto automatico, perché l’Europa era l’unico continente dove non era stato distrutto. Gli eventi avrebbero potuto avere uno sviluppo ben diverso. Offrendo questa descrizione della caduta delle chiese non europee, non intendo lamentare la fine di un’egemonia cristiana mondiale che non è mai esistita, né tantomeno il fallimento di una resistenza a religioni rivali come l’islam.

Ciò che si deve rimpiangere, piuttosto, è la distruzione di una cultura un tempo fiorente, così come ci si rammarica per la scomparsa della Spagna musulmana, dell’India buddhista o dei mondi ebraici dell’Europa orientale. Con la possibile eccezione di alcuni credo particolarmente sanguinosi o violenti, la distruzione di qualunque significativa tradizione di fede è una perdita insostituibile per l’esperienza umana e per la cultura. Inoltre, l’esperienza cristiana offre lezioni che si possono applicare più in generale alla sorte di altre religioni che hanno subito persecuzioni o sono state eliminate. Se una fede vigorosa e pervasiva come quella del cristianesimo mediorientale o asiatico è potuta cadere nell’oblio totale, nessuna religione può sentirsi al sicuro. E le modalità con cui si è verificata una simile caduta sono di grande interesse per chiunque pensi al futuro di qualsiasi credo o confessione religiosa. Soprattutto, la riscoperta dei mondi cristiani perduti dell’Africa e dell’Asia pone domande che fanno riflettere sulla natura della memoria storica. Come abbiamo fatto a dimenticare una storia così importante? Per quanto riguarda la storia del cristianesimo, che di solito viene strettamente associata alla formazione dell’“Occidente”, molto di ciò che crediamo di sapere è impreciso; mi riferisco ai luoghi e ai momenti in cui gli eventi sono accaduti e a come si sono verificati i cambiamenti in ambito religioso. Inoltre, molti aspetti del cristianesimo che oggi consideriamo tipicamente moderni rappresentavano, in realtà, la norma in un lontano passato: la globalizzazione, l’incontro con altre fedi e i dilemmi della vita sotto regimi ostili. Come è possibile che le nostre mappe mentali del passato si siano così radicalmente distorte? (…)

I teologi affrontano raramente gli inquietanti problemi posti dalla distruzione di chiese e comunità cristiane. E’ importante rendersi conto che tali episodi di declino e scomparsa, per quanto poco vengano studiati e discussi, sono abbastanza frequenti. La scristianizzazione è uno degli aspetti meno studiati della storia del cristianesimo. In parte, la mancanza d’interesse nei confronti delle chiese che scompaiono è dovuta a ragioni pratiche, in quanto le organizzazioni sul punto di dissolversi tendono a non documentare la propria estinzione. Quando si trovano nella fase ascendente, i movimenti o le congregazioni producono storici che ricercano con affettuosa cura i documenti di fondazione e registrano tutte le fonti possibili relative agli inizi. Il testo fondante della storia del cristianesimo è la Storia ecclesiastica di Eusebio, che mise insieme ogni frammento di informazione, leggenda o diceria si potesse trovare sulle origini del movimento cristiano nascente del IV secolo. John Foxe, nel XVI secolo, non fu meno scrupoloso nella raccolta di informazioni su tutti gli eroi e martiri i cui sacrifici posero le basi delle nuove chiese protestanti.

Ma per contrasto si immagini una Chiesa in via di dissoluzione. Gli edifici di culto cadono in rovina o vengono abbandona- ti, non si trovano successori per gli episcopati, mentre i comuni fedeli, in preda allo scoraggiamento, si rivolgono ad altre fedi. Forse si dà la caccia ai preti e ai monaci, che temono per la loro vita. A un certo punto diventa possibile identificare l’ultimo prete o pastore cristiano in una determinata città o regione, forse anche l’ultimo credente. In tali condizioni disperate, pochi hanno la voglia o la capacità di scrivere la storia del declino e della caduta della loro comunità, e ancora meno di conservarla per i posteri. Quando una fede viene sostituita da un’altra, i suoi ex membri dedicheranno poca attenzione alla decadente letteratura di una religione che ormai considerano antagonista e sbagliata, se non diabolica. Alcuni “zelatori” potrebbero addirittura considerare lodevole la distruzione di quegli antichi scritti: la pia attitudine al rogo dei libri è la ragione per cui sopravvivono pochi testi delle religioni azteca e maya.

Inoltre, nelle epoche che hanno preceduto l’avvento degli attuali mezzi di comunicazione, i compagni di fede in altre terre sapevano o si curavano poco degli eventi lontani. La ragione per cui disponiamo di molte informazioni sulla caduta della Chiesa giapponese è che la sorte dei suoi sacerdoti europei stava moltissimo a cuore ai fratelli cattolici alfabetizzati di Manila e Macao, che conservarono ogni dettaglio sulle loro sofferenze. Una volta che i sacerdoti europei se ne furono andati, nessuno si preoccupò di documentare il destino delle restanti decine di migliaia di umili cristiani nativi. (…)

Dal momento che la distruzione del cristianesimo risulta poco studiata, possiamo fare alcune osservazioni di carattere ge- nerale, sottolineando in particolare il ruolo degli stati. Sebbene le chiese possano perdere influenza politica sotto stati cristiani o in società a prevalenza cristiana, e possano secolarizzarsi, non svaniscono mai completamente come negli esempi africani e asiatici che abbiamo visto. Nella maggior parte di questi casi le chiese crollarono o scomparvero perché erano incapaci di far fronte alle pressioni esercitate su di loro da regimi ostili, soprattutto musulmani. Le religioni possono ammalarsi e indebolirsi, ma non muoiono spontaneamente: bisogna che qualcuno le uccida.

Nel sottolineare il ruolo del conflitto con l’islam, non dobbiamo esagerare la natura intollerante o militarista di quella re- ligione. Alcuni esempi eclatanti di annichilimento di chiese sono stati perpetrati da altre fedi, dai buddhisti, dagli shintoisti o dagli stessi cristiani, particolarmente nel caso dei catari. E l’espansione dell’islam non fu principalmente il risultato di atti di forza e di costrizione da parte di soldati musulmani che imponevano una cruda scelta tra il Corano e la spada. Per molti secoli dopo le conquiste originarie, la grande maggioranza di coloro che accettarono l’islam si convertì volontariamente, per la consueta serie di ragioni che spiegano una simile trasformazione: alcuni cambiarono appartenenza religiosa per convenienza o vantaggio, ma la maggior parte lo fece perché credeva alla nuova religione, che affermava di fornire una rivelazione definitiva della volontà di Dio.

Molte persone comuni probabilmente abbracciarono l’islam per lo stesso motivo che aveva spinto i loro antenati a diventa- re cristiani, cioè per allinearsi al comportamento dei signori locali o di altri notabili. La conversione era facile anche perché l’islam, nei suoi primi secoli, assomigliava al cristianesimo molto più che nelle epoche successive, rendendo la transizione meno radicale. Dal X secolo in poi, molti potenziali convertiti furono attratti dall’esempio di santi e saggi musulmani, i cui poteri carismatici ricordavano quelli dei santi cristiani precedenti. Non c’è niente nelle scritture musulmane che renda la fede islamica più o meno incline ad attuare persecuzioni o conversioni forzate rispetto a qualsiasi altra grande religione.

L’islam crebbe anche in seguito perché i regimi musulmani incoraggiavano l’immigrazione di compagni di fede provenienti da altre terre, che rapidamente sorpassavano in numero le più antiche popolazioni autoctone. Il cambiamento religioso è comunemente discusso in termini di conversioni, ma spesso si tratta di trasferimenti di popolazione piuttosto che di cambiamento di convinzioni personali. Come avvenne nelle Americhe dopo la conquista spagnola e portoghese, la conversione di un’area a una nuova fede non significa necessariamente che la fedeltà della sua intera popolazione sia garantita. Piuttosto, i vecchi abitanti possono essere espulsi o ridotti a minoranza e diluiti nella massa della nuova popolazione di origine straniera. Anche nel contesto mediorientale gli immigrati trassero beneficio dal proprio diverso retroterra economico. Gli antropologi rilevano che i popoli dediti alla pastorizia si riproducono per esogamia con i loro vicini agricoltori sedentari, e alla fine ereditano la maggior parte delle terre. Analogamente, l’arabizzazione linguistica e culturale del Medio Oriente fu progressiva, preparando il terreno alla nuova religione dominante. A poco a poco, nel corso di tre o quattro secoli, i musulmani vennero a costituire maggioranze, di solito avvalendosi di mezzi pacifici.

E’ altrettanto innegabile, però, che molti cristiani e altri (ebrei e zoroastriani) furono spinti ad accettare la nuova fede per mezzo di persecuzioni o della discriminazione sistematica esercitata nel corso dei secoli. Le terre conquistate dall’islam durante la sua espansione iniziale erano, per la maggior parte, principalmente cristiane, e la maggior parte della popolazione mantenne la propria fede finché pressioni intollerabili non la spinsero ad accettare la conversione. Ma il cristianesimo non si limitò a seguire un lento declino per scivolare nell’oblio. Nei mondi cristiani dell’A- frica e dell’Asia, i secoli XII e XIII videro una diffusa rinascita culturale in molti paesi e in molte lingue. Tali movimenti produssero alcuni dei massimi pensatori e scrittori del Medioevo cristiano. Solo intorno al 1300, all’improvviso, si abbatté la scure.

Questo accento sulla coercizione sembra contraddire la visione moderna che attribuisce all’islam, per quasi tutto il corso della sua storia, una natura essenzialmente tollerante; un’immagine spesso associata alle visioni idealizzate dell’amichevole coesistenza che si ritiene abbia prevalso nella Spagna medievale, la convivencia. Ma la coesistenza in alcuni luoghi e tempi non preclude la persecuzione in altri. Proprio come accadeva nell’Europa cristiana nei confronti della propria popolazione ebraica, le buone relazioni sociali tra musulmani e cristiani potevano durare per decenni o addirittura per secoli. Ciò nonostante, nel mondo islamico come in Europa, la persecuzione quando scoppiava poteva essere selvaggia e devastare la comunità di minoranza; e in entrambi i casi il XIV secolo vide un crescendo di violenza e discriminazione. I musulmani attaccarono i cristiani accusandoli di sovversione e tradimento, e persino di complottare spettacolari attentati terroristici alle moschee e ai monumenti pubblici più famosi. Tali teorie divennero plausibili in seguito all’introduzione della nuova super arma: la polvere da sparo.

In tutto il mondo, infatti, gli anni intorno al 1300 produssero una fortissima tendenza all’intolleranza religiosa ed etnica, un movimento che va spiegato in relazione a fattori globali, piuttosto che meramente locali. Gli effetti delle invasioni mongo- le sicuramente fecero la loro parte, terrorizzando i musulmani e altre nazioni con la prospettiva di una minaccia diretta al loro potere sociale e religioso. Anche i fattori climatici divennero critici, perché si verificò un periodo di rapido raffreddamento che provocò cattivi raccolti e una contrazione delle rotte commerciali. Un mondo spaventato e impoverito cercava capri espiatori. In tali circostanze, al minimo pretesto i governi e le folle musulmane sferravano colpi quasi fatali alle chiese cristiane indebolite. Ancora oggi gli estremisti jihadisti si ispirano agli autori musulmani che in quel periodo sostenevano la linea dura e li prendono a modello nella sfida alle nazioni infedeli.

Spesso, nel corso della storia, i cristiani africani e asiatici hanno dovuto affrontare la realtà delle guerre di religione. L’islam non tendeva unicamente alla persecuzione, e i regimi musulmani generalmente non si comportavano peggio degli altri. Gli stati cristiani hanno poco di che vantarsi riguardo al trattamento delle minoranze religiose. Per lunghi periodi della storia musulmana, infatti, gli atti di violenza religiosa furono rari e sporadici. Anche quando si considerano incidenti in cui forze musulmane hanno distrutto comunità cristiane, occorre chiedersi se quei grup- pi agivano in nome della religione, o se l’islam era solo per caso la fede di popoli o tribù di invasori che applicavano i metodi eccezionalmente distruttivi della guerra nomade. In altre occasioni, invece, si può parlare senza esitazione di jihad a sfondo religioso. Tutte le tradizioni religiose hanno teologie militari loro proprie – indù, cristiani e buddhisti; e non si deve esonerare l’islam da questa categoria. Chi ritiene che per l’islam l’aggressione costante e la tirannia spietata sulle minoranze siano un fatto congenito deve fornire una spiegazione della natura benevola della dominazione musulmana durante i primi sei secoli; ma i sostenitori della tolleranza islamica troveranno altrettanto faticoso spiegare gli anni successivi dell’esperienza storica di quella religione.

Così ampie, infatti, furono le persecuzioni e le decimazioni delle minoranze, dal Medioevo fino al XX secolo, che è sorprendente notare quanto poco si siano depositate nella coscienza popolare, o quanto facilmente sia stato accettato il mito della tolleranza musulmana. Fattori di distorsione della memoria sono il totale oblio in cui sono cadute le comunità cristiane non europee, e il presupposto che le realtà dei nostri giorni siano sempre esistite come noi le conosciamo. A chi è abituato a un Medio Oriente quasi totalmente musulmano sembra incredibile che sia esistita una situazione diversa, e che tale situazione potesse svilupparsi in un altro modo.
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Re: Il mito della tolleranza islamica

Messaggioda Berto » lun giu 12, 2017 7:55 am

Dalla newsletter del sito Morash°, Kolot (Voci), riprendiamo un articolo di Carlo Panella sull'antisemitismo islamico:

http://www.informazionecorretta.com/mai ... nt=preview


Una consolidata tradizione storiografica vuole che gli ebrei nei paesi islamici abbiano sempre trovato una tolleranza e uno standard di vita incomparabilmente migliori, rispetto a quello dei paesi cristiani. Suffragata da documenti storici che -al di fuori di quelli della Genjza del Cairo- riguardano palesemente strati superiori delle comunità ebraiche (ricchi mercanti e rispettati rabbini in testa), questa tradizione configge radicalmente con la memoria storica di cui sono ancora oggi portatori gli ebrei sefarditi scacciati negli ultimi cinquanta anni dai paesi arabi.

Solo una articolata ricerca storica che ponga al centro documenti e memoria delle comunità sefardite nei paesi islamici degli ultimi trecento anni -di cui si avverte una necessità fortissima e che molti hanno già iniziato- potrà dare una conferma -improbabile- o una smentita -certa- al mito della "tolleranza islamica nei confronti degli ebrei". La previsione di questo esito scontato, deriva da una lettura della diffusione capillare, violenta e volgare dell'antisemitismo nei paesi islamici. Antisemitismo virulento, che non può certo essere addebitato ai riflessi del conflitto arabo-israeliano, anche perché si basa su archetipi storici di lontanissima memoria, come l'accusa degli omicidi rituali per impastare il pane azzimo o altre follie similare (vedi il libro "Il pane azzimo di Sion", del numero due del regime siriano Mohammed Tlas), collegato ai fatti di Damasco del 1840.

Al di là di questo dato, è inoltre indiscutibile, come ho dimostrato nel mio libro Antisemitismo islamico da Maometto a Bin Laden (Lindau 2005), che il principale archetipo dell'antisemitismo moderno -"il complotto ebraico"- sia di origine squisitamente maomettana e sia filtrato nella tradizione europea (su questo tutti gli storici sono concordi), solo dopo il XIV° secolo.

La vicenda storica di Maometto e della fondazione della sua prima comunità della Medina, riflesse nel Corano e nella Sunna, come è noto, costituiscono l'archetipo della "politeia" islamica. Il rifiuto ebraico della conversione, il supposto -ma indimostrato- tradimento delle tre tribù ebraiche che vivevano nella Medina a fianco degli "idolatri", le punizioni successive (esilio per due tribù e infine sgozzamento nel 627 Dc dei 650 maschi dei banu Quraizah), segnano i pasi del mutato atteggiamento del Profeta nei confronti degli ebrei e la nascita dell'ossessione del "complotto ebraico". A partire dalla morte del Profeta (anche'essa falsamente attribuita ad una ebrea falsamente convertita), lungo tutta la storia dell'Islam, ogni crisi della umma, a partire dalla guerra civile tra sciiti e sunniti, viene attribuito dalla tradizione musulmana a un qualche "complottatore ebreo" (che in ogni caso non è mai esistito come figura storica).

Oggi, numerosi documenti dell'Islam fondamentalista, vuoi della Arabia Saudita, vuoi della grande area che fa riferimento ai Fratelli Musulmani, vuoi dello sciismo khomeinista, continuano quella tradizione e inquadrano la vicenda storica di Israele non come un conflitto nazionalista tra sionisti e palestinesi, ma, appunto, come ennesimo e definitivo "complotto ebraico". Una mirabile sintesi di questa paranoia è contenuta nello statuto di Hamas:
"Questi nostri nemici (gli ebrei, ndr.) erano dietro la Rivoluzione francese, la Rivoluzione russa e molte rivoluzioni di cui abbiamo sentito parlare, di qua e di là nel mondo. E' con il denaro che hanno formato organizzazioni segrete nel mondo, per distruggere la società a promuovere gli interessi sionisti. Queste organizzazioni sono la massoneria, il Rotary club, i Lions Club, il B'nai B'rith e altre. Sono tutte organizzazioni distruttive dedite allo spionaggio.
Con il denaro il nemico ha preso il controllo degli Stati imperialisti e li ha persuasi a colonizzare molti paesi per sfruttare le loro risorse e diffondervi la corruzione.

A proposito delle guerre locali e mondiali tutti sanno che i nostri nemici hanno organizzato la Prima guerra mondiale per distruggere il califfato islamico. Il nemico ne ha approfittato finanziariamente e ha preso il controllo di molte fonti di ricchezza; ha ottenuto la Dichiarazione Balfour e ha fondato la Società delle Nazioni come strumento per dominare il mondo. Gli stessi nemici hanno organizzato la Seconda guerra mondiale, nella quale sono diventati favolosamente ricchi grazie al commercio delle armi e del materiale bellico e si sono preparati a fondare il loro Stato. Hanno ordinato che fosse formata l'Organizzazione delle Nazioni Unite, con il Consiglio di Sicurezza all'interno di tale organizzazione, per mezzo della quale dominano il mondo."

Un ossessione, si badi bene, che non è affatto figlia dei Protocolli dei Savi di Sion (come erroneamente si crede, anche a causa di una lettura troppo affrettata di Bernard Lewis), ma che la precede e la determina, come ben spiega l'ayatollah Khomeini (che non cita mai i Protocolli) nel terzo paragrafo del suo fondamentale testo sul "Governo islamico" del 1970: "Fin dal principio il movimento islamico venne tormentato dagli ebrei, i quali diedero inizio alla loro attività reattiva, inventando falsità circa l'Islam, attaccandolo e calunniandolo. Ciò è continuato sino ai nostri giorni. Poi sopravvenne la funzione di gruppi che possono essere considerati più malvagi del demonio e delle sue schiere".
Oggi, il presidente iraniano Ahamadinejad si inserisce in questa tradizione, rilanciandola come baricentro di una nuova aggressiva strategia planetaria, imperniata sulla bomba atomica. Una strategia che combina la deterrenza atomica all'impiego della guerra asimmetrica-terroristica (secondo il modulo impiegato da Hezbollah in Libano), non solo per difendere interessi di potenza regionale (come erroneamente pensano le varie cancellerie, Farnesina inclusa), ma per "esportare la rivoluzione islamica", programma per cui è stato eletto.

Ahmadinejad, nel suo recente discorso all'Onu ha definito uno schema interpretativo delle relazioni internazionali basato proprio sul concetto di "complotto ebraico", sostenendo che proprio le sue trame determinano l'indegnità morale delle Nazioni Unite. Ha pronunciato una condanna netta, volgare della legittimità antifascista dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, ha negato l'esistenza della Shoà, ha proposto un nuovo assetto dell'Onu, basato sull'esclusione di fatto dell'asse sionista-americano e sull'alleanza che aveva appena siglato nei giorni precedenti con il peggiore caudillismo populista latinoamericano (anch'esso esplicitamente antisemita) di Hugo Chavez e di Evo Morales.

L'antisemitismo peggiore, l'apoteosi del "complotto ebraico", diventa così sotto i nostri occhi un protagonista centrale del confronto internazionale, addirittura del dibattito sulla riforma dell'Onu. Un fronte di nazioni orgogliosamente antisemite -tanto che ne fanno una chiave di lettura della storia- sta cementando una alleanza internazionale sul fertile terreno del Movimento dei Non Allineati. La implosione del totalitarismo sovietico (anch'esso venato di antisemitismo) lascia il campo ad un emergente identità aggressiva dei paesi del terzo mondo produttori di petrolio (Iran e Venezuela in testa), che ha nell'antisemitismo il suo baricentro.
E' ora che il mondo della politica, della cultura e del giornalismo, accecati dal politically correct e dall'inerzia di metodi d'analisi crollate venti anni fa col Muro, se ne rendano conto.
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Re: Il mito della tolleranza islamica

Messaggioda Berto » lun giu 12, 2017 7:56 am

Nella storia dove è arrivato l'Islam è poi sempre avvenuta la guerra civile e religiosa e lo sterminio di tutti i diversamente religiosi e pensanti
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