Religione e religiosità come ossessione

Re: Religione e religiosità come ossessione

Messaggioda Berto » mar mar 21, 2017 12:28 pm

MARIO GIORDANO “MASSACRA” PAPA FRANCESCO: COME FA A PREGARE ALLAH? IL SUO GESTO È UNA RESA NEI CONFRONTI DI CHI MASSACRA PER MOTIVI RELIGIOSI! VI SPIEGO PERCHE’
14 marzo 2017
http://www.soloitaliani.com/2017/03/14/ ... ego-perche

Sarà pur stata un’“adorazione silenziosa”, e non una vera e propria preghiera.
Sarà pur stato un gesto simile a quello compiuto da Benedetto XVI nel 2006, come s’affanna a precisare il preoccupato portavoce della Santa Sede. Sarà tutto quel che si vuole, ma fa un certo effetto vedere il Papa che si mette a mani giunte verso la Mecca nella Moschea Blu di Istanbul, mentre l’imam recita i versetti del Corano. E fa ancor più effetto pensare che quel Corano è lo stesso che, poco distante da lì, gli islamici usano per eccitare le folle a squartare i cristiani, a impalarli e crocefiggerli. A spazzarli via.

C’è un contrasto troppo forte fra il Papa che rispetta fino all’ultimo tutti i riti dell’Islam, si toglie le scarpe e s’inchina al “mihrab”, e gli islamici che a pochi chilometri dalla Moschea Blu non rispettano nulla dei cristiani. Non le loro chiese, non le tradizioni, non i riti. E nemmeno la loro vita.

Papa Francesco vuole dialogare con l’Islam, si capisce.
Ma come si fa a dialogare con chi non vuole farlo? Come si fa dialogare con chi vuole solo abbatterti? Come si fa a dialogare con chi vuole piantare la bandiera del Califfato in piazza San Pietro? Il dialogo è una parola bellissima, che permette discorsi straordinari, preghiere comuni, gesti esemplari. Ci si toglie le scarpe insieme. Ci si inchina alla Mecca. Ci si trova d’accordo con l’imam e il gran muftì. Ma poi, in realtà, gli islamici non vogliono dialogare. L’hanno dichiarato apertamente: vogliono conquistarci. E distruggerci.

L’Islam buono e l’Islam cattivo?
Una favola. Se fosse vero che i terroristi sono pochi fanatici marginali, non li avrebbero forse già messi a tacere? Non li avrebbero combattuti? Non li avrebbero almeno condannati con durezza? Invece no. Non sento dure condanne unite del mondo islamico contro gli orrori dei tagliagole. Non vedo mobilitazioni dei pellegrini della Mecca per fermare le mani dei loro confratelli. Non vedo fremiti di sdegno contro i massacri che vengono perpetrati contro i cristiani. Anzi: vedo silenzio. Quasi compiacimento. E, anzi, vedo fremiti di anti-cristianità che scuotono tutto il mondo arabo e arrivano perfino in Paesi che fino a ieri laici e nostri amici. A cominciare proprio dalla Turchia che sta scivolando sempre di più nell’Islam radicale, che non a caso sostiene sottobanco le milizie dell’Isis. E il cui presidente Erdogan ha appena riunito i 57 Paesi islamici per incitarli alla rivolta contro di noi: «L’Occidente ci sfrutta, vuole le nostre ricchezze – ha detto -. Fino a quando sopporteremo?».

Qualcuno ha cercato di spiegarmi che c’è pure una differenza tra il gesto di Benedetto XVI (che in moschea si fermò in raccoglimento ma non giunse le mani in preghiera) e quello di Francesco (che invece le ha unite, proprio come se stesse pregando). Se fosse vero, sarebbe un motivo in più per rimanere un po’ perplessi. Ma per rimanere perplesso a me basta, per la verità, vedere un Papa che si rivolge alla Mecca insieme con gli islamici proprio mentre molti islamici che si stanno rivolgendo alla Mecca hanno le mani sporche del sangue dei cristiani.

Mi pare che, dopo il famoso discorso Ratzinger a Ratisbona e la furiosa reazione che ne seguì da parte dei musulmani, i cattolici siano stati costretti a piegarsi. Noi facciamo gesti distensivi e loro moltiplicano i massacri. Noi costruiamo per loro moschee e loro distruggono le nostre chiese. Noi ci inchiniamo ai loro simboli nei nostri Paesi e loro non ci permettono di mostrare i nostri nei loro Paesi. Noi ascoltiamo i versetti del Corano con ammirazione e loro minacciano di declamarli dal Cupolone di San Pietro. Che vogliono trasformare all’incirca in un parcheggio dei loro cammelli.

Capisco l’ansia di Papa Francesco, che è un grande comunicatore, di costruire ponti con tutti: con gli islamici e con i non credenti (Eugenio Scalfari). Ma per costruire i ponti ci vogliono due cose. Primo: bisogna che dall’altra parte non ci sia chi ti vuol sgozzare o annientare, altrimenti è un autogol. Secondo: bisogna che i pilastri siano saldi, tutti e due. E il dubbio è proprio questo: il pilastro dell’Islam è saldo, quello dei non credenti pure. Ma il pilastro cattolico? È incerto. Barcollante. Sradicato. In effetti: non abbiamo radici. Le stiamo perdendo. L’Europa non ce le riconosce. Le chiese si svuotano. I preti invecchiano. I ragazzi non vanno più a catechismo. Dopo la cresima c’è la fuga. I valori del matrimonio e della vita sono messi costantemente in discussione. La famiglia tradizionale è massacrata. Come si può dialogare se non si hanno più valori da rappresentare? Come si possono aprire le porte agli altri, se non si è fortemente saldi dei propri principi? Se i propri valori sono stati attaccati, messi in vendita e liquidati?

In queste condizioni il ponte rischia di crollare. Non per il gesto del Papa, non per una preghiera rivolta alla Mecca, non per la Moschea Blu circondata da Paesi rosso sangue. Il ponte rischia di crollare perché lanciamo gittate in avanti senza assicurarci della nostra tenuta. Non perché loro sono violenti, ma perché noi siamo deboli. E perché anziché rafforzare la nostra debolezza, ci esponiamo alla loro forza. Al loro fanatismo. Alla loro violenza. Fino al giorno in cui sarà troppo tardi.

E ci accorgeremo che quello che ci ostiniamo a chiamare dialogo, in realtà è un loro monologo. O, peggio, una loro invasione. La conquista definitiva. E allora addio cattolici: rivolgersi alla Mecca non sarà più un gesto distensivo. Ma un comando del padrone islamico.
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Re: Religione e religiosità come ossessione

Messaggioda Berto » mer mar 22, 2017 9:20 am

Dementi idolatri islamici della jihad nazista mussulmana
viewtopic.php?f=188&t=2537

Spiritualità e religiosità non sono la stessa cosa
viewtopic.php?f=24&t=2454

Idolatria e spiritualità naturale e universale
Teista, Ateo, Idolo, Idołatra, Aidoło
viewtopic.php?f=24&t=2036
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Re: Religione e religiosità come ossessione

Messaggioda Berto » ven mar 24, 2017 2:11 pm

Bandire il Nazismo Maomettano, il suo Corano e la sua Sharia
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 1673428520

Bandire l'Islam prima che distrugga l'Europa e il Mondo
viewtopic.php?f=188&t=2374


CARO MONDO...
di Gheula Canarutto Nemni

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 6964822555

Caro mondo che ti eri illuso che i pedoni venissero travolti solo nelle strade di Gerusalemme. Che speravi coltelli e pugnali colpissero alle spalle solo chi cammina su marciapiedi contesi. Che ti sei lasciato ingannare da titoli mediatici e tesi geopolitiche, che descrivono il medio oriente come un universo a te molto, molto, lontano.

Caro mondo che hai nascosto la testa nella sabbia per non sentire le avvisaglie di una guerra interna. Che hai chiuso gli occhi davanti all'esodo degli ebrei dall'Europa nel 2017, davanti agli attacchi terroristici che hanno falciato donne, uomini e bambini nelle entrate delle scuole ebraiche, alla cassa degli Hyper Casher.

L'Europa non è un insieme di stati nati da una risoluzione ONU nel 1948. L'Europa non è stata fondata da popoli che ritornavano sulla propria terra. La legittimità dell’Europa non è mai stata messa in discussione da politici, attori e movimenti boicottatori.
Eppure anche a Londra, Nizza, Parigi, Berlino, Anversa, ci sono terroristi che si buttano con la propria macchina sulla folla, assassini che ammazzano a sangue freddo ragazzi che ballano in una discoteca.

Perché accade tutto questo anche lontano da Israele, mondo, te lo sei mai chiesto? Cosa accomuna quello che gira con il pugnale per le strade israeliane e chi lo fa di fronte al parlamento inglese?

Caro mondo, solo se aprirai gli occhi e capirai chi hai davanti, solo se ti scuoterai dal tuo torpore pacifista intriso di tolleranza gratuita, potrai dire di avere fatto qualcosa per salvare il domani dei tuoi figli.

Vogliono toglierti i valori che hai conquistato con grande fatica, utilizzando la tua voglia di integrazione per disintegrarti.

Odiano la tua cultura, la tua democrazia. Odiano i balli, la musica, la diversità.

Caro mondo, solo se troverai dentro di te il coraggio di chiamare terrorista chi travolge la folla che con gli occhi verso il cielo sta guardando i fuochi d'artificio sulla boulevard des Anglais, chi si lancia contro persone mentre sono alla ricerca di un regalo nei mercatini di Natale. Non sono ubriachi, lupi solitari, depressi, non sono individui con problemi comportamentali.
Sono terroristi e stanno spargendo sangue innocente dove si parla l’inglese, il francese, il tedesco. E l'ebraico.

Non vogliono solo il ritorno ai confini del '67. Non vogliono solo un pezzo di terra d'Israele. Vogliono tutta Israele. Vogliono tutta l’Europa. Vogliono il mondo intero.

La verità e la coerenza sono armi potenti. Tirale fuori dai tuoi arsenali prima che sia troppo tardi.
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Re: Religione e religiosità come ossessione

Messaggioda Berto » mar mar 28, 2017 8:11 pm

Spritualità islamica
https://www.facebook.com/67390272609196 ... 4894387748

Sicuramente è megli essere atei.
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Re: Religione e religiosità come ossessione

Messaggioda Berto » gio mar 30, 2017 1:41 pm

Questa è la consegna di Maometto a tutti i suoi seguaci mussulmani:

" ... nel marzo 632 Maometto affermò, nel suo discorso d’addio:
“Mi è stato ordinato di combattere tutti gli uomini fino a quando non diranno che non c’è altro Dio fuori di Allah”.

Ogni buon maomettano o mussulmano o islamico deve stare alla consegna di Maometto come ordinato da Allah, chi non lo facesse non sarebbe un vero mussulmano.


Jihad o goera "santa" xlamega on cremene contro l'omanedà
viewtopic.php?f=141&t=1381

Nella storia, ovunque sia arrivato l'Islam e si sia fatto forte minoranza o maggioranza è poi sempre avvenuta la guerra civile e religiosa per imporre la legge islamica o Sharia a cui ha sempre fatto seguito l'islamizzazione forzata violenta e lo sterminio degli altro credenti.
viewtopic.php?f=188&t=1895

Nazismo maomettano = Islam = dhimmitudine = apartheid = razzismo = sterminio
viewtopic.php?f=188&t=2526
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Re: Religione e religiosità come ossessione

Messaggioda Berto » gio mar 30, 2017 1:42 pm

"La società aperta non è spalancata, i suoi nemici credono di avere la Verità"
Il filosofo liberale spiega il concetto politico chiave del pensiero di Popper, le sue mistificazioni, i rapporti con la religione e il cristianesimo, la necessità di non tollerare gli intolleranti e i violenti
Gianluca Barbera - Mer, 29/03/2017

http://www.ilgiornale.it/news/spettacol ... 80193.html

Dario Antiseri, classe 1940, filosofo liberale e cattolico tra i più autorevoli e maggiormente tradotti nel mondo, nella primavera del 1964 ebbe l'opportunità di conoscere a Vienna il grande filosofo di origine austriaca naturalizzato britannico Karl Popper, padre della teoria della «falsificabilità» (Logica della scoperta scientifica, 1935), rivoluzionaria in campo scientifico e densa di conseguenze anche in altri ambiti, nonché teorico della «società aperta» (La società aperta e i suoi nemici, 1945), opera chiave della politologia contemporanea, e in particolare del pensiero liberale, che tuttavia ha atteso decenni prima di venire pubblicata in Italia per le ragioni approfondite da Bruno Lai nel saggio Popper in Italia.

Le disavventure di un filosofo politico (Armando, Roma, 2001).

«Società aperta»: un concetto ormai tanto usato e spesso abusato. Come si configura nel pensiero di Popper?

«La società aperta è la società che è aperta a più valori, a più visioni del mondo filosofiche e religiose, a più proposte politiche, e quindi a più partiti, alle critiche più incessanti e severe dei diversi punti di vista. La società aperta è aperta al maggior numero possibile di idee ed ideali diversi e magari contrastanti. La società aperta, pena la sua autodissoluzione, è chiusa solo agli intolleranti e ai violenti. In altri termini: la società aperta è aperta, ma non spalancata. E siccome sappiamo che la libertà non si perde tutta in una volta, il prezzo della libertà è l'eterna vigilanza...».

Certo, la libertà non è un dato anagrafico... e si può perdere. Società aperta e libertà vivono e muoiono insieme. Chiarita l'idea di società aperta, risulta chiaro anche il suo contrario, cioè l'idea di «società chiusa». E ben si comprendono le argomentazioni critiche che Popper rivolge contro Hegel e Marx, «falsi profeti» e nemici della società aperta...

«Nella società aperta è sempre Popper a parlare gli uomini hanno imparato ad assumere un atteggiamento in qualche misura critico nei confronti dei tabù e a basare le loro decisioni sull'autorità della propria intelligenza, dopo una discussione. E se la società aperta trova il suo primo, anche se non unico presupposto nella fallibilità della conoscenza umana, il primo fondamento della società chiusa sta esattamente nella presunzione di quanti si reputano legittimi possessori di verità assolute, interpreti del giusto ed ineluttabile senso della storia o illuminati da una indiscutibile visione di società perfetta. Costoro saranno divorati dallo zelo di imporre questa loro presunta Verità assoluta, e la loro politica sarà inevitabilmente come insegna la storia di ieri, ma anche quella di oggi una politica di carnefici. La società chiusa è una società magica, collettivistica, crudele. È una società bloccata e pietrificata, è sempre l'esito di una tenace follia per tornare e restare nella gabbia della tribù».

Platone edifica uno dei monumenti della storia del pensiero politico, La Repubblica, fondandolo su una domanda capitale: «A chi spetta governare?». Questo è l'interrogativo che si pone Platone e che Popper contesta. Questa domanda le pare mal posta? I teorici della politica non hanno risposto e non rispondono forse a tale domanda?

«La domanda non solo è mal posta, ma è addirittura irrazionale, e questo per la semplice ragione che essa ci manda alla ricerca di ciò che non esiste. Non esiste un individuo, un ceto, una razza, una classe... che sia venuta al mondo con l'attributo della sovranità sugli altri. La giusta domanda afferma Popper è un'altra: Come controlliamo chi comanda?, cioè: Come possiamo organizzare le istituzioni in modo da evitare che governanti cattivi o incompetenti facciano troppo danno?. È questa la domanda sottesa alla società aperta. La democrazia consiste nel mettere sotto controllo il potere politico. È questa la sua caratteristica essenziale».

Restando sempre in argomento, a lei, filosofo cattolico, debbo necessariamente porre questa domanda: come mettiamo insieme la laicità di uno Stato che non vogliamo più assoluto e la tradizione fondata sulle nostre radici giudaico-cristiane? Per essere ancora più chiari: non c'è una stridente antinomia tra la concezione cristiana della vita e la laicità dello Stato?

«Lei, dunque, mi chiede se l'essere cristiano sia compatibile con la laicità dello Stato. Ebbene, a chi sembra dubitarne e a quanti si ostinano a negare tale compatibilità, io mi permetto di rivolgere quest'altra domanda: lo Stato laico cioè la Società aperta o Stato di diritto sarebbe stato possibile senza il messaggio cristiano? Attraverso di esso ha fatto irruzione nella storia degli uomini l'idea che il potere politico non è il padrone della coscienza degli individui, ma che è la coscienza di ogni uomo e di ogni donna a giudicare il potere politico. Per il cristiano solo Dio è il Signore, l'Assoluto. Lo Stato non è l'Assoluto: Káisar (Cesare) non è Krios (il Signore). E con ciò il potere politico è stato desacralizzato, l'ordine mondano relativizzato e le richieste di Cesare sottoposte al giudizio di legittimità da parte di coscienze inviolabili, di persone fatte ad immagine somiglianza di Dio. La secolarizzazione con un mondo non più sacro e con un uomo che, per quanto possa illudersi, non è Dio, è una chiara conseguenza del messaggio evangelico. Il messaggio cristiano libera l'uomo dall'idolatria: il cristiano non può attribuire assolutezza e perfezione a nessuna cosa umana. È, dunque, per decreto religioso che lo Stato non è tutto, non è l'Assoluto».

Queste sue argomentazioni paiono mal conciliarsi con larghi strati di popolazioni europee ormai dimentiche delle radici cristiane nelle quali affonda la loro tradizione...

«Questo è il vero dramma dell'Europa dilaniata da un irrefrenabile cupio dissolvi. E resta valido l'ammonimento di Rosmini: Chi non è padrone di sé, è facilmente occupabile. Senza le idealità cristiane l'Occidente non esisterebbe e non potrà seguitare ad esistere. Certo, la Grecia ha passato all'Europa l'idea di razionalità come discussione critica, per cui, per dirla con Percy Bysshe Shelley, noi tutti siamo greci, ma è anche vero, come ha scritto Wilhelm Röpke, che soltanto il Cristianesimo ha compiuto l'atto rivoluzionario di sciogliere gli uomini, come figli di Dio, dalla costrizione dello Stato. Fu per semplice osservanza della verità che Benedetto Croce volle precisare in "Perché non possiamo non dirci cristiani" che il Cristianesimo è stata la più grande rivoluzione che l'umanità abbia mai compiuto. E ne La società aperta e i suoi nemici è un ateo come Popper a riconoscere del tutto apertamente che gran parte dei nostri scopi e fini occidentali, come l'umanitarismo, la libertà, l'uguaglianza, li dobbiamo all'influenza del Cristianesimo. I primi cristiani ritenevano che è la coscienza che deve giudicare il potere e non viceversa. E la coscienza, come ultima corte di giudizio nei confronti del potere politico, in unione con l'etica dell'altruismo, è diventata la base della nostra civiltà occidentale. Non si può dare torto a Thomas S. Eliot quando afferma che se il Cristianesimo se ne va, se ne va tutta la nostra cultura. E allora si dovranno attraversare molti secoli di barbarie».

La scienza non risponde per principio alle domande più importanti per l'uomo. La filosofia non salva. Dunque, in che direzione possiamo rivolgere lo sguardo?

«Se permette, tento di risponderle con le parole di Norberto Bobbio: La grande filosofia è scomparsa, non c'è nessuna conquista filosofica che valga. E procedimenti di ricerca che permettono un sapere totale (che è poi l'onniscienza, il sapere di Dio, sarete come Dio') con la stessa certezza e la stessa pratica efficacia con cui la scienza ha conquistato di volta in volta un sapere parziale, nessuno sinora li ha trovati. Ora, però, se è vero che non c'è nessuna riconquista filosofica che valga, esiste ed è esistita urgente, sempre pressante, la domanda filosofica che è richiesta di senso. E richiesta di senso chiarisce Bobbio significa bisogno di dare un senso alla propria vita, alle nostre azioni e alla vita di coloro verso i quali dirigiamo le nostre azioni, alla società in cui viviamo, al passato, alla storia, all'universo intero. È così che Bobbio torna alla domanda metafisica fondamentale: Perché l'essere e non il nulla? Perché ci sono cose, uomini, animali, piante, stelle, galassie, in una parola il mondo e non invece il non-mondo?. Insomma: Perché l'universo e non il non-universo?. Tale interrogativo, ad avviso di Bobbio, è una richiesta di senso, che rimane senza risposta, o meglio rinvia ad una risposta che mi par difficile chiamare ancora filosofica».

Se è difficile chiamare ancora filosofica la risposta alla domanda filosofica, questa risposta di che natura è... e dove trovarla?

«Quel che io penso senza per altro presumere che la mia idea sia la giusta interpretazione del pensiero di Bobbio è che la risposta alla richiesta di senso sia una risposta di natura religiosa. Wittgenstein: Pensare al senso della vita significa pregare; Credere in un Dio vuol dire vedere che la vita ha un senso; Il senso della vita, cioè il senso del mondo, possiamo chiamarlo Dio. La scienza dà risposte parziali e la filosofia pone solo domande senza dare le risposte. Ma, proprio perché le grandi risposte non sono alla portata della nostra mente, l'uomo rimane un essere religioso, nonostante tutti i processi di demitizzazione, di secolarizzazione, tutte le affermazioni della morte di Dio, che caratterizzano l'età moderna e ancor più quella contemporanea».

Lei ha scritto: «Da tutta la scienza non possiamo estrarre un grammo di morale». Le chiedo: come è allora possibile fondare quei valori supremi per i quali, come diceva Kierkegaard, «si può vivere o morire»?

«Se poniamo attenzione alle diversità, esistite nel passato ed esistenti oggi, delle concezioni circa il bene e il male, ma se soprattutto volgiamo lo sguardo alla storia delle vicende e dei conflitti umani, dovremmo allora ripetere con Pascal che il furto, l'incesto, l'uccisione dei figli o dei padri, tutto ha trovato posto tra le azioni virtuose; singolare giustizia, che ha come confine un fiume! Verità di qua dei Pirenei, errore di là. La realtà è che i valori e le norme etiche sono proposte di ideali di vita, di azioni corrette, di leggi giuste, di istituzioni valide ecc. e non proposizioni indicative. L'etica non de-scrive; essa pre-scrive. L'etica non spiega e non prevede; l'etica valuta. Difatti non esistono spiegazioni etiche. Esistono soltanto spiegazioni scientifiche; e valutazioni etiche. Né si danno previsioni etiche (o estetiche). L'etica non sa. L'etica non è scienza. L'etica, per usare un'espressione di Uberto Scarpelli, è senza verità. Tutta la scienza e qualsiasi altra teoria descrittiva, magari metafisica, non può logicamente produrre etica. E non lo può perché da proposizioni descrittive non è possibile dedurre asserti prescrittivi. È questa la nota legge di Hume, in base alla quale ben si comprende, appunto, che da tutta la scienza non è possibile spremere un grammo di morale. Dunque, il pluralismo in etica è una realtà inoppugnabile, ieri come oggi...».

Professor Antiseri, diciamolo chiaramente: pluralismo etico non è sinonimo di quello spettro che è il «relativismo»?

«Le direi che su di un argomento del genere occorre la massima cautela. In realtà è ben vero che, allorché si parla di pluralismo etico, ad esso si abbina subito, in senso dispregiativo, il concetto di relativismo, intendendo con esso che tutte le etiche sono sullo stesso piano, che una vale l'altra e che tutte valgono zero. Va da sé che, intesa in questo senso, l'idea di relativismo è fattualmente falsa, per il semplice motivo che il pluralismo non rende i sistemi etici uno uguale all'altro: ogni sistema etico è diverso dall'altro. Ama il prossimo tuo come te stesso non è la stessa cosa dell'occhio per occhio, dente per dente; non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te non è la stessa cosa di chi grida uccidi l'infedele, stermina l'altra razza, sopprimi la classe borghese facendo attenzione che non bisogna accarezzare la testa di nessuno, potrebbero morderti la mano: bisogna colpirli sulla testa senza pietà...».

Dunque: il pluralismo etico ci «condanna» a essere liberi, liberi e responsabili di ciò che scegliamo e di ciò che facciamo...

«Sì, è così. Predicare l'etica è difficile, fondarla è impossibile, ripete Wittgenstein ricalcando, mutandola, l'espressione di Schopenhauer: Predicare l'etica è facile, fondarla è difficile. Ecco, dunque, dove tutte le etiche sono uguali; per nessuna di esse si è in grado di trovare un fondamento razionale, ultimo e definitivo. Siamo costretti a scegliere. E scegliere ad occhi aperti impone di valutare le conseguenze delle nostre scelte. Il pluralismo dei sistemi etici è una sfida alla coscienza di ogni uomo e di ogni donna. Le nostre scelte non ci giustificano, ci giudicano».
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Re: Religione e religiosità come ossessione

Messaggioda Berto » gio mar 30, 2017 5:27 pm

???

Tahar Ben Jelloun: "Ai nostri figli va detta la verità"
di Gabriele Nissim
30 marzo 2017

https://it.gariwo.net/editoriali/tahar- ... 16861.html

Se oggi gli intellettuali di fede o di cultura musulmana avessero il coraggio di esprimersi pubblicamente con gli argomenti di Tahar Ben Jelloun non solo si farebbe un passo importante nella battaglia culturale e politica contro il terrorismo di matrice islamica, ma si toglierebbe anche spazio a quanti in Europa e negli Stati Uniti cercano di creare un clima di paura e di sospetto nei confronti dei musulmani.

Nel libro Il terrorismo spiegato ai nostri figli Ben Jelloun si rivolge direttamente ai giovani, attraverso un dialogo immaginario con sua figlia, perché è consapevole che si tratta prima di tutto di sconfiggere una visione del mondo che, come tutte le ideologie, può creare dei falsi miti nel mondo giovanile. Ai nostri figli va detta la verità: hanno bisogno di parole scelte con cura, non è solo il sottotitolo indovinato del libro, ma rappresenta un modo di pensare di grande onestà intellettuale.
Se non si affrontano tutte le verità scomode e non si ha una percezione chiara della complessità del fenomeno - suggerisce lo scrittore di origine marocchina - difficilmente si potrà vincere la paura tra la gente.

Le persone non sono solo spaventate perché i terroristi colpiscono a caso in tutti i luoghi della nostra vita civile, dalle piazze, ai mercati, ai teatri, alle metropolitane, agli aeroporti, ma anche perché non riescono a capire quali sono i possibili antidoti per porre argine a una spirale di violenza che sembra senza fine.
Infatti il momento della comprensione ci permette di “accettare il reale con tutto ciò che questo ha di imprevisto e di insopportabile”- come ha spesso scritto Pierre Hadot, un grande studioso della filosofia stoica - e ci dà sollievo perché ci può fare intravedere la strada possibile per sconfiggere questo nuovo male radicale che sconvolge il mondo.

Ben Jelloun spiega a sua figlia che non bisogna trattare i terroristi “come se fossero dei pazzi, degli psicotici, o degli schizofrenici”, ma bisogna prendere molto sul serio il loro modo di pensare. Essi infatti agiscono con degli obiettivi chiari e definiti. Uccidono persone a caso nei luoghi della nostra gioiosa vita civile perché non pensano di colpire degli innocenti, ma individui colpevoli di condurre un’esistenza da miscredenti. Hanno spesso come riferimento lo Stato islamico, ma la loro missione va al di là di un riferimento ideale al Califfato, poiché si sentono come la lunga mano del Profeta che agisce per terrorizzare e punire la nostra società, in vista dell’espansione globale di un Islam che dovrebbe mettere a tacere quella che per loro è la vita decadente dell’Occidente.
La nuova vita dovrebbe dunque per loro sorgere da una punizione, una sorta di apocalisse islamica, i cui effetti non si potranno cogliere nel mondo reale, ma piuttosto nell’aldilà.

Ben Jelloun è categorico nel respingere l’idea che costoro siano figure anormali o persone disturbate. “Pazzo è colui che non è responsabile di quello che fa, mentre i terroristi sono individui consapevoli, preparati da specialisti per uccidere e farsi uccidere.”

Nulla a che vedere, dunque, con la banalità del male descritta dalla Arendt, che descriveva il comportamento della gente comune che abdicava al pensiero e alla responsabilità, quando commetteva i crimini più orrendi.
I terroristi infatti non provano nessuna vergogna nell’uccidere degli esseri umani, poiché sono convinti, come direbbe il filosofo Tzvetan Todorov, che le loro azioni sono programmate a fin di bene. Essi non solo soffocano ogni forma di compassione nei confronti delle vittime designate, ma scelgono consapevolmente il suicidio perché sentono il dovere di portare avanti una missione. Sono dei volonterosi carnefici che poco prima della loro morte amano raccontare sui social network gli obiettivi delle loro azioni.

Ben Jelloun, senza nessuna censura, risponde agli interrogativi di sua figlia, spiegando come i musulmani, se vogliono contrastare le radici del fenomeno terrorista, debbano guardare a quegli scheletri nell’armadio che hanno generato un Islam oscurantista e totalitario, come quello che è stato applicato in Qatar e Arabia Saudita e che è anche alla base dell’ideologia dei Fratelli Musulmani.

È quella corrente dell’Islam che ha avuto come grande ideologo prima Muhammad Ibn Abd al Wahab nel XVIII secolo e poi Sayyid Qutb in Egitto al tempo di Nasser - che lo condannò a morte -, ed è oggi alla base del pensiero della dottrina di al Baghdadi, l’autoproclamato califfo del preteso “Stato islamico”.
Dopo la morte del profeta, l’Islam si è diviso in due scuole: “da una parte c’erano i razionalisti, coloro che dicevano che il Corano era un testo metaforico, da leggere in modo intelligente, e che non va preso alla lettera; dall’altro c’erano i letteralisti, coloro che affermavano con forza che esiste solo un metodo di lettura, quello letterale, senza alcuna distanza e interpretazione. I dibattiti furono lunghi e violenti, ma ahimè sono stati i letteralisti a vincere.” È dunque questa la sfida culturale che i musulmani devono affrontare per creare un Islam moderno e laico.

Ben Jelloun osserva con rammarico un grande vuoto culturale nel mondo musulmano, la mancanza di intellettuali che siano un punto di riferimento per contrastare l’ideologia oscurantista e dare forza al bisogno di modernità a cui ambisce la stragrande maggioranza dei mussulmani che vivono in Europa.
“In nessun luogo si porta avanti un rifiuto teologico delle tesi assurde e medievaleggianti dell’Isis. Per smontare queste tesi bisognerebbe imporre una lettura razionale, intelligente, aperta sia del Corano, sia dei detti del Profeta. Il lavoro sull’Islam dovrebbe essere scientifico, storico, e razionale. Ma dove sono gli intellettuali solidi e determinati capaci di rendere giustizia all’Islam e ai musulmani?”.

I terroristi di oggi non sono però solo degli oscurantisti che guardano alle leggi della Sharia applicate dal califfo, ma hanno introdotto dinamiche che stanno avvelenando le nostre società.
La prima è l’idea di guerra santa che fa riferimento al concetto musulmano di jihad. Questa parola, spiega Ben Jelloun a sua figlia, dovrebbe esprimere in tempo di pace lo sforzo che ogni essere umano deve fare su se stesso per migliorarsi, per essere un buon musulmano che lotta per il bene e contro le ingiustizie. La jihad è un'idea pacifica di impegno personale che possiamo ritrovare in tutte le religioni, o persino nella filosofia classica quando si chiedeva agli uomini di praticare la virtù.

Invece i terroristi pensano soltanto a quando, in tempo di guerra, Maometto invitava a praticare la jihad per la vittoria dell’Islam contro i nemici.

Allora il profeta si esprimeva in modo contradditorio. Da una parte in un hadit (la raccolta dei detti) si raccontava che il Profeta invitava ad essere misericordiosi in guerra: “Andate nel nome di Dio. Combattete i nemici di Dio, che sono i vostri nemici. Troverete in Siria dei monaci che vivono nelle loro celle lontano dalla guerra, non disturbateli. Troverete dei guerrieri votati a Satana, combatteteli spade alla mano. Non uccidete né donne, né bambini, né vecchi. Non strappate né palme, né alberi. Non distruggete alcuna casa”.
Da un’altra parte, nella sura 4 del versetto 90 del Corano, era invece molto più drastico: “Uccidete gli infedeli la dove si trovano. Catturateli, soggiogateli e state all’erta.” Ma che senso ha decontestualizzare un episodio avvenuto ai tempi della Medina per riproporlo nel nostro tempo, si chiede Ben Jelloun?

Oggi, nella vita democratica, non ha senso parlare di guerra santa, quando tutti hanno la possibilità di scegliere liberamente la loro religione. E perché una religione dovrebbe imporsi con la guerra sulle altre?

C’è però un aspetto ancora più inquietante nell’ideologia dei terroristi. Essi hanno rinunciato a pensare al miglioramento della vita, come racconta Yasmina Kadra nel suo bellissimo libro l’Attentato, e guardano soltanto ad un mondo perfetto dopo la morte. Non ha dunque senso per loro la vita, perché l’unica felicità possibile è quella che si può ottenere in un fantomatico paradiso dopo la morte. Il paradosso è che sono convinti che uccidendo il maggiore numero di miscredenti potranno rendere onore a Dio e così trovare la via della felicità.
“Per loro la morte è una sorta di apoteosi, la realizzazione piena e completa di un obbiettivo. Colui che la raggiunge attraverso la jihad prova una gioia infinita, senza limiti, perché arrivando alla morte si assicura un percorso per il paradiso.”

Ben Jelloun spiega a sua figlia come nell’Islam si racconta che i credenti possono ambire ad entrare nella casa di Dio, “dove si esercita la sua misericordia e dove il credente è in perfetto accordo con lo spirito di pace, la pace interiore e cioè l’Islam”. In tante religioni l’idea di paradiso è in realtà un incentivo per vivere in modo virtuoso la nostra esistenza umana. È il coronamento degli sforzi umani alla ricerca di una vita migliore.

Nella filosofia classica si insegna che la maturazione dell’uomo, vedi l’esercitarsi a morire di Platone, significa un percorso che lo porta ad innalzarsi dal proprio particolare all’universale, per guardare il mondo, per trovare la forza di giudicare non dal proprio ego, ma dal punto di vista degli altri. È quanto insegna Baruch Spinoza, che sprona gli uomini a sentire se stessi come parte del tutto, come un anello della stessa sostanza che plasma la natura e tutti gli esseri viventi. È questa la pace interiore a cui può ambire l’uomo virtuoso.
Il paradiso dei jihadisti non ha niente a che fare con tutto questo. È la realizzazione dell’inferno. Il loro “paradiso” è infatti una sorta di nirvana per sfuggire a qualsiasi tipo di responsabilità nel mondo. Amano la morte per sfuggire ad un impegno nella vita. E quando si rifiuta il mondo, diventa lecito e persino piacevole uccidere il maggior numero di esseri umani. Quel paradiso diventa l’alibi per non provare pietas verso gli altri e diventare degli assassini. Immaginano che Dio li premierà per avere distrutto i luoghi gioiosi della convivenza e della pluralità umana che per i terroristi rappresentano il simbolo della decadenza umana.
Quel paradiso diventa poi la proiezione del peggiore istinto maschilista. Vi troveranno delle donne a loro disposizione per soddisfare i loro impulsi sessuali, dopo che nel mondo hanno dovuto fare i conti con una resistenza femminile non disposta più ad accettare un ruolo di sudditanza al potere maschile. Nella vita dell’aldilà si ricompone il ritorno alla donna oggetto che l’imposizione dei veli e dei burqa nelle società più retrive non è mai comunque riuscito ad ottenere del tutto.

Avere sostituito l’istinto umano alla sopravvivenza con il piacere della morte non solo permette loro di compiere le azioni più efferate, ma li rende anche euforici in tutto l’arco di tempo che precede le loro azioni. Si sentono eroi davanti ai loro amici, piacciono alle loro compagne, ritrovano paradossalmente un ruolo sociale e si sentono finalmente qualcuno, dopo una vita che fino a quel momento era piena di fallimenti e non aveva mai trovato un senso. Ecco perché sono entusiasti di raccontare nei video su Facebook l’imminenza delle loro azioni. I giorni prima della morte rappresentano per i terroristi il momento della loro gloria effimera

Ben Jelloun affronta anche un tema rimosso e spesso scomodo nel mondo arabo. L’odio dell’islam politico nei confronti egli ebrei. Non è un caso che i terroristi a Parigi come a Bruxelles abbiano attaccato scuole, musei, luoghi di ritrovo dell’ebraismo. Sull’onda dell’insegnamento delle madrase, finanziate dall’Arabia Saudita e dai wahabiti, è passata l’idea che il grande nemico dell’Islam sia proprio il mondo ebraico.
Si è preso a pretesto un conflitto raccontato nel Corano, quando tra il 622 e il 632 gli ebrei furono accusati di avere rotto un patto stabilito con il profeta. Così da questo episodio - mai contestualizzato, come potrebbero essere centinaia di conflitti raccontati nella Bibbia o nei Vangeli - ne è discesa l’idea della legittimità della guerra santa contro gli ebrei. Così ci si è dimenticati delle relazioni migliori tra ebrei e musulmani, che vissero assieme in Andalusia fino al XV secolo e che crearono le condizioni per una accoglienza degli ebrei nel mondo musulmano dopo l’Inquisizione spagnola.

Per rompere questi pregiudizi - che hanno spesso avvelenato i rapporti tra i credenti delle due religioni e che hanno portato Merah, Nemmouche, Coulibaly a compiere delle stragi nei confronti degli ebrei - Ben Jelloun propone una battaglia comune contro il terrorismo. “Bisognerebbe che musulmani ed ebrei si mettessero d’accordo per combattere insieme il fondamentalismo, perché l’odio per gli ebrei e l’odio verso i musulmani sono simili. Ed è un lavoro in profondità che bisogna fare. Non sarà facile.”

Ben Jellun, anche se non lo approva e lo condanna, fa una distinzione tra il terrorismo palestinese e quello jihadista che si manifesta in Occidente e nei Paesi arabi. Il primo nascerebbe da un conflitto non risolto, il secondo sarebbe espressione di una ideologia nichilista e distruttrice.
Se si vuole che ebrei e musulmani possano cominciare un percorso comune è però necessario che sia condannata ogni forma di terrorismo che colpisce delle persone a caso, sia a Gerusalemme sia a Parigi.

Dopo Ghandi e Mandela il valore della non violenza, anche nelle situazioni più complicate, dovrebbe diventare un percorso comune non solo degli arabi, degli ebrei, ma anche degli occidentali, come ha sostenuto Tzvetan Todorov nel suo testamento editoriale I resistenti.
Il terrorismo corrompe e disumanizza, non solo coloro che sognano l’apocalisse islamica, ma anche quelli che lo usano per un obbiettivo politico.

È questo un problema complesso da affrontare, ma un esempio di come è possibile procedere ci viene proprio da Israele, dove per la prima volta nella storia del conflitto a Neve Shalom, un villaggio arabo israeliano, per la prima volta è stato onorato un arabo che con grande coraggio ha salvato decine di vite umane durante un attentato terrorista. Può sembrare un paradosso, ma la più grande condivisione di una resistenza comune al terrorismo può diventare la base non solo per l’emarginazione dei jihadisti, ma anche per l’apertura di un processo democratico nei Paesi più oscurantisti, come l’Iran e l’Arabia Saudita, e anche per la risoluzione di conflitti complicati come quello tra israeliani e palestinesi.

Ben Jellun cerca di offrire a sua figlia gli insegnamenti morali più alti dell’Islam, attorno a cui sarebbe possibile condurre una grande battaglia culturale contro i jihadisti e ritrovare l’orgoglio di essere islamici.


Cita tre argomenti fondamentali.

Il ruolo della coscienza personale. Nell’Islam il rapporto con Dio è personale e dunque ogni uomo in ogni circostanza è chiamato a decidere da solo il percorso del bene e del male. In secondo luogo quell’insegnamento che si ritrova anche nella Bibbia che sostiene che chi uccide un uomo uccide l’umanità intera e chi invece decide di salvarlo al contrario salva il mondo intero. Dunque non uccidere è la base della convivenza umana. In terzo luogo lo scrittore marocchino ricorda che il Profeta si è rivolto a tutti gli uomini e non ha voluto dividere i musulmani dal resto del mondo.
Il versetto 28 della sura 34 infatti dice: “E noi non ti abbiamo inviato se non per la totalità di tutti gli uomini”, mentre in un altro versetto il profeta afferma: “Oh uomini, io sono l’inviato di Dio verso tutti.”

Analisi di Gabriele Nissim, presidente di Gariwo



Alberto Pento
Mi dispiace ma anche costui è un mussulmano che non mette in discussione Maometto e il Corano e pertanto è un'altro dei cosidetti "moderati e buoni" che servono come apripista per "i fondamentalisti e cattivi". Mai credere a chi non mette in discussione l'orrore ed il terrore di Maometto e del Corano.

Mamo Bi Pisa
beh...mi permetto....la chiesa cattolica son ben 2017 anni che non mette in discussione se stessa(tranne casi eclatanti e dopo centinaia d'anni...vedi galileo)!!!...si parla di credo e difficilmente si trova chi smentisce se stesso!!!

Alberto Pento
Mi dispiace tanto ma lei fa troppa confusione perché un conto è mettere in discussione l'operato della chiesa cattolico romana (che non ha 2017 anni ma molti di meno, ossia da quando il cristianesimo è divenuto religione privilegiata dell'impero romano) e un conto è mettere in discussione il fondatore Cristo. Ora nel caso del cristianismo, il fondatore ebreo Cristo è stato un nonviolento che ha predicato e prescritto la nonviolenza, per cui la violenza della Chiesa Cattolico Romana non è attribuibile a Cristo, invece nel caso dell'Islam la violenza è da ascrivere interamente a Maometto che l'ha praticata in vita e che l'ha prescritta per i suoi discepoli e fedeli fino a che tutta l'umanità non sia posta sotto il dominio di Allah. Chi non mette in discussione la violenza di Maometto ma attribuisce la violenza islamica ad altri come i Fratelli Mussulmani è un falso e non è assolutamente credibile, perché la violenza viene da Maometto, dal Corano e da Allah e non da altri.

Mamo Bi Pisa
apprezzo la risposta e la mia"confusione".....argomento molto impegnativo qua sopra.....e vedo comunque che il "fondamentalismo"e'molto praticato in ogni senso!!!...ribadisco...si parla di fede,e qualunque essa sia non gioca mai alla meno smentendo se stessa e chi l'adotta!!!..."fondamentalismo"e'un termine generico che ormai viene associato solo all'islam.....ma ripeto...discorso impegnativo!!!

Alberto Pento
Se non si affrontano le radici violente di Maometto, del Corano e di Allah l'Islam non cambia, si perde soltanto tempo e si consente all'Islam strisciante di radicarsi sempre più sino a che non avremo la lama del coltello alla gola. Il rapinatore che ti tiene il coltello alla gola ti impone di scegliere o la borsa o la vita; l'islamico ti impone o Allah o la morte. Siccome non sono cristiano e non ho il desiderio di morire martire preferisco pensarci prima.



Questa è la consegna di Maometto fondatore dell'Islam ai suoi discepoli, seguaci, credenti e fedeli mussulmani

Questa è la consegna di Maometto fondatore dell'Islam ai suoi discepoli, seguaci, credenti e fedeli mussulmani (una prescrizione assoluta che non può essere decontestualizzata/contestualizzata (?) e perciò vanificata o cancellata in quanto è la missione "salvica e messianica" di Maometto e di tutti i mussulmani, il senso e il motore storico dell'Islam, portare l'umanità intera sotto Allah con ogni mezzo, parola e spada, e non solo le popolazioni dell'area legate alla vita di Maometto):

" ... nel marzo 632 Maometto affermò, nel suo discorso d’addio:
“Mi è stato ordinato di combattere tutti gli uomini fino a quando non diranno che non c’è altro Dio fuori di Allah”.

Ogni buon maomettano o mussulmano o islamico deve stare alla consegna di Maometto come ordinato da Allah, chi non lo facesse non sarebbe un vero mussulmano.
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Re: Religione e religiosità come ossessione

Messaggioda Berto » ven mar 31, 2017 6:12 am

Fanatixmo, totałitarixmo, culto de ła personałetà, omo màsa/massa
viewtopic.php?f=188&t=1871
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Re: Religione e religiosità come ossessione

Messaggioda Berto » lun apr 03, 2017 6:00 pm

In Germania

https://www.facebook.com/11731204535612 ... 5729101418

Pietro Wilkin Son
La donna dice ... che l'Europa e la Germania .. devono difendere con i denti la loro democrazia, la loro laicità il diritto di poter esprimere il proprio pensiero e la propria opinione... di non lasciarsi piegare dall' islam . Mentre le parla su questo.. gli amputati di cervello islamici la deridono le sputano in faccia... la chiamano troia.. ed infine come lei aveva precedentemente detto.. di salvare l'Europa dall'Islam .. uno di loro dice .... troia ringrazia dio che ti trovi in Germania... .... altrimenti sarebbe già stata decapitata..... perché lei è cristiana d'Egitto) lei dice l'Islam è aggressivo e ha pienamente ragione... quindi in conclusione una religione di merda fanatica .... questo succede con i cristiani di tutto il mondo.. appena questa piaga di religione mette piede.


Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... lamica.jpg
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Re: Religione e religiosità come ossessione

Messaggioda Berto » sab apr 08, 2017 7:40 pm

Il profeta pericoloso.
novembre 15, 2015
Traduzione dell’articolo di Hamed Abdel-Samad pubblicato qui. Abdel-Samad è uno scrittore di origine egiziana naturalizzato tedesco. Figlio di un imam sunnita e un tempo membro dei Fratelli Musulmani, ora è dichiaratamente ateo.

https://wrongdoers.wordpress.com/2015/1 ... pericoloso

Molti mussulmani sono tuttoggi prigionieri della figura misteriosa di Muhammad, il quale visse nel VII secolo. Ma anche il Muhammad storico è un prigioniero: dell’eccesso di venerazione da parte dei mussulmani e della loro pretesa che sia un personaggio intoccabile. L’onnipresenza del profeta nell’istruzione e nella politica e l’esagerata enfasi che si dà alla componente religiosa in molte società islamiche impediscono di poter ricorrere ad altri esempi in base ai quali formare la propria identità. Ogni cosa risale a lui, la sua presenza aleggia dappertutto e determina la quotidianità dei cittadini, politici e teologi mussulmani. Al contempo, il legame emotivo dei mussulmani con Muhammad e la sconsiderata sovrastima del profeta impediscono un confronto storico-critico col fondatore dell’islam.

Quand’ero ancora un fervente mussulmano, pensavo di conoscere tutto su Muhammad, solo perché avevo letto la sua biografia, il Corano e i suoi numerosi hadith (i suoi detti extra-coranici). Tuttavia, come studioso, era necessario che stabilissi una certa distanza critica. Quanto piú mi occupavo di Muhammad, tanto piú mi sembrava di avere in mano un mazzo di tarocchi. Alcune di queste carte davano fiducia e speranza, mentre altre erano terrificanti. Qui appariva come il predicatore meccano dedito all’argomentazione etica, altrove come l’intollerante signore della guerra medinese. Qui come l’essere umano che raccomandava la compassione ed il perdono, altrove come il criminale genocida ed il tiranno psicolabile.

Per tale ragione, non avevo intenzione di scrivere una nuova biografia di Muhammad, quanto, invece, di adottare un approccio del tutto personale alla sua vita, per arrivare ad una specie di resa dei conti. A tale scopo, non mi baso solo su canoni di valutazione odierni, ma anche su criteri morali e sociali di quel tempo, dacché, anche dal punto di vista dei suoi contemporanei, Muhammad ha compiuto molte azioni deprecabili. Inoltre, mi sforzo di capire le ragioni politiche e psicologiche delle sue azioni.

La bramosia di potere e di riconoscimento.

Muhammad era un orfano che non crebbe con la propria famiglia, ma fu nvece allevato da beduini estranei. Tornato alla Mecca, pascolava come schiavo le capre della propria tribú, dalla quale, evidentemente, non veniva preso molto in considerazione. Gli mancarono non solo l’amore e la cura dei genitori, ma anche figure di riferimento. Al ruolo di guerriero solitario era predestinato dalla nascita. Piú avanti, sposò una ricca vedova e nell’impresa di lei divenne un carovaniere di successo. Era benestante e fortunato. Eppure, all’età di 40 anni precipitò improvvisamente in una crisi esistenziale. Vagava da solo per il deserto, meditava in una caverna, aveva visioni e sosteneva che le pietre gli avrebbero parlato. Soffriva di crisi d’ansia e contemplava il suicidio. E credeva che una rivelazione gli sarebbe stata inviata dal Cielo.

Una seconda svolta nella vita di Muhammad fu segnata dalla sua emigrazione a Medina. Lí non solo venne fondato il primo stato islamico, ma si manifestò altresí il profeta violento che per i propri scopi passava anche sul cadavere del prossimo. La differenza fra il Muhammad della Mecca e il Muhammad di Medina è la stessa che passa fra il giovane Lenin teorico marxista e il Lenin capo di stato sovietico. Dopo la conquista del potere, i principi un tempo tenuti in alta considerazione finirono sempre piú sullo sfondo: la logica del potere e la paura del tradimento determinarono quasi tutto. Alle guerre dovettero seguire altre guerre e Muhammad iniziò un’ondata di conquiste ineguagliate che segnano il mondo ancor oggi.

La sua personalità ambivalente si vede anche dalle relazioni con le donne. Non si comportava come un tiranno, bensí piuttosto come un bambino che soffriva di paura della perdita, cosa che influisce tuttoggi sulla condizione delle donne mussulmane. L’imposizione del velo, la poligamia e l’oppressione sono da imputare alle paure di Muhammad. Tuttavia, parlò anche molto positivamente delle donne, al punto che alcuni mussulmani pensano che lui, le donne, le abbia liberate.

Muhammad bramava potere e riconoscimento e li cercò sia presso le donne che in guerra. Soltanto negli ultimi otto anni della sua vita combatté piú di 80 guerre. Ma fu solo all’ombra delle spade che ottenne il riconoscimento cui aveva sempre ambito. Però piú diventava potente, piú era dominato dal suo stesso potere. Piú nemici eliminava, piú cresceva la sua paranoia. A Medina controllava i propri seguaci ad ogni passo. Tentava di regolare e di tenere tutto sotto controllo, persino il loro ciclo del sonno. Li radunava cinque volte al giorno per pregare e, in tal modo, assicurarsi della loro fedeltà. Li metteva in guardia dai tormenti dell’inferno. I peccatori venivano fustigati. I bestemmiatori e gli apostati uccisi. Ciò che era peccato, lo decretava lui.

Un emarginato pieno di risentimento come signore della guerra.

Le ultime sure del Corano, con l’esaltazione della guerra e la condanna dei miscredenti, piantarono il seme dell’intolleranza. Siccome il Corano è ritenuto l’eterna parola di dio che ha valore in tutti i tempi, gli islamisti odierni interpretano i passi relativi alla guerra come legittimazione del proprio jihad globale. Muhammad promise ai propri guerrieri non soltanto il paradiso eterno, ma anche ricche ricompense e belle donne da tenere come schiave già in questo mondo. Quello fu il giorno in cui nacque l’economia islamica. Dopo la morte di Muhammad, le spoglie di guerra, la tratta degli schiavi e l’introduzione del testatico (ovvero jizya, NdT) sugli infedeli rimasero ancora per secoli le fonti principali di entrate dei regnanti mussulmani. Umayyadi, Abbasidi, Fatimidi, Mammelucchi ed Ottomani si rifacevano a Muhammad in questo senso. Al giorno d’oggi il gruppo terroristico dell’ISIS giustifica le proprie azioni di guerra in base alla carriera del profeta, il quale decapitava i prigionieri di guerra ed espelleva gli infedeli dalle proprie dimore.

Eppure, anche nei panni di signore della guerra, Muhammad rimase in un certo senso un bambino. Era un emarginato risentito ed emotivo, un uomo perennemente deluso dal mondo. Sia da pastore che da commerciante, sia da predicatore che da generale, Muhammad era alla continua ricerca di un rifugio. Questo rifugio poteva essere rappresentato da Khadija (la sua prima moglie) o dalle lettere del Corano, oppure dagli uomini credenti o, ancora, dalle sue mogli affettuose. Alla fine, il campo di battaglia divenne la sua ultima casa.

Muhammad morí 1400 anni fa, ma non è mai stato definitivamente sepolto. Ha lasciato in eredità un sistema di regole che determina ancora oggi ogni faccenda nella vita quotidiana dei mussulmani. I suoi approcci sociali del periodo meccano offrono conforto e sono benefici. Le sue guerre del periodo medinese giustificano la violenza. Ha trasmesso ai mussulmani tratti della propria personalità che si potrebbero definire patologici: delirio di onnipotenza e megalomania, paranoia e manie di persecuzione, incapacità di gestire la critica e disturbi ossessivi-compulsivi. La migliore valutazione che Muhammad potrebbe ricevere oggi sarebbe quella di essere visto per l’essere umano che era e di superare la fede nella sua onnipotenza. In altre parole, andrebbe sotterrato un idolo pericoloso.

Che cosa fa un bambino che riceve poca considerazione? Che cosa fa un uomo che non viene riconosciuto dalla propria comunità? Cerca di integrarsi in una comunità piú significativa di quella cui apparteneva originariamente. Oggi, il figlio di immigrati che vive a Dinslaken e che ha a malapena qualche connessione tanto con le proprie radici turche quanto con l’ambiente tedesco circostante e che si sente costantemente escluso, probabilmente va alla ricerca di una comunità immaginaria chiamata umma, ovvero la comunità di tutti i credenti mussulmani. Il giovane trova certi gruppi radicali, che rappresentano solo una frazione della grande identità islamica, in internet e ai margini delle comunità islamiche. Si identifica con le sofferenze e l’oppressione dei mussulmani in luoghi sconosciuti del mondo. Abbandona il vecchio mondo che l’ha ferito e parte per la Siria per divenire parte dell’utopica umma. Taglia la gola agli infedeli e sogna di conquistare un giorno la Germania per vendicarsi.

Metodi mafiosi.

Una vicenda sviluppatasi in tale modo potrebbe essersi verificata anche 1400 anni fa: Muhammad era uno straniero in patria. Il suo clan l’aveva misconosciuto e ferito. Si diede ad una fuga metafisica, alla ricerca di un’identità piú grande. La reazione alla figura di Abramo fu l’inizio. Muhammad non vedeva Abramo solo in qualità di modello, in relazione al monoteismo, bensí anche come progenitore carnale. Nel Corano chiama Abramo umma (16:120, NdT), cioè nazione. Ad Abramo Muhammad giunge attraverso Ismaele, il figlio di Abramo, il quale è stato quasi ignorato nella Bibbia. Muhammad vedeva se stesso come un eletto ed Ismaele come anticipatore di tale elezione. Muhammad diventava furioso se qualcuno contestava la sua affinità con Ismaele, dato che la cosa avrebbe potuto spezzare il suo legame con Abramo e, quindi, distruggere il mito fondante dell’islam.

Gli odierni riformisti dell’islam sostengono che l’islam sarebbe nato come rivoluzione morale e sociale contro l’ingiustizia che regnava in Arabia e che si sarebbe trasformato in una religione guerresca durante il periodo umayyade. I simpatizzanti della mafia argomentano in modo simile, asserendo che la mafia si sarebbe originata come movimento di resistenza al dominio straniero francese. Secondo loro, la parola mafia sarebbe un acronimo di Morte Alla Francia Italia Anela. Tuttavia, la mafia non è mai stata un’organizzazione fondata sull’onestà. Anche l’islam è nato come confraternita giurata unita da una profonda diffidenza per quanti non appartenevano alla famiglia o al clan. L’islam descrive la prima comunità di mussulmani in questo modo: Muhammad è l’inviato di dio e coloro che sono con lui sono spietati con gli infedeli, ma misericordiosi gli uni con gli altri (48:29, NdT). Si è gentili gli uni con gli altri, ma con i nemici si è senza pietà. Un soldato di Muhammad poteva piangere per timore reverenziale durante la preghiera e pochi minuti piú tardi decapitare un infedele. Similmente, in chiesa un mafioso può ascoltare devotamente una predica sull’amore per il prossimo e poco dopo sparare ad un uomo in mezzo alla strada.

Ancora un parallelo: il capo dei capi non può essere né contraddetto né criticato. Un bacio sulla mano simboleggia la fedeltà dei membri e la loro cieca dedizione a costui. Muhammad non accettava scuse dai propri seguaci quando si trattava di partecipare alla preghiera o ad una delle sue guerre. Disse: nessuno sarà mai un vero credente se non ama me piú dei propri genitori, dei propri figli e di chiunque altro (In Bukhari, qui; in Sunan ibn Majah, qui, NdT).

L’islam: una confraternita giurata legata da una profonda diffidenza per chi non vi appartiene.

Certamente, anche i despoti sono semplici uomini. Spesso la loro vita privata non si accorda alla loro immagine di monarchi assoluti. Una persona che decida costantemente chi deve vivere o morire potrà essere talvolta debole. Anche il profeta Muhammad era sopraffatto dal proprio potere. Piú diventava potente, piú diventava solo. Piú invecchiava, piú il suo comportamento nei confronti delle donne si dimostrava immaturo: a volte era amorevole, altre volte era duro, spesso insicuro e geloso. Impose loro il velo integrale, limitò la loro libertà di movimento e permise loro di parlare con gli uomini solo se separate da una parete che li dividesse.

Il problema di Muhammad con le donne.

Verso la fine della propria vita, Muhammad trattava le donne come oggetti da collezionare a piacere. Alla prima moglie Khadija ne seguirono altre undici, nove delle quali vissero con lui contemporaneamente nella stessa casa. Oltre a quelle, ci furono altre 14 donne con le quali sottoscrisse un contratto di matrimonio, ma senza consumare fisicamente l’unione. In piú ci furono due dozzine di donne con le quali fu fidanzato. Senza dimenticare le sue schiave, parte del bottino di guerra o ricevute in dono. Muhammad fu possessivo persino dopo la propria morte e proibí alle proprie mogli di contrarre matrimonio con altri uomini dopo la sua scomparsa. Dev’essere stato particolarmente difficile da sopportare per la giovane moglie ‘A’isha, dato che, secondo le fonti islamiche, divenne vedova all’età di 18 anni.

Quando Muhammad sposò ‘A’isha, lei aveva appena sei anni. Per secoli il matrimonio di ragazze minorenni è stato legittimato grazie al matrimonio di Muhammad con ‘A’isha. Oggigiorno è piuttosto imbarazzate per molti mussulmani moderati riconoscere che il loro profeta ha sposato una bambina di sei anni e perciò cercano disperatamente di cambiare argomento. Molti ricordano che lui la sposò solo formalmente, quando lei aveva sei anni, ma che consumò il rapporto sessuale tre anni piú tardi. Secondo gli apologeti ciò significa che a quel tempo alcune bambine di nove anni sarebbero state precocemente mature. La cosa si può contestare: innanzitutto, è ‘A’isha stessa ad affermare che gli approcci di Muhammad furono di tipo sessuale sin da principio e che lui fece praticamente di tutto con lei, eccetto che penetrarla. In secondo luogo, una ragazzina di nove anni è solamente una ragazzina di nove anni ed ora come allora solamente una bambina. Ai tempi di Muhammad non era per nulla normale che un uomo sposasse una bambina.

Nonostante il grande affetto per ‘A’isha, Muhammad sposò in media una nuova donna quasi ogni sei mesi. Piú in là, l’infedeltà divenne per lui un grosso problema. Di conseguenza, non solo venne imposta la norma del velo integrale, ma vennero introdotte anche nuove leggi per contrastare l’adulterio: chi praticava la fornicazione veniva punito con cento nerbate. Chi commetteva adulterio veniva lapidato a morte. Ancora oggi le donne in Iraq, Siria e Nigeria vengono trattate come bottino di guerra e subiscono violenza fisica quasi dappertutto nel mondo islamico. Nelle società islamiche gli attacchi con l’acido contro le donne che non portano il velo, le mutilazioni genitali, le lapidazioni ed i delitti d’onore rappresentano le forme piú brutali di misoginia. Non si può ritenere che Muhammad ed il Corano siano gli unici responsabili di tutto ciò, ma a tutto questa situazione hanno dato un grosso contributo.

Stando al Corano, la donna ha innanzitutto una funzione da compiere nella comunità islamica: quella di procurare sollievo all’uomo. Prima che i guerriglieri dell’ISIS riuscissero a catturare le donne yezidi e cristiane per usarle come schiave sessuali, i giovani in Siria venivano reclutati con l’assicurazione che lí il jihad del sesso era permesso. Di converso, mussulmane da ogni angolo del mondo, soprattutto dal Nord Africa, si offrono ai jihadisti. I dotti sunniti che sostengono il jihad del sesso, si richiamano al profeta, il quale permise ai propri soldati di contrarre matrimoni di piacere durante le lunghe guerre. In questo caso, la questione non c’entra con l’etica, in quanto si ha a che fare con un principio piú elevato: il jihad.

E, allora, a che cosa somiglia il paradiso? Il paradiso islamico non è altro che un bordello celeste nel quale ad ogni martire spettano 72 vergini e, oltre a queste, 70 servitrici ciascuno. Il teologo medievale al-Suyuti scrisse: dopo che abbiamo dormito con una houri, lei si trasforma nuovamente in una vergine. Il pene di un mussulmano non si affloscia mai. L’erezione dura in eterno ed il piacere dell’unione è infinitamente dolce e non è di questo mondo. Ogni eletto avrà 70 houri, oltre alle mogli che aveva in terra. Tutte loro avranno una vagina deliziosa.

Perché nel XXI secolo Muhammad deve ancora decidere chi può amare o sposare chi e che cosa deve fare, mangire o indossare?

Pochissime parole in arabo hanno piú sinonimi di quella che significa rapporto sessuale. E la maggior parte di queste parole non descrivono un atto d’amore, ma una forma di violenza. Nel primo dizionario della storia araba, il Lisan al-arab dell’anno 1290, alla voce nikah si trovano i seguenti significati: montare, dibattersi, assalire, colpire, violare, esaurire, scoccare, stare insieme, picchiare, calcare, cadere, crollare, penetrare, aggredire, infilare, ululare.

Muhammad stesso non era particolarmente misogino per i suoi tempi. Si espresse piú volte positivamente a proposito delle donne ed esortò i suoi seguaci a trattare amorevolmente le proprie mogli. Inoltre, non ci sono notizie del fatto che lui stesso abbia mai picchiato le mogli. Ciononostante nel Corano ha reso eterno il diritto di un uomo di picchiare la moglie quando lei sia ostinata. Purtroppo, oggi risulta difficile persino ad alcuni mussulmani moderati dire: picchiare le donne è sbagliato senza se e senza ma, indipendentemente da quanto scritto nel Corano. Invece, si cita il profeta lí dove prescriveva che i colpi non dovevano lasciare segni e che il volto della donna doveva essere risparmiato dalle percosse.

Paranoia e mania del controllo.

Il profeta godeva di potere ed influenza nel mondo dal quale era nato. Però perché deve mantenere lo stesso potere e la stessa influenza in un mondo che lui non ha mai conosciuto? Perché nel XXI secolo Muhammad deve ancora decidere chi può amare o sposare chi e che cosa si deve fare, mangiare o indossare? Perché i mussulmani si infilano in questa trappola della storia?

Si può accusare Muhammad di molte cose, ma non del fatto che fosse un bugiardo: il suo fervore, la sua capacità di provare sofferenza e la sua perseveranza dimostrano che era convinto di aver ricevuto messaggi di origine divina. Desiderava che un potere piú alto lo assistesse. All’iinizio cercava la liberazione, ma alla fine divenne egli stesso un prigioniero. Un maniaco del controllo. Non solo l’idea che aveva di dio riflette questo fatto: molti rituali islamici sono caratterizzati da ripetizioni senza senso, ad esempio le prostrazioni della preghiera o le abluzioni rituali. In pratica, anche nelle regioni piú aride, ogni mussulmano doveva lavarsi cinque volte al giorno per la preghiera, bagnandosi ogni parte del corpo per tre volte. Se non ci fosse stata acqua a disposizione, ci si doveva pulire simbolicamente con la sabbia. Muhammad informò i propri seguaci che dio avrebbe bruciato i luoghi del corpo non detersi dall’acqua o dalla sabbia nel giorno del giudizio (in Bukhari, qui, NdT).

Probabilmente era ossessionato dalla pulizia, un disturbo causato sia dal senso di colpa che dalla mania di controllo. Ancora al giorno d’oggi un mussulmano deve lavarsi per la preghiera se prima ha dato la mano ad una donna. In una moschea si deve entrare col piede destro, mentre nella toilette si deve entrare col piede sinistro. Il mussulmano deve recitare una preghiera prima di andare al bagno per proteggersi dai demoni malvagi che sono in agguato in gabinetto. All’uscita è d’uopo recitare un’altra preghiera e si deve ringraziare Allah per essere scampati agli spiriti malvagi. La lista dei precetti che intralciano il mussulmano nell’organizzazione autonoma della propria giornata si potrebbe riempire di innumerevoli esempi.

Per essere un buon mussulmano, il credente deve imitare il profeta in tutto e per tutto. L’autonomia decisoria, la flessibilità e la creatività non sono previste. Agli odierni chierici islamici conservatori si presenta la possibilità di esercitare il proprio potere sui mussulmani. Interi programmi televisivi hanno come scopo di rispondere alle domande dei credenti per agire secondo l’esempio del profeta. Il problema qui non sta tanto nello sforzo di comportarsi in modo ritualmente corretto, quanto nel fatto che è sotteso che tutti coloro che non si attengono ai precetti illustrati sono peccatori impuri. Al giorno d’oggi i sensi di colpa ed il desiderio di espiazione sono i principali motori della radicalizzazione. Gli islamisti si considerano gli autentici eredi del profeta.

Amare la morte piú della vita.

Chi si sopravvaluta, spesso sopravvaluta anche l’ostilità di quanti lo circondano. La tradizione islamica antica conta ben 15 complotti per assassinare il profeta ai quali egli sarebbe sopravvissuto: tre orditi da arabi pagani e dodici da ebrei. Sebbene nel Corano sia scritto che dio ha suddiviso l’umanità in popoli affinché si conoscano l’un l’altro (49:13, NdT), Muhammad profetizzò: i popoli un giorno vi attaccheranno perché diventerete deboli nei vostri cuori. I vostri cuori diverranno deboli, perché amerete la vita e odierete la morte (Sunan Abi Dawud, qui, NdT). Perciò gli islamisti rivendicano il fatto di amare la morte piú della vita. Non per nulla un tipico grido di guerra dei terroristi è: voi amate la vita e noi amiamo la morte.

Il Consiglio Centrale dei Mussulmani in Germania sancisce che Muhammad non poteva sapere che cosa fosse il calcio.

Non c’è un passo del Corano che preveda esplicitamente la pena di morte per chi vilipende il profeta, ma nella biografia di Muhammad vi sono numerosi aneddoti a proposito di persone che furono giustiziate su suo ordine per aver bestemmiato il suo nome. La tradizione menziona piú di 40 vittime, fra cui alcuni poeti e cantastorie, che avevano osato ridicolizzarlo. Nella collezione di hadith di Abu Dawud si legge: il profeta trovò il cadavere di una donna uccisa davanti alla sua moschea. Domandò agli oranti chi l’avesse uccisa. Un cieco si alzò e disse: sono stato io. È la mia schiava e da lei ho avuto due figli belli come perle. Ma ieri lei ti ha offeso, profeta di dio. Le ho intimato di non insultarti piú, ma lei ha ripetuto quello che aveva detto. Non ho potuto tollerarlo e l’ho ammazzata. Al che Muhammad rispose: il sangue di questa donna è stato versato secondo giustizia. (Sunan Abi Dawud, qui, NdT).

L’importanza assoluta data all’islam produce il fondamentalismo.

Ciò che è spaventoso a proposito di questa storia non è soltanto il fatto che un uomo ammazzi la madre dei propri figli (in uno degli hadith il sangue della donna bagna uno dei figli che le si aggrappa alle gambe, NdT), quanto il trasferimento in ambito privato della facoltà di ricorrere alla violenza. L’esecuzione di una sentenza di morte non è privilegio del sovrano o di uno dei poteri dello Stato: ciascun mussulmano ha tale potere. Quando ho tenuto un discorso al Cairo nel giugno del 2014 in cui affermavo che il fascismo islamico è cominciato con Muhammad, un professore dell’università di al-Azhar ha invocato la mia uccisione ed ha citato la storia della schiava del cieco come prova della legittimità della sua sentenza.

All’inizio del 2015 della teppaglia ha lapidato a morte una giovane donna afgana per aver bruciato un Corano. Un’insegnante britannica è finita in carcere per aver chiamato Muhammad un orsacchiotto. La società calcistica Schalke 04 ha sollevato delle critiche, perché il suo inno dice: Mohamed war ein Prophet, der vom Fußball nichts versteht (Muhammad era un profeta che non capiva niente di calcio). In ogni caso, il Consiglio Centrale dei Mussulmani in Germania ha sancito che Muhammad non poteva avere idea di che cosa fosse il calcio.

Le sofferenze del mondo islamico possono venire guarite solamente se i mussulmani si liberano delle molteplici manie e malattie del profeta: delirio di onnipotenza, paranoia, intolleranza alla critica e suscettibilità. Anche l’immagine distorta della divinità, che è diventata l’archetipo del despota, deve essere messa in discussione.

Il fondamentalismo non è una coseguenza dell’errata interpretazione dell’islam, bensí la conseguenza dell’eccesso di importanza che all’islam viene data. La riforma dell’islam comincerà quando i mussulmani troveranno il coraggio di liberare Muhammad dalla sua condizione di intoccabilità. Solo allora potranno essi stessi evadere dalla prigione della fede ed essere parte del presente che non viene determinato da dio, bensí dagli esseri umani.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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