Nazismo maomettano = dhimmitudine = apartheid = razzismo

Re: Nazismo maomettano = dhimmitudine = apartheid = razzismo

Messaggioda Berto » dom giu 11, 2017 10:52 am

Islam e democrazia
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II parte

L’orientalista Hans Jansen[54] dell’università di Leiden ha scritto un’analisi della lettera[55] di Bouyeri, in cui diceva che “il parlamentare Ayaan Hirsi Ali, così come tutti gli altri parlamentari, non ha voglia di morire per difendere il suo seggio al Parlamento. I musulmani come Bouyeri, invece, sono felici di dare la loro vita per quella che credono essere la giusta causa. Ciò è un vantaggio strategico dell’Islam contro i suoi oppositori. Quelli che non credono nel martirio non hanno alcuna voglia di diventare martiri, cosa che influisce nel conflitto tra Islam e non musulmani.

Uno studio del 2006[56] ha rivelato che il quaranta per cento dei giovani marocchini nei Paesi Bassi rifiuta i valori occidentali e la democrazia. Il sei o sette per cento è pronto a usare la forza per difendere l’Islam. La maggioranza di loro si oppone alla libertà di parola per le affermazioni offensive, particolarmente le critiche verso l’Islam. Si suppone che i musulmani degli altri paesi abbiano idee simili.

Questo tipo di intimidazioni ha dato i suoi frutti. Nel novembre 2006, l’editore Scholastic Australia ha deciso di smettere di pubblicare il suo libro Army of the Pure[57] dopo che le librerie hanno smesso di venderlo dato che il “cattivo” della storia era un terrorista islamico, due personaggi erano di origine araba e la trama parlava di un gruppo di terroristi islamici. Questa decisione è ancora più strana se paragonata alla scelta di pubblicare The unknown terrorist di Richard Flanagan e Underground di Andrew McGahan in cui i terroristi erano rappresentati come vittime di malvagità da parte dell’occidente. The Unknown Terrorist descrive Gesù come il primo attentatore suicida della storia. In Underground, i musulmani vengono massacrati o deportati nei ghetti mentre l’Australia viene devastata dalla guerra al terrorismo.

Il poeta siriano Ali Ahmad Sa’id, noto con lo pseudonimo di Adonis[58], scriveva che “se gli arabi sono così inetti da non riuscire a essere democratici da soli, allora non lo saranno mai tramite gli interventi degli altri. Se vogliamo essere democratici, dobbiamo diventarlo per conto nostro.” Secondo Adonis, la struttura stessa della società araba è basata sulla schiavitù e non sulla libertà: “Alcuni hanno paura della libertà. Quando sei libero, devi affrontare la realtà, il mondo intero. Devi risolvere tutti i problemi da solo. Invece, gli schiavi possono stare tranquilli e non doversi gestire i problemi. Così come Allah risolve tutti i nostri problemi, così tutti i nostri problemi sono gestiti dal dittatore.”

Ciò è vero, ma questa paura della libertà non è prerogativa dei musulmani. Nel suo libro The True Believer, il filosofo Eric Hoffer scrive:

“La libertà causa quanti problemi quanto ne risolva. La libertà di scelta piazza tutta la colpa dei nostri fallimenti sulle nostre spalle. Dato che con la libertà si possono fare tanti tentativi, si possono anche ricevere fallimenti e frustrazioni. (…) Ci uniamo a un movimento per sfuggire alle responsabilità individuali oppure, come dicevano i giovani nazisti, per essere liberi dalla libertà. I gerarchi nazisti si sono dichiarati non colpevoli dei crimini che hanno commesso, e non lo hanno fatto per ipocrisia. Loro stessi si sentivano indignati quando si provava a fargli assumere la responsabilità degli ordini che seguivano. Loro si erano uniti al partito nazista proprio per essere liberi dalle responsabilità.”

Secondo Adonis, “Perdonatemi se lo dico, ma il musulmano di oggi con la sua interpretazione dei testi religiosi è il primo a distruggere l’Islam, mentre quelli che criticano l’Islam, per quanto li si chiami infedeli o miscredenti, sono quelli che percepiscono nell’Islam la vitalità che potrebbe adattarlo alla vita. Questi infedeli servono l’Islam meglio dei credenti.”

Non sono sicuro se sono d’accordo. Anche se forse la paura della libertà è un tratto comune, sembra più frequente nelle società islamiche. Forse questa mentalità da schiavo di cui parla Mr. Adonis è causata proprio dall’Islam?

Ibn Arabi (d. 1240), il “più grande tra i maestri Sufi,” chiamava hurriyya [libertà] “la schiavitù perfetta verso Allah”. Il sito islamico Islam Q & A[59] definisce la nozione di schiavitù nell’Islam:

“Lo al-’aabid, è uno che ubbidisce ad Allah e ne segue gli ordini. Tale termine si usa solo per i credenti, perché il credente è il vero schiavo di Allah e si sottomette solo a Lui e Lo riconosce dai Suoi Nomi e dai Suoi Attributi, e non associa niente a Lui. Essere schiavi di Allah è un onore, non un’umiliazione. Chiediamo ad Allah di prenderci tra i Suoi schiavi.”

Se i musulmani sono gli “schiavi di Allah”, allora per loro gli apostati sono schiavi fuggitivi da rintracciare e punire, come veniva fatto per gli schiavi fuggitivi del passato. Il Dr. Younus Shaikh[60], razionalista pakistano e fondatore dell’organizzazione dei razionalisti del Pakistan, è stato condannato per blasfemia, un crimine che in Pakistan viene punito con la pena capitale. Tale accusa deriva dal fatto che ha affermato che Muhammad non è diventato musulmano fino ai quarant’anni, nel 610. I suoi genitori, invece, non sarebbero stati mai musulmani dato che sono morti prima che l’Islam nascesse. Grazie alle pressioni internazionali la condanna è stata revocata e adesso Shaikh vive in esilio in Svizzera.

Secondo il Dr. Shaikh, “L’Islam è un crimine organizzato contro l’umanità!” Queste potrebbero essere parole brusche, ma ha tutto il diritto di dirle. Come dice Mr. Adonis, “Non ci può essere una cultura vivente se non è possibile criticarne le basi, ossia la religione.” Ciò significa che i musulmani devono imparare ad accettare le critiche alla loro religione prima di poter avere una società libera. La libertà di parola è la più importante di tutte, ed è necessaria per una società democratica. Il mondo islamico non conoscerà mai la libertà fino a che i musulmani non potranno criticare apertamente la religione o lasciarla senza timore per le proprie vite. Questa libertà deve essere valida non solo in posti come la Svizzera o gli USA, ma anche in Pakistan, Iran o Arabia Saudita. Tale idea rimane ancora un’illusione all’orizzonte. Molti musulmani cercano di inventarsi un’interpretazione distorta dei concetti islamici nel tentativo di renderli compatibili con la democrazia. Tale interpretazione non ha niente a che vedere con la versione originale del Corano o delle Hadith.

Muhammad Al-Mukhtar Ash-Shinqiti[61], direttore del centro islamico del Texas, afferma che: “Un altro dei valori importanti è il sistema di controlli con cui i poteri sono distribuiti e separati in modo che ognuno sia indipendente e possa tenere gli altri sotto controllo. Nella terminologia coranica, ciò si chiama al-mudafa’ah, un concetto islamico molto importante dato che protegge la società dalla corruzione. L’onnipotente Allah dice Se Allah non respingesse alcuni per mezzo di altri, la terra sarebbe certamente corrotta, ma Allah è pieno di grazia per le creature. (Corano, 2:251)”

Questa idea del porre gruppi di persone in opposizione non ha niente a che fare con l’idea occidentale di una serie di leggi e regole scritte in una Costituzione. Con “corrotta” in questo caso si intende dire “inquinata da influenze non islamiche”, non “soggetta ad abusi di potere”.

Un altro di questi concetti è lo shura, traducibile come “consultazione”, e si trova nel versetto 42:38, “…si consultano vicendevolmente su quel che li concerne…” e nel versetto 3:159 “… Consultati con loro sugli ordini da impartire …” Secondo Ja’far Sheikh Idris[62], professore di studi islamici a Washington, “in generale, la democrazia è la stessa cosa dello Shura.”

In realtà, lo shura non è mai stato formalizzato. Anche i dittatori più autoritari e brutali, come Stalin o Mao, si “consultavano” con alcuni di tanto in tanto. Anche Genghis Khan si “consultava” con qualcuno mentre massacrava mezza Asia. Il fatto di “consultarsi” di per sé è senza senso. La “consultazione” è solo retorica, se non ci sono regole formali che costringono il dirigente a tenere conto del bene del popolo e sanzioni che lo colpiscano se non lo faccia.

I Sunniti parlano dei quattro califfi ortodossi, Abu Bakr, Umar ibn al-Khattab, Uthman ibn Affan e Ali ibn Abi Talib, tutti quanti ex amici personali di Muhammad. Il loro regno terminò con l’assassinio di Ali nel 661. A questo punto il Califfato passa da Medina alla dinastia Umayyid a Damasco. Nel 750 la dinastia Abbasid a Baghdad prende il Califfato, dove rimarrà fino al saccheggio di Baghdad da parte dei Mongoli. Formalmente, il califfato resterà vivo per secoli, anche se i califfi non avevano alcun potere vero e proprio. Nel 1924 il leader nazionalista turco Mustafa Kemal Atatürk lo abolirà formalmente.

In un saggio pubblicato sul giornale The Guardian[63], Osama Saeed, portavoce della Muslim Association of Britain proponeva la restorazione del califfato, affermando che tale istituzione sarebbe perfettamente compatibile con le istituzioni democratiche:

“Per ora la visione di un nuovo califfato riconosciuto dai musulmani di tutto il mondo sembra un’utopia. Persino l’idea di instaurare un’area di libera circolazione di merci e personale attraverso gli stati islamici sembra troppo estremista. Però è un’utopia che ci serve, e che dovrebbe essere sostenuta dal supporto americano e britannico, se vogliono veramente aiutarci nello sviluppo del mondo musulmano. La rinascita di una civiltà musulmana sarebbe un miglioramento per tutto il mondo.

Irfan Husain[64] ha criticato il saggio di Saeed nel giornale pakistano Dawn. Secondo lui ci sono delle grosse omissioni:

“Intanto, chi deciderebbe qual’è il candidato più adatto? Un indonesiano ha poco in comune con un turco, a parte la fede. In verità, la religione è solo uno degli aspetti dell’identità di una persona. Esistono altri fattori altrettanto importanti, come la lingua, il gruppo etnico, le condizioni socioeconomiche e tante altre cose. Non ha senso dare per scontato che solo perchè uno è un musulmano dovrebbe ubbidire a una persona dall’altra parte del mondo solo perché si fa chiamare Califfo. Forse ci si dimentica di quanto fosse tenue l’autorità di molti dei Califfi.”

The Christian Science Monitor[65] ha intervistato un gruppo di seguaci di Hizb ut-Tahrir, il partito della liberazione in Giordania. Secondo loro, un singolo stato islamico che vada dall’Indonesia al Marocco porterebbe la prosperità ai musulmani e gli permetterebbe di conquistare l’occidente. “L’Islam obbliga i musulmani a raggiungere posizioni di potere in modo che possano intimidire, non dico terrorizzare, i nemici dell’Islam”, dichiara Abu Mohammed, un attivista di Hizb ut-Tahrir. “Se dopo le discussioni e le negoziazioni continuano a rifiutarsi, la nostra ultima risorsa sarà una Jihad per la diffusione dello spirito islamico e del dominio islamico”, continua sorridendo. “Questo è nell’interesse di tutte le genti, per liberarle dall’oscurità e portarle verso la luce.”

Durante una conferenza in Australia del gennaio 2007, Ashraf Doureihi[66], ha sottolineato l’importanza della fondazione di uno stato islamico:

“E’ importante che ci si muova in tutto il mondo musulmano per arrivare a questo cambiamento, anche se ciò richieda una rivolta urbana o un colpo di stato militare.” Secondo Wasim Durie, portavoce di Hizb ut-Tahrir la conferenza era rivolta alla discussione di metodi per la creazione di un’entità sovranazionale islamica. “Quello di cui stiamo discutendo oggi non è solo il destino del mondo islamico, ma di tutta l’umanità.” Il governo australiano si è rifiutato di rendere illegale il gruppo, nonostante esso incitasse varie volte alla guerra civile [67].

E’ facile dire che si tratta solo di estremisti, ma come dice Robert Spencer[68], anche se questi estremisti non hanno alcuna possibilità di fondare un califfato non vuol dire che non siano pericolosi:

“Il fatto che l’URSS non avesse alcuna possibilità di diffondere il comunismo in tutto il mono non vuol dire che non fosse pericolosa. Queste persone così istruite non hanno capito che Al-Qaeda e gli altri gruppi sono in grado di causare problemi enormi e gravissimi nel loro tentativo di fondare un califfato mondiale. Il fatto che non abbiano alcuna possibilità di successo non vuol dire che non possano causare danni.”

Lo scrittore Abid Ullah Jan ha scritto un libro chiamato The End of Democracy, molto popolare nel mondo islamico. Jan cita al-Mawardi, un giurista islamico dell’undicesimo secolo che descriveva i doveri del Califfo (pagina 189):

“Second Al-Mawardi, i doveri del Califfo sono la protezione della religione islamica, la soppressione dell’eresia, l’interpretazione e applicazione della legge islamica, la gestione di eserciti alle frontiere per la difesa dell’impero, la promozione della causa islamica tramite l’apostolato verso i non musulmani o la guerra, la gestione di un sistema finanziario efficiente, la nomina e la paga di ministri, governatori, esattori, giudici e altri pubblici ufficiali e infine la supervisione di tutti i dipartimenti dello stato.”

Abid Ullah Jan cita anche il teologo del ventesimo secolo Abul A’la Mawdudi, fondatore del Jamaat-e-Islami in Pakistan (pagina 132):

“Lo stato islamico deve manipolare tutti gli aspetti della vita e delle attività in concordanza con le norme morali e le riforme sociali. In uno stato simile nessuno può dire di avere degli affari privati e personali. Nonostante tutto, questi concetti non rendono lo stato islamico uno stato autoritario o fascista, dato che esso è totalmente differente da uno di quegli stati.” Secondo Mawdudi: “La libertà individuale non viene soppressa e non ci sono segni di dittatura, anzi prende il meglio dei due mondi e rappresenta la società migliore che sia mai stata creata.”

Secondo Jan, “Non vogliono darci la possibilità di sederci con calma e creare uno stato islamico solo perché lo stato islamico ha le potenzialità di mostrare a tutti quale deve essere una società giusta e con tutti i vantaggi che gli stati democratici promettono e basta.”

Qualcuno potrebbe dire che forse il motivo è che lo stato islamico, come Jan stesso dice, ha l’obiettivo di uccidere, sottomettere o convertire tutti i non musulmani del mondo. Inoltre, Jan ammette che non è mai stato trovato un modo adatto per eleggere il Califfo (pagina 191):

“Il Profeta non ha designato un successore e non ha mai suggerito un metodo per eleggerne o deporne uno, agendo in conformità col Corano che non dice assolutamente niente al riguardo.”

Muhammad, nonostante avesse tante mogli, non ha mai generato un erede maschio e non ha neanche designato un successore, oltre a non avere mai ordinato un modo per designarlo. Per questo motivo, alla sua morte i primi musulmani si divisero. Alcuni volevano che il comando passasse ad Husayn, nipote di Muhammad per via di sua figlia Fatima. Husayn diventerà il primo imam degli Sciiti.

Per quanti gli apologeti moderni cerchino di indorare la pillola, è difficile vedere il Califfato se non come una dittatura imposta per diritto divino. Il principio di Montesquieu della separazione dei poteri è del tutto sconosciuto, anzi sarebbe considerato eretico. Anche se con qualche dissenso, l’opinione generale dei giuristi islamici è che fino a che il califfo segue le regole islamiche deve essere ubbidito, dato che una dittatura è sempre meglio dell’anarchia. Anche se il Califfo ha il dovere di “consultarsi” con altri riguardo agli affari di stato, è comunque libero di ignorare i loro consigli. La natura primitiva del governo islamico è terrificante.

Forse gli storici del futuro si chiederanno come mai i leader dell’UE abbiano potuto essere così stupidi nel creare l’Eurabia. Alcuni risponderanno che lo hanno fatto perchè glielo hanno permesso.

Ho sentito alcuni comunisti dire che il sistema sovietico avrebbe potuto funzionare, se non fosse arrivato al comando uno come Stalin. Questa idea è fondamentalmente sbagliata, perché è stato il sistema stesso a invitare leader come Stalin o Mao. Non ci sono leggi e regole che limitino il potere del leader in un sistema comunista. Lo stesso principio vale per il califfato. Secondo Lord Acton: “Il potere corrompe, e il potere assoluto corrompe assolutamente.” Il sistema islamico porta per forza a corruzione e abuso di potere.

Nel 2006 la Commissione Europea[69] (il governo della CE) ha annunciato che avrebbe inviato le proposte per le leggi europee ai parlamenti nazionali per i commenti, ma ha reso chiaro che Bruxelles avrebbe solo “preso nota” dei commenti dei parlamentari nazionali. Il concetto di “consultazione” della UE è che i popoli o i loro rappresentanti possono dare i loro “consigli” e che i governanti possono anche ignorarli. L’UE sarà in grado di integrarsi perfettamente col Califfato, dato che funzionano secondo gli stessi principi.

Il Middle East Media Research Institute (MEMRI) cita il Dr. Shaker Al-Nabulsi[70], intellettuale giordano, nella critica all’affermazione di Yusuf Al-Qaradawi’s che “la democrazia è l’essenza dell’Islam.”

Secondo Nabulsi, “Lui è uno di quelli che dice che lo Shura [consultazione] significa dare un consiglio al regnante ma non obbligarlo. [Secondo Al-Qaradhawi] il regnante non deve essere deposto nemmeno se pecca o se opprime il popolo, e deve essere ubbidito anche se ti picchia o ti rapina. Il Califfato è rimasto lo stesso dal 632 al 2004, è una forma di governo tribale in cui i potenti si alleano al sovrano, un sistema dispotico, antidemocratico e sanguinario, a parte per i 12 anni in cui hanno regnato Abu Baker e Omar Bin Al-Khattab [primo e secondo califfo]. Dal 661 al 1924 il califfato islamico è stato sanguinario e violento, e il governo di molti paesi islamici è così ancora oggi.”

Nabulsi cita al-Qaradawi dicendo che: “Ci sono quelli che dicono che la democrazia è il governo del popolo, ma il popolo vuole in governo di Allah. Sayyid Qutb nel suo libro The Milestones scrive che l’autorità è quella di Allah, non quella del popolo e che il sovrano è solo il segretario di Allah e il suo rappresentante sulla terra.”

Hassan al-Banna ha fondato la Muslim Brotherhood nel 1928 con l’obiettivo della restaurazione del Califfato. Secondo alcuni, il suo discepolo e successore Yusuf al-Qaradawi non ha cambiato obiettivo. Durante un’intervista col settimanale tedesco Der Spiegel[71], Qaradawi ha dichiarato che: “L’Islam è una sola nazione, esiste solo una legge islamica e tutti i musulmani pregano un solo Dio. Prima o poi, tale nazione diventerà una realtà politica. Rimane da vedere se sarà una federazione di stati, una monarchia o una repubblica islamica.”

In un altro articolo[72], Al-Qaradawi afferma che: “Una società cristiana può accettare la separazione tra Stato e Chiesa, ma una società islamica non può. Il cristianesimo non ha una Shariah o un sistema legislativo a cui i fedeli debbano aderire.” Secondo la legge del Nuovo Testamento, la società cristiana deve: “Dare a Cesare quel che è di Cesare.” (Matteo 22:21).

Invece dato che l’Islam ha un sistema di devozione (’ibadah) e un sistema legale (Shari’ah), accettare la separazione tra Stato e Chiesa significa abbandonare la Shari’ah e per un musulmano ciò equivale all’ateismo e al rifiuto dell’Islam. Accettare la separazione tra Stato e Chiesa invece della Shari’ah è un atto di riddah [apostasia]. Accettare un sistema di leggi secolari e l’uguaglianza di fronte alla legge tra musulmani e non musulmani equivale all’apostasia, e l’apostasia è punita con la morte.


L’intellettuale iraniano l Amir Taheri[73] scrive che, “Nelle lingue musulmane non è esistita una parola per democrazia fino al 1890. I musulmani sono stati costretti ad adottare la parola greca per indicare il concetto:democrasi in Persiano, dimokraytiyah in Arabo, demokratio in Turco. Non è un caso se i musulmani dell’antichità hanno tradotto molti testi greci, ma non quelli sulla politica. Il grande Avicenna ha tradotto la Poetica di Aristotele, ma nessuno ha tradotto la Politica in Persiano fino al 1963.” Secondo Taheri, il concetto che causa più problemi è quello dell’uguaglianza di fronte alla legge: “Questa è un’idea inaccettabile nell’Islam, in cui l’infedele non può essere uguale al fedele.”

“Democrazia significa governo del popolo, oggi detto sovranità popolare. Nell’Islam il potere appartiene solo ad Allah: al-hukm l’illah. L’uomo che esercita questo potere è detto Khalifat al-Allah, il reggente di Allah. Nemmeno il Califfo può dettare legge, la legge è quella di Allah. (…) L’Islam ha il concetto di consultazione, ma solo per i casi specifici e non per l’andamento generale della società.” La sua conclusione è che “L’Islam è incompatibile con la democrazia.” Eppure, in un altro dei suoi saggi, Amir Taheri chiede agli europei la restaurazione dell’Impero Romano[74]:
...

fine II parte

Islam e democrazia
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Re: Nazismo maomettano = dhimmitudine = apartheid = razzismo

Messaggioda Berto » dom giu 11, 2017 11:03 pm

Taqiyya o Kitman: mentire nell’interesse dell’Islam
Il concetto islamico di taqiyya per infiltrarsi nei paesi kafir e conquistarli

http://islamicamentando.altervista.org/160

Secondo la taqiyya, ai musulmani viene concessa la possibilità di infiltrarsi nel Dar-al-Harb (la “casa della guerra”, ovvero i territori non islamici), fingendosi moderati per insediarsi nelle città e nei luoghi vitali dei nemici, al fine di aprire la strada all’islam. I dissimulatori agiscono spesso per conto delle autorità musulmane, e di conseguenza non sono da considerarsi apostati o nemici dell’ortodossia islamica.

I dissimulatori sono legittimi mujaheddin, la cui missione è quella di fiaccare la resistenza del nemico e il suo livello di mobilitazione. Uno dei principali obiettivi è quello di causare divisioni tra gli avversari, sminuendo le responsabilità dell’islam (“Oh, ma io non sono religioso”, “Ma quello non è il vero islam, ti stai sbagliando, c’è così tanta disinformazione”, “oh, ma quella è un’interpretazione sbagliata”, “fratello, l’islam significa pace, amore”, “hey, leggi questo versetto pacifico“).

La taqiyya è infatti la pratica di mentire nell’interesse dell’islam. L’obiettivo è quello di ingannare i miscredenti, convincendoli della bonarietà dell’islam attraverso l’eliminazione di dubbi e preoccupazioni su questa religione. La taqiyya è alla base della propaganda musulmana presente oggi in Occidente. Uno degli argomenti principali di chi pratica la taqiyya é quello presentare l’islam come una religione che promuove l’uguaglianza dei diritti per le donne. Tutto questo è concepito con lo scopo di portare quante più persone possibili alla conversioneall’islam. Su questo articolo l’Imam Durham ci fornisce un classico esempio di taqiyya, giacché afferma di sentirsi obbligato dalla sua religione a impedire a un vandalo di distruggere le proprietà di una chiesa o di una sinagoga. Questo genere di affermazioni vengono diffuse in pubblico con l’intento di presentare aspetti della religione islamica che non riflettono la realtà. Certamente l’atteggiamento storico dei musulmani verso le chiese e le sinagoghe NON è stato quello di proteggerle dal vandalismo ma anzi, piuttosto è stato il contrario. Simili menzogne, quando i musulmani sono minoranza e deboli politicamente, devono essere proferite in pubblico per presentare l’islam in una luce positiva e tollerante così da risultare appetibile agli occidentali e poco criticabile, in modo da far credere che l’immagine dell’islam come religione intollerante e violenta è soltanto un mito creato dai razzisti o più semplicemente da chi vuol diffamare la Vera Fede.

Questa sorta di santificazione della disonestà è viene giustificata da molti musulmani sulla convinzione che chi si oppone all’islam sta mentendo, perciò è legittimo usare la stessa arma. Per la maggior parte dei musulmani è assolutamente inconcepibile rifiutare l’islam, anche se lo si fa sulla base di ragionamenti razionali. Di conseguenza l’insistere nella miscredenza denota una mancanza di intelligenza o di moralità da parte dell’infedele. Frithjof Schuon su questo atteggiamento dei musulmani dice:

“Le basi intellettuali e quindi razionali dell’islam hanno l’effetto nel musulmano medio di provocare la curiosa tendenza a credere che i non musulmani o sappiano che l’islam è la verità e quindi la rifiutino per pura ostinazione, o siano semplicemente ignoranti riguardo ad esso e quindi possano essere convertiti da spiegazioni elementari; il fatto che qualcuno possa volersi opporre all’islam con coscienza pulita eccede di gran lunga l’immaginazione musulmana, precisamente perché l’islam coincide nella loro mente con l’irresistibile logica delle cose.”

Queste parole ci fanno capire molte cose che possono essere facilmente osservate da chi ha regolarmente a che fare con i musulmani. Ci fa capire perché gli argomenti degli apologeti dell’islam sono elementari, quasi fanciulleschi, e perché molte volte questi apologeti si riducano ad insultare l’infedele che li confuta. Ci fa capire inoltre il perché molti musulmani lodino pomposamente la “logica” e la “razionalità” dell’islam mentre allo stesso tempo difendono la loro fede con ragionamenti circolari e spesso contraddittori. E’ per questo che i musulmani possono, senza alcuna ironia, affermare che l’islam è una “religione di pace”, anche quando la testimonianza della storia e delle cronache odierne contraddicono nettamente questa affermazione. Per molti musulmani l’idea che un infedele possa rifiutare l’islam a causa di una sincera ricerca della verità è assolutamente inconcepibile. Per loro la verità dell’islam è evidente, quindi un rifiuto di fronte all’evidenza viene motivato dal fatto che l’infedele, con i suoi argomenti confutativi, stia mentendo, ed è persino molto abile a farlo dato che risulta impossibile controbattere in maniera logica alle sue “menzogne sull’islam”. Anche in quesi casi che subentra il ricorso alla taqiyya, per deviare le “menzogne dell’infedele” così che la logica della verità, definita a priori come esclusivamente islamica, possa prevalere.

La taqiyya va al di la del semplice scopo di propaganda. L’origine etimologica della parola significa “per proteggersi da, per mantenere (se stessi).” Include quindi anche la dissimulazione da parte dei musulmani nel dare l’idea di non essere religiosi, in modo da non creare sospetti. Sotto queste mentite spoglie un musulmano, se necessario, può mangiare carne di maiale, bere alcolici, e persino rinnegare verbalmente la fede islamica, fintanto che “non lo intenda nel suo cuore”. Se il risultato ultimo di una menzogna è percepito dai musulmani come utile per l’islam o utile per portare qualcuno alla “sottomissione” ad Allah, allora la menzogna può essere permessa attraverso la taqiyya.

Il concetto di taqiyyah si trova anche nel Corano:

Che i fedeli non prendano per amici o protettori gli Infedeli al posto dei fedeli: se qualcuno lo facesse, in nulla vi sarà aiuto da Allah: eccetto come precauzione, così che possiate guardarvi da loro. Ma Allah vi avverte di ricordarlo; perché l’obiettivo finale è Allah.” Corano 3:28

In questo versetto si sconsiglia ai musulmani di prendere gli infedeli per amici, a meno che farlo possa essere utile a difendere l’islam dai suoi nemici (o percepiti come tali), possa prevenire perdite o possa proteggere i musulmani da chi li minaccia per la loro fede. In altre parole, il fine giustifica i mezzi. Se un musulmano deve dare l’apparenza di non credere nell’islam, ad esempio andando contro il principio generale di non avere infedeli per amici, in base alla dottrina della taqiyya ció è accettabile.

Teniamo presente che tutto ciò che un musulmano praticante considera come “buono” è tutto ció che contribuisce alla diffusione e il trionfo dell’islam. Un esempio di qualcosa di “buono” é il numero e la posizione dei membri musulmani nelle forze armate Americane, alcuni dei quali sono stati arrestati mentre cercavano di trasmettere informazioni ad al-Qaeda e altre organizzazioni terroristiche islamiche.
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Re: Nazismo maomettano = dhimmitudine = apartheid = razzismo

Messaggioda Berto » ven giu 16, 2017 8:54 am

Democrazia etnica, apartheid e dhimmitudine
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Re: Nazismo maomettano = dhimmitudine = apartheid = razzismo

Messaggioda Berto » ven giu 23, 2017 8:44 pm

Svezia islamica; l’apartheid multiculturale – Il blog di Giampaolo Rossi
2017/06/23

http://blog.ilgiornale.it/rossi/2017/06 ... ok%20Page#


NO-GO ZONE ISLAMISTE
Il Ministero dell’Interno svedese ed il NOA (Dipartimento Operazioni Polizia) hanno aggiornato l’elenco dei distretti del Paese definiti “particolarmente vulnerabili” per l’ordine pubblico; in pratica zone ad alto tasso di criminalità e emarginazione a cui è richiesto, alle stesse forze di polizia, tecniche di intervento particolari.
Erano 15 nel 2015 ed oggi sono 23; a questi si aggiungono altri 53 distretti “vulnerabili” in cui la situazione di ordine pubblico non è critica come gli altri ma a rischio degenerazione. I distretti sono diffusi nelle città maggiori (Stoccolma, Goteborg, Malmö, Uppsala).

Nel report è specificato che i distretti vulnerabili sono aree prevalentemente abitate da immigrati islamici “dove è difficile o quasi impossibile per la polizia adempiere alla propria missione”, dove esistono “strutture comunitarie parallele” a quelle dello Stato, “estremismo religioso e fondamentalista come violazione sistematica dei diritti delle persone”, “elevata concentrazione di reati penali” e tendenza “all’arruolamento di persone per aree di conflitto” (Siria e Iraq). Insomma delle vere e proprie “no-go zone”, come definite dal quotidiano DN che per primo ha pubblicato il report.
Queste aree rappresentano un rischio per la tenuta sociale di una nazione di 10 milioni di abitanti.
Il governo svedese minimizza e rifiuta l’immagine di una deriva islamista della Svezia.

Fatto sta che nell’Aprile scorso i responsabili di PostNord, la società delle Poste Svedesi, hanno comunicato la sospensione del servizio di consegna in alcuni sobborghi di Stoccolma a causa dei rischi di aggressione per i propri dipendenti (tecnicamente lo hanno chiamato “stop protettivo”).
Un mese prima il Sindacato paramedico degli Operatori delle Ambulanze svedese aveva fatto richiesta espressa di “attrezzature militari” per il proprio personale operativo nei quartieri delle grandi città a rischio “sopratutto a forte concentrazione di immigrati islamici”.

La Svezia, modello di multiculturalismo, mito della socialdemocrazia europea, per decenni simbolo della integrazione arcobaleno, si sta svegliando da un lungo sonno.

“APARTHEID MULTICULTURALE”
Nima Gholam Ali Pour è uno studioso svedese di origine iraniana. Come molti immigrati integrati nella società svedese che hanno accettato e condiviso i valori occidentali, è consapevole del pericolo che il Paese sta correndo. Recentemente, in un articolo pubblicato dal Gatestone Institute, ha denunciato “l’apartheid del multiculturalismo”; perché la Svezia rimane “un paese ultraliberista” ma ci sono zone nelle città in cui “alle donne è vietato portare minigonne e gli omosessuali sono perseguitati (…) L’intolleranza è semplicemente parte dell’odierna Svezia multiculturale“.

D’altro canto, da anni, la denuncia sui rischi di fallimento del modello multiculturale svedese viene proprio dagli stessi immigrati islamici integrati.
Nel 2015 fece scalpore il caso di Nalin Perkul, la parlamentare socialedemocratica curdo-svedese, musulmana praticante, che dovette abbandonare il quartiere di Stoccolma dove viveva da trent’anni per le minacce ricevute dagli integralisti islamici arrivati a vietarle di girare vestita come un’occidentale; il quartiere in oggetto si chiama Tensta ed è diventato uno delle enclavi dell’islamismo radicale nella capitale svedese con quasi il 70% di residenti immigrati (di cui il 40% vive con sussidi sociali) ed il 95% di bambini islamici nelle scuole.

IL RUOLO DEL QATAR E FRATELLI MUSULMANI
L’islam svedese ha un legame molto forte con il Qatar e con i Fratelli Mussulmani. E proprio il Qatar ha investito oltre 3 milioni di euro per costruire a Malmö, la più grande Moschea della Scandinavia inaugurata a Maggio.
Stranamente in Svezia la notizia è stata silenziata; solo organi di stampa del Qatar l’hanno riportata con enfasi, mentre le autorità svedesi locali, presenti all’inaugurazione, hanno usato solo la definizione di “Centro culturale” e non di Moschea.

La costruzione è stata realizzata dal Wakf di Svezia, la Fondazione islamica per le attività di sostegno alla comunità; organizzazione che ha avuto in passato stretti legami con l’imam danese Abu Laban (morto nel 2007) e noto per le sue posizioni radicali ed estremiste, legato ai Fratelli Mussulmani, ispiratore della rivolta nel mondo arabo contro le vignette satiriche a Maometto; l’uomo che definì bin Laden un “combattente per la libertà”, e nel 1994 giustificò la strage di turisti occidentali in Algeria affermando che “diffondevano l’Aids nel paese così come gli ebrei lo diffondono in Egitto”.

D’altro canto la Svezia è stato il primo governo europeo ad avere avuto un ministro con esplicite simpatie per gli integralisti: Mehmet Kaplan, ministro turco-svedese per lo Sviluppo Urbano, esponente dei Verdi e della sinistra e legato ai Fratelli Musulmani, paragonò i jihadisti svedesi arruolati con l’Isis, ai giovani volontari anticomunisti che andarono a combattere in Finlandia contro l’invasione sovietica nel 1939.

FOREIGN FIGHTERS
E a proposito di Siria e Iraq, va ricordato che la Svezia è, in rapporto alla propria popolazione, una delle nazioni europee con il maggior numero di Foreign Fighters arruolati con Isis e bande di Al Qaeda: la terza dopo Belgio e Danimarca secondo la ricerca ICSR (International Centre for the study Radicalization) del 2015.

Un più recente studio dello svedese CATS (Center for Asymmetric Threat Studies) ha realizzato una radiografia accurata dei circa 300 combattenti svedesi partiti per la jihad: il 34% non sono nati in Svezia e più del 70% proviene da quei distretti ritenuti oggi vulnerabili dalle autorità. E se da un parte il numero degli arruolati nell’ultimo anno è drasticamente diminuito aumenta il numero di integralisti islamici in Svezia. In una recente intervista, il Direttore del SAPO (il Servizio di Sicurezza Svedese) ha dichiarato che oggi sono “migliaia gli islamisti radicali in Svezia. Erano solo 200 nel 2010″.

Nonostante la Svezia sia uno dei paesi ad aver attivato progetti di recupero sociale per i jihadisti, è evidente come il modello di integrazione stia fallendo e che il politically correct imposto dai custodi dell’ortodossia multiculturalista non riesca a nascondere la verità sempre più percepibile.

NON SI PUÒ NON VEDERE
La Svezia è uno dei casi limite di ciò che sta producendo la cecità dell’Occidente. Eurabia non è un percorso lineare ma si muove a macchia di leopardo penetrando nei sistemi più fragili o nelle nazioni dove la classi dirigenti sono più corrotte ideologicamente al verbo della dissoluzione identitaria imposta dal potere tecnocratico.

Come sia possibile che i governi occidentali non si rendano conto del processo di disintegrazione dell’Europa, dei suoi modelli sociali e valoriali che l’immigrazione indotta e il multiculturalismo stanno determinando, è cosa incomprensibile; o meglio comprensibilissima perché forse è proprio quello che il progetto di potere mondialista esige per ridisegnare l’ordine globale.
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Re: Nazismo maomettano = dhimmitudine = apartheid = razzismo

Messaggioda Berto » ven giu 23, 2017 8:45 pm

Il terrorismo islamista e l’odio anti occidente
12 giugno 2017
di Ernesto Galli della Loggia

http://www.italiaisraeletoday.it/il-ter ... -occidente

Dietro il terrorismo islamista è facile scorgere un vasto retroterra di opinione pubblica mussulmana – presente anche in Europa – che certamente condanna le imprese dei terroristi ma che oscuramente ne subisce una certa fascinazione perché, magari inconsapevolmente, ne condivide alla fine un sentimento di fondo: cioè una radicata avversione antioccidentale.

La quale si alimenta a propria volta di un sentimento diffusissimo in tutto il mondo islamico: il vittimismo. L’idea che mentre quel mondo sarebbe stato oggetto da sempre di gravi soprusi da parte dell’Occidente, il suo passato, invece, sarebbe totalmente privo di macchie. L’atmosfera culturale dominante in Europa e negli Stati Uniti negli ultimi decenni, intrisa di un desiderio di espiazione per i nostri, veri o presunti, peccati storici, ha indubbiamente favorito la diffusione di tale sentimento pronto a volgersi in risentimento.

Ma tutto questo ha ben poco a che fare con la storia, con la storia reale che si sforza di accertare e di raccontare i fatti per quello che sono effettivamente stati. Quella storia che però, disgraziatamente, sembra essere ancora oggi la grande assente nell’opinione pubblica islamica. Con il risultato che la non conoscenza del passato favorisce ogni mitizzazione, accredita una visione del mondo in bianco e nero, e contribuisce non poco a distorcere gravemente il significato di quanto accade attualmente, producendo per l’appunto vittimismo e pericolosi desideri di rivalsa.

A fare giustizia di molte leggende storiche su due aspetti centrali del passato islamico sono utilissimi due libri (oltre agli smartphone per fortuna esistono ancora i libri). Il primo, recentissimo, è di Georges Bensoussan, «Les juifs du monde arabe» (Odile Jacob, 2017) dedicato, come dice il titolo, alla vita delle comunità ebraiche nell’islam arabo. Il mito di cui qui si tratta è quello — prediletto in special modo da tutta l’opinione progressista occidentale ma costruito paradossalmente dal sionismo tedesco dell’Ottocento — della presunta felice convivenza che avrebbe caratterizzato in generale l’esistenza degli ebrei in tutto il mondo arabo. Fintanto che — così vuole il mito — a spezzare l’incantesimo e a rendere invivibili per gli ebrei i Paesi islamici sarebbe intervenuta la nascita abusiva dello Stato di Israele. Senza la cui presenza, perciò, l’eden avrebbe potuto tranquillamente continuare a esistere.

Si dà invece il caso che la realtà, tranne in casi rarissimi, sia stata sempre ben diversa. Le pagine del libro forniscono a questo proposito una vasta documentazione circa il miserabile stato di inferiorità, di forzata ignoranza, in cui per secoli nel mondo islamico gli ebrei furono costretti, in virtù di un pregiudizio religioso antigiudaico ben più vasto e pervasivo di quello diffuso nel mondo cristiano.

Per essere tollerati gli ebrei erano costretti, oltre che a pagare una tassa speciale, ad accettare una condizione di paria, ad esempio subendo quotidianamente da parte di chiunque (anche di un bambino islamico incontrato per strada) una serie di angherie, di violenze e di oltraggi mortificanti senza potersi permettere, pena la vita, il minimo gesto di reazione. Si è trattato per secoli dell’applicazione di una vera e propria tecnica di degradazione sociale tendente, suggerisce l’autore, a una sorta di animalizzazione deumanizzante della figura dell’ebreo.

Le cose mutarono solo con le conquiste coloniali europee e con la presenza mandataria anglo-francese nell’ex impero ottomano dopo il 1918. Gli ebrei allora — grazie anche ai loro legami con i correligionari in Europa — furono pronti a cogliere l’occasione e a iniziare un percorso di emancipazione culturale ed economica nei vari Paesi arabi, che gli attirò tuttavia una ancor più aggressiva ostilità da parte delle élite e delle popolazioni islamiche. Sicché dalla fine dell’Ottocento al 1945 in tutto il Maghreb e il Medio Oriente aggressioni, disordini, autentici pogrom, non si contarono, a stento contenute dalle potenze coloniali, e con l’ovvia appendice di derive filofasciste e filonaziste. Assai spesso, alla sua origine il moderno nazionalismo arabo-islamico si è nutrito profondamente proprio di questo antisemitismo militante mischiato con l’antioccidentalismo. Quando lo Stato d’Israele, si noti bene, era ancora al di là da venire.

Sempre circa l’immagine idilliaca della civiltà islamica che dalle nostre parti ancora piace a molti costruirsi — con conseguente autoflagellazione della civiltà occidentale — bisognerebbe poi che i nostri manuali scolastici si decidessero per esempio a dire qualcosa a proposito della tratta degli schiavi che i negrieri islamici, arabi e berberi, praticarono dall’ottavo al sedicesimo secolo (dunque per almeno cinque, sei secoli in più rispetto ai negrieri europei e americani — di questi ultimi non pochi armatori ebrei di Charleston e di Newport — delle cui imprese, invece, quei manuali parlano a ragione molto diffusamente). Nell’attesa si può ricorrere alle trecento e passa pagine di uno storico della Sorbona, Jacques Heers («Les négriers en terre d’islam»).

Coadiuvati anch’essi — come più tardi i trafficanti euro-americani — dall’indispensabile collaborazione dei capi neri degli Stati dell’Africa sub sahariana — sovente veri e propri Stati predatori dei propri stessi abitanti —, i negrieri islamici della penisola arabica e della riva sud del Mediterraneo si diedero per un lunghissimo tempo al commercio quando non all’organizzazione in prima persona di razzie sistematiche, ogni volta di migliaia e migliaia di schiavi, dal Sudan al Senegal, al Mali, al Niger: non mancando d’invocare in molte occasioni il pretesto della conversione e della guerra santa. Fin dall’inizio dell’islam Gedda, Medina, la Mecca, e in seguito Algeri e Tunisi, furono grandi mercati di esseri umani catturati non solo in Africa ma anche per esempio tra i Bulgari e in tutti i Balcani. Alla metà del ‘500 i «bagni» di Algeri erano affollati pressoché esclusivamente di schiavi cristiani, bambini compresi, cui era spesso riservato il triste destino della castrazione. Mercanti islamici arrivarono a trafficare schiavi neri fino in Cina e in India.

Come si vede, è abbastanza evidente che se oggi volessimo davvero impegnarci in una battaglia culturale per favorire la nascita di un Islam «moderato», è da qui, da una ricognizione del passato, e quindi da libri di storia come quelli che ho citato, che si dovrebbe cominciare. Dal momento che è solo grazie alla conoscenza dei fatti che si può evitare di credere alle menzogne e di farne lo strumento autoconsolatorio di una propria immaginaria innocenza a confronto della malvagità altrui.


Islam, Maometto, Allah, Corano e Sharia sono orrore e terrore
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Re: Nazismo maomettano = dhimmitudine = apartheid = razzismo

Messaggioda Berto » gio giu 29, 2017 8:08 pm

NEL CORANO LA RADICE DEL JIHAD
Francesco Borgonovo, Libero, 29/02/2016

parla Bat Ye'Or

Partiamo dalle basi. Che cos'è il jihad? "Il jihad è un sistema teologico, politico, giuridico, ed economico di guerra perpetua che la comunità musulmana, l'umma, è obbligata a fare contro i non-musulmani. Secondo questa ideologia, l'umanità è divisa in due campi nemici: il campo in cui governa la legge di Allah (la shari'a), cioè il dar al-islam, regione di pace e di giustizia; e il campo dei non-musulmani che non obbediscono alla shari'a.
Questa regione è quella del male, dell'idolatria, ed è chiamata dar al-harb, regione della guerra (harb) perché i musulmani sono costretti a conquistarla per imporvi la shari'a. Gli abitanti del dar al-harb sono chiamati harbi, quelli a cui si fa la guerra. Non sono divisi fra loro da nazionalità o religione, tutti insieme costituiscono il mondo dei non credenti. Il diritto di vivere degli harbi non è riconosciuto. Il musulmano può ucciderli o prenderli in ostaggio o ridurli in schiavitù. Alla base del jihad c'è la credenza che tutta la Terra appartiene ad Allah e che lui la destina soltanto alla sua comunità di fedeli. Quando i musulmani prendono un Paese del dar al-harb, di fatto riprendono un bene che era loro e che i miscredenti possedevano illegalmente. Quando fanno la guerra, dunque, si tratta di una guerra di difesa per riprendere il bene a loro destinato da Allah e se il miscredente si oppone, l'aggressore è lui».

E questo cambio di prospettiva che cosa comporta? «Vediamo che in questa interpretazione i termini di aggressore e di resistenza o difesa sono invertiti. Se ci sono violenza, guerra e morti, sono i miscredenti i responsabili, perché avrebbero dovuto sottomettersi agli eserciti musulmani senza resistenza. Prima di fare la guerra, il califfo domanda alla popolazione infedele di convertirsi all'islam o di accettare senza opporsi la dominazione musulmana. Se essa rifiuta, allora gli fa la guerra».

Come viene condotto il jihad? «Questa guerra dev'essere portata avanti secondo le leggi teologiche che oggi sono applicate dallo Stato Islamico. Basate sulla shari'a, esse regolamentano le strategie e le tattiche delle operazioni militari, il trattamento dei popoli vinti, il regime fiscale da assegnare ai territori conquistati e lo statuto giuridico dei vinti chiamati ormai dhimmi (sotto la protezione dell'islam). Ma il jihad può farsi anche con mezzi pacifici: il proselitismo, la propaganda, e la corruzione messa in atto da personaggi in posizioni di responsabilità».

Come vengono trattati gli abitanti dei Paesi a cui i musulmani fanno guerra? «ll harbi, in quanto abitante del territorio della guerra, è un nemico che non può avventurarsi nelle terre dell'islam, in cui secondo la legge, ogni musulmano è autorizzato a ucciderlo e a impadronirsi dei suoi beni. Tuttavia la sua sicurezza può essere garantita dall'aman, una protezione temporanea. Quando una porzione del dar al-harb è conquistata e diventa parte dal dar al-islam, i suoi abitanti (harbi) sono considerati prigionieri di guerra. L'imam può condannarli al massacro, alla schiavitù, all'esilio, oppure trattare con i loro rappresentanti e concedere loro un patto di protezione (dhimma), che conferisce loro lo stato di dhimmi. Poiché la condizione di dhimmi è il diretto risultato del jihad, essa è legata al contratto che sospende l'originario diritto del vincitore sui vinti, in cambio dell'accettazione da parte dei dhimmi del pagamento di un tributo e della loro sottomissione all'islam. In quanto guerra permanente, il jihad esclude la nozione di pace ma prevede delle tregue temporanee legate alle contingenze politiche. Queste tregue sono limitate a dieci anni e possono essere revocate unilateralmente dall'imam dopo notificazione all'avversario. La legge jihadista regola pure le modalità dei trattati con il dar al harb, le condizioni del pagamento del tributo o del vassallaggio nello stadio intermedio di non guerra. Considerato dai dotti dell'islam uno dei pilastri della fede, è obbligatorio per tutti i musulmani di contribuire al jihad sia nella guerra sia con il denaro o in altri modi».

Può spiegare quando è nato il jihad e come è nato? ll jihad nacque a Yathrib (più tardi chiamata Medina) dopo la fuga di Maometto dalla Mecca (nel 622), dov'era perseguitato dagli idolatri. Lì il Profeta organizzo alcune spedizioni volte a intercettare le carovane che commerciavano con La Mecca. Una serie di rivelazioni divine, elaborate ad hoc per tali spedizioni, vennero a legittimare i diritti dei musulmani sui beni e la vita dei loro nemici pagani, e furono creati versetti coranici finalizzati a santificare di volta in volta il condizionamento psicologico dei combattenti, la logistica e le modalità delle battaglie, la spartizione del bottino e la sorte dei vinti. A poco a poco, negli attacchi contro ebrei e cristiani, fu definita la natura delle relazioni da adottare nei confronti dei non musulmani nel corso delle imboscate, delle battaglie e delle tregue, ossia dell'intera gamma di strategie in cui si articolava la guerra santa necessaria ad assicurare l'espansione dell'islam».

Perché al Profeta serviva una giustificazione religiosa alla guerra nel Corano? «In quel tempo la gente era molto religiosa. Tutte le forme di autorità e di governo erano basate sulla religione. L'islam è nato in una società nomade e bellicosa che aveva le sue regole di guerra e che praticava la razzia sui sedentari - artigiani, contadini e mercanti - non protetti dai pagamenti che garantivano "protezione" alle tribù. La dottrina del jihad mutua le pratiche razziatorie tipiche dei nomadi, ma mitigandole con una serie di ingiunzioni contenute nel Corano. Gli Arabi pagani di Medina chiedevano a Maometto di fornire loro un libro sacro come quello che avevano gli ebrei e i cristiani. Un libro che sarebbe stato per loro una guida e che avrebbero studiato come avevano visto fare agli ebrei di Medina».

Che cosa comporta il fatto che il jihad sia una istituzione dell'islam? «Questo ha due conseguenze. 1) Il jihad, essendo una parte importante della religione, non può essere revocato senza un serio esame delle sue fonti teologiche e giuridiche. 2) Tutte le relazioni umane con gli infedeli sono disciplinate dalle regole religiose del jihad. Tuttavia oggi moltissimi musulmani non conoscono la teoria del jihad o la rifiutano. Le sanzioni jihadiste contro gli apostati sono ancora più severe che contro gli infedeli».

Possiamo dire che la religione islamica crea uno stato di guerra permanente contro gli infedeli? «Finché il jihad non è revocato si può dire che le relazioni con gli infedeli si sviluppano all'interno di questo quadro. La guerra contro Israele è un jihad. Con l'Egitto e la Giordania c'è una pace fredda. L'Europa e l'America sono nella categoria della tregua, che impone dei doveri».

Quali? «ll più importante è la loro cooperazione al jihadismo palestinese per distruggere Israele. Quando Europa e America non obbediscono, il terrorismo le colpisce. L'antisionismo dell'Europa è la sottomissione di un continente alla minaccia jihadista. Oggi l'implicazione dell'Occidente contro movimenti radicali musulmani ha intensificato e mondializzato il terrorismo jihadista. Gli altri doveri della tregua sono l'accettazione dell'immigrazione musulmana, la costruzione di moschee, il permesso per la da'wa, le sanzioni contro la blasfemia, il pagamento del tributo, il dovere di vassallaggio per sostenere le cause musulmane. Gli infedeli dei Paesi della tregua sono tenuti a non ostacolare l'avanzata dell'islam nel loro territorio. La legge islamica non riconosce alcun trattato contrastante con tali accordi, che inoltre è obbligatorio rinnovare ogni dieci anni. II rifiuto di permettere la diffusione dell'islam nei Paesi della tregua equivale a un casus belli e può provocare una ripresa del jihad».

Ci sono però musulmani che a livello individuale non accettano la dottrina jihadista. «Sì. I Kurdi per esempio. Io ho parlato di una dottrina vecchia di tredici secoli. Questo non vuol dire che l'insieme del mondo musulmano l'accetti. Oggi il mondo musulmano è molto diviso su questo problema. Il generale egiziano Al-Sisi, per esempio, ha chiesto alle più alte autorità musulmane di modernizzare la religione. In Turchia, Atatürk fece una rivoluzione che cambio il Paese».

Poi, però, ci sono i gruppi che fanno ricorso al terrorismo... «II terrorismo oggi ubbidisce alle tattiche del jihad. Non ce ne rendiamo conto perché non le conosciamo, ma viviamo in un tempo di mondializzazione del jihad che si manifesta in tutti i continenti contro i non-musulmani ma anche contro i musulmani modernizzati e apostati e contro gli Stati musulmani che non applicano le regole della shari'a. La guerra dei Palestinesi contro Israele è un jihad come lo sono gli attacchi terroristici in tutto il pianeta. La condizione stabile fra gli Stati dell'Unione europea e i Paesi della Lega Araba e quelli dell'Organizzazione della Cooperazione Islamica (56 Paesi musulmani) rappresenta uno stato di tregua temporanea, che esige il pagamento di tributi e il vassallaggio. L'Europa pagava per lo sviluppo economico dei Paesi arabi del Maghreb ed altri del Medio Oriente, per l'Unrwa. Partecipa alla guerra contro Israele con una propaganda di odio e di delegittimazione, adotta la narrazione musulmana della storia e cambia l'istruzione scolastica. Inoltre accetta una immigrazione massiva, la costruzione di moschee e i comandamenti della shari'a, proibisce le critiche dell'islamismo».

Alcuni europei, tuttavia, non hanno voglia di sottomettersi. «Oggi parecchi Paesi europei partecipano alle guerre intra-musulmane, e le loro popolazioni si oppongono all'immigrazione, allo sviluppo delle moschee, alle condanne per blasfemia - queste sono condizioni per un casus belli che provochi la ripresa del jihad. Non si può proibire l'immigrazione e la costruzione di moschee nei Paesi della tregua...».



La Sharia non è la legge di D-o ma soltanto quella dell'idolo Allah
viewtopic.php?f=188&t=2470

Umma
viewtopic.php?f=188&t=2529

Preghiere islamiche contro i non islamici
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Re: Nazismo maomettano = dhimmitudine = apartheid = razzismo

Messaggioda Berto » mer lug 05, 2017 7:04 am

"Troppo occidentale": fondamentalisti torturano e uccidono il "Brad Pitt iracheno"
Karar Nushi, il modello e attore iracheno che assomigliava a Brad Pitt, è stato torturato e ucciso dai fondamentalisti islamisti perché viveva "troppo all'occidentale"
Ginevra Spina - Mar, 04/07/

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/tro ... 16435.html

Lunghi capelli biondi, vestiti attillati e stile di vita all'occidentale: per questo il giovane a attore e modello Karar Nushi, soprannominato "il Brad Pitt iracheno", è stato torturato e ucciso da un gruppo fondamentalista islamista legato all'Isis.

Karar Nushi, un giovane attore e modello di Baghdad, era salito alla ribalta delle cronache locali per il suo aspetto fisico, che ricordava quello del ben più celebre divo di Hollywood. La sua fama gli aveva attirato moltissimi fan ma anche diverse minacce di morte da parte di gruppi anonimi che non sopportavano "i suoi vestiti eccentrici e la lunga chioma bionda".

Karar, che era iscritto all'Istituto di Belle Arti a Baghdad e aveva recitato negli scorsi giorni al teatro Najah, non si era però fatto intimidire, anzi. Non solo aveva proseguito con la carriera che amava, ma aveva addirittura anche annunciato la sua partecipazione a un futuro concorso di bellezza maschile.

Quest'ultimo annuncio potrebbe essere stato interpretato dai suoi assassini come l'ennesima provocazione di quell'uomo che si ostinava a vivere "troppo all'occidentale" e hanno deciso di ucciderlo senza pietà. Il suo corpo senza vita, torturato e mutilato, è stato trovato lunedì scorso a Palestine Street, nel nord della capitale irachena, poche ore dopo che i familiari avevano denunciato la sua scomparsa alle autorità.

Il corpo martoriato di Nushi, secondo la rete televisiva NRT che cita fonti di sicurezza, mostrava evidenti segni di tortura e presentava numerose ferite. Le autorità irachene non hanno ancora commentato l'omicidio né tanto meno identificato i responsabili.

A poche ore dalla sua morte, moltissimi fan hanno lasciato messaggi di cordoglio sulla pagina Facebook dell'artista. Sempre sui social, diversi utenti hanno postato commenti in cui celebrano il suo coraggio e sottolineano come quello di Nushi sia solo l'ennesimo caso di persona uccisa perché sospettata di essere omosessuale.

I gruppi fondamentalisti che lo avevano più volte minacciato in passato, infatti, lo accusavano anche di avere atteggiamenti omosessuali e di frequentare colleghe donne. Anche questo è una delle ragioni che avrebbe potuto portare alla condanna a morte del giovane da parte dei fondamentalisti. Come riporta anche il Corriere della Sera, dal 2003 ad oggi, diversi giovani iracheni sono stati rapiti e uccisi a causa del loro orientamento sessuale: dietro gli omicidi ci sarebbero diversi gruppi islamici sia sciiti che sunniti.
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Re: Nazismo maomettano = dhimmitudine = apartheid = razzismo

Messaggioda Berto » ven lug 07, 2017 9:32 pm

Nasce il Partito italiano anti-Islam. Meluzzi: "Conosco bene i musulmani, ecco cosa rischiamo"
2 Luglio 2017

http://www.liberoquotidiano.it/gallery/ ... -soli.html

Nasce il Partito italiano anti-islamizzazione, con l'obiettivo di arrivare entro pochi anni al 20% dei consensi. La risposta, ambiziosa e coraggiosa, al Partito islamico che sta prendendo forma intorno a Hamza Roberto Piccardo, ma anche alle politiche del governo come Ius soli e integrazione forzata, arriva da due giornalisti piuttosto noti: Alessandro Meluzzi, editorialista del Tempo, psicologo, docente universitario e famoso anche per i suoi interventi in tv, e il cronista del Giorno Stefano Cassinelli.

Come riferisce Il Tempo, il battesimo ufficiale avverrà il 4 luglio a Milano. "Il programma del Pai - spiega una nota - si sviluppa su vari temi che vanno dalla sicurezza al sostegno alle persone con disabilità, passando da immigrazione, ambiente, giustizia ed economia". Certo, il tema centrale è il rapporto tra Stato e Islam, "nella convinzione che l'intera questione debba essere gestita affidandosi al rispetto della Costituzione. Il Pai - si legge - mette al centro della sua attività il contrasto alla islamizzazione della società al fine di tutelare le norme e la cultura italiana", per salvaguardare "la libertà, la democrazia, la cultura e le tradizioni italiane nel rispetto di tutti".

"Conosco molto bene l'Islam - spiega Meluzzi al Tempo, - lo rispetto ma lo temo alle nostre latitudini perché l'Islam è una cultura forte, mentre la nostra è caotica e dissolta". C'è poi la questione demografica, ben espressa da un pensiero di Hasan al Turabi, capo dei Fratelli Musulmani: "Preventivava che gli uteri delle loro donne avrebbero colonizzato un Occidente ormai infecondo. Ogni musulmano ha più o meno quattro mogli, ognuna delle quali concepisce tre, quattro figli, e dunque i calcoli sono presto fatti".

Terzo fattore, e forse il più importante oggi, l'immigrazione, "e senz'altro non possiamo assistere al fenomeno con l'inebetimento del buonismo e del politicamente corretto. Ho visitato molti Paesi islamici, dalla Turchia all'Iraq, dove sono stato durante la prima guerra del Golfo, e temo chela nostra civiltà sia completamente disarmata. Non ci sto al pericolo che i nostri valori possano imboccare la via dell'estinzione".



Professor Sami Aldeeb Importante adesione al Partito Anti Islamizzazione PAI
07/07/2017

https://www.partitoantiislamizzazione.i ... U.facebook

Con grande gioia e soddisfazione, a testimonianza che la battaglia che stiamo portando avanti è democratica, civile ed ha un grande valore culturale, annunciamo l’iscrizione al Partito Anti Islamizzazione del dottor Sami Aldeeb Abu-Sahlieh, cristiano di origine palestinese, cittadino svizzero, che è uno dei più grandi esperti mondiali di diritto arabo e musulmano, chiamato dalla Confederazione Svizzera a tradurre la Costituzione Elvetica in arabo. Persone come lui, che ha scritto per noi un testo che riportiamo qui di seguito, sono quelle che possono far comprendere perché bisogna lottare contro l’islamizzazione. Come segretario del Partito lo ringrazio di cuore per il suo sostegno e l’adesione al Pai

Cristiano d’origine palestinese. Cittadino svizzero. Dottore in legge. Abilitato a dirigere ricerche - HDR. Professore universitario - CNU-Francia. Responsabile del diritto arabo e musulmano all’Istituto svizzero di diritto comparato 1980-2009. Visiting professor in varie università in Francia, Italia e Svizzera. Direttore del Centro di diritto arabo e musulmano. Autore di una cinquantina di libri in differenti lingue, di una traduzione francese, italiana e inglese del Corano, e di un’edizione araba annotata del Corano. Il suo sito: www.sami-aldeeb.com

“Ho letto il programma del PAI, che ho pubblicato sul mio blog www.blog.sami-aldeeb.com con altri testi in italiano e in francese. Mi farebbe piacere aderire al vostro partito ed esserne un membro attivo. Oggi i politici, gli intellettuali e gli universitari non fanno il loro dovere agendo e riflettendo in modo adeguato sull'Islam.

Sono molto preoccupato della situazione attuale, particolarmente a causa di una migrazione che l'Occidente non controlla più. Sono per una soluzione umana accettabile per tutti. La proposta è di utilizzare metà dell'Arabia Saudita per farne un protettorato internazionale capace di ricevere almeno 100 milioni di migranti che sono per la maggioranza musulmani. In questo modo li aiuteremmo a creare un paese moderno che farà fiorire il deserto, e diventare rispettosi dei diritti dell'uomo.

Dall'altra parte, non esponiamo a un pericolo i paesi occidentali. Questi migranti vengono con un'ideologia che ha distrutto i loro paesi, e finiranno con il distruggere i paesi che gli daranno l'ospitalità. In questo paese si dovrebbero ospitare anche tutti i prigionieri musulmani in Occidente il cui unico sogno è quello di distruggere lo stesso Occidente, ma anche tutti i musulmani che non vogliono aderire ai principi occidentali di rispetto dei diritti dell'uomo, incluse le donne che vogliono portare il niqab e altre forme di velo che copre la faccia. Si dice in arabo: "Meglio arrabbiarsi prima, che rimpiangere dopo".

Sono anche preoccupato per la situazione dei musulmani che vivono in Occidente senza rispettare le norme occidentali. Si diceva: "Quando sei a Roma, vivi come i romani". Ma tanti di questi vivono o vogliono trasformare Roma come se fosse l'Arabia Saudita o il Pakistan, con norme contrarie ai diritti dell'uomo per le quali l'Occidente ha tanto sacrificato. Propongo a questo proposito una nuova lettura del Corano nel quale la parte "rivelata a Medina" sarà abbandonata in favore della parte "rivelata alla Mecca" più o meno accettabile. Questa è la proposta fatta dal pensatore sudanese Mahmud Muhammad Taha, impiccato nel 1985 su istigazione di Azhar, dei Fratelli musulmani (attivissimi in Italia) e dell'Arabia Saudita. Perciò ho pubblicato una edizione araba e fatto una traduzione francese, inglese ed italiana del Corano in ordine cronologico, per distinguere tra le due parti.

Questa edizione deve essere imposta in Occidente a tutti, anche nelle moschee, con un'avvertenza all'inizio del Corano indicando che la parte di Medina è contraria ai diritti dell'uomo e dunque inaccettabile. Io considero la parte di Medina nel Corano mille volte più pericolosa che Mein Kampf di Hitler. Ecco l'avvertenza che metto sulla mia edizione araba e le mie traduzioni del Corano in francese, in inglese e in italiano:

Come altri Libri sacri, il Corano contiene direttamente, o indirettamente attraverso la Sunna di Maometto che i musulmani devono seguire, norme contrarie ai diritti umani riconosciuti oggi nei documenti internazionali. Invitiamo i lettori a leggerlo criticamente e a collocarlo nel suo contesto storico, cioè il VII secolo.

Tra le norme che violano i diritti umani, che ispirano le leggi dei paesi arabi e musulmani, e che i movimenti islamisti vogliono applicare, in tutto o in parte, citiamo a titolo di esempi:

- La disuguaglianza tra uomini e donne in matrimonio, divorzio, eredità, testimonianze, sanzioni e lavoro, il matrimonio delle impuberi, e la circoncisione maschile e femminile praticata sui bambini.
- La disuguaglianza tra musulmani e non musulmani in matrimonio, divorzio, eredità, testimonianze, sanzioni e lavoro.
- Il non riconoscimento della libertà religiosa, in particolare la libertà di cambiare religione.
- Esortazione a combattere i non-musulmani, per occupare i loro paesi, per imporre tributi (jizya) ai non musulmani e per uccidere coloro che non seguono le religioni monoteiste.
- La schiavitù, la cattura dei nemici e l’appropriazione delle loro donne.
- Punizioni crudeli come uccisione dell’apostata (che abbandona l’Islam), lapidazione per adulterio, amputazione delle mani del ladro, crocifissione, fustigazione e ritorsioni (occhio per occhio, dente per dente).
- Distruzione di statue, quadri e strumenti musicali, e divieto delle arti.
- Maltrattamento degli animali e uccisione dei cani di compagnia
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Nazismo maomettano = dhimmitudine = apartheid = razzismo

Messaggioda Berto » sab lug 15, 2017 7:37 am

Hitler e Maometto: chi è stato il peggior criminale?
viewtopic.php?f=188&t=2659
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Re: Nazismo maomettano = dhimmitudine = apartheid = razzismo

Messaggioda Berto » sab feb 17, 2018 4:51 pm

Ecco la dittatura di Abu Mazen: corruzione, bavaglio ai media e incitamento al terrorismo

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 16/02/2018 a pag.21 con il titolo "Il bavaglio di Abu Mazen silenzia media e social" l'analisi di Lorenza Formicola.

http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0&id=69539


A destra: Abu Mazen: "Non permetterò mai ad alcun ebreo di vivere tra noi, sulla terra palestinese". Ecco, questo è il vero apartheid!

Da qualche settimana i giornalisti palestinesi hanno deciso di ricominciare la loro campagna contro l'aggressione dell'Autorità palestinese alla libertà di espressione. Complice l'ultima vittima, Tareq Abu Zeid. Un giornalista accusato di «incitamento» e di «mettere in pericolo la sicurezza dello Stato della Palestina». Lo scorso giugno Abu Mazen presidente dell'Autorità palestinese (Ap) ha firmato una strana legge sulla criminalità informatica palestinese. Una nuova legge nata dal tentativo di mettere a tacere e intimidire giornalisti e oppositori politici dell'Ap e del suo presidente. All'articolo 4 del testo di legge che non ha neanche un anno si può leggere: 1. Qualsiasi persona che abbia violato intenzionalmente e illegittimamente un sistema o una rete elettronica, che abbia abusato di qualsiasi tecnologia informatica o anche di una parte di essa, o che abbia violato l'accesso autorizzato, è passibile di pena detentiva, una multa dai duecento ai mille dinari giordani o una combinazione tra le due sanzioni. 2. Se l'atto specificato nel paragrafo (1) di questo articolo è commesso contro qualsiasi dichiarazione ufficiale del governo, il colpevole sarà punito con la reclusione per un periodo di almeno sei mesi, o con una multa non inferiore a duecento dinari giordani. Continuando, nel medesimo articolo della legge si può leggere che se l'«abuso» riguarda le informazioni del governo, la sentenza prevede «un minimo di cinque anni di lavoro forzato temporaneo e occorrerà pagare una multa non inferiore a 5mila dinari giordani...».

L'articolo 20 poi recita: 1. Chiunque crei o gestisca un sito web che mira a pubblicare notizie che mettano in pericolo l'integrità dello stato palestinese, l'ordine pubblico o la sicurezza interna o esterna dello Stato, sarà punito con la reclusione per un periodo di almeno un anno o con una multa di non meno di mille dinari giordani e non più di cinquemila dinari giordani o da una combinazione di entrambe le pene. 2. Qualsiasi persona che propaga il tipo di notizie di cui sopra con qualsiasi mezzo, compresa la trasmissione o la pubblicazione, deve essere condannata a un massimo di un anno di carcere o costretta a pagare una multa non inferiore a duecento dinari giordani e non oltre mille dinari giordani o essere sottoposti a entrambe le pene. La nuova legge, che mina la libertà d'espressione, la libertà di pensiero e i diritti umani ha già mietuto le sue vittime. Una decina di giorni fa, la corte di un magistrato palestinese a Nablus - la più grande città palestinese della Cisgiordania - ha deciso di deferire il caso di Abu Zeid al Tribunale penale generale dell'Autorità palestinese. Abu Zeid è stato arrestato nell'agosto del 2017, ed è rimasto in carcere per quindici giorni, perché avrebbe criticato su Facebook l'Ap. Se sarà condannato, è probabile che non gli verrà fatto alcuno sconto né per la multa né per l'anno di galera. Prima di lui, altri quattro giornalisti palestinesi sono stati arrestati dall'Ap, colpevoli di «crimini» simili. Ma anche per loro il destino è ancora incerto: non si sa quando saranno processati. Mamdouh Hamamreh, Kutaiba Qassem, Amer Abu Arafeh e Ahmed Halaikah vivono da mesi ormai i loro giorni da incubo, e non sono i soli. Recentemente sono diversi i giornalisti e tanti gli utenti di Facebook che sono stati convocati per gli interrogatori perché «sovversivi».

Troppe parole fuori posto. E quindi tante spade di Damocle a pendere sulle loro teste, in un destino che vede professioni e vite chi porterà il pane a casa se questi padri di famiglia finiranno in gattabuia? messe a repentaglio. Intanto si azzardano piccole manifestazioni, dal mondo del giornalismo fino alle aule di tribunale: pare che gli avvocati palestinesi abbiano deciso di boicottare la corte specializzata in reati gravi commessi contro la sicurezza dello «Stato della Palestina». Ma figuriamoci se qualche striscione potrà mai suggestionare l'Autorità palestinese. Le vaghe definizioni di ciò che costituisce un reato punibile, l'estensione della pena a qualsiasi individuo che assiste o concorda con ciò che il decreto considera un crimine e i chiari attacchi a dissidenti, giornalisti e divulgatori disegnano il profilo sempre più autoritario, che gode di un supporto «legale» utile a reprimere efficacemente qualsiasi forma di dissenso. Eppure la nuova forma di repressione messa a punto dall'Autorità Palestinese non può sorprendere. La repressione, e in particolare la repressione della libertà di espressione, è peculiarità della leadership palestinese sin dalla sua fondazione. È dal 1994 che, dapprima con Arafat, e poi con Abu Mazen, l'Ap ha dimostrato di avere tutte le caratteristiche tipiche di una dittatura araba: colpire con ostentata indifferenza la stampa e gli oppositori politici. L'Ap non può tollerale quello che definisce come «incitamento», ovvero la critica ad Abu Mazen e alla sua politica. Ma c'è un «incitamento» che invece tollera, e pure con un certo entusiasmo, quello diretto da sempre contro Israele e gli Stati Uniti. L'uno è ricompensato con la repressione; l'altro con la gloria. D'altronde, la soppressione della libertà di espressione è solo il corollario perfetto dell'odio per Israele e della violenza come parte del Dna di parte della comunità palestinese. Quando un rabbino è stato ucciso, all'inizio di gennaio, a colpi di arma da fuoco, vicino a Nablus, i palestinesi hanno accolto con estremo piacere la notizia. Una morte che rientra in quelle operazioni militari considerate «eroiche», perché contro l'occupazione israeliana, e inserite nel rilancio della rivolta contro Gerusalemme capitale. La vittima, infatti, era perfetta: un ebreo, rabbino, padre di sei figli. E l'attacco eroico e motivo di orgoglio non è stato condannato dall'Autorità palestinese e dal suo leader, perché semplicemente rientra nel perverso meccanismo d'incitamento all'odio anti-israeliano.
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