Orrore e odio per il nazismo maomettano (sana islamofobia)

Orrore e odio per il nazismo maomettano (sana islamofobia)

Messaggioda Berto » gio mar 01, 2018 10:14 am

Georges Bensoussan accusato dai mafiosi islamici e loro sostenitori, di islamofobia e istigazione all'odio è stato assolto


Georges Bensoussan (Marocco, 17 febbraio 1952) è uno storico francese, di origini ebraiche e specializzato in storia contemporanea.
https://it.wikipedia.org/wiki/Georges_Bensoussan



Il processo contro lo storico Georges Bensoussan si è aperto a Parigi
Rossella tercatin
Parigi, Georges Bensoussan in tribunale. Con lui sotto accusa il vero anti-razzismo
23 Febbraio 2017

http://www.osservatorioantisemitismo.it ... o-a-parigi

Qualcuno non esita a chiamarlo l’Affaire Bensoussan. E se a confermare o meno la portata del paragone con il caso Dreyfus dovrà essere la storia, non c’è dubbio che il processo contro lo storico Georges Bensoussan, che si è aperto a Parigi nelle scorse settimane stia facendo discutere la Francia. A carico dello studioso, uno dei massimi esperti di storia della Shoah, un’imputazione per incitamento all’odio razziale per aver denunciato come nel paese “nelle famiglie arabe, tutti sanno, ma nessuno ammette come l’antisemitismo sia trasmesso con il latte della madre”. Queste parole vengono pronunciate nel corso di un dibattito radiofonico nel dicembre 2015. Nonostante Bensoussan abbia ripetutamente tentato di spiegare che la sua fosse semplicemente una metafora per riferirsi a un pregiudizio culturalmente diffuso, le grandi associazioni antirazzismo d’Oltralpe, Ligue des droits de l’homme, Licra, MRAP, SOS-Racisme ainsi que le Collectif contre l’islamophobie en France (CCIF) lo denunciano. E ora che il caso è davanti ai giudici, accademici, intellettuali ne discutono, interrogandosi su quale sia il suo significato non solo per la reputazione dello storico, ma per il futuro della Francia. Perché la sentenza determinerà il confine della libertà di espressione, e il caso rappresenta anche la contrapposizione, forse mai così netta, fra attivisti che combattono l’intolleranza in ambiti diversi (o almeno dichiarano di farlo). Tra coloro che si sono schierati apertamente con Bensoussan, molti esponenti della comunità ebraica francese, che denunciano il crescente antisemitismo e gli atti di violenza, in massima parte compiuti proprio da giovani di famiglie arabe, ma anche Alain Finkielkraut, uno dei massimi pensatori contemporanei, che conduceva la trasmissione radiofonica nel corso della quale è stata pronunciata la frase incriminata e ha lasciato il suo posto di membro onorario del consiglio del Licra in segno di protesta.

“Questo processo significa impedire qualunque tipo di ricerca o espressione pubblica nei confronti dell’Islam se non per lodarlo” ha dichiarato Finkielkraut in un’intervista radiofonica, denunciando un clima che in Francia si manifesta spesso: a farne le spese, oltre agli stessi Bensoussan e Finkielkraut, anche, per esempio, il saggista Bernard-Henry Levi, accusato di ‘difendere Israele’ e lo scrittore Michel Houellebeq, che ha ricevuto minacce di morte per il suo libro in cui racconta una Parigi del futuro governata dall’Islam politico.

Davanti ai giudici, Bensoussan ha sottolineato come in realtà lui abbia parafrasato quanto viene messo in luce da molti intellettuali musulmani, che però hanno negato decisamente. Tra loro il giornalista Mohamed Sifaoui, che ha dichiarato di essere rimasto scioccato da quanto sostenuto da Bensoussan, in quanto arabo e non anti-semita. Sifaoui ha sostenuto che quanto da lui scritto in un precedente articolo, secondo cui gli arabi “succhiano da capezzoli intrisi di antisemitismo” sia “completamente diverso”.

Lo stesso giudice ha poi fatto notare come tutti gli studi dimostrino che l’antisemitismo sia più diffuso tra i francesi di religione islamica e di estrema destra che nel resto della popolazione.

In una République sempre più in crisi d’identità, c’è chi teme che siano anche episodi come le accuse a Bensoussan a rendere facile il gioco di Marine Le Pen, che con l’estrema destra del Front National continua a guadagnare consenso. Anche se l’esperienza insegna che le campagne elettorali con la loro retorica non sono forse il momento più propizio, trovare delle risposte a questa crisi si fa sempre più pressante. Nel frattempo, la sentenza è prevista per il 7 marzo.


Lo storico francese Georges Bensoussan è stato assolto dall'accusa di istigazione all'odio razziale contro la Comunità islamica
8 marzo 2017

http://www.osservatorioantisemitismo.it ... a-islamica

Lo storico francese Georges Bensoussan è stato assolto dall’accusa di istigazione all’odio razziale contro la Comunità islamica. Il verdetto, pronunciato dai giudici della 17esima Corte penale di Parigi, è stato reso pubblico nelle scorse ore e pone fine a una querelle iniziata nel 2012. In gioco, come più volte ricordato dai filosofi Alain Finkielkraut e Henry Bernard-Lévy, la libertà d’espressione. A far scoppiare il caso, la denuncia presentata da alcune associazioni francesi antirazziste (Ligue des droits de l’homme, Licra, MRAP, SOS-Racisme ainsi que le Collectif contre l’islamophobie en France – CCIF) a seguito di una frase pronunciata da Bensoussan, ebreo francese di origine marocchina e responsabile editoriale del Mémorial della Shoah di Parigi, durante un’intervista radiofonica con Finkielkraut: in Francia, “nelle famiglie arabe, tutti sanno, ma nessuno ammette, che l’antisemitismo è trasmesso attraverso il latte materno”, la denuncia di Bensoussan. Il riferimento dello storico si concentrava in particolare sull’antisemitismo diffuso tra i musulmani delle banlieues francesi, ostacolo alla loro integrazione e retaggio di una tradizione antisemita ben presente nel Maghreb, ovvero nei loro paesi d’origine. Un argomento a cui Bensoussan ha dedicato ampi e puntuali studi, tra cui il libro Juifs en pays arabes: Le grand déracinement 1850-1975 (2012). Distorcendo l’analisi la sua analisi, le associazioni che lo hanno querelato hanno interpretato la sua frase come un riferimento razzista. “Siamo di fronte a un antirazzismo deviato che chiede di criminalizzare un’inquietudine, invece che combattere ciò su cui si fonda. Se i giudici cedono, sarà una catastrofe intellettuale e morale”, aveva messo in guardia Finkielkraut. Ma il tribunale ha dato ragione a Bensoussan pronunciando una sentenza di assoluzione: “le osservazioni incriminate – spiega la Corte – sono state tenute in un contesto particolare” e soprattutto “il reato di istigazione all’odio, alla violenza e alla discriminazione prevede, perché si configuri, un elemento intenzionale”, elemento assente nel caso di Bensoussan.

Non solo, i giudici sottolineano che le parole dello storico non erano un invito a dividere la Francia in due comunità, quella islamica e quella non, ma al contrario un appello all’integrazione della prima nella società francese. “Il convenuto – spiegano i giudici, secondo quando riporta Le Figaro – non può essere accusato di aver suscitato o di voler suscitare un senso di ostilità o di rifiuto nei confronti di un gruppo di persone e ancor meno di aver esplicitamente istigato la commissione di atti precisi contro questo gruppo”. La corte ha anche dichiarato inammissibile la costituzione come parte civile del Collectif contre l’islamophobie en France.

“Gli avvocati del CCIF e alcuni dei testimoni – commentava Bernard Henry Lévy – hanno approfittato di questa insperata tribuna per affermare la loro ossessione, ispirata dagli ideologi e attivisti più radicali del Jihadismo, di un’islamofobia che non sarebbe altro che una maschera del razzismo”. Ma costoro hanno perso. Quello che però inquieta è la direzione che queste associazioni antirazziste hanno preso, come rilevava su questo portale la storica Anna Foa parlando in particolare del Mrap (Movimento contro il razzismo e per l’amicizia fra i popoli): “nato nel dopoguerra con un’impostazione di lotta contro il razzismo e l’antisemitismo, il MRAP si è venuto sempre più trasformando in un movimento volto a combattere esclusivamente il razzismo antimusulmano. Ma sembra che ormai non conosca nemmeno più il significato della parola ‘razzismo’ – spiegava la storica – e si sia tramutato in un movimento filo islamico e di violento attacco a Israele e agli ebrei in genere, tanto da determinare una scissione con gli altri movimenti antirazzisti”.

Bensoussan aveva parlato a riguardo di “terrorismo intellettuale”, che però, come dimostra la sua piena assoluzione, non ha trovato sponda nella giustizia francese.



Tenere sotto scacco la verità: Georges Bensoussan e i suoi censori
Niram Ferretti

http://www.progettodreyfus.com/tenere-s ... oi-censori

Georges Bensoussan è stato assolto. Già questo è clamoroso, che sia stato assolto. Come, uno dei più grandi e rigorosi storici viventi, l’autore di L’eredità Di Auschwitz, Come ricordare, Storia della Shoah, Genocidio, una passione europea, e di molti altri libri fondamentali per comprendere l’antisemitismo, la sua genesi, le sue forme, è stato assolto? Da cosa? Dall’accusa di essere razzista, “islamofobo”. La “colpa” di Bensoussan è stata quella di avere commentato durante una trasmissione radiofonica francese l’affermazione di un sociologo algerino, Smain Laacher, secondo il quale L’“antisemitismo [degli immigrati arabi], è già archiviato nello spazio domestico[…] ed è quasi naturalmente depositato nella lingua. Uno degli insulti da parte dei genitori ai loro figli quando li vogliono rimproverare, consiste nel chiamarli ebrei. Questo tutte le famiglie arabe lo sanno”. E cosa avrebbe detto Bensoussan?, che in queste famiglie “l’antisemitismo si succhia con il latte materno”.

A quel punto è stato esposto al ludibrio pubblico, e accusato in modo infamante di “incitare all’odio razziale”. Il dispositivo dei nuovi custodi della sanità pubblica francese si è attivato prontamente tramite alcune sigle emblematiche (Ligue des droits de l’homme, Licra, MRAP, SOS-Racisme ainsi que le Collectif contre l’islamophobie en France – CCIF).

Si stagliano tra queste associazioni qualifiche nobilitanti come “diritti dell’uomo”, e “collettivo contro l’islamofobia“. Esso è oggi il reato d’opinione par excellence. Si difendono i “diritti dell’uomo” soprattutto quando è l’antisemitismo islamico a essere messo sotto accusa. Strano, perché nessun paese musulmano ha mai aderito alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, preferendo confezionarsi la propria il 19 settembre 1981 e fondandola sul Corano e sulla Sunna.

“Razzismo” e “islamofobia” sono oggi i corpi contundenti con coi la polizia del pensiero colpisce chiunque osi manifestare dubbi o esercitare critiche nei confronti di una fiction narcotizzante che racconta di un Islam intessuto prevalentemente di purezze e incanti.

Infondo a Bensoussan è andata assai meglio di Robert Redeker, il quale, sempre in Francia, per avere attaccato duramente Maometto e l’Islam in uno suo articolo apparso sul numero di Le Figaro del 19 settembre 2006, è da allora costretto a vivere sotto scorta.

Ma Bensoussan non ha attaccato né l’Islam né Maometto, si è limitato a parlare di una realtà precisa, l’antisemitismo insegnato come lessico famigliare in numerose famiglie arabe. E, lo ricordiamo, la sua è stata solo una glossa al commento di un autore arabo-algerino.

In suo sostegno, è intervenuto uno scrittore tra i più noti, algerino anch’esso, Boualem Sansal. In una lettera inviata alla Presidente della XVII Camera penale del Tribunale di Parigi in veste di testimone a favore dello storico francese, Sensal scrisse:

“In Algeria, non c’è e non c’è mai stato, e spero che non ci sarà mai, un affaire Bensoussan. Come non c’è mai stato un affaire Sansal. In Francia, per aver denunciato l’islamismo e attirato l’attenzione del pubblico sulla sua incredibile capacità di attrazione sui giovani privi di riferimenti, e per aver dichiarato che l’islam non è compatibile con la democrazia, sono stato considerato da alcuni un islamofobo. In Algeria niente di tutto questo, esprimo le stesse opinioni, i miei libri vendono e sono letti, i miei interventi in Francia sono ripresi quasi ogni giorno dai media algerini, e spesso duramente commentati, ma mai sono stato accusato di islamofobia. Le parole che si rimproverano a Georges Bensoussan in Francia fanno parte dei discorsi che tengo quasi quotidianamente in pubblico in Algeria… Dire che l’antisemitismo fa parte della cultura islamica, è semplicemente ripetere ciò che dice il Corano, ciò che viene insegnato nella moschea (che è prima di tutto una scuola) e senza dubbio in molte famiglie tradizionaliste. L’antisemitismo è un riflesso acquisito molto presto. Poi la vita farà sì che si praticherà o si respingerà ciò che si è appreso”.

L’assoluzione di Georges Bensoussan smaschera la violenza intimidatoria dei suoi censori, il loro ricatto culturale che si esercita indiscriminatamente contro chiunque osi parlare senza estremismi o isterie, di come l’antisemitismo sia presente e coltivato in un’alta percentuale del mondo islamico. Dire la verità non è né può mai essere un esercizio d’odio.



La legge Gayssot non è applicabile contro gli ebrei
Daniel Reichel
Francia, assolto lo storico Bensoussan dall’accusa d’istigazione all’odio

http://mauriziodangelo.blogspot.it/2017 ... ebrei.html

Lo storico francese Georges Bensoussan è stato assolto dall’accusa di istigazione all’odio razziale contro la Comunità islamica. Il verdetto, pronunciato dai giudici della 17esima Corte penale di Parigi, è stato reso pubblico nelle scorse ore e pone fine a una querelle iniziata nel 2012. In gioco, come più volte ricordato dai filosofi Alain Finkielkraut e Henry Bernard-Lévy, la libertà d’espressione. A far scoppiare il caso, la denuncia presentata da alcune associazioni francesi antirazziste (Ligue des droits de l’homme, Licra, MRAP, SOS-Racisme ainsi que le Collectif contre l’islamophobie en France – CCIF) a seguito di una frase pronunciata da Bensoussan, ebreo francese di origine marocchina e responsabile editoriale del Mémorial della Shoah di Parigi, durante un’intervista radiofonica con Finkielkraut: in Francia, “nelle famiglie arabe, tutti sanno, ma nessuno ammette, che l’antisemitismo è trasmesso attraverso il latte materno”, la denuncia di Bensoussan. Il riferimento dello storico si concentrava in particolare sull’antisemitismo diffuso tra i musulmani delle banlieues francesi, ostacolo alla loro integrazione e retaggio di una tradizione antisemita ben presente nel Maghreb, ovvero nei loro paesi d’origine. Un argomento a cui Bensoussan ha dedicato ampi e puntuali studi, tra cui il libro Juifs en pays arabes: Le grand déracinement 1850-1975 (2012). Distorcendo l’analisi la sua analisi, le associazioni che lo hanno querelato hanno interpretato la sua frase come un riferimento razzista. “Siamo di fronte a un antirazzismo deviato che chiede di criminalizzare un’inquietudine, invece che combattere ciò su cui si fonda. Se i giudici cedono, sarà una catastrofe intellettuale e morale”, aveva messo in guardia Finkielkraut. Ma il tribunale ha dato ragione a Bensoussan pronunciando una sentenza di assoluzione: “le osservazioni incriminate – spiega la Corte – sono state tenute in un contesto particolare” e soprattutto “il reato di istigazione all’odio, alla violenza e alla discriminazione prevede, perché si configuri, un elemento intenzionale”, elemento assente nel caso di Bensoussan.

Non solo, i giudici sottolineano che le parole dello storico non erano un invito a dividere la Francia in due comunità, quella islamica e quella non, ma al contrario un appello all’integrazione della prima nella società francese. “Il convenuto – spiegano i giudici, secondo quando riporta Le Figaro – non può essere accusato di aver suscitato o di voler suscitare un senso di ostilità o di rifiuto nei confronti di un gruppo di persone e ancor meno di aver esplicitamente istigato la commissione di atti precisi contro questo gruppo”. La corte ha anche dichiarato inammissibile la costituzione come parte civile del Collectif contre l’islamophobie en France.

“Gli avvocati del CCIF e alcuni dei testimoni – commentava Bernard Henry Lévy – hanno approfittato di questa insperata tribuna per affermare la loro ossessione, ispirata dagli ideologi e attivisti più radicali del Jihadismo, di un’islamofobia che non sarebbe altro che una maschera del razzismo”. Ma costoro hanno perso. Quello che però inquieta è la direzione che queste associazioni antirazziste hanno preso, come rilevava su questo portale la storica Anna Foa parlando in particolare del Mrap (Movimento contro il razzismo e per l’amicizia fra i popoli): “nato nel dopoguerra con un’impostazione di lotta contro il razzismo e l’antisemitismo, il MRAP si è venuto sempre più trasformando in un movimento volto a combattere esclusivamente il razzismo antimusulmano. Ma sembra che ormai non conosca nemmeno più il significato della parola ‘razzismo’ – spiegava la storica – e si sia tramutato in un movimento filo islamico e di violento attacco a Israele e agli ebrei in genere, tanto da determinare una scissione con gli altri movimenti antirazzisti”.

Bensoussan aveva parlato a riguardo di “terrorismo intellettuale”, che però, come dimostra la sua piena assoluzione, non ha trovato sponda nella giustizia francese


Jean-Claude Gayssot (Béziers, 6 settembre 1944) è un politico francese.
https://it.wikipedia.org/wiki/Jean-Claude_Gayssot
Come parlamentare, è il promotore della legge del 13 luglio 1990 detta "legge Gayssot" che proibisce e sanziona penalmente le tesi revisioniste.




Intervista allo storico Georges Bensoussan sull’antisemitismo contemporaneo
16 Gennaio 2018
Francesco Berti

http://www.osservatorioantisemitismo.it ... temporaneo

L’antisionismo non muore mai

La diffusione dell’ideologia antisionista impone un continuo sforzo di riflessione volto a comprendere la natura di questo fenomeno e il suo rapporto con l’antisemitismo. Ne parliamo con uno studioso noto ai lettori del Foglio, Georges Bensoussan, storico di fama internazionale del sionismo e della Shoah, direttore editoriale del Mémorial de la Shoah di Parigi e della Revue d’histoire de la Shoah, autore di decine di studi su questi temi. Il 13 e 14 novembre scorso, Bensoussan ha tenuto due conferenze a Padova. Il 13, a Palazzo Moroni, è intervenuto su “L’antisemitismo e l’antisionismo oggi”, evento curato dalla Fondazione Italia Israele, Cristiani per Israele e Comunità ebraica di Padova. Il giorno successivo, al Bo – sede dell’università – su “Le sionisme: de la mythologie à l’histoire”, conferenza organizzata dal Centro di Ateneo per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea. L’antisionismo sembra sempre più diffuso nella cultura politica contemporanea, in occidente come nei paesi musulmani. Dove affonda le sue radici questo atteggiamento così pregiudizialmente ostile verso il sionismo e verso Israele? “Per l’opinione corrente – risponde lo storico -, l’antisionismo è una ideologia originata nell’estrema sinistra e nel mondo arabo, che ha avuto una crescita notevole dopo la Guerra dei sei giorni del 1967. Pochi sanno, però, che l’antisionismo ha radici molto più antiche, precedenti alla Seconda guerra mondiale, che risalgono alla fine del XIX secolo, e che hanno trovato la prima espressione nell’antisemitismo di una parte della chiesa cattolica e in quello di matrice razziale. E’ questo il periodo in cui si fa largo, come propaggine delle reazioni alla Rivoluzione francese, l’idea del complotto sionista, che viene a sovrapporsi a quella del complotto giudaico. Nel 1897, l’anno del primo congresso sionista tenutosi a Basilea, la Civiltà cattolica pubblicò un primo articolo antisionista. L’idea della restaurazione, per così dire, di uno stato ebraico, veniva percepita come una sorta di affronto verso il cattolicesimo: se la religione ebraica è una religione caduca, è in “L’Europa odierna esalta il multiculturalismo e considera ogni identità nazionale alla stregua. di una identità di morte” concepibile che gli ebrei ritrovino la loro indipendenza politica nella terra di Israele. Per quanto riguarda l’estrema destra, che faceva dell’antisemitismo una questione razziale, essa lanciò, a partire dalla pubblicazione in Russia nel 1903 dei Protocolli dei Savi di Sion, una violenta campagna antisionista. Va notato che nel periodo precedente alla Prima guerra mondiale, gli antisionisti presentarono il sionismo non tanto come il progetto di creare uno stato ebraico, quanto come quello di dar vita a una dominazione mondiale lo stato ebraico sarebbe stato dunque unicamente un pretesto per conseguire questo fine. Pare significativo il fatto che nel 1924 i Protocolli siano stati tradotti in Germania col titolo di Protocolli sionisti. Tra le due guerre, gli antisionisti sostennero che il movimento sionista, grazie alla Dichiarazione di Balfour, stava creando un organo centralizzato di governo allo scopo di dominare il mondo. Questo tema si arricchì negli anni Venti e Trenta di nuovi elementi e in particolare si legò all’antibolscevismo, presentato come un’invenzione ebraica”. Ma quale fu il rapporto del nazismo, capace di elaborare la forma più radicale di antisemitismo, con il sionismo? “Il movimento nazista fu ossessionato dal sionismo fin dal suo sorgere, a partire naturalmente dal suo ideologo Alfred Rosenberg, il quale nel 1919 nel suo primo volume analizzò il sionismo. Rosenberg era un tedesco estone che aveva abbandonato la terra natia a causa della Rivoluzione russa. Quindi in Rosenberg l’antisionismo alimentato dai Protocolli e l’antibolscevismo si saldarono in un’unica visione. Anche Hitler parlò del sionismo nel Mein Kampf, scrivendo che il sionismo chiarisce la vera natura del giudaismo, che è quella di una entità biologica, piuttosto che di una confessione religiosa. Inoltre affermò che l’obiettivo dei sionisti è solo in apparenza quello di creare uno stato ebraico, poiché il suo scopo è la sovversione mondiale e in particolare la distruzione della civiltà occidentale”. Quanto all’atteggiamento antisionista nel secondo Dopoguerra, Bensoussan chiarisce subito che “manifestarsi pubblicamente antisemiti dopo Auschwitz era quasi impossibile. In un certo modo, Auschwitz ha screditato l’antisemitismo. L’antisemitismo prosegui perciò principalmente nella forma dell’antisionismo, nella lotta virulenta per delegittimare lo stato di Israele. Questo è il compito che si pose l’estrema destra dopo il 1945. Si sviluppò una pubblicistica in cui si sostenne che il complotto sionista è guidato dallo stato di Israele, che si prefigge di prendere il controllo del mondo manipolando le grandi potenze. Si posero così le premesse per un incontro tra l’antisionismo e le dottrine negazioniste della Shoah. I negazionisti asseriscono che non vi sono mai stati sei milioni di morti: si tratta di un pretesto per permettere la creazione dello stato di Israele. Se lo stato di Israele ha come unico motivo di legittimità il genocidio degli ebrei in Europa, bisogna provare che il genocidio degli ebrei non ha mai avuto luogo. Ma con la Guerra dei sei giorni cambiò tutto. Da allora, il sionismo venne legato al colonialismo, in un contesto mondiale di decolonizzazione. L’antisionismo virò decisamente a sinistra, legandosi a lotte come l’antirazzismo, l’antimperialismo, l’anticolonialismo appunto. Si arrivò così alla famosa risoluzione del 10 novembre 1975, nella quale l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite decretò, a larga maggioranza, che il sionismo è una forma di razzismo. Questa nuova giudeofobia prese necessariamente i tratti dell’antisionismo, tanto più che ora si sviluppava prevalentemente a sinistra, dove non ha cittadinanza un antisemitismo che si presenti col suo vero nome. Tuttavia — prosegue — appare evidente il legame tra l’antisionismo attuale e quello sviluppato dall’estrema destra negli anni Trenta del Novecento. Quest’ultimo sosteneva che gli ebrei avrebbero portato il mondo a una guerra mondiale. A partire dagli anni Settanta, gli antisionisti di sinistra vanno predicando che lo stato di Israele precipiterà il mondo nella terza guerra mondiale. Siamo passati dall’ebreo fautore di guerra allo stato di Israele fautore di guerra. Siamo evidentemente all’interno della medesima logica intellettuale”. Quindi l’odio antisionista si abbevera alla stessa fonte dell’odio antisemita? “L’ossessione per gli ebrei prima della Seconda guerra mondiale e l’ossessione per lo stato di Israele dopo la guerra si spiegano col medesimo senso di angoscia collettiva generato dal cattivo andamento delle cose nel mondo e col conforto che la risposta antisemita e antisionista, molto semplice e facile da comprendere, offre a tale angoscia. All’ebreo demonizzato succede lo stato di Israele demonizzato: è la figura del diavolo che viene spostata dal popolo allo stato. L’antisemita — dice Bensoussan — ha bisogno dell’ebreo per esistere, perché l’ebreo è la risposta alle sue paure. Tutti i suoi fantasmi ripulsivi si cristallizzano nell’immagine dell’ebreo. Non è solo il meccanismo del capro espiatorio: è legato a tutto quello che è l’insegnamento del disprezzo, che fa sì che nella civiltà occidentale l’ebreo sia diventato da tempo immemorabile una figura maledetta. Questa immagine si è trasferita dal popolo ebraico allo stato ebraico: il secondo, come il primo, è il figlio del diavolo o diavolo lui stesso, un paria che non si vuole conoscere e frequentare”. Ma allora è possibile dire che, nella misura in cui fa appello alla distruzione dello stato di Israele, l’antisionismo diventa un messaggio genocidario? “Anche in questo caso bisogna rispondere affermativamente, ma occorre fare una distinzione tra l’antisionismo europeo e quello presente nei paesi musulmani. La propaganda antisionista europea si fonda per lo più sulla riprovazione. Quella che viene proposta nei paesi arabi e musulmani invece si presenta molto spesso come un esplicito appello al genocidio, che ricorda la propaganda antisemita radicale sviluppatasi in Europa tra Otto e Novecento. Molto prima di Hitler, a partire dalla metà del XIX secolo, negli ambienti antisemiti tedeschi più estremi circolava già un chiaro messaggio genocidario. Paul de Lagarde, nel 1887, affermò proprio questo: con gli ebrei non si deve discutere, bisogna sterminarli. Oggi troviamo lo stesso concetto in riferimento allo stato di Israele. Si dice che questo stato è di troppo, è un cancro, una peste, una malattia. Alcuni paesi islamici utilizzano l’espressione entità sionista’, non lo chiamano neppure stato di Israele. Questi appelli alla distruzione dello stato sono identici agli appelli di distruzione del popolo ebraico che circolavano in Europa nei decenni precedenti alla Seconda guerra mondiale”, osserva lo storico. Perché, domandiamo, l’Europa sta sottovalutando questa minaccia? “In Europa non si ascoltano le radio arabe e iraniane, non si guarda la televisione né si leggono i giornali di quei paesi. Esiste una agenzia internazionale, Memri, specializzata nello scandagliare minuziosamente quanto si dice e scrive nei media persiani e arabi. Chiunque pub vedere nel sito di questa agenzia i filmati a cui mi riferisco sottotitolati in inglese. Il quadro che ne emerge è catastrofico. Continui sono i messaggi che prospettano la distruzione totale dello stato di Israele. Gli europei sono spinti a sottovalutare questi appelli al genocidio per varie ragioni. La prima è intellettuale. Generalmente, in qualunque epoca, non siamo mai contemporanei della nostra storia: non capiamo la storia che stiamo vivendo e guardiamo sempre il presente con gli occhi del passato. In secondo luogo, c’è arroganza e disprezzo verso chi non si pone in linea con il pensiero dominante. Si accusa di essere islamofobo e razzista anche solo chi mette in discussione alcuni stereotipi culturali. Inoltre, l’Europa deve ancora finire di fare i conti con il senso di colpa per la Shoah. Di qui le accuse a Israele di essere uno stato nazista: se si arriva a credere che gli israeliani si stanno comportando come i nazisti, il senso di colpa si affievolisce, o viene addirittura cancellato”. Inoltre, aggiunge Bensoussan, “a ben considerare, poi, nell’antisionismo europeo rivive l’antica accusa rivolta agli ebrei di essere il popolo deicida. Ecco allora che il palestinese diventa la nuova figura del Cristo sulla croce, come se Cristo fosse stato crocifisso una seconda volta, sempre per colpa degli ebrei e sempre in terra di Israele. Infine, lo stato di Israele disturba perché, pur essendo multietnico, si è costruito sull’identità nazionale ebraica. L’Europa odierna esalta il multiculturalismo e considera ogni identità nazionale alla stregua di una identità di morte, in quanto l’identità nazionale viene vista come una esclusione dell’altro. E’ come se gli ebrei avessero seguito una evoluzione contraria a quella dell’Europa. In ogni caso, il discorso antisionista, che assuma o meno esplicitamente l’appello allo sterminio, è analogo al discorso antisemita prima della Seconda guerra mondiale: prepara alla distruzione, perché la distruzione comincia sempre con delle parole. Ci si abitua all’idea che Israele impedisce di vivere bene nel mondo. Licenza è concessa al genocidio”.

Francesco Berti è professore associato di Storia delle dottrine politiche presso l’Università degli studi di Padova
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Orrore e odio per il nazismo maomettano (sana islamofobia)

Messaggioda Berto » gio mag 03, 2018 6:28 am

Oggi si è svolto il processo di appello contro Georges Bensoussan - La sentenza sarà conosciuta soltanto nel pomeriggio del 24 maggio

Parigi, Georges Bensoussan in tribunale. Con lui sotto accusa il vero anti-razzismo
Fonte: Moked.it
Autore: Rossella Tercatin

Qualcuno non esita a chiamarlo l’Affaire Bensoussan. E se a confermare o meno la portata del paragone con il caso Dreyfus dovrà essere la storia, non c’è dubbio che il processo contro lo storico Georges Bensoussan, che si è aperto a Parigi nelle scorse settimane stia facendo discutere la Francia. A carico dello studioso, uno dei massimi esperti di storia della Shoah, un’imputazione per incitamento all’odio razziale per aver denunciato come nel paese “nelle famiglie arabe, tutti sanno, ma nessuno ammette come l’antisemitismo sia trasmesso con il latte della madre”. Queste parole vengono pronunciate nel corso di un dibattito radiofonico nel dicembre 2015. Nonostante Bensoussan abbia ripetutamente tentato di spiegare che la sua fosse semplicemente una metafora per riferirsi a un pregiudizio culturalmente diffuso, le grandi associazioni antirazzismo d’Oltralpe, Ligue des droits de l’homme, Licra, MRAP, SOS-Racisme ainsi que le Collectif contre l’islamophobie en France (CCIF) lo denunciano. E ora che il caso è davanti ai giudici, accademici, intellettuali ne discutono, interrogandosi su quale sia il suo significato non solo per la reputazione dello storico, ma per il futuro della Francia. Perché la sentenza determinerà il confine della libertà di espressione, e il caso rappresenta anche la contrapposizione, forse mai così netta, fra attivisti che combattono l’intolleranza in ambiti diversi (o almeno dichiarano di farlo). Tra coloro che si sono schierati apertamente con Bensoussan, molti esponenti della comunità ebraica francese, che denunciano il crescente antisemitismo e gli atti di violenza, in massima parte compiuti proprio da giovani di famiglie arabe, ma anche Alain Finkielkraut, uno dei massimi pensatori contemporanei, che conduceva la trasmissione radiofonica nel corso della quale è stata pronunciata la frase incriminata e ha lasciato il suo posto di membro onorario del consiglio del Licra in segno di protesta.

“Questo processo significa impedire qualunque tipo di ricerca o espressione pubblica nei confronti dell’Islam se non per lodarlo” ha dichiarato Finkielkraut in un’intervista radiofonica, denunciando un clima che in Francia si manifesta spesso: a farne le spese, oltre agli stessi Bensoussan e Finkielkraut, anche, per esempio, il saggista Bernard-Henry Levi, accusato di ‘difendere Israele’ e lo scrittore Michel Houellebeq, che ha ricevuto minacce di morte per il suo libro in cui racconta una Parigi del futuro governata dall’Islam politico.

Davanti ai giudici, Bensoussan ha sottolineato come in realtà lui abbia parafrasato quanto viene messo in luce da molti intellettuali musulmani, che però hanno negato decisamente. Tra loro il giornalista Mohamed Sifaoui, che ha dichiarato di essere rimasto scioccato da quanto sostenuto da Bensoussan, in quanto arabo e non anti-semita. Sifaoui ha sostenuto che quanto da lui scritto in un precedente articolo, secondo cui gli arabi “succhiano da capezzoli intrisi di antisemitismo” sia “completamente diverso”.

Lo stesso giudice ha poi fatto notare come tutti gli studi dimostrino che l’antisemitismo sia più diffuso tra i francesi di religione islamica e di estrema destra che nel resto della popolazione.

In una République sempre più in crisi d’identità, c’è chi teme che siano anche episodi come le accuse a Bensoussan a rendere facile il gioco di Marine Le Pen, che con l’estrema destra del Front National continua a guadagnare consenso. Anche se l’esperienza insegna che le campagne elettorali con la loro retorica non sono forse il momento più propizio, trovare delle risposte a questa crisi si fa sempre più pressante.


Procès en appel de Georges Bensoussan : les incohérences du gouvernement
28/02/2018
http://www.lefigaro.fr/vox/religion/201 ... nement.php


«Procès Bensoussan : la dangereuse judiciarisation du débat d'idées»
2018/03/28
http://www.lefigaro.fr/vox/societe/2018 ... -idees.php

TRIBUNE - Relaxé en première instance, l'historien comparaît en appel aujourd'hui. Un procès inquiétant qui menace de créer un « délit d'opinion », selon les membres fondateurs de l'association Voir et dire ce que l'on voit.
L'historien Georges Bensoussan a été relaxé le 7 mars 2017 de l'accusation du «délit d'incitation à la haine raciale» par la 17e chambre correctionnelle du tribunal correctionnel de Paris après un long procès qui s'est déroulé le 25 janvier 2017. Il va comparaîtreà nouveau, devant la 11e chambre de la cour d'appel, le 29 mars prochain. Si le rang des parties civiles s'est un peu clairsemé - la Licra et SOS-Racisme se sont retirés -, le ministère public,le CCIF, la LDH et le Mrap ont fait appel du jugement en dépit d'une motivation particulièrement pertinente.

Accusé de provocation à la haine raciale pour des propos tenus au cours de l'émission Répliques d'Alain Finkielkraut (sur France Culture, le 10 octobre 2015) notamment sur l'existence d'un antisémitisme musulman et sur les risques de tensions encourus de ce fait par la société française, Georges Bensoussan va devoir à ...




L'Affaire Bensoussan e i nuovi giacobini
2018/05/23

http://caratteriliberi.eu/2018/05/23/in ... -giacobini

Il 24 maggio a Parigi, la Corte di Appello si pronuncerà relativamente a Georges Bensoussan. Sapremo se il grande studioso, uno dei maggiori intellettuali francesi contemporanei, verrà, come ci auguriamo, assolto o invece, condannato. Bensoussan venne già processato nel gennaio del 2017 perché accusato di “incitamento all’odio razziale”.

La sua “colpa” fu di avere commentato durante una trasmissione radiofonica una frase di un sociologo algerino, il quale aveva affermato che nel lessico famigliare di numerose famiglie arabe, “ebreo” viene insegnato come insulto fin dalla tenera età.

Sì, aveva glossato Bensoussan, ripetendo il concetto espresso dallo studioso algerino “in queste famiglie l’antisemitismo lo si succhia con il latte materno”. Per avere detto questo è stato costretto a discolparsi presso la XVII Camera penale del Tribunal de grande instance di Parigi. In sua difesa si pronunciò tra gli altri anche il celebre scrittore algerino Boualem Sansal. Nel marzo del 2017 venne assolto.

Pubblichiamo oggi in esclusiva italiana, congiuntamente con “LInformale” ,”Italia Israele Today” e “Progetto Dreyfus”, l’intervista che Bensoussan ha rilasciato il 23 aprile scorso.

Sarah Cattan incontra Georges BENSOUSSAN alla vigilia del processo della vergogna.

Il primo che dice la verità, sarà giustiziato, dice la canzone. Lui, un bel mattino, è stato accusato di tutti i mali. Per una parola. Aveva commesso la porcheria di generalizzare, scrisse questo giornalista “correligionario”.

Aveva essenzializzato. Realizzato un discorso degno di un Drumont. Denunciato l’antisemitismo usando armi di distruzione razziste. È stato fatto un processo per sapere se sarebbe stato impiccato o bruciato.

Ci eravamo incontrati il 6 marzo 2017, il giorno prima del giudizio. Dopo il breve momento di respiro offerto dall’annuncio dell’assoluzione, molto rapidamente lo sconforto: il Pubblico ministero ricorreva!

Il Pubblico ministero. E l’LDH (Lega per la Difesa dei diritti dell’Uomo) e il MRAP (Movimento contro il Razzismo e per l’Amicizia tra i Popoli) seguirono, allineandosi di nuovo con il CCIF (Collettivo Contro l’Islamofobia in Francia).

Il processo in appello si doveva svolgere il 29 marzo, questa volta davanti alla Camera 2, Pole 7, della Corte d’appello di Parigi. Ancora una volta, ci siamo incontrati poco prima.

La Licra, Georges Bensoussan. La sua presenza a fianco dei querelanti. La sua assenza in appello. Non sono questi risvegli pur sempre in ritardo …

Non voglio fare commenti sulla Licra, ha già molto da fare con la crisi interna che l’ha scossa, segnata da molte partenze e dimissioni che hanno seguito la denuncia nei miei confronti. Ci sarà tempo, un giorno, per analizzare le responsabilità di questo atteggiamento dove non si può trascurare nemmeno il ruolo della piccolezza del giudizio. Ma dal momento che lei mi interroga su questo argomento, vorrei rendere omaggio a coloro che dall’interno della LICRA mi hanno sostenuto pagandone talvolta il prezzo. Perché, come al tempo delle officine staliniane, furono cacciati dal loro posto. Non tutti hanno avuto il coraggio e, pur disapprovando tacitamente il trio accusatore, sono rimasti prudentemente silenziosi.

Come ha vissuto, Georges Bensoussan, questa folle parentesi tra l’incriminazione ed oggi? Mi aveva parlato recentemente della sua stanchezza. L’interruzione della scrittura. In conclusione: hanno vinto loro …

Questo è precisamente l’obiettivo della strategia della molestia giudiziaria, far perdere tempo, distrarre dall’essenziale e spezzare lo sforzo intellettuale. Far tacere coloro che parlano e intimidire coloro che sarebbero tentati di farlo. Nel complesso, ci riesce bene. A fortiori per mezzo del terrore sanguinante. Si è notato che nonostante la dimostrazione unanime dell’11 gennaio 2015 che seguì il massacro della redazione di Charlie Hebdo (già tre anni sono passati), non si è più vista una sola caricatura del profeta sulla stampa francese?

Georges Bensoussan, ci furono coloro che presero risolutamente posizione al suo fianco. Coloro che si sono dimostrati avversari. E poi la gran massa di tutti quelli che si sono astenuti. Certamente si perdono anche delle illusioni, per strada, Georges Bensoussan? l’odiato si, ma… dei nostri amici Frédéric Haziza, Laurent Bouvet, Cindy Leoni, Patrick Klugman, Caroline Fourest, Rudy Reichstadt…

Nessun commento da fare sulle persone che cita. In compenso voglio rendere omaggio ed esprimere il mio riconoscimento a questi sostegni della prima ora, da Yves Ternon a Jacques Tarnero, da Pierre-André Taguieff a Michèle Tribalat, da Pierre Nora ad Alain Finkielkraut, da Élisabeth de Fontenay a Élisabeth Badinter senza dimenticare Boualem Sansal, Pascal Bruckner, Philippe Val e molti altri che furono al mio fianco fin dall’ottobre 2015. Così come a molti cittadini, noti o no, solidali attraverso il comitato di sostegno (più di 2500 persone) animato da Barbara Lefebvre. Il resto, lo lasciamo alla schiuma della storia.

Georges Bensoussan, lei aveva interrogato il tribunale: sono io che devo trovarmi di fronte a questa Corte oggi? Non è l’antisemitismo che ci ha portato alla situazione attuale che dovrebbe essere giudicato? E Finkielkraut le faceva eco denunciando questo anti-razzismo sviato che chiedeva alla Giustizia di criminalizzare un’inquietudine, invece di combattere ciò che lo stava dissolvendo. Due anni dopo questo 25 gennaio, l’atmosfera non è peggiorata? Undici mesi per riconoscere, quasi tappandosi il naso, la dimensione antisemita dell’assassinio di Sarah Halimi…

L’atmosfera è rigorosamente la stessa: non ha d’altronde nessun motivo di essere cambiata, perché se si comprende il significato profondo della “crisi ebraica della società francese”, sentiremo che è prima di tutto una crisi della nazione francese che supera, e di gran lunga, il destino della comunità ebraica. Anche se è lei che ne paga oggi il prezzo più pesante.

Diverse cause profonde sono in azione che firmano la partenza programmata degli ebrei di Francia. Con “partenza”, non si deve intendere solo l’attraversamento delle frontiere verso altre destinazioni (compreso ovviamente lo Stato di Israele). Il più delle volte si tratta di un esilio interno che prende la forma di una “marranizzazione” delle coscienze e dei comportamenti. Ma che si incarna anche in questo esodo interno che, negli ultimi vent’anni, ha visto la Seine-Saint-Denis, per esempio, perdere la maggior parte delle sue comunità ebraiche.

Pensare che questa o quella dichiarazione di un responsabile politico, marziale, determinata e generosa riuscirebbe ad arginare questa deriva è far mostra di un candore commovente. Come pure ritenere che vi contribuirà l’istituzione di un nuovo comitato, o di un ennesimo polo di vigilanza contro l’antisemitismo. O anche giudicare che l’educazione alla “tolleranza”, alla “accoglienza dell’Altro” e alla promozione del “vivere insieme”, rinforzata evidentemente da un supplemento d’insegnamento della storia della Shoah, riuscirà a sradicare la piaga che mina la società ebraica di Francia, è far prova di una sorprendente ingenuità sociologica.

Se vogliamo capire cosa ci ha portato qui, è meglio leggere Jacques Julliard, Jean-Pierre Le Goff, Christopher Guilluy, Louis Chauvel e alcuni altri tra cui Michèle Tribalat e Christopher Caldwell per l’aspetto demografico. Allora capiremo meglio di cosa si tratta. E che di conseguenza, al di là delle dichiarazioni di buone intenzioni, tutto lascia pensare che l’abbandono degli ebrei di Francia è in corso. Perché sposa pure, e soprattutto, la logica della frammentazione sociale geografica che porta all’abbandono delle classi popolari da parte di alcune élite di questo paese. E in primo luogo dalla sinistra istituzionale, come l’hanno presto mostrato Eric Conan (dal 2004 …) e Jacques Julliard.

Per il momento, con l’abbandono progressivo degli ebrei (si veda il tergiversare al quale ha dato luogo il laborioso riconoscimento della natura antisemita di certi crimini, a partire ovviamente da quello di Sarah Halimi), e nonostante le buone intenzioni espresse e reiterate al vertice dello Stato, sia di destra che di sinistra, peraltro, alcuni sperano di comprare la pace sociale. O almeno ottenere una tregua per mantenere, ancora per un po’, questa illusione nel proprio intimo mediatico e geografico che è loro proprio. Speriamo solo per loro che questo non crolli troppo rapidamente sotto il peso delle realtà sociologiche e demografiche del paese. Ora, queste realtà non le sentirete affatto analizzate nel discorso mediatico dominante che caratterizza questo intimo borghese che ho evocato prima, segnato da questa postura morale che si dà da sola l’immagine lusinghiera dell’ “apertura di ‘spirito’ e dell’ ’’amore per l’Altro”. Relegando ogni contraddittorio al suo “semplicismo”, alla sua “stupidità” e alla sua “aridità di anima e di cuore”. In altre parole, meno all’errore che al campo del male che vi situa in cambio, vuoi, nella figura del bene e della virtù.

Questa è, tra l’altro, la risposta alla domanda che mi ha fatto all’inizio dell’intervista sulla mia presenza nei media. Sarà rapida: la mia presenza è quasi nulla, con alcune eccezioni tra cui la sua, Marianne et Le Figaro. Questo, tra l’altro, è la ragione di questo frastuono procedurale, decretarmi infrequentabile sotto il peso dell’accusa di razzismo e fare in modo che ci si allontani da me. L’essere gregario (conformista) dei media e la mancanza di coraggio fanno il resto. Per esempio, non sono mai più stato invitato a France Culture, eppure è l’emissione dello “spirito d’apertura”. Sono una di quelle presenze “sulfuree” che generalmente vengono qualificate “disgreganti” quando le si vogliono scartare. Questo fa parte di questa strumentalizzazione dell’antirazzismo, analizzata già da oltre vent’anni da Paul Yonnet e Pierre-André Taguieff. Un antirazzismo disonesto che finisce per riversarsi in queste accuse demonizzanti che risuonano come l’eco lontana dei processi di stregoneria del XVII° secolo.

Si fabbrica un mostro morale per ostracizzarlo meglio, cioè per zittirlo. Il che si ricongiunge anche, è ben vero, con la tendenza di fondo delle società democratiche che Tocqueville definiva la tirannia della maggioranza. Vorrei ricordarle queste parole, vecchie di quasi due secoli, tratte da Della Democrazia in America (1835): “Prima di pubblicare le sue opinioni, pensava di avere dei partigiani; gli sembra di non averne più, ora che si è rivelato a tutti; perché quelli che lo biasimano, si esprimono a voce alta e quelli che la pensano come lui, senza avere il suo coraggio, tacciono e si allontanano. Egli cede, si piega alla fine sotto lo sforzo quotidiano e rientra nel silenzio, come se provasse rimorso per aver detto il vero. “

Gli ebrei di Francia si sentono abbandonati? Lei dice che la pace sociale, in Francia, si sta comprando sulle spalle degli ebrei. Preservare la pace civile a detrimento, come al solito, degli oltraggi imposti agli ebrei. E che questo abbandono è andato di pari passo con quello delle classi più popolari …

Nel Maghreb coloniale, all’epoca di violenze antisemite perpetrate dalla popolazione araba, l’amministrazione francese chiedeva discretamente alla giustizia di non avere la mano “troppo” pesante nel verdetto. Meno per antisemitismo che per timore di dover affrontare la “piazza araba“. Noi viviamo al momento, in Francia, una forma di trasposizione di questo schema coloniale. Non si tratta di “post colonialismo” come lo pretendono coloro che sperano di riattivare nel cuore dell’Esagono i combattimenti anticolonialisti di un tempo. Fingendo di vedere all’opera in Francia, ad onta di ogni realtà, uno “Stato razzista“. Si tratta di altra cosa: gli schemi antisemiti venuti dal Maghreb coloniale e precoloniale sono stati importati con l’onda migratoria degli ultimi quarant’anni. Negare questa realtà e la forza di questi stereotipi antiebraici, è solo dimostrare che si ignora la storia del Maghreb alla quale si preferisce una leggenda tessuta di buoni sentimenti sul fondo del “vivere insieme”, una bella storia che nel 1948, ahimè, la creazione dello Stato ebraico avrebbe rotto.

In Francia, questi stereotipi anti-ebraici sono stati riattivati nella seconda, o addirittura nella terza generazione, nutriti col risentimento e la gelosia sociale nei confronti di una comunità ebraica tradizionalmente disprezzata nel Maghreb (« yahoudi hashak ! “) ma qui ben integrata e generalmente di alto livello socioculturale. All’epoca della elaborazione dei Territori perduti della Repubblica, già nel 2002, avevamo compreso che bisognava scollegare questo anti-giudaismo culturale dal conflitto arabo-israeliano. Col rischio, se no, di non vedere l’aspetto endogeno di questa situazione. Lo si vede più chiaramente oggi dove anche quando l’attualità di questo conflitto appare più calma, l’aria di fondo, in numerosi quartieri, rimane contrassegnata dall’antisemitismo. E per poco che questo conflitto in un domani sia riattivato, come fu il caso nel 2014, si potrebbe temere un ritorno della violenza. Numerosi franco-israeliani incontrati recentemente mi hanno del resto detto di quanto le violenze del luglio 2014 avevano pesato sulla decisione della loro partenza. Con nel cuore il sentimento di una Repubblica che non li proteggeva più, (nel momento stesso che il governo diretto da Manuel Valls era uno dei più vigili in materia). Numerosi di loro me l’hanno detto col tono del dispiacere, avevano il sentimento, che dura fino ad oggi, che questo paese che amavano, (e che sovente amano ancora) con tutta la loro anima li stava abbandonando. Si è cominciato appena a scrivere la storia di questo divorzio tragico.

Georges Bensoussan, mentre il BNVCA (Ufficio Nazionale di Vigilanza contro l’Antisemitismo) parlò, riferendosi a lei, di un processo di stregoneria e Boualem Sansal di un controsenso intellettuale, accusando coloro che l’avevano accusata di cultura della confusione per aver così prestato la mano al CCIF, mi chiedevo dove fossero il CRIF ed il Concistoro.

Si tratta meno di distribuire delle buone o delle cattive note che di capire le logiche interne che hanno portato alcuni a disertare. Per interesse istituzionale, per interesse di classe e anche per pusillanimità ed assenza di visione, con la stessa “intelligenza politica” che avevano dimostrato nel passato, dall’affare Dreyfus al 1940 una parte delle élite ebraiche della Francia. È in questo senso che si può dire che non c’è una “comunità ebraica”, ma una società ebraica attraversata da conflitti e tessuta, anch’essa, di questa cascata di disprezzo che costituisce le gerarchie sociali. Si prova vergogna a profferire una tale banalità, ma è necessario per quanto la negazione dei rapporti sociali è insita nelle logorrea moralizzatrici di oggi: non si percepisce la realtà nello stesso modo a seconda che si appartenga a degli ambienti più o meno dotati culturalmente, economicamente e socialmente. E che ci fanno sentire la nostra esistenza più o meno legittima. Ciò detto, rendo qui omaggio al Concistoro centrale, a Joël Mergui, così come al Gran rabbino di Francia, Haïm Korsia, sostegno fin dai primi giorni.

Georges Bensoussan, di fronte ad un Mohammed Sifaoui e al suo biberon riempito con un latte fabbricato in Israele, o ad una Nacira Gjuénif, al loro El Youd, hachek, espressione idiomatica, esistono dei Boualem Sansal che corroborano i suoi prestiti da Smaïn Laacher e hanno affermato che dire che l’antisemitismo discendeva dalla cultura, era semplicemente ripetere ciò che era scritto nel Corano ed insegnato nella moschea, dei Saïd Ghallab che scrissero [1] , sotto il titolo, gli ebrei vanno in inferno, che il peggiore insulto che un marocchino poteva fare ad un altro, era il trattarlo da ebreo, aggiungendo : è con questo latte di odio che siamo cresciuti…Marc Weitzmann, in Una famiglia francese, basandosi sulle conversazioni in sala visite tra Zoulijha ed il fratello di Mohamed Merah [2], parla di un clan drogato alla violenza ed all’antisemitismo. Di un incontro tra la Storia e la patologia. Dell’ultrarealismo di una violenza irreale. Di un lungo delirio tossico dove la realtà sociale si dissolve. Questa conversazione non fa che illustrare ciò che l’ha portata in Tribunale?

Queste verità sono accecanti nel vero senso del termine. Sono così terribili che impediscono di vedere e infatti non si vedono. Senza far riferimento agli studi colti, innumerevoli, sull’argomento (soprattutto in inglese), e senza neanche riprendere la mia opera Juifs en pays arabes. Le grand déracinement 1850-1975 (Tallandier, 2012), e che è del resto, in parte, all’origine di questa cabala giudiziaria, vorrei ricordare le parole pronunciate l’8 novembre 2017, durante una trasmissione presentata da David Pujadas su LCI, da Amine El Khatmi, presidente dell’associazione “Primavera repubblicana”: C’è un antisemitismo storico che si trasmette in un certo numero di famiglie arabe o musulmane nei nostri quartieri, dichiarava lei, e avete delle generazioni di bambini (…) nelle quali si educano dei bambini spiegando loro che lo yahoudi, cioè l’ebreo in arabo, è il nemico numero uno, sullo sfondo anche di importazione del conflitto israelo-palestinese. Quando avete delle generazioni di ragazzini che sono educati con questi schemi, che considerano che questo schema è l’unico normale poiché è l’unico che viene loro insegnato e che viene fatto passare, si spiega loro che l’ebreo è la figura odiata numero uno, come volete che poi questi ragazzini non si costruiscano e non crescano nell’odio di Israele, ma anche dell’Ebreo?”

Il giorno prima, nel giornale Le Monde (7 novembre 2017), il produttore cinematografico franco-tunisino Saïd Ben Saïd scriveva: “La lettura letterale del Corano, sprovvista di qualsiasi contesto storico, dà luogo da un secolo e mezzo circa a dei propositi deliranti sugli Ebrei. Il Corano comporta un gran numero di versetti che riguardano gli ebrei alcuni dei quali sono molto ostili nei loro confronti. Da bambini, li apprendevamo a memoria a scuola. Gli ebrei erano per noi perfidi, falsificatori, immorali, diabolici ecc.”

Un mese prima, a Parigi, al processo di Abdelkader Merah, si era sentito Abdelghani, uno dei tre fratelli, dichiarare: ” Sono cresciuto in una famiglia che coltivava l’odio dell’ebreo, l’odio della Francia. (…). Mia madre mi ha detto: guarda ciò che fanno gli ebrei ai bambini palestinesi. Se ne uccideranno tanti quanti essi ne hanno uccisi. Gli arabi sono nati per detestare gli ebrei.” Lei diceva pure: “gli ebrei possiedono il mondo e rubano il lavoro degli altri.”

Che dopo tali constatazioni, io sia portato in giudizio c’è in questo qualcosa di irreale, addirittura di delirante come il segno di una società invischiata in uno schema orwelliano di servitù e di paura. E dell’ingresso in un’era di sospetto generalizzato. È cosi che questo secondo processo è percepito in Francia e soprattutto all’estero.

Dobbiamo deciderci a studiare l’antisemitismo nazista, stalinista, comunista, ed a tacere davanti all’antisemitismo proveniente dal mondo arabo-musulmano, tabù maggiore in nome dei famosi niente amalgama e rimproveri d’islamofobia? Dobbiamo accettare che le targhe commemorative che rendono omaggio alle vittime del terrorismo islamista non qualifichino tale terrorismo? Serge Hajdenberg dice bene che non c’è vittima senza carnefice.

In due parole, le ricorderò questa frase del presidente della Repubblica, M. Emmanuel Macron, durante la cena del CRIF il 7 marzo scorso: ” Non esisterebbe una lotta efficace contro l’antisemitismo senza nominare il male”.

[1] In Les Temps modernes. 1965.

[2] Le Nouveau Magazine Littéraire, N°1, gennaio 2018.

Traduzione di Claudia Bourdin a cura del Gruppo Sionistico Piemontese
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Niram Ferretti
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4542324380
Il 24 maggio a Parigi, la Corte di Appello si pronuncerà relativamente a Georges Bensoussan. Sapremo se il grande studioso, uno dei maggiori intellettuali francesi contemporanei, verrà, come ci auguriamo, assolto o invece, condannato. Bensoussan venne già processato nel gennaio del 2017 perché accusato di “incitamento all’odio razziale”.


Ivano Danna
Trattenersi dall’utilizzare un linguaggio scatologico è arduo.

Ester Marin Madrid
Mi auguro che venga assolto

Antonio Melai
Già il solo fatto di averlo incriminato grida vendetta contro il cielo. Che la cosa sia arrivata all'equivalente della nostra Cassazione ha dell'assurdo.

Daniela Rella
Anche perché, se dovesse uscirne assolto come io spero, la sua vicenda giudiziaria servirà comunque di monito a coloro che esprimono giudizi e valutazioni storicamente fondate ma sgradite ai grandi censori islamici e filo-islamici. La Francia mi mette una gran tristezza. Come è ridotta la Douce France!

Piero Sergio
Daniela Rella per questo motivo se ne vanno dalla Francia

Francesco Cesco
Mentre il negazionismo dell’Olocausto è un semplice illecito. (In in Italia ancora peggio è legale)

Elisabetta Dell'Arca
Quello che è successo in Francia dovrebbe indurre a fare molta attenzione con le leggi sui reati di opinione, che finiscono per diventare bavagli per chi critica l’islam. Per questo sono contraria in toto, anche se lo scopo è nobile e condivisibile, perchè la lotta all’antisemitismo alle autorità europee e nella fattispecie alla magistratura interessa poco. Nel caso di Bensoussan - l’ennesima vergogna, gravissima, della Francia e dell‘Europa - se non ricordo male il pm ha fatto ricorso in appello. Il che la dice lunga sulla magistratura, cui non darei in mano uno strumento così facilmente manipolabile.

Francesco Birardi
Chiamare le cose col loro nome, o esprimere un giudizio negativo sull'Islam (solo sull'Islam, non sul cristianesimo, non sul buddismo né su alcun altra religione o ideologia politica) è "incitamente all'odio razziale"..... Io non so se i giudici francesi si rendano conto dell'enormità di questa cosa e delle sue tragiche conseguenze.... Praticamente verrà sancita per legge l'intangibilità dell'Islam e la sua non criticabilità. Nessuno domani potrà azzardarsi a criticare l'Islam, pena finire in galera....

Niram Ferretti
Esiste già questa intangibilità. In Francia è un fatto. Lo psicoreato del nuovo millennio si chiama islamofobia.

Gino Quarelo
Allora in questa prospettiva dovrebbe essere "incitamente all'odio razziale" anche la critica negativa e aspra e l'avversione viscerale per il nazismo tedesco o ariano o hitleriano e anche per il comunismo in genere e non solo per quello leniniano staliniano.

Io credo non se ne viene fuori se non si considera l'Islam come nazismo maomettano e Maometto come Hitler. Se si resta nell'ambiguità dell'Islam buono e moderato e dell'Islam cattivo e integralista allora si forniscono mille argomenti per giustificare la difesa dell'Islam e l'accusa di islamofobia. Bisogna essere chiari e netti: Islam = nazismo maomettano e Hitler = Maometto. Queste devono essere le parole d'ordine e non altre, altrimenti è finita. In Israele debbono fare buon viso a cattivo gioco con i maomettani e lo possono fare per varie ragioni di geopolitica e rapporti di forza (prima per la questione maomettana interna, numeri demografici, conflitti interni alle sette islamiche, equilibri politico-etnico-religiosi interni dipendenti da quelli esterni a Israele ...) poi per il sostegno diretto degli USA ebraici, laici, cristiani e non islamici e indiretto di quella parte dell'Europa aidola, atea e cristiana che cerca di resistere e combattere il maomettismo; se gli USA e l'Europa diventassero maomettane, per Israele e gli ebrei sarebbe la fine poiché la parte maomettana di Israele, oggi amica fraterna degli ebrei, domani si trasformerebbe d'incanto in nemica feroce se messa difronte alla scelta di stare o con gli ebrei o con Maometto.



Francesco Birardi
Gino Quarelo : Esattamente! L'Islam andrebbe visto per quello che è : non una religione, ma un'ideologia totalitaria, esattamente come Nazismo e Comunismo. L'Islam, tutto l'Islam, è un cancro che avvelena e uccide tutto ciò che tocca, e che andrebbe proibito se vogliamo preservare i diritti e le libertà civili che ci siamo così faticosamente conquistati. Finché invece continuiamo a cadere nella trappola della "religione", disquisendo su Islam buono e Islam cattivo, religione di pace e estremisti, ecc. ecc... non solo non ne usciremo, ma continueremo a scavarci la nostra fossa, dimostrando di non aver capito NIENTE della reale natura dell'Islam.... Adesso poi viene fuori che anche solo dire queste cose è proibito e si finisce in galera....!!!! Cioè stiamo di fatto sancendo la fine della nostra libertà di espressione.... Ma ci rendiamo conto dell'enormità di questa cosa?????

Il "guaio" è che l'Islam non è considerato un'ideologia politica, ma una religione, che è praticata da centinaia di milioni di persone. Offendendo quella religione (solo quella, però...) tu offendi un miliardo e mezzo di esseri umani, e blà, blà, blà... Il fatto che l'Islam sia in realtà un'ideologia politica totalitaria analoga e anche peggiore del Nazismo e del Comunismo, non sfiora minimamente i giudici francesi e i benpensanti politicamente corretti della UE. Occore poi dire che mentre Nazismo e Comunismo sono ideologie del passato, ormai morte e sconfitte dalla Storia (e quindi non costa nulla sputarci sopra), l'Islam è ben vivo, e pesantemente presente fra di noi.... In realtà io temo molto che le decisioni dei giudici francesi, così come l'acquiescenza dei governi e delle istituzioni europee, siano dettate in realtà dal timore di non irritare la "piazza" araba... L'Europa è ormai invasa da milioni di arabi musulmani in pieno boom demografico e ideologico... e noi siamo in piena sindrome di Monaco... alla ricerca di un impossibile appeasement con i nostri invasori.... il progetto Eurabia avanza inarrestabile.... e io non credo affatto che si tratti di un evento spontaneo e casuale, conseguenza del declino "naturale" della nostra Civiltà. Credo sia invece un suicidio assistito, una morte procurata, programmata e decisa altrove.



Colpirne uno per educarne cento: Il caso Bensoussan - Assoluzione
Niram Ferretti
24 maggio 2018

https://www.facebook.com/permalink.php? ... ment_reply
http://www.linformale.eu/colpirne-uno-e ... bensoussan

La notizia dell’assoluzione di Georges Bensoussan anche in appello dall’accusa di odio razziale non può non rallegrare.

Bensoussan, uno dei massimi studiosi contemporanei, era stato messo alla gogna da un insieme di associazioni contro il razzismo e l’islamofobia. Durante una trasmissione radiofonica, lo storico si era limitato a commentare una frase, oltretutto di un sociologo algerino, il quale affermava che, nel lessico famigliare di numerose famiglie arabe, “ebreo” viene insegnato come insulto fin dalla tenera età. Sì, aveva glossato Bensoussan, in queste famiglie l’antisemitismo “lo si succhia con il latte materno”.

Lo hanno voluto portare in tribunale, l’autore di libri fondamentali come “L’eredità di Auschwitz, Come ricordare?”, “Storia della Shoah”, “Juifs en pays arabes.: Le grand déracinement 1850-1975”, esponendolo alla pubblica gogna. Il reato del nuovo millennio, per prendere in prestito il titolo di un pamphlet scritto a quattro mani tempo fa da Robert Spencer e David Horowitz è appunto “l’islamofobia”.

È lo stigma à la page, la nuova lettera scarlatta con cui vengono bollati tutti coloro i quali osano mettere in discussione la vulgata imperante secondo la quale l’Islam è solo luce, armonia, pace.

Nessuna altra religione ha il privilegio di avere intorno a sé un cordone sanitario così serrato. Certo, gli ebrei e i cristiani, se vengono dileggiati Mosè e Gesù o i simboli della loro religione non usano farsi esplodere e fare stragi. Bisogna fare più attenzione con i seguaci del profeta, (non tutti, beninteso). Alla peggio puoi venire ammazzato, vivere perennemente sotto scorta come è accaduto a Robert Redeker o, se sei più fortunato, venire trascinato in tribunale.

Bensoussan esce a testa alta da questi processi assurdi anche se, chi lo conosce, sa quanto gli sono costati psicologicamente questi lunghi mesi dopo l’assoluzione in primo grado con, pendente sul capo, la spada di Damocle di una nuova sentenza.

Ma il caso Bensoussan ci racconta altro, mette in evidenzia in modo chiaro e inequivocabile come anche il pacato e misurato discorso di un intellettuale rigoroso come lui, è insostenibile per i nuovi piccoli stalinisti del politicamente corretto che flagellano senza scampo chiunque osi dire la verità. E che questo accada in Francia, una volta la patria libertina e libertaria di Voltaire, è un altro segno paradossale di un profondo smarrimento riguardo al senso delle cose, al nostra identità occidentale ormai sempre più fragile.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Orrore e odio per il nazismo maomettano (sana islamofobia)

Messaggioda Berto » ven mag 04, 2018 2:51 am

Intellettuale francese condannato per ‘Islamofobia’

https://www.facebook.com/groups/1059950 ... 4112750103

Come in Italia, ormai criticare l’invasione conduce dritti alla persecuzione di Stato.

L’intellettuale francese Éric Zemmour è stato condannato oggi dalla Corte d’appello di Parigi a 5.000 euro di multa per “incitamento all’odio religioso per le osservazioni anti-musulmane tenute nel 2016 in un programma televisivo”.

Durante la trasmissione trasmessa il 6 settembre 2016 su France 5, aveva notato in particolare che era necessario imporre ai musulmani “la scelta tra Islam e Francia” .

Aveva detto che la Francia vive “da trent’anni un’invasione” e che “negli innumerevoli sobborghi francesi in cui molte ragazze sono velate” è in corso una “lotta per islamizzare il territorio”, “una jihad”.


Eric Zemmour condamné en appel pour des propos islamophobes
Le Point, magazine
03/05/2018

http://www.lepoint.fr/societe/eric-zemm ... 565_23.php

Eric Zemmour condamné en appel pour des propos islamophobes
Eric Zemmour condamné en appel pour des propos islamophobes © AFP/Archives / EMMANUEL DUNAND

Le polémiste Éric Zemmour a été condamné jeudi par la cour d'appel de Paris à 5.000 euros d'amende pour provocation à la haine religieuse pour des propos anti-musulmans tenus en 2016 dans l'émission "C à vous".

Lors de l'émission diffusée le 6 septembre 2016 sur France 5, il avait notamment estimé qu'il fallait donner aux musulmans "le choix entre l'islam et la France".

Il avait affirmé que la France vivait "depuis trente ans une invasion" et que "dans les innombrables banlieues françaises où de nombreuses jeunes filles sont voilées" se jouait une "lutte pour islamiser un territoire", "un jihad".

La cour d'appel a estimé que ces deux passages "visaient les musulmans dans leur globalité et constituaient une exhortation implicite à la discrimination", a expliqué la présidente à l'audience.

En revanche, la cour n'a pas retenu trois autres passages de l'émission, pour lesquels Éric Zemmour avait été condamné en première instance. Le polémiste soutenait notamment que "tous les musulmans, qu'ils le disent ou qu'ils ne le disent pas," considéraient les jihadistes comme de "bons musulmans".

La cour d'appel a estimé que ces passages ne comportaient "pas d'exhortation, même implicite, à la provocation à la haine, telle que la nouvelle jurisprudence" l'impose.

La Cour de cassation estime depuis juin 2017 qu'une "incitation manifeste" ne suffit pas à caractériser le délit et qu'il faut désormais "pour entrer en voie de condamnation" que les propos relèvent d'un "appel" ou d'une "exhortation".

Outre l'amende, Éric Zemmour a été condamné à verser un euro de dommages et intérêts à l'association CAPJPO EuroPalestine, qui avait engagé les poursuites, et 3.000 euros pour les frais de justice.

Éric Zemmour a déjà été condamné en 2011 pour provocation à la haine, après avoir déclaré à la télévision que "la plupart des trafiquants sont noirs et arabes, c'est comme ça, c'est un fait".

Plus récemment, la Cour de cassation a annulé sa condamnation pour provocation à la haine pour avoir déclaré que les musulmans "ont leur code civil, c'est le Coran" dans le journal italien Corriere Della Sera en octobre 2014, et ordonné un nouveau procès. La plus haute juridiction avait jugé que la cour d'appel n'avait pas suffisamment justifié sa décision.



https://www.causeur.fr/eric-zemmour-isl ... nat-140443

ÉRIC ZEMMOUR : «l'islam est incompatible avec la laïcité, la démocratie, la République et la France»
https://www.youtube.com/watch?v=8_1z0a3m130

ÉRIC ZEMMOUR sur l'islam de France / CNews 2ème débat du 25 janvier 2018
https://www.youtube.com/watch?v=dWnS0yzts6U

E. Zemmour - islam, islamisme, c'est la même chose
https://www.youtube.com/watch?v=LGh2wxxuiRQ



Eric Zemmour
https://it.wikipedia.org/wiki/%C3%89ric_Zemmour
Zemmour, da sempre molto conservatore, nel suo ultimo libro Le Suicide français, si schiera apertamente contro l'immigrazione, il multiculturalismo e la globalizzazione della società francese. Avversa l'egemonia culturale della sinistra, cominciata nel Sessantotto, sostenendo che "l'ideologia antirazzista e multiculturale della globalizzazione sarà per il Ventunesimo secolo quello che il nazionalismo è stato per il Diciannovesimo e il totalitarismo per il Ventesimo: una fede messianica e guerrafondaia nel progresso, che trasforma il conflitto tra nazioni in un conflitto all'interno delle nazioni".

Eric Zemmour
https://fr.wikipedia.org/wiki/%C3%89ric_Zemmour
Né à Montreuil, aujourd'hui en Seine-Saint-Denis, le 31 août 1958, Éric Justin Léon (Moïse) Zemmour1 est issu d'une famille juive algérienne2,3, arrivée en métropole durant la guerre d'Algérie4.
Il se définit lui-même comme un « juif d'origine berbère »5. Il passe son enfance à Drancy, résidence Faidherbe, puis son adolescence dans le quartier parisien de Château Rouge6.
Fils de Roger Zemmour, ambulancier, et de son épouse Lucette, mère au foyer6, il dit avoir de l'admiration pour sa mère et sa grand-mère. Son père étant souvent absent, il est en effet élevé par des femmes « qui [lui] ont appris à être un homme »7.




Il “suicidio francese” raccontato da Eric Zemmour è già un bestseller
di Nicoletta Tiliacos
2014/10/16

https://www.ilfoglio.it/articoli/2014/1 ... ller-77552

Roma. Perfino il feuilleton autobiografico di Valérie Trierweiler ha dovuto cedere il primato nelle classifiche dei libri d’oltralpe all’ultimo pamphlet di Eric Zemmour: ebreo francese di origine algerina, campione del politicamente scorretto, opinionista del Figaro e animatore di trasmissioni radiofoniche di leggendaria irriverenza (in Italia, Piemme ha pubblicato il suo “L’uomo maschio”, critica della società “femminilizzata”, dove essere maschi è un disvalore così come lo è essere francesi di nascita rispetto all’immigrazione islamica). Uscito da una decina di giorni, “Le suicide français. Les 40 années qui ont défait la France” (Albin Michel, 544 pagine, 22,90 euro), viaggia al ritmo di cinquemila copie al giorno. In ottanta capitoletti, ognuno dedicato a un avvenimento significativo, piccolo o grande (l’uscita di un certo libro o di un film, così come l’approvazione di una legge o il Trattato di Maastricht) vi si ripercorrono gli anni dal 1970 al 2007. “È ora di decostruire i decostruzionisti”, dice Zemmour nell’introduzione. Vuole mostrare come l’epoca infelicissima attraversata dalla République (“République-Potemkin”, la definisce) sia dovuta alla vittoria, nei fatti e soprattutto nell’interpretazione dei fatti, delle istanze del Sessantotto.

Altro che “rivoluzione mancata”. A dettar legge da De Gaulle in poi, scrive Zemmour, è stato il “trittico: derisione, decostruzione, distruzione”, che ha minato “le fondamenta di tutte le strutture tradizionali: famiglia, nazione, lavoro, stato, scuola. L’universo mentale dei nostri contemporanei è diventato un campo di rovine. Il successo intellettuale delle scienze umane ha distrutto tutte le certezze. Come aveva previsto nel 1962 Claude Lévi-Strauss, ‘scopo ultimo delle scienze umane non è costruire l’uomo, ma dissolverlo’”.

Se è vero che la storia la scrivono i vincitori, afferma Zemmour, non ci dovrebbero essere dubbi sul fatto che in Francia la “rivoluzione mancata” ha stravinto. I rivoluzionari del Sessantotto non riuscirono a prendere il potere politico, ma quella disfatta solo apparente li ha salvati: “Lo stato fu salvato ma non la società” e anche se “il maggio del Sessantotto non è riuscito a rovesciare il regime, ha conquistato la Società a detrimento del Popolo”. Scrive Zemmour: “La V Repubblica fu mantenuta, ma l’edificio era lesionato, minato dall’interno, reso un po’ alla volta inservibile (…) un’‘evoluzione delle mentalità’ condotta tambur battente ha svuotato a poco a poco della sua sostanza lo spirito della Repubblica gollista, nonostante siano rimaste intatte le apparenze istituzionali”. Oggi, aggiunge l’autore, la Francia è visibilmente “il malato d’Europa”, alle prese con il declino, con la perdita di competitività e di prestigio delle sue istituzioni militari e diplomatiche, afflitta dal degrado “della scuola, della cultura, della lingua, del paesaggio, della sua stessa cucina”. Il luogo del delitto va dunque rintracciato nella storia di quei quasi quarant’anni che vanno dal 1970 al 2007, durante i quali si è consumata “una decostruzione gioiosa, sapiente e ostinata dei più piccoli ingranaggi che avevano edificato la Francia”. Quella narrata in ottanta voci dal polemista è dunque la “storia di uno spossessamento assoluto, di una disintegrazione inaudita; di una dissoluzione nelle ‘acque gelide’ dell’individualismo e dell’odio di sé”, spiegabile con quello che l’autore definisce la “nostra passione smodata per la rivoluzione, che ci ha accecati e sviati. Ci è stato inculcato che la Francia è nata nel 1789, mentre aveva già più di mille anni dietro di sé”. E poi c’è stato un prima e un dopo ’68. Un prima demonizzato come “bianco, patriarcale e xenofobo” e un esaltato dopo di una “Francia multicolore, aperta sull’Europa e al mondo, liberata delle sue catene ancestrali”. Una Francia “di tutte le liberazioni, di tutte le insolenze, di tutte le minoranze”.

“Le suicide français” non risparmia né sinistra né destra. A quest’ultima, rimprovera la sudditanza intellettuale, produttrice di indifferenziazione, anche dal punto di vista economico ma soprattutto sociale, rispetto alla famiglia politica opposta. Da Pompidou in poi, anzi, sia sotto Giscard d’Estaing sia con Chirac, nessuna alternanza tra destra e sinistra ha segnato un cambio di rotta nella vague decostruzionista che, sempre per dirla con Zemmour, ha “disfatto la Francia”. Dall’inizio degli anni Settanta in poi, il timore di essere denigrati e di apparire retrogradi e passatisti ha dissuaso dal mostrarsi critici verso quei cambiamenti “di società” che, del tutto minoritari, sono riusciti a spacciarsi per inevitabili. È per questa strada che si è arrivati in Francia al matrimonio gay e all’“Abcd de l’égalité” che contrabbanda la teoria del gender per “lotta agli stereotipi” nelle scuole, e anche alla “vittoria dell’internazionalismo sulle nazioni”. Ad aver capito tutto prima di altri, scrive ancora Zemmour, era stato Jean-François Revel. Nel suo celebre “Né Marx né Gesù”, ebbe l’intuizione di una rivoluzione degli individui che sarebbe nata nelle università americane e sarebbe passata per la “morte del padre. Di tutti i padri”. È per questo che Zemmour il libro lo ha dedicato al suo.


Un giornalista scomodo (e purtroppo anche profetico)
Daniele Abbiati - Gio, 22/01/2015

http://www.ilgiornale.it/news/cultura/g ... 84964.html

È secco come un chiodo, ma molto ingombrante. Ha messo la penna al caldo al Figaro , ma è molto scomodo. Éric Zemmour, nato a Montreuil nel '58, saggista e giornalista francese, è il pre-Houellebecq. Se oggi l'autore di Sottomissione è nel mirino dell'islam per «colpa» di un romanzo che tutto sommato punta il dito contro le debolezze occidentali, più che contro l'offensiva musulmana, lui è bersaglio di minacce già dal 2006, quando pubblicò Le premier sexe , tradotto in italiano da Piemme l'anno dopo con il titolo L'uomo maschio . E ora, proprio cavalcando l'onda dello tsunami post- Charlie Hebdo , rimandato nelle librerie dallo stesso editore con il nuovo titolo Sii sottomesso. La virilità perduta che ci consegna all'islam (ne presentiamo un brano in questa pagina). Minacce trasversali, poiché l'assunto del libro è che la femminilizzazione dell'uomo significa cedere le armi a 360 gradi, un'apertura eccessivamente solidale e buonista, un'auto-castrazione. Tesi ovviamente contestabilissime e infatti contestate. Tesi che, alla luce dei fatti di Parigi, traslate sul piano del confronto/scontro con l'islam salgono di tono. E assumono un volume quasi assordante.
Da una parte, dice Zemmour, c'è una Francia materna e accogliente, dall'altra un islam «machista» che della dignità femminile si fa beffe. Ergo: se la femmina Francia (ma il discorso vale per l'intero Occidente) non tornerà virilmente combattiva, sarà violentata. Come Houellebecq, anche Zemmour, dopo la strage compiuta nella redazione della rivista satirica è in questi giorni sotto protezione. «Non l'ho chiesto io, lo subisco», ha detto. E dal 13 gennaio ha dovuto annullare tutti gli impegni pubblici.
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Orrore e odio per il nazismo maomettano (sana islamofobia)

Messaggioda Berto » sab mag 05, 2018 3:06 am

Islamofobia, il nuovo psicoreato
18 agosto 2016 · Aggiornato 5 febbraio 2018

https://www.islamicamentando.org/islamo ... psicoreato

Nell’incubo futuristico di George Orwell, 1984, i cittadini erano sorvegliati da una polizia segreta per ‘PSICOREATI‘ commessi contro lo stato totalitario. Questi psicoreati sono semplici atteggiamenti e idee che le autorità giudicano come politicamente scorrette.

Orwell scrisse 1984 durante l’apice della Guerra Fredda e la sua visione rifletteva una visione fin troppo reale della vita. La polizia di stato sovietica aveva diffuso i suoi tentacoli sopra centinaia di migliaia di cittadini prigionieri. Decine di milioni di coloro le cui idee non si conformavano nelle prescrizioni dello stato totalitario venivano mandati nei campi di lavoro forzati o fucilati per aver commesso psicoreati. La loro colpa era di essere “anti-Soviet”: parlare contro il socialismo, o delle sue regole, o non riuscire a ripetere a pappagallo i punti di vista e le opinioni approvate dal regime.

Durante la Guerra Fredda, l’America portò una coalizione di democrazie per opporsi al Comunismo perché i fondatori degli Stati Uniti d’America usarono il principio espressione come pietra miliare della loro Repubblica. Il primo e vero articolo della Carta dei Diritti d’America non permetteva la soppressione della parola di un individuo da parte del potere dello stato. Il 1° emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America garantisce ai cittadini la libertà e il diritto di dissentire dall’ortodossia, per criticare i potenti, e per dire la verità come essi sanno senza paura di ritorsioni. Questa libertà è la base assoluta e indispensabile di ogni libertà che quegli Americani godono. Perché senza il diritto di dissentire dalle opinioni dello stato, qualsiasi altra libertà verrebbe negata. Senza questo diritto, ogni dissenso verso la polizia e le norme dello stato sarebbero degli psicoreati.

Oggi gli Stati occidentali adottano metodi molto simili a quelli sopra descritti. ‘ISLAMOFOBIA‘ è il nome usato per definire lo psicoreato dei giorni nostri. Il proposito del suffisso nel termine “Islamofobia” è quello di suggerire che qualsiasi timore associato all’Islam è irrazionale, quantunque i timori nei confronti dell’Islam siano fondati su ragioni valide, come ad esempio il fatto che il suo profeta Maometto, la dottrina e quindi molti degli odierni imam incitino a lottare (jihad) con ogni mezzo per l’instaurazione della Sharia (la legge islamica).

Islamofobia è dunque un termine coniato con l’intento di identificare come razzista chi si limita a criticare la religione islamica, in modo da rendere illegali quelle che invece sono le legittime opinioni negative su questa religione. Tutti noi sappiamo che non può esistere il razzismo nei confronti di una religione perché la religione non é una razza. Se davvero criticare una religione significasse essere razzisti dovremmo considerare razzisti anche tutti coloro che si contrappongono alla religione cristiana. Dovremmo arrivare a considerare Lutero un “cattofobico” e quindi un razzista. Ovviamente tutto questo non ha nulla a che fare con il razzismo: chiunque critichi una religione o ideologia non può essere considerato razzista, giacché un “complesso di credenze” non é una razza ma é semplicemente un “sistema di idee” che deve poter esser criticato se ritenuto sbagliato o persino pericoloso, come nel caso dell’Islam, del nazismo etc.

Razzista é semmai ritenere sbagliato ciò che dice il nostro interlocutore solo perché egli ha il colore della pelle diverso dalla nostra. Si può invece dissentire dalle sue opinioni se a nostro avviso esse sono sbagliate. Ci pare la cosa più sensata e comune di questo mondo, dunque perché dunque per il cristianesimo viene applicata ormai da molti secoli e tutt’oggi nessuno si sognerebbe di mettere in discussione la libertà di criticarlo, mentre invece con l’Islam tutto ciò non dovrebbe valere?

L’Islam (e non il kebabbaro sotto casa nostra) é un “sistema di idee” che é pericoloso. La pericolosità di questa religione non é mai diminuita durante i secoli della sua storia, dalla sua nascita sino ad oggi, quindi non c’è niente di paranoico nell’averne timore ma tutt’altro: paranoico é credere che averne timore sia una un errore da configurare come reato.



Gino Quarelo
Gli islamici portatori del nazismo maomettano vanno trattati come i nazisti portatori del nazismo hitleriano o ariano.
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Orrore e odio per il nazismo maomettano (sana islamofobia)

Messaggioda Berto » gio mag 24, 2018 7:16 pm

Offensiva della Turchia: «Europa punisca l'islamofobia»
Lorenza Formicola
01-05-2018

http://lanuovabq.it/it/offensiva-della- ... slamofobia

il ministro degli esteri turco, Mevlut Çavuşoğlu invita l'Europa a criminalizzare le critiche all'islam, che deve essere presentata solo come religione di pace. Si tratta di una palese distorsione della storia passata e presente. Ma è anche un campanello d'allarme.
Mevlut Çavuşoğlu

All'inizo del mese di aprile, in occasione di un evento per la presentazione del Rapporto europeo sull'islamofobia del 2017 - pubblicato dalla 'Fondazione per la ricerca Politica, Economica e Sociale' - il ministro degli esteri turco, Mevlut Çavuşoğlu, ha invitato l'Unione europea, e i suoi leader, a prendere posizione una volta per tutte contro l'islamofobia per criminalizzarla anche attraverso disegni di legge.

"Non esiste un'ideologia o una terminologia chiamata 'islamismo', c'è un solo 'islam' e significa 'pace' ", ha dichiarato il ministro di Erdogan con fare da maestrina. E aggiungendo: "i politici populisti [d'Europa] sono sempre più impegnati nella retorica estremista, anti-immigrati, xenofoba e islamofobica per ottenere qualche voto in più".

Sorvolando sulle considerazioni in salsa demagogica, il ministro pare aver dimenticato il vero significato della parola 'islam', sottomissione. Quella, per intenderci, cui auspica esortando tutti i politici a riconoscere l'islamofobia come "un crimine di odio e una forma di razzismo" nelle loro costituzioni. Çavuşoğlu, usando l'Olocausto come analogia, ha continuato: "Non c'è bisogno di rivivere Auschwitz o aspettare che i musulmani siano bruciati in camere a gas come gli ebrei". Un azzardo forse di cattivo gusto, ma certamente non nuovo. Si tratta, piuttosto, di una grossolana distorsione della storia passata e contemporanea, modellata sull'idea che la religione islamica sia superiore alle altre religioni e che vada tutelata con leggi ad hoc.

Una grossolana distorsione, comunque, anche della storia recente. E' l'islam, infatti, la religione che perseguita i non-musulmani, meglio noti come gli infedeli. Sono gli imam che hanno messo radici in Europa e, godendo delle libertà garantite dalle democrazie occidentali, predicano l'odio per il cristianesimo, i crociati, e una jihad sempre più violenta. E' l'islam che a casa nostra recluta cambattenti e mette in piedi tribunali della sharia in quartieri che hanno le dimensioni di uno Stato all'interno dello Stato.

C'è la firma dell'islam sotto le recenti, e sempre più frequenti, persecuzioni violente degli ebrei in giro per le capitali d'Europa. L'omicidio antisemita di Mireille Knoll e quello di Sarah Halimi - l'anziana donna ebrea, medico in pensione - torturata e poi defenestrata, mentre ancora era in vita, al grido di "Allahu Akbar", sono solo due dei più celebri episodi accaduti nella multiculturale Francia. Senza dimenticare, poi, la persecuzione dei cattolici in giro per il mondo.

Ma Çavuşoğlu, nel suo discorso contro l'islamofobia, non ha inteso fare menzione delle atrocità commesse dagli islamisti in Europa. Al contrario, proponendo di bloccare ogni critica dell'islam sulla base del fatto che essa sia per definizione "estremista, anti-immigrante, xenofoba e islamofobica", il ministro turco sta annunciando che sarebbe cosa buona e giusta vietare la libertà di parola per proteggere una religione che è un progetto politico.

E detto da un Paese, la Turchia, che nega ogni libertà ai dissidenti del governo e ai non-musulmani, è la quintessenza dell'ipocrisia. Oltre che della perversione ideologica. Specie se una dichiarazione del genere arriva alla vigilia dei centotré anni da uno dei più grandi massacri etnici della storia: si calcola che l’Impero ottomano - i turchi - soppresse un milione e mezzo di armeni e ne deportò un numero anche superiore. Un genocidio oscurato a lungo e sul quale ancora oggi piovono mezze verità.

Ma la storia delle persecuzioni turche non si riduce a quel genocidio. All'inizio del 1923 i turchi organizzarono un altro tipo di persecuzione: le imprese straniere e le banche erano tenute ad assumere solo cittadini musulmani turchi e a licenziare chi non era musulmano. Greci, ebrei ed armeni furono licenziati in massa senza essere pagati. Il 24 gennaio 1924, "essere turchi" divenne il requisito fondamentale per lavorare come farmacisti in base a una nuova legge riguardante questa categoria professionale. Nel 1941, 12.000 non musulmani, tra cui uomini ebrei di età compresa tra i 27 e i 40 anni, furono inviati come soldati nei campi di lavoro forzato, senz'acqua, tra zanzare, fango e umidità. Soldati, conosciuti anche come "le 20 classi" e scherniti come "soldati infedeli". E tra essi vennero reclutati non vedenti e disabili. L'11 novembre 1942, il governo guidato dall'allora premier Sukru Saracoglu, introdusse una tassa sulla ricchezza, con l'obiettivo di risolvere i problemi economici che erano emersi durante la Seconda guerra mondiale. L'87 per cento dei contribuenti non era però musulmano. Il vero motivo che ispirò questa legge fu piuttosto eliminare i non musulmani dall'economia, come scrisse anche Basak Ince.

Oggi la popolazione turca è di circa 80 milioni e solo lo 0,2% è cristiano. Frutto di un'epurazione che continua senza remore né timori. Per esempio sono rimasti solo circa 20.000 assiri nel paese. E stanno ancora lottando per aprire una scuola elementare a Istanbul. Nel frattempo, sia il governo che alcuni abitanti del Kurdish musulmano nel sud-est della Turchia continuano a sequestrare le loro terre e proprietà illegalmente. Il governo turco, ancora, non riconosce la comunità protestante come "entità legale".

Quindi, secondo un rapporto sulle violazioni dei diritti umani del 2017 da parte dell'Associazione turca di chiese protestanti, i protestanti sono ancora privi del diritto di stabilire e mantenere luoghi di culto liberamente. Il governo turco non riconosce neanche lo yazidismo come una religione. Una persecuzione che li ha spinti a fuggire in Europa, e che vede oggi la maggior parte degli ex villaggi yazidi in Turchia completamente islamizzati. Sono rimasti circa 350 yazidi in tutta la Turchia.

E meglio non continuare la lunga lista di religioni da condannare all'oblio aprendo il capitolo dei 'cattolici in Turchia'. L'ultimo censimento risale al 2013 e conta i cattolici come lo 0,07% della popolazione. La verità, infatti, è che i cattolici, i cristiani più in generale, o comunque tutti i non musulmani, è meglio che non mettano piede in Turchia. E intanto Çavuşoğlu chiede all'Europa di essere meno 'islamofobica'. Paradossi del nostro tempo.
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Orrore e odio per il nazismo maomettano (sana islamofobia)

Messaggioda Berto » gio lug 12, 2018 8:19 pm

CHI TOCCA L'ISLAM "MUORE"
Giulio Meotti sul “Foglio”
12 luglio 2018

https://www.facebook.com/ugo.volli/post ... 8724168776

La vita di Georges Bensoussan cambia il 10 ottobre 2015. Il celebre storico francese, direttore editoriale del Mémorial de la Shoah e fra i massimi studiosi di antisemitismo e medio oriente (i suoi libri sono pubblicati in Italia da Einaudi), è ospite della trasmissione radiofonica Répliques su France 2. Si parla di fallimento dell'integrazione nelle banlieue, le periferie francesi, su cui Bensoussan ha curato il libro Les Territoires perdus de la Republique. "Non ci sarà alcuna integrazione fino a quando non ci saremo liberati di questo antisemitismo atavico", dice Bensoussan. "II sociologo algerino Smain Laacher, con grande coraggio, ha detto che nelle famiglie arabe in Francia, è risaputo ma nessuno vuole dirlo, l'antisemitismo arriva con il latte materno". Da quel momento, la carriera di Bensoussan subisce una feroce battuta d'arresto.

Il Movimento contro il razzismo e per l'amicizia fra i popoli, che sull'islam aveva già fatto processare Oriana Fallaci per La rabbia e l'orgoglio, il malpensante Eric Zemmour e Michel Houellebecq, annuncia subito che trascinerà Bensoussan in tribunale per istigazione all'odio razziale: "Il Memoriale è un patrimonio comune che nasce dall'orrore dello sterminio degli ebrei" denuncia il Mrap. "E' scandaloso e atroce che Georges Bensoussan, che ne è responsabile editoriale, abbia usato parole antiarabe e razziste in un servizio pubblico. Chiediamo anche ai responsabili del Memoriale di prendere le distanze dal suo direttore editoriale che ha promosso un razzismo biologico dei più abietti". Ma Bensoussan non è un autoesiliato di rango come Oriana Fallaci, non ha la vis polemica di Zemmour né il blasone mediatico di Houellebecq. E' un obiettivo "facile", uno storico serio dal carattere schivo, mite. Condurlo al massacro sarà un gioco da ragazzi. Come in una favola di La Fontaine, era soltanto necessario decidere: appeso o bruciato vivo?

Bensoussan è trascinato in ben due gradi di giudizio. È nato anche un libro attorno al suo caso, Autopsie d'un déni d'antiséE' uscito pulito dalla vicenda giudiziaria, ma i suoi accusatori sono riusciti nell'intento di trasformarlo in un infrequentabile mitisme, con le testimonianze di grandi storici come Pierre Nora, dello scrittore algerino Boualem Sansal e del regista Jacques Tarnero. È stato creato pure un comitato di sostegno, animato da Barbara Lefebvre. Ad aprile, quando Bensoussan si presenta in appello, in quell'aula di Parigi regna una "atmosfera kafkiana", come la definisce il settimanale Marianne, uno dei pochi grandi media francesi che si schierano a fianco dell'imputato. La petizione portata avanti da Nora denuncia il trattamento inflitto allo storico, gettato nel fango come un razzista volgare. Mediapart, il giornale online di Edwy Plenel, l'intellettuale della gauche islamofila e della soumission ideologica, guida la grancassa mediatica contro Bensoussan. Al primo piano del Palais de Justice a Parigi, l'aula è minuscola, appena quindici posti. Ma più di cento persone si sono affollate alla porta, un'ora prima dell'udienza.

Erano stati appena uccisi il colonnello Arnaud Beltrame e la sopravvissuta alla Shoah Mireille Knoll (insieme con altri dodici ebrei assassinati, l'antisemitismo spicciolo quotidiano, l'esodo interno delle comunità ebraiche, la fuga a migliaia in Israele). Il clima è teso. Diverse sagome femminili velate aspettano fuori dall'aula. Un'affluenza attesa, dopo tutto, visto che il processo d'appello di Bensoussan è emblematico. Fra gli accusatori dello storico c'è anche la Lega dei diritti dell'uomo, rappresentata da Michel Tubiana, l'ex presidente. Vale la pena ricordare che la Lega fu creata nel 1898 per difendere il capitano ebreo accusato di tradimento Dreyfus.

Dall'altra parte, il sostegno di Bensoussan, come al tempo di Dreyfus, è minimo. Il giornalista Philippe Val, l'avvocato Noëlle Lenoir (già ministro degli Affari europei), lo storico belga Joel Kotek, si presentano a dargli man forte. L'avvocato Michel Laval smantellerà brillantemente punto per punto 1"`impostura giudiziaria" su cui è costruito tutto il caso. "Sono considerato alla stregua di Xavier Vallat, l'uomo dello statuto degli ebrei sotto Vichy" dice Bensoussan in aula. Lo storico ebreo francese di origine marocchina diventa il "Vallat dei musulmani", come il commissario alle Questions Juives durante la Seconda Guerra mondiale. I musulmani sono i nuovi ebrei, i perseguitati, i censiti, gli stigmatizzati, i ghettizzati.

L'avvocato Noëlle Lenoir, ex giudice costituzionale, assume un tono doloroso: "Esprimo la mia ribellione e la mia costernazione nello scoprire che nella Francia del XXI secolo, un intellettuale può essere portato davanti a un tribunale penale per una citazione sociologica. Questo processo è un altro passo in una strategia di intimidazione rivolta a tutti coloro che denunciano l'ascesa più allarmante di una nuova forma di antisemitismo in Francia e di orribili crimini commessi nel suo nome". L'ultimo discorso di Bensoussan, alla fine dell'udienza, è tragico: "Sono francese in tutte le fibre della mia anima. Se dovessi pensare di lasciare questo paese un giorno, sarebbe una totale sconfitta morale. `Una strana sconfitta', ha scritto Marc Bloch. Non deve succedere".

In aula spicca la presenza di Alain Finkielkraut, venuto a testimoniare a favore di Bensoussan. Di fronte al giudice, Fabienne Siredey-Garnier, c'è anche Lila Charef, a capo del dipartimento legale del Collettivo contro l'islamofobia, che indossava il velo islamico. Questo gruppo è un'emanazione della Fratellanza musulmana, che non fa mistero di voler islamizzare i paesi europei e imbavagliare ogni critica sul mondo islamico. "Le associazioni antirazziste non sono più in lotta contro il razzismo, il loro obiettivo è di vietare il pensiero, è quello di sottrarre la realtà alle indagini e alle critiche", dice Finkielkraut, che si è dimesso dalla Lega contro l'antisemitismo per aver trascinato Bensoussan in giudizio. "Sono sorpreso di essere qui perché la questione non è se Bensoussan è colpevole: la questione è se ha detto la verità!".

Al primo processo ha parlato Michel Sibony, docente in pensione, ecumenico di rango, membro dell'Unione ebraica francese per la pace, che ha accusato Bensoussan di "un discorso degno di Drumont" (un famoso ideologo antisemita degli inizi del XX secolo). Dall'Algeria arriva la lettera di sostegno a Bensoussan inviata dallo scrittore Boualem Sansal: "Io stesso ho denunciato la cultura dell'odio instillata nelle famiglie arabe. Dire che l'antisemitismo è all'interno della cultura è semplicemente ripetere ciò che è scritto nel Corano e insegnato in moschea". "La negazione della realtà è un cancro", scrive anche Elisabeth Badinter sul caso Bensoussan. Il Consiglio superiore dell'audiovisivo invia un "avvertimento" a France Culture, affermando che "alcune osservazioni di Bensoussan avrebbero potuto incoraggiare comportamenti discriminatori". Il Consiglio castiga anche l'autore del programma, Main Finkielkraut, reo di non aver "in nessun momento contribuito al controllo dell'emittente".

Processato, esecrato, adesso Bensoussan è diventato anche una persona non grata allo stesso Mémorial de la Shoah. Lo storico ha inviato una lettera a Danielle Khayat, magistrato in pensione che ha scritto articoli in sua difesa, rivelandole quanto sta avvenendo. Ne siamo venuti a conoscenza. "E' stata una vergogna assoluta: la serratura era già stata cambiata". Bensoussan si riferisce al fatto che, dopo che gli avevano comunicato che non poteva più entrare in ufficio a partire dal 2 luglio, che avrebbe dovuto restituire il badge, e che gli avrebbero fatto avere a casa le sue cose, invece ha potuto andare a recuperare le sue cose nel suo ufficio.

"Poi dopo alcune ore, sotto semi-sorveglianza, ho potuto ordinare, scegliere, gettare, tenere, riempire otto casse di documenti e di libri. Insomma, la cacciata di un delinquente al quale si concedeva la grazia di alcune ore per recuperare i propri effetti. Dopo 25 anni di lavoro, 65 numeri della Revue de l'histoire de la Shoah, 40 libri pubblicati in coedizione, la creazione del servizio di formazione... La gestione di un delinquente con metodi dispotici e coperto dai suoi superiori gerarchici in nome dell'ordine, il conformismo di fronte alla doxa (islam e islamofobia come ossessioni del pensiero corretto), le élite ebraiche auto-istituitesi che non rappresentano più che se stesse e finite in questa negazione della giustizia, in questo crimine contro la vita intellettuale la cui missione era la storia della Shoah".

Bensoussan oggi non può più entrare al Mémorial, che non lo ha mai difeso in questi due anni. Quando gli hanno offerto di pagargli le spese del processo, Bensoussan si è rifiutato. Per due anni, il Mémorial non gli ha consentito neppure di lavorare in Francia (ha potuto svolgere attività soltanto all'estero). In un articolo per il mensile Causeur, Jacques Tarnero ha scritto: "Queste azioni legali fanno parte della panoplia di mezzi da parte degli islamisti per biasimare e mettere a tacere, dopo aver seminato il terrore. Come non riconoscere questi nemici mentre allo stesso tempo è la loro ideologia a ispirare i dilettanti della morte? Se un giorno uno storico esaminerà le ragioni di questa strana sconfitta degli anni Duemila, dovrà guardare gli archivi di questo processo".

Bensoussan esce pulito dall'azione giudiziaria, ma i suoi oppositori, i taglialingue, hanno ottenuto una vittoria di peso: aver decretato lo storico come infrequentabile sotto il peso dell'accusa di razzismo, facendo in modo che ci si allontanasse da lui, che soltanto pochi parlassero. Cosi si è fabbricato un mostro morale per ostracizzarlo meglio, per zittirlo. E con esso abbiamo assistito all'ascesa di una nuova grande intolleranza, una nuova parola diabolica inventata per permettere al cieco di rimanere cieco: islamofobia.
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Orrore e odio per il nazismo maomettano (sana islamofobia)

Messaggioda Berto » gio set 20, 2018 7:03 pm

Perizia psichiatrica per Marine Le Pen
20/09/2018

http://www.adnkronos.com/fatti/esteri/2 ... refresh_ce

Marine Le Pen dovrà essere sottoposta a perizia psichiatrica per aver diffuso su Twitter le foto di esecuzioni dello Stato islamico. Lo ha denunciato la stessa presidente di Rassemblement national: "Dai magistrati bisogna aspettarsi di tutto, credevo di aver visto tutto, e invece no". "Per aver denunciato gli orrori di Daesch attraverso dei tweet - ha 'cinguettato' Marine Le Pen - la giustizia mi sottopone ad una perizia psichiatrica. Fino a dove vogliono arrivare?".

Denunciata la misura della magistratura di Nanterre, la leader dell'estrema destra francese ha fatto sapere che non intende in alcun modo sottoporvisi. "Non ci andrò, beninteso, aspetto di vedere come i magistrati mi costringeranno". Il ministro dell'Interno Matteo Salvini ha commentato: ''Una procura ordina una perizia psichiatrica per Marine Le Pen. Non ho parole! Solidarietà a lei e ai francesi che amano la libertà!''.
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Orrore e odio per il nazismo maomettano (sana islamofobia)

Messaggioda Berto » sab set 22, 2018 10:51 am

Critica l'islam: consigliera perde il lavoro
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 21/09/2018, a pag11, con il titolo "Critica l'islam: consigliera perde il lavoro" la cronaca di Ilaria Pedrali
Informazione Corretta

http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0&id=72108

Chi critica l'islam finisce male. Non solo perché riceve minacce da integralisti o da fanatici che guai a muovere qualche obiezione nei confronti di Maometto o del Corano. Ma perché mette a rischio il posto di lavoro, o l'incarico pubblico che ricopre. È quello che è successo a Jolene Bunting, consigliere comunale indipendente di Belfast, Irlanda del Nord, che è stata sospesa dal suo ruolo per quattro mesi. Mai un provvedimento del genere era stato adottato. Il motivo della sospensione risiede nel fatto che la Bunting è accusata a vario titolo di aver criticato l'islam, e in tutto ha collezionato 14 denunce. Jolene Bunting è un consigliere indipendente, anche se in passato ha militato nel partito unionista TUV. Secondo le accuse la consigliera avrebbe arrecato un danno di immagine al consiglio comunale di Belfast e che non avrebbe rispettato il Codice di condotta del governo locale. La colpa della Bunting è quella di aver fatto commenti definiti denigratori sull'islam durante le riunioni del consiglio e aver appoggiato le analoghe dichiarazioni Jayda Fransen, del gruppo di estrema destra Britain First, già finita in manette per incitamento all'odio. La Bunting è stata denunciata anche per aver partecipato al raduno contro il terrorismo al municipio di Belfast dello scorso agosto. Inoltre la consigliera è finita nel mirino per aver difeso la distribuzione di alcuni volantini definiti istigatori di odio, nei quali si ammoniva contro l'islamizzazione dell'Irlanda del Nord, visto che le stime prevedono che nel 2066 i britannici nel Regno Unito saranno la minoranza. Nel volantino venivano poi snocciolati alcuni crimini compiuti dagli islamisti. Per non essersi opposta alla distribuzione di tale volantino la consigliera è finita nei guai ed è stata accusata di razzismo e fascism o. Tuttavia la Bunting non si dà per vinta e afferma che nonostante la sospensione nessuno potrà silenziarla. Definendo la sua sospensione un "giorno buio per la democrazia e la libertà di parola" ha dichiarato di voler far interessare al caso l'Alta Corte.
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Orrore e odio per il nazismo maomettano (sana islamofobia)

Messaggioda Berto » lun set 24, 2018 9:56 pm

Destin Francais
Giulio Meotti

https://www.facebook.com/giulio.meotti/ ... 4417972755

Viviamo sotto la soffice dittatura degli eufemismi. Eric Zemmour, il giornalista più originale e coraggioso di Francia, lo hanno processato e condannato due volte per “razzismo” e “islamofobia”, è sotto scorta per le minacce di morte, gli hanno ridotto i lavori alla radio Rtl e adesso che il suo libro “Destin Francais” è primo in classifica si raccolgono 300.000 firme per bandirlo anche dai media pubblici, dove dei sudicioni di benpensanti lo chiamano “merde”. Liberté, ma non per te!


Steve Bannon, Ian Buruma, Thilo Sarrazin, Eric Zemmour
Giulio Meotti
26 settembre 2018
https://www.facebook.com/giulio.meotti/ ... 7169651539

Guai a non lisciare il pelo e a dissentire dalla belva politicamente corretta. Il New Yorker, la bibbia dei liberal, si è rifiutato di ospitare Steve Bannon in un incontro pubblico e la New York Review of Books ha appena fatto fuori il suo direttore, Ian Buruma, reo di aver pubblicato un articolo critico dell'osceno MeToo. In Germania, la più grande casa editrice Penguin ha deciso di non pubblicare il nuovo libro critico dell'islam di Thilo Sarrazin. È notizia di poco fa che il giornalista francese Laurent Ruquier ha deciso di non invitare più Eric Zemmour nel suo programma tv. Ray Bradbury aveva capito tutto in “Fahreheit 451”, dove immagina un mondo in cui si bruciano i libri per impedire alla gente il ricordo di un’epoca libera. “Tutti i terroristi politicamente corretti devono essere riportati sui banchi” dirà Bradbury. Noi occidentali pasciuti e chiacchieroni stiamo diventando come i vari Erdogan, sauditi, iraniani e islamisti che tagliano la lingua. Qui c'è in gioco qualcosa che va oltre questi autori, su cui possiamo o meno essere d'accordo, ma che riguarda la vita di tutti: il diritto al dissenso, a una opinione contrarian, a punti di vista differenti in una società che si dice democratica, ma che dimostra livelli osceni di conformismo e di censura. La libertà la perdi se non la eserciti.
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Re: Orrore e odio per il nazismo maomettano (sana islamofobi

Messaggioda Berto » sab set 29, 2018 6:49 am

OIC, l'Onu islamista che vuole silenziare l'Occidente
Lorenza Formicola
27-09-2018

http://lanuovabq.it/it/oic-lonu-islamis ... loccidente

L'Organizzazione di cooperazione islamica (OIC), è la più grande organizzazione islamica del mondo - composta da 56 stati membri delle Nazioni Unite più l'Autorità palestinese. Da sempre cerca di mettere a tacere e criminalizzare tutte le critiche all'islam, puntando su America e all'Occidente. Piani ambiziosi per abolire la libertà di parola e tutelare l'islam sottostimati in Occidente.

Nel 2012 veniva diffuso online un video realizzato in California nel quale il profeta Maometto veniva dipinto come uno "sciocco". Gli Stati Uniti attribuirono al filmato la responsabilità dell'attentato suicida in Afghanistan nel medesimo periodo. Si aprì un caso di islamofobia e diversi leader mondiali, e soprattutto musulmani, vennero chiamati a conferire direttamente alle Nazioni Unite per denunciare la nuova minaccia per la società islamica.

Ad andarci giù duro fu l'allora ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, che espressamente decretò la fine "del tempo della protezione dell'islamofobia mascherata da libertà di parola". Asif Ali Zardari, ex leader del Pakistan, disse che "la comunità internazionale dovrebbe criminalizzare gli atti che distruggono la pace del mondo e mettono in pericolo la sicurezza mondiale abusando della libertà di espressione". In quell'occasione il palazzo dell'Onu venne presidiato da manifestanti che al grido di "non c'è Dio all'infuori di Allah" e con cartelli che recitavano "bestemmiare il mio Profeta deve essere reso un crimine dall'Onu", esponevano la portata della polemica.

Dietro quella gran confusione, e l'incubo di un'islamofobia che avrebbe divorato il mondo di lì a poco, c'era l'Organizzazione di cooperazione islamica (OIC), la più grande organizzazione islamica del mondo - composta da 56 stati membri delle Nazioni Unite più l'Autorità palestinese. Organizzazione che da sempre cerca di mettere a tacere, e in definitiva criminalizzare, tutte le critiche all'islam, puntando specificamente all'America e all'Occidente. E' stato dimostrato - anche da Deborah Weiss (avvocato) in una monografia pubblicata dal Center for Security Policy Press - che l'OIC lavora attraverso risoluzioni ONU, conferenze multilaterali e altri veicoli internazionali per promuovere la sua agenda. L'obiettivo di questi sforzi, secondo il programma di azione decennale dell'OIC, lanciato nel 2005, è combattere la cosiddetta "islamofobia". Sostanzialmente, quindi, vietare qualsiasi discussione sul suprematismo islamico e le sue numerose manifestazioni, tra cui: terrorismo jihadista, persecuzione delle minoranze religiose e violazioni dei diritti umani commessi in nome di Allah.

In un lavorìo senza interruzione, l'OIC cerca di asportare la libertà di parola dall'Occidente. A giugno, l'organizzazione ha promosso il "I° forum islamico-europeo per esaminare le modalità di cooperazione per frenare l'incitamento all'odio nei media" e ha avuto luogo al Press Club Brussels Europe.

La direttrice del dipartimento informazioni dell'OIC, Maha Mustafa Aqeel, ha spiegato che il forum nasce in seno al disegno mediatico dell'OIC per fermare "l'islamofobia": "la nostra strategia si concentra sull'interazione con i media, accademici ed esperti su vari argomenti rilevanti, oltre ad impegnarsi con i governi occidentali per sensibilizzare, sostenere gli sforzi degli organismi musulmani della società civile in Occidente e coinvolgere questi ultimi nello sviluppo di piani e programmi per contrastare l'islamofobia".

A differenza di quasi tutte le altre organizzazioni intergovernative, l'OIC esercita un potere sia religioso che politico. E si descrive come: "... la seconda più grande organizzazione intergovernativa dopo le Nazioni Unite con l'adesione di 57 stati e si sviluppa su quattro continenti. L'Organizzazione è la voce del mondo musulmano e sposa tutte le cause vicine ai cuori di oltre 1,5 miliardi di persone Musulmane del mondo".

Uno dei principali obiettivi dell'organizzazione, stando al suo "statuto", è "diffondere, promuovere e preservare gli insegnamenti e i valori islamici, basati sulla moderazione e la tolleranza, promuovere la cultura islamica e salvaguardare il patrimonio islamico" e "proteggere e difendere la vera immagine dell'Islam, per combattere la diffamazione dell'Islam e incoraggiare il dialogo tra civiltà e religioni".

Nel 2008, l'OIC ha pubblicato il suo primo rapporto sull'islamofobia. Il documento elencava una serie di interazioni che i rappresentanti dell'organizzazione hanno avuto con il pubblico occidentale tra le quali il Consiglio d'Europa, l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) e accademici di università come Georgetown e Oxford. E il documento arrivava ad una chiara conclusione, "il punto sottolineato in tutte queste interazioni è che l'islamofobia sta gradualmente conquistando la mentalità della gente comune nelle società occidentali, un fatto che ha creato una percezione negativa e distorta dell'Islam. [...] L'islamofobia rappresenta una minaccia non solo per i musulmani, ma per il mondo in generale". Al capitolo quattro, il Segretario generale dell'OIC, invitava l'Europa a "perseguire e punire attraverso il quadro di una legislazione appropriata la discriminazione"; "addurre alle cause di terrorismo i conflitti politici"; "garantire la libertà delle pratiche religiose islamiche liberandole dal pregiudizio delle leggi secolari".

Da quel primo rapporto, l'OIC ha investito se stessa, in maniera del tutto autoreferenziale, del ruolo di Grande Fratello dell'Ue e collabora con l'OSCE e il Consiglio d'Europa "per combattere stereotipi e incomprensioni, e favorire la tolleranza".

Dopo anni pancia a terra, l'organizzazione di cooperazione islamica ha ottenuto che molti governi dell'Europa occidentale perseguitino i propri cittadini per aver criticato la religione di Maometto.

In Svezia una signora di 71 anni è stata condannata al pagamento di una multa per "incitamento all'odio contro un altro gruppo etnico", per aver commentato su Facebook che alcuni immigrati sembrano "dediti solo allo stupro e alla demolizione delle loro case".

In Germania, un giornalista, Michael Stürzenberger, è stato condannato a sei mesi di carcere per aver pubblicato, sempre sulla sua pagina Facebook, una foto storica del Gran Mufti di Gerusalemme, Haj Amin al-Husseini, mentre stringe la mano di alto funzionario nazista a Berlino,nel 1941. L'accusa, "incitamento all'odio verso l'Islam" e "denigrazione dell'islam".

Ed è proprio a proposito di nuovi media che l'OIC sta lavorando ad una strategia globale rivolta esclusivamente ad essi. Concordata in Arabia Saudita nel dicembre 2016 e incentrata sull'Occidente, si propone come obiettivi, "accrescere l'interazione con i media e i professionisti, incoraggiando nel contempo l'accuratezza nella rappresentazione dell'islam. L'accento dovrebbe essere sempre rivolto a evitare qualsiasi legame o associazione tra islam e terrorismo. Smetterla di etichettare i terroristi come "estremisti islamici".

D'altronde, è da tempo che autorità e media dopo ogni attentato ci parlano di "fanatici" e "malati di mente", e mai di terroristi musulmani.

Ma parte della strategia mediatica sono anche le "campagne pubblicitarie per i trasporti pubblici"; "organizzare tre talk show l'anno per canali televisivi importanti negli Stati Uniti e in Europa con la partecipazione di membri selezionati provenienti da paesi musulmani"; "dieci conferenze l'anno nei vari paesi sul ruolo islamico nella costruzione di culture e intercomunione"; "visite a scuole e università"; "produrre un documentario di un'ora in cui viene esaminata la crescita dell'islamofobia in Occidente e il suo impatto sui musulmani di tutto il mondo, da trasmettere su reti come la BBC britannica e Channel 4 o PBS".

I piani ambiziosi dell'OIC di abolire la libertà di parola per tutelare l'islam sono gravemente sottostimati in Occidente.
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