Jihadisti tałiani

Jihadisti tałiani

Messaggioda Berto » sab ott 03, 2015 6:17 pm

Jihadisti tałiani
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Marocchino cacciato dall'Italia: "Ricorrerò contro l'espulsione ma il Califfato opera nel giusto"

Senza peli sulla lingua, il giovane espulso dal Paese, difende l'Isis e il suo operato. Però vuole tornare a Varese, dove abitano i suoi fratelli. Sostieni il reportage
Anita Sciarra - Ven, 27/03/2015

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/mar ... 10323.html

"Farò ricorso contro l'espulsione". A parlare è Oussama Khachia, 30 anni, il ragazzo marocchino allontanato dall'Italia perchè accusato di propaganda pro Isis. Il giovane è stato raggiunto a Casablanca, dove risiede ora, da Varese News, che lo ha intervistato.

Dalla conversazione con il giornalista, andata avanti su WhatsApp per giorni, sono venute fuori parole dure. "Il Califfato unisce i musulmani e fa ritornare la Giustizia divina sulla Terra - ha affermato il 30enne - si eliminano i confini che ci hanno disegnato dopo il 1924 e si eliminano tutti i dittatori arabi che piacciono tanto all'Occidente. Verrà applicata la famosa sharia islamica. Il Califfato sulla metodologia profetica è una profezia del Profeta Muhammad che si è avverata dopo 1400 anni. Non esisteranno più le leggi fatte dall'uomo e non ci potrà esser corruzione. Non ci sono immunità né tantomeno amicizie. Quindi stiamo parlando della fine della democrazia".

Poi ha spiegato che "Il Khalifah Ibrahim ha invitato tutti i musulmani del mondo a emigrare nel Califfato, nello stato dei musulmani, uno stato che non applica la dementocrazia ma la Sharia, quindi è obbligatorio per i musulmani emigrare nello Stato Islamico. Sopratutto dottori, medici, ingegneri e posizioni alte. C'è tanto da costruire, costruire, non c'è solo il combattimento. Bisogna aiutarci tra fratelli".

Quanto alla pericolosità dell'Isis, Oussama ha spiegato che "L'Isis è lo specchio dell'occidente in alta definizione, sta proponendo in HD quello che l'Occidente ha fatto ai musulmani dal 1924 fino ad oggi. Colonizzazione francesi, inglesi e invasioni statunitensi, russe hanno contribuito ad alimentare questa scintilla che è poi scoppiata in Iraq. L'Isis sta liberando i paesi musulmani dai pupazzi occidentali è per questo che lo si vede come un esercito nazista, perché nonostante abbia tutti i criminali di guerra del mondo contro, avanza e si rafforza. In ogni guerra vi sono atrocità. Anche a noi ci fa paura la democrazia, perché dietro a questa parola si nascondono i più grandi di crimini commessi nel ventesimo secolo. Compreso il milione di musulmani uccisi dai marines in Iraq per colpe che non hanno mai avuto".

Non ha peli sulla lingua il giovane marocchino che pure vuole rientrare in Italia e definisce la sua espulsione un'ingiustizia. Sulla lotta contro i curdi specifica che "un esercito addestrato dal Mossad non potrà mai difendere la propria terra, ma è un mercenario al soldo del potente di turno. La crociata in Iraq (parole di Bush) ci ha insegnato i ruoli delle milizie settarie sciite e il ruolo dei Pesh". E le informazioni che giungono in Italia riguardo alle violenze sulle donne yazide sarebbero false, filtrate ed elaborate dalla "stampa di partito" che "fa bene il proprio dovere".

In Italia Oussama avrebbe voluto continuare a "fare da tramite. Il filo bianco che cuce le 2 stoffe. Altrimenti un reporter della seconda generazione, controinformazione indipendente - ha puntualizzato - nel senso che non tirerei l'acqua al mio mulino ma, come è già capitato in passato, mi occuperei di smentire notizie false arrivate dal Medio Oriente".

Il giovane non crede che qualcuno, ammirando l'Isis, possa compiere atti violenti in Italia. "Più che altro accade il contrario- aggiunge- qualsiasi cosa succede nel Medio Oriente, i primi a pagarne il prezzo sono i musulmani. Leggi speciali, carceri speciali e clima insopportabile. Dopo i fatti di Charlie Hebdo in Francia dopo 3 giorni si sono registrati 50 attacchi ai musulmani e ai luoghi di culto. Per risolvere il problema della radicalizzazione bisogna guardare al passato e farsi un bagno di umiltà e un esame di coscienza. Tanti vengono radicalizzati da Hollande, Bush, Blair e non certo per il personaggio del 2014".

Ha anche ammesso che "I video delle decapitazioni sono verissimi. Possiamo esser d'accordo o meno. Però, come dicono gli analisti che seguono il conflitto, sono efficaci. Due giapponesi hanno fatto ritirare il Giappone dall'alleanza. il governo è in crisi e l'opinione pubblica giapponese non è certo quella provinciale e bigotta come quella nostrana, quindi è in linea contro Shinto Abe e non biasima lo Stato Islamico".

Altro discorso varrebbe per gli americani: "La decapitazione di Foley è avvenuta dopo che USA hanno tradito i patti con L'Islamic State. Mi spiego meglio. Gli USA affermano di non trattare con i terroristi ma per un sergente americano hanno fanno uno scambio 5 talebani. Per Foley c'erano contatti e patti. La madre, Diane Foley aveva la speranza che fosse liberato il figlio, mentre il pentagono ha dato il via ad una missione segreta per liberare James senza avvisare la madre. Così fallì la missione e furono uccisi durante l'operazione notturna 11 musulmani tra cui 5 combattenti dello Stato Islamico, firmando così la condanna di James Foley". Per questo"Ogni persona con cervello informata direbbe che che ad aver ucciso Foley sia stato il suo stesso governo, che tratta con i terroristi solo a giorni dispari. Infatti le ultime parole di James sono chiavi di lettura della drammatica vicenda. Per Foley fu richiesta la scarcerazione di Afiya Siddiq (dottoressa) catturata e imprigionata tuttora in Texas. Quindi scambio di prigionieri. Mentre il traditore è colui che tradisce i patti e mette a repentaglio la vita dei suoi cittadini e si assume tutte le responsabilità. Ecco, condanno chi tratta e poi a metà strada tradisce".

Però, sul suo conto, sottolinea:"Oussama non ha commesso nessun reato, tranne quello di avere un'opinione diversa dagli altri".

Lui nel Califfato non ci sarebbe mai stato, spiega, però " sono sincero, vorrei davvero vedere cosa succede dentro con i miei occhi, non solo il dramma, ma anche la vita quotidiana, come lo vorrebbe qualsiasi reporter di guerra indipendente insomma".
Quanto a Varese, dice che era la sua città, "Facevo una vita semplice, otto o nove ore di lavoro, due o tre partitelle a calcetto alla settimana. Non sono mai stato minacciato in quanto musulmano. Assolutamente. Mia sorella però una volta è stata malmenata mentre andava a lavorare. Per il velo, così ingiustamente durante un clima teso d'islamofobia mentre andava a lavorare".
L'Italia gli manca: "Mi mancano pizzoccheri e la pizza di Zei a Varese. In realtà mi manca la mia famiglia, e mi manca il mio lavoro".



Il jihadista italiano su Facebook: "Voi del Giornale siete morti..."
Espulso dall'Italia due mesi fa, un sodale degli arrestati di Torino si sfoga sui social contro Sallusti e il nostro quotidiano: "Squallidi vermi, zombie che camminano". Sostieni il reportage
Luca Fazzo - Sab, 28/03/2015
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 10516.html

Dopo i proclami di guerra e di vittoria, ecco gli avvertimenti ai giornalisti, passaggio classico e inevitabile degli estremisti di ogni razza e colore.

Nello scenario aperto dalla inchiesta della procura di Brescia sulla cellula italiana che reclutava combattenti per l'Isis, fa irruzione via Facebook il messaggio di Oussama Kachia, il jihadista espulso da Varese due mesi fa, legato a filo doppio a Halili el Mahdi, torinese, autore del primo proclama in italiano per la guerra santa, arrestato martedì insieme a due reclutatori di combattenti. Khachia è stato espulso dall'Italia per i suoi proclami a favore dell'Isis, è riparato in Marocco, poi si è spostato di nuovo, ma continua a seguire in presa diretta quanto accade in Italia. L'altro ieri aveva mandato il suo post di solidarietà al compagno arrestato, «la notte della giustizia è stata lunga ma l'alba della vittoria la vediamo vicina». Ieri il Giornale riporta il suo messaggio.

E nel giro di poche ore ecco, sempre su Facebook, la reazione di Oussama: «Non esiste un quotidiano più squallido e spregevole del Giornale », scrive. Attacca Alessandro Sallusti e Daniela Santanchè, parlamentare del Pdl. E poi passa al giornalista che ha riportato i suoi scritti: «Hai proprio una faccia da... troppo facile infierire sui vermi. Non hai dignità, però rispecchi il genere di giornalismo spazzatura italiano. Poca professionalità e tanta codardia. Zombie, tu fai parte della categoria dei giornalisti che camminano, ma sono MORTI, sono vuoti dentro. Non avete anima e mai avrete anima». É una fissazione, quella di Oussama per i giornalisti-zombie: «É una guerra, i morti ci sono, tra i morti ci sono quelli che camminano chiamati anche giornalisti», aveva scritto pochi giorni dopo la sua espulsione dall'Italia. E non si capiva se era un giudizio o una promessa.

Ma chi è, Oussama Khachia? Trentun anni, marocchino, operaio in una fabbrica della provincia di Varese, apparentemente integrato: ma in realtà figlio d'arte, perché suo padre Brahim già nel 2006 era stato perquisito nell'ambito di una inchiesta sulla galassia integralista, ed era considerato tra i discepoli dell'imam varesino Zergout Abdelmajid, arrestato nell'operazione Revenge nel 2008 e consegnato alle autorità del Marocco per scontare una condanna. Oussama Kachia raccoglie l'eredità del padre e si spinge più in là: diventa un «ripetitore», come vengono definiti gli ultrà che svolgono la funzione chiave di rimbalzare sui social network i messaggi della propaganda jihadista. Nel giro di poco tempo, sul suo account twitter scarica oltre ventitremila messaggi. Quando vien espulso dall'Italia con provvedimento d'urgenza del ministero dell'interno, ripara in Marocco. E da lì rilascia una lunga intervista al sito Varesenews dichiarando il suo amore per l'Isis («il Califfato unisce i musulmani e fa ritornare la giustizia divina sulla Terra») e difendendo persino i video delle decapitazioni, («possiamo esser d'accordo o meno però come dicono gli analisti che seguono il conflitto sono efficaci, due giapponesi hanno fatto ritirare il Giappone dall'alleanza»).

É in questo universo di fanatici che si muovono le indagini delle procure, in attesa che parta il coordinamento centrale delle inchieste. É un coordinamento richiesto a gran voce da chi sul campo tiene monitorato quanto si muove nell'ambiente integralista. E che ha maturato una convinzione: dare la caccia ai propagandisti del terrore vuol dire attaccare anche il braccio armato, quello operativo, perché - come dimostra l'indagine bresciana - sono due facce della stessa medaglia.



"La nostra vittoria è vicina". Così parlano i jihadisti d'Italia
Da ragazzi qualunque a terroristi che arruolavano martiri anche tra i minorenni. I giudici: "Erano pronti a morire e uccidere. Il pericolo è serio". Sostieni il reportage
Luca Fazzo - Ven, 27/03/2015
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 10073.html

Non mollano la presa, non si arrendono. Halili el Mahdi, il ragazzo di Torino che ha scritto il primo proclama dell'Isis in lingua italiana, è in galera per propaganda terrorista.

Ma il suo amico Oussama Khachia, espulso dall'Italia un mese fa, continua dal suo rifugio a stargli vicino. E anche ieri gli manda un messaggio via Facebook: «Un giorno in sha Allah finirà tutta questa ingiustizia, caro fratello mio abbi pazienza. La notte dell'ingiustizia è stata lunga ma l'alba della Vittoria la vediamo vicina».

Sono convinti di vincere. Ed anche in questa certezza sta la forza delle cellule italiane dell'Isis: «Tale esaltazione - scrive il giudice che ha ordinato gli arresti dell'altro ieri - risulta particolarmente efficace nella prospettiva del reclutamento e dell'adesione di nuovi soggetti alla causa terroristica, ove si consideri che il messaggio di propaganda si rivolge soprattutto ai giovani musulmani residenti in Italia, i quali sia per le comuni difficoltà di inserimento sia per la problematica congiuntura economica si trovano sovente ad affrontare una condizione di emarginazione sociale».

É lì, tra gli adolescenti delle nuove banlieu italiane, che i reclutatori dell'Isis hanno pescato i foreign fighters partiti per il fronte, come Anas el Abboubi, il ragazzo bresciano che oggi combatte sotto il nome di «Anas l'Italiano», ma anche come Maria Giulia Sergio «Fatima», la giovane di Inzago arruolata anche lei per la guerra santa nei mesi scorsi. Un filo sotterraneo lega gli uffici di reclutamento sparsi per l'Italia, e gli integralisti di etnia albanese svolgono un ruolo chiave: sono zio e nipote albanesi, Alban e Elvis Elezi, a far partire el Abboubi, e persino ad arruolare un ragazzino di 17 anni come Mahmoud Ben Ammar; e albanese è il secondo marito di Maria Giulia Sergio, quello che ne produce la conversione all'Islam più radicale. Secondo i nostri 007, il marito della Sergio ha stretti contatti con i suoi connazionali che vivono in Toscana, nella zona di Monteroni d'Arbia, dove martedì è stato perquisito un propagandista nell'ambito del bliz coordinato dalla procura di Brescia.

Quello che ha stupito gli investigatori bresciani quando hanno iniziato a scavare sulla doppia vita dei reclutatori è stata la rapidità dell'evoluzione: da ragazzi qualunque, a fanatici della guerra santa e del martirio. Mio figlio «mi ha detto di non voler tornare, e ha dato appuntamento in paradiso a tutti coloro che l'hanno sentito», racconta il padre di Anas el Abboubi il 18 dicembre 2013. Pochi giorni dopo, l'11 gennaio 2014, il ragazzo si fa vivo dal fronte, usando un cellulare siriano; al padre che gli chiede se vive in un sotterraneo risponde: «Come sotterraneo? Siamo davanti al nemico, mica siamo venuti qua a scherzare. Ci sono solo spari e missili e guardia. Lo stato islamico, grazie ad Allah, li ha massacrati e li ha cacciati via».

Sono pronti a uccidere e a morire: anche i due ragazzi di Torino arrestati l'altro ieri, Halili el Mahdi e il suo compagno di scuola Elvis Elezi. Mentre Halili scrive proclami, Elvis individua e arruola. Un suo cugino, Idajet Balliu, è morto combattendo sotto le bandiere di Dawla Islamia, la formazione di terroristi albanesi comandata dal kossovaro Lavdrim Muhaxerri, protagonista di una lunga serie di atrocità in difesa dell'Isis. La foto del suo cadavere nella bara viene inviata alla famiglia con un messaggio: «Allah ti ha portato la gioia con un fratello martire». Dopo la morte di Idajet, l'attività di reclutamento di Elvis e suo zio Alban si è fatta ancora più intensa. Dall'Italia il percorso porta a Tirana, quindi a Istanbul e da lì a Gaziantep, l'aeroporto più a ridosso del confine siriano. Su questa strada doveva essere avviato anche Mahmoud, il minorenne di Gallarate. Elezi ne parla con un complice «É minorenne, comunque non è lì il problema perché si può fare in sha Allah ».

Il ragazzino viene irretito, quasi senza sforzo. E a stupire ancora gli investigatori c'è un dettaglio: a convincerlo è un filmato (tuttora reperibile sul web, https://archive.org/details/nenwa_22) con scene di addestramento di adolescenti di una brutalità sconcertante. I ragazzini vengono presi a bastonate e a calci dall'istruttore incaricato di trasformarli in combattenti. Che a un diciassettenne di Cermenate questo sia apparso non un incubo ma un sogno da realizzare, è uno degli elementi che fa scrivere al giudice Bonamartini del «serissimo pericolo» che l'Italia corre.


Immigrazione, Ucoi: "Ricorsi in Italia e Ue contro l'espulsione degli islamici"
L'Ucoi annuncia battaglia: "Chi è stato espulso non ha avuto un giusto processo, ora partiranno i ricorsi"
Mario Valenza - Dom, 26/04/2015
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 20714.html

Gli islamici che vivono in italia non hanno accettato le espulsioni dei loro "fratelli" accusati di terrorismo.
Così adesso promettono battaglia e ricorsi in tribunale per farli rientrare. "Ci saranno ricorsi in sede italiana ed europea affinchè ai presunti terroristi espulsi dall’Italia sia garantito un giusto processo. Non è compito dell’Ucoi, ma abbiamo notizia che sul territorio associazioni di diritti civili si impegneranno in quella direzione perchè a nostro avviso non sempre lo stato di diritto è stato rispettato", ha annunciato Izzedine Elzir presidente Ucoi, intervistato da Klaus Davi, conduttore di KlausCondicio.

"Ripeto non sarà l’Ucoi, ma associazioni di volontariato che faranno valere lo stato di diritto", ha aggiunto. Insomma espellere dal nostro paese chi pianifica attentati o ha rapporti con cellule jihadiste sarebbe un "atto di ingiustizia". Ma la mossa dell'Ucoi non è l'ultima su questo fronte. Solo qualche giorno fa Oussama Kachia, il trentenne marocchino residente nel Varesotto espulso da Alfano per le dichiarazioni su Facebook a favore dell'Isis e che aveva rivolto minacce pesanti a Il Giornale, ha presentato ricorso contro il provvedimento di espulsione. In questo momento l'uomo si trova in Marocco, ma il suo avvocato ha già presentato ricorso al Tar del Lazio.
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Re: Jihadisti tałiani

Messaggioda Berto » lun nov 16, 2015 11:53 pm

Imam de Venesia e veneti
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Jihad o goera "santa" xlamega on cremene contro l'omanedà
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El Jihad entel Coran par łi xlameghi
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Re: Jihadisti tałiani

Messaggioda Berto » lun nov 23, 2015 6:02 pm

Il terrorista arrestato dai carabinieri dei Ros reclutava jihadisti in un appartamento di Merano
Abdul Rahman Nauroz forniva anche appoggio a terroristi islamici di passaggio in Italia. Faceva parte di una cellula internazionale che stava progettando attentati in Europa. Merano crocevia del reclutamento degli estremisti

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... -Allah.jpg

12 novembre 2015

http://altoadige.gelocal.it/bolzano/cro ... 1.12432721

Merano. Abdul Rahman Nauroz, arrestato nel blitz antiterrorismo del Ros a Merano, è risultato «particolarmente attivo nell'attività di reclutamento», «sia attraverso internet, sia attraverso "lezionì" che teneva nel proprio appartamento di Merano, luogo di riunioni segrete e crocevia di aspiranti jihadisti»
Lo scopo, sottolineano i carabinieri, era quello di «convincere i suoi allievi, e tra questi in particolare Hasan Saman Jalal (arrestato - ndr), a partecipare ad azioni armate di guerra o terroristiche pianificate come suicide». Però, mentre l'intenzione di Hasan Saman Jalal «non si è mai tradotta in azione», altri membri di Rawti Shax, l'organizzazione facente capo al Mullah Krekar, sono riusciti a raggiungere il teatro siro-iracheno per combattere.


Terrorismo, 17 arresti. Dalla Norvegia progettavano attentati in Europa
Merano considerata crocevia di aspiranti jihadisti. I presunti terroristi sono 16 curdi e un kosovaro
13 Novembre 2015

Tra questi Ali Mohammed Ali, membro della cellula finlandese, presente in Siria fin dalla metà del 2013 tra le fila dell'Isis e verosimilmente ucciso il 27 marzo 2014 in combattimento; Ali Mohammad, che dopo aver militato in Siria con l'Isis ed essere stato respinto dalle autorità finlandesi, il 15 luglio 2014 era giunto in Italia dove aveva ricevuto supporto a Merano da Abdul Rahman Nauroz.
Per quanto riguarda l'Italia, il ruolo di 'Rawti Shax' quale «filiera di facilitazione per la Siria» è emerso in particolare nella vicenda che ha riguardato il cittadino di origine kosovara Hodza Eldin, pure lui indagato e destinatario di misura cautelare.
Gli investigatori infatti spiegano che la rete di 'Rawti Shax', tramite Abdul Rahman Nauroz, si è adoperata per realizzare il proposito di Hodza di partire per la Siria, finanziando il viaggio in aereo per Istanbul con 780 euro forniti da due degli indagati, responsabili delle cellule finlandese e svizzera. La partenza di Hodza è avvenuta il primo gennaio 2014 e l'intero suo viaggio per la Turchia è stato monitorato dagli investigatori del Ros. Hodza Eldin è quindi riuscito a passare il confine e ad essere accettato in un campo di addestramento «sotto la bandiera nera» dell'Isis. A metà febbraio 2014, l'uomo è però precipitosamente rientrato in Italia attraverso la Svizzera, anche se poi ha maturato nuovamente l'intenzione di partire per la Siria, condividendo con la cellula italiana la sua esperienza terroristica sul campo e diventando un «esempio da seguire».


I terroristi islamici arrestati erano pagati dallo Stato - Blitz anti-terrorismo in Europa: dalla Norvegia piani contro l'Italia

http://www.liberoquotidiano.it/news/ita ... agati.html

I terroristi islamici arrestati nell'operazione dei Ros erano pagati dallo Stato. Uno, infatti, prendeva il sussidio familiare - 2mila euro al mese per cinque figli - all'altro venivano versati i soldi per la casa grazie alla concessione dell'asilo politico. I due jihadisti che organizzavano attentati dall'Alto Adige ed erano comandati da Mullah Krekar, in carcere in Norvegia, vivevano a spese nostre.
Abdul Rahman Nauroz viveva in a casetta di Merano ed era "particolarmente attivo nell'attività di reclutamento". L'uomo agiva "sia attraverso internet sia attraverso lezioni che teneva nel proprio appartamento, luogo di riunioni segrete e crocevia di aspiranti jihadisti". Avrebbe più volte cercato di convincere i suoi allievi "a partecipare ad azioni armate di guerra o terroristiche pianificate come suicide". Il fondamentalista aveva ottenuto la protezione sussidiaria raccontando di minacce nei suoi confronti in Iraq da parte di Ansar Al Islam, l'organizzazione terroristica di cui lui stesso faceva parte, e grazie a questa situazione non pagava neanche l'affitto.
Un altro arrestato, Hasan Saman, riceveva mensilmente 2mila euro perché padre di cinque figli (anche se voleva arruolarli con gli uomini di Al Baghdadi). I due ora sono in carcere: pianificavano attentati in Norvegia, alle ambasciate occidentali fuori dall'Europa, operazione di rapimento tra i diplomatici inglesi. E davano opspitalità ad aspiranti martiri della Jihad il cui unico obiettivo era farsi saltare in Siria e in Iraq.



Il giudice scarcera jihadisti di Merano: "Non processiamo l'ideologia"

Il procuratore capo di Trento, Giuseppe Amato difende la decisione di scarcerare i presunti jihadisti di Merano: "I fatti di Parigi non possono influenzarci"
Claudio Cartaldo - Ven, 20/11/2015

http://www.ilgiornale.it/news/giudice-s ... 96888.html

Nemmeno il tempo di arrestarli, che i presunti jihadisti di Merano sono stati già scarcerati dal giudice.
La decisone del Gip di Trento, che ha confermato solo dieci delle 17 ordinanze di custodia cautelare disposte dal gip di Roma per associazione con finalità di terrorismo internazionale, ha sollevato diverse polemiche.
Così oggi il procuratore capo di Trento, Giuseppe Amato, è tornato sulla vicenda. Ed ha difeso la sua richiesta di rendere inefficaci 7 ordinanze di arresto, poi accolta dal Gip. Da questa decisione ne era scaturita la scarcerazione di due soggetti detenuti in Italia. Secondo il procuratore, la decisione presa è corretta perché "non possono essere solo il contatto con presunti terroristi o la rappresentazione del pensiero a sostanziare un reato". Non solo: secondo Amato non si processano "manifestazioni verbali o ideologie, a meno di livelli concretamente istigatori, ma il concreto pericolo della commissione di atti di terrorismo".
Insomma, non basta conoscere terroristi (magari non averli denunciati) o professare un'ideologia che inneggia all'odio e alla guerra all'Occidente. Serve la pistola fumante. Serve, in pratica, che i terroristi di Merano stessero montando una bomba o qualcosa di simile. "Le fattispecie di reato di cui stiamo parlando - aggiunge - non sono sempre autoevidenti, non si sostanziano sempre nella commissione di atti concreti finalizzati al terrorismo. Per ciascun soggetto deve essere verificata la proiezione di un comportamento efficiente, materiale, che non sia limitato alla conoscenza di altri soggetti. Serve verificare il contenuto obiettivo delle intercettazioni e il fatto che da espressioni verbali derivi anche un atteggiamento concreto".
Per quanto riguarda l'impianto accusatorio, dopo l'arrivo del fascicolo da Roma per competenza territoriale, gli inquirenti trentini hanno "seguito convintamente la posizione di Roma, dunque l'esistenza dell'associazione con finalità di terrorismo, poi siamo passati a valutare le singole posizioni". Da queste valutazioni sono poi nate le scarcerazioni. Sarebbero emersi, infatti, elementi di "insussistenza di un compendio indiziario grave".
I due scarcerati in Italia sono Hama Mahmoud Kaml, 31 anni, detenuto a Trento, e Mohamad Fatah Goran, 29 anni, alias Kury Chanchamali, detenuto a Bolzano. Gli altri cinque, tutti di origine irachena, sono: Seddek Kadir Karim, 35 anni, di cui viene ipotizzata la morte in Iraq nel 2014; Sheda Sameer, 33 anni; Jamal Ibrahim, alias Hitler, 31 anni; Mahmod Mahamad Arkan, 28 anni (tutti irreperibili) e Kadir Sharif, 52 anni, che sarebbe stato arrestato in Gran Bretagna.
Tutti loro, sia quelli rimasti in carcere che quelli in libertà, rimangono indagati. Quindi, rimangono potenzialmente coinvolti nei progetti terroristici, ma le indagini si faranno con loro in libertà. "l compito di un magistrato - ha detto Amato - non è di adottare un provvedimento popolare o impopolare, ma di valutare con assoluta serenità. Certo l'emozione per fatti gravissimi come quelli di Parigi colpiscono tutti come uomini, ma nel lavoro è ingiusto e non rispettoso farsi guidare da queste". Secondo lui non c'era motivo di tenere dentro i presunti jihadisti.
Però, mentre (troppo) spesso i cittadini italiani indagati vengono tenuti agli arresti per lungo tempo, per i presunti jihadisti i magistrati hanno usato i guanti bianchi. Visto quello che sta accadendo in Francia e nel mondo, avremmo fatto a meno di saperli in libertà.
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Re: Jihadisti tałiani

Messaggioda Berto » lun nov 23, 2015 6:03 pm

I pentiti di al Baghdadi
Spulciando le testimonianze del processo per terrorismo in corso in Belgio si scopre come funziona il califfato, come cambia e perché di altri pentiti ce ne saranno pochi
di Daniele Raineri | 07 Novembre 2014
http://www.ilfoglio.it/articoli/2014/11 ... e_c210.htm

La prima settimana di ottobre, è cominciato ad Anversa un processo contro 46 cittadini belgi membri di un gruppo islamista chiamato Sharia4Belgium, che si è sciolto nel 2012. Gli uomini sono accusati di essere andati negli anni scorsi in Siria ad arruolarsi nello Stato islamico, il gruppo armato estremo che conta decine di migliaia di combattenti e sta facendo una guerra di espansione su più fronti in Iraq e in Siria. In alcuni casi questo processo per terrorismo in Belgio si basa sulle testimonianze di alcuni imputati che sono tornati e si sono pentiti. Le loro sono le prime voci a raccontare com’è lo Stato islamico visto da dentro e a descrivere il grande flusso verso la Siria dei muhajirin, che è una parola araba per indicare coloro che fanno la hijra, ovvero la migrazione, in questo caso con lo scopo di fare la guerra. Una parte delle informazioni di questo articolo arriva da un giornalista che lavora per il quotidiano belga Het Laatste Nieuws e ha passato al Foglio un fascicolo con le deposizioni degli imputati.

Hakim Eloussaki ha compiuto 22 anni il mese scorso ed è il fratello minore di Houssein, capo di Sharia4Belgium (modellato sul gruppo inglese Sharia4UK, ormai sciolto pure quello. Houssien è morto in combattimento). E’ andato in Siria alla fine del 2012 per seguire il fratello, è tornato pochi mesi dopo, a marzo 2013, perché è stato ferito alla testa da una granata. Al ritorno è stato ricoverato in un ospedale del Belgio, ad aprile è stato arrestato e la polizia gli ha fatto sentire una telefonata intercettata in cui parla con la sua ragazza. “Sai che c’è – dice lui – oggi ho ucciso un uomo. Era un infedele che era stato catturato da un bel po’. La sua famiglia aveva raccolto soltanto trentamila euro per lui, e invece il prezzo stabilito era di settantamila. L’ho ucciso con un colpo alla testa. Bang! Volevo fare il video, ma la mia camera era messa male e il video non è venuto”.

Durante gli interrogatori Hakim ha negato di avere ucciso qualcuno, ha detto che voleva soltanto impressionare la sua ragazza e ha insistito fino a settembre, quando ha confessato alla polizia che l’ha fatto, per paura. Se non avesse ucciso il prigioniero e avesse ignorato gli ordini del suo comandante avrebbe firmato la sua condanna a morte.

Per la procura si è trattato di una sorpresa positiva. La collaborazione degli imputati è rara e gli inquirenti stanno facendo affidamento soprattutto sulle intercettazioni telefoniche e su alcuni video di pessima qualità girati in Siria, roba fatta in fretta con i telefonini, per provare davanti al giudice le accuse contro i muhajirin belgi. Cose del tipo: “Non ho mai imbracciato un fucile quando ero in Siria”, e invece poi spunta un video con un kalashnikov. Gli omicidi sono stati separati dagli altri reati, per essere l’oggetto di altre indagini e di un altro processo che comincerà più tardi.

Questa di Hakim è una situazione, una soltanto tra le migliaia che si sono create in Siria: un sequestro di persona per estorsione da parte di un gruppo armato, finito con un omicidio, di un “infedele”, quindi un appartenente a una minoranza siriana (alawita o cristiana). In Belgio, l’avvocato di Hakim sta lavorando per fare dichiarare invalida la confessione, perché il giovane ha il cervello irrimediabilmente danneggiato dalla ferita di granata – come è stato pure attestato da una commissione di medici. L’avvocato sta anche cercando di fare accorpare il giudizio per omicidio a quello per terrorismo, perché dice che i due reati sono naturalmente interconnessi.

Le deposizioni dei pentiti potrebbero diventare più rare, perché da qualche mese abbandonare lo Stato islamico è diventato più difficile di prima. Il gruppo di Abu Bakr al Baghdadi è circondato da nemici su tutti i suoi confini e le fazioni rivali non sono tenere con i jihadisti catturati e “però io stavo lasciando la guerra” non è una scusa accettata. Inoltre il gruppo stesso punisce i disertori con violenza definitiva e ci sono storie su ex volontari che vorrebbero tornare a casa ma non possono perché temono di essere uccisi (e se pure riuscissero a eludere la sorveglianza dovrebbero fronteggiare poi un’accusa per terrorismo).

Il processo di Anversa accenna inoltre a un aspetto per lo più ignorato: l’incontro tra i giovani cresciuti tra gli agi dell’occidente e il jihad in Siria e Iraq, un teatro di guerra atroce, e la loro reazione all’impatto tra i due mondi, quello che si portano addosso dalla nascita e quello che scoprono dopo la hijra. Un giorno passi il tuo tempo nel Belgio indolente e assai premuroso con i suoi cittadini, un altro giorno vivi ormai a contatto diretto con la morte, sei a tiro dell’artiglieria nemica, mangi assieme a veterani del jihad che torturano, tagliano la testa ai prigionieri, partono per missioni senza ritorno su camion-bomba. Alcuni si adattano alla nuova condizione e diventano parte della scena, come per esempio “John”, il protagonista incappucciato nei video delle uccisioni degli ostaggi occidentali. Altri scoprono di non essere tagliati per la guerra in medio oriente e tentano di dare una seconda svolta alla propria vita, di tornare alla condizione di prima, all’occidente.

C’è un’immagine stereotipata dei muhajirin di ritorno dalla Siria come di fanatici programmati invariabilmente per uccidere. Ci sono infinite e penose gradazioni minori che arrivano fino al pentimento reale. In mezzo c’è chi rimane incastrato in un limbo indefinito: con gli amici vuole ancora apparire un veterano della guerra santa, davanti alla polizia, come Hakim, cerca di mettere distanza tra sé e quello che ha visto e fatto.

Contattare i belgi in Siria non era così difficile nel 2012. Il Foglio ricorda di avere visto una proposta per giornalisti da parte di un combattente belga che apparteneva a un altro gruppo, Suqur al Sham, e che offriva un viaggio nel nord del paese, nell’agosto 2012. Nessun reporter a quanto si sa ha accettato, per l’impostazione ideologica, per la pericolosità in generale e perché il belga chiedeva soldi: cinquemila dollari.

Dalle carte del processo di Anversa viene fuori che i volontari belgi erano una gamba di un gruppo chiamato “Majlis Shura Mujaheddin”, che poi sarà integrato dentro lo Stato islamico con un giuramento a partire dal maggio 2013. Anzi, si può dire che è proprio grazie a questo gruppo che lo Stato islamico è arrivato ed è diventato così forte nel nord della Siria. Majlis Shura vuol dire in arabo “assemblea del consiglio” e mujaheddin “combattenti del jihad”. E’ lo stesso nome composto che aveva in Iraq prima del 2006 il gruppo comandato dal giordano Abu Musab al Zarqawi, che è stato il volto del jihad contro le truppe americane e gli sciiti iracheni (Zarqawi è il fondatore ideologico dello Stato islamico comandato oggi da Abu Bakr al Baghdadi). Il nome di quel gruppo in Siria era un omaggio chiaro a Zarqawi.

I ventenni europei che arrivavano a partire dal 2012 in avanti e andavano a ingrossare il Majlis sono stati testimoni forse senza rendersene conto di un pezzo di storia del jihad. Il loro capo era un siriano (anche lui abbastanza giovane, del 1979) e si chiama Amr al Absi, nom de guerre: “Abu Athir al Halabi”.

Abu Atheer al Halabi, un leader di alto livello dello Stato islamico.

Verso la fine del 2012 Abu Athir contatta con un messaggio al Baghdadi in Iraq e lo invita in Siria, gli chiede di espandere il suo gruppo nel paese in rivolta e gli offre la propria fedeltà. Fa anche da mediatore fra Baghdadi e i gruppi di combattenti islamisti del Caucaso che hanno formato una brigata tutta per loro e sono diventati lo spauracchio dei soldati del presidente Bashar el Assad nel nord (nota: in realtà sono pochi quelli davvero ceceni, molti sono georgiani, daghestani, tagiki, ma l’aggettivo ceceno, “shishani”, funziona come un marchio e incute timore).

Abu Athir è il tessitore, il negoziatore, garantisce a Bagdhadi che i caucasici sono con lui se vorrà fondare un supergruppo in Iraq e in Siria (il futuro Isis). Nell’aprile 2013, il leader iracheno annuncia la nascita dello Stato islamico anche in Siria – e questo provoca la scissione con Jabhat al Nusra, un gruppo jihadista siriano che conta migliaia di uomini. Lo scisma potrebbe essere la rovina di Baghdadi, e invece non lo è perché lui ha dalla sua parte il gruppo di Abu Athir (belgi inclusi) e il gruppo dei ceceni, che riempiono i vuoti lasciati dagli scissionisti. Il siriano viene nominato Wali, governatore dello Stato islamico, per la città di Aleppo, come ricompensa da parte di Baghdadi (ora non lo è più).

Walid Lakdim è stato in Siria dal novembre 2012 al gennaio 2013. “Il nostro gruppo era formato soltanto da combattenti che parlavano olandese, che erano arrivati dal Belgio e dall’Olanda. Il nostro capo era un siriano, Abu Athir. A parte il gruppo di lingua olandese, comandava anche un altro gruppo di arabi, soprattutto siriani. Stavano in un’altra casa. Noi eravamo chiamati i muhajirin, loro erano chiamati gli Ansar (i partigiani, ndr). Abu Athir spesso ci dava lezioni religiose. Houssein Eloussaki era il leader del nostro gruppo perché era arrivato in Siria per primo (settembre 2012, è morto in Siria un anno dopo, ndr). Quando c’ero io, il gruppo che parlava olandese era formato da 35, 40 combattenti, soprattutto dal Belgio. Combattevamo assieme a Jabhat al Nusra, all’esercito libero siriano e ad Ahrar al Sham. Ma il nostro obiettivo era la creazione di uno stato islamico”.

Telefonata intercettata tra Ines el Hendi, fidanzata di Houssein Eloussaki, capo dei muhajirin, e Leila Serraf, fidanzata del fratello Hakim, che si chiedono perché Houssein è diventato “emiro” del gruppo. Leila: “E’ strano, è così giovane. Forse lo hanno fatto leader perché è stato il primo ad arrivare”. Ines: “Sì, penso anch’io. Dev’essere per questo”.

Altre deposizioni raccontano che i siriani prendono dimora in un palazzo a Kafr Hamra, periferia occidentale di Aleppo, e gli stranieri europei in una villa distante cinque minuti a piedi. Entrambe le residenze sono consegnate al gruppo dai ribelli nazionalisti dell’esercito libero – gli stessi che oggi sono allo sbando, condannati a morte e combattuti dalle fazioni più grandi del jihad. I belgi hanno un istruttore che si chiama Abu Mushab e ha fatto parte delle forze speciali egiziane. Hanno anche un altro addestratore che è un giovane siriano, studiava Fisica all’università e parla un inglese perfetto.

Il testimone chiave nel processo di Anversa è Jejoen Bontinck, un giovane belga di origine araba che più assimilato di così non si poteva. Prima dei sedici anni Jejoen era un appassionato di danza hip hop ed era così bravo da essere finito in qualche video musicale. A quindici si è infatuato di una ragazza marocchina e si è convertito all’islam (per usare il termine islamico giusto: è tornato all’islam, perché secondo la dottrina tutti vaghiamo in una situazione umana opaca e confusa fino a quando non riscopriamo la nostra condizione originale di fedeli). Jejoen ha cominciato a vestirsi da islamico, a predicare in pubblico agli angoli delle strade e a frequentare il gruppo estremo Sharia4Belgium.

Il padre di Jejoen si chiama Dimitri, avverte le autorità ma si sente rispondere che non c’è nulla da fare: la legge non proibisce a un ragazzo di essere membro di quell’organizzazione, “ci sono la libertà di espressione e la libertà di culto e di associazione”. Jejoen nel 2012 chiede il permesso di andare a studiare arabo al Cairo, lo ottiene. Il giorno del compleanno della sorella non telefona per farle gli auguri. Il padre si insospettisce, fruga su Facebook, trova foto degli amici del figlio, sono tutti a combattere in Siria. Non vede Jejoen, ma capisce che anche lui è con loro.

Dimitri va anche lui in Siria, si fa accompagnare da un fotoreporter che c’è già stato. Viene preso da Jabhat al Nusra, che lo crede un agente della Cia – il tipo di paranoia in alcuni casi con esito mortale che accompagna ogni occidentale che viaggia nelle zone fuori dal controllo del governo di Damasco. Viene pestato e tenuto prigioniero, ma riesce infine a far capire il motivo del suo viaggio. I guerriglieri gli danno da mangiare, vestiti, cominciano a fargli da scorta, a garantire per lui e lo aiutano a trovare il figlio.

Jejoen nel frattempo ha detto ai compagni, dentro il suo gruppo, che vuole lasciare e tornare in Belgio. Lo bendano, lo ammanettano, lo buttano in una prigione per mesi. A un certo punto è trasferito nei sotterranei dell’ospedale pediatrico di Aleppo, dove lo Stato islamico tiene anche gli altri prigionieri occidentali. Conosce in cella James Foley, il freelance americano ucciso ad agosto davanti a una telecamera per ritorsione contro i raid aerei americani in Iraq. Conosce anche John Cantlie, il reporter inglese che oggi è ancora ostaggio dello Stato islamico ed è il protagonista di alcuni video di propaganda (l’ultimo è arrivato due settimane fa da Kobane, il cantone curdo sotto assedio). Bontinck promette di contattare le famiglie dei due se sarà rilasciato, cosa che avviene. E’ restituito al padre. Oggi è probabile che sarebbe molto più difficile, soprattutto per le informazioni di cui è in possesso. Per esempio: il giovane ex ballerino di hip hop ha parlato direttamente con Abu Obaida al Maghribi, un leader di origini marocchine e passaporto olandese che ha accesso diretto a Baghdadi ed è il capo della sicurezza dello Stato islamico nell’area di Aleppo. Al Maghribi è un elemento poco conosciuto nella catena di comando, ma essenziale.

In Siria i superstiti del gruppo belga si vendicano di chi parla. Elias Taketloune è tornato in Belgio nel maggio 2013 per la nascita del suo primo figlio (chiamato Shahid, martire) e si è consegnato alla polizia. Dice di avere avuto soltanto incarichi umanitari, non militari, ma gli ex compagni per ritorsione hanno messo su internet un video di lui con un fucile e sostengono che abbia partecipato a “numerose decapitazioni”.
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Re: Jihadisti tałiani

Messaggioda Berto » lun nov 23, 2015 6:05 pm

???

Il giovane musulmano espulso dall’Italia: “Chi semina democrazia raccoglie sharia”
19 novembre 2015 | di Servizio Pubblico

http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/11/ ... ria/441400

Oussama Khachia ha 30 anni, è un ragazzo marocchino, arrivato in Italia quando aveva 9 anni e cresciuto a Varese, dove ha frequentato la moschea locale, il cui imam è stato allontanato dall’Italia per terrorismo internazionale. Il 28 gennaio scorso anche lui viene espulso a causa della sua propaganda pro-Isis sul web e, secondo le indagini, per aver cercato in Arabia Saudita di entrare in contatto con alcuni jihadisti per unirsi a Daesh. L’intervista, girata lo scorso gennaio all’indomani dei fatti di Charlie Hebdo, trova un’ulteriore attualizzazione alla luce degli attentati che hanno colpito Parigi venerdì 13. “Non possiamo dimenticare che un milione di iracheni sono morti negli anni passati – sostiene il giovane islamico – Oggi i loro figli hanno imbracciato le armi contro l’Occidente. Al-Baghdadi? E’ un iracheno che sta difendendo la sua terra e sta liberando tutti i paesi musulmani”. Il ragazzo arriva a giustificare l’assassinio di 21 copti uccisi dall’Isis lo scorso febbraio su una spiaggia della Libia, esecuzione accompagnata come di consueto con il solito macabro filmato: “E’ una vendetta al golpe fatto in Egitto da Al-Sisi. E’ pan per focaccia”. Secondo Oussama, “lo Stato Islamico non è una minaccia, ma una realtà” di Francesca Di Stefano


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Re: Jihadisti tałiani

Messaggioda Berto » lun nov 23, 2015 8:37 pm

La mappa dell’islamismo in Italia che fa tremare il Viminale
Fonti dell’intelligence dicono al Foglio il numero di persone controllate e pericolose. La terra promessa del Califfo
di Cristina Giudici | 19 Novembre 2015

http://www.ilfoglio.it/cronache/2015/11 ... e_c305.htm


Milano. Per capire cosa succede in Italia, dove l’allerta terrorismo è stata portata dal Viminale al secondo livello che precede lo stato d’emergenza, non c’è bisogno degli allarmi dell’Fbi sugli obiettivi sensibili. Basta leggere i post che stanno circolando su Facebook su alcuni profili. Come per esempio quello di “Islam Italia”, seguito da quasi quattromila persone fra cui molti italiani convertiti, che probabilmente serve anche alla nostra intelligence per tenere sotto controllo le “menti migliori” dell’islamismo italiano. E’ qui che si possono leggere alcuni hadith – veri o presunti – del profeta Maometto che avrebbero profetizzato l’avvento dell’Is. Per esempio questo: “Secondo Abu Huraira (che Allah sia soddisfatto di lui) disse il Profeta (pace e benedizioni su di lui): Giungeranno le ‘bandiere nere’ dal Khorasan, nessuno riuscirà a fermarli, fino a quando pianteranno le loro bandiere a Gerusalemme”. Oppure quest’altro altrettanto eloquente: “Noi siamo gente di una stirpe alla quale Allah ha destinato l’oltretomba piuttosto che questo mondo. La gente della mia stirpe subirà un grande affronto dopo la mia morte, e sarà perseguitata fino a che un popolo che reggerà uno stendardo nero giungerà da oriente”. Non si tratta di pensieri (deliri?) in libertà perché la risposta di una parte significativa della ummah italiana agli attentati di Parigi è stata quella di mostrare in rete donne bardate dietro un burqua come eroine che si oppongono ai crociati. Appunti sul codice etico da rispettare in guerra, sempre secondo Maometto.

Il Foglio è in grado di ricostruire grazie alle proprie fonti una radiografia aggiornata dell’islam radicale che viene dall’Italia, e di pubblicare numeri precisi sui foreign fighters italiani. Il numero di combattenti legati all’Italia, partiti per fare il jihad nelle terre del Califfato, è a oggi di 90 mujaheddin: sei sono gli italiani convertiti, sei sono appartenenti alle seconde generazioni di musulmani con cittadinanza italiana, venti immigrati residenti e partiti dal nostro paese, e altri venti che hanno vissuto per un periodo in Italia. I restanti trentotto sono immigrati naturalizzati che sono andati a combattere in Siria passando per i loro paesi di origine (la maggior parte di loro viene dal maghreb ma ci sono anche dieci cittadini di origine balcanica). Una notizia che non è ancora divulgata dal Viminale riguarda gli ultimi a partire e arrivati in Siria nel mese di ottobre, che sono tre maghrebini. Per aggirare i controlli, non sono passati dalla Turchia, ma dalla Tunisia e dal Marocco, dove si sono recati per congedarsi dai loro familiari, avendo un biglietto di sola andata per il jihad. Sicuri, quindi, che moriranno in battaglia. Il loro profilo somiglia molto a quello dei loro fratelli francesi: giovani, cresciuti in Europa, rimasti senza lavoro e poi reclutati da qualche predicatore itinerante.

Ora che l’allerta terrorismo cresce, si passa al setaccio nel magma fondamentalista per prevenire qualsiasi minaccia, e le sedi provinciali della Digos stanno studiando i profili dei radicali per decidere di fare ulteriori espulsioni. Se è vero che – come ha ribadito il ministro dell’Interno, Angelino Alfano – “non abbiamo mai confuso chi spara, che è un assassino, con chi prega, che va difeso se non è colluso”, i dati del Viminale sulle azioni preventive complessive divulgate per rassicurare l’opinione pubblica destano al contrario preoccupazione: 540 perquisizioni su soggetti legati in vari modi al terrorismo, 56.426 persone controllate, 147 arrestati, 325 indagati, 259 respinti alla frontiera per mancanza di requisiti, 8.493 veicoli controllati, 55 espulsi (la prima espulsione dopo gli attentati a Parigi risale a lunedì scorso ). Per concludere il quadro, vi forniamo un altro numero, fino a oggi inedito, che è piuttosto inquietante: sono mille i luoghi sorvegliati dalla nostra intelligence perché considerati crocevia di islamisti o frequentati da predicatori itineranti del jihad. “Non si tratta solo di moschee, ma soprattutto di associazioni culturali, luoghi di aggregazione fisici fuori dal web, a volte solo degli scantinati o dei sottoscala all’interno di condomini e situati quasi sempre alle periferie di città e piccoli comuni”, spiegano alcuni investigatori impegnati sul fronte della prevenzione del terrorismo al Foglio. Si tratterebbe in totale di circa 300 islamisti, considerati più attivi e determinati, anche se la maggior parte si limita ad azioni di proselitismo. L’Italia è da sempre terra di transito e base logistica di terroristi, che nelle conversazioni intercettate non hanno mai dichiarato di aver messo l’Italia nella lista dei loro target – tranne che per la ricorrente evocazione simbolica e spesso strillata dai propagandisti dell’Is di voler puntare le loro spade affilate verso il Vaticano. Però non sono mai state trovate armi né ordigni esplosivi sul nostro territorio. E infatti, scorrendo le mille pagine dell’ultima ordinanza di custodia cautelare che ha smantellato la settimana scorsa la cellula europea Rawti Shax (diretta dalla Norvegia dal mullah curdo Krekar, leader dell’organizzazione qaedista Ansar Al Islam confluita nell’Is che contava su una rete a Merano, in provincia di Bolzano) si capisce che l’Italia, in particolare il nord-est, serviva come base logistica per fare foundrising, reclutare combattenti e favorire il transito del corridoio clandestino di mujaheddin che dall’Europa vanno e vengono in Siria. Come il kossovaro Eldin Hozda, radicalizzato in Toscana, poi trasferito a Merano, reclutato da Abdul Rahman Nauroz. Hozda nel gennaio del 2014 è stato inviato in Siria mediante il supporto logistico ed economico dell’organizzazione curda di Ansar al islam. Hozda non è il prototipo del foreign fighters (che di solito è un immigrato di seconda generazione) ma come tanti combattenti stranieri che partono dall’Italia è sedotto dal Califfato anche perché gli è stato promesso, oltre al paradiso, molte certezze terrene: un compenso di circa 1.500 euro, una casa, una famiglia.

I combattenti che non bastano mai

Hozda appartiene alla schiera di coloro che il sociologo dell’università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Marco Lombardi, noto esperto di terrorismo islamico, definisce coloni: “non combattenti professionisti, ma uomini e donne che vengono invitati a trasferirsi nelle terre del Califfo, per loro una terra promessa, perché i combattenti non bastano. Non dimentichiamo che l’Is ha creato uno Stato multietnico con musulmani arrivati da cento paesi”, spiega al Foglio. Secondo Lombardi, però, dai dati incrociati con le intelligence europee, i combattenti stranieri italiani sarebbero un numero maggiore rispetto a quello che risulta alle nostre fonti italiane: almeno 120. E si può solo intuire fino a che punto siano diventati pericolosi. Un islamista intercettato in Italia dai Ros dice: “Non vado bene per niente eccetto per il martirio perché non ho né una moglie né figli. Non ho un lavoro. Cosa dovrei fare qui? E’ meglio andare là o farmi saltare in aria?”. Ecco perché i musulmani più fanatici su Facebook continuano a sostenere che l’Is è l’inveramento delle profezie di Maometto. E non solo: ora circola in rete un’altra tesi che fino a pochi anni fa negli ambienti islamici si ammetteva solo in segreto. E cioè che è proibito per ogni musulmano vivere nella terra dei kuffar (infedeli) a meno che non sia impossibilitato a emigrare, o a meno che non vi siano dei benefici per l’islam e ci si impegni nell’appello all’Islam (Da’wah). A noi non resta che prendere appunti, e iniziare a difenderci.
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Re: Jihadisti tałiani

Messaggioda Berto » lun nov 30, 2015 3:58 pm

Il 60esimo terrorista stava per farsi esplodere con l'ex moglie
Continua la serie di espulsioni dal nostro Paese di potenziali jihadisti, l'ultimo dei quali è un operaio tunisino residente in Brianza. Non sopportava il suo essere occidentale e minacciava di immolarsi insieme alla donna italiana da cui era separato. È stato espulso appena in tempo
Joni Scarpolini - Lun, 30/11/2015

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... ok+Interna

La paura fa sessanta: il sessantesimo potenziale terrorista islamico ha il volto apparentemente innocuo di un trentottenne operaio tunisino con regolare permesso di soggiorno che, fino al momento della sua espulsione avvenuta settimana scorsa, viveva e lavorava a Carnate, in Brianza.
Negli ultimi mesi, secondo i vicini di quartiere, Kamel Ben Amida avrebbe minacciato a più riprese di farsi esplodere, coinvolgendo anche l'ex moglie italiana dalla quale aveva avuto due figli cristiani, per fargliela pagare a costo della vita e non solo: l'uomo, assiduo frequentatore della moschea di viale Jenner a Milano, voleva porre fine al modus vivendi occidentale che stava compromettendo i suoi comportamenti quotidiani ma, soprattutto, contraddicendo il suo credo musulmano.
Le continue segnalazioni da parte dei preoccupatissimi cittadini carnatesi e le indagini dei servizi segreti hanno indotto la polizia ad arrestarlo, verificarne i possibili legami con l'Isis e accomodarlo sul primo aereo diretto a Tunisi. Un altro kamikaze rispedito al mittente, proprio quando stava per far danni in casa nostra: "Odio l’Italia e aspiro al martirio", avrebbe dichiarato Kamel, simpatizzante del califfato. Ma per il ministro dell'Interno Angelino Alfano la lotta contro il tempo, e contro la paura, non finisce qui.
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Re: Jihadisti tałiani

Messaggioda Berto » lun nov 30, 2015 4:00 pm

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... ivetti.png

Il romanzo di una convertita spiega il senso dell’islam per l’Italia
La retata antiterrorismo di ieri, la loro fede contro i nostri iphone
di Cristina Giudici | 13 Novembre 2015 ore 13:01

http://www.ilfoglio.it/cronache/2015/11 ... e_c153.htm

Milano. Ieri un’operazione internazionale antiterrorismo denominata “JWeb” ha portato in carcere diciassette presunti terroristi: tutti immigrati in Europa dal Kurdistan iracheno, tranne un kosovaro, residente a Merano. Una cellula jihadista che agiva in Italia per reclutare militanti del terrorismo islamico. Sette sono stati fermati in Italia, nel nord-est. L’indagine dei carabinieri del Ros riporta al centro della nostra attenzione proprio quell’area geografica – che secondo gli inquirenti italiani sta diventando un crocevia di islamisti – ma soprattutto la crescita del fenomeno dei foreign fighters in Italia. Involontariamente tempestiva, Silvia Layla Olivetti, una donna italiana convertita, ha scritto un romanzo ispirato alle gesta dei foreign fighters che arriverà in libreria il prossimo 21 novembre: “Isis - Diario di un jihadista italiano” pubblicato dai tipi di David and Matthaus. Il Foglio ha letto la bozza in anteprima del romanzo. L’autrice è una figura molto controversa della comunità musulmana italiana, nota anche per la sua battaglia a favore del diritto al velo integrale. Il libro sottintende probabilmente un auspicio, poiché si svolge nel futuro prossimo. Nel 2021. E si apre con una serie di agenzie stampa su un attentato al campanile di San Marco che, come le torri gemelle, crolla e poi si disintegra. La storia intreccia le vicende di vari aspiranti mujaheddin, tutte verosimili, e la storia vera di un marocchino, espulso dall’Italia e poi diventato miliziano dell’Is. La storia inizia con l’immagine di una donna musulmana, che guarda caso si chiama Giulia, come la jihadista Maria Giulia Sergio, partita con il marito albanese per la Siria nel 2014. Una coincidenza? Può darsi, perché la narrazione è molto diversa dalla realtà. Ma non lo è affatto il suo libro-pamphlet, che è un violento atto di accusa contro l’occidente e serve come premessa per far capire ai lettori perché un musulmano si spinga a diventare jihadista.

Il protagonista del romanzo scrive un diario dalla Siria. Lancia invettive contro l’occidente per spiegare la sua scelta: “Tutto questo è anche per mia madre. E’ per mia sorella, per la violenza e la discriminazione che vive giorno dopo giorno in Italia; per le persecuzioni subite dai nostri fratelli e sorelle in tutto il mondo. Per il razzismo, l’islamofobia, l’ingiustizia e le bugie mediatiche. Per le bombe americane e per i nostri morti: la mia anima ad Allah, il mio corpo al jihad. Allah w akbar!”. Il protagonista è la summa, abbastanza rozza, di tutti quei pensieri che i musulmani ci hanno rimproverato di aver trasformato in stereotipi islamofobici. E invece, essendo uscito dalla penna di una convertita, vengono confermati come parte del Dna degli estremisti islamici. Infatti nel suo diario più o meno inventato dall’autrice, il protagonista scrive: “Per quasi trent’anni l’occidente ha violentato terre altrimenti pacifiche, sterminando innocenti, donne incinte, depredando materie prime, risorse e lasciando i bambini abbandonati crescere nella solitudine, nella disperazione e nel desiderio di vendetta. Quando sei un orfano iracheno che a nove anni ha raccolto dal muro di casa il cervello di sua madre a causa della democrazia occidentale sganciata dagli F-16, lo Stato islamico non ti fa orrore: ti riempie il cuore della speranza di una giustizia troppo a lungo negata”.

La narrazione di Silvia Layla Olivetti intreccia i pensieri del mujahed arrivato in Siria con la guerra all’occidente e le vicende di donne che hanno lasciato l’Europa perché discriminate o in cerca delle terra promessa ai musulmani. E le loro vicende somigliano a quelle descritte in migliaia di pagine dei fascicoli giudiziari sui foreign fighters. Il pensiero dell’autrice esposto dalla voce narrante del romanzo è abbastanza prevedibile per chi conosce la comunità musulmana italiana. “Per capire cosa spinga i convertiti all’islam, i figli dei convertiti o le seconde generazioni di musulmani europei a sposare una causa che apparentemente non appartiene loro, è necessario innanzitutto essere disponibili ad ascoltare anche verità scomode. A differenza di chi è nato in una terra islamica, noi musulmani europei siamo cresciuti respirando l’illusione della democrazia, della giustizia e della libertà. Il risveglio da questo bel sogno è stato brusco, doloroso e ci ha catapultati direttamente nella devastante verità dei soprusi occidentali ai danni del medio oriente. Ho conosciuto molti mujaheddin, europei convertiti che affermano di essersi arruolati nell’Is per rimediare almeno in parte al male che la loro società di origine aveva inflitto ai loro fratelli nella fede. Hanno tutti in comune la volontà di riparare, mettere la propria a vita a disposizione di una causa che li riguarda in quanto musulmani. I convertiti all’Islam sentono di essere in qualche modo responsabili delle guerre ingiuste subite dai popoli del medio oriente: responsabili per non averle impedite, non avere capito o non aver potuto fermare le bombe. Si sentono in colpa e l’unico modo per porvi rimedio è mettere la vita al servizio della causa più importante: il jihad”. Non si capisce se Silvia Layla Olivetti inventi, riporti testimonianze o confidenze, anche se dietro il suo protagonista si cela una storia vera, quella di Oussama Khachia, il marocchino espulso dell’Italia dopo l’attentato a Charlie Hebdo per la sua propaganda sul web pro terroristi.

Alla fine del racconto, però, l’autrice sembra quasi non scherarsi con lo Stato islamico e porta il suo protagonista a dubitare della giustizia del Califfato e a pentirsi davanti alle barbarie commesse dai mujaheddin. Lo fa diventare un murtad, un traditore. E però, resta da capire il ruolo italiano in questa situazione. Nella conclusione Olivetti scrive le sue riflessioni, e ci dice finalmente ciò che sospettavamo sul sostegno diffuso nella ummah italiana per l’Is: “Il successo che indubbiamente riscuote a livello ideologico l’Isis in alcune aree e comunità (anche se sono pochissimi i musulmani che lo ammettono apertamente) riflette l’urgente necessità di un ritorno a valori e ideali da tempo perduti. Il progetto dell’Isis potrà anche essere giudicato dai più come anacronistico e megalomane, tuttavia si erge sulla forza di un’idea potentissima dagli sviluppi incalcolabili. Ignorare questa realtà, oggi, sarebbe molto pericoloso”. E alla fine viene da chiedersi se la vera conclusione del romanzo sia insita in questa banale considerazione del protagonista: “Gli italiani sono diventati dei grassi bradipi ai quali va bene tutto, purché non costi fatica. E, finché in Italia e in Europa la gente vivrà soggiogata dai beni materiali, senza alcun principio per il quale lottare e in cui credere, lo Stato Islamico avanzerà inesorabilmente. E’ la nostra fede contro i loro iPhone”. L’ingenuità di immaginare una guerra santa fatta per contrapporsi al verbo di Steve Jobs, condotta, come dimostrano gli arresti di oggi, soprattutto a colpi di tecnologia, fa quasi sorridere. Ciò che non fa sorridere è il numero sempre più alto di foreign fighters, disposti a morire uccidendo: un pericolo reale.
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Re: Jihadisti tałiani

Messaggioda Berto » sab dic 12, 2015 11:57 am

Web. Minacce a Biloslavo per articoli su convertito a Islam
Da ossigenoinformazione
11 dicembre 2015
http://www.articolo21.org/2015/12/web-m ... to-a-islam

Ha raccontato in esclusiva che sul conto di Luca Aleotti sono in corso indagini e lui inneggia al Califfato
Il giornalista triestino Fausto Biloslavo, 54 anni, che ha un’esperienza di inviato di guerra, ha segnalato alla Questura di Trieste la pubblicazione su Facebook di messaggi intimidatori contro di lui provenienti da ambienti collegati con gli estremisti islamici che vivono in Italia. Ne ha dato notizia l’8 dicembre 2015 il quotidiano Il Giornale. Nei giorni precedenti il giornalista aveva raccontato in esclusiva la storia di Luca Aleotti, un italiano convertito alla religione musulmana, che su Facebook inneggiava alle imprese dell’Isis.
“Sono abituato ad affrontare i rischi a cui si è esposti quando si va a raccontare cosa accade in prima linea, in zone di crisi o di guerra. E’ inaccettabile – ha dichiarato Biloslavo a Ossigeno – che un giornalista sia additato pubblicamente come un nemico dell’Islam per avere semplicemente fatto il suo lavoro di cronista”.
“Questo giornalista scrive le sue storie contro i musulmani in Italia. I suoi seguaci sono ancora peggio”, hanno scritto su un profilo Fb, dopo la pubblicazione su Il Giornale di due articoli con i quali Biloslavo riferisce in esclusiva che sono in corso indagini giudiziarie su Luca Aleotti, un italiano convertito all’islam, indagato per terrorismo internazionale dalla Procura della Repubblica di Bologna, che ha eseguito una perquisizione nella sua abitazione di Reggio Emilia.
Nell’ultimo articolo, pubblicato il 6 dicembre, Biloslavo ha scritto che Aleotti ha manifestato su Facebook disprezzo per i musulmani che piangono le vittime di Parigi. Inoltre, ha aggiunto, Aleotti, come ha scritto lui stesso sul suo blog, è indagato per la partecipazione «a un’associazione terroristica denominata Jabat Al Nusra d’ispirazione qaedista, che si proponeva il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo». Questa informazione, nota il giornalista, non era nota e “porta alla luce un’inchiesta, probabilmente più ampia, su una rete jihadista in Italia”.
Il 5 dicembre il giornalista aveva scritto che quando si è convertito, Aleotti ha scelto come nome musulmano Saif Allah, “Spada di Allah”.


Luca, il convertito italiano che predica odio sul web
Si fa chiamare "Spada di Allah" e posta indisturbato commenti violenti: "I peggiori sono i musulmani che piangono per Parigi. Voglio la sharia"
Fausto Biloslavo - Sab, 05/12/2015 - 16:02

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 01602.html

«Ma quando muore Berlusconi?», si chiede speranzoso sulla sua pagina Facebook con la bandiera nera, Luca Aleotti, un convertito italiano, che vivrebbe a Reggio Emilia e ha scelto come nome musulmano Saif Allah.
In arabo significa spada di Dio e potrebbe essere in realtà un romano. Il post è stato pubblicato il 2 dicembre alle 11.33. Piace a cinque sodali dell'estremista islamico di casa nostra. In rete i radicali usano spesso nomi di battaglia o inventati, ma Kim Sami Fla Nina, che sostiene di essere stato in carcere a Bari aggiunge «E la Santanchè? E i leghisti?» alla domanda su «quando muore Berlusconi».
Aleotti risponde senza mezzi termini: «Kuffar maledetti» riferendosi ai seguaci di Matteo Salvini e alla parlamentare del centro destra. I kuffar sono gli infedeli da passare a fil di lama secondo i tagliagole jihadisti che combattono in Siria ed Iraq.Forse sono solo parole demenziali in libertà, ma la copertina scelta dal convertito italiano assomiglia molto alla bandiera nera del fronte al Nusra, la costola siriana di al Qaida a parte la scritta sotto «Musulmani d'Italia». Non solo: il 2 dicembre, quando augura indirettamente a Berlusconi di crepare presto, era uscita sul Corriere della sera l'intervista all'ex presidente del Consiglio che auspicava una grande alleanza dagli Stati Uniti alla Russia, sotto l'egida dell'Onu, per sconfiggere il Califfato.Il 14 novembre, un giorno dopo la carneficina di Parigi, Aleotti si sfoga scrivendo: «Il peggio sono i musulmani che pregano per i morti i Francia e non dedicano nemmeno un secondo di riflessione alle centinaia di migliaia di martiri nel Levante». Il nome usato dalle truppe jihadiste per indicare la Siria.

Il 13 novembre non una parola contro i terroristi, ma si scaglia contro i musulmani che li sconfessano e posta un'immagine di miliziani in mimetica che pregano rivolti verso la Mecca facendo sventolare il vessillo nero. Il giorno dopo si lamenta su Facebook dei troppi profili con il tricolore francese. E aggiunge: «L'unica bandiera per la quale morirei è questa», quella nera della sua copertina.
Il 16 novembre pubblica un video con dei francesi che bruciano una copia del Corano. E sbraita: «Volete ancora avere pietà per i Kuffar (infedeli nda)? Possa Allah darci la vittoria sui miscredenti. Dio è grande!!!!!!!». A più riprese attacca «questo pseudo Islam moderato» rappresentato dagli imam invitati in studio dalle tv. La «spada di Allah» spera che la bandiere nere conquistino Gerusalemme come previsto dal Profeta.
Il 30 novembre invita a boicottare la trasmissione Quinta colonna su Rete 4: «Non esiste nessun islam laico o moderato esiste solo la sottomissione ad Allah».
Il 3 dicembre si scaglia contro i musulmani che rispettano «gli idoli con addobbi natalizi, presepi e giuramenti vari su leggi inventate dal vicario in terra in nome di un'integrazione, che va contro tutti i precetti dell'Islam ...costoro, mettono nei loro cuori miscredenza ... e la Collera dell'Altissimo!». Fra amici e commenti in rete ci sono diversi personaggi poco raccomandabili come Qatip Sulemanji, un estremista albanese che risiede in Toscana. Fino ad oggi nessuno ha fermato la «spada di Allah» di casa nostra. Nonostante il 2 dicembre avesse parlato chiaro commentando su Facebook un video di due imam, che hanno giurato simbolicamente sulla Costituzione. «Non mi sono certamente convertito per farmi prendere in giro da imam sviati - ha scritto Aleotti - voglio la sharia e non la costituzione italiana né la democrazia».


Aleotti era indagato per terrorismo
L'italiano che inneggia all'Isis su Facebook aveva subito una perquisizione nella casa di Reggio Emilia
Fausto Biloslavo - Dom, 06/12/2015 - 07:48

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 01961.html

La «spada di Allah», all'anagrafe Luca Aleotti, convertito di Reggio Emilia, è indagato per terrorismo internazionale dalla procura di Bologna. Eppure continua, come ha rivelato ieri il Giornale, a pubblicare su Facebook bandiere nere, disprezzo per i musulmani che piangono le vittime di Parigi o la domanda inquietante: «Ma quando muore Berlusconi?».A fine agosto l'appartamento di Reggio Emilia dove vive Aleotti con la madre di origine marocchina, è stato perquisito dalla Digos, che ha sequestrato del materiale non meglio specificato.
Nell'atto del pm Antonella Scandellari, che lo stesso Aleotti ha postato venerdì su Facebook e cancellato il giorno dopo, si legge che è indagato per la partecipazione «a un'associazione terroristica denominata Jabat Al Nusra d'ispirazione qaedista, che si proponeva il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo». Una notizia mai trapelata, che porta alla luce un'inchiesta, probabilmente più ampia, su una rete jihadista in Italia.Venerdì un «amico» della «spada di Allah», il tunisino Eslameddine Hafaiedh, che vive in Liguria, posta su Facebook l'ordinanza di perquisizione effettuata dalla Digos di Genova a casa sua alla ricerca di «armi, munizioni, materiale esplodente» o documenti di propaganda. L'esito è negativo. Aleotti gli scrive su Facebook «di non aver paura... da me sono venuti in 20 armati fino al collo... Tuttavia li devo ringraziare.... si perché mi hanno aiutato a capire da che parte devo stare Al hamdulillah». Ovvero che deve stare con le bandiere nere. E aggiunge che la perquisizione a Reggio Emilia è avvenuta dopo che «hanno arrestato Jalal». Si tratta del marocchino, Jalal El Hanaoui, finito in manette nel pisano il 6 luglio per «propaganda e istigazione alla guerra santa».Accanto ai post Aleotti pubblica la prima pagina dell'atto della procura di Bologna che conferma le indagini per terrorismo internazionale su di lui secondo l'articolo 270 bis del codice penale.
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Re: Jihadisti tałiani

Messaggioda Berto » mer dic 30, 2015 10:40 pm

N'altro macaco

“Farò esplodere Roma, da qui ripartirà l’islam”, marocchino espulso dall’Italia
Adil Bamaarouf viveva a Monselice (Padova). Nelle intercettazioni diceva di volersi unire ai combattenti del Medio Oriente
https://www.lastampa.it/2015/12/29/ital ... agina.html

Far esplodere Roma per vendicare la lotta combattuta dall’Ue e dagli Stati Uniti all’Isis: è una delle convinzioni espresse da un cittadino marocchino da tempo residente a Monselice (Padova) espulso per motivi di prevenzione del terrorismo con un provvedimento firmato dal ministro dell’Interno Angelino Alfano. «Ho deciso la sua espulsione - ha spiegato il ministro - perché, da quanto rilevato dai Carabinieri e valutato dal Comitato di analisi strategica antiterrorismo, il soggetto in questione manifestava la volontà di commettere azioni terroristiche e l’intenzione di andare nelle zone di conflitto in Siria».

Il provvedimento a carico di Adil Bamaarouf è stato eseguito dai carabinieri del Ros e poi personale della polizia di Stato lo ha accompagnato all’aeroporto Malpensa per l’imbarco su un volo diretto in Marocco. «Il nostro lavoro di prevenzione prosegue senza sosta - ha commentato Alfano - Con questo, sono 65 i soggetti espulsi e rimpatriati».

Bamaarouf è finito al centro dell’attività svolta dal Ros per il contrasto del radicalismo di matrice confessionale e una serie di accertamenti hanno permesso di delineare un quadro che ha portato al suo allontanamento dall’Italia. Secondo quanto emerso dall’attività investigativa, il cittadino marocchino, in più esternazioni, aveva manifestato la sua contrarietà alla lotta al terrorismo islamico messa in campo dall’Occidente. Avrebbe detto di sentirsi offeso «poiché sia l’Unione Europea sia gli Stati Uniti stanno combattendo gli appartenenti all’Isis». Una offesa che avrebbe dovuto portare a un gesto clamoroso: «Per questo era intenzionato - è detto negli atti dei carabinieri - a vendicare il mondo arabo per le iniziative intraprese da questi paesi, asserendo di far esplodere la città di Roma, luogo da dove deve iniziare l’Islam...».

Nelle sue parole, verificate dagli investigatori, anche il sentirsi oppresso ed offeso per le iniziative contro gli appartenenti alla religione musulmana da parte dei cristiani ed ebrei. Tanto che, dalle indagini risulta che lo stesso Bamaarouf sarebbe stato intenzionato a lasciare l’Italia e, attraverso la Turchia, raggiungere i combattenti “mujaheddin” impegnati nelle zone di guerra in medio Oriente. È risultato anche che per un breve periodo aveva frequentato con regolarità l’associazione culturale islamica locale, dalla quale però era stato allontanato. Non erano state condivise e apprezzate le sue esternazioni riguardanti un credo volto alla totale chiusura verso il mondo occidentale. All’associazione si era anche proposto prima come educatore di corano e di arabo ai bambini e poi come imam. Le indagini, adesso, si spostano anche sulla verifica del materiale informatico sequestrato nel corso di una perquisizione a carico dell’espulso, disposta dall’autorità giudiziaria di Venezia.

Preoccupazione è stata espressa dal sindaco Francesco Lughi: «Monselice è un paesino piccolo a sud di Padova, non è una banlieue o la periferia di una grande città. Purtroppo, questo significa che nessuno è al sicuro e bisogno restare con gli occhi aperti ovunque».
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