Jihad o goera "santa" xlamega on cremene contro l'omanedà

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Messaggioda Berto » ven apr 15, 2016 6:48 pm

Al Baghdadi mette in pratica il piano di Bin Laden
Il capo dell’Isis segue il programma per la conquista del mondo. Ora siamo al quinto stadio, entro il 2022 la vittoria del Califfato
2016/04/15
giordano stabile - inviato a beirut

http://www.lastampa.it/2016/04/15/ester ... agina.html

Isis e Al Qaeda si combattono come mai prima fra di loro. Sul terreno, in Siria, dove lo Stato islamico sta cercando di strappare i territori controllati dalla branca siriana qaedista, Al-Nusra. E sul piano ideologico, con la rivista «Dabiq» che accusa l’erede di Osama bin Laden, Ayman Al-Zawahiri, di aver tradito la causa jihadista. Ma un’analisi della «Foreign Affairs Review» vede la riunificazione dei due movimenti alle porte, entro il 2021. Una nuova alleanza in grado di sfidare la leadership mondiale dell’Occidente.

Le ragioni di questo inevitabile riavvicinamento sono tre. Prima di tutto va sgomberato il campo dall’equivoco che Isis e Al Qaeda differiscano nella strategia di conquistare territori e governarli secondo la più implacabile sharia. Ci possono essere differenze tattiche ma l’ideologia è la stessa e si basa sulle teorie di Abdullah Azzam formulate negli Anni 80. Secondo, le rivalità del momento sono legate a ragioni personali: la lotta di potere fra Abu Bakr al-Baghdadi, leader dell’Isis, e Al-Zawahiri. Terzo, entrambe le organizzazioni seguono una progetto di espansione mondiale elaborato nel 2005 dal capo delle operazioni militari di Al Qaeda, Saif al-Adl.

IL CALIFFO E IL SULTANO

Il piano prevedeva sette fasi. La prima era il Risveglio (2000-2003), inteso come sollevazione della nazione islamica, «colpendo alla testa il serpente Stati Uniti». Coincide con l’11 settembre. Seguiva l’Apertura degli occhi (2003-2006) ovvero trascinare gli Usa e l’Occidente in una serie di conflitti estenuanti in Medio Oriente. Questo periodo coincide con la Seconda guerra del Golfo e l’insurrezione dei sunniti in Iraq. Terzo stadio: alzarsi in piedi (2006-2010), una nuova fase di operazioni e di espansione in Medio Oriente e Africa. Al quarto stadio, il Consolidamento (2010-2013), Al Qaeda doveva «tirare il fiato», radicarsi nei territori conquistati e preparare la proclamazione del Califfato.

L’uccisione di Bin Laden, nel maggio 2011, ha scompaginato il progetto. Anche perché l’erede Al-Zawahiri, egiziano e senza legami di discendenza dalla tribù del Profeta degli Al-Qurashi, non aveva i requisiti per essere nominato Califfo. Qui subentra Al-Baghdadi. Prende le redini degli islamisti in Iraq e Siria e passa al quinto stadio, l’attuale: la Rifondazione del Califfato (2013-2016) con l’intento di creare uno Stato islamico sovrannazionale. Il sesto stadio è la Guerra totale (2016-2020): il Califfato deve imporsi contro l’Occidente e contro i nemici interni all’Islam per arrivare alla Vittoria finale (2020-2022), cioè estendere il suo potere su tutta la Umma islamica, in teoria dal Marocco all’Indonesia, e diventare la Potenza dominante.

SCHELETRO DI UN IMPERO

Certo, il nucleo duro del Califfato in Siria e Iraq ha raggiunto un massimo di espansione nell’agosto del 2015, quando occupava circa 270 mila mq, e poi si è ridotto di oltre un terzo in Iraq e di un decimo in Siria, a 210 mila. I suoi effettivi, secondo il Pentagono, sono al minimo da due anni, anche se le stime variano da 30 mila a 70 mila combattenti. Se allarghiamo lo sguardo, però, vaste fette di territori dall’Algeria al Pakistan sono finite sotto il controllo islamista. Il caso più clamoroso è lo Yemen, dove un quarto del Paese è governato da Al Qaeda, con tanto di capitale, Mukalla, mezzo milione di abitanti. Ma anche fra Mali, Algeria, Libia e Niger c’è un emirato qaedista, desertico e con pochissimi abitanti, ma dalla posizione strategica. La fusione fra Isis e Al Qaeda creerebbe lo scheletro di un impero in formazione.

Ora ci troviamo fra il quinto e sesto stadio, il momento critico. Se davvero il Califfato sopravviverà - anche se sembra fantascienza - all’assalto congiunto di Usa, Europa, Russia, Iran e potenze sunnite moderate, diventerà impossibile sradicarlo. Il che spiega la fretta di Mosca e Washington, al di là delle rivalità, di arrivare a Raqqa e Mosul entro quest’anno. Lo sgretolamento sull’Isis potrebbe però accelerare la fusione con Al-Qaeda. Sarebbe la vecchia «Base» di Bin Laden ad assorbire lo Stato islamico. E la «guerra mondiale islamista» entrerebbe comunque nella fase più drammatica.



IL SOGNO DI UN CALIFFATO MONDIALE

LE SETTE FASI

1. Il Risveglio (2000-2003)
Risveglio della nazione islamica «colpendo alla testa il serpente Stati Uniti» (coincide con l’11 settembre)

2. Apertura degli occhi (2003-2006)
Trascinare Usa e alleati nelle guerre in Medio Oriente (coincide con la Seconda guerra del Golfo)

3. Alzarsi in piedi (2006-2010)
Coincide con la nuova fase di operazioni e di espansione di Al Qaeda in Medio Oriente e Africa

4. Consolidamento (2010-2013)
Al Qaeda deve radicarsi nei territori conquistati e prepararsi alla nascita del Califfato

5. Rifondazione del Califfato (2013-2016)
Creare uno Stato islamico dall’Africa al Medio OrienteAl Qaeda, decapitata, non riesce a farlo, l’Isis prende il suo posto

6. Guerra totale (2016-2020)
Il Califfato entra nella fase critica perché deve imporsi contro l’Occidente e contro i nemici interni all’Islam. È il momento più difficile

7. Vittoria finale (2020-2022)
Il Califfato estende il suo potere su tutta la Umma islamica, in teoria dal Marocco all’Indonesia
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Messaggioda Berto » dom apr 24, 2016 11:32 am

La bella vita di Salah e dei terroristi di Parigi
Discoteche, casinò e il trio birre-fumo-ragazze. Gli attentatori islamici hanno voluto colpire al cuore il nostro stile di vita, ma sono stati i primi a goderne
di Mauro Zanon | 22 Aprile 2016

http://www.ilfoglio.it/esteri/2016/04/2 ... e_c311.htm

Parigi. Subito dopo la sua cattura, uno dei suoi amici più stretti, oggi in prigione, lo aveva descritto come uno di quei tipi "inafferrabili", che cambiano cellulare in continuazione per far perdere le loro tracce, che si fanno desiderare, che magnetizzano l'attenzione e si guadagnano facilmente il rispetto dei loro coetanei. Ma Salah Abdeslam, come raccontato dal Monde qualche settimana fa e confermato ieri da un reportage diffuso su France 2 nel quadro della trasmissione "Complément d’enquête", era soprattutto "un festaiolo che non si nascondeva". Capelli ingellati, allure da dandy, nomea da tombeur de femmes, l'ex terrorista più ricercato d'Europa era un "homo festivus" che amava la movida tanto quanto quelle centinaia di persone che il 13 novembre 2015 a Parigi, tra il Bataclan e i café dell’Undicesimo Arrondissement, stavano approfittando gioiosamente della loro libertà prima di essere trucidati dalle scariche di kalashnikov dei jihadisti.

Era come loro, il ventisettennte Salah, come gli "idolatri" che si baciavano, sorseggiavano champagne, ballavano sudati e goduriosi, e cantavano a squarciagola le canzoni delle aquile del death metal nella "capitale della perversione". Un mese prima, il 14 e il 15 ottobre, quando il piano per le stragi parigine era già in fase avanzata, era a Bruxelles allo Starcasino, uno dei più celebri casinò della capitale belga, a divertirsi come un occidentale qualsiasi, lontano dai precetti rigoristi dell'islam radicale. L'8 febbraio 2015, assieme a uno dei suoi fratelli, Brahim, fattosi esplodere al ristorante Comptoir Voltaire di Parigi, se la spassava in una discoteca di Bruxelles, L'Avenue, assieme ad alcune ragazze, sullo sfondo di un concerto privato del rapper francese Lacrim. Nel video girato nel club situato a Avenue Louise e diffuso dalla Cnn, Brahim, sigaretta in mano, danza con una delle accompagnatrici, Salah, a pochi passi, con una felpa arancione, ancheggia sorridente seguendo le parole di Lacrim.

Il Monde, il 19 marzo scorso, sottolineava come il trittico "birre-fumo-ragazze" avesse ingannato i servizi segreti belgi, tenendoli alla larga da un individuo come Salah che aveva tuttavia già manifestato strani comportamenti negli anni precedenti, e molti media si erano chiesti se nei comportamenti dei due Abdeslam vi era da intravedere un chiaro esempio di taqiyya islamica, di dissimulazione per mimetizzarsi tra gli occidentali, o semplicemente di un sincero appetito e fascino per quello stesso stile di vita che, con gli attacchi di Parigi, i terroristi islamici hanno tentato di colpire al cuore. Nell'appartamento di Molenbeek dove Salah era asserragliato prima di essere arrestato, gli inquirenti avevano ritrovato tracce delle sue serate in un altro noto casinò di Bruxelles, il Golden Palace. Ieri il reportage di France 2 ha confermato che il gusto per il gioco d'azzardo del ventisettenne era decisamente pronunciato: nel giugno 2014 era al casinò di Breda, nei Paesi Bassi, l'anno successivo, nel suo Belgio, faceva la spola tra lo Starcasino e il Golden Place, e due discoteche, la già citata L'Avenue, e il Carré.

Ma è al Café des Béguines, gestito dai fratelli Abdeslam, dove tutto precipita, come raccontato dai due giornalisti francesi autori del reportage, Julien Daguerre e Baptiste Des Monstiers. Lì, nel retrobottega dove tutti si ritrovavano per trascorrere le giornate, un giorno cambiò repentinamente la programmazione: non più i video di Mtv, ma i filmati dei tagliagole dello Stato islamico che sgozzavano infedeli in Siria. Tra questi, un video di Abdelhamed Abaaoud, una delle menti delle stragi di Parigi, mentre sposta i corpi morti di alcuni prigionieri, che secondo i giornalisti francesi avrebbe convinto Salah e Brahim Abdeslam a radicalizzarsi. "C'era una chiara ammirazione da parte dei fratelli Abdeslam nei confronti di Abdelhamed e dei suoi atti efferati", raccontano. E accanto ai video in lode dell'Isis, trasmessi all'interno del café all'insaputa delle autorità del Belgio, campeggiavano poster di ragazze nude. "Le persone che abbiamo incontrato si ricordano molto bene che nel bar alcuni poster di ragazze nude affiancavano video sanguinosi dello Stato islamico". Un cortocircuito pazzotico, tremendamente perverso.
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Messaggioda Berto » mer mag 25, 2016 10:11 am

"Colpire i civili in Occidente". Arriva un Ramadan di sangue
Dall'Isis arriva un appello a tutti i musulmani a compiere attacchi in Occidente: "Non bisogna preservare il sangue perché non c'è nessuno innocente"
Sergio Rame - Dom, 22/05/2016

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/col ... 62131.html

I tagliagole dello Stato islamico tornano così a lanciare i consueti attacchi contro gli "Stati Uniti, i Crociati e gli ebrei", ma senza fare alcun riferimento allo schianto dell'Airbus dell'Egyptair inabissatosi nel Mediterraneo. Per 31 minuti è stato il portavoce Abu Muhammad al Adnani a scandire attacchi e minacce contro Stati Uniti e Europa, in particolare nel mese del Ramadan, che comincerà il 7 giugno, invitando i seguaci a "combattere, combattere, combattere".

Nel mirino di Adnani in particolare la campagna condotta dagli Stati Uniti contro lo Stato Islamico, come se, scrive il Washington Post, i jihadisti avessero sofferto per le perdite subite nell'ultimo periodo. "Anche se perdiamo Raqqa o Sirte, non saremo sconfitti", ha sottolineato al-Adnani ribadendo che l'unico modo per sconfiggere il Califfato è "strappare il Corano dai nostri cuori". Il portavoce del Califfato non era più intervenuto in rete da ottobre e a gennaio è stato dato per ferito in un raid americano nella provincia irachena di Al Anbar. Così come assente mediaticamente da dicembre è il capo dello stato islamico Abu Bakr al Baghdadi. Qualche ora prima della diffusione dell'audio, intitolato con una citazione del Corano (versetto 42 dell'ottava Sura) che in italiano recita: "Chi doveva vivere, visse con una prova", sono cominciati a spuntare in rete foto di bigliettini scritti a mano da jihadisti che, in arabo o inglese, davano lo stesso annuncio: "Aspettiamo un nuovo messaggio". Un'attesa che si è caricata di aspettative visto che a distanza di tre giorni dallo schianto dell'aereo dell'Egyptair, che molti considerano un atto di terrorismo, non c'è stata fino ad ora alcuna rivendicazione.

Gli scatti postati dai jihadisti, stando all'analisi di Site, sarebbero stati fatti in diversi Paesi del mondo: in Europa (dal Belgio alla Germania, dalla Gran Bretagna all'Olanda, alla Svezia) e negli altri continenti, come Arabia Saudita, Somalia, Canada, Malaysia, Libano, Marocco e Colombia. Tra questi, il bigliettino "saudita" appare fotografato sopra una divisa dell'Air Force del regno wahabita. In quello di Londra si vede chiaramente un classico bus rosso a due piani. Altri sono accompagnati da munizioni. E uno da carte di credito. Il messaggio nel messaggio è chiaro: "Siamo ovunque". Al Adnani ha ribadito che "attaccare i civili è il modo migliore e più utile", prima di precisare che nella terra dei Crociati (l'Occidente) "non bisogna preservare il sangue perché non c'è nessuno innocente".
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Messaggioda Berto » dom mag 29, 2016 8:29 pm

Sufi e jihad armata | ISLAMICAMENTANDO
http://islamicamentando.altervista.org/ ... had-armata

Il mondo sufi é un mondo piuttosto variegato, lo dimostra il fatto che esistono diverse confraternite al suo interno, che si sono sviluppate in aree molto distanti tra loro e nell’arco di molti secoli. Ciò che è certo è che i sufi compaiono a partire dal VIII secolo. Dobbiamo tenere presente che nella storia dell’islam i sufi hanno rappresentato – e tuttora rappresentano – un tassello molto importante all’interno dell’ortodossia. Essere sufi non implica necessariamente essere mal visti o addirittura essere considerati eretici ed estranei all’islam, ma anzi. I dervisci ad esempio sono tutt’altro che “musulmani diversi”, giacché fanno parte a pieno titolo dell’ala sunnita dell’islam. Dal X al XIV secolo i sufi diventano un vero e proprio movimento popolare, a cui compete una dinamica sociale considerevolmente più forte che alle scuole di legge.

Il movimento sufi divenne la forma più popolare e maggiormente diffusa di islam.

Al-Zawahiri (il capo dei terroristi di Al Qaida), tanto per citare un musulmano integralista dei nostri giorni, é un sufi. Lo stesso amministratore di un noto forum on-line islamico, che dimostra di avere posizioni molto radicali (es: QUI e QUI), da quanto si capisce dal suo nickname è un sufi.

In tempi moderni un esempio tra i più eclatante è costituito dai Murabitun inglesi di Ian Dallas, un misterioso ex attore di tatro e cinema, convertitosi in Marocco.

Attualmente, di maggior peso sembra la confraternina Naqshbandyya dello Shayk Nazim, legata al nazionalismo religioso neottomano di Erdogan.

Se i siti web europei sono pieni di inviti all’amore e alla tolleranza, i sufi, nelle loro attività interne, non mancano grandi manifestazioni ultraimperialiste e militariste. Nel seguente video si può osservare la massiccia organizzazione propagandistica e revanchista della setta che riscuote molto successo tra i tolleranti e ingenui occidentali:

Nell’islam molte sono le sovrastrutture depistanti utilizzate per penetrare nella società occidentale, oggi assai indebolita per motivi che non indagheremo in questo articolo. Come dicevamo, tra le varie modalità operative di questa pervasiva infiltrazione un ruolo privilegiato è affidato alle confraternite sufi (Tasawwuf), specializzate nel creare un bacino di reclutamento di occidentali sprovveduti, convinti di incontrare un islam “pacifista” e “moderato”.

Le confraternite sufi hanno elaborato un vero e proprio doppio binario, con un volto pubblico accogliente e transigente teso a occultare dottrine puramente jihadiste.

Il ramo islamico dei sufi ha sempre goduto di una visione eccezionalmente positiva in occidente. Considerati come mistici pacifici che intendono la jihad esclusivamente come una ricerca spirituale, quindi nulla di violento o spiacevole, i sufi hanno attirato a se convertiti occidentali di ogni sorta, dai new age della Marin County, in California, agli intellettuali, artisti e semplici cittadini.

Eppure, al contrario di quello che è stato insegnato agli occidentali, attraverso i mezzi di diffusione del politicamente corretto nei confronti dell’islam, dalla nascita delle prime confraternite sufi sino ad oggi il jihadismo è sempre stato una realtà caratterizzante del sufismo. E non poteva essere altrimenti: se la mistica classica islamica è riuscita ad imporsi nell’islam è proprio perché c’è profonda consonanza con lo spirito guerrafondaio del Corano.

Non è infatti corretto considerare il misticismo sufi come la versione pacifica dell’islam, in contrapposizione ai violenti integralisti Wahabiti. Non bisogna fare l’errore di scambiare i sufi per una sorta di hippy. Nella storia sono state numerose le jihad aggressive organizzate, capeggiate e combattute dai sufi. I sufi hanno svolto un ruolo importantissimo durante l’espansione armata dell’islam, sia a livello sociale che a livello militare. Essi furono coinvolti in innumerevoli imprese militari e servirono come strumento di diffusione delle rigorose norme sunnite.

Il sufismo é sempre stato collegato alla jihad sin dall’undicesimo secolo.

In conformità alla relazione tra sufismo e ortodossia islamica, i sufi hanno sostenuto in maniera fervente l’istituzione della dhimmitutine, completa di tutte le sue regole umilianti per in non-musulmani. Il sufismo non è mai stato in contrapposizione con la sharia: per i sufi la legge islamica era ed è un mezzo essenziale per raggiungere la verità (haqia). É anche importante evidenziare l’infondatezza della teoria dottrinale della fantomatica “grande jihad spirituale” (jihad interiore), associata per lo più ai sufi . Persino Reuven Firestone ha riconosciuto la dubbia natura dell’hadith che presenta questa potenziale interpretazione della jihad: non ne é stata data la fonte, né si riesce a trovare nella “collezione canonica” degli hadith. [1] Non a caso i musulmani più influenti del XX secolo, come ad esempio il leader sciita Ayatollah Ruollah Khomeini (morte 1962), o il famoso ideologo sunnita Sayyid Qutb (morte 1966), hanno sempre sostenuto l’infondatezza dell’idea dei “sufi pacifisti” [2].

Di seguito andiamo a vedere cosa hanno sostenuto teologi e giuristi appartenenti a quest’ala dell’islam sull’istituzione della jihad armata e la sua istituzione accessoria, la dhimmitudine. Per semplificare sia il lavoro che la lettura dell’articolo ne abbiamo preso in esame solo alcuni tra i più autorevoli, servendoci del materiale reso disponibile su questo articolo in inglese.

Iniziamo con una figura di prominenza nella storia intellettuale islamica, il sufi Al-Ghazali (1058-1111). Egli nacque a Tus in Khorasan, vicino alla moderna Meshed in Iran, e divenne uno dei più importanti teologi, giuristi e mistici. William Montgomery Watt, considerato uno dei migliori conoscitori non musulmani dell’islam, rimarcò l’ortodossia islamica di Al-Ghazali. Watt conferma che Al-Ghazali fu:

…acclamato sia ad est che ad ovest come il più grande musulmano dopo Maometto, e non é in nessun modo non meritevole di tale valore… Portò l’ortodossia e il misticismo a stretto contatto… i teologi divennero più disponibili ad accettare i mistici come gente rispettabile, mentre i mistici erano più attenti a non oltrepassare i confini dell’ortodossia. [3]

Riguardo la jihad armata e al trattamento dopo la conquista della gente non musulmana Al-Ghazali scrisse:

Bisogna andare in guerra (jihad di tipo razzia o incursione) almeno una volta all’anno. Si può usare una catapulta contro di loro (i non-musulmani) quando sono in una fortezza, anche se tra di loro ci sono donne e bambini. Si può dar loro fuoco o affogarli. Se una persona tra gli Ahl al-Kitab (le genti del libro, ebrei e cristiani) viene fatta schiava, il suo matrimonio viene [automaticamente] cancellato. Si possono tagliare i loro alberi. Si possono distruggere i loro libri inutili. I jihadisti possono prendere come bottino qualsiasi cosa desiderino. Possono rubare tanto cibo quanto ne abbiano bisogno.

Il dhimmi non può nominare Allah o il Suo Apostolo. Ebrei, cristiani e majiani devono pagare la jizya [tassa-tributo specifico per i non-musulmani]. Quando dona la jizya, il dhimmi deve mostrarsi sottomesso mentre l’ufficiale lo afferra per la barba e lo colpisce sulla mandibola.

A loro non é permesso ostentare il loro vino e le loro campane da chiesa. Le loro case non possono essere più alte di quelle dei musulmani, non importa quanto basse queste siano. Il dhimmi non può cavalcare un cavallo o un mulo eleganti; può cavalcare un asino solo se la sella é di legno. Non può camminare sul lato buono della strada. I dhimmi devono indossare una toppa identificativa sui loro vestiti, anche le donne, e anche nei bagni pubblici non é loro concesso parlare. [4]

Memettiamo ora a confonto gli scritti di Al-Ghazali con le seguenti dichiarazioni di due prominenti giuristi venuti in seguito, Ibn Qudama (1147-1223), e Ibn Tamiyya (m1263-1328).

Iniziamo con Ibn Qudama:

La guerra lecita (jihad) è un dovere sociale obbligatorio (fard kifaya): quando un gruppo di musulmani ne garantisce il corretto svolgimento, gli altri ne sono esentati.

La jihad diventa un dovere personale vincolante (fard ‘ayn) per tutti i musulmani abilitati o il cui paese è stato invaso dal nemico. È obbligatorio solo per gli uomini che hanno raggiunto la pubertà, sono in grado di ragionare e di combattere. La jihad è il meglio di ció che si possa fare per avere una ricompensa superiore. Abu Huraira riporta che “Il Profeta, quando gli venne chiesto quale fosse la migliore opera fra tutte rispose: credere in Dio [e il Suo Profeta]’ – E poi? Qualcuno gli domandò. – La guerra per conto di Dio e un pacifico pellegrinaggio”. Abu Sa’id riporta inoltre che il Profeta, interrogato su chi fosse il migliore tra la gente, rispose, “Colui che combatte per la causa di Dio, di persona e con le proprie risorse”… È consentito sorprendere gli infedeli nel buio della notte, bombardarli con il mangonel (una specie di marchingegno che lancia pietre) e attaccarli senza dichiarare battaglia (du’a’). Il Profeta attaccò i Banu Mustaliq senza che questi se lo aspettassero, mentre i loro animali si stavano ancora dissetando; uccise gli uomini che avevano combattuto contro di lui e fece prigionieri i bambini. E’ vietato uccidere i bambini, i malati di mente, le donne, i preti, i vecchi deboli, gli infermi, i ciechi, quelli deboli di volontà, a meno che abbiano preso parte alla battaglia.

Il capo di Stato decide del destino di coloro che vengono fatti prigionieri; li può condannare a morte, ridurli in schiavitù, liberarli in cambio di un riscatto o garantire loro la libertà come donazione. Deve scegliere la soluzione che sia il più possibile compatibile con il bene comune dei musulmani.

La jizya può essere chiesta solo alle Genti del Libro (Ahl-al-Kitab) e agli zoroastriani (Magus), che si impegnano quindi a pagare e a sottomettersi alle leggi della comunità. Per Genti del Libro si intendono gli ebrei e chi segue la Torah, così come i cristiani e coloro che seguono il Vangelo. Quando la Gente del Libro chiede di pagare la jizya e di essere sottomessa alle leggi della comunità bisogna accontentare la loro richiesta, ed è proibito combatterli. La jizya viene raccolta all’inizio di ogni anno. È fissata a 48 dirhem per un ricco, 24 dirhem per un uomo che abbia mezzi moderati e 12 dirhem per chi ha una modesta proprietà. Non può essere chiesta ai bambini non ancora in pubertà, alle donne, i vecchi bisognosi, i malati, i ciechi, gli schiavi, e neppure ai poveri che non la possono pagare. Un infedele soggetto alla jizya che si converte all’islam diventa libero da quest’obbligo. Quando un infedele muore, i suoi eredi sono responsabili della jizya. [5]

Ibn Tamiyya:

Dato che la campagna militare è essenzialmente la jihad e dato che l’obbiettivo è di fare in modo che la religione e la parola di Dio prevalgano, in accordo quindi con tutti i musulmani, coloro che sono d’intralcio devono essere combattuti. Relativamente a quelli che che non possono offrire resistenza o non sono in grado di combattere, come le donne, i bambini, i monaci, i vecchi, i ciechi, gli infermi e affini, non devono essere uccisi eccetto che la loro battaglia sia quella delle parole (ossia propaganda) e azioni di tipo spionistico o di sostegno ai combattenti.

Per quanto le Genti del Libro e gli zoroastriani, questi vanno combattuti fino al momento in cui diventano musulmani oppure pagano il tributo (jizya) di loro volontà e sono stati umiliati. [6]

Comparando quanto sopra riportato, si può notare che rispetto ai giuristi Hanbali Ibn Qudama e Ibn Tamiyya, il sufi Al-Ghazali sia egualmente bellicoso dal punto di vista della jihad, e più discriminatorio e oppressivo nelle sue guide linea sul trattamento dei dhimmi (non-musulmani sottomessi). Inoltre, la visione di Al-Ghazali riguardo ai dhimmi, che vista la sua autorevolezza diventò la visione dominante dei teologi e giuristi musulmani durante il califfato Abbaside-Baghdadiano, sfociò in atti di vera e propria persecuzione, come trascritto, per esempio, in questo resoconto del 1100 ad opera di Obadyah il Proselita, nella Baghdad di allora:

…il califfo di Baghdad, al-Muqtadi [1075-1094], aveva dato potere al suo visir, Abu Shuja… che impose che ogni maschio ebreo dovesse indossare una pezza identificativa gialla sul proprio copricapo. Questo era un segno distintivo sul capo, mentre l’altro si trovava sul collo – un pezzo di piombo del peso di un dinaro d’argento appeso intorno al collo di ogni ebreo con incisa la parola dhimmi a significare che tale ebreo dovesse pagare la tassa. Gli ebrei dovevano anche indossare una sorta di cintura intorno alla vita. Abu Shuja impose due ulteriori segni d’identificazione alle donne ebree. Dovevano indossare una scarpa nera ed una rossa, e ognuna di loro doveva avere una piccola campanella d’ottone al collo e sulla scarpa, che tintinnando avrebbe favorito la separazione tra le donne ebraiche e le donne musulmane. Incaricó crudeli uomini musulmani di spiare le donne ebree, per opprimerle attraverso ogni sorta di insulto, umiliazione e dispetto. La popolazione Musulmana era solita prendersi gioco degli ebrei, e le bande e i loro figli picchiavano gli Ebrei ovunque sulle strade di Baghdad… Quando un ebreo moriva senza aver pagato la jizya del tutto ed era in debito di una somma più o meno significativa, i musulmani non permettevano che la sepoltura avesse luogo fino al pagamento completo della jizya. Se il deceduto non aveva lasciato nulla di valore, i musulmani pretendevano che gli altri ebrei compensassero coi loro denari il debito di tassa jizya che il deceduto aveva contratto; altrimenti minacciavano di mettere il corpo al rogo. [7]

Infine, nello spirito degli insegnamenti di Al-Ghazali sulla jihad di guerra, le campagne jihadiste dei Selgiuchidi e degli Ottomani che avevano imperversato nella vicina Asia Minore dall’undicesimo sino al quindicesimo secolo, avevano al vertice i movimenti chiamati Ghazi (dal termine ghazwa, o razzia), “Guerrieri della fede”, uniti sotto la bandiera dell’islam per combattere gli infedeli, e avere il proprio bottino. Incitati da “pacifici” teologi musulmani – in particolare i dervisci sufi – questi ghazi erano all’avanguardia sia nelle conquiste Selgiuchide che in quelle Ottomane. A.E. Vacalopoulos evidenzia il ruolo di questi dervisci durante le campagne Ottomane:

… i dervisci fanatici e altri leader musulmani… costantemente utilizzati per espandere l’islam. Avevano fatto così già dal primo inizio dello Stato Ottomano e avevano giocato un ruolo importante nel consolidamento e nell’estensione dell’islam. Questi dervisci erano particolarmente attivi nelle regioni di frontiera disabitate dell’est. Si stabilirono lì con le loro famiglie, attraendo altri che vi si insediarono diventando perció i fondatori di villaggi interamente nuovi, i cui abitanti mostravano le stesse particolarità in quanto a fervore religioso. Da posti come questi, i dervisci o i loro agenti sarebbero poi risultati come coloro che avrebbero preso parte alle nuove imprese militari per l’espansione dello Stato islamico. In cambio, lo stato garantì loro terra e privilegi alla generosa condizione che la terra venisse coltivata e i collegamenti messi in sicurezza. [8]

Ideologia sufi nell’India premoderna

Durante il tardo Sultanato di Delhi e il periodo iniziale dell’Impero Moghul, il sufismo era parecchio più intollerante rispetto all’Induismo, come documentato da K. S. Lal, un preminente studioso di islam. Lal si focalizzò sugli scritti del sufi Abdul Quddus Gangoh (1456-1537):

I Mushaikh musulmani [leader spirituali sufi] erano scrupolosi sulle conversioni quanto gli Ulema e, contrariamente all’opinione comune, invece di essere gentili con gli induisti come dovrebbero esserlo i santi, essi speravano che gli induisti diventassero cittadini di seconda classe, nel caso non si fossero convertiti. L’esempio dello Shaikh Abdul Quddus Gangoh merita di essere citato, perché egli apparteneva al Chistia Silsila, considerato il gruppo sufi più tollerante. Egli scrisse delle lettere a Sultan Sikandar Lodi, Babur, e Humayun con l’intento di rinvigorire la Shari’a e relegare gli induisti a pagatori della tassa territoriale e della jizya. Egli scrisse a Babur, ‘Dai supporto e protezione ai teologi e ai mistici…essi dovrebbero essere mantenuti e sovvenzionati dallo stato… Nessun ufficio o impiego dovrebbe essere offerto, nel Diwan dell’islam, ai non musulmani… Oltretutto, in conformità ai principi della Shari’a, essi dovrebbero essere oggetto di ogni tipo di offese e umiliazioni. Essi dovrebbero essere costretti a pagare la jizya…Dovrebbe essere impedito loro di indossare gli abiti dei mussulmani, dovrebbero essere obbligati a nascondere il loro Kufr [infedeltà] e a non praticare le cerimonie del loro Kufr apertamente e liberamente… Non dovrebbe essere permesso loro di considerare sé stessi alla pari dei musulmani.’ [9]

Lo Shaykh (sceicco) Ahmad Sirhindi (1564-1624) fu un illustre mistico, legato a molte confraternite religiosi sufi (tra le quali la Naqshbandi), che contribuì molto alla rinascita dell’islam ortodosso, in seguito agli eterodossi esperimenti del regno di Akbar (1556-1605). Shirindi pubblicò un considerevole numero di trattati e lettere che promuovevano il suo punto di vista e condannavano l’ecumenismo promulgato da Akbar verso gli induisti. A differenza della sua intollerante visione degli induisti, l’attacco ad hominem di Sirhindi nei confronti degli ebrei riflette un Judenhass (odio per gli ebrei) di natura teologica, dato che è improbabile che avesse avuto un contatto diretto con la piccolissima comunità ebraica dell’India premoderna.

La Sharia deve essere alimentata dalla spada…. Il Kufr [la miscredenza] e l’islam sono contrari l’uno all’altro. Il progresso dell’uno è possibile solo a spese dell’altro e la coesistenza di queste due fedi contrapposte è impensabile…. Colui che rispetta i kuffar (plurale di kaffir-miscredente, infedele), disonora i musulmani. Rispettarli non significa solamente onorarli e assegnare loro un posto d’onore in qualsiasi assemblea, ma implica anche stare in loro compagnia e mostrare considerazione nei loro confronti. Dovrebbero essere tenuti a debita distanza come i cani…. Se qualche interesse mondano fosse impossibile da portare avanti senza di loro, in questo caso si potrebbe stabilire un minimo contatto, ma senza prendere confidenza. Il sentimento islamico più nobile suggerisce che è meglio rinunciare a qualsiasi interesse mondano e non stabilire relazioni con i kuffar…. Il vero intendo dell’imposizione della jizya su di loro [in non musulmani] è quello di umiliarli e portarli, attraverso la paura del pagamento della jizya, a non potersi vestire bene e avere una vita dignitosa . Essi dovrebbero costantemente vivere nel terrore e tremare. Con l’intento di disprezzarli e ribadire l’onore e il potere dell’islam… Il sacrificio delle mucche in India è la più nobile tra le pratiche islamiche. Probabilmente i kuffar potrebbero essere d’accordo sul pagamento della jizya, ma non accetterebbero mai il sacrificio di una mucca… L’esecuzione del maledetto kaffir di Gobindwal [un Sikh che guidò una rivolta contro l’opprimente legge musulmana nella sua comunità] è un risultato importante ed è la causa della sconfitta dei maledetti induisti…Qualunque possa essere la causa dell’esecuzione, disonorare i kuffar è l’atto di grazia più alto per i musulmani. Prima dell’esecuzione dei kuffar ho avuto una visione in cui l’Imperatore ha distrutto la corona sulla testa dello Shirk. In verità egli era il capo dei Mushik e la guida dei kuffar… Quando un ebreo viene ucciso, è un beneficio per l’islam. [10]

Yohanan Friedman offre un contributo riassuntivo dell’atteggiamento di Sirhindi nei confronti degli induisti:

Sirhindi continua con il suo rifiuto del credo e delle pratiche dell’Induismo con una, ugualmente convincente, dichiarazione riguardo alla condizione degli induisti nell’Impero Moghul. L’onore dell’islam richiede l’umiliazione degli infedeli e della loro falsa religione. Per raggiungere questo obiettivo, la jizya dovrebbe essere loro imposta senza pietà e essi dovrebbero essere trattati come dei cani. Le mucche dovrebbero essere sgozzate per dimostrare la supremazia dell’islam. Lo svolgimento di questo rito è, in India, il simbolo più importante della dominazione islamica. Una persona dovrebbe astenersi dal fare affari con gli infedeli, almeno che non sia assolutamente necessario, e anche in questo caso dovrebbe trattarli con disprezzo. L’islam e la miscredenza sono due opposti inconciliabili. L’uno deve fiorire attraverso il degrado dell’altro. Il profondo astio di Shirindi per i non-musulmani può essere illustrato al meglio con la sua esultanza per l’esecuzione, nel 1606, di Arjun, il quinto guru dei Sikh. [11]

Il sufi Shah Aladihlawi Wali-Allah (1703-1762) fu un teologo, pioniere della traduzione persiana del Corano, tradizionalista e attivista politico. Le lettere al sultano Shah Wali-Allah (Durrani), come quelle rivolte agli importanti leader musulmani locali per spingerli a cooperare con i Durrani e intraprendere una jihad contro i Maratha (induisti) e gli Jat, rivelano i suoi costanti sforzi per stabilire una dinastia (straniera, se necessario) più militante, senza l’India. Perciò, lo Shah Wali-Allah non fu solo d’ispirazione per le invasioni Durrani del 1756-57 e quelle del 1760-61, egli fu anche responsabile per aver aiutato ad organizzare una confederazione dei poteri dei musulmani contro i Maratha (induisti) nel nord dell’India.

E’ diventato chiaro per me, come il regno dei cieli abbia predestinato i kuffar ad essere ridotti ad uno stato di umiliazione ed essere trattati con profondo disprezzo. Quell’insieme di maestà e ardito coraggio dovrebbe [Nizam al-Maluk] prepararlo alla battaglia e dirigere la sua attenzione al compito di conquistare il mondo. Cosicché la fede diventi più affermata e il suo stesso potere venga rafforzato; una piccola fatica verrebbe ampiamente ricompensata. Egli non compierebbe sforzi, essi [i Maratha] verrebbero inevitabilmente indeboliti e annichiliti dalle calamità celesti…Giacché ho imparato ciò in maniera inequivocabile [dal Divino], scrivo spontaneamente per portare alla tua attenzione la grande opportunità postati davanti. Dovresti, prima di tutto, non essere negligente nel combattere la jihad…Oh Regnanti! Mala a’la vi stimola a trarre le vostre spade a e non rimetterle nel fodero prima che Allah abbia separato i Musulmani dai politeisti e dai ribelli kuffar e prima che i peccatori siano stati lasciati del tutto deboli e senza aiuto.’

Nel suo testamento a Omar [il successivo Califfo], Abu Bakr lo informò che se avesse temuto Allah, il mondo intero avrebbe avuto paura di lui [Omar]. Dichiarò che il mondo assomigliava ad un’ombra. Se un uomo le fosse corso dietro, essa lo avrebbe inseguito e, se egli avesse preso il volo dall’ombra, essa lo avrebbe comunque seguito. Allah ti ha scelto come protettore dei Sunniti e non esiste nessun’altro che possa assolvere a questo compito, ed è cruciale che tu consideri sempre il tuo ruolo come obbligatorio. Impugnando la spada per rendere supremo l’islam e subordinando a questa causa i tuoi bisogni personali, trarrai vasti benefici.

Noi ti supplichiamo [Durrani, un capo musulmano], nel nome del Profeta, di combattere una jihad contro gli infedeli di questa regione. Ciò ti conferirebbe grandi ricompense dinanzi ad Allah l’Altissimo e il tuo nome verrebbe incluso nella lista di coloro che hanno combattuto una jihad per amore di Allah. Per quanto concerne i guadagni del mondo terreno, vantaggi incalcolabili finirebbero nelle mani dei ghazi islamici e i Musulmani verrebbero liberati dai loro nodi. L’invasione di Nadir Shah, che ha distrutto i Musulmani, ha lasciato i Mathara e gli Jat sicuri e prosperi. Come risultato, gli infedeli hanno recuperato le forze e i capi dei Musulmani di Delhi sono stati ridotti a meri burattini. [12]

La dettagliata analisi di S.A.A. Rizvi sulla dottrina della jihad dello Shah Wali-Allah si conclude così:

Secondo lo Shah Wali-Allah, il simbolo della perfetta realizzazione della Sharia era il compimento della jihad. Comparò i doveri dei musulmani in relazione a quelli di uno schiavo prediletto che somministrava una medicina amara agli altri schiavi della casa. Se ciò fosse stato fatto con la forza sarebbe stato del tutto legittimo, ma se qualcuno avesse mischiato la forza con la gentilezza, sarebbe stato ancora meglio. In ogni modo, c’erano delle persone, disse lo Shah, che seguivano i loro istinti primordiali a causa della loro religione ancestrale, ignorando i consigli e gli ordini del profeta Maometto. Se qualcuno avesse cercato di spiegare la religione a persone come queste, avrebbe fatto un danno. L’uso della forza, disse lo scià, era la scelta migliore – l’islam avrebbe dovuto essere spinto loro in gola, come una medicina amara viene spinta nella gola di un bambino. Questo, comunque, sarebbe stato possibile solo se i leader delle comunità di non-musulmani che non avevano accettato l’islam, fossero stati uccisi; la forza della comunità fosse stata ridotta, le loro proprietà fossero state confiscate e si fosse creata una situazione in cui i loro seguaci e discendenti fossero stati portati ad accettare l’islam di buon grado. Lo Shah dichiarò che il dominio universale da parte dell’islam non sarebbe stato possibile senza la jihad. [13]

Sufismo sciita e dhimmitudine nell’Iran contemporaneo

Sultanhussein Tabandeh, un moderno leader sufi sciita, nel 1966 scrisse un intero trattato che prendeva in esame vari elementi della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani dichiarando che sono incompatibili con la legge islamica: una ‘prospettiva islamica’ sulla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. [14] Secondo Eliz Sanasarian, un professore dell’Università della California del Sud che ha analizzato i problemi delle minoranze religiose nella Repubblica islamica, il trattato di Tabandeh è diventato ‘il fulcro ideologico su cui il governo iraniano ha fondato la sua politica nei confronti dei non-musulmani.’ Le sue opinioni sui non-musulmani, afferma Sanasarian, sono state prese quasi alla lettera nella Repubblica islamica dell’Iran.’ [15]

Tabandeh inizia il suo scritto definendo lo Shah Ismail I (1502-1524), il repressivo e intollerante fondatore della dinastia dei Safavidi, [16] come il paladino ‘degli oppressi’. Per poi riaffermare la tradizionale inferiorità dei non-musulmani in confronto ai musulmani, come impresso nella Sharia.

Perciò se un musulmano commette adulterio la sua pena prevede 100 frustate, la rasatura del cranio e un anno di esilio. Ma se un uomo non è musulmano e commette adulterio con una donna musulmana la sua pena è l’esecuzione… In maniera analoga, se un musulmano uccide deliberatamente un altro musulmano, si applica la legge del taglione ed egli viene condannato a morte per mano di un parente prossimo [della vittima]. Ma se un non-musulmano viene ucciso da un musulmano, la pena di morte non è valida. Il musulmano deve pagare una multa ed essere punito con la frusta. Dato che l’islam concepisce i non musulmani come esseri di livello inferiore per fede e convinzioni, se un musulmano uccide un non-musulmano…allora la sua punizione non può essere la morte, dato che la sua fede e convinzioni sono superiori rispetto a colui che è stato ucciso… Inoltre, le pene previste per un non-musulmano colpevole di fornicazione con una donna musulmana sono maggiori perché, oltre al crimine contro la moralità, gli obblighi sociali e religiosi, egli ha commesso sacrilegio perché ha disonorato una musulmana, dunque ha offeso i musulmani in generale, quindi deve essere ucciso.

L’islam e le sue genti devono essere al di sopra degli infedeli, e non devono permettere mai ai non-musulmani di prendere potere su di essi. Visto che il matrimonio tra una donna musulmana e un marito infedele (in conformità con il versetto che recita: ‘gli uomini sono preposti alle donne’) significa la sua sottomissione ad un infedele, questo fatto rende il matrimonio nullo, perché non segue le condizioni necessarie per rendere valido un contratto. (Corano 60:10, ‘Se le riconoscete credenti, non rimandatele ai miscredenti, esse non sono lecite per loro né essi sono loro leciti’). [17]

jihad sufi nel premoderno e moderno Caucaso del Nord

Il Daghestan fu inizialmente islamizzato a causa degli arabi musulmani ommayidi e abassidi, durante il VII e l’VIII secolo. Diversi secoli dopo, un’ondata di invasioni delle tribù turco-mongole dell’est, e la loro imposizione dell’islam, accrebbe la popolazione musulmana nel nord del Caucaso. [18] Nella metà del XVI secolo, i cosacchi russi iniziarono ad insediarsi nelle terre scarsamente popolate della Cecenia. Questi coloni russi divennero sudditi di Ivan il Terribile, con l’intento di ottenere protezione dalle razzie perpetuate dai tartari e dai turchi. [19] Nel 1781 l’Impero russo avanzò attivamente all’interno del Caucaso del nord e della Transcaucasia, accelerando la jihad anti-russa dello Sheikh Mansur Ushurma, un sufi Naqshbandi. [20] Seguì la distruzione, da lui promossa, di un’intera brigata russa, durante la battaglia di Sunzha nel 1785.

…gli abitanti delle montagne, chiamati alla guerra santa contro gli invasori infedeli, per qualche anno unificarono praticamente l’intero Caucaso del Nord, dal territorio ceceno ad ovest, alle steppe di Kumyk ad est. Il suo appello – almeno quello che conosciamo di esso – assomiglia molto ai vecchi appelli alla jihad da parte dei murshid [maestri, capi della fratellanza sufi] Naqshbandi… [21]

A partire da questa jihad spartiacque del XVIII secolo, fino ai giorni d’oggi, il tariqat [fratellanza] dei Naqshbandi ha giocato un ruolo cruciale per quanto riguarda la difesa e l’espansione del dominio musulmano, di fronte allo sconfinamento sia dello Zar, che della Russia sovietica. Trasformando ‘i montanari semi-pagani in musulmani ortodossi’, i Naqshbandiyya portarono l’islam nelle regioni animiste dell’alta Cecenia e del Caucaso dell’ovest.[22] Inoltre, i seguaci dalla ferrea disciplina dei Naqshbandi portarono avanti una prolungata resistenza contro le conquiste della Russia zarista, cosicché Bennigsen e Wimbush affermano in maniera plausibile:

Si può dire che la quasi cinquantenaria [XIX secolo] guerra del Caucaso ha offerto un importante contributo alla disfatta morale e materiale dell’Impero zarista e ha accelerato il crollo della monarchia dei Romanov. [23]

Durante i tragici anni della Rivoluzione del 1917-1921, che furono particolarmente sanguinolenti nel nordest del Caucaso, le fratellanze sufi, in particolar modo i Naqshbandi, ebbero nuovamente un ruolo centrale. I loro risultati finali nella resistenza contro i comunisti furono coerenti con i precetti della jihad, intesa come ideologia sia difensiva che espansionistica:

…per ristabilire una monarchia teocratica governata dalla Sharia, vanno espulsi i russi ed eliminati ‘cattivi musulmani’ che si sono piegati ai governanti infedeli. Il seguente fu uno dei discorsi dello Sheikh Naqshbandi , di nome Uzun Hajii, uno dei leader della fratellanza: ‘Se Dio vuole, possiamo costruire una monarchia shariatica, giacché in una terra musulmano non può esserci repubblica. Se accettassimo una repubblica, dovremmo dunque rinunciare al Califfato, il ché ci porterebbe a rinunciare al Profeta e, da ultimo, a Dio stesso’. E qualcos’altro a riguardo: ‘Sto tessendo una corda per impiccare gli ingegneri, gli studenti e, in generale tutti quelli che scrivono da sinistra verso destra.’ [24]

Malgrado le forti persecuzioni dell’era sovietica, nel febbraio 1944 gli specialisti della propaganda antislamica ammisero di aver fallito nel tentativo di contenere l’espansione delle organizzazioni sufi, che emersero anche dopo la Seconda Guerra Mondiale:

…più potenti e influenti che prima della Guerra, probabilmente anche più del 1917. V.G Pivovarov, un eccellente sociologo sovietico, scrisse nel 1975: ‘Più della metà dei credenti musulmani della Repubblica Autonoma di Cecenia ed Inguscezia, sono dei murid [seguaci] della fratellanza’ [25]

Attualmente, il leader sufi Naqshbandi, Shamil Basayev, che vede sé stesso plasmato sui modelli leggendari dei jihadisti del Caucaso del nord del XIX secolo, come il suo omonimo Imam Shamil, gioca un ruolo chiave nell’attuale jihad contro il governo post-sovietico. Basayev, deve essere evidenziato, non sembra solo avere sogni di Califfato, ma ha anche organizzato il brutale massacro di Beslan, Ossezia del nord, dove il 3 settembre 2004 sono morti 331 bambini.

1. Reuven Firestone. jihad—The Origin of Holy War in islam, Oxford University Press, 1999, pp. 139—140, note 19.
2. Ayatollah Ruhollah Khomeini. “islam is not a Religion of Pacifists (1942)”, “Speech at Feyziyeh Theological School (August 24, 1979)”, and “On the Nature of the islamic State (September 8, 1979)”, English translations in Barry Rubin and Judith Colp Rubin, Anti—American Terrorism and the Middle East, Oxford, Oxford University Press, 2002, pp. 29, 32—36.; Sayyid Qutb. Chapter 4, “Jihaad in the cause of God”, in Milestones, Cedar Rapids, Iowa, The Mother Mosque Foundation, 1993, pp. 53—76.
3. W.M. Watt. [Translator]. The Faith and Practice of Al—Ghazali, Oxford, England, 1953, p. 13.
4. Al—Ghazali (d. 1111). Kitab al—Wagiz fi fiqh madhab al—imam al—Safi’i, Beirut, 1979, pp. 186, 190—91; 199—200; 202—203. [English translation by Dr. Michael Schub.]
5. Ibn Qudama. Le precis de droit d’Ibn Qudama, jurisconsulte musulman d’ecole hanbalite né a Jerusalem en 541/1146, mort à Damas en 620/1223, (Livre XX— ‘La Guerre Legale’), translated from Arabic into French by Henri Laoust, Beyrouth (Beirut), 1950, pp.273—276, 281. [‘Legal War’, chapter 20, The Summary of Law by Ibn Qudama]. English translation by Michael J. Miller.
6. Ibn Taymiyya, from al—Siyasa al—shariyya, translated by Rudolph Peters in jihad in classical and modern islam, Princeton, NJ, Markus Wiener, 1996, pp. 44—54.
7. A. Scheiber. ‘The Origins of Obadyah, the Norman Proselyte’ Journal of Jewish Studies (Oxford), Vol. 5, 1954, p. 37. Obadyah the Proselyte was born in Oppido (Lucano, southern Italy). He became a priest, and later converted to Judaism around 1102 A.D., living in Constantinople, Baghdad, Aleppo, and Egypt.
9. K.S. Lal. The Legacy of Muslim Rule in India, New Delhi, Aditya Prakashan, 1992, p. 237
10.Saiyid Athar Abbas Rizvi, Muslim revivalist movements in northern India in the sixteenth and seventeenth centuries. Agra, Lucknow: Agra University, Balkrishna Book Co, 1965, pp. 247—50; Yohanan Friedmann, Shaykh Ahmad Sirhindi: an outline of his thought and a study of his image in the eyes of posterity. Montreal, McGill University, Institute of islamic Studies, 1971, p.74.
[11] Friedmann. Shaykh Ahmad Sirhindi: an outline of his thought.
[12] Saiyid Athar Abbas Rizvi. Shah Wali—Allah and his times. Canberra, Australia, Ma’rifat Publishing House, 1980, pp. 294—296, 299, 301, 305.
[13] Rizvi. Shah Wali—Allah and his times, pp. 285—286.
[14] Sultanhussein Tabandeh. A Muslim Commentary on the Universal Declaration of Human Rights, English translation by F. J. Goulding, London, 1970.
[15] Eliz Sanasarian Religious Minorities in Iran, Cambridge University Press, 2000, pp. 25, 173, footnote
[16] Tome Pires, Suma Oriental (1512—1515) Haklyut Society Publications, Vol. I (London, 1944), p. 27.; Raphael du Mans, Estat de la Perse, 1660, ed. Schefer (Paris, 1890), pp. 193—194; cited in, W.J. Fischel, ‘The Jews in Medieval Iran from the 16th to the 18th centuries: Political, Economic, and Communal aspects’, Irano—Judaica, Jerusalem, 1982, p. 266; C.N. Seddon (translator), A Chronicle of the Early Safawis [Being the Ahsanu’t—Tawarikh of Hasan—i—Rumlu], 1934, Vol. II, p. xiv.
[17] Tabandeh, A Muslim Commentary on the Universal Declaration of Human Rights, pp. 4, 17—19,37
[18] Atlas of islamic history, compiled by Harry W. Hazard; maps executed by H. Lester Cooke, Jr., and J. McA. Smiley. Princeton, N.J., Princeton University Press, 1951, pp. 6,8,10,18,22,24.
[19] Y.V. Nikolaev. The Chechen Tragedy. Mineola, NY, Nova Science Publishers, 1996, p. 7.
[20] Nikolaev. The Chechen Tragedy, p. 7; A. Bennigsen, S.E. Wimbush. Mystics and Commisars. sufism in the Soviet Union. Berkeley, CA: University of California Press, 1985, p. 18.
[21] Bennigsen and Wimbush. Mystics and Commisars, p. 18.
[22] Bennigsen and Wimbush. Mystics and Commisars, p. 19.
[23] Bennigsen and Wimbush. Mystics and Commisars, p.19.
[24] Bennigsen and Wimbush. Mystics and Commisars, p.24.
[25] Bennigsen and Wimbush. Mystics and Commisars, p. 31.
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Jihad o goera "santa" xlamega on cremene contro l'omanedà

Messaggioda Berto » ven ago 12, 2016 7:17 am

Bandire l'Islam prima che distrugga l'Europa

viewtopic.php?f=188&t=2374

Bandire l'Islam prima che distrugga l'Europa - L'Islam è il culto idolatra, politico religioso, dell'orrore e del terrore, il culto di morte dell'idolo Allah e del suo profeta e primo terrorista assassino islamico, modello per tutti i mussulmani, da sempre, per sempre e ovunque.
Chiediamo al Papa cattolico romano, quanti cristiani, europei, occidentali ed altri innocenti del mondo, dovranno ancora morire prima che il suo "D-o o idolo cristiano del perdono, della fraternità e dell'amore universale" sia sazio, del sangue delle vittime, del martirio dei cristiani, degli innocenti di tutto il mondo, di ogni colore e di ogni credo religioso, e si scagli contro questo credo idolatra di morte che è l'Islam.

https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 8073159753

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... lIslam.jpg




Cari amici, i terroristi islamici dell'Isis hanno sferrato un nuovo atto di guerra in Francia

https://www.facebook.com/MagdiCristiano ... 0840965170

È di 80 morti il bilancio provvisorio di un attentato a Nizza con un camion che si è scagliato contro la folla assiepata sul lungomare nel giorno della Festa Nazionale del 14 luglio. Il camion è piombato a 80 km orari sulla folla, sterzava di continuo per colpire più persone possibile come fossero dei birilli.

I sostenitori dell’Isis «stanno celebrando il massacro di Nizza», riporta Site, il sito di monitoraggio delle attività dei terroristi islamici. Notando le luci della torre Eiffel spente in segno di lutto - scrive ancora il Site - un sostenitore dell’Isis ha chiesto che rimanga al buio fino alla conquista della Francia da parte dell’Isis.

"Siamo in guerra", aveva detto il Presidente francese Hollande la sera del 13 novembre 2015 quando Parigi fu insanguinata da atroci stragi terroristiche islamiche. Ebbene in guerra si deve combattere per vincere. E in questa guerra il nemico è dentro casa nostra e si chiama islam. O combattiamo e ci liberiamo dall'islam, o saremo sconfitti e sottomessi all'islam.




Strage a Nizza, Hollande: "La Francia sarà più forte dei fanatici"
15 luglio 2016
http://tg24.sky.it/tg24/mondo/2016/07/1 ... rismo.html

"La Francia è afflitta, inorridita da questa tragedia, questa mostruosità" ma "la Francia è forte e sarà sempre più forte dei fanatici che oggi vogliono colpirla". Con queste parole il presidente francese Francois Hollande ha commentato la strage di Nizza (il liveblog - le foto) in un messaggio alla nazione dopo un vertice con il premier Manuel Valls. Un attacco, "di cui non si può negare il carattere terroristico" ha specificato Hollande, aggiungendo che "lo stato di emergenza che doveva terminare il 26 luglio sarà prolungato di tre mesi". "Siamo stati colpiti il 14 luglio, giorno di Festa Nazionale e simbolo della libertà, perché i fondamentalisti negano i diritti fondamentali" ha poi aggiunto, annunciando che "rafforzeremo le operazioni" contro i terroristi dell'Isis "in Siria e in Iraq e contro chi ci attacca nel nostro territorio", aggiungendo: "Nulla ci farà cedere nella nostra volontà di lottare contro il terrorismo".

Hollande: "Tutta la Francia è minacciata" - Il camion che si è scagliato contro la folla a Nizza, uccidendo 80 persone, "aveva l'intenzione di uccidere, schiacciare e massacrare" ha detto il presidente francese, denunciando la "violenza assoluta" della strage. Il presidente francese ha spiegato inoltre che tra le vittime ci sarebbero anche molti bambini. "Dobbiamo fare di tutto per lottare contro questo flagello", ha continuato il presidente, visibilmente commosso. Il capo dello Stato ha quindi rivolto un messaggio di "solidarietà alle vittime e alle loro famiglie". Dopo gli attentati parigini del gennaio 2015 e del 13 novembre scorso ora viene "colpita Nizza. Tutta la Francia è sotto la minaccia del terrorismo islamico. In queste circostanze serve vigilanza assoluta e una determinazione senza fine", ha concluso.

Cazneuve: "Siamo in guerra" - Il ministro dell'Interno Cazneuve, che ha raggiunto nella notte Nizza, ha detto che "serve massima vigilanza perché siamo in una guerra con dei terroristi che vogliono colpirci ad ogni costo e in modo estremamente violento". Cazneuve ha poi dato il bilancio della strage: "80 persone sono morte, 18 sono in stato d'urgenza assoluta".
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Jihad o goera "santa" xlamega on cremene contro l'omanedà

Messaggioda Berto » ven ago 12, 2016 7:17 am

"Inginocchiati!". Poi l'orrore: così i jihadisti hanno sgozzato padre Jacques
L'esecuzione raccontata dalla suora sopravvissuta: "I due carnefici hanno recitato un sermone in arabo vicino all'altare". Poi hanno tagliato la gola a padre Jacques. L'esecuzione è stata filmata col cellulare
Sergio Rame - Mar, 26/07/2016

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/ing ... 89712.html

Hanno fatto inginocchiare padre Jacques Hamel, poi hanno recitato "un sermone in arabo vicino all'altare".

Quindi i due spietati jihadisti, "due soldati" dello Stato islamico, hanno messo mano al coltellaccio e lo hanno sgozzato come una bestia sacrificale. A raccontare la follia islamista è la suora che, dopo l'irruzione nella chiesa di Saint-Etienne-du Rouvray, vicino Rouen in Normandia, è riuscita a scappare senza farsi vedere dai due terroristi e a dare l'allarme permettendo alle teste di cuoio francesi di intervenire tempestivamente.

Il terrore jihadista fa il suo ingresso per la prima volta in una chiesa europea. Due terroristi di nazionalità francese, probabilmente "immigrati" di seconda generazione, hanno preso cinque persone in ostaggio nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, una piccola località nel cuore della Normandia. Un sacerdote è stato sgozzato. Altre tre persone sono rimaste ferite e una di loro, una suora che ha rischiaro anche lei di essere decapitata e ora versa tra la vita e la morte. La polizia ha ucciso i due assalitori che hanno attaccato i fedeli urlando "Allahu Akbar" e "Daesh" (l'acronimo in arabo che indica il Califfato). Ora quell'incubo rivive nel racconto della suora che non vuole rivelare ai media la propria identità. Ancora sotto choc per l'accaduto, la religiosa è stata, infatti, affidata a una cellula di sostegno psicologico.

I due terroristi hanno fatto irruzione nel luogo di culto, intorno alle dieci, durante la Santa Messa del mattno. Sono entrati dalla porta posteriore, mentre in chiesa c'erano, oltre al sacerdote, due religiose e due fedeli. "Padre Jacques Hamel - ha raccontato la suora che è sopravvissuta all'esecuzione - è stato fatto inginocchiare e uno dei carnefici ha recitato un sermone in arabo vicino all'altare". L'altro, invece, riprendeva tutto col cellulare. Una scena che ricorda troppo da vicino i video delle decapitazioni diffusi dai tagliagole dello Stato islamico. "Sono scappata quando hanno cominciato ad aggredire padre Jacques - ha spiegato la suora - non so nemmeno se si sono resi conto che stavo scappando". Agli inquirenti la religiosa ha raccontato che tra di loro i due jihadisti, che hanno detto di agire "in nome dell'Isis", parlavano in arabo. Prima di lasciare la chiesa è riuscita a vedere il coltello con cui le due bestie hanno sgozzato padre Jacques.

Una volta chiamate dalla suora, le forze dell'ordine sono intervenute rapidamente e hanno circondato il quartiere. Intorno alle 11, il sequestro era terminato. Le teste di cuoio del Bri e gli uomini del Raid erano sul posto. Sono stati gli uomini della Bri di Rouen che hanno neutralizzato i due assalitori, quando i due, coltelli alla mano, sono apparsi sul sagrato all'urlo "Allahu akbar".
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Messaggioda Berto » ven ago 12, 2016 7:17 am

Canada, preparava un attacco: polizia uccide jihadista dell'Isis
Aaron Driver stava per compiere un attentato. Quando è satto bloccato a bordo di un taxi, aveva già azionato un congegno esplosivo. La polizia l'ha ucciso
Sergio Rame - Gio, 11/08/2016 - 21:56

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/can ... 96013.html


L'attacco terroristico era imminente. E, dopo aver ricevuto "informazioni credibili di una potenziale minaccia terroristica", la polizia ha fatto scattare l'operazione per arrestare Aaron Driver, il terrorista che aveva giurato fedeltà ai tagliagole dell'Isis.

Quando è stato bloccato dagli agenti, si trovava a bordo di un taxi e aveva già azionato un congegno esplosivo. Per evitare che l'esplosione facesse dei morti, il terrorista è stato ammazzato.

Aaron Driver, che sul web era anche conosciuto con l'alias Harun Abdurahman, era già stato arrestato lo scorso anno per aver sostenuto apertamente lo Stato islamico sui social media. Non era stato accusato di un crimine specifico, ma nel mese di febbraio era stato raggiunto da un peace bond, un ordine del tribunale che imponeva determinati limiti ai suoi movimenti, lo obbligava a stare lontano da social media e computer e, soprattutto, gli imponeva non avere contatti con lo Stato islamico o gruppi militanti simili.

Nonostante le restrizioni, Driver aveva continuato a radicalizzarsi frequentando ambienti jihadisti. Tanto che, prima che le forze di sicurezza intervenissero per arrestarlo, aveva già registrato il "video del martirio" in cui, dopo aver citato alcuni versetti del Corano, annunciava un imminente attacco contro una città canadese."Oh Canada, hai ricevuto molti avvertimenti - dice nel filmato mostrato dalla polizia in una conferenza stampa a Ottawa - ti è stato detto molte volte che cosa ne sarebbe stato di quelli che combattono contro lo Stato islamico". Prima che il jihadista dell'Isis potesse colpire, la polizia ha fatto scattare l'operazione a Strathroy, città a circa 225 chilometri a sudovest di Toronto.

http://www.ilgiornale.it/video/mondo/vi ... 96012.html
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Messaggioda Berto » ven ago 26, 2016 9:41 pm

Origine del jihād: dogma e strategia
Scritto il 20 settembre 2014

http://islamicamentando.altervista.org/ ... -strategia

L’islam, religione rivelata in lingua araba da un profeta arabo, nacque in Arabia nel VII secolo e si sviluppò in seno a una popolazione le cui tradizioni e usanze erano influenzate da un particolare ambiente geografico. Per questo, pur mutuando dalle religioni bibliche il nucleo essenziale del loro insegnamento etico, esso incorporò elementi culturali locali, propri dei costumi delle tribù nomadi o parzialmente sedentarie che popolavano il Hijaz. Queste tribù, che costituivano il nucleo militante della comunità islamica, attraverso la guerra le assicurarono il costante sviluppo delle sue risorse e dei suoi adepti. Fu così che nel giro di un secolo gli arabi islamizzati, originari delle regioni più aride del pianeta, ne conquistarono gli imperi più potenti, e al tempo stesso assoggettarono i popoli che avevano dato vita alle civiltà più prestigiose.

Il jihād (la guerra santa contro i non musulmani) nasceva dall’incontro tra le consuetudini del grande nomadismo guerriero e le condizioni di vita di Maometto a Yathrib (più tardi Medina), dov’era emigrato nel 622 sfuggendo agli idolatri di La Mecca. Priva di mezzi di sostentamento, la piccola comunità musulmana in esilio viveva a carico dei neoconvertiti di Medina, gli ansar ovvero gli ausiliari. Ma poiché tale situazione non poteva protrarsi, il Profeta organizzò alcune spedizioni volte a intercettare le carovane che commerciavano con La Mecca. Interprete della volontà di Allāh, Maometto riuniva in sé i poteri politici del capo militare, la leadership religiosa e le funzioni di un giudice: «Chiunque obbedisce al Messaggero, obbedisce a Dio» (Corano IV,80).

Fu così che una serie di rivelazioni divine, elaborate ad hoc per tali spedizioni, vennero a legittimare i diritti dei musulmani sui beni e la vita dei loro nemici pagani, e furono creati versetti coranici finalizzati a santificare di volta in volta il condizionamento psicologico dei combattenti, la logistica e le modalità delle battaglie, la spartizione del bottino e la sorte dei vinti. A poco a poco fu definita la natura delle relazioni da adottare nei confronti dei non musulmani nel corso delle imboscate, delle battaglie, degli stratagemmi e delle tregue, ossia dell’intera gamma di strategie in cui si articolava la guerra santa necessaria ad assicurare l’espansione dell’islam.

La politica adottata da Maometto nei confronti degli ebrei di Medina, nonché degli ebrei e dei cristiani delle oasi del Hijāz, determinò quella dei suoi successori nei confronti degli abitanti indigeni ebrei e cristiani dei paesi conquistati. Gli ebrei di Medina furono o depredati e cacciati dalla città (sorte toccata ai Banū Quynuqā e ai Banū Nadīr, 624-625), o massacrati, a eccezione dei convertiti all’islam, delle donne e dei bambini, che furono ridotti in schiavitù (come accadde ai Banū Qurayza, 627). E poiché tutte queste decisioni furono giustificate mediante rivelazioni di Allah contenute nel Corano, esse assunsero valore normativo e divennero una componente obbligata della strategia del jihād. I beni degli ebrei di Medina andarono a costituire un bottino che fu spartito tra i combattenti musulmani, in base al criterio per cui un quinto di ogni preda era riservato al Profeta. Tuttavia, nel caso dei Banū Nadīr Maometto conservò la totalità del bottino poiché questo, essendo stato confiscato senza colpo ferire, secondo alcuni versetti coranici (LIX,6-8) spettava integralmente al Profeta, incaricato di gestirlo a beneficio della comunità islamica, la umma. Fu questa l’origine del fay’, ossia del principio ideologico, gravido di conseguenze per il futuro, in base al quale il patrimonio collettivo della umma era costituito dai beni sottratti ai non musulmani.

Fu nel trattato concluso tra Maometto e gli ebrei che coltivavano l’oasi di Khaybar che i giureconsulti musulmani delle epoche successive individuarono l’origine dello statuto dei popoli tributari, tra gli ebrei e i cristiani – designati collettivamente come Gente del Libro (la Bibbia) – e gli zoroastriani persiani.

Secondo questo trattato, Maometto aveva confermato agli ebrei di Khaybar il possesso delle loro terre, la cui proprietà passava invece ai musulmani a titolo di bottino (fay‘). Gli ebrei conservavano la loro religione e i loro beni in cambio della consegna di metà dei loro raccolti ai musulmani. Tuttavia tale statuto non era definitivo, in quanto Maometto si riservava il diritto di abrogarlo quando lo avesse ritenuto opportuno1.

La umma continuò a ingrandirsi e ad arricchirsi grazie alle spedizioni contro le carovane e le oasi – abitate da ebrei, cristiani o pagani – dell’ Arabia e delle regioni di confine siro-palestinesi (629-632). Tali agglomerati, situati a nord di Ayla (Eilat), nel Wādī Rum e nei pressi di Mu’tah, erano circondati da tribù arabe nomadi. Quando esse si schierarono con Maometto gli stanziali, terrorizzati dalle razzie, preferirono trattare con il profeta e concordare il pagamento di un tributo. Attingendo a fonti contemporanee, Michele il Siro rievoca quegli eventi:

[Maometto] cominciò a radunare delle truppe e a salire a tendere delle imboscate nelle regioni della Palestina, al fine di persuadere [gli arabi] a credere in lui e a unirsi a lui portando loro del bottino. E poiché egli, partendo [da Medina], si era recato più volte [in Palestina] senza subire danni, anzi, l’aveva saccheggiata ed era tornato carico <di bottino>, la cosa [la predicazione di Maometto] fu avvalorata ai loro occhi dalla loro avidità di ricchezze, che li portò a istituire la consuetudine fissa di salire lì a fare bottino… Ben presto le sue truppe si misero a invadere e a depredare numerosi paesi [… ]. Abbiamo mostrato in precedenza come, sin dall’inizio del loro impero e per tutta la durata della vita di Maometto, gli arabi partissero per fare prigionieri, saccheggiare, rubare, tendere insidie, invadere e distruggere i paesi.2

Alla morte del Profeta (632), quasi tutte le tribù del Hijāz avevano aderito all’islam, in Arabia l’idolatria era stata vinta e le Genti del Libro (ebrei e cristiani) pagavano un tributo ai musulmani. Il successore del profeta, Abū Bakr, represse la rivolta dei beduini (ridda) e impose loro l’adesione all’islam e il pagamento dell’imposta legale (zakāt). Dopo aver unificato la Penisola, egli portò la guerra (jihād) al di fuori dell’Arabia. Il jihād consisteva nell’imporre ai non musulmani una di queste due alternative: la conversione o il tributo; il rifiuto di entrambe obbligava i musulmani a combatterli fino alla vittoria (9:29). Gli arabi pagani potevano scegliere tra la morte e la conversione; quanto agli ebrei, ai cristiani e agli zoroastriani, in cambio del tributo e in base alle modalità della conquista, essi potevano «riscattare» le loro vite e al tempo stesso mantenere la libertà di culto e il sicuro possesso dei loro beni. Nel 640 il secondo califfo, Ornar ibn al-Khattāb, cacciò dal Hijāz i tributari ebrei e cristiani appellandosi alla dhimma (contratto) di Khaybar: la Terra appartiene ad Allah e al suo Inviato, e il contratto può essere rescisso a discrezione dell’imam, leader religioso e politico della umma e interprete della volontà di Allah. Ornar invocò altresì l’auspicio espresso dal profeta: «Nella Penisola Arabica non devono coesistere due religioni»3. La dottrina del jihād mutua le pratiche razziatorie tipiche dei nomadi, ma mitigandole con una serie di ingiunzioni contenute nel Corano. Furono i giureconsulti musulmani a ratificare in base alla dogmatica coranica le strategie e le tattiche delle operazioni militari legate alle guerre di conquista, il trattamento da riservare ai popoli vinti, il regime fiscale e lo status da assegnare ai territori conquistati (decima, kharaj, fay‘).

Questi giureconsulti si impegnarono a discriminare, nel colossale bottino costituito dai paesi e dai popoli sottomessi, tra i beni dello Stato (fay‘) e quelli delle tribù che avevano partecipato al jihād. Essi adottarono una classificazione fiscale delle terre conquistate funzionale alle modalità della conquista e ai trattati di resa, autentici o fittizi che fossero, nei concetti di jizya (testatico sui non musulmani), kharaj (imposta in natura o in denaro sulle loro terre) e fay‘ (beni dello Stato), che furono tutti inseriti in una concezione teologica della guerra di conquista: il jihād.

Fu dunque il diritto di conquista a determinare la categoria fiscale da applicare a un territorio (decima o kharaj) e a regolare lo status dei suoi abitanti. Questa classificazione fu attribuita dai giureconsulti medievali al secondo califfo, Omar ibn al-Khattāb.

Secondo tali giuristi, Omar avrebbe negoziato le condizioni della resa in funzione del tributo versato dai non musulmani, e si sarebbe opposto alla riduzione in schiavitù e alla spartizione immediata delle popolazioni stanziali produttrici di ricchezza, due misure che rischiavano di distruggere la fonte stessa della potenza araba, poiché i beduini non erano né abbastanza numerosi per popolare i nuovi territori, né abbastanza abili per lavorarli. Infatti i loro clan, composti da mercanti carovanieri e da una maggioranza di pastori nomadi, ignoravano le complesse tecniche economico-amministrative proprie di civiltà culturalmente evolute quali quella persiana e bizantina. Per imporre le sue decisioni, il califfo avrebbe invocato quelle prese da Maometto al tempo delle guerre contro gli ebrei di Medina, quando egli aveva confiscato i beni dei Banū Nadīr, classificandoli come fay‘, per amministrarli a beneficio della umma; quanto agli ebrei di Khaybar, il Profeta li aveva dispensati dalla schiavitù in cambio del tributo imposto sui loro raccolti.

Ornar avrebbe fatto riferimento a tali precedenti per decretare che i popoli scritturali vinti, poiché avevano negoziato la loro resa, erano protetti dalla schiavitù e dai massacri dallo stesso Stato islamico, che garantiva la sicurezza delle loro vite, dei loro beni, della loro fede, e si asteneva dall’intromettersi nei loro affari.

Questi popoli costituivano il fay‘ della umma, cioè il bottino che, in quanto appartenente alla collettività, sarebbe stato sottratto alla spartizione individuale e amministrato dal califfo.

Si formò così la peculiare categoria sociopolitica e religiosa dei «protetti» o dhimmī. Da allora Omar avrebbe introdotto nel diritto bellico concernente le popolazioni vinte una distinzione giuridica tra il bottino umano, spartito individualmente secondo le modalità della conquista, e i dhimmī, bottino collettivo soggetto al tributo. Per quanto riguarda la terra, egli si sarebbe rifatto al precedente stabilito da Maometto a proposito dei beni dei Banū Nadīr per distinguere tra le prede da spartirsi tra i singoli conquistatori e quelle che costituivano la proprietà fondiaria collettiva dello Stato musulmano.

Le conversioni all’islam e le confische dei terreni da parte dei nomadi trasferirono a poco a poco le terre del kharaj nella categoria fiscalmente privilegiata di «terre della decima». Per giunta, poiché i contadini dhimmī abbandonavano i campi e i beduini, che non erano in grado di coltivarli, li lasciavano incolti, il territorio imponibile e gli introiti dello Stato diminuivano considerevolmente. Per arginare questo duplice processo di impoverimento, i califfi omayyadi e i primi abbasidi presero una serie di misure finalizzate a vincolare il kharaj alla terra. I contadini dhimmī, in quanto fonte di reddito imponibile, furono protetti dalle usurpazioni e dalle rapine.

Alcuni testi di diritto islamico specificano la natura, la base di calcolo e le modalità di riscossione del kharaj. Nell’ epoca detta dell’islam classico, considerata la più prestigiosa della civiltà arabo-musulmana sia per il suo splendore culturale sia per l’opulenza di una corte che disponeva di ricchezze favolose, il celebre qādī di Baghdad Abū Yūsuf Ya’qūb (731-798) scrisse al riguardo un’opera fondamentale, destinata al califfo Harlin al-Rashid (786-809). L’autore raccomanda agli esattori delle tasse di trattare i tributari con gentilezza e moderazione, citando hadīth a sostegno di tale tesi. Questo saggio di diritto teorico, nonostante contenga un capitolo dedicato alle disposizioni restrittive da adottare nei confronti degli ebrei e dei cristiani, conferma l’immagine tradizionale di un governo innamorato della tolleranza e dell’equità, di un’ autentica età dell’oro per i popoli ebraici e cristiani retti dalla giustizia musulmana.

Ma una pregevole cronaca redatta da un religioso monofisita, lo pseudopatriarca Dionigi, originario di Tell Mahre, un villaggio della Mesopotamia, fotografa con esattezza la situazione fiscale dei non musulmani. Dettagliata come un’istantanea scattata su questo periodo storico di transizione, la cronaca termina nel 774 e abbraccia la Mesopotamia, l’Egitto, la Siria e la Palestina dell’VIII secolo. All’epoca i dhimmī – piccoli proprietari, artigiani o mezzadri che coltivavano i feudi assegnati agli arabi – costituivano la maggior parte della popolazione rurale, formata per lo più da cristiani (copti, siriaci, nestoriani), a cui si univano numerosi contadini ebrei. Dalla cronaca emergono i meccanismi che, in tutto l’Oriente islamizzato, condussero alla distruzione di una struttura sociale basata su una fiorente classe agricola dhimmī. Ai continui processi di confisca delle terre da parte delle tribù beduine infiltratesi con i loro greggi, o degli arabi sedentarizzati delle prime ondate della penetrazione islamica, si sommavano i devastanti effetti della pressione fiscale praticata dal governo.

Il califfo al-Mansūr (754-775) ordinò il censimento dei contribuenti soggetti al kharifj, e insediò un governatore in Mesopotamia:

Per bollare e marchiare gli uomini nella parte superiore del collo, come fossero schiavi [… ]. In questo caso, però, gli uomini non recavano tale segno [il marchio della Bestia] solo sulla fronte, ma anche su entrambe le mani, sul petto e perfino sulla schiena […]. Quando egli [il governatore] si presentò nelle città, tutti gli uomini furono assaliti dal terrore e si diedero alla fuga dinanzi a lui [… ]. Egli [al-Mansūr] istituì anche un altro governatore, con il compito di ricondurre al suo paese e alla casa di suo padre ciascuno di <coloro che si erano dati alla fuga> [… ]. Da allora non vi fu più scampo in nessun luogo, ma dappertutto regnarono il saccheggio, la malvagità, l’iniquità, l’empietà e ogni sorta di cattive azioni: calunnie, ingiustizie e vendette reciproche.4Spremuti e torturati dagli esattori, gli abitanti dei villaggi si nascondevano o emigravano nelle città, dove speravano di confondersi nell’ anonimato della moltitudine di prigionieri deportati dalle regioni conquistate e nella massa degli schiavi arraffati durante le razzie. Tuttavia, perfino in città raramente i dhimmī sfuggivano agli esattori: «Gli uomini furono dispersi, e presero a errare da un luogo all’altro; i raccolti furono devastati, le campagne saccheggiate; la gente si mise a vagare di paese in paese».5

Il denaro veniva estorto con le percosse, le torture e la morte, specie per crocifissione6. Talvolta l’intera popolazione di un villaggio restava rinchiusa in una chiesa per parecchi giorni, senza cibo e costretta, finché non pagava un riscatto. Al tempo stesso, gli arabi che si erano appropriati con la frode delle terre dei dhimmī furono espulsi dagli agenti del fisco. Il califfo insediò un persiano [un funzionario di Baghdad a Marda], con l’incarico di ricondurvi i fuggitivi e di riscuotere il tributo. In questa città, infatti, le fughe erano state più massicce che in qualsiasi altra, e l’intera regione era occupata dagli arabi poiché i siriaci [le popolazioni indigene non musulmane] erano fuggiti di fronte alla loro avanzata.7 Quest’uomo, «di cui è impossibile trovare l’uguale, prima e dopo di lui, per l’animosità che manifestava contro gli arabi», ricondusse da tutte le città nelle quali erano dispersi gli originari abitanti di Marda, da cui, due o tre generazioni prima, erano stati scacciati dagli arabi:

In tal modo egli radunò in quella regione una moltitudine tanto grande che non vi era luogo, né villaggio, né casa che non fosse pieno e non traboccasse di abitanti. Quindi costrinse gli arabi a trasferirsi da una regione all’altra e s’impadronì di tutto ciò che possedevano; poi riempì le loro terre e le loro case di siriaci, e fece seminare il loro grano da questi ultimi.8

Il carattere paradossale di questa strategia si spiega alla luce di motivazioni di carattere fiscale. I popoli vinti non musulmani costituivano il fay‘, il bottino di guerra del califfo, e in quanto tali erano tenuti a pagargli un tributo, mentre gli arabi, avendo contribuito alla vittoria, reclamavano da lui una parte del bottino o delle sovvenzioni. Pertanto, le misure implicanti la restituzione dei beni alle popolazioni locali e la loro permanenza forzata nei villaggi andavano ad accrescere il patrimonio fondiario del califfo e le sue entrate. Il rastrellamento organizzato in tutto l’Impero abbaside per scovare i contadini dhimmī richiedeva l’impiego di un enorme numero di persone, alle quali spesso si univano i briganti, avidi di rapine e di saccheggi. Le spese per l’alloggio e il mantenimento dei decimatori e degli esattori, unite ai doni che essi esigevano dai loro ospiti, finirono per mandare in rovina i villaggi. Un cronista ci ragguaglia così sulla situazione in Palestina:

Il califfo si recò nella regione occidentale, diretto a Gerusalemme. E la sconquassò, la sconvolse, la atterrì e la devastò ancor più violentemente di quanto avesse fatto con la Mesopotamia. Agì in conformità alle profezie di Daniele sull’Anticristo stesso. Trasformò il tempio in moschea, infatti quel poco che restava del Tempio di Salomone divenne una moschea a uso degli arabi [… l. Egli restaurò le rovine di Gerusalemme. Assaliva gli uomini impadronendosi dei loro beni e del loro bestiame, soprattutto dei bufali. Non lasciò nulla a nessuno di sua volontà. E, dopo aver arrecato ogni sorta di devastazioni, come aveva fatto in Mesopotamia, all’inizio dell’inverno ritornò in Mesopotamia per soggiornarvi e continuare la sua opera di distruzione.9

_______________
1. Ibn Ishāq Muhammad ibn Yasār (morto nel 767), Sīra rasūl Allāh (Vita dell’Inviato di Dio).
2. Michele il Siro, Chronique de Meichelin le Syrien, patriarche jacobite d’Antioche (1166-1199).
3. Ibn Ishāq, Sīra rasūl Allāh cit.., p. 525; al-Bukhārī, Les traditions islamiques cit., vol. 2, titolo 41, cap. 17 e titolo 54, cap. 14; vol. 4, titolo 89, cap. 2; Muslim ibn al-Hajjāj, (morto nell’875), Traditions (al-Sahīh), trad. di Abdül Hamīd Siddīqī, 4 voll., Muhammad Ashraf Press, Lahore 1976, voI. 3, cap.723 (4366); Antoine Fattal, Le statut légal des non-musulmans en pays d’islam, Imprimerie Catholique, Beirut 1958 1 (Dar el Machreq, Beirut 1995 2), p. 85.
4. Jean-Baptiste. Chbot (a cura di), Chronique de, Denys de Tell Metré, quatrième parttie, Bibliothèque de l’École des Hautes Etudes, Bouillon, Paris 1895, pp. 104-105.
5. ivi, p. 112; per le città come luoghi di rifugio vedi Ashtor, A Social and Economie History of the Near East cit., p. 17.
6. Chronique de Denys de Tell Mahré cit., pp. 193-195; Lokkegaard, Islamic Taxatlon In the Classical Period cit., p. 92.
7. Chronique de Denys de Tell Mahré cit., pp. 105-116. Nelle cronache siriache i termini «egiziani, siriaci» designano sempre le popolazioni indigene cristiane monofisite. Invece gli arabi sono chiamati «tayyaye», dal nome di una tribù nomade del Nord dell’ Arabia, i Banū Tayy o Banū Tayyiya.
8. Ivi.
9. Chronique de Denys de Tell Mahré cit., pp. 108-109.


Umma
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Re: Jihad o goera "santa" xlamega on cremene contro l'omaned

Messaggioda Berto » sab ott 01, 2016 6:53 am

Bangladesh: "Attaccate atei, apostati e cristiani"
Diffuso dallo Stato Islamico un nuovo video che minaccia attacchi nel Paese
Fabio Polese - Ven, 30/09/2016

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/ban ... 12995.html

Un nuovo video dello Stato Islamico è apparso in queste ore in Bangladesh.

Nelle immagini diffuse dai jihadisti si vedono anche i cinque terroristi che hanno assaltato il ristorante nel quartiere diplomatico di Dacca il primo luglio scorso, provocando la morte di venti persone, compresi nove nostri connazionali.

Nel filmato - della durata di 15 minuti - i terroristi invitano i musulmani a lanciare attacchi armati contro atei, apostati e cristiani, per “vendicare le persecuzioni in Iraq, in Sira e in altre parti del mondo”. Ma non solo. Nel video vengono minacciati anche alcuni religiosi musulmani del Paese che hanno condannato l’attività dei gruppi radicali. Tra loro anche, Maulana Farid Uddin Masud – presidente del Bangladesh Jamatul Ulema (BJU) – che ha guidato una fatwa contro l’estremismo.

Il Dakha Tribune ha riferito che le immagini sono comparse inizialmente su Nashir Political Service, un canale di propaganda dello Stato Islamico sulla piattaforma di Telegram. Secondo l’analista Shahedul Anam Khan, il video è stato registrato in “un luogo isolato in Bangladesh molto prima dell’assalto al ristorante Holey Artisan Bakery”.

La polizia, che dopo l’attacco di luglio ha iniziato una vasta operazione antiterrorismo, uccidendo una ventina di miliziani islamici, compreso Tamim Ahmed Chowdhury, ideatore della strage e leader del gruppo Jamaat-ul-Mujahideen, sostiene che i terroristi avrebbero perso il 60 per cento della potenzialità.
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Messaggioda Berto » sab dic 10, 2016 8:36 pm

Terrorismo, uomo arrestato a Rotterdam. Aveva armi e bandiera Isis
Un cittadino olandese di 30 anni è stato catturato a Rotterdam: in casa aveva armi e una bandiera dell'Isis
Venerdì, 9 dicembre 2016
http://www.affaritaliani.it/cronache/te ... 53877.html

Un cittadino olandese di 30 anni e' stato catturato a Rotterdam sulla base di una segnalazione da parte dei locali servizi d'intelligence: stando a fonti investigative, e' sospettato di aver pianificato un "crimine terroristico", cioe' un attentato. Risale a ieri l'irruzione delle forze speciali in casa sua, dove sono stati trovati tra l'altro un fucile d'assalto Ak-47, due caricatori completi e quattro confezioni di materiale pirotecnico illegale.

Confiscati anche un quadro che riproduceva la bandiera nera utilizzata dai jihadisti dello Stato Islamico, diversi telefoni cellulari e circa 1.600 euro in contanti. Il giudice ne ha convalidato l'arresto, disponendone la custodia preventiva in attesa dell'interrogatorio. L'uomo dovrebbe comparire in tribunale fra due settimane. Si calcola che siano oltre 270 le persone partite dai Paesi Bassi per andare a combattere in Siria e in Iraq come foreign fighters nelle file dell'Isis: almeno 44 sarebbero stati uccisi, altri centonovanta rimangono nella regione, compresi donne e bambini, mentre una quarantina risultano essere nel frattempo rientrati in patria.


https://www.facebook.com/islamicamentan ... ED&fref=nf
Una precisazione. Non ce ne voglia il giornalista che ha scritto l'articolo. La bandiera non è dell'Isis ma dell'Islam, dato che non contiene altro che la Shahada La ilàha illa Allàh, ossia "Non c'è divinità se non Allah"e la seconda parte dell'attestazione di fede islamica Muḥammad rasùl Allàh, ossia "Maometto è l'Inviato di Allah".
Per il resto, niente di nuovo sotto al sole: come ormai accade da ben 1400 anni siamo di fronte ad una religione di pace che viene costantemente fraintesa dai suoi adepti. Una coincidenza che, dobbiamo ammetterlo, ha qualcosa di miracoloso.
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