Lovato dei Lovati (e l mito de Antenore)

Lovato dei Lovati (e l mito de Antenore)

Messaggioda Berto » mar giu 07, 2016 2:01 pm

Lovato dei Lovati (e l mito de Antenore)
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Re: Lovato dei Lovati (e l mito de Antenore)

Messaggioda Berto » mar giu 07, 2016 2:02 pm

Lovato Lovati, o Lovato de' Lovati, nome umanistico Lupatus de Lupatis (Padova, 1240 circa – Padova, 7 marzo 1309), è stato un notaio, poeta e giudice italiano.

https://it.wikipedia.org/wiki/Lovato_Lovati

Lovati deve la propria fama anche ad una questione occorsa durante la sua carriera di giudice, quando nel 1274 fu chiamato a giudicare l'attribuzione di un'arca funeraria rinvenuta durante la costruzione di un ospizio per trovatelli in Via San Biagio a Padova.

L'arca, contenente due bare in cipresso e piombo, venne attribuita al principe troiano Antenore, il mitologico fondatore della città. Un antico detto, circolante fra gli ambienti dotti preumanistici del tempo, recitava infatti: "Quando la capra parlerà e il lovo risponderà, Antenore si troverà". Il Capomastro che aveva effettuato la scoperta dei resti si chiamava Capra, il lovo (il lupo in dialetto veneto) fu identificato con lo stesso Lovato, pertanto quest'ultimo si schierò a favore dell'originalità del reperto e sostenne la tesi dell'appartenenza ad Antenore. I capi della città, cercando di ottenere una legittimazione mitologica per la città di recente sviluppo, sostennero la tesi di buon grado. A Lovati venne concesso il privilegio di istoriare l'arca in marmo dettando due quartine in latino, incise sui lati della stessa dal maestro artigiano Capra.

Solo nel 1985 analisi scientifiche hanno escluso l'appartenenza dei resti all'eroe troiano, ma hanno dimostrato che il manufatto risale al II secolo-III secolo dopo Cristo.
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Re: Lovato dei Lovati (e l mito de Antenore)

Messaggioda Berto » mar giu 07, 2016 2:02 pm

LOVATI, Lovato (Lupatus de Lupatis). - Nacque a Padova, nel 1240 o poco prima, da Rolando di Giovanni detto Lovato, che morì prima del 1281; non si conosce il nome della madre.

http://www.treccani.it/enciclopedia/lov ... grafico%29
di Benjamin G. Kohl

La famiglia, nella quale si erano succeduti notai da molte generazioni, aveva una posizione di rilievo nella società padovana. Il padre fu notaio presso Giacomo da Carrara nel 1257 e fu legato a Guecellone Dalesmanini. Il fratello Alberto, anch'egli notaio (morì prima del 1301), era attivo al servizio dei da Camino, signori di Treviso, e nel 1297 ricoprì la carica di cancelliere del Comune di Padova. La sorella sposò Guido da Piazzola e tra i suoi figli ci fu il giudice, umanista e antiquario Rolando, che divenne discepolo del Lovati.

La prima testimonianza relativa al L. risale al 22 luglio 1257, in un documento notarile redatto dal padre dove compare la sua sottoscrizione: "Lovatus filius Rolandi notarii, regalis aule notarius" (Guido Billanovich, 1976, p. 26). È l'atto da cui si può dedurre la data di nascita del L., dato che si diventava notaio dopo il compimento dei diciassette anni.

Il 6 maggio 1267 fu ammesso nel Collegio padovano dei giudici, del quale risulta essere stato gastaldo, insieme con Guglielmo Curtarolo, in un documento datato 10 febbr. 1273.

Intorno al 1270 sposò Jacopina di Vincenzo da Solesino, dalla quale ebbe quattro figli: tre maschi, dei quali il maggiore si chiamava Rolando, il secondo Polidamante, dal nome del figlio dell'eroe troiano Antenore, e il terzo Giordano; e una femmina, Beatrice. Nel 1275 il suo nome compariva in una lista di cittadini padovani residenti nella contrada S. Lorenzo, nei pressi del ponte Altinate. Quando gli scavi compiuti nell'area nel 1283 portarono alla luce uno scheletro di dimensioni rilevanti, il L. non esitò a identificarlo con quello di Antenore, l'eroe troiano leggendario fondatore di Padova. In seguito a questo avvenimento il L. convinse i capi della città a costruire un monumento funebre per il quale compose un'iscrizione che descriveva la fondazione della città con versi tratti da Virgilio, dai Fasti di Ovidio e da Livio.

La carriera del L. come giudice in Padova è documentata per gli anni 1271, 1290, 1299-1300, 1303 e 1306-07. Nel 1282 ricoprì anche la carica di podestà di Bassano, in seguito alla quale il L. fu nominato l'anno successivo arbitro fra i Comuni di Bassano, Solagna e Piove di Sacco. Nel 1288 e nel 1293 fu a Treviso come procuratore di Tommaso Caponegro nei suoi sforzi per acquisire l'eredità del trevigiano Ansegiso Guidotti, che era stato vicario di Ezzelino da Romano a Padova. Il 20 giugno 1289 il L. compare, insieme con Zambono di Andrea, come testimone nella contrada S. Martino a Padova nella divisione della proprietà di Giacomino Papafava da Carrara tra i suoi quattro figli.

Fu podestà di Vicenza dalla fine del 1291 alla fine del 1292. In quel periodo era già stato creato cavaliere, dato che in un documento del 19 luglio 1292 è definito "honorabilis miles dominus Lovatus iudex de Padua potestas Vincentie" (Verci). Insieme con Albertino Mussato, il 30 ott. 1302 redasse uno statuto di rappresaglia a favore di Elena Della Torre, prima moglie di Nicolò di Ubertino da Carrara, che la metteva in grado di recuperare i suoi beni a Milano. Il 18 maggio 1304 il L. comparve come testimone, insieme con diversi altri notabili padovani, tra i quali Zambono di Andrea, al trattato che assicurava a Padova l'appoggio di Verona nella guerra del sale contro Venezia. Nel 1306 fu uno dei Dodici savi scelti dal Comune padovano per proteggere il ritorno in città di Pietro d'Abano.
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Re: Lovato dei Lovati (e l mito de Antenore)

Messaggioda Berto » mar giu 07, 2016 2:02 pm

Lovat, Lovato, Lovatełi, Lovatini, Lova, Lovixon, Lovixe, ...
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Re: Lovato dei Lovati (e l mito de Antenore)

Messaggioda Berto » mar giu 07, 2016 2:03 pm

L’eroe e la sua tomba, un colpo di genio
L’umanista Lovato Lovati attribuì ad Antenore uno scheletro trovato in contrada San Biagio. E l’idea piacque a tutti di FRANCESCO JORI
30 marzo 2016

http://mattinopadova.gelocal.it/padova/ ... 1.13211324

Una brillante operazione di marketing territoriale, la definiremmo oggi. Siamo verso la fine del Duecento, e a una Padova in gran spolvero politico, economico e sociale manca un testimonial prestigioso da spendere. Ci pensa nel 1274 un umanista padovano, Lovato Lovati, che da tempo coltiva la passione per lo studio dell’antichità classica e per l’archeologia. Durante uno scavo in contrada San Biagio per la ristrutturazione del ponte di San Lorenzo (quello che oggi si può vedere nel sottopassaggio della riviera dei Ponti Romani, tra università e prefettura), vengono alla luce due vasi pieni di monete e una cassa di piombo, che ne contiene una seconda in legno di cipresso: dentro ci sono uno scheletro e una spada. Lovati abita a due passi da lì, nella parrocchia di San Daniele; come sente dell’accaduto si precipita sul posto, e dopo un rapido esame si inventa un’autentica genialata: sono le spoglie di Antenore, proclama. Sottraendo così l’eroe troiano al mito delle origini fondative della città, e facendone uno sponsor strepitoso.

In Comune non ci pensano sopra due volte per allinearsi e cavalcare l’idea: reduce dal truce ventennio ezzeliniano, stretta tra le mire espansionistiche veronesi a ovest e la sempre più ingombrante concorrenza di Venezia a est, la Repubblica patavina prende al volo l’occasione di dotarsi di un look carico di richiami storici e letterari. Così, sotto la regìa di Lovati, fa indire solenni festeggiamenti, e a due passi dal luogo del ritrovamento fa erigere l’arca che ancor oggi vi compare. L’autore dello scoop detta di persona le due quartine in latino incise sui lati. E siccome il capomastro che ha effettuato materialmente il ritrovamento si chiama Capra, completa l’opera di marketing rispolverando un’antica profezia: “Quando la capra parlerà e il lupo risponderà, Antenore si troverà”. Lupo, in dialetto, si dice lovaro: da lì a Lovato, il passo è di appena una consonante. Ci vorranno secoli prima che l’impianto venga smontato. Nel 1985, il monumento funebre verrà riaperto e il suo contenuto sottoposto ad analisi accurate: rivelando che sempre di un guerriero si tratta, ma assai meno nobile e soprattutto meno datato; probabilmente uno dei tanti barbari transitati per il Veneto dopo la caduta dell’impero romano, quando Patavium non solo è stata ampiamente fondata, ma è già largamente decaduta.

D’altra parte, non è uno scoop di cartapesta: quella Padova è ricca di una stagione di grandi fermenti culturali, al punto da dar vita a quella che verrà chiamata la Scuola preumanista padovana. Suo massimo esponente è Albertino Mussato, che vanta straordinarie virtù letterarie: recupera i testi dei grandi autori dell’antica Roma, compone poemi in latino, si dedica a opere storiografiche, scrive la tragedia “Ecerinide” dedicata alla vicenda di Ezzelino. L’eccellenza della sua produzione gli vale nel 1315 il conferimento di una vera e propria laurea “honoris causa” nel corso di una solenne cerimonia nell’università patavina. Ma è anche uomo politico dedito a un forte impegno pubblico, difendendo l’autonomia e le prerogative del Comune contro le pretese delle grandi famiglie nobili, a partire da quella del veronese Cangrande della Scala, che sta coltivando mire espansionistiche in Veneto e ha messo l’occhio sulla dinamica realtà padovana. Albertino pagherà con l’esilio.

È a questo cenacolo che appartiene il citato Lovato dei Lovati, notaio di professione ma affascinato dallo studio dei classici: ammirato da Petrarca che lo riterrà un intellettuale mancato, addirittura il maggior poeta in latino della sua generazione, se non avesse subordinato questa sua passione al lavoro attorno alle scartoffie notarili. La carrellata sugli intellettuali di punta dell’epoca non può non includere infine Marsilio da Padova, figlio di una ricca famiglia, che deve però emigrare all’estero per trovare una collocazione all’altezza dei suoi meriti: va a Parigi, dove nel 1313 diventa rettore della Sorbona.
E proprio nella capitale francese, nel 1324, scrive il “Defensor pacis”, che mette subito a rumore gli ambienti politici ed intellettuali di tutta Europa. Nel momento in cui lo scontro tra papato (Giovanni XXII) ed impero (Lodovico il Bavaro) tocca uno dei punti più aspri, Marsilio teorizza l’assoluta indipendenza dello Stato di fronte alla Chiesa, contesta il potere temporale di quest’ultima, ma sostiene anche che il vero depositario del potere esercitato dal sovrano è il popolo, dal quale discende l’autorità politica. Marsilio teorizza anche la divisione dei poteri, e l’esigenza di una riforma della Chiesa in senso democratico, contestando in particolare l’autorità suprema
del papato. Il suo è un pesante attacco frontale al Vaticano, per il quale se la cava comunque con una semplice scomunica, che non risulta peraltro avergli turbato i sonni. Diventerà anzi consigliere di fiducia dell’imperatore Lodovico il Bavaro, che seguirà in Germania.(6-continua)


Marsilio da Pava, retor de ła Sorbona
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Re: Lovato dei Lovati (e l mito de Antenore)

Messaggioda Berto » mar giu 07, 2016 2:04 pm

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Re: Lovato dei Lovati (e l mito de Antenore)

Messaggioda Berto » ven giu 10, 2016 5:55 am

L’umanesimo di Padova: una storia riscritta

http://www.lindipendenza.com/lumanesimo ... -riscritta

di PAOLO L. BERNARDINI

Vi sono almeno due motivi per riprendere in considerazione uno dei maggiori capitoli non solo dell’Umanesimo in Veneto, ma dell’Umanesimo europeo, padre del Rinascimento.
La prima è un’occasione: il settimo centenario della tragedia “Ecerinis”, composta da Albertino Mussato, nel 1313, sul modello senechiano – la prima tragedia classica dopo mille anni – che si configura come monito liberale, contro la tirannia di Ezzelino da Romano, contro le aspirazioni altrettanto tiranniche degli Scaligeri.

Duole che non sia disponibile un’edizione recente di questa tragedia – magari con la Fondazione Valla-Mondadori – che presenta caratteri di grande modernità, e fascino ambiguo e crudele.
La seconda, è la pubblicazione di un ponderoso volume da parte di Ronald Witt, classe 1932, grandissimo studioso delle origini dell’Umanesimo, che è stato per decenni professore nella prestigiosa Duke University in North Carolina.

“The Two Latin Cultures and the Foundation of Renaissance Humanism in Medieval Italy” (Cambridge University Press, 2012; recensito da un altro grande studioso dell’Umanesimo, Alexander Murray, sul TLS dell’11 Gennaio 2013), è opera poderosissima, e, prima di tutto, un grande inno all’immenso patrimonio intellettuale della Padova pre-veneziana, la Padova di un’università allora sì veramente degna del motto “patavina libertas”, dove, al contrario che nella rigida e dogmatica Bologna, dalla cui costola, ribelle, Padova era nata, si sperimentavano vie nuove della conoscenza, e si andava riscoprendo, sull’onda dell’influsso culturale delle università francesi, il patrimonio letterario latino.

Si tratta di quello che gli studiosi hanno sommariamente definito pre-umanesimo padovano, ma, come dimostra bene Witt, si tratta di vero e propri umanesimo, non è vero che quest’ultimo nasca solo negli anni ‘30 del Trecento, quando esplode il fenomeno Petrarca.
L’Umanesimo è legato al Veneto, a Padova, alla sua università, ben prima che qui giunga, e non a caso, si vede bene, proprio Petrarca, per spegnersi in quel di Arquà nel 1374.

Non si tratta certamente di una sterile competizione di genealogie e primati, ovvero, in soldoni, non si tratta di toglier nulla a Firenze, alla Firenze di Leonardo Bruni, soggetto di un altro e precedente, immenso volume di Witt, “In the Footsteps of the Ancients”, morto nel 1444 al trionfo umanistico, e al picco del Rinascimento.

La frammentazione tardo-medievale, il passaggio di regimi, che per Padova incluse una breve parentesi democratica tra due tirannidi, e poi il definitivo transito, non certo indolore, non certo privo di morti anche inutili, sotto la Serenissima, consentiva, in una situazione di assenza di stati centrali (???) e perenne, dopo la liberazione del 1138, una dialettica e feconda contesa tra Papato e Impero, tra Guelfi e Ghibellini, uno splendido fiorire della cultura, anche e proprio teorico-politica, tra repubblicanesimo nascente (sulle scorie del modello romano), e celebrazione del principe, tra potenza ecclesiastica ed emergenza del laicismo, molto temperato, forse più di quanto non creda Witt, che si pone in netta contrapposizione alla dimensione religiosa.

Speriamo che, come il precedente, il libro di Witt venga presto tradotto in italiano.
Finalmente possiamo dirci liberi dalla schiavitù del pre-. Ovvero, l’Umanesimo patavino appare perfettamente compiuto, diversificato nei suoi prodotti, legato ad una riscoperta progressiva dei Classici, che non avviene in forma di rottura, ma in forma di processo che affonda le radici nel IX secolo, nei “secoli bui” dunque.

Dunque, la progressività del passaggio tra Medio Evo e prima età moderna, proprio attraverso la cerniera umanistica, sembra sempre più sfumata e dilatata. In un certo senso, quando Venezia annette Padova, annette anche una tradizione letteraria e teorico-politica che le era abbastanza estranea, nella sua continentalità, e che certamente le permetterà di precisare i fondamenti teorici, e storici, del proprio potere e della propria supremazia.

Pochi ricordano umanisti veneti come Benvenuto Campesani, vicentino, autore di un poema su Catullo “risorto”, Pietro d’Abano, mago e umanista in perenne conflitto con l’autorità ecclesiastica, forse amico di Marco Polo; Rolando da Piazzola, autore di un celebre falso latino, sepolto all’Oratorio di San Giorgio di Padova proprio in un’arca tombale messa insieme con vari frammenti di rovine romane; o ancora Geremia da Montagnone, la cui silloge di massime latine venne pubblicata a Venezia con grande successo nel 1505 – a quasi duecento anni dalla morte, a testimonianza di una lunghissima fama – e finalmente Lovato Lovati, morto nel 1309, ammirato e citato (unico tra i contemporanei) come grande poeta latino da Petrarca.

Una splendida stagione patavina, vicentina, euganea, che rischia di essere dimenticata, e che Witt riporta splendidamente in vita.

Diritto, poesia, chiesa. Atti notarili, liriche, falsi, trattati politici, tragedie politiche, frammenti.
L’umanesimo veneto prima di Petrarca è tutto questo. È una stagione mirabile, purtroppo in gran parte sopravvissuta solo per citazioni ed estrapolazioni. Contempla collezionismo erudito, culto della lingua, e rapporto controverso con la religione cattolica e soprattutto con Roma. Sono d’accordo con Murray in una cosa: sbaglia Witt a vedere la conversione, ad esempio, in punto di morte, di Mussato, come una nota stonata.
Rischia di essere interpretata come una caduta antireligiosa e un banale laicismo, in uno studioso eccellente. Speriamo dunque che questo libro porti ad una messe di nuove edizioni e traduzioni del poco che rimane di questi Maestri, che fecero di Padova un polo europeo di sapere, e un pioniere nel lungo processo di riappropriazione e riscoperta degli antichi (???).
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