Łe straje de i çeviłi par colpa de i partexani

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Messaggioda Berto » ven gen 09, 2015 9:35 am

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Re: Łe straje de via Raxeła e de łe Fose Ardeatine

Messaggioda Berto » ven gen 09, 2015 9:37 am

Łe straje de via Raxeła e de łe Fose Ardeatine

http://it.wikipedia.org/wiki/Attentato_di_via_Rasella

L'attentato di via Rasella fu un'azione della Resistenza romana condotta il 23 marzo 1944 dai Gruppi di Azione Patriottica (GAP) contro un reparto delle truppe d'occupazione tedesche, l'11ª compagnia del III battaglione del Polizeiregiment "Bozen", appartenente alla Ordnungspolizei (polizia d'ordinanza).

L'azione, consistente nella detonazione di un ordigno esplosivo e nel successivo lancio di quattro bombe a mano artigianali sui superstiti, causò la morte di 33 soldati tedeschi (il numero dei decessi avvenuti nelle settimane successive a causa delle ferite non è mai stato definito con certezza) e di due civili italiani (tra cui il bambino Piero Zuccheretti, di 12 anni), mentre almeno altri quattro caddero sotto il fuoco di reazione tedesco. Il 24 marzo seguì la rappresaglia tedesca consumata con l'eccidio delle Fosse Ardeatine, in cui furono uccisi 335 prigionieri completamente estranei all'azione gappista, tra cui dieci civili rastrellati nelle vicinanze di via Rasella immediatamente dopo i fatti.

Dopo la sua esecuzione, l'attentato è stato oggetto di una lunga serie di controversie politiche e storiografiche, sfociate anche in vari procedimenti giudiziari, i più recenti dei quali conclusi da sentenze della Corte suprema di cassazione che lo qualificano come «legittima azione di guerra».

Immagine
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/i ... asella.jpg



La «strage cercata» di via Rasella - tratto da: Il Timone, anno 6 (2004) aprile, n. 32, p. 26-27. - Massimo CAPRARA

http://www.storialibera.it/epoca_contem ... php?id=632

Fu uno degli episodi più "celebrati" della resistenza partigiana. Un "atto di guerra" che nasconde un oscuro "regolamento di conti" fra comunisti.
Il ruolo di Giorgio Amendola.

A Roma, alle ore 15 e 52 del 23 marzo 1944 passarono cantando puntualmente come ogni giorno "Hupf meine Model, Salta ragazza mia" i riservisti altoatesini del Battaglione Bozen, aggregato al Polizei Regiment della Wehrmacht.
Trentatre di essi vennero fatti letteralmente a pezzi da un'esplosione dinamitarda.
Fra i morti, una salma a lungo nascosta, quella di un bambino di 13 anni, tagliato in due dalla deflagrazione.

Inoltre, due altre persone furono estratte dal cumulo delle vittime, alle quali dopo molto tempo vennero dati un nome e una qualifica: si tratta di Antonio Chiaretti e Enrico Pascucci, entrambi appartenenti al gruppo clandestino politico militare anticomunista denominato Bandiera Rossa.

Si accertò che erano state vittime di un tranello, attirate sul posto e a quell'ora da altri militanti antifascisti.

L'orrendo massacro avvenne in via Rasella, che sbuca nella centralissima Piazza del Tritone.

La reazione efferata, purtroppo prevedibile in una capitale dichiarata "città aperta", inchioda barbaramente "l'atto di guerra" di via Rasella, come tale definito nell'anno 2001 dalla Suprema Corte di Cassazione della Repubblica, nell'oscuro ipogeo delle Fosse Ardeatine. Vi vennero fucilati 335 cittadini italiani da parte dei reparti agli ordini del colonnello nazionalsocialista Kappler, il 24 marzo.

Scorrere i loro nomi è utile: circa 30 appartengono al Centro militare clandestino di tendenze monarchiche guidato dal colonnello Giuseppe Cordero di Montezemolo del Comando supremo italiano; 52 appartengono al Partito d'Azione e alle formazioni di Giustizia e Libertà; 75 sono artigiani, commercianti e intellettuali di religione ebraica; 68 militavano in Bandiera Rossa.
Nessuno apparteneva al Partito comunista italiano, che pure contava a Roma di un forte apparato militare e di consistenti complicità coperte. Molti militanti e confidenti erano stati già arrestati, indiziati e, alcuni, tristemente perseguitati.
Nessun comunista si trovò in carcere a Regina Coeli o nel luogo di detenzione esattamente in quei giorni della strage e della rappresaglia. Vi si trovarono invece tutte persone che il Pci considerava nemici esecrandi, da mettere fuori combattimento: comunque.

Soprattutto sono considerati nemici giurati gli appartenenti a Bandiera Rossa.

Essi sono valutati, senza mezzi termini, puramente "trotzkisti": i peggiori avversari di Stalin.

Leone Trotzkji, ebreo, fondatore dell'Esercito rosso, era stato, infatti, prima condannato, poi esiliato, braccato in tutto il mondo dalla polizia sovietica, per essere assassinato a Città del Messico da un esecutore di origine italo-spagnola, nel 1940, dopo una spietata caccia durata vent'anni. Dopo la guerra civile spagnola del 1936-38, nella Roma di quegli anni feroci, continuava il massacro. L'apparato comunista organizzò e seppe cogliere l'occasione di via Rasella e le sue conseguenze.

L'attentato venne escogitato, pensato e previsto dai membri comunisti della rete romana: Giorgio Amendola, che ne è il più alto in grado, Mauro Scoccimarro, Antonio Cicalini, di sicura scuola moscovita, oltre a minori ma preziosi collaboratori, infiltrati, delatori, confidenti nelle organizzazioni fasciste, nelle istituzioni carcerarie, nei presidi sanitari e polizieschi del fascismo.

Amendola propose il luogo, l'ora e le modalità dello scoppio di via Rasella.

Gli altri uomini d'azione, responsabili di settore e soprattutto dei Gap, il sistema terroristico facente capo al Pci, cioè i Gruppi d'Azione Patriottica, perfezionarono e operarono il resto. Nel suo volume «Lettere a Milano», al quale andò come onorificenza il premio Viareggio per la saggistica del 1974, Amendola rivelò che era stata sua l'iniziativa della designazione del luogo e del reparto tedesco da attaccare. Egli ne parla espressamente nelle pagine 290 e 291. Una volta messo in pratica l'attentato in via Rasella, si tratta di compilare, mercanteggiare, correggere e definire le liste dei fucilandi per il comando della Wermacht che le aveva sollecitamente chieste.

Furono allora mobilitati tutti gli addetti ai rapporti di intelligence mantenuti dalla Federazione del Pci con la Direzione di Regina Coeli, la Questura di Roma, la divisione della polizia politica del Ministero italiano degli Interni, l'Opera Volontaria di Repressione Antifascista (OVRA), tutto il sistema spionistico esistente a Roma.

Il teste principale di questo turpe mercato venne opportunamente liquidato a tempo debito. Donato Carretta, direttore di regina Coeli, venne linciato tra l'aula del Palazzaccio, le scale di Ponte Umberto e le onde del Tevere alle 9 di mattina del 18 settembre 1944. Gli altri collaboratori furono l'ex comunista Guglielmo Blasi, divenuto informatore della polizia militare tedesca, il tipografo autodidatta Giulio Rivabene, di cui Amendola puntualmente scrive nel suo libro nello spazio dedicato ai militari corrotti.

Nel numero 7 del gennaio 1944 de «l'Unità», la direttiva era stata tempestivamente data: "Si invitano i compagni a smascherare e colpire gli agenti trotzkisti, ossia di Bandiera Rossa, nel Partito, nel Sindacato, nelle formazioni armate, ovunque essi si annidano". Nel giornale clandestino milanese del dicembre 1943, «La nostra lotta», Pietro Secchia aveva dato il via al circuito malsano di informatori, gestori, operatori dell'infame reperimento dei fucilandi della "strage cercata" di via Rasella.


"L'attentato che provocò quella carneficina fu voluto per un solo scopo. A Roma ormai le formazioni della Resistenza che non riconoscevano il Cln avevano la maggioranza.
Ed erano a buon punto le trattative avviate dalla federazione Repubblicana Sociale con Kappler perché i tedeschi lasciassero Roma senza spargimenti di sangue.
Ma nel voler far fallire questo accordo c'era un interesse del Pci, per fini di politica interna" (Roberto Guzzo, fondatore dei gruppi Bandiera Rossa, cit. in Pierangelo Maurizio, «Via Rasella, cinquant'anni di menzogne», Maurizio Edizioni, Roma 1996, pag. 69).
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Re: Łe straje de via Raxeła e de łe Fose Ardeatine

Messaggioda Berto » ven gen 09, 2015 9:41 am

Łe Fose Ardeatine

http://it.wikipedia.org/wiki/Eccidio_de ... _Ardeatine

L'eccidio delle Fosse Ardeatine fu il massacro di 335 civili e militari italiani, fucilati a Roma il 24 marzo 1944 dalle truppe di occupazione tedesche come rappresaglia per l'attentato partigiano compiuto da membri dei GAP romani contro truppe germaniche in transito in via Rasella, attentato che aveva causato, sul posto e nelle ore successive, la morte di 33 soldati del reggimento "Bozen" appartenente alla Ordnungspolizei dell'esercito tedesco, reclutato in Alto Adige. Per la sua efferatezza, l'alto numero di vittime e per le tragiche circostanze che portarono al suo compimento, esso divenne l'evento-simbolo della durezza dell'occupazione tedesca di Roma.

Le "Fosse Ardeatine", antiche cave di pozzolana situate nei pressi della via Ardeatina, scelte quali luogo dell'esecuzione e per occultare i cadaveri degli uccisi, nel dopoguerra sono state trasformate in un sacrario-monumento nazionale. Sono oggi visitabili e luogo di cerimonie pubbliche in memoria.

Immagine
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/i ... eatine.png
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Re: Łe straje de via Raxeła e de łe Fose Ardeatine

Messaggioda Berto » ven gen 09, 2015 1:25 pm

Franco Sarbia
https://www.facebook.com/franco.sarbia/ ... nt_mention

Caro Alberto, se ancora ti fa piacere dialogare con me, pur nell'inconciliabilità delle posizioni, ti prego di non scrivere mai più su questa pagina, facendole tue, le opinioni dei criminali di guerra condannati per l'eccidio di innocenti delle Ardeatine: Kappler, Priebke e Kesserling. L'attentato di via Rasella per la giustizia italiana fu una legittima azione di guerra. Un atto di vigliaccheria, tra i tanti, fu quello delle SS contro inermi, non quello dei partigiani contro una guarnigione armata. Scegliti pure come amici oltre ai condannati italiani anche i criminali di guerra nazisti ma non ti permetterò più d'infangare la memoria delle loro vittime innocenti. Questo nel nome dei principi democratici per i quali hanno dato la vita. E che consentono ancor oggi anche a te di sproloquiare.



Alberto Pento
Te me fe oror Franco e saro pì ke volentiera el dialogo co ti:
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Ençeveltà tałega, straji, połedega, caste tałego padan venete, corusion, ...
viewforum.php?f=81
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Re: Łe straje de via Raxeła e de łe Fose Ardeatine

Messaggioda Berto » ven gen 09, 2015 1:29 pm

I rosi teroristi de via Raxeła, (partixani e rexistenti ?) łi xe stà de i viłiaki, anvençe de costituirse łi ga łasà ke vegnese copà al so posto, come da raprexaja de goera, łi 330 e pàsa çiviłi: 1 a 10 jera ła leje de ła raprexaja e sti rosi teroristi łi ło saveva. Xe come se i łi ghese copà luri. E da 70 ani łi xe portà cofà eroi, Eroi de ła Rexistensa!


http://it.wikipedia.org/wiki/Rappresaglia

http://ricordare.wordpress.com/perche-r ... ppresaglie

Interessante anche ricordare alcune rappresaglie alleate:

A Stoccarda il generale francese Lattre de Tassigny minacciò l’uccisione di ostaggi tedeschi nel rapporto di 25:1 se fossero stati uccisi soldati francesi.
A Marcktdorf erano previste fucilazioni di ostaggi nel rapporto di 30:1.
A Reutlingen i francesi uccisero 4 ostaggi tedeschi affermando che era stato ucciso un motociclista che in realtà era rimasto vittima di un incidente.
A Tuttlingen, i francesi annunciarono il 1° maggio 1945 che per ogni soldato ucciso sarebbero stati fucilati 50 ostaggi. (L’originale del manifesto appare nel libro di Spataro che citiamo sotto)
Ad Harz le forze americane minacciarono di esecuzione punitive nel rapporto di 200:1.
Quando il generale americano Rose, nel marzo del 1945, rimase vittima di una imboscata, gli americani fecero fucilare per rappresaglia 110 cittadini tedeschi. (In realtà Rose era stato ucciso in un normale combattimento, soldati contro soldati – e l’imboscata è pur sempre un atto di guerra se si portano le mostrine e la divisa).
A Tambach, presso Coburg, in data 8 aprile 1945 il tenente americano Vincent C. Acunto fece fucilare 24 prigionieri di guerra tedeschi e 4 civili; accusato di omicidio venne assolto.
A Berlino l’Armata Rossa che l’occupava minacciò fucilazione di ostaggi nel rapporto di 50:1. Il testo del comunicato era il seguente: “Chiunque effettui un attentato contro gli appartenenti alle truppe d’occupazione o commette attentati per motivi di inimicizia politica, provocherà la morte di 50 ex appartenenti al partito nazista“. (Pubblicato sul quoridiano Verordnunsglatt di Berlino in data 1 luglio 1945).
A Soldin, Neumark, i russi andarono al di là di questa cifra: furono fucilati 120 cittadini tedeschi perchè un maggiore russo era stato ucciso nottetempo da una guardia tedesca. (che poi risultò essere stato ucciso perchè il russo gli stuprò la moglie (Mario Spataro, Dal caso Priebke al nazi gold, Ed. 7° Sigillo, vol.2, Pag. 913).
Una delle più gravi fu la strage di Annecy del 18 agosto 1944, in un campo di prigionieri tedeschi gestito da americani e francesi; proporzioni di 80:1.(ib)
A Bengasi, gli inglesi di Montgomery contro gli italiani applicarono quella del 10:1. (Ib.)

(da le RAPPRESAGLIE)
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Re: Łe straje de via Raxeła e de łe Fose Ardeatine

Messaggioda Berto » ven gen 09, 2015 1:51 pm

L'atentà de via Raxela

http://ricordare.wordpress.com/perche-r ... ia-rasella


L’attentato di via Rasella è emblematico perchè rivela la strategia dei partigiani comunisti.
Si tratta infatti di un’operazione dal valore assolutamento nullo dal punto di vista militare, ma di grande impatto emotivo per la reazione che avrebbe provocato dopo la scontata rappresaglia tedesca.
Era inoltre un’operazione priva di pericoli e che quindi non avrebbe messo in difficoltà coloro che l’avessero eseguita.

Sorto all’indomani della caduta del regime fascista (25 luglio 1943), il governo Badoglio, aveva dichiarato unilateralmente Roma “città aperta” solo trenta ore dopo il secondo bombardamento che l’aveva sconvolta. L’attacco, eseguito da bombardieri statunitensi il 13 agosto 1943, aveva causato danni forse ancora maggiori del primo, che l’aveva colpita il 19 luglio: nei due bombardamenti morirono oltre 2.000 civili innocenti e parecchie altre migliaia rimasero feriti, senza casa e lavoro.
In città venivano così a mancare servizi essenziali, mentre la fame si diffondeva e la capitale si faceva invivibile.

La città fu nuovamente bombardata numerose volte, sino alla liberazione[citazione necessaria] il 4 giugno 1944. E’ in questo quadro, segnato dai bombardamenti alleati, dalle retate contro i partigiani effettuate dai tedeschi e dalla deportazione di circa 1.000 ebrei del ghetto di Roma, che si arriva alla fatidica data del 23 marxo 1944, scelta perchè 25esimo anniversario della fondazione dei Fasci Italiani di Combattimento.

I partigiani che eseguirono l’attacco facevano parte dei Gruppi di Azione Patriottica (GAP) che dipendevano dalla Giunta Militare, a sua volta dipendente dal Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), i cui responsabili erano: il socialista Sandro Pertini, il comunista Giorgio Amendola e Riccardo Bauer del Partito d’Azione.

L’ordine di eseguire l’attacco fu dato dai responsabili della Giunta militare. Anni dopo sia Pertini che Bauer dichiararono di non essere a conoscenza della preparazione dell’imboscata e che l’ordine venne dato da Amendola senza che fossero stati avvertiti. Amendola confermò tutto e rivendicò alla sua persona la responsabilità di aver dato l’ordine operativo ai gappisti.

Per l’esecuzione dell’attacco furono impiegati i GAP centrali che già dal periodo successivo all’8 settembre 1943 avevano compiuto numerose azioni di guerriglia urbana nella zona del centro storico. Numerosi quindi furono i partigiani che avrebbero partecipato all’azione, dei quali uno di essi, travestito da spazzino, avrebbe dovuto innescare un ordigno nascosto all’interno di un carrettino della nettezza urbana, mentre gli altri, ad esplosione avvenuta, avrebbero dovuto attaccare con pistole e bombe a mano la compagnia.

Il compito di far brillare l’esplosivo fu affidato al partigiano Rosario Bentivegna (“Paolo”), studente in medicina, il quale il 23 marzo si avviò travestito da spazzino dal deposito gappista nei pressi del Colosseo verso via Rasella, con il carretto contenente l’ordigno. Dopo essersi appostato ed aver atteso circa due ore in più, rispetto alla consueta ora di transito della compagnia nella via, alle 15.52 accese con il fornello di una pipa la miccia, preparata per far avvenire l’esplosione dopo circa 50 secondi, tempo necessario ai tedeschi per percorrere il tratto di strada compreso tra un punto a valle usato per la segnalazione, ed il carretto, posizionato in alto davanti a Palazzo Tittoni.

Poco dopo l’esplosione due squadre dei GAP, una composta da sette uomini l’altra da sei, sotto il comando di Franco Calamandrei detto “Cola” e Carlo Salinari detto “Spartaco”, lanciarono bombe a mano e fecero fuoco sui sopravvissuti all’esplosione.

Nell’immediatezza dell’evento rimasero uccisi 32 militari tedeschi e 110 rimasero feriti, oltre a 2 vittime civili (Antonio Chiaretti ed il tredicenne Pietro Zuccheretti). Dei feriti, uno morì poco dopo il ricovero, mentre era in corso la preparazione della rappresaglia, che fu dunque calcolata in base a 33 vittime germaniche. Nei giorni seguenti sarebbero deceduti altri 9 militari feriti, portando così a 42 il totale dei caduti.

La decisione del comando nazista fu la conta di 10 ostaggi fucilati per ogni tedesco ucciso. La fucilazione di 10 ostaggi per ogni tedesco ucciso fu ordinata personalmente da Adolf Hitler, nonostante la convenzione dell’Aia del 1907 e la Convenzione di Ginevra del 1929 nel contemplare il concetto di rappresaglia ne limitassero fortemente l’ ampiezza secondo i criteri della proporzionalità rispetto all’entità dell’offesa subita, nella selezione degli ostaggi (non indiscriminata) e della salvaguardia delle popolazioni civili.

L’ordine di esecuzione riguardò 320 persone, poiché inizialmente erano morti 32 soldati tedeschi. Durante la notte successiva all’attacco di via Rasella morì un altro soldato tedesco e Kappler, di sua iniziativa, decise di uccidere altre 10 persone. Erroneamente, causa la “fretta” di completare il numero delle vittime e di eseguire la rappresaglia, furono aggiunte 5 persone in più nell’ elenco ed i tedeschi, per eliminare scomodi testimoni, uccisero anche loro.

Nel dopoguerra, Herbert Kappler venne processato e condannato all’ergastolo da un tribunale italiano e rinchiuso in carcere. La condanna riguardò i 15 giustiziati non compresi nell’ordine di rappresaglia datogli per vie gerarchiche. La rappresaglia infatti doveva riguardare secondo l’accusa i soli 32 militari morti sul colpo e no quelli morti successivamente che portarono a 33 i morti il giorno dopo e men che meno i successivi 9 che morirono nei giorni successivi.

Le critiche che vengono mosse alla vicenda sono:

Secondo i critici, e secondo alcuni militari tedeschi sopravvissuti, i 156 uomini della 11ª compagnia del battaglione Bozen coinvolti nell’attacco, comandati dal maggiore Helmut Dobbrick, non erano un reparto operativo ma solo riservisti altoatesini entrati nell’esercito tedesco per affinità etniche ed aggregati al Polizei Regiment della Wehrmacht, con compiti di semplice vigilanza urbana[8]. Altre testimonianze al contrario documentano la partecipazione del Bozen ad alcuni rastrellamenti.
L’esplosione non uccise solo trentatre militari tedeschi, ma anche due civili italiani (di cui un bambino di 13 anni), ferendone anche altri quattro. Ai famigliari dei due civili morti nell’attentato non è mai stato riconosciuto alcun risarcimento dalla magistratura italiana, in quanto l’attacco è stato catalogato come legittimo atto di guerra.
L’attentato fu perpetrato dai partigiani nonostante fosse noto che i tedeschi applicassero sommariamente la rappresaglia per ogni attacco subito, come in numerosi altri casi.
La rappresaglia di 330 prigionieri si sarebbe potuta forse evitare (secondo quanto affermato dallo stesso generale Kappler che la ordinò), se gli attentatori si fossero consegnati alle autorità tedesche, come nel noto caso di Salvo D’Acquisto.

http://it.wikipedia.org/wiki/Salvo_D%27Acquisto

Dall’accaduto si possono trarre alcune conclusioni:

in sè e per sè la rappresaglia era assolutamente giustificata e legale (Convenzione dell’Aja e Tribunale di Norimberga). Quello che non tornava era il numero dei morti: 335 invece dei 320 (o 330 tenendo conto del soldato morto prima della rappresaglia stessa). Sui 15 (o 5) morti in più c’è chi sostiene si trattasse di soldato tedeschi che si erano rifiutati di sparare e che Kappler non avrebbe nominato per non infangare l’esercito tedesco.
lo scopo tutt’altro che militare di tutta l’operazione fu raggiunto in pieno. L’eccidio delle Fosse Ardeatine è diventato un simbolo della ‘Lotta di Liberazione‘, dell’eroismo dei’ combattenti per la libertà‘ e un sicuro baluardo contro qualsiasi nostalgia.
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Re: Łe straje de via Raxeła e de łe Fose Ardeatine

Messaggioda Berto » ven gen 09, 2015 7:25 pm

El mito de ła Rexistensa el fa parte del çiclo/sercio retorego tałian de łe 5R:

łe 5R:

Roma,
Regnasemento,
Resorxemento,
Rexistensa,
Repiovega
.


N’enpalcadoura edeołojega ke ła ga pì falbarie ke veretà.

1-Roma scançelà da la storia, par le so malefate, 1500 ani endrio e fata revivare come on xonbi, na edeoloja necrofila.

2-On Regnasemento enventà e mestefegà ...

3-On Resorxemento ke lè sta pì on mortamento: se pense a la mexeria portà dai Saboia e a el grande exodo dei veneti; se pense lomè a ła prima goera mondial, ciamà IV e oltema goera d’endependensa tałiana, na goera ke ła ga desfà ła tera veneta; caouxà da l’agresion tałiana a l’Aostria.

4-Na Rexistensa de orori.

5-Na Repiovega de la Casta e sensa vera democrasia, co ona de le pexo costitusion del mondo.
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Re: Łe straje de via Raxeła e de łe Fose Ardeatine

Messaggioda Berto » gio feb 05, 2015 9:03 am

Lè pì onorà sto omo de li viliaki partexani de via Raxela ke li ga lasà morir de li enoçenti par colpa sua (10 a 1) e gnanca li se vargogna, mi me scondaria soto tera per l'eternetà.
Salvo d'Acquisto l'enesegna:
http://it.wikipedia.org/wiki/Salvo_D%27Acquisto




Il testamento di Erich Priebke

http://www.blogdln.it/2013/10/13/emerge ... mericana/#

??? Emerge Il testamento di Erich Priebke: i campi di concentramento non esistono, noi le vere vittime della propaganda americana. ???

Riportiamo l’intervista diffusa dall’avvocato di Erich Priebke, rilasciata dal Capitano in occasione del compimento del suo centesimo anno di etá, con l’intenzione lasciarci un testamento “umano e politico”.

D – Sig. Priebke, anni addietro Lei ha dichiarato che non rinnegava il suo passato. Con i suoi cento anni di età lo pensa ancora?

R – Sì.

D – Cosa intende esattamente con questo?

R – Che ho scelto di essere me stesso.

D – Quindi ancora oggi Lei si sente nazista.

R – La fedeltà al proprio passato è qualche cosa che ha a che fare con le nostre convinzioni. Si tratta del mio modo di vedere il mondo, i miei ideali, quello che per noi tedeschi fu la Weltanschauung ed ancora ha a che fare con il senso dell’amor proprio e dell’onore. La politica è un’altra questione. Il Nazionalsocialismo è scomparso con la sconfitta e oggi non avrebbe comunque nessuna possibilità di tornare.

D – Della visione del mondo di cui Lei parla fa parte anche I’antisemitismo.

R – Se le sue domande sono mirate a conoscere la verità è necessario abbandonare i luoghi comuni: criticare non vuol dire che si vuole distruggere qualcuno. In Germania sin dai primi del novecento si criticava apertamente il comportamento degli ebrei. Il fatto che gli ebrei avessero accumulato nelle loro mani un immenso potere economico e di conseguenza politico, pur rappresentando una parte in proporzione assolutamente esigua della popolazione mondiale era considerato ingiusto. È un fatto che ancora oggi, se prendiamo le mille persone più ricche e potenti del mondo, dobbiamo constatare che una notevole parte di loro sono ebrei, banchieri o azionisti di maggioranza di imprese multinazionali. In Germania poi, specialmente dopo la sconfitta della prima guerra mondiale e l’ingiustizia dei trattati di Versailles, immigrazioni ebraiche dall’est europeo avevano provocato dei veri disastri, con l’accumulo di immensi capitali da parte di questi immigrati in pochi anni, mentre con la repubblica di Weimar la grande maggioranza del popolo tedesco viveva in forte povertà. In quel clima gli usurai si arricchivano e il senso di frustrazione nei confronti degli ebrei cresceva.

D – Quella che gli ebrei abbiano praticato l’usura ammessa dalla loro religione, mentre veniva proibita ai cristiani, è una vecchia storia. Cosa c’è di vero secondo lei.

R – Infatti non è certo una mia idea. Basta leggere Shakespeare o Dostoevskij per capire che simili problemi con gli ebrei sono storicamente effettivamente esistiti, da Venezia a San Pietroburgo. Questo non vuole assolutamente dire che gli unici usurai all’epoca fossero gli ebrei. Ho fatto mia una frase del poeta Ezra Pound: “Tra uno strozzino ebreo e uno strozzino ariano non vedo nessuna differenza”.

D – Per tutto questo Lei giustifica I’antisemitismo?

R – No, guardi, questo non significa che tra gli ebrei non ci siano persone perbene. Ripeto, antisemitismo vuol dire odio, odio indiscriminato. Io anche in questi ultimi anni della mia persecuzione, da vecchio, privato della libertà, ho sempre rifiutato l’odio. Non ho mai voluto odiare nemmeno chi mi ha odiato. Parlo solo di diritto di critica e ne sto spiegando i motivi. E Le dirò di più: deve considerare che, per loro particolari motivi religiosi, una grossa parte di ebrei si considerava superiore a tutti gli altri esseri umani. Si immedesimava nel “Popolo Eletto da Dio” della Bibbia.

D – Anche Hitler parlava della razza ariana come superiore.

R – Si, Hitler è caduto anche lui nell’equivoco di rincorrere questa idea di superiorità. Questa è stata una delle cause di errori senza ritorno. Tenga conto comunque che un certo razzismo era la normalità in quegli anni, Non solo a livello di mentalità popolare ma anche a livello di governi e addirittura di ordinamenti giuridici.

Gli Americani, dopo aver deportato le popolazioni africane ed essere stati schiavisti, continuavano ad essere razzisti, e di fatto discriminavano i neri. Le prime leggi, definite razziali di Hitler, non limitavano i diritti degli ebrei più di quanto fossero limitati quelli dei neri in diversi stati USA. Stessa cosa per le popolazioni dell’India da parte degli Inglesi ed i Francesi, che non si sono comportati molto diversamente con i così detti sudditi delle loro colonie. Non parliamo poi del trattamento subìto all’epoca dalle minoranze etniche nell’ex URSS.

D – E quindi come sono andate peggiorando in Germania le cose secondo Lei?

R – Il conflitto si è radicalizzato, è andato crescendo. Gli ebrei tedeschi, americani, inglesi e l’ebraismo mondiale da un lato, contro la Germania che stava dall’altro. Naturalmente gli ebrei tedeschi si sono venuti a trovare in una posizione sempre più difficile. La successiva decisione di promulgare leggi molto dure resero in Germania la vita veramente difficile agli ebrei. Poi nel novembre del 1938 un ebreo, un certo Grynszpan, per protesta contro la Germania, uccise in Francia un consigliere della nostra ambasciata, Ernest von Rath. Ne seguì la famosa “Notte dei cristalli”. Gruppi di dimostranti ruppero in tutta il Reich le vetrine dei negozi di proprietà degli ebrei. Da allora gli ebrei furono considerati solo e soltanto come nemici. Hitler, dopo aver vinto le elezioni, li aveva in un primo tempo incoraggiati in tutti i modi a lasciare la Germania. Successivamente, nel clima di forte sospetto nei confronti degli ebrei tedeschi, causato dalla guerra e di boicottaggio e di aperto conflitto con le più importanti organizzazioni ebraiche mondiali, li rinchiuse nei lager, proprio come nemici. Certo per molte famiglie, spesso senza alcuna colpa, questo fu rovinoso.

D – La colpa quindi di ciò che gli ebrei hanno subìto secondo Lei sarebbe degli ebrei stessi?

R – La colpa è un po’ di tutte le parti. Anche degli alleati che scatenarono la seconda guerra mondiale contro la Germania, a seguito dell’invasione della Polonia, per rivendicare territori dove la forte presenza tedesca era sottoposta a continue vessazioni. Territori posti dal trattato di Versailles sotto il controllo del neonato stato polacco. Contro la Russia di Stalin e la sua invasione della restante parte della Polonia nessuno mosse un dito. Anzi a fine conflitto, ufficialmente nato per difendere proprio la indipendenza della Polonia dai tedeschi, fu regalato senza tanti complimenti tutto l’est europeo, Polonia compresa, a Stalin.

D – Quindi politica a parte Lei sposa le teorie storiche revisioniste.

R – Non capisco perfettamente cosa si intenda per revisionismo. Se parliamo del processo di Norimberga del 1945 allora posso dirle che fu una cosa incredibile, un grande palcoscenico creato apposta per disumanizzare di fronte all’opinione pubblica mondiale il popolo tedesco ed i suoi capi. Per infierire sullo sconfitto oramai impossibilitato a difendersi.

D – Su quali basi afferma questo?

R – Cosa si può dire di un autonominatosi tribunale che giudica solo i crimini degli sconfitti e non quelli dei vincitori; dove il vincitore è al tempo stesso pubblica accusa, giudice e parte lesa e dove gli articoli di reato erano stati appositamente creati successivamente ai fatti contestati, proprio per condannare in modo retroattivo? Lo stesso presidente americano Kennedy ha condannato quel processo definendolo una cosa “disgustosa” in quanto “si erano violati i principi della costituzione americana per punire un avversario sconfitto”.


D – Se intende dire che Il reato di crimini contro l’umanità con cui si è condannato a Norimberga non esisteva prima che fosse contestato proprio da quel tribunale internazionale, c’è da dire in ogni caso che le accuse riguardavano fatti comunque terribili.

R – A Norimberga i tedeschi furono accusati della strage di Katyn, poi nel 1990 Gorbaciov ammise che erano stati proprio loro stessi, Russi accusatori, ad uccidere i ventimila ufficiali polacchi con un colpo alla nuca nella foresta di Katyn. Nel 1992 il presidente russo Eltsin produsse anche il documento originale contenente l’ordine firmato da Stalin.

I Tedeschi furono anche accusati di aver fatto sapone con gli ebrei. Campioni di quel sapone finirono nei musei USA, in Israele e in altri paesi. Solo nel 1990 un professore della università di Gerusalemme studiò i campioni dovendo infine ammettere che si trattava di un imbroglio.

D – Sì, ma i campi di concentramento non sono una invenzione dei giudici di Norimberga.

R – In quegli anni terribili di guerra, rinchiudere nei lager (in italiano sono i campi di concentramento) popolazioni civili che rappresentavano un pericolo per la sicurezza nazionale era una cosa normale. Nell’ultimo conflitto mondiale lo hanno fatto sia i Russi che gli USA. Questi ultimi in particolare con i cittadini americani di origine orientale.

D – In America però, nei campi di concentramento per le popolazioni di etnia giapponese non c’erano le camere a gas.

R – Come Le ho detto, a Norimberga sono state inventate una infinità di accuse, Per quanto riguarda quella che nei campi di concentramento vi fossero camere a gas aspettiamo ancora le prove. Nei campi i detenuti lavoravano. Molti uscivano dal lager per il lavoro e vi facevano ritorno la sera. Il bisogno di forza lavoro durante la guerra è incompatibile con la possibilità che allo stesso tempo, in qualche punto del campo, vi fossero file di persone che andavano alla gasazione. L’attività di una camera a gas è invasiva nell’ambiente, terribilmente pericolosa anche al suo esterno, mortale. L’idea di mandare a morte milioni di persone in questo modo, nello stesso luogo dove altri vivono e lavorano senza che si accorgano di nulla è pazzesca, difficilmente realizzabile anche sul piano pratico.

D – Ma Lei quando ha sentito parlare perla prima volta del piano di sterminio degli ebrei e delle camere a gas?

R – La prima volta che ho sentito di cose simili la guerra era finita ed io mi trovavo in un campo di concentramento inglese, ero insieme a Walter Rauff. Rimanemmo entrambi allibiti. Non potevamo assolutamente credere a fatti così orribili: camere a gas per sterminare uomini, donne e bambini. Se ne parlò con il colonnello Rauff e con gli altri colleghi per giorni. Nonostante fossimo tutti SS, ognuno al nostro livello con una particolare posizione nell’apparato nazionalsocialista, mai a nessuno di noi erano giunte alle orecchie cose simili.

Pensi che anni e anni dopo venni ha sapere che il mio amico e superiore Walter Rauff, che aveva diviso con me anche qualche pezzo di pane duro nel campo di concentramento, veniva accusato di essere l’inventore di un fantomatico autocarro di gasazione. Cose di questo genere le può pensare solo chi non ha conosciuto Walter Rauff.

D – E tutte le testimonianze della esistenza delle camere a gas?

R – Nei campi le camere a gas non si sono mai trovate, salvo quella costruita a guerra finita dagli Americani a Dachau. Testimonianze che si possono definire affidabili sul piano giudiziario o storico a proposito delle camere a gas non ce ne sono; a cominciare da quelle di alcuni degli ultimi comandanti e responsabili dei campi, come ad esempio quella del più noto dei comandanti di Auschwitz, Rudolf Höss. A parte le grandi contraddizioni della sua testimonianza, prima di deporre a Norimberga fu torturato e dopo la testimonianza per ordine dei Russi gli tapparono la bocca impiccandolo. Per questi testimoni, ritenuti preziosi dai vincitori, le violenze fisiche e morali in caso di mancanza di condiscendenza erano insopportabili; le minacce erano anche di rivalsa sui familiari. So per l’esperienza personale della mia prigionia e quella dei miei colleghi, come, dai parte dei vincitori, venivano estorte nei campi di concentramento le confessioni ai prigionieri, i quali spesso non conoscevano nemmeno la lingua inglese. Poi il trattamento riservato ai prigionieri nei campi russi della Siberia oramai è cosa nota, si doveva firmare qualunque tipo di confessione richiesta; e basta.

D – Quindi per Lei quei milioni di morti sono una invenzione.

R – Io ho conosciuto personalmente i lager. L’ultima volta sono stato a Mauthausen nel maggio del 1944 ad interrogare il figlio di Badoglio, Mario, per ordine di Himmler. Ho girato quel campo in lungo e in largo per due giorni. C’erano immense cucine in funzione per gli internati e all’interno anche un bordello per le loro esigenze. Niente camere a gas.
Purtroppo tanta gente è morta nei campi ma non per una volontà assassina. La guerra, le condizioni di vita dure, la fame, la mancanza di cure adeguate si sono risolti spesso in un disastro. Però queste tragedie dei civili, erano all’ordine del giorno non solo nei campi ma in tutta la Germania, soprattutto a causa dei bombardamenti indiscriminati delle città.

D – Quindi Lei minimizza la tragedia degli ebrei: l’Olocausto?

R – C’è poco da minimizzare: una tragedia è una tragedia. Si pone semmai un problema di verità storica.


I vincitori del secondo conflitto mondiale avevano interesse a che non si dovesse chiedere conto dei loro crimini. Avevano raso al suolo intere città tedesche, dove non vi era un solo soldato, solo per uccidere donne bambini e vecchi e così fiaccare la volontà di combattere del loro nemico. Questa sorte è toccata ad Amburgo, Lubecca, Berlino, Dresda e tante altre città. Approfittavano della superiorità dei loro bombardieri per uccidere i civili impunemente e con folle spietatezza. Poi è toccato alla popolazione di Tokyo ed infine con le atomiche ai civili di Nagasaki e Hiroshima.

Per questo era necessario inventare dei particolari crimini commessi dalla Germania e reclamizzarli tanto da presentare i tedeschi come creature del male e tutte le altre sciocchezze: soggetti da romanzo dell’orrore su cui Hollywood ha girato centinaia di film.

Del resto da allora il metodo dei vincitori della seconda guerra mondiale non è molto cambiato: a sentire loro esportano la democrazia con così dette missioni di pace contro le canaglie, descrivono terroristi che si sono macchiati di atti sempre mostruosi, inenarrabili. Ma in pratica attaccano soprattutto con l’aviazione chi non si sottomette. Massacrano militari e civili che non hanno i mezzi per difendersi. Alla fine tra un intervento umanitario e l’altro nei vari paesi, mettono sulle poltrone dei governi dei burattini che assecondano i loro interessi economici e politici.

D – Ma allora certe prove inoppugnabili come filmati e fotografie dei lager, come le spiega?

R – Quei filmati sono un’ulteriore prova della falsificazione: provengono quasi tutti dal campo di Bergen-Belsen. Era un campo dove le autorità tedesche inviavano da altri campi gli internati inabili al lavoro. Vi era all’interno anche un reparto per convalescenti. Già questo la dice lunga sulla volontà assassina dei Tedeschi.

Sembra strano che in tempo di guerra si sia messo in piedi una struttura per accogliere coloro che invece si volevano gasare. I bombardamenti alleati nel 1945 hanno lasciato quel campo senza viveri, acqua e medicinali. Si è diffusa un’epidemia di tifo petecchiale che ha causato migliaia di malati e morti. Quei filmati risalgono proprio a quei fatti, quando il campo di accoglienza di Bergen-Belsen devastato dall’epidemia, nell’aprile 1945, era oramai nelle mani degli alleati. Le riprese furono appositamente girate, per motivi propagandistici dal regista inglese Hitchcock, il maestro dell’horror. È spaventoso il cinismo, la mancanza di senso di umanità con cui ancora oggi si specula con quelle immagini. Proiettate per anni dagli schermi televisivi, con sottofondi musicali angoscianti, si è ingannato il pubblico associando, con spietata astuzia, quelle scene terribili alle camere a gas, con cui non avevano invece nulla a che fare. Un falso!

D – Il motivo di tutte queste mistificazioni secondo Lei sarebbe coprire i propri crimini da parte dei vincitori?

R – In un primo tempo fu cosi. Un copione uguale a Norimberga fu inventato anche dal Generale MacArthur in Giappone con il processo di Tokyo. In quel caso per impiccare si escogitarono altre storie e altri crimini. Per criminalizzare i Giapponesi che avevano subìto la bomba atomica si inventarono all’epoca persino accuse di cannibalismo.

D – Perché in un primo tempo?

R – Perche successivamente la letteratura sull’olocausto è servita soprattutto allo Stato di Israele per due motivi. Il primo è chiarito bene da uno scrittore ebreo figlio di deportati: Norman Finkelstein. Nel suo libro “l’industria dell’olocausto” spiega come questa industria abbia portato, attraverso una campagna di rivendicazioni, risarcimenti miliardari nelle casse di istituzioni ebraiche e in quelle dello Stato di Israele. Finkelstein parla di “un vero e proprio racket di estorsioni”. Per quanto riguarda il secondo punto, lo scrittore Sergio Romano, che non è certo un revisionista, spiega che dopo la “guerra del Libano” lo Stato di Israele ha capito che incrementare ed enfatizzare la drammaticità della “letteratura sull’Olocausto” gli avrebbe portato vantaggi nel suo contenzioso territoriale con gli arabi ed “una sorte di semi-immunità diplomatica”.


D – In tutto il mondo si parla del|’olocausto come sterminio; Lei ha dei dubbi o lo nega recisamente?

R – l mezzi di propaganda di chi oggi detiene il potere globale sono inarginabili. Attraverso una sottocultura storica appositamente creata e divulgata da televisione e cinematografia, si sono manipolate le coscienze lavorando sulle emozioni. In particolare le nuove generazioni, a cominciare dalla scuola, sono state sottoposte al lavaggio del cervello, ossessionate con storie macabre per assoggettarne la libertà di giudizio. Come Le ho detto, siamo da quasi 70 anni in attesa delle prove dei misfatti contestati al popolo tedesco. Gli storici non hanno trovato un solo documento che riguardasse le camere a gas. Non un ordine scritto, una relazione o un parere di una istituzione tedesca, un rapporto degli addetti. Nulla di nulla.

Nell’assenza di documenti i giudici di Norimberga hanno dato per scontato che il progetto che si intitolava “Soluzione finale del problema ebraico” allo studio nel Reich, che vagliava le possibilità territoriali di allontanamento degli ebrei dalla Germania e successivamente dai territori occupati, compreso il possibile trasferimento in Madagascar, fosse un codice segreto di copertura che significava il loro sterminio. È assurdo! In piena guerra, quando eravamo ancora vincitori sia in Africa che in Russia, gli ebrei, che erano stati in un primo tempo semplicemente incoraggiati, vennero poi fino al 1941 spinti in tutti i modi a lasciare autonomamente la Germania. Solo dopo due anni dall’inizio della guerra cominciarono i provvedimenti restrittivi della loro libertà.

D – Ammettiamo allora che le prove di cui Lei parla vengano fuori. Parlo di un documento firmato da Hitler o da un altro gerarca. Quale sarebbe la sua posizione.

R – La mia posizione è di condanna tassativa per fatti del genere. Tutti gli atti di violenza indiscriminata contro le comunità, senza che si tenga conto delle effettive responsabilità individuali, sono inaccettabili, assolutamente da condannare. Quello che è successo agli indiani d’America, ai kulaki in Russia, agli Italiani infoibati in Istria, agli Armeni in Turchia, ai prigionieri tedeschi nei campi di concentramento americani in Germania e in Francia così come in quelli russi, i primi lasciati morire di stenti volutamente dal presidente americano Eisenhower, i secondi da Stalin. Entrambi i capi di stato non rispettarono volutamente la convenzione di Ginevra per infierire fino alla tragedia. Tutti episodi ripeto da condannare senza mezzi termini, comprese le persecuzioni fatte dai tedeschi a danno degli ebrei, che indubbiamente ci sono state. Quelle reali però, non quelle inventate per propaganda.

D – Lei ammette quindi la possibilità che queste prove, sfuggite ad una eventuale distruzione fatta dai tedeschi alla fine del conflitto, potrebbero un giorno venir fuori?

R – Le ho già detto che certi fatti vanno condannati in assoluto. Quindi se poniamo anche solo per assurdo che un domani si dovessero trovare prove su queste camere a gas, la condanna di cose così orribili, di chi le ha volute e di chi le ha usate per uccidere, dovrebbe essere indiscussa e totale. Vede, in questo senso ho imparato che nella vita le sorprese possono non finire mai. In questo caso però credo di poterlo escludere con certezza perché per quasi sessanta anni i documenti tedeschi, sequestrati dai vincitori della guerra, sono stati esaminati e vagliati da centinaia e centinaia di studiosi, sicché, ciò che non è emerso finora difficilmente potrà emergere in futuro.

Per un altro motivo devo poi ritenerlo estremamente improbabile e Le spiego il perché: a guerra già avanzata i nostri avversari avevano cominciato ad insinuare sospetti su attività omicide nei Lager. Parlo della dichiarazione interalleata del dicembre 1942, in cui si diceva genericamente di barbari crimini della Germania contro gli ebrei e si prevedeva la punizione dei colpevoli. Poi, alla fine del 1943, ho saputo che non si trattava di generica propaganda di guerra, ma addirittura i nostri nemici pensavano di fabbricare false prove su questi crimini. La prima notizia la ebbi dal mio compagno di corso, grande amico, Capitano Paul Reinicke, che passava le sue giornate a contatto con il numero due del governo tedesco, il Reichsmarschall Goering: era il suo capo scorta. L’ultima volta che lo vidi mi riferì del progetto di vere e proprie falsificazioni. Goering era furibondo per il fatto che riteneva queste mistificazioni infamanti agli occhi del mondo intero. Proprio Goering, prima di suicidarsi, contestò violentemente di fronte al tribunale di Norimberga la produzione di prove falsificate.

Un altro accenno lo ebbi successivamente dal capo della polizia Ernst Kaltenbrunner, l’uomo che aveva sostituito Heydrich dopo la sua morte e che fu poi mandato alla forca a seguito del verdetto di Norimberga.

Lo vidi verso la fine della guerra per riferirgli le informazioni raccolte sul tradimento del Re Vittorio Emanuele. Mi accennò che i futuri vincitori, erano già all’opera per costruire false prove di crimini di guerra ed altre efferatezze che avrebbero inventato sui lager a riprova della crudeltà tedesca. Stavano già mettendosi d’accordo sui particolari di come inscenare uno speciale giudizio per i vinti.

Soprattutto però ho incontrato nell’agosto 1944 il diretto collaboratore del generale Kaltenbrunner, il capo della Gestapo, generale Heinrich Müller. Grazie a lui ero riuscito a frequentare il corso allievi ufficiali. A lui dovevo molto e lui era affezionato a me. Era venuto a Roma per risolvere un problema personale del mio comandante ten. colonnello Herbert Kappler. In quei giorni la quinta armata americana stava per sfondare a Cassino, i Russi avanzavano verso la Germania. La guerra era già inesorabilmente persa. Quella sera mi chiese di accompagnarlo in albergo. Essendoci un minimo di confidenza mi permisi di chiedergli maggiori dettagli sulla questione. Mi disse che tramite l’attività di spionaggio si aveva avuto conferma che il nemico, in attesa della vittoria finale, stava tentando di fabbricare le prove di nostri crimini per mettere in piedi un giudizio spettacolare di criminalizzazione della Germania una volta sconfitta. Aveva notizie precise ed era seriamente preoccupato. Sosteneva che di questa gente non c’era da fidarsi perché non avevano senso dell’onore né scrupoli. Allora ero giovane e non diedi il giusto peso alle sue parole ma le cose poi di fatto andarono proprio come il generale Müller mi aveva detto. Questi sono gli uomini, i gerarchi, che secondo quanto oggi si dice avrebbero dovuto pensare ed organizzare lo sterminio degli ebrei con le camere a gas! Lo considererei ridicolo se non si trattasse di fatti tragici.

Per questo quando gli americani nel 2003 hanno aggredito l’Iraq con la scusa che possedeva “armi di distruzione di massa”, con tanto di falso giuramento di fronte al consiglio di sicurezza dell’ONU del Segretario di stato Powel, proprio loro che quelle armi erano stati gli unici ad usarle in guerra, io mi sono detto: niente di nuovo!

D – Lei da cittadino tedesco sa che alcune leggi in Germania, Austria, Francia, Svizzera Puniscono con il carcere chi nega I’Olocausto?

R – Si, i poteri forti mondiali le hanno imposte e tra poco le imporranno anche in Italia. L’inganno sta proprio nel far credere alla gente che chi, ad esempio, si oppone al colonialismo israeliano e al sionismo in Palestina sia antisemita; che chi si permette di criticare gli ebrei sia sempre e comunque; che chi osa chiedere le prove dell’esistenza di queste camere a gas nei campi di concentramento, è come se approvasse una idea di sterminio degli ebrei. Si tratta di una falsificazione vergognosa. Proprio queste leggi dimostrano la paura che la verità venga a galla. Ovviamente si teme che dopo la campagna propagandistica fatta di emozioni, gli storici si interroghino sulle prove, gli studiosi si rendano conto delle mistificazioni.

Proprio queste leggi apriranno gli occhi a chi ancora crede nella libertà di pensiero e nella importanza della indipendenza nella ricerca storica.

Certo, per quello che ho detto posso essere incriminato, la mia situazione potrebbe addirittura ancora peggiorare ma dovevo raccontare le cose come sono realmente state; il coraggio della sincerità era un dovere nei confronti del mio paese, un contributo nel compimento dei miei cento anni per il riscatto e la dignità del mio popolo.
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Re: Łe straje de i çeviłi par colpa de i partexani

Messaggioda Berto » lun apr 25, 2016 12:48 pm

I VALOROSI PARTIGIANI PRIMA SPARANO E POI SPARISCONO
Postato 7th August 2009

http://nicolickblog.blogspot.it/2009/08 ... scala.html

La strage di Pedescala è avvenuta tra il 30 aprile e il 2 maggio 1945 in tre frazioni del comune di Valdastico (Vicenza): a Pedescala dove sono morte 64 persone, a Forni e Settecà dove sono morte altre 18 persone. Esecutori furono reparti dell'esercito tedesco con l'aiuto di italiani.

La strage ebbe luogo a nord diVICENZA, tra gli altipiani di TONEZZA DEL CIMONEe dei Sette Comuni ASIAGO, dove, subito dopo Pedescala nei pressi diARSIERO, sbocca la Val d'Astico.Risalendo la Val d'Astico ci si dirige a nord verso Carbonare, frazione di LAVARONE , ove si scende verso TRENTO , la Val d'Adige e il Brennero.
La valle è storicamente sempre stata la strada per la Germania e nell'aprile del 1945 era percorsa dai reparti dell'esercito tedesco che tentavano di rientrare in patria secondo gli accordi presi pochi giorni prima del 30 aprile, a guerra finita, una avanguardia tedesca viene fatta oggetto di un attacco da parte di un gruppo di partigiani che uccidono sei tedeschi e si allontanano. Dietro sopraggiunge la colonna principale in ritirata che trova i propri compagni uccisi, si attesta in Pedescala e comincia a rastrellare i maschi del paese minacciando di ucciderli con la triste consuetudine di 1 a 10 se non si presentano i responsabili della uccisione dei sei tedeschi. Il 30 aprile del 1945 è un Lunedì.
Non avendo alcuna risposta la colonna insediata a Pedescala inizia a sparare uccidendo nei giorni 64 persone. Quindi abbandona la valle proseguendo la ritirata. Parte degli abitanti riescono a fuggire, altri sono allontanati verso il cimitero, verso la Val d’Assa e altri sono uccisi. Tra gli uccisi il parroco, il suo anziano padre, un bambino di 5 anni e interi gruppi familiari. In totale 8 donne e 56 maschi. Nelle vicine frazioni di Forni e Settecà 18 persone sono radunate e uccise.
Il 2 maggio 1945 la colonna parte verso nord abbandonando un abitato devastato e incendiato.Le zone di montagna circostanti erano controllate da vari gruppi di partigiani che se da una parte avrebbero desiderato arrecare il maggior danno possibile al nemico, dall'altra ne conoscevano la forza e la propensione alla vendetta. Anche riguardo alle decisioni del CNL sull’atteggiamento da tenere durante la ritirata tedesca vi sono versioni contrastanti. Alcuni autori scrivono che per evitare il più possibile che avvenissero degli scontri e per facilitare il passaggio possibilmente senza vittime, era stato firmato a Vicenza (o meglio forse a Schio) un accordo fra l'esercito tedesco e il CNL (o meglio forse i capi partigiani della zona). Altri invece scrivono che l’ordine era di contrastare la ritirata con sabotaggi di ponti e interventi armati di disturbo.Sui motivi che possono avere scatenato tanta barbarie vengono citati: L’uccisione di sei o sette militari tedeschi avanguardie della colonna (fatto che però sembra sia avvenuto in contrà Valle di Tonezza, quindi in tutt’altra zona ). L’uccisione di due tedeschi ed il ferimento di un terzo, avanguardie della colonna. La vendetta di un alto ufficiale tedesco che era stato catturato dai partigiani, imprigionato proprio in quella zona, che era riuscito a fuggire il 29 aprile e che nella fuga aveva incontrato la colonna che poi attuò il massacro.Su chi abbia sparato sui tedeschi, fatto non provato ma probabile, alcuni autori hanno indicato i partigiani garibaldini, altri gli autonomi ed infine degli isolati assetati di vendetta e gloria.Qualche autore scrive che i partigiani sarebbero riusciti a bloccare il passo ai tedeschi per tre giorni, ma la sproporzione tra il numero e gli armamenti delle due parti rende l’affermazione poco credibile.Nessuna indagine è riuscita a chiarire tutti questi punti.

Nel 1983 il solito Presidente Partigiano con la pipa in bocca, si recò bel bello a Pedescala, per consegnare la solita medaglia, che però venne rifiutata dalla popolazione con la seguente motivazione.« Spararono poi sparirono sui monti, dopo averci aizzato contro la rabbia dei tedeschi, ci lasciarono inermi a subire le conseguenze della loro sconsiderata azione. Per tre giorni non si mossero, guardando le case e le persone bruciare. Con quale coraggio oggi proclamano di aver difeso i nostri cari »
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Re: Łe straje de i çeviłi par colpa de i partexani

Messaggioda Berto » mer apr 27, 2016 7:57 am

Pansa: tutte le falsità sulla Resistenza
Giampaolo Pansa
di Giampaolo Pansa
25 Aprile 2015

http://www.liberoquotidiano.it/news/opi ... sulla.html

Gli anniversari dovrebbero essere aboliti. Soprattutto quando celebrano un evento politico che si presta a una giostra di opinioni non condivise. Accade così per il settantesimo del 25 aprile 1945, la festa della Liberazione. Una cerimonia che suscita ancora contrasti, giudizi incattiviti e tanta retorica. A volte un mare di retorica, uno tsunami strapieno anche di bugie e di omissioni dettate dall' opportunismo politico. Per rendersene conto basta sfogliare i quotidiani e i settimanali di questa fine di aprile. È da decenni che studio e scrivo della nostra guerra civile. Ma non avevo mai visto il serraglio di oggi. Una fiera dove tutto si confonde. Dove imperano le menzogne, le reticenze, le pagliacciate, le caricature. È vero che siamo una nazione in declino e che ha perso la dignità di se stessa. Però il troppo è troppo.

Per non essere soffocato dalla cianfrusaglia, adesso proverò a rammentare qualche verità impossibile da scordare. La prima è che la guerra civile conclusa nel 1945, ma con molte code sanguinose sino al 1948, fu un conflitto fra due minoranze. Erano pochi i giovani che scelsero di fare i partigiani e i giovani che decisero di combattere l' ultima battaglia di Mussolini. Il «popolo in lotta» tanto vantato da Luigi Longo, leader delle Garibaldi, non è mai esistito. A perdere furono i ragazzi di Salò, i figli dell' Aquila repubblicana. Ma a vincere non furono quelli che avevano preso la strada opposta. L' Italia non venne liberata da loro. Se il fascismo fu sconfitto lo dobbiamo ad altri giovani che non sapevano quasi nulla di un Paese che dal 1922 aveva obbedito al Duce e l' aveva seguito in una guerra sbagliata, combattuta su troppi fronti. La vittoria e la libertà ci vennero donate dalle migliaia di ragazzi americani, inglesi, francesi, canadesi, australiani, brasiliani, neozelandesi, persino indiani, caduti sul fronte italiano. E dai militari della Brigata Ebraica, che oggi una sinistra ottusa vorrebbe escludere dalla festa del 25 aprile.

Gli stranieri e gli italiani si trovarono alle prese con una guerra civile segnata da una ferocia senza limiti. Qualcuno ha scritto che la guerra civile è una malattia mentale che obbliga a combattere contro se stessi. E svela l' animo bestiale degli esseri umani. Tutti gli attori di quella tragedia potevano cadere in un abisso infernale. Molti lo hanno evitato. Molti no. Eccidi, torture, violenze indicibili non sono stati compiuti soltanto dai nazisti e dai fascisti. Anche i partigiani si sono rivelati diavoli in terra.

In un libro di memorie scritto da un comandante garibaldino e pubblicato dall' Istituto per la storia della Resistenza di Vercelli, ho trovato la descrizione di un delitto da film horror. Una banda comunista, stanziata in Valsesia, aveva catturato due ragazze fasciste, forse ausiliarie. E le giustiziò infilando nella loro vagina due bombe a mano, poi fatte esplodere.
La ferocia insita nell' animo umano era accentuata dalla faziosità ideologica. La grande maggioranza delle bande partigiane apparteneva alle Garibaldi, la struttura creata dal Pci e comandata da Longo e da Pietro Secchia. È una verità consolidata che tra le opzioni del partito di Palmiro Togliatti ci fosse anche quella della svolta rivoluzionaria. Dopo la Liberazione sarebbe iniziata un' altra guerra. Con l' obiettivo di fare dell' Italia l' Ungheria del Mediterraneo, un Paese satellite dell' Unione Sovietica.

I comunisti potevano essere più carogne dei fascisti e dei nazisti? No, perché chi imbraccia un' arma per affermare un progetto totalitario, nero o rosso che sia, è sempre pronto a tutto. Ma esiste un fatto difficile da smentire: le stragi interne alla Resistenza, partigiani che uccidono altri partigiani, sono tutte opera di mandanti ed esecutori legati al Pci.
La strage più nota è quella di Porzûs, sul confine orientale, a 18 chilometri da Udine. Nel pomeriggio del 7 febbraio 1945, un centinaio di garibaldini assalgono il comando della Osoppo, una formazione di militari, cattolici, monarchici, uomini legati al Partito d' Azione e ragazzi apolitici. Quattro partigiani e una ragazza vengono soppressi subito. Altri sedici sono catturati e tutti, tranne due che passano con la Garibaldi, saranno ammazzati dall' 8 al 14 febbraio. Un assassinio al rallentatore che diventa una forma di tortura.
In totale, 19 vittime.

La strage ha un responsabile: Mario Toffanin, detto "Giacca", 32 anni, già operaio nei cantieri navali di Monfalcone, un guerrigliero brutale e un comunista di marmo. Ha due idoli: Stalin e il maresciallo Tito. Considera la guerriglia spietata il primo passo della rivoluzione proletaria. Ma l' assalto e la strage gli erano stati suggeriti da un dirigente della Federazione del Pci di Udine. Di lui si conosce il nome e l' estremismo da ultrà che gioca con le vite degli altri.

È quasi inutile rievocare le imprese di Franco Moranino, "Gemisto", il ras comunista del Biellese. Un sanguinario che arrivò a uccidere i membri di una missione alleata. E poi fece sopprimere le mogli di due di loro, poiché sospettavano che i mariti non fossero mai giunti in Svizzera, come sosteneva "Gemisto". Il Pci di Togliatti difese sempre Moranino e lo portò per due volte a Montecitorio e una al Senato. Anche lui come "Giacca" morì nel suo letto.

Tra le imprese criminali dei partigiani rossi è famoso il campo di concentramento di Bogli, una frazione di Ottone, in provincia di Piacenza, a mille metri di altezza sull' Appennino. Dipendeva dal comando della Sesta Zona ligure ed era stato affidato a un garibaldino che oggi definiremmo un serial killer. Tra l' estate e l' autunno del 1944 qui vennero torturati e uccisi molti prigionieri fascisti. Le donne venivano stuprate e poi ammazzate. Soltanto qualcuno sfuggì alla morte e dopo la fine della guerra raccontò i sadismi sofferti.
A volte erano dirigenti rossi di prima fila a decidere delitti eccellenti. Le vittime avevano comandato formazioni garibaldine, ma si rifiutavano di obbedire ai commissari politici comunisti. Di solito questi crimini venivano mascherati da eventi banali o da episodi di guerriglia.

Uno di questi comandanti, Franco Anselmi, "Marco", il pioniere della Resistenza sull' Appennino tortonese, dopo una serie di traversie dovute ai contrasti con esponenti del Pci, fu costretto ad andarsene nell' Oltrepò pavese.

Morì l' ultimo giorno di guerra, il 26 aprile 1945, a Casteggio per una raffica sparata non si seppe mai da chi.
Negli anni Sessanta, andai a lavorare al Giorno, diretto da Italo Pietra che era stato il comandante partigiano dell' Oltrepò. Sapeva tutto del Pci combattente, della sua doppiezza, dei suoi misteri.

Quando gli chiesi della fine di Anselmi, mi regalò un' occhiata ironica. E disse: «Vuoi un consiglio? Non domandarti nulla. Anselmi è morto da vent' anni. Lasciamolo riposare in pace».
Un' altra fine carica di mistero fu quella di Aldo Gastaldi, "Bisagno", il numero uno dei partigiani in Liguria. Era stato uno dei primi a darsi alla macchia nell' ottobre 1943, a 22 anni. Cattolico, sembrava un ragazzo dell' oratorio con il mitragliatore a tracolla, coraggioso e altruista. Divenne il comandante della III Divisione Garibaldi Cichero, la più forte nella regione. Era sempre guardato a vista dalla rete dei commissari comunisti della sua zona.

Nel febbraio 1945, il Pci cercò di togliergli il comando della Cichero, ma non ci riuscì. Alla fine di marzo Bisagno chiese al comando generale del Corpo volontari della libertà di abolire la figura del commissario politico. E quando Genova venne liberata, cercò di opporsi alle mattanze indiscriminate dei fascisti.

Non trascorse neppure un mese e il 21 maggio 1945 Bisagno morì in un incidente stradale dai tanti lati oscuri. In settembre avrebbe compiuto 24 anni. Ancora oggi a Genova molti ritengono che sia stato vittima di un delitto. Sulla sua fine esiste una sola certezza.

Con lui spariva l' unico comandante partigiano in grado di fermare in Liguria un' insurrezione comunista diretta a conquistare il potere. Scommetto mille euro che nessuno dei due verrà ricordato nelle cerimonie previste un po' dovunque. Al loro posto si farà un gran parlare delle cosiddette Repubbliche partigiane. Erano territori conquistati per un tempo breve dai partigiani e presto perduti sotto l' offensiva dei tedeschi. Le più note sono quelle di Montefiorino, dell' Ossola e di Alba.

Nel 1944, Montefiorino, in provincia di Modena, contava novemila abitanti. Con i quattro comuni confinanti si arrivava a trentamila persone. L' area venne abbandonata dai tedeschi e i partigiani delle Garibaldi vi entrarono il 17 giugno. La repubblica durò sino al 31 luglio, appena 45 giorni. Fu un trionfo di bandiere rosse, con decine di scritte murali che inneggiavano a Stalin e all' Unione Sovietica.

Vi dominava l' indisciplina più totale. Al vertice c' era il Commissariato politico, composto soltanto da comunisti. Il caos ebbe anche un lato oscuro: le carceri per i fascisti, le torture, le esecuzioni di militari repubblicani e di civili.

Ma nessuno si preoccupava di difendere la repubblica. Infatti i tedeschi la riconquistarono con facilità.

La repubblica dell' Ossola nacque e morì nel giro di 33 giorni, fra il settembre e l' ottobre del 1944. Era una zona bianca, presidiata da partigiani autonomi o cattolici. E incontrò subito l' ostilità delle formazioni rosse. Cino Moscatelli, il più famoso dei comandanti comunisti, scrisse beffardo: «A Domodossola c' è un sacco di brava gente appena arrivata dalla Svizzera che ora vuole creare per forza un governino pur di essere loro stessi dei ministrini».

La repubblica di Alba venne descritta così dal grande Beppe Fenoglio, partigiano autonomo: «Alba la presero in duemila il 10 ottobre e la persero in duecento il 2 novembre 1944». Durata dell' esperimento: 23 giorni, conclusi da una fuga generale. Sentiamo ancora Fenoglio: «Fu la più selvaggia parata della storia moderna: soltanto di divise ce n' era per cento carnevali. Fece impressione quel partigiano semplice che passò rivestito dell' uniforme di gala di colonnello d' artiglieria, con intorno alla vita il cinturone rossonero dei pompieri...».
In realtà la guerra civile fu di sangue e di fuoco. Con migliaia di morti da una parte e dall' altra. Dopo il 25 aprile ebbe inizio un' altra epoca altrettanto feroce. L' ho descritta nel libro che mi rende più orgoglioso fra i tanti che ho pubblicato: Il sangue dei vinti. Stampato da un editore senza paura: la Sperling e Kupfer di Tiziano Barbieri. Un buon lavoro professionale. Dal 2003 a oggi, nessuna smentita, nessuna querela, ventimila lettere di consenso, una diffusione record. Ma le tante sinistre andarono in tilt. E diedero fuori di matto.

Più lettori conquistavo, più venivo linciato sulla carta stampata, alla radio, in tivù. Mi piace ricordare l' accusa più ridicola: l' aver scritto quel libro per compiacere Silvio Berlusconi e ottenere dal Cavaliere la direzione del Corriere della Sera. Potrei mettere insieme un altro libro per raccontare quello che mi successe. Qui preferisco ricordare i più accaniti tra i miei detrattori: Giorgio Bocca, Sandro Curzi, Angelo d' Orsi, Sergio Luzzatto, Giovanni De Luna, Furio Colombo, qualche firma dell' Unità, varie eccellenze dell' Anpi, del Pci e di Rifondazione comunista.

Tutti erano mossi dalle ragioni più diverse. Se ci ripenso sorrido.

La meno grottesca riguarda l' ambiente legato al vecchio Pci. Dopo la caduta del Muro di Berlino e la svolta di Achille Occhetto nel 1989, gli restava poco da mordere.
Si sono aggrappati alla Resistenza.

E hanno inventato uno slogan. Dice: la Resistenza è stata comunista, dunque chi offende il Pci offende la Resistenza. Oppure: chi offende la Resistenza offende il Pci e gli eredi delle Botteghe oscure.

Ecco un' altra delle menzogne spacciate ogni 25 aprile. Insieme alla bugia delle bugie, quella che dice: le grandi città dell' Italia del nord insorsero contro i tedeschi e li sconfissero anche nell' ultima battaglia. Non è vero. La Wehrmacht se ne andò da sola, tentando di arrivare in Germania. In casa nostra non ci fu nessuna Varsavia, la capitale polacca che si ribellò a Hitler tra l' agosto e il settembre 1944. E divenne un cumulo di macerie. In Italia le uniche macerie furono quelle causate dai bombardamenti degli aerei alleati.
Che cosa resta di tutto questo?

Di certo il rispetto per i caduti su entrambe le parti. Ma anche qualcos' altro. Quando viaggio in auto per l' Italia, rimango sempre stupito dalla solitaria immensità del paesaggio. Anche nel 2015 presenta grandi spazi vuoti, territori intatti, mai violati dal cemento.

È allora che ripenso ai pochi partigiani veri e ai figli dell' Aquila fascista. E mi domando se avrei avuto il loro stesso coraggio se fossi stato un giovane di vent' anni e non un bambino. Si gettavano alle spalle tutto, la famiglia, gli studi, l' amore di una ragazza, per entrare in un mondo alieno, feroce e sconosciuto. Erano formiche senza paura e pronte a morire. L' Italia di oggi merita ancora quei figli, rossi, neri, bianchi? Ritengo di no.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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