Ƚa lagouna de Venesia vista dai spartani de Cleonemo, contà da Tito Livio:Cleonemo de Tito Liviohttps://www.academia.edu/3842724/TITO_L ... NI_E_GRECIhttps://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... FCVjg/edit Scrive Livio (10,2) che lo spartano Cleonimo, giunto con la sua flotta sulle coste dei Veneti e fatti sbarcare alcuni uomini per esplorare i luoghi, venne a sapere che di fronte al mare si stendeva una sottile striscia di terra, oltrepassata questa terra c’erano, dietro, distese d’acqua alimentate dalle maree e non lontano, terreni pianeggianti, mentre più oltre si profilavano delle colline; c’era infine la foce di un fiume assai profondo, dove le navi potevano manovrare fino ad un ancoraggio sicuro -quel fiume era il Medoacus (Brenta)-: si fece allora avanzare la flotta in quella direzione e risalire la corrente.
Da questa prima parte del racconto di Livio si può ricavare che Cleonimo non può vedere il mare dove si trovava con la sua flotta, né le acque interne alimentate dalle maree né i terreni pianeggianti dopo queste né la foce del Brenta: tutto questo gli viene riferito dagli esploratori che si sono spinti fino allo sbocco del fiume, tanto da poter assicurare che questo è navigabile.
Innanzitutto troviamo qui la puntuale descrizione della laguna veneta come si doveva presentare al tempo dello storico patavino, e come ancora oggi noi possiamo ritrovare nello stretto litorale adriatico, nei vasti spazi lagunari alla spalle di questo e nei terreni pianeggianti che ne delimitano la gronda interna.
Un quadro ambientale questo che richiama la Λήμυοθάλασσα limnothalassa, cioè la grande laguna che secondo Strabone (5, 1, 5, 212) caratterizzava le spiagge abitate dai Veneti ed era alimentata dal flusso e riflusso della marea.
Avute dunque queste notizie sui luoghi, Cleonimo fa allora avanzare la flotta verso la foce del Brenta (Medoacus amnis erat) per risalirne poi la corrente (eo invectam classem subire flumine adverso lussit. E’ logico che per raggiungere questo corso d’acqua le navi di Cleonimo dovevano innanzitutto superare il tenue praetentum litus; e questo non poteva avvenire se non attraverso una Bocca aperta sullo stretto litorale marino.
Tre oggi sono le bocche di porto che permettono alle imbarcazioni di entrare nella laguna di Venezia: la bocca di Chioggia, la bocca di Malamocco e la bocca di S.Nicolò.
Ed in quei tempi lontani? Un’indicazione preziosa al riguardo ci viene da Strabone (5, 1, 13, 213) in quale scrive che a partire da un grande porto, si raggiunge Padova dal mare risalendo per 250 stati un fiume che attraversa le paludi; il porto si chiama Medoαkος come il fiume.
Veniamo così a sapere da questo geografo che sull’Adriatico, in collegamento diretto con Padova lungo il corso del Brenta (Medoacus) si trovava uno scalo marittimo, che aveva lo stesso nome del fiume e che l’Olivieri (1961, p 148), procedendo da un Maio Medoacus attraverso le mediazioni Mamedòc> Mademòc- riconduce all’odierna località di Malamocco; equazione questa accettata e fatta propria anche dal Pellegrini (1987, p.144).
Malamocco dunque rappresentava il punto di partenza di questo viaggio fluviale dall’Adriatico a Padova e quindi Cleonimo con la sua flotta dev’essere entrato per questa bocca per poi raggiungere, attraverso retrostanti spazi lagunari, la foce dell’antico Brenta, o meglio, come ricaviamo dall’Olivieri, del Maior Medoacus.
A tale proposito mi sembra opportuno, per chiarire ancor meglio il quadro topografico dei luoghi, ricordare che il corso del Brenta, in età romana, dopo aver attraversato Padova, si divideva andando a sfociare nella laguna di Venezia attraverso due rami principali. Il più settentrionale di questi, indicato come Major, si volgeva ad oriente sulla direzione dell’odierna Riviera del Brenta e usciva in laguna all’altezza di S. Ilario di fronte alla Bocca di Malamocco, dopo aver toccato le poste stradali, ricordate dalla Tabula Peutingeriana (Segmentum III, 4-5), di Maio Meduaco, che richiama questo maggiore ramo e che è da ubicare nella attuale località di Sanbruson, e quindi di Ad Portum, da ritrovare nella borgata di Porto Menai (Mira, Venezia) dove, come denuncia lo stesso nome, si doveva incontrare uno scalo fluviale.
E’ da aggiungere che dal corso del Medoacus Maior, diretto da Porto Menai al Monastero di S. Ilario si doveva staccare all’altezza di Sanbruson, un minore ramo volto a sud-est, lungo l’attuale percorso dello scolo Brenta secca, che usciva in laguna ad oriente del paese di Lugo (MARCHIORI 1986, PG 143) Medoacus Minor invece, cioè l’altro ramo terminale del Medoacus, si portava sud attraverso l’odierna località di Brentasecca, per poi continuare lungo l’alveo dell’attuale fiume Cornio fino a sfociare in laguna presso la borgata di Lova, dove è da localizzare la stazione stradale di Mino Meduaco, anche questa presente nella Tabula Peutingeriana (idem), che richiama espressamente il minore ramo del Brenta. Anche dal Medoacus Minor, diretto a Lova, si staccava un minore ramo che, scendendo a sud, andava ad unirsi alle acque del fiume Retrone (oggi Bacchiglione), proveniente da Vicenza, per uscire poi con queste in laguna all’altezza della località di Vallonga (Bosio 1987, pag 13)n tal modo l’antico Brenta, nella sua parte terminale, si apriva in un largo delta formato da due rami principali (Maior e Minor) e da minori bracci fluviali che si dipartivano da questi. Un simile disegno fluviale permette anche di ritrovare nel maggiore ramo terminale del Brenta il fiume che Cleonimo raggiunge dopo aver superato la Bocca di Malamocco ed attraversati gli spazi lagunari. E questo non solo perché il nome di Malamocco richiama direttamente quello di Maior Medoacus, ma anche perché Livio parla espressamente di un “ostiumfluminis praealti, quo circumagi naves in stationem tutam (possint)”, cioè della foce di un fiume assai profondo e navigabile, quindi di grande portata, dove le navi potevano manovrare fino ad un ancoraggio sicuro. Fiume profondo e navigabile dunque e la presenza di un sicuro attracco, che ci riportano proprio al Medoacus Maior ed Ad Portum (Porto Menai, Mira, Venezia), che denuncia con la sua presenza l’esistenza di uno scalo fluviale sul suo corso terminale.
E qui è il caso di precisare, e ciò mi sembra da tener sempre ben presente, che il quandro ambientale, nel quale lo storico patavino colloca l’impresa di Cleonimo, è quello che Livio direttamente conosce, cioè quello del suo tempo.
Possiamo però dire che questo non doveva essere sostanzialmente diverso da quello della fine del IV secolo, cioè del 302 a.C., all’epoca nella quale ha luogo l’attacco di Cleonimo.
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Tito Liviohttp://it.wikipedia.org/wiki/Tito_LivioTito Livio, il cui cognomen è sconosciuto (Patavium, 59 a.C. – Patavium, 17), è stato uno storico romano, autore di una monumentale storia di Roma, gli Ab Urbe Condita libri CXLII, dalla sua fondazione (tradizionalmente datata 21 aprile 753 a.C.) fino alla morte di Druso, figliastro di Augusto nel 9 a.C..
http://www.poiein.it/autori/L/Lanza/LanzaCleonimo.htmhttp://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... racexi.jpg