El mito de Dante Alighieri e del volgar talian

Re: El mito de Dante Alighieri e del volgar talian

Messaggioda Berto » dom dic 22, 2013 9:04 am

http://www.accademiadellacrusca.it/it/l ... fiorentino

Lingua nazionale: le ragioni del fiorentino

Quesito:
Ci sembra significativo in questa settimana, in occasione delle celebrazioni dei 150 anni di unità d'Italia, riproporre la risposta di Maurizio Vitale al quesito proposto da Edera Stritzel di Rapallo, apparsa sul n. 3 (ottobre 1991) della nostra rivista La Crusca per voi.

Lingua nazionale: le ragioni del fiorentino

«Desidererei sapere se al momento di basare la lingua italiana su un dialetto italiano fu in ballottaggio oltreché il fiorentino anche la lingua veneta.

È pacifico che ogni dialetto avrebbe potuto, in linea generale e teorica, assurgere in Italia alla funzione e alla dignità di lingua nazionale, ossia essere adottato come lingua ufficiale da tutti i parlanti quale che fosse la loro parlata originaria. E ciò, in particolare, per due ragioni. La prima, perché ogni dialetto possedeva (specie nei tempi della loro maggiore vitalità) tutte le qualità di una lingua come strumento sociale e intellettuale; già il Manzoni osservava che "i dialetti [...] hanno tutti di necessità ciò che ci vuole a produrre l'effetto che realmente producono, cioè una continua e piena e regolata conversazione umana; hanno più o meno modi di significare [...] secondo che servono ad una più o men ristretta, più o men colta società". La seconda, perché nessun dialetto poteva vantarsi di avere in sé potenzialità linguistiche peculiari che lo rendevano il solo idoneo a svolgere i compiti propri di lingua di una nazione; il Parini, in piena polemica antidialettale, ingegnosamente e giustamente scriveva che "le lingue [...] sono tutte indifferenti per riguardo alla intrinseca bruttezza o bontà loro".

Alla luce di queste considerazioni, il dialetto veneziano di città del Due-Trecento avrebbe avuto teoricamente la possibilità, al pari di altri dialetti, di iniziare a porsi, nei primi secoli della nostra storia civile, come lingua della cultura e della società nazionale. Ma la formazione di una lingua nazionale, quando non sia determinata da ragioni politiche (la formazione di uno stato unitario, come ad esempio in Francia) o sociali o di altro genere, ma da ragioni strettamente culturali e letterarie prima di una unità statuale, come è stato in Italia, presuppone la presenza di altissimi scrittori che con il prestigio ineludibile delle loro opere impongono il loro dialetto a tutti gli altri parlanti. E Venezia non ebbe, come invece Firenze, né Dante né Petrarca né il Boccaccio, per citare solo i sommi. Non solo; ma, negli incunaboli della civiltà letteraria veneziana, poeti e scrittori veneziani si pongono subito ad ammirare e a venerare gli auctores fiorentini e a imitarne la lingua, sforzandosi di toscaneggiare la propria parlata (si ricordino almeno Giovanni e Nicolò Quirini). In questo senso, quindi, già a partire dal Trecento, il dialetto veneziano, che conoscerà una gloriosa e mirabile vitalità negli usi non soltanto civili e sociali, ma altresì letterari (si pensi al Goldoni, al Lamberti, al Buratti e a tanti altri) resterà nell'ambito circoscritto di un dialetto particolare (e raffinato nell'impiego civile in senso toscano) rispetto alla lingua toscofiorentina avviata a divenire lingua della nazione.

Maurizio Vitale

On me comento:

A ke i secoli i venesiani no li gheva el problema de la "lengoa nasional" e par luri, i venesiani de la casta arestogratega el talian tosco-fiorentin l'era na lengoa franca de l'ara talega pì ke la so lengoa nasional veneta e la ghe serviva par darse arie e deferensiarse dal popolo, la jera na lengoa de casta pì ke lengoa nasional.
Mi veneto de tera ke a so pì nobile de li arestograteghi e patrisi venesiani a tegno come lengoa alta e comoun e nasional de l'ara veneta la me lengoa veneta, el talian lè naltra lengoa coela franca de l'ara talega ke par mi no lè na nasion e ke pì de tanto no go enterese de curar o de exaltar (la doparo e basta come on coalsiasi altro angagno tipo on trapano Makita o el jel de carbonio kel rivarà da la Merega).

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La Repubblica di Venezia e l'italiano
http://www.achyra.org/cruscate/viewtopic.php?t=2523

Sul fatto che il veneziano sia una lingua oggi distinta dall'italiano sembra che ci sia ormai unanime concordanza (ostia, ghe riva anca i profasori!).

Ma mi chiedevo: e prima?

Casualmente sono finito sul sito http://www.italica.rai.it/principali/lingua/bruni/ nella sezione in cui un professore dell'Università Ca' Foscari di Venezia, Francesco Bruni, presenta una piccola storia della lingua italiana.

Al sottocapitolo 4 del capitolo III parla di Venezia e del Mediterraneo.

Cita lo scritto di un ispettore della Repubblica di Venezia: Giovanbattista Giustiniani che nel 1553 visitò le basi veneziani nell'Adriatico orientale.

"Attento anche alla lingua, egli [Giustiniani] osserva che si parla la "lingua franca" a Pirano, Zara, Sebenico, Lesina; per Traù e Spalato aggiunge che gli uomini parlano la lingua franca, mentre le donne conoscono solo lo slavo (Traù: "hanno ben tutti la lingua franca, ma nelle case loro parlano schiavo [slavo] per rispetto alle donne, perché pocche d’esse intendono la lingua italiana, et se bene qualcuna intende, non vuol intendere se non la lingua materna"; Spalato: "tutti li cittadini parlano lingua franca [...] ma le donne non favellano se non la lor lingua materna"; per Ragusa, poi, il Giustiniani afferma che "parlano tutti lingua dalmatica e franca"; a Veglia l’idioma locale sembra all’orecchio del Giustiniani una sorta di gergo ("calmone"), mentre "tutti... forestamente favellano italiano francamente" (traggo queste testimonianze da Vianello1955). Dunque si ricavano le opposizioni lingua franca / schiavo (Traù e, implicitamente, Spalato); lingua franca / dalmatico (Ragusa); idioma locale / italiano a Veglia; e dalla testimonianza riguardante Ragusa sembra che la denominazione di "lingua franca" equivalga a "lingua italiana". Si tratta della stessa "lingua franca" con la quale i cristiani comunicavano, nei porti mediterranei, con Arabi e Turchi (si veda il par. 5)? Una risposta negativa è più che probabile, come dimostra la convertibilità di "lingua franca" e "lingua italiana"; anche perché una lingua di comunicazione quotidiana per la navigazione e gli affari mercantili tra popolazioni venete da un lato, dalmatiche (o croatizzate) dall’altro sarà stata diversa. Certo, c’è da dubitare del carattere "italiano" di questa "lingua franca"; probabilmente, per "italiano" si deve intendere un italiano fortemente locale, di colore veneziano, che gli uomini di Zara o Traù parlavano con i forestieri con cui avevano contatti più fitti, e dunque con i veneziani o veneti provenienti dalla sponda opposta dell’Adriatico."

Se anche non fosse un italiano venezianizzato (che brutta parola) o un veneziano italianizzato mi interessava il fatto che l'ispettore veneziano scriva in italiano e che si riferisca a queste parlate come a lingue italiane.

Quindi mi chiedevo: utilizzo dell'italiano nella Repubblica di Venezia aveva un importante ruolo di lingua amministrativa e ufficiale?

Inoltre, riferendosi Giustinian a queste varianti come "lingua italiana" significa che i veneziani vedevano nella lingua veneziana una grande affinità coll'italiano al punta da identificarli come una stessa lingua?

... ??? ...
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Re: El mito de Dante Alighieri e del volgar talian

Messaggioda Berto » dom dic 22, 2013 9:25 am

Ghemo ocià e sperementà endoe ke ne ga portà l'exaltasion "nasional-taliana" de la lengoa taliana: a la negasion, desfamento, mortasion, ... del popolo veneto, de la storia veneta, de l'edentetà coultural e lengoestega veneta, a l'etno-soço rasixmo antiveneto co la negasion de i nostri diriti omani e poledeghi e a el sfrutamento-opresion economega.
N'oror sensa termansa.
Co la lengoa taliana, viaja la edoloja nasionalista taliana, li falbi miti talego-romani e la soramansia de le caste parasidare e sasine e la s.ciavetù de la xente.

viewforum.php?f=22
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Re: El mito de Dante Alighieri e del volgar talian

Messaggioda Sixara » gio dic 26, 2013 9:24 pm

Berto ha scritto:a la negasion, desfamento, mortasion, ... del popolo veneto, de la storia veneta, de l'edentetà coultural e lengoestega veneta, a l'etno-soço rasixmo antiveneto co la negasion de i nostri diriti omani e poledeghi e a el sfrutamento-opresion economega.


Ma nò dai..senpre ca te vedi nero ti, pardedrio e par davanti. Ma nò, ke no xe cusì. Certo ke par tuta la vita i ne ga fato capire ke parlar veneto, scrivare veneto, lèzare veneto èsare veneto.. no' jèra na roba màsa bèla, però a ghemo rexistio. L è stà la nostra rexistenza, nò? Morale, politica oltre ke umana, linguistica. L è stà na scola dura ma no' se ghemo persi. E no' xe bèn, cusì? :D
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Re: El mito de Dante Alighieri e del volgar talian

Messaggioda Berto » ven dic 27, 2013 7:02 pm

Anca el simioto de Dante el gheva poca considerasion par le lengoe de li altri el jera on rogante prexountuoxo, on toscanàso fiorentin sensa creansa, da sta vista el jera on poro macaco (anca se li so avi, ke li ghe ga dasto el cognome, li jera xermani).

L'arestograsia venesiana lè ndasta vanti 4 secoli, suparxò, a doparar anca la lengoa volgar dita "talian" ma no la se sentiva miga de nasionaletà taliana e gnanca la se ga mai dasta da far par costruir o promovar na "nasion taliana":

La Repiovega Serenisima e l'idea de 'Talia
https://picasaweb.google.com/1001409263 ... deaDItalia

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... -de-IC.jpg

viewtopic.php?f=49&t=242


Pur li xvisari tiçinexi li favela anca el talian ma no li xe e no li se sente par gnente taliani.

El nasionaleixmo talian al dopara la lengoa taliana e el mito de Dante come dei fetiçi; e se sà ke el fetiçixmo lè on "primativixmo o edioteixmo" o a volte na parversion.

Fetiçixmo
http://it.wikipedia.org/wiki/Feticismo
Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... A7ixmo.jpg
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Re: El mito de Dante Alighieri e del volgar talian

Messaggioda Berto » sab dic 28, 2013 7:57 am

Sto kive lè on sito de nasionalisti taliani osesi dal volgar de Dante e ke li fa de la lengoa taliana on fetiço del nasionaleixmo talian:

Cruscate
http://www.achyra.org/cruscate/index.php

e li conta anca on mucio de bàle e li trata la lengoa veneta come on dialeto o lengoa sotana (enferior), ke gràmi e ke gramegna omana e coultural.
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Re: El mito de Dante Alighieri e del volgar talian

Messaggioda Berto » sab dic 28, 2013 8:25 am

Dante col scriveva en lenga volgar nol ghea enamente la Taja o de far el stado tajan, Dante nol jera e nol se sentiva tajan e sora de tuto nol gheva so la cràpa el mito de Roma:

… Anche il caso di Dante è stato sovente strumentalizzato o mal compreso: perché non di amore verso la Germania si trattava per il grande fiorentino, ma di fede nella necessità storica dell’Impero. Il fatto che gli imperatori del XIV secolo fossero tedeschi era, per Dante, del tutto irrilevante, tanto universalistica e sovra-nazionale era la sua concezione politica; ben diversa, in questo senso, da quella esplicitamente nazionale e anti-tedesca di Petrarca. …

El Petrarca envense el podea sentirse tajan e erede de li romani ... ?!

http://www.centrostudilaruna.it/germani ... ibile.html



Jermagna e Taja
(n’articolo on fià turbio, nol me convinse e nol me piaxe, el senplefega màsa la storia en funsion de li stadi “nasional-onedari” de l’otoçento)

Per dire la verità, bisogna constatare che questo amore è stato per lo più, se non proprio a senso unico, prevalentemente degli uomini di cultura tedeschi verso l’Italia, che non di quelli italiani verso la Germania.
Il grande Teodorico lo avrebbe trovato perfettamente naturale, dato che nelle sue leggi egli disse di considerare normale che un Goto volesse assomigliare a un Latino, ma riprovevole che un Latino volesse assomigliare ad un Goto; riconoscendo, così, l’indiscutibilità della supremazia culturale di Roma ed il suo eterno fascino verso il mondo germanico.

Anche il caso di Dante è stato sovente strumentalizzato o mal compreso: perché non di amore verso la Germania si trattava per il grande fiorentino, ma di fede nella necessità storica dell’Impero. Il fatto che gli imperatori del XIV secolo fossero tedeschi era, per Dante, del tutto irrilevante, tanto universalistica e sovra-nazionale era la sua concezione politica; ben diversa, in questo senso, da quella esplicitamente nazionale e anti-tedesca di Petrarca.

Eppure, fino alla metà del XIX secolo e forse ancora oltre, anche da parte italiana esisteva una sia pure più contenuta simpatia nei confronti della Germania (non dell’Austria, per le note ragioni politiche): non aveva forse il Manzoni dedicato proprio la più patriottica delle sue liriche, «Marzo 1821», alla memoria del poeta-soldato tedesco Theodor Körner, caduto combattendo contro le armate napoleoniche per la libertà della sua patria?

Ma, nel complesso, nulla di paragonabile, da parte italiana, al trasporto entusiastico che manifestavano verso l’Italia gli intellettuali tedeschi.

C’è un quadro di Friedrich Overbeck, «Germania e Italia», che bene raffigura questo amore bruciante dell’anima tedesca verso l’anima italiana: amore incompreso e spesso indesiderato, talvolta frainteso, mai pienamente ricambiato; amore impossibile, insomma.

Il quadro è del 1828 e raffigura due fanciulle, allegorie dei due popoli, che siedono l’una accanto all’altra, tenendosi per mano, sullo sfondo dei due rispettivi paesaggi “tipici”, il nordico e il mediterraneo. Ebbene, osservandole anche solo di sfuggita, non si può non notare al volo quale delle due sia l’amante e quale l’amata: ardente e volitivo lo sguardo della bionda fanciulla tedesca, languido e abbandonato quello della bruna ragazza italiana coronata di alloro, che sembra quasi in cerca di protezione e di conforto alle sue pene segrete.

Un amore precario, quindi: cementato, a ben guardare, più dalla comune reazione all’Illuminismo di matrice francese, ma di diversissima origine nei due casi – romantica la tedesca, classicista l’italiana – che ha fatto della cultura di queste due nazioni, a ben guardare, una sorta di prolungamento dei valori premoderni fin nel cuore della modernità; se è vero – come è vero – che la modernità è figlia di Cartesio prima, di Voltaire e di Rousseau poi. Ed è così che si spiega anche la convergenza tra l’idealismo filosofico tedesco e quello italiano; tra Fichte, Schelling ed Hegel da una parte, e Gioberti, Rosmini e, poi, Croce, dall’altra.
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Re: El mito de Dante Alighieri e del volgar talian

Messaggioda Berto » sab dic 28, 2013 8:34 am

Ruxante

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... anteok.jpg

Perché a' no vorae mé che i solfezaore del mondo aesse che dire, a' no vuogio fare con fa çierti cogòmbari, che mostra de saere e de avere stugiò, e co' i manda na BOLETINA o na scritura a qualcun, i ghe favela da zenoín, i ghe favela tosco' con se fa in Fiorentinaría, e da spagnaruolo, a la politana, e a la slongarina e a la soldarina, con fa i soldè, ch'a' dissè dertamen i n'ha mé magnò nomé libri e stratuti.

Parké a no vuria mia ke i solfexadori (poeti-cantori ke solfexa/fa versi) del mondo i gaese a ke dir, a no vojo far comò çerti cojonbari, ke mostra de saèr e de ver studià, e co i manda na łetarina o na scritura a calkedun , i ghe faveła da zenoín (...)e, i ghe parla toscan comò se fa in Fiorentinaria, e da spagnaruoło, a ła napołidana, e a ła ongarexe e a ła soldarina, comò fa i soldà, ke i te fa pensar ke de seguro no i gà magnà altro ke livri e statuti.

E man vielòndena i scomenzerà a sprolicare: « Madona Segnora, che a' poi fare, la quale mi hano tanta duogia, la Segnoria Vostra, aiare la vita mia, a' me rebuto a vu, ché a' sonte apassionato fieramente per amore de quela fería che mi hano passato lo core ».
E drioman i scuminsia a sparlar: “Madona Segnora, ke vù ło podì far,


E cossi va drio po qualche filatuoria longa e inse fuora del so derto rengare e de la so bona lengua; che negu[n] no g'intende, e sí i lo fa mo per mostrare de saere e per levarse in sopierbia, com diganto che gi è stè per lo mondo, e, com che dighe i solferati che no mori mé, i gi trogna e ven calefè da ogn'om, perché gi ense fuora del so naívo favelare e vol favelare a la folestiera.



E vu spontezè. O cancaro, el me ven pur da riso. Mo mi, mo mi, per n'esser spontò, a' non he vogiú fare com i fa igi, perché, com a' foesse stò spontò, a' non arae bú pí ponta, intendíu?
Mo a' ho vogiú, e sí m'ha sempre mé piasú, favelare a la pavana com se fa in sul Pavan, na bota, perché l'è el pí sbraoso favelare che zape Talia, elo. Tuò, guardè un puo' mo se l'è an vero: vegna de che man cancaro genarazion se vuogia da lonzi, igi ne' intende nu e nu no g'intendón igi. Mo che vol dire?
Perché a rengare com a' fagón nu del Pavan, el tira pí al naturale ca agno altra sparlaúra e muò de rengare che sipie. Tuò mo, ch'a' v'in vuò dire un'altra: che vol dire che i Toíschi zentiluomeni de Toescaria e d'agno fata manda suò figiuoli in sul Pavan a stare con questo e con quel'altro, inchiamentre per famigi, perché i se desbute e che g'impare a favelare com a' fazón nu? Perché? Mo perché l'è el pí zentilesco favelare che supia. Poh, chi no 'l sa? L'è ben scura la càmbara, el dirae la boca del forno. L'è un gran fato, se l'è pí belo.
Orbéntena, un pavan pò andare per tuti i lò, se l'andesse ben in Colacuto', perché de naturale l'avangerà, strapasserà agn'om. E an mi, ch'a' cognosso che l'è vero, a' no porae mé, a muò negun né a via neguna, favelare altro muò.
E perzòntena, frela cara de Tarsoro, a' ve mando saluando da mia parte, e sí a' me rebuto tuto quanto a vu, perché vu na fià, vu a' poi fare che mi a' faga (a' sai ben co' a' digo) del ben assé.
E per no ve sprolicare, a' ve vuò vegnire in sul fato de la fagenda de la vostra pussion, ch'a' me diessi de dare l'altro diazo, quando a' iera chiveluòndena da vu, quenze con vu, in ca' vostra, in la càmbera, e sí con ve diega dire, mi na fià a' gh'he pensò sora, e sí cherzo che no mancanto dal vostro lò, che per muò del me a' s'acorderóm; e sí a' ve vuò fare un bon pato.
Aldí, el scomenza vegnire ponto de bel pilego adesso bon bruscare; in colusion, a' porterè i miè ordigni, fé conto de tuorme a uovra, e se 'l ve para che a' sapia ben çerpire e taiare a vostro muò e che a' ve sastufe, a' s'acorderóm co' a' ve dighe. Tamentre a' cherzo ch'a' v'in contentarí, perché a' son ben fornío de ordigni per bruscare.
A' gh'he un bon cortelazo, e da cavare fossò a' he un bon baíle ben in manego, che, com pí a 'l uòvero, d'agnora pí el sta fremo e stachente in lo tugo, e mé scantina gamba, ch'a' tegno frema-men, s'a' la laoro mi n'arcolto, che a"l ve renderà pí e buterà megio e pí de vuogia, che l'abia fato ancora co [o]mo laoraore che gh'abia metù man.
Orbéntena, he pur an no sè che altro da dire... Ben, davera, sí, ah sí, a' me recordo. A' ve priego, perché agn'om cria chialòndena de fuora, agn'om se tribola, agn'om pianze, agn'om sbèrega altúrio e meserecuordia de sto deslubio che de' vegnire, ch'agno muò, se cri' mé che Dio ve aia, che a' preghè qualcun de quigi vuostri amighi cognosente de farme aére agno muò un solaro in lo campanile de San Massier San Marco; e s'a' poesse aére el derean, el me sarae pí in carisia, perché l'è pí in su e sí a' serè d'i dereani a morire.
A' ve priego, fé agno muò sta caritè, e an vu guardè ch'ai un bon ponte: no gh'andè tropo de sora, che le gambe no ghe vaghe de soto, perché vegnanto sto deslubio el va a perigolo che l'aqua no ghe tuogia... intendíu? Mo ben, a' ve priego, che m'arebute na fià, aldí, a vu e messiere Françesco Donò.



Galepin del veneto venesian

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Re: El mito de Dante Alighieri e del volgar talian

Messaggioda Sixara » sab dic 28, 2013 11:53 am

Berto ha scritto:C’è un quadro di Friedrich Overbeck, «Germania e Italia», che bene raffigura questo amore bruciante dell’anima tedesca verso l’anima italiana: amore incompreso e spesso indesiderato, talvolta frainteso, mai pienamente ricambiato; amore impossibile, insomma.
.

Si. Indesiderato e mai ricambiato. Parké no lo ghemo mai veramente volesto el so amore e de conseguenza no' te pòi ricanbiare calcòsa ke no' t intaresa.
Pòso ri-citarme ( da na citasion altra ke gò fata mia) : I tedeschi ci amano MA non ci rispettano, noi li rispettiamo MA non li amiamo.
L amore lè naltra roba da l rispeto. Pararìa na contradizion, ke l amore el lo contièn anca el rispeto, ma xe naltra roba.
Naltra dimension.
Eco parké tel cuadro la bruna Italien la se làsa amare da la bionda Deutschland. Ma l amor nol va te na direzion sola, l amor lè cofà el zim-zum de Dio. :D
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Re: El mito de Dante Alighieri e del volgar talian

Messaggioda Berto » sab dic 28, 2013 1:47 pm

No no Xisara, kel noi nol ghè, nol existe:
mi ke so veneto e no talian no la penso e no la sento come ti ke te si veneta taliana (mah?), mi a prefariso li todeski a li taliani.
E po' no cogna scanviar on mito e na finsion o erealtà o vertoaletà leterara o xletrana e pitorega par na realtà o veretà antropolojega e storega.
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Re: El mito de Dante Alighieri e del volgar talian

Messaggioda Sixara » sab dic 28, 2013 9:33 pm

Kel noi lè on jenerico 'italiani', dopo mi a lo sò ke ti i te piaxe e te li aprèsi i todeski (e mi nò) ma el discorso lè pì n jenerale. De còsa te ghè dubi- sol me èsare veneta o italiana? O tute 2 asième? Eh, te saìsi de coante parti ca so fàta mi, come tuti del resto. Anca de parti solo imajinà, sognà, lèto, visto.. ;)
Ke bèl colore ca te ghè méso.. propio bèo, el me preferìo dopo el blù.
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