Falbarie so' el mexoevo

Re: Falbarie so' el mexoevo

Messaggioda Berto » mer mar 16, 2016 9:19 am

Quanto sei “barbaro”? – parte 1 – Fine dell’Impero
26 marzo 2014
http://lastoriaviva.it/quanto-sei-barba ... dellimpero

Sono reduce dalla visione del film documentario “I longobardi in Italia” che permette di compiere un viaggio tra i luoghi appartenenti al sito seriale dell’UNESCO “Italia Langobardorum”. E come sempre mi succede sto elaborando i molti spunti di riflessione che questa proiezione mi ha fornito.

Già, l’Italia dei Longobardi… È incredibile come i libri di storia maltrattino ancora molto i regni instaurati in Europa dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente. La nostra storia, quella Europea e soprattutto italiana, non sono rimaste sospese e in apnea nell’attesa del Rinascimento. Nel lungo e complicato periodo durato ben mille anni, definito banalmente Medio Evo, età di mezzo tra la grandiosità dell’impero Romano e la Rinascita, si sono succeduti in Italia una serie di popoli e vicende che hanno lasciato il segno: nell’architettura, nell’arte, nella lingua. E poiché con il linguaggio si trasmettono le idee, non temiamo di dire che hanno lasciato il segno nel nostro pensiero.
Senza scadere nelle irrisolvibili diàtribe tra nostalgici eredi dell’Impero Romano e altrettanto nostalgici eredi di tutte le altre etnie che hanno popolato la penisola, mi sembra il caso di dare giusto risalto a quanto della cultura cosiddetta barbarica il nostro paese possiede. Conosco già un paio di obiezioni: Poggiarono sulla struttura giuridico-amministrativa romana! Impararono a costruire dai Romani! Tutto vero, sarebbe stato del resto una scelta insensata e irresponsabile gettare quanto di buono e ancora perfettamente funzionante e funzionale rimaneva dell’Impero. Un segno di intelligenza farne buon uso e ampliarne le potenzialità in un’era diversa e nuova. Facciamo una rapida carrellata, in puro stile Bignami di Storia.


Quando finisce l’impero romano d’Occidente?

Come tutti sanno la caduta dell’Impero romano d’Occidente viene fatta ufficialmente coincidere con la presa del potere da parte di Odoacre, nel 476. E’ questa una data del tutto convenzionale dal momento che, anche negli anni precedenti, il comando non era più di fatto in mano agli imperatori, ma ai loro magistri militum, generali di stirpe barbarica che in tempi di grandi pressioni militari in tutta la parte occidentale dell’impero, detenevano il potere attraverso il controllo delle legioni. Ma secondo me il cosiddetto “inizio della fine” fu segnato con certezza dalla Battaglia di Adrianopoli nel 378, in cui lo stesso imperatore Valente perse la vita e che vide la sconfitta schiacciante dell’esercito romano ad opera dei Goti.

Sull’argomento ho scovato una meravigliosa conferenza tenuta recentemente dal Professor Alessandro Barbero che presenta un’affascinante descrizione di come si arrivò ad Adrianopoli e cosa significò e che, con mio enorme conforto, condivide la mia opinione. Con la sua consueta capacità descrittiva e divulgativa rende il periodo in questione veramente “vivo”. Vi propongo il video con estremo piacere, ci sentiamo poi.

Come Barbero ha esaustivamente dimostrato quindi si può iniziare a parlare di declino già circa un secolo prima della data scolasticamente appresa e convenzionalmente stabilita. Si tratta di un secolo incredibilmente movimentato per l’Impero e per la nostra penisola. Le motivazioni del declino e tutte le sue manifestazioni non sono argomento da poco e non è il caso di trattarle in questo veloce articolo da blog, ma in appendice troverete dei testi di vario genere su cui approfondire. Per quanto mi riguarda non mi piace il termine “Caduta dell’Impero” si tratta di una trasformazione dall’impero ai regni successivi, definiti Romano-Barbarici e non vi è, culturalmente, una soluzione di continuità. A dirla tutta è il periodo della storia che personalmente preferisco per la ricchezza di rimandi tra la cultura classica e la nuova linfa barbarica. Mi piacciono i contrasti e l’ibridazione.

In buona sostanza la presenza di questo elemento “barbarico” in Italia ha una storia ben più complessa e sfumata di quello che i libri di storia scolastici possano far trasparire.

Riprendendo gli Atti del Convegno internazionale di studi (Cimitile-Santa Maria Capua Vetere, 17-18 giugno 2010)

“L’avanzata unna a metà del IV secolo, l’attraversamento del Danubio da parte dei Goti nel 376 e il successivo disastro di Adrianopoli fanno sì che aumenti anche in Occidente la presenza di nuclei barbarici originariamente stanziati nell’Europa centro-orientale. Si incrementa sensibilmente l’arruolamento di Goti, Eruli, Sarmati, Alani e Unni nell’esercito imperiale sia che si tratti di singoli individui o di bande più consistenti, tali da costituire reparti regolari con forte caratterizzazione etnica o di buccelarii a disposizione di un potente generale. La presenza di Goti e Alani in Italia si fa particolarmente significativa a partire dall’ultimo ventennio del IV secolo, a seguito delle campagne degli eserciti occidentali nelle province danubiane. Già nel 377 il generale di Graziano Frigerido sconfigge un gruppo di Greutungi guidato da Farnobio, che si era unito ad una banda di Taifali, parte dei quali verranno deportati a coltivare i campi tra Reggio, Parma e Modena. Probabilmente a seguito degli accordi di pace del 380, Graziano arruola nell’esercito occidentale bande di Alani, che poterono godere di un trattamento economico migliore rispetto a quello riservato ai soldati
regolari. Contingenti di Alani, ma anche di Unni, vennero utilizzati da Valentiniano II nel 383-384 contro gli Iutungi che avevano invaso la Rezia. Da questi arruolamenti paiono derivare i comites Alani, reparto di cavalleria inserito nelle vexillationes palatinae e a disposizione del Magister equitum praesentalis che sono ricordati nella Notita Dignitatum Occidentis agli inizi del V secolo. A Milano la presenza di Goti è frequentemente segnalata da Ambrogio in occasione della disputa delle basiliche del 385-386, dato che l’arianesimo di queste milizie favoriva l’atteggiamento anticattolico della corte: il vescovo fa anche riferimento a un carro utilizzato dai Goti come chiesa mobile.


Nuove bande alane e gote giungono in Italia nel 394 al seguito di Teodosio che al Frigido sconfigge l’usurpatore Eugenio. L’esercito dell’imperatore orientale, assai variegato per composizione, comprende anche contingenti barbarici guidati da capi tribali, ma sotto il controllo di alti ufficiali romani di origine barbarica: all’armeno Bacario erano subordinati gli orientali; a Gainas i Goti, tra i quali anche quelli di Alarico, a Saulo gli Alani (probabilmente foederati pannonici). I Goti di Alarico vennero congedati e rimandati in Oriente subito dopo la battaglia, gli Alani restarono invece in Italia, se, com’è probabile, il Saulo che li guida al Frigido è lo stesso che li comanda nella battaglia di Pollenzo del 402, morendo nello scontro. Alani al servizio dei Romani saranno presenti anche nella successiva battaglia di Verona e verranno utilizzati anche nel 405-406 contro Radagaiso, insieme a bande unne e ai Goti da Saro. Paolino di Nola ricorda invece gruppi alani al seguito di Alarico che si avvicinano minacciosamente a Nola.

La Notitia Dignitatum ricorda molti stanziamenti di Sarmatae in Italia settentrionale, segnalati anche in un rescritto imperiale del 400 indirizzato a Stilicone; molte testimonianze toponomastiche rimandano a queste presenze, una delle quali, Salmour, non lontano da Pollenzo, trova conferma in un’epigrafe frammentaria che ricorda un praefectus Sarmatarum. È questo anche il periodo che inaugura la stagione delle invasioni barbariche: Alarico, che nel 401- 402 attraversa tutta l’Italia settentrionale, assedia Milano, è sconfitto a Pollenzo e, nel corso della sua ritirata, a Verona; Radagaiso, rex Gothorum, che nel 405-406 scende dal Brennero ed è fermato da Stilicone a Fiesole e ancora Alarico nel 408-412, che il 24 agosto del 410 prende Roma e la saccheggia per tre giorni, evento sentito come epocale dai contemporanei.

La presenza di barbari orientali nella penisola in quegli anni dunque è ampiamente segnalata dalle fonti storiche, letterarie e epigrafiche; difetta gravemente invece la documentazione archeologica. Il manufatto più noto è costituito dalla coppia di fibule ad arco in lamina d’argento rinvenute nel 1888 a Villafontana, nel Veronese, entro un contesto funerario di cui non è possibile ricostruire i dettagli. Le due fibule sono assegnabili ad una tipologia tipica del costume femminile nelle culture germanico-orientali Černjachov-Sîntana de Mureş tra la metà del IV secolo e gli inizi del V; Volker Bierbrauer, assegnando particolare importanza a questo ritrovamento, ha definito come ‘orizzonte Villafontana’ l’arco cronologico che va dalla diaspora dellegenti gotiche, determinata dall’arrivo degli Unni in Europa orientale, al passaggio dei Goti di Alarico in Italia (370-380/400-410; Periodo D1, nelle vicende complessive di queste genti). In effetti queste fibule sono generalmente ritenute pertinenti il corredo di una donna giunta in Italia proprio nel corso delle incursioni di Alarico del 401-402 (le truppe del capo visigoto, in ritirata, vengono sconfitte proprio presso Verona) o del 408-412; va tenuto però in considerazione che in quegli anni altre circostanze potevano giustificare la presenza di questi oggetti: il passaggio dei Goti di Radagaiso, discesi dal Brennero, o più genericamente la presenza di un reparto dell’esercito romano con qualche effettivo barbarico.

I “barbari” quindi erano tra i romani molto prima che l’Impero, per così dire, crollasse. E dati i ritrovamenti di oggetti funerari femminili non si strattava soltanto di isolati gruppi armati e bande di passaggio, ma, sebbene non si abbiano dati certi, è anche chiaro che in qualche modo la presenza di gruppi familiari e il probabile stanziamento di individui o di piccoli gruppi non sono da escludere. Senza quindi dimenticare che la Storia è fatta di singole vite originali torniamo agli eventi macroscopici.

A mio modesto avviso l’ultimo “vero” imperatore fu Valentiniano III, figlio della nota patrizia Galla Placidia, importante figura di questo periodo di “transizione”. Sebbene anch’egli fosse di fatto dominato dalla figura di un generale barbaro, Flavio Ezio di origini scite o gotiche a seconda che si dia credito a Gibbon o Jordane, discendeva dalla dinastia di Teodosio I e Valentiniano I… non propriamente un parvenu. Sedette sul trono per un trentennio, fronteggiando la minaccia dei Vandali e degli Unni e mantenendo quanto meno il controllo di tutta la penisola e di buona parte della Gallia, sebbene la rimanente Gallia e la Spagna fossero ormai sotto il regno dei Visigoti, mentre il nord-Africa era in mano ai Vandali. Fu proprio il potere derivato da queste vittorie su Vandali e Unni a determinare l’enorme influenza del generale Ezio sulla corte imperiale. Quando le minacce d’invasione della penisola sembrarono meno pesanti anche Ezio perse il suo peso politico e Valentiniano se ne sbarazzò uccidendolo. Secondo tradizione, ci fu chi affermò che l’imperatore avesse in qualche modo tagliato la sua mano destra con la sinistra. Ma evidentemente era tradizione di famiglia: Onorio, zio di Valentiniano e suo predecessore, fece lo stesso con il proprio magister militum, di padre vandalo e madre romana, Stilicone.

Questo scherzetto permise ai Visigoti di Alarico di scorrazzare per l’Italia praticamente indisturbati nel 408-410 mentre Onorio restava barricato a Ravenna difeso più dalle circostanti paludi che da un valido esercito.
Del resto non era facile fare l’imperatore in quei tempi: obiettivamente le forze militari erano appannaggio di uomini “nuovi”, capi clan delle popolazioni limitrofe sottomesse o federate, oppure figli di militari romani e nobili donne di stirpe barbara. Qualcuno sottolinea che l’esercito si fosse modificato virando al barbarico, è molto più corretto pensare che l’Impero stesso si fosse modificato, integrando e facilitando l’incontro, oltre che lo scontro, di diverse etnie e popolazioni. Di fatto un imperatore dell’epoca, posizione piuttosto scomoda da ricoprire, doveva scegliere tra l’essere manovrato da un generale o privarsene. Ci sarebbe voluta una personalità molto forte e un totale sostegno senatoriale per contrastare con la politica la preponderante influenza militare e la volontà di affermazione di personaggi come i magistri militum di quel periodo, ma questo miracolo non accadde. Così Valentiniano fece come poté fare nel periodo caotico e pericoloso in cui visse. Durò trent’anni e questo fu di per sé un gran successo.

Gli ultimi imperatori e i generali “barbari”

Dopo Valentiniano si sono succeduti una serie di imperatori, per così dire, fantoccio, proclamati dai loro generali al solo scopo di “mantenere le apparenze”: tralasciando Petronio Massimo, coinvolto nell’assassinio di Ezio prima e di Valentiniano poi, che fu imperatore per soli settanta giorni e Avito, proclamato dai Visigoti di Spagna, che regnò per quindici mesi, vediamo prendere il potere il generale suebo-goto Ricimero che insediò e liquidò ben tre imperatori: Maggioriano assassinato da Ricimero dopo quattro anni, Libio Severo, che dopo altri quattro anni morì in circostanze sospette in cui si ventila il coinvolgimento del magister Ricimero e quindi Antemio, genero dello stesso Ricimero, che però non esitò ugualmente a scontrarsi con lui in una vera e propria guerra civile, dopo sei anni di governo. Non serve dire che vinse Ricimero, che si liberò così del suo terzo imperatore.
Toccò poi all’italico Anicio Olibrio salire al trono, per pochi mesi, mentre governavano il solito Ricimero e Gundobado, figlio del re burgundo Gundioco e secondo alcune fonti, della sorella dello stesso Ricimero.
Alla sua morte era già passato a miglior vita anche Ricimero, ma ci pensò il nipote Gundobado a porre sul trono il successore: Glicerio. Evidentemente il burgundo non aveva però la stoffa del presunto zio nello scegliere gli imperatori, perché Glicerio non venne riconosciuto né dall’imperatore d’Oriente Leone I né dalla classe senatoria. Così quando Leone inviò in Italia il suo “collega” imperatore Giulio Nepote, Gundobado non reagì e Glicerio fu deposto.

La stessa sorte toccò, come per contrappasso, anche a Giulio Nepote, il quale fu deposto dal suo magister militum Flavio Oreste. Questi pose sul trono il proprio figlio quattordicenne Romolo Augusto. Anch’egli in seguito deposto, dopo soli undici mesi in cui a governare fu il padre, per mano del magister militum Odoacre.

Odoacre e Teodorico

Siamo arrivati così alla fatidica data del 476 in cui Odoacre si pone sotto l’autorità dell’imperatore d’oriente, ma non ritiene di dover cercare un simulacro di imperatore occidentale. Ormai i tempi sono maturi per non dover rispettare nemmeno le apparenze: nei circa vent’anni dalla morte di Valentiniano all’ascesa di Odoacre, l’essere barbari non sembra rivestire più un veto per l’esercizio del potere su quel che restava dell’Impero d’Occidente. Come si legge da questa breve carrellata l’elemento barbarico ha per così dire ormai preso piede. I Vandali a sud del mare nostrum minacciano costantemente la Sicilia, l’occidente europeo è in mano ai Visigoti, a nord e a est dell’Italia premono svariate popolazioni germaniche. Nella stessa penisola italica il potere scivola gradualmente dalle mani dell’imperatore a quelle dei generali che da principio instaurano legami matrimoniali e se ne fanno spingere la carriera, poi, lentamente prendono vigore fino all’aperta assunzione di potere. Non dobbiamo pensare a uomini isolati, ma a interi clan che compongono le schiere dell’esercito. Questi uomini sono vissuti sul suolo italiano, hanno avuto mogli e amanti italiche o di altre tribù, con cui hanno generato figli. Si sono stabiliti e sono morti sulla nostra terra. Mescolando lingua e tradizioni, oltre al genoma, in una realtà per molti versi confusa e caotica ma indubbiamente vitale.

Anche l’etnia di Odoacre è confusa. «Le notizie contrastanti circa la sua origine etnica – unna, scira, turingia, ruge – sono dovute a una complessa interconnessione tribale più che all’incertezza delle fonti» si legge sul Dizionario Biografico della Treccani. Altrettanto composito il suo esercito se Jordane riporta «Non molto tempo dopo che Augustolo era stato ordinato imperatore a Ravenna dal padre Oreste, Odoacre, re dei Turcilingi si impadronì dell’Italia, avendo con sé Sciri, Eruli e ausiliari provenienti da genti diverse»
(Iordanis de origine actibusque getarum).

Ambigua fu anche la sua posizione istituzionale e il suo rapporto con la parte orientale dell’impero. Si comportò di fatto da bravo governatore dell’Italia, pagando un tributo ai Vandali riprese il controllo della Sicilia, sedò rivolte interne, sconfisse i Rugi nel Norico, attuale area attorno a Vienna, da cui però si ritirò permettendo così l’avanzata in quella zona dei Longobardi provenienti da nord. Dopo aver annesso la Dalmazia cogliendo il pretesto di punire il governatore romano Ovida, assassino di Giulio Nepote, delineò il confine della penisola verso nord seguendo quello naturale delle Alpi. Durante alcune dispute dottrinarie si schierò con la sede pontificia contro la posizione dell’imperatore Zenone. Questo gli fece ottenere alcuni privilegi rispetto alla chiesa, tali da legittimarlo come regnante, anche senza il placet di Costantinopoli.

Più o meno a questo punto del suo successo, nel 488, l’imperatore d’Oriente Zenone decise di porgli un freno. Le ambizioni e i risultati militari di Odoacre lasciavano intendere un eccessivo potere e pertanto una minaccia per la sua sovranità. Zenone si accordò con un altro cosiddetto barbaro, il re degli Ostrogoti Teodorico, perché sconfiggesse Odoacre e prendesse possesso della penisola italica e degli annessi territori.
Teodorico era un principe Ostrogoto inviato come ostaggio a Costantinopoli per suggellare gli accordi tra il padre Teodemiro e i bizantini. Cresciuto alla corte imperiale ricevette un’ottima istruzione, compreso l’apprendimento di greco e latino. riscattato dopo dieci anni dal padre si fece notare per la competenza militare. Costantinopoli gli riconobbe lo status di federato e lo nominò anche console, consolidando il suo potere nei balcani. L’accordo per sconfiggere Odoacre avrebbe potuto risolvere a Zenone il problema di essere premuto da due potenti personaggi sia a est che a ovest. La guerra durò cinque anni con numerose e complesse vicende di alterne alleanze e tradimenti. Teodorico sconfisse Odoacre una prima volta presso l’Isonzo nel 488, infliggendogli poi il colpo definitivo in territorio veronese, nella Campagna Minore (oggi Madonna di Campagna), tra le attuali San Martino Buon Albergo e San Michele.

Secondo la tradizione è proprio in occasione del tremendo scontro tra i due eserciti, quello di Odoacre e quello di Teodorico, che nacque uno tra i più tipici piatti della tradizione culinaria veronese: la Pastissada de’ Caval, lo stracotto di carne di cavallo. Alla fine della cruenta battaglia rimasero sul campo centinaia di cavalli, anch’essi, come molti combattenti, vittime dello scontro. La popolazione affamata chiese al vincitore Teodorico il permesso di utilizzare quella carne. Il nuovo sovrano lo concesse ma, data la grande abbondanza di carne, si dovette escogitare il modo di conservarla immergendola in vino e spezie. La successiva cottura diede vita al celebre piatto che oggi si mangia accompagnato dalla tipica polenta molle. Forse la storia non è vera, ma è suggestivo pensare di mangiare un cibo del V secolo legato a due re barbari, non vi pare?
A proposito di cibo: Odoacre finì i suoi giorni assassinato su ordine di Teodorico, pare durante un banchetto, e lasciò ai Goti l’incontrastato dominio sull’Italia.
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Re: Falbarie so' el mexoevo

Messaggioda Berto » dom lug 10, 2016 8:43 am

Medioevo: miti ed errori contenuti nei libri di liceo
08/05/2014

http://thefielder.net/08/05/2014/medioe ... Z-94aByzqB

Arrivo di alcuni pellegrini al santo sepolcroLa prima lezione di Storia medievale del professor Giuseppe Sergi, all’Università di Torino, è scioccante. Scoprire che la maggior parte delle conoscenze che si possiedono sul Medioevo è falsa è un colpo al cuore che non miete vittime solo grazie alla giovane età delle matricole. Il Medioevo è, in effetti, un contenitore di luoghi comuni talmente forti e radicati che nessuno si meraviglia se, in un articolo di giornale, si legge che il potere nel Medioevo era trasmesso tramite un’investitura feudale, o che il 31 dicembre 999 il mondo era terrorizzato e súbito dopo la mancata apocalisse s’ebbe una sfolgorante crescita dovuta alla rinnovata fiducia nel futuro. Quando si parla di Medioevo, tornano alla mente parole come servi della gleba, vassalli, valvassini, valvassori, vescovo-conte, ius primae noctis, feudalesimo e altre ancora. Come dimostrato dai medievisti nel corso dell’ultimo secolo, queste parole indicano perlopiú ricostruzioni sbagliate, traslazioni temporali di fenomeni avvenuti in epoche diverse, o semplici bugie.

Uno dei luoghi comuni piú ferocemente confutati ma estremamente resistenti a qualunque dichiarazione da parte degli specialisti è lo ius primae noctis. Grazie a Braveheart di Mel Gibson, l’intero globo conosce l’odiosa regola secondo la quale il signore feudale aveva il diritto di «sostituire» il marito durante la prima notte di nozze. Le radicali smentite di Felix Liebrecht e Karl Schmidt, risalenti alla seconda metà dell’Ottocento (!), sembrano non avere risvegliato alcun interesse presso la cultura di massa. Lo ius primae noctis fu in realtà ideato da alcuni giuristi del Cinquecento. Costoro pensarono, studiando una forma di pagamento in moneta d’una tassa (il formariage) riguardante i matrimoni di persone di condizione non libera, che tale forma evoluta di pagamento costituisse l’esito d’una civilizzazione progressiva d’un’usanza ben piú barbara e tremenda; un’usanza che tuttavia non è mai stata documentata.

Una delle cause piú frequenti d’errori è la «deformazione prospettica», reazione spontanea di chi non è specialista di fronte alla storia. Si guarda il passato come un paesaggio: gli elementi piú vicini sono grandi e nitidi; quelli lontani, molto piú piccoli e sfocati. Si finisce per guardare gli oggetti piú grandi e assimilare a questi i piú piccoli. Un esempio sono le convinzioni in fatto di dieta: se sulle tavole dei contadini della prima età moderna c’erano zuppe di cereali, è altrettanto vero che nell’Alto Medioevo il consumo di carne era diffusissimo. Un altro caso è quello dei castelli: difficile convincere le scolaresche in gita che i castelli tardo-medievali (quelli rimasti in piedi) sono molto diversi dai tipici villaggi fortificati in legno e pietra dei secoli precedenti. O, ancora, le famiglie — immaginate come grandi gruppi parentali organizzati su base patriarcale, simili a quelle ottocentesche — erano in realtà nucleari e molto piú «vicine» a quelle d’oggi.

La servitú della gleba è una categoria storiografica ottocentesca dall’enorme fortuna; tuttavia va decisamente ridimensionata. Rare attestazioni riguardanti adscriptus glebae hanno stuzzicato l’immaginazione dei primi studiosi d’epoca moderna. A parte pochi casi (ad esempio nelle campagne intorno a Bologna e Vercelli), la massa di contadini non è certamente ascrivibile alla categoria «servitú della gleba». Esistevano servi la cui libertà era limitata del tutto (e non solo legata alla terra), coloni liberi, piccoli allodieri (proprietari). Il fatto che alcuni di questi venissero perseguiti se abbandonavano i campi non era collegato a un qualche servaggio, bensí al mancato rispetto di contratti ventinovennali o vitalizi col proprietario della terra.

Spesso al Medioevo è imposta l’etichetta d’età feudale. Nei libri del liceo, è facile trovare la famosa piramide vassallatica, ovverosia l’immagine che rende i medievisti comprensivi nei confronti degl’iconoclasti. Feudale è una parola di straordinario successo, molto piú esotica, lontana e quindi affascinante di signoria. Marx usa questa parola per definire un tipo d’organizzazione fondiaria, un sistema di rapporti di produzione, una fase antecedente al capitalismo. Spesso sembra che feudale sia usato perfino come sinonimo di medievale. Eppure è difficile — o, meglio, impossibile — trovare alla base d’ogni frazionamento territoriale un’investitura di tipo feudale. Marc Bloch riuscí a definire con chiarezza i rapporti vassallatico-beneficiari, e il suo allievo Robert Boutruche compí un passo fondamentale: individuò la peculiare struttura di potere del Medioevo nei poteri signorili formatisi dal basso, e non delegati feudalmente dall’alto.

Vi sono diverse ragioni per cui questi errori rimangono e non vengono spazzati via dalle pagine dei libri di liceo. Il primo ordine di motivi è la semplicità di comunicazione. È facile spiegare il magma di rapporti di potere e contratti tramite una delega tutta feudale del potere. È ancor piú semplice parlare d’una sola Chiesa, potente e oppressiva, tralasciando il fatto che si può parlare di papato monarchico solo dopo il XII secolo e non prima, quando il papa era il vescovo di Roma in possesso tuttalpiú d’un primato d’onore in fatto di teologia. Il secondo ordine è quello della distanza: colpisce di piú un Medioevo molto diverso dall’oggi, in cui signori crudeli deflorano novelle spose, in cui i contadini scambiano senza bisogno di moneta e l’economia è solo di sussistenza, in cui cavalieri affascinanti partono alla ricerca del Graal…

In questa sede è possibile mostrare solo una parte dei luoghi comuni sul Medioevo. Per chi volesse approfondire il tema, esiste un ottimo nonché brevissimo libro: L’idea di Medioevo. Fra storia e senso comune, di Giuseppe Sergi, edito da Donzelli. Centundici pagine di sano buonsenso storico.
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