All'area arabo islamica non dobbiamo nulla, anzi

Re: All'area arabo islamica non dobbiamo nulla, anzi

Messaggioda Berto » mar ago 22, 2017 1:30 pm

Più soldati, ampie deleghe ai generali e rafforzamento delle attività antiterrorismo: ecco la dottrina Trump per l’Afghanistan
francesco olivo
2017/08/22

http://www.lastampa.it/2017/08/22/ester ... agina.html

Donald Trump delinea la strategia della sua amministrazione per l’Afghanistan e l’Asia centrale, definendo il quadro generale di azione che punta a chiudere una guerra in cui gli Stati Uniti sono coinvolti da quasi 16 anni. I pilastri del piano di intervento vengono individuati dal presidente americano nel concedere carta bianca e più poteri ai comandanti sul terreno senza fissare termini temporali, azioni più energiche contro le reti terroristiche terroristici, monito al Pakistan perché cessi di proteggere gli estremisti e al governo di Kabul per fare riforme perché “il nostro sostegno non è un assegno in bianco”. L’inquilino della Casa Bianca illustra il “trump-pensiero” sull’Afghanistan in diretta tv il dalla base militare di Fort Myer, Virginia, in un prime-time blindassimo che, rara eccezione durante la sua presidenza, ha impedito ogni fuga di notizie. Eppure la sua mossa era stata anticipata da media ed esperti convinti che Trump annunciasse l’invio di 4 mila militari in aggiunta agli 8.400 già presenti nel Paese.

Il presidente non snocciola numeri ma definisce il quadro di azione entro il quale avranno mano libera i suoi generali, a partire dal capo del Pentagono Jim Mattis. Lo stesso che a maggio si era esentato dall’assecondare il potere concessogli da Trump di aumentare il contingente di 3900 soldati. Il segretario alla Difesa aveva chiesto che la Casa Bianca definisse prima una strategia e questa è maturata lo scorso weekend a Camp David. Trump ripercorre il suo travagliato cammino verso la decisione annunciata ieri. “Il mio istinto era di procedere per il ritiro, e storicamente mi piace seguire i miei istinti, ma le decisioni sono molto differenti quando siedi dietro la scrivania dello studio Ovale”, ha esordito Trump per giustificare la marcia indietro rispetto alle promesse elettorali, quando aveva criticato la guerra come un inutile spreco di soldi e soldati. Tanto da considerare, su consiglio dell’ex stratega Steve Bannon, un passaggio di consegne della missione ai contractor di Blackwater. Poi però “sono arrivato a tre conclusioni fondamentali”. La prima è che “un ritiro frettoloso creerebbe un vacuum che i terroristi, incluso l’Isis e Al Qaeda, riempirebbero subito, proprio come successe prima dell’11 settembre”. La seconda è che “la nostra nazione cerca un’esito onorevole e durevole, degno dei tremendi sacrifici che sono stati fatti”, la terza che “le minacce alla sicurezza che fronteggiamo in Afghanistan e nella più ampia regione sono immense”.

Il nuovo approccio trumpiano ha come discriminante le condizioni da raggiungere e non le scadenze temporali. “È controproducente annunciare le date in cui intendiamo cominciare, o finire, le operazioni militari. Non parleremo di numeri di soldati o dei nostri piani per ulteriori attività militari”. Ma il limitarsi alla strategia quadro è anche la prerogativa del presidente convinto nella necessità di delegare ai tecnici il suo riempimento. E in questo senso la quota 4 mila potrebbe essere ufficializzata a breve da Mattis stesso. Col “surge” ci sarebbe un raddoppio del numero di comandi operativi Usa e 460 militari americani sarebbero addestratori il cui compito è di formare le forze speciali afghane. Questi corpi sono costituiti ora da 21 mila uomini, il 7% del totale delle forze di sicurezza e difesa del Paese, ma conducono tra il 70 e l’80% dei combattimenti. La strategia allora vedrebbe da una parte un rafforzamento del contingente Usa per assistere le forze afgane ad arginare la perdita di terreno degli ultimi anni. Dall’altra a rafforzare le disponibilità delle forze speciali e agevolare l’inversione del trend negativo. Ferme restando le attività di antiterrorismo per le quali il presidente vuole espandere “il potere per le forze armate Usa per colpire i terroristi e i network criminali” e massimizzare “le sanzioni e altre misure finanziarie e legali contro le reti del terrore”.

Sono infatti due le missioni Usa in Afghanistan, Resolute Support a guida americana ma sotto il cappello Nato. Prevede attività di “train, advise and assist” delle forze nazionali. Poi ci sono le attività antiterrorismo, condotte per lo più con forze speciali impegnate in attività di contrasto di Al Qaeda, Isis (nella provincia orientale di Nangharar) e altre affiliazioni terroristiche. Trump ha quindi rivolto un monito al Pakistan, accusandolo di offrire “paradisi sicuri” ai terroristi. Ma anche Kabul è stata messa in guardia: “L’America lavorerà con il governo afghano finché vedrà determinazione e progresso. Il nostro impegno tuttavia non è illimitato, e il nostro sostegno non è un assegno in bianco”. Trump ha infine ribadito che “gli Usa non useranno più il loro potere militare per costruire democrazie in terre lontane, o per provare a ricostruire altri Paesi a loro immagine, quei giorni sono finiti”. “Invece - ha aggiunto - lavoreremo con gli alleati e i partner per proteggere i nostri interessi comuni. Non chiederemo ad altri di cambiare il loro modo di vivere. Ci guiderà un realismo di buoni principi”. La “good realpolitik” di Trump coinvolge quindi gli alleati della Nato che già schierano oltre 5 mila militari in Afghanistan, tra cui poco più di 900 italiani. Non è escluso che Trump chiederà uno sforzo suppletivo anche agli alleati, nell’ambito di quel maggior contributo da sempre predicato dal presidente.
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Messaggioda Berto » mar ago 22, 2017 9:10 pm

EURABIA - UN PROGETTO PARTITO DA LONTANO

https://www.facebook.com/photo.php?fbid ... 0515887742

L'Eurabia sarà il risultato di una politica europea capeggiata dalla Francia originariamente intesa ad incrementare il potere europeo contro gli Stati Uniti attraverso un allineamento dei suoi interessi con quelli dei Paesi Arabi, causa fondamentale dell'ostilità europea nei confronti di Israele.
« Un apparato che ha reso l'Europa il nuovo continente della dhimmitudine fu messo in moto dalla crisi energetica del 1973 che avrebbe indotto i leader politici europei a fare larghe concessioni ai paesi produttori arabi con l'incitamento della Francia. Quindi fu prima delineata sommariamente una politica a larga gittata, una simbiosi dell'Europa con i paesi arabi musulmani, che dovesse avvantaggiare l'Europa - e soprattutto la Francia, il promotore primario del progetto - con un peso e un prestigio tali da rivaleggiare con quelli degli Stati Uniti. Questa politica fu intrapresa abbastanza discretamente, fuori dei trattati ufficiali, sotto il suono innocente del nome di Dialogo Euroarabo. Questa strategia, la cui meta fu la creazione di un'entità euroaraba pan-mediterranea, permettendo la libera circolazione sia di uomini sia di beni, determinò inoltre l'immigrazione politica per gli Arabi nella Comunità
(Bat Ye'or scrittrice di origine ebraica)

Gli arabi stabilirono le condizioni per questa associazione:

1) una politica europea che fosse indipendente e si opponesse a quella degli Stati Uniti
2) il riconoscimento da parte dell'Europa di un popolo palestinese, e alla creazione di uno Stato palestinese
3) il sostegno europeo all'OLP
4) la designazione di Yasser Arafat come l'unico ed esclusivo rappresentante di quel popolo palestinese
5) la delegittimazione dello Stato di Israele, storica e politica, la sua riduzione nei confini non valicabili,
6) l'arabizzazione di Gerusalemme.

Da ciò nasce la celata guerra europea contro Israele, attraverso boicottaggi economici e talvolta altrettanti accademici, con una deliberata denigrazione e la diffusione di comportamenti antisionistici e neoantisemiti.

« Secondo le previsioni, la maggior parte delle città europee sarà invasa da stranieri immigrati di lingua araba, gran parte del continente sarà sotto le leggi della sharia islamica e la cristianità avrà cessato di esistere o sarà ridotta ad uno stato di "dhimmitudine"

In Eurabia, il futuro diventerà passato ancora una volta e cristiani ed ebrei diverranno minoranze oppresse in un mare di Islam: le chiese e le cattedrali saranno rimpiazzate dalle moschee e dai minareti, la chiamata alla preghiera echeggerà da Parigi a Rotterdam e da Londra a Roma e le reliquie dell'Europa giudaico-cristiana saranno ridotte a piccole enclave in un mondo di barbuti arabofoni e donne in divisa di burka. »
(Matt Carr, "You are now entering Eurabia", 2006)



Alessandro Prignacchi
Quando scrivete che gli attentati terroristici sono la conseguenza delle nostre politiche oppressive in MO avete torto. Gli attentati sono la conseguenza del nostro supporto al MO
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Re: All'area arabo islamica non dobbiamo nulla, anzi

Messaggioda Berto » dom ago 27, 2017 9:44 am

???

Tiziano Terzani: “Sull’Islam non aveva ragione la Fallaci”
2015/01/11

https://infosannio.wordpress.com/2015/0 ... la-fallaci

(http://www.matteogracis.it )
Lettera aperta di Tiziano Terzani datata ottobre 2001, in risposta all’articolo “La rabbia e l’orgoglio” di Oriana Fallaci, che la scrittrice aveva pubblicato all’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre.

Il Sultano e San Francesco
Non possiamo rinunciare alla speranza

Oriana, dalla finestra di una casa poco lontana da quella in cui anche tu sei nata, guardo le lame austere ed eleganti dei cipressi contro il cielo e ti penso a guardare, dalle tue finestre a New York, il panorama dei grattacieli da cui ora mancano le Torri Gemelle. Mi torna in mente un pomeriggio di tanti, tantissimi anni fa quando assieme facemmo una lunga passeggiata per le stradine di questi nostri colli argentati dagli ulivi. Io mi affacciavo, piccolo, alla professione nella quale tu eri già grande e tu proponesti di scambiarci delle “Lettere da due mondi diversi”: io dalla Cina dell’immediato dopo-Mao in cui andavo a vivere, tu dall’America. Per colpa mia non lo facemmo. Ma è in nome di quella tua generosa offerta di allora, e non certo per coinvolgerti ora in una corrispondenza che tutti e due vogliamo evitare, che mi permetto di scriverti.

Davvero mai come ora, pur vivendo sullo stesso pianeta, ho l’impressione di stare in un mondo assolutamente diverso dal tuo. Ti scrivo anche – e pubblicamente per questo – per non far sentire troppo soli quei lettori che forse, come me, sono rimasti sbigottiti dalle tue invettive, quasi come dal crollo delle due Torri. Là morivano migliaia di persone e con loro il nostro senso di sicurezza; nelle tue parole sembra morire il meglio della testa umana – la ragione; il meglio del cuore – la compassione.

Il tuo sfogo mi ha colpito, ferito e mi ha fatto pensare a Karl Kraus. “Chi ha qualcosa da dire si faccia avanti e taccia”, scrisse, disperato dal fatto che, dinanzi all’indicibile orrore della Prima Guerra Mondiale, alla gente non si fosse paralizzata la lingua. Al contrario, gli si era sciolta, creando tutto attorno un assurdo e confondente chiacchierio. Tacere per Kraus significava riprendere fiato, cercare le parole giuste, riflettere prima di esprimersi. Lui usò di quel consapevole silenzio per scrivere ‘Gli ultimi giorni dell’umanita’, un’opera che sembra essere ancora di un’inquietante attualità.

Pensare quel che pensi e scriverlo è un tuo diritto. Il problema è però che, grazie alla tua notorietà, la tua brillante lezione di intolleranza arriva ora anche nelle scuole, influenza tanti giovani e questo mi inquieta. Il nostro di ora è un momento di straordinaria importanza. L’orrore indicibile è appena cominciato, ma è ancora possibile fermarlo facendo di questo momento una grande occasione di ripensamento. E un momento anche di enorme responsabilità perchè certe concitate parole, pronunciate dalle lingue sciolte, servono solo a risvegliare i nostri istinti più bassi, ad aizzare la bestia dell’odio che dorme in ognuno di noi ed a provocare quella cecità delle passioni che rende pensabile ogni misfatto e permette, a noi come ai nostri nemici, il suicidarsi e l’uccidere. “Conquistare le passioni mi pare di gran lunga più difficile che conquistare il mondo con la forza delle armi. Ho ancora un difficile cammino dinanzi a me”, scriveva nel 1925 quella bell’anima di Gandhi. Ed aggiungeva: “Finché l’uomo non si metterà di sua volontà all’ultimo posto fra le altre creature sulla terra, non ci sarà per lui alcuna salvezza”.

E tu, Oriana, mettendoti al primo posto di questa crociata contro tutti quelli che non sono come te o che ti sono antipatici, credi davvero di offrirci salvezza? La salvezza non è nella tua rabbia accalorata, né nella calcolata campagna militare chiamata, tanto per rendercela più accettabile, “Libertà duratura”. O tu pensi davvero che la violenza sia il miglior modo per sconfiggere la violenza? Da che mondo è mondo non c’è stata ancora la guerra che ha messo fine a tutte le guerre. Non lo sarà nemmeno questa.

Quel che ci sta succedendo è nuovo. Il mondo ci sta cambiando attorno. Cambiamo allora il nostro modo di pensare, il nostro modo di stare al mondo. E una grande occasione. Non perdiamola: rimettiamo in discussione tutto, immaginiamoci un futuro diverso da quello che ci illudevamo d’aver davanti prima dell’11 settembre e soprattutto non arrendiamoci alla inevitabilità di nulla, tanto meno all’inevitabilità della guerra come strumento di giustizia o semplicemente di vendetta. Le guerre sono tutte terribili. Il moderno affinarsi delle tecniche di distruzione e di morte le rendono sempre più tali. Pensiamoci bene: se noi siamo disposti a combattere la guerra attuale con ogni arma a nostra disposizione, compresa quella atomica, come propone il Segretario alla Difesa americano, allora dobbiamo aspettarci che anche i nostri nemici, chiunque essi siano, saranno ancor più determinati di prima a fare lo stesso, ad agire senza regole, senza il rispetto di nessun principio. Se alla violenza del loro attacco alle Torri Gemelle noi risponderemo con una ancor più terribile violenza – ora in Afghanistan, poi in Iraq, poi chi sa dove -, alla nostra ne seguirà necessariamente una loro ancora più orribile e poi un’altra nostra e così via.

Perché non fermarsi prima? Abbiamo perso la misura di chi siamo, il senso di quanto fragile ed interconnesso sia il mondo in cui viviamo, e ci illudiamo di poter usare una dose, magari “intelligente”, di violenza per mettere fine alla terribile violenza altrui. Cambiamo illusione e, tanto per cominciare, chiediamo a chi fra di noi dispone di armi nucleari, armi chimiche e armi batteriologiche – Stati Uniti in testa – d’impegnarsi solennemente con tutta l’umanità a non usarle mai per primo, invece di ricordarcene minacciosamente la disponibilità. Sarebbe un primo passo in una nuova direzione. Non solo questo darebbe a chi lo fa un vantaggio morale – di per sé un’arma importante per il futuro -, ma potrebbe anche disinnescare l’orrore indicibile ora attivato dalla reazione a catena della vendetta.

In questi giorni ho ripreso in mano un bellissimo libro (peccato che non sia ancora in italiano) di un vecchio amico, uscito due anni fa in Germania. Il libro si intitola Die Kunst, nicht regiert zu werden: ethische Politik von Sokrates bis Mozart (L’arte di non essere governati: l’etica politica da Socrate a Mozart). L’autore è Ekkehart Krippendorff, che ha insegnato per anni a Bologna prima di tornare all’Università di Berlino. La affascinante tesi di Krippendorff è che la politica, nella sua espressione più nobile, nasce dal superamento della vendetta e che la cultura occidentale ha le sue radici più profonde in alcuni miti, come quello di Caino e quello delle Erinni, intesi da sempre a ricordare all’uomo la necessità di rompere il circolo vizioso della vendetta per dare origine alla civiltà. Caino uccide il fratello, ma Dio impedisce agli uomini di vendicare Abele e, dopo aver marchiato Caino – un marchio che è anche una protezione – lo condanna all’esilio dove quello fonda la prima città. La vendetta non è degli uomini, spetta a Dio. Secondo Krippendorff il teatro, da Eschilo a Shakespeare, ha avuto una funzione determinante nella formazione dell’uomo occidentale perchè col suo mettere sulla scena tutti i protagonisti di un conflitto, ognuno col suo punto di vista, i suoi ripensamenti e le sue possibili scelte di azione, il teatro è servito a far riflettere sul senso delle passioni e sulla inutilità della violenza che non raggiunge mai il suo fine.


Purtroppo, oggi, sul palcoscenico del mondo noi occidentali siamo insieme i soli protagonisti ed i soli spettatori, e così, attraverso le nostre televisioni ed i nostri giornali, non ascoltiamo che le nostre ragioni, non proviamo che il nostro dolore. A te, Oriana, i kamikaze non interessano. A me tanto invece. Ho passato giorni in Sri Lanka con alcuni giovani delle “Tigri Tamil”, votati al suicidio. Mi interessano i giovani palestinesi di “Hamas” che si fanno saltare in aria nelle pizzerie israeliane. Un po’ di pietà sarebbe forse venuta anche a te se in Giappone, sull’isola di Kyushu, tu avessi visitato Chiran, il centro dove i primi kamikaze vennero addestrati e tu avessi letto le parole, a volte poetiche e tristissime, scritte segretamente prima di andare, riluttanti, a morire per la bandiera e per l’Imperatore. I kamikaze mi interessano perchè vorrei capire che cosa li rende così disposti a quell’innaturale atto che è il suicidio e che cosa potrebbe fermarli.

Quelli di noi a cui i figli – fortunatamente – sono nati, si preoccupano oggi moltissimo di vederli bruciare nella fiammata di questo nuovo, dilagante tipo di violenza di cui l’ecatombe nelle Torri Gemelle potrebbe essere solo un episodio. Non si tratta di giustificare, di condonare, ma di capire. Capire, perchè io sono convinto che il problema del terrorismo non si risolverà uccidendo i terroristi, ma eliminando le ragioni che li rendono tali.

Niente nella storia umana è semplice da spiegare e fra un fatto ed un altro c’è raramente una correlazione diretta e precisa. Ogni evento, anche della nostra vita, è il risultato di migliaia di cause che producono, assieme a quell’evento, altre migliaia di effetti, che a loro volta sono le cause di altre migliaia di effetti. L’attacco alle Torri Gemelle è uno di questi eventi: il risultato di tanti e complessi fatti antecedenti. Certo non è l’atto di “una guerra di religione” degli estremisti musulmani per la conquista delle nostre anime, una Crociata alla rovescia, come la chiami tu, Oriana. Non è neppure “un attacco alla libertà ed alla democrazia occidentale”, come vorrebbe la semplicistica formula ora usata dai politici. Un vecchio accademico dell’Università di Berkeley, un uomo certo non sospetto di anti-americanismo o di simpatie sinistrorse da’ di questa storia una interpretazione completamente diversa. “Gli assassini suicidi dell’11 settembre non hanno attaccato l’America: hanno attaccato la politica estera americana”, scrive Chalmers Johnson nel numero di The Nation del 15 ottobre. Per lui, autore di vari libri – l’ultimo, Blowback, contraccolpo, uscito l’anno scorso (in Italia edito da Garzanti, ndr) ha del profetico – si tratterebbe appunto di un ennesimo “contraccolpo” al fatto che, nonostante la fine della Guerra Fredda e lo sfasciarsi dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti hanno mantenuto intatta la loro rete imperiale di circa 800 installazioni militari nel mondo. Con una analisi che al tempo della Guerra Fredda sarebbe parsa il prodotto della disinformazione del Kgb, Chalmers Johnson fa l’elenco di tutti gli imbrogli, complotti, colpi di Stato, delle persecuzioni, degli assassinii e degli interventi a favore di regimi dittatoriali e corrotti nei quali gli Stati Uniti sono stati apertamente o clandestinamente coinvolti in America Latina, in Africa, in Asia e nel Medio Oriente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi.

Il “contraccolpo” dell’attacco alle Torri Gemelle ed al Pentagono avrebbe a che fare con tutta una serie di fatti di questo tipo: fatti che vanno dal colpo di Stato ispirato dalla Cia contro Mossadeq nel 1953, seguito dall’installazione dello Shah in Iran, alla Guerra del Golfo, con la conseguente permanenza delle truppe americane nella penisola araba, in particolare l’Arabia Saudita dove sono i luoghi sacri dell’Islam. Secondo Johnson sarebbe stata questa politica americana “a convincere tanta brava gente in tutto il mondo islamico che gli Stati Uniti sono un implacabile nemico”. Così si spiegherebbe il virulento anti-americanismo diffuso nel mondo musulmano e che oggi tanto sorprende gli Stati Uniti ed i loro alleati.

Esatta o meno che sia l’analisi di Chalmers Johnson, è evidente che al fondo di tutti i problemi odierni degli americani e nostri nel Medio Oriente c’è, a parte la questione israeliano-palestinese, la ossessiva preoccupazione occidentale di far restare nelle mani di regimi “amici”, qualunque essi fossero, le riserve petrolifere della regione. Questa è stata la trappola. L’occasione per uscirne è ora. Perchè non rivediamo la nostra dipendenza economica dal petrolio? Perchè non studiamo davvero, come avremmo potuto già fare da una ventina d’anni, tutte le possibili fonti alternative di energia? Ci eviteremmo così d’essere coinvolti nel Golfo con regimi non meno repressivi ed odiosi dei talebani; ci eviteremmo i sempre più disastrosi “contraccolpi” che ci verranno sferrati dagli oppositori a quei regimi, e potremmo comunque contribuire a mantenere un migliore equilibrio ecologico sul pianeta. Magari salviamo così anche l’Alaska che proprio un paio di mesi fa è stata aperta ai trivellatori, guarda caso dal presidente Bush, le cui radici politiche – tutti lo sanno – sono fra i petrolieri.

A proposito del petrolio, Oriana, sono certo che anche tu avrai notato come, con tutto quel che si sta scrivendo e dicendo sull’Afghanistan, pochissimi fanno notare che il grande interesse per questo paese è legato al fatto d’essere il passaggio obbligato di qualsiasi conduttura intesa a portare le immense risorse di metano e petrolio dell’Asia Centrale (vale a dire di quelle repubbliche ex-sovietiche ora tutte, improvvisamente, alleate con gli Stati Uniti) verso il Pakistan, l’India e da lì nei paesi del Sud Est Asiatico. Il tutto senza dover passare dall’Iran. Nessuno in questi giorni ha ricordato che, ancora nel 1997, due delegazioni degli “orribili” talebani sono state ricevute a Washington (anche al Dipartimento di Stato) per trattare di questa faccenda e che una grande azienda petrolifera americana, la Unocal, con la consulenza niente di meno che di Henry Kissinger, si è impegnata col Turkmenistan a costruire quell’oleodotto attraverso l’Afghanistan.

E dunque possibile che, dietro i discorsi sulla necessità di proteggere la libertà e la democrazia, l’imminente attacco contro l’Afghanistan nasconda anche altre considerazioni meno altisonanti, ma non meno determinanti. E per questo che nell’America stessa alcuni intellettuali cominciano a preoccuparsi che la combinazione fra gli interessi dell’industria petrolifera con quelli dell’industria bellica – combinazione ora prominentemente rappresentata nella compagine al potere a Washington – finisca per determinare in un unico senso le future scelte politiche americane nel mondo e per limitare all’interno del paese, in ragione dell’emergenza anti-terrorismo, i margini di quelle straordinarie libertà che rendono l’America così particolare. Il fatto che un giornalista televisivo americano sia stato redarguito dal pulpito della Casa Bianca per essersi chiesto se l’aggettivo “codardi”, usato da Bush, fosse appropriato per i terroristi-suicidi, così come la censura di certi programmi e l’allontanamento da alcuni giornali, di collaboratori giudicati non ortodossi, hanno aumentato queste preoccupazioni.

L’aver diviso il mondo in maniera – mi pare – “talebana”, fra “quelli che stanno con noi e quelli contro di noi”, crea ovviamente i presupposti per quel clima da caccia alle streghe di cui l’America ha già sofferto negli anni Cinquanta col maccartismo, quando tanti intellettuali, funzionari di Stato ed accademici, ingiustamente accusati di essere comunisti o loro simpatizzanti, vennero perseguitati, processati e in moltissimi casi lasciati senza lavoro. Il tuo attacco, Oriana – anche a colpi di sputo – alle “cicale” ed agli intellettuali “del dubbio” va in quello stesso senso. Dubitare è una funzione essenziale del pensiero; il dubbio è il fondo della nostra cultura. Voler togliere il dubbio dalle nostre teste è come volere togliere l’aria ai nostri polmoni. Io non pretendo affatto d’aver risposte chiare e precise ai problemi del mondo (per questo non faccio il politico), ma penso sia utile che mi si lasci dubitare delle risposte altrui e mi si lasci porre delle oneste domande.

In questi tempi di guerra non deve essere un crimine parlare di pace. Purtroppo anche qui da noi, specie nel mondo “ufficiale” della politica e dell’establishment mediatico, c’è stata una disperante corsa alla ortodossia. E come se l’America ci mettesse già paura. Capita così di sentir dire in televisione a un post-comunista in odore di una qualche carica nel suo partito, che il soldato Ryan è un importante simbolo di quell’America che per due volte ci ha salvato. Ma non c’era anche lui nelle marce contro la guerra americana in Vietnam? Per i politici – me ne rendo conto – è un momento difficilissimo. Li capisco e capisco ancor più l’angoscia di qualcuno che, avendo preso la via del potere come una scorciatoia per risolvere un piccolo conflitto di interessi terreni si ritrova ora alle prese con un enorme conflitto di interessi divini, una guerra di civiltà combattuta in nome di Iddio e di Allah. No. Non li invidio, i politici.

Siamo fortunati noi, Oriana. Abbiamo poco da decidere e non trovandoci in mezzo ai flutti del fiume, abbiamo il privilegio di poter stare sulla riva a guardare la corrente. Ma questo ci impone anche grandi responsabilità come quella, non facile, di andare dietro alla verità e di dedicarci soprattutto “a creare campi di comprensione, invece che campi di battaglia“, come ha scritto Edward Said, professore di origine palestinese ora alla Columbia University, in un saggio sul ruolo degli intellettuali uscito proprio una settimana prima degli attentati in America. Il nostro mestiere consiste anche nel semplificare quel che è complicato. Ma non si può esagerare, Oriana, presentando Arafat come la quintessenza della doppiezza e del terrorismo ed indicando le comunità di immigrati musulmani da noi come incubatrici di terroristi. Le tue argomentazioni verranno ora usate nelle scuole contro quelle buoniste, da libro Cuore, ma tu credi che gli italiani di domani, educati a questo semplicismo intollerante, saranno migliori? Non sarebbe invece meglio che imparassero, a lezione di religione, anche che cosa è l’Islam? Che a lezione di letteratura leggessero anche Rumi o il da te disprezzato Omar Kayan? Non sarebbe meglio che ci fossero quelli che studiano l’arabo, oltre ai tanti che già studiano l’inglese e magari il giapponese?

Lo sai che al ministero degli Esteri di questo nostro paese affacciato sul Mediterraneo e sul mondo musulmano, ci sono solo due funzionari che parlano arabo? Uno attualmente è, come capita da noi, console ad Adelaide in Australia. Mi frulla in testa una frase di Toynbee: “Le opere di artisti e letterati hanno vita più lunga delle gesta di soldati, di statisti e mercanti. I poeti ed i filosofi vanno più in là degli storici. Ma i santi e i profeti valgono di più di tutti gli altri messi assieme”. Dove sono oggi i santi ed i profeti? Davvero, ce ne vorrebbe almeno uno! Ci rivorrebbe un San Francesco. Anche i suoi erano tempi di crociate, ma il suo interesse era per “gli altri”, per quelli contro i quali combattevano i crociati. Fece di tutto per andarli a trovare. Ci provò una prima volta, ma la nave su cui viaggiava naufragò e lui si salvò a malapena. Ci provò una seconda volta, ma si ammalò prima di arrivare e tornò indietro. Finalmente, nel corso della quinta crociata, durante l’assedio di Damietta in Egitto, amareggiato dal comportamento dei crociati (“vide il male ed il peccato”), sconvolto da una spaventosa battaglia di cui aveva visto le vittime, San Francesco attraversò le linee del fronte. Venne catturato, incatenato e portato al cospetto del Sultano. Peccato che non c’era ancora la Cnn – era il 1219 – perchè sarebbe interessantissimo rivedere oggi il filmato di quell’incontro. Certo fu particolarissimo perchè, dopo una chiacchierata che probabilmente andò avanti nella notte, al mattino il Sultano lasciò che San Francesco tornasse, incolume, all’accampamento dei crociati.

Mi diverte pensare che l’uno disse all’altro le sue ragioni, che San Francesco parlò di Cristo, che il Sultano lesse passi del Corano e che alla fine si trovarono d’accordo sul messaggio che il poverello di Assisi ripeteva ovunque: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Mi diverte anche immaginare che, siccome il frate sapeva ridere come predicare, fra i due non ci fu aggressività e che si lasciarono di buon umore sapendo che comunque non potevano fermare la storia. Ma oggi? Non fermarla può voler dire farla finire.

Ti ricordi, Oriana, Padre Balducci che predicava a Firenze quando noi eravamo ragazzi? Riguardo all’orrore dell’olocausto atomico pose una bella domanda: “La sindrome da fine del mondo, l’alternativa fra essere e non essere, hanno fatto diventare l’uomo più umano?”. A guardarsi intorno la risposta mi pare debba essere “No”. Ma non possiamo rinunciare alla speranza. “Mi dica, che cosa spinge l’uomo alla guerra?”, chiedeva Albert Einstein nel 1932 in una lettera a Sigmund Freud. “E possibile dirigere l’evoluzione psichica dell’uomo in modo che egli diventi più capace di resistere alla psicosi dell’odio e della distruzione?” Freud si prese due mesi per rispondergli. La sua conclusione fu che c’era da sperare: l’influsso di due fattori – un atteggiamento più civile, ed il giustificato timore degli effetti di una guerra futura – avrebbe dovuto mettere fine alle guerre in un prossimo avvenire. Giusto in tempo la morte risparmiò a Freud gli orrori della Seconda Guerra Mondiale. Non li risparmiò invece ad Einstein, che divenne però sempre più convinto della necessità del pacifismo. Nel 1955, poco prima di morire, dalla sua casetta di Princeton in America dove aveva trovato rifugio, rivolse all’umanità un ultimo appello per la sua sopravvivenza: “Ricordatevi che siete uomini e dimenticatevi tutto il resto“.

Per difendersi, Oriana, non c’è bisogno di offendere (penso ai tuoi sputi ed ai tuoi calci). Per proteggersi non c’è bisogno d’ammazzare. Ed anche in questo possono esserci delle giuste eccezioni. M’è sempre piaciuta nei Jataka, le storie delle vite precedenti di Buddha, quella in cui persino lui, epitome della non violenza, in una incarnazione anteriore uccide. Viaggia su una barca assieme ad altre 500 persone. Lui, che ha già i poteri della preveggenza, “vede” che uno dei passeggeri, un brigante, sta per ammazzare tutti e derubarli e lui lo previene buttandolo nell’acqua ad affogare per salvare gli altri. Essere contro la pena di morte non vuol dire essere contro la pena in genere ed in favore della libertà di tutti i delinquenti. Ma per punire con giustizia occorre il rispetto di certe regole che sono il frutto dell’incivilimento, occorre il convincimento della ragione, occorrono delle prove. I gerarchi nazisti furono portati dinanzi al Tribunale di Norimberga; quelli giapponesi responsabili di tutte le atrocità commesse in Asia, furono portati dinanzi al Tribunale di Tokio prima di essere, gli uni e gli altri, dovutamente impiccati. Le prove contro ognuno di loro erano schiaccianti. Ma quelle contro Osama Bin Laden? “Noi abbiamo tutte le prove contro Warren Anderson, presidente della Union Carbide. Aspettiamo che ce lo estradiate”, scrive in questi giorni dall’India agli americani, ovviamente a mo’ di provocazione, Arundhati Roy, la scrittrice de Il Dio delle piccole cose: una come te, Oriana, famosa e contestata, amata ed odiata. Come te, sempre pronta a cominciare una rissa, la Roy ha usato della discussione mondiale su Osama Bin Laden per chiedere che venga portato dinanzi ad un tribunale indiano il presidente americano della Union Carbide responsabile dell’esplosione nel 1984 nella fabbrica chimica di Bhopal in India che fece 16.000 morti. Un terrorista anche lui? Dal punto di vista di quei morti forse si.

L’immagine del terrorista che ora ci viene additata come quella del “nemico” da abbattere è il miliardario saudita che, da una tana nelle montagne dell’Afghanistan, ordina l’attacco alle Torri Gemelle; è l’ingegnere-pilota, islamista fanatico, che in nome di Allah uccide se stesso e migliaia di innocenti; è il ragazzo palestinese che con una borsetta imbottita di dinamite si fa esplodere in mezzo ad una folla. Dobbiamo però accettare che per altri il “terrorista” possa essere l’uomo d’affari che arriva in un paese povero del Terzo Mondo con nella borsetta non una bomba, ma i piani per la costruzione di una fabbrica chimica che, a causa di rischi di esplosione ed inquinamento, non potrebbe mai essere costruita in un paese ricco del Primo Mondo. E la centrale nucleare che fa ammalare di cancro la gente che ci vive vicino? E la diga che disloca decine di migliaia di famiglie? O semplicemente la costruzione di tante piccole industrie che cementificano risaie secolari, trasformando migliaia di contadini in operai per produrre scarpe da ginnastica o radioline, fino al giorno in cui è più conveniente portare quelle lavorazioni altrove e le fabbriche chiudono, gli operai restano senza lavoro e non essendoci più i campi per far crescere il riso, muoiono di fame?

Questo non è relativismo. Voglio solo dire che il terrorismo, come modo di usare la violenza, può esprimersi in varie forme, a volte anche economiche, e che sarà difficile arrivare ad una definizione comune del nemico da debellare. I governi occidentali oggi sono uniti nell’essere a fianco degli Stati Uniti; pretendono di sapere esattamente chi sono i terroristi e come vanno combattuti. Molto meno convinti però sembrano i cittadini dei vari paesi. Per il momento non ci sono state in Europa dimostrazioni di massa per la pace; ma il senso del disagio è diffuso così come è diffusa la confusione su quel che si debba volere al posto della guerra. “Dateci qualcosa di più carino del capitalismo“, diceva il cartello di un dimostrante in Germania. “Un mondo giusto non è mai NATO“, c’era scritto sullo striscione di alcuni giovani che marciavano giorni fa a Bologna. Già. Un mondo “più giusto” è forse quel che noi tutti, ora più che mai, potremmo pretendere. Un mondo in cui chi ha tanto si preoccupa di chi non ha nulla; un mondo retto da principi di legalità ed ispirato ad un po’ più di moralità.

La vastissima, composita alleanza che Washington sta mettendo in piedi, rovesciando vecchi schieramenti e riavvicinando paesi e personaggi che erano stati messi alla gogna, solo perchè ora tornano comodi, è solo l’ennesimo esempio di quel cinismo politico che oggi alimenta il terrorismo in certe aree del mondo e scoraggia tanta brava gente nei nostri paesi. Gli Stati Uniti, per avere la maggiore copertura possibile e per dare alla guerra contro il terrorismo un crisma di legalità internazionale, hanno coinvolto le Nazioni Unite, eppure gli Stati Uniti stessi rimangono il paese più reticente a pagare le proprie quote al Palazzo di Vetro, sono il paese che non ha ancora ratificato né il trattato costitutivo della Corte Internazionale di Giustizia, né il trattato per la messa al bando delle mine anti-uomo e tanto meno quello di Kyoto sulle mutazioni climatiche. L’interesse nazionale americano ha la meglio su qualsiasi altro principio. Per questo ora Washington riscopre l’utilità del Pakistan, prima tenuto a distanza per il suo regime militare e punito con sanzioni economiche a causa dei suoi esperimenti nucleari; per questo la Cia sarà presto autorizzata di nuovo ad assoldare mafiosi e gangster cui affidare i “lavoretti sporchi”, di liquidare qua e là nel mondo le persone che la Cia stessa metterà sulla sua lista nera.

Eppure un giorno la politica dovrà ricongiungersi con l’etica se vorremo vivere in un mondo migliore: migliore in Asia come in Africa, a Timbuctu come a Firenze. A proposito, Oriana. Anche a me ogni volta che, come ora, ci passo, questa città mi fa male e mi intristisce. Tutto è cambiato, tutto è involgarito. Ma la colpa non è dell’Islam o degli immigrati che ci si sono installati. Non son loro che han fatto di Firenze una città bottegaia, prostituita al turismo! E successo dappertutto. Firenze era bella quando era più piccola e più povera. Ora è un obbrobrio, ma non perchè i musulmani si attendano in Piazza del Duomo, perchè i filippini si riuniscono il giovedì in Piazza Santa Maria Novella e gli albanesi ogni giorno attorno alla stazione. E così perchè anche Firenze s’é “globalizzata”, perchè non ha resistito all’assalto di quella forza che, fino ad ieri, pareva irresistibile: la forza del mercato. Nel giro di due anni da una bella strada del centro in cui mi piaceva andare a spasso è scomparsa una libreria storica, un vecchio bar, una tradizionalissima farmacia ed un negozio di musica. Per far posto a che? A tanti negozi di moda. Credimi, anch’io non mi ci ritrovo più. Per questo sto, anch’io ritirato, in una sorta di baita nell’Himalaya indiana dinanzi alle più divine montagne del mondo. Passo ore, da solo, a guardarle, lì maestose ed immobili, simbolo della più grande stabilità, eppure anche loro, col passare delle ore, continuamente diverse e impermanenti come tutto in questo mondo.

La natura è una grande maestra, Oriana, e bisogna ogni tanto tornarci a prendere lezione. Tornaci anche tu. Chiusa nella scatola di un appartamento dentro la scatola di un grattacielo, con dinanzi altri grattacieli pieni di gente inscatolata, finirai per sentirti sola davvero; sentirai la tua esistenza come un accidente e non come parte di un tutto molto, molto più grande di tutte le torri che hai davanti e di quelle che non ci sono più. Guarda un filo d’erba al vento e sentiti come lui. Ti passerà anche la rabbia. Ti saluto, Oriana e ti auguro di tutto cuore di trovare pace. Perchè se quella non è dentro di noi non sarà mai da nessuna parte. >>


Gino Quarelo
Non travisiamo e snaturiamo il vero senso della vendetta che è quello della giustizia, ripristinare la giustizia.
Nella vendetta dei nostri padri o avi non vi è nulla di male ma vi è il bene, la ricerca della giustizia, di ripristinare l'ordine, l'armonia umana e sociale violate.
Il vero e buon perdono si inserisce in questo contesto di giustizia vendicativa non per annullare come male la vendetta ma per migliorarla come giustizia e ripristino dell'armonia; il perdono non può mai essere ingiustizia, resa al male e vigliaccheria.
Il perdono può sussistere soltanto laddove vi è scusa, pentimento e risacimento; altrimenti il persono non ha senso e diventa ingiustizia, incentivo al male.
La vera salvezza si riferisce all'ambito terrestre e non certo a quello celeste che esiste soltanto nella fantasia dei credenti.
La vendetta come giustizia non spetta a Dio ma all'uomo; è compito precipuo e responsabilità dell'uomo come il male e il bene; delegarla a Dio è semplicemente assurdo come il delegare a Dio il vivere e la responsabilità del bene e del male, significa svuotare l'uomo della vita stessa, un non senso.

Poi sulle complesse responsabilità storiche dell'occidente, dell'Europa e dell'America, dei paesi a prevalenza cristiana, che certamente vi sono, ma non nella misura e nella qualità descritte dall'articolista Tiziano Terzani, responsabilità relative che non giustificano in alcun modo e non trasformano questi atti criminali e disumani del terrorismo maomettano o islamico in positive, sensate e aprezzabili azioni di giustizia vendicativa.
Anche per Terzani, come per tanti altri che condividono la sua malata visione del mondo, piena di pregiudizi, l'occidente viene ritenuto demenzialmente e a torto come la fonte del male del mondo.



Apostati dell'Islam, eroi dell'umanità
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Re: All'area arabo islamica non dobbiamo nulla, anzi

Messaggioda Berto » lun apr 02, 2018 9:43 am

Crimini dei nazisti maomettani marocchini in Europa
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Africa razzista, il continente nero è tra i più razzisti della terra
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Razzismo africano:
interetnico e tribale, dei neri contro i bianchi, dei maomettani contro i cristiani, gli ebrei e gli animisti
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All'Africa e agli africani non dobbiamo nulla, ma proprio nulla, niente di niente, tanto meno agli asiatici e ai nazisti maomettani d'Asia e d'Africa. Ci dispiace per i cristiani ma non possiamo accogliere tutti perché non vi è spazio, non vi sono risorse e non c'è lavoro, in Italia vi sono già milioni di poveri, di disoccupati e di giovani costretti a migrare; e un debito pubblico tra i più alti del mondo occidentale che soffoca lo sviluppo e alimenta i parassiti e la corruzione. Gli africani si arrangino e restino in Africa a risolvere i loro problemi.
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Pensa prima alla tua gente e al tuo paese che ne hanno bisogno, invece che agli africani e all'Africa
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Re: All'area arabo islamica non dobbiamo nulla, anzi

Messaggioda Berto » mar gen 01, 2019 10:53 am

La miseria dei paesi maomettani deriva dall'Islam, da Maometto, dal suo idolo Allah e dal Corano
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I mussulmani cosidetti moderati e l'Islam buono non esistono
viewtopic.php?f=188&t=2808

Il mito della tolleranza islamica
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Questo è l'Islam o nazismo maomettano: idolatria, orrore, terrore e morte, da sempre
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Islam e islamici dove sta il problema?
viewtopic.php?f=188&t=2709

Allah non è Dio e Maometto non è un profeta di Dio
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Islam e persecuzione e sterminio dei cristiani (cristianofobia)
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Re: All'area arabo islamica non dobbiamo nulla, anzi

Messaggioda Berto » mer gen 09, 2019 6:50 am

https://www.facebook.com/renata.golin.9 ... 7001147219

7 gennaio alle ore 20:06

SE FOSSE TUO FIGLIO...

Se fosse tuo figlio
riempiresti il mare di navi
di qualsiasi bandiera.

Vorresti che tutte insieme
a milioni
facessero da ponte
per farlo passare.

Premuroso,
non lo lasceresti mai da solo
faresti ombra
per non far bruciare i suoi occhi,
lo copriresti
per non farlo bagnare
dagli schizzi d'acqua salata.

Se fosse tuo figlio ti getteresti in mare,
uccideresti il pescatore che non presta la barca,
urleresti per chiedere aiuto,
busseresti alle porte dei governi
per rivendicare la vita.

Se fosse tuo figlio oggi saresti a lutto,
odieresti il mondo, odieresti i porti
pieni di navi attraccate.
Odieresti chi le tiene ferme e lontane
da chi, nel frattempo
sostituisce le urla
con acqua di mare.

Se fosse tuo figlio li chiameresti
vigliacchi disumani, gli sputeresti addosso.
Dovrebbero fermarti, tenerti, bloccarti,
vorresti spaccargli la faccia,
annegarli tutti nello stesso mare.

Ma stai tranquillo, nella tua tiepida casa
non è tuo figlio, non è tuo figlio.
Puoi dormire tranquillo
E sopratutto sicuro.
Non è tuo figlio.

È solo un figlio dell'umanità perduta,
dell'umanità sporca, che non fa rumore.

Non è tuo figlio, non è tuo figlio.
Dormi tranquillo, certamente
non è il tuo.

Sergio Guttilla

https://www.facebook.com/filippo.impell ... 2740464088


Alberto Pento
Non mi tocca minimamente.
Infatti non è mio figlio e sto tranquillo, più che tranquillo perché non ho alcuna responsabilità, non gli devo niente ma proprio niente, assolutamente niente e ho altro, molto altro a cui pensare e da fare che mi prende, che richiede tutta la mia attenzione e ogni mia risorsa e sono i miei figli, la mia famiglia, la mia gente, i miei concittadini, il mio paese che hanno tanto bisogno.
È suo padre e sua madre, la sua famiglia e la sua comunità, il suo paese e il suo stato che si debbono preoccupare di lui, non certo io, non certo noi che non l'abbiamo messo al Mondo, che si arrangino, non sono io, non siamo noi i responsabili del Mondo intero, ognuno è responsabile solo di quello che gli compete e non di altro ed è già tanto, molto e non vi è posto e risorsa per altro.
Solo i presuntuosi, i dementi, i falsi e i criminali manipolatori dei valori, dei doveri e dei diritti umani si vogliono e ti vogliono responsabilie anche di questo. E guarda caso sono proprio quelli che negano a te, ai tuoi figli, alla tua famiglia, alla tua comunità e al tuo paese i diritti umani e civili alla libertà e alla sovranità e che ti vorrebbero espropriare di tutto e ridurre in schiavitù attraverso questa falsa responsabilità e questa ignobile manipolata solidarietà.
Qualche eccezione si potrebbe fare solo per i cristiani e egli ebrei perseguitati dai nazi maomettani ma nessuna per costoro, proprio nessuna per i nazi maomettani che se te li porti in casa poi potrebbero anche cacciarti, perseguitarti e ucciderti.
Amen!



Non portarti la morte in casa, non hai colpe né responsabilità
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Pensa prima alla tua gente e al tuo paese che ne hanno bisogno, invece che agli africani e all'Africa
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