All'Africa e agli africani non dobbiamo nulla

Re: All'Africa e agli africani non dobbiamo nulla

Messaggioda Berto » lun giu 05, 2017 12:18 pm

Marok e la rivolta dei Berberi
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Re: All'Africa e agli africani non dobbiamo nulla

Messaggioda Berto » mar giu 13, 2017 7:07 pm

AFRICA Gli aiuti uccidono
di Stefano Filippi
13/06/2017

http://www.ilgiornale.it/news/africa-ai ... 08653.html

Dambisa Moyo è un'economista africana che ha studiato a Oxford e Harvard, e ha lavorato, tra gli altri, per la Banca mondiale e Goldman Sachs. Il suo primo libro uscì nel 2009: oggi diremmo che erano «tempi non sospetti», non si poteva ancora immaginare la fuga disperata di milioni di africani verso l'Europa meridionale. Il volume s'intitolava Dead Aid (in italiano lo pubblicò Rizzoli con il titolo La carità che uccide) ribaltando lo slogan dell'epocale concerto Live Aid che 14 anni prima inaugurò la stagione, mai conclusa, degli eventi musicali benefici a favore dell'Africa. Per la Moyo, nata e cresciuta nello Zambia, l'«aiuto dal vivo» era piuttosto un «aiuto morto». La tesi era semplice: i fondi umanitari non aiutano affatto la crescita del continente ma lo impoveriscono sempre più. Anzi, rappresentano «una cornucopia d'elemosine con cui il mondo sviluppato tiene al guinzaglio l'Africa».

La carità a volte uccide, gli aiuti non aiutano, i soldi impoveriscono. E le grida d'allarme rimangono (...)

(...) inascoltate. Una fiumana di denaro da tutto il mondo sviluppato ha continuato a riversarsi sull'Africa, i concerti di beneficenza si sono moltiplicati, le stelle di Hollywood si sono lavate la coscienza viaggiando nei Paesi della fame (con troupe di fotografi e tv al seguito). Sembra che il sostegno della comunità internazionale non sia mai mancato al continente più indigente del pianeta. Eppure la miseria è dilagata. Le guerre continuano a divampare in conflitti civili e religiosi, come le persecuzioni degli islamici ai danni dei cristiani nel Sud Sudan. Gli effetti delle devastanti carestie non sono stati arginati dagli interventi delle Ong e della cooperazione. Ma soprattutto abbiamo cominciato a conoscere l'esodo di massa, la fuga dall'Africa maledetta, le ondate di disperati che rischiano l'unico bene rimasto - la propria vita - per inseguire l'ombra della speranza proiettata dall'Occidente.

DIECI PRENDITUTTO

Gli aiuti internazionali non sono mai mancati. Ma a che cosa servono? I flussi di denaro sono colossali. Secondo le statistiche dell'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) dal 2006 al 2015 sono piovuti in Africa 515,8 miliardi di dollari tra contributi ufficiali pubblici e privati. Una massa enorme di denaro, che è cresciuta anno dopo anno: dai 27,7 miliardi del 2006 ai 51,8 del 2015 si registra un aumento dell'87 per cento. Quasi il doppio, nonostante la crisi finanziaria internazionale e gli investimenti produttivi fatti in Africa, esclusi da questo conteggio: segno che non si può rimproverare ai Paesi sviluppati una perdita di attenzione e un irrigidimento dell'impulso solidale.

Nel complesso questa quantità di soldi è stata assorbita per oltre metà (54 per cento) da dieci Paesi che, con l'eccezione del Sudafrica, sono anche quelli da cui si sta registrando l'esodo più consistente di persone verso il Mediterraneo: in testa si trovano Egitto, Nigeria, Marocco, Etiopia. Se guardiamo i soli dati del 2015, a queste nazioni si aggiungono Algeria, Congo, Uganda. La distribuzione degli aiuti rispecchia l'evolversi delle crisi umanitarie. In base ai dati del Viminale, infatti, dall'inizio del 2017 fino a metà maggio il più alto numero di migranti sbarcati sulle coste italiane (in tutto 50.041, il 47,5 per cento in più rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso) proveniva proprio dalla Nigeria.

Il parallelismo è sconcertante. Proprio i Paesi destinatari delle quote maggiori di aiuti internazionali sono quelli da cui fuggono più persone. I fiumi di denaro della cooperazione s'ingrossano ma la povertà in cui campano gli africani non arretra. I soldi non bastano mai e la gente che fugge disperata è sempre più numerosa. Dalla Nigeria martoriata dalle milizie islamiste di Boko Haram e dalla siccità del Sahel sono sbarcate in Italia solo quest'anno 6.516 persone nonostante che nel 2015 il Paese africano avesse ricevuto quasi 21 miliardi di euro di aiuti, di gran lunga la quota maggiore di una singola nazione. Dalla Guinea sono approdati 4.712 profughi a fronte di aiuti nel 2015 per 217 milioni di dollari (1,3 miliardi nel decennio); dalla Costa d'Avorio 4.474 profughi (1,2 miliardi di sovvenzioni nel 2015, 3,5 nel decennio).

SEMPRE PIÙ POVERI

Ancora: dal Senegal sono sbarcati 3.069 profughi (784 milioni di aiuti, 6,1 miliardi nel decennio); dal Mali 2.240 (683 milioni nel 2015 e 6 miliardi nel decennio); dal Sudan 1.395 (511 milioni di dollari nel 2015, 12,6 miliardi complessivamente dal 2006). Il caso forse più paradossale è quello del Marocco. Il re Mohammed VI lo ha reso il Paese più sicuro dell'Africa a nord del Sahara, ha portato internet, sviluppato aziende, costruito autostrade anche grazie alla massa di finanziamenti tracciati dall'Ocse nel decennio: 27,3 miliardi di dollari, quarta nazione del continente dietro a Egitto, Nigeria, Sudafrica. Eppure dal Marocco si continua a fuggire perché nei primi mesi del 2017 hanno attraversato il Mediterraneo 3.055 magrebini. Secondo l'Istat al 1° gennaio 2016 vivevano in Italia 437.485 marocchini, terza comunità straniera presente in Italia dopo romeni (22,9% di tutti gli stranieri presenti sul territorio) e albanesi (9,3): i marocchini ne costituiscono l'8,7%.

In Africa non esiste un solo Paese che possa smentire il trend individuato anni fa dagli osservatori più avveduti: gli aiuti dei Paesi occidentali non alleviano la povertà dei popoli di colore. Dal dopoguerra al Duemila, ha calcolato Dambisa Moyo nel suo libro, sono stati convogliati oltre 1.000 miliardi di dollari e ancora oggi nel continente nero l'80 per cento della popolazione deve sopravvivere con meno di un dollaro al giorno.

TASSE E CORRUZIONE

L'assistenzialismo non è la ricetta che possa cambiare la governance africana. Tra il 1970 e il 1998, anni in cui i sussidi al continente sono cresciuti vigorosamente, il tasso di povertà è complessivamente salito dell'11 per cento. Prima ancora che le condizioni di salute, il riscaldamento globale e il terrorismo, il deficit numero 1 dell'Africa riguarda la crescita economica: dove c'è sviluppo produttivo e miglioramento dei redditi si verifica anche una maggiore tutela della salute con un terreno meno favorevole al terrore delle armi. Ma sul fronte dei cambiamenti strutturali nulla si muove. Secondo il Rapporto 2017 sulla competitività dell'Africa stilato dal World economic forum, la fondazione svizzera che ogni inverno promuove il vertice di Davos, i fattori più problematici per la crescita del business nel continente sono l'accesso ai finanziamenti, la corruzione, la tassazione, l'inefficiente burocrazia statale e l'instabilità politica. Fatto 100 l'accesso all'elettricità nei Paesi sviluppati, l'indicatore scende a 78 nell'Asia meridionale e precipita a 48 nell'Africa subsahariana. I consumi elettrici in Africa sono di 570 chilowattora pro capite contro gli 8.082 dei Paesi sviluppati. Soltanto il 39 per cento degli africani ha accesso alle cure sanitarie (98 nei Paesi Ocse) e il 72 all'acqua.

ONG POCO CHIARE

Il deficit infrastrutturale resta dunque tragico. Ma il divario può venire colmato soltanto da investimenti produttivi, che per esempio la Cina sta sviluppando moltissimo a costo di colonizzare a sua volta buona parte del continente. Il sistema degli aiuti invece consente ai grandi donatori di tenere l'Africa in una condizione di inferiorità perenne, tanto più che i finanziamenti finiscono molto spesso nelle tasche dei dittatori e degli sfruttatori. Quando un governo sa di poter contare su beni che non dipendono dalla propria azione (come i sussidi che la solidarietà internazionale comunque eroga, ma anche la ricchezza delle risorse naturali), esso perde interesse a perseguire obiettivi di sviluppo.

Ma oltre ai tiranni locali che alimentano i propri conti bancari offshore e alle grandi organizzazioni internazionali espressione dei Paesi sviluppati che perpetuano il controllo sul continente, esiste un'altra realtà che non ha interesse a modificare la subalternità africana: sono le Ong. Alle organizzazioni non governative che fanno da tramite tra i finanziatori e i finanziati non conviene che cambi il sistema di aiuti internazionali perché è ciò che giustifica la loro esistenza. Un sistema opaco, dove non regna la trasparenza e dove si compiono indisturbati, come s'intitola un libro dell'economista americano William Easterly, I disastri dell'uomo bianco. Sottotitolo: «Perché gli aiuti dell'Occidente al resto del mondo hanno fatto più male che bene».
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Re: All'Africa e agli africani non dobbiamo nulla

Messaggioda Berto » mer giu 21, 2017 7:09 am

Quando gli italiani vennero cacciati dalla Libia

Libia 1970: quando gli italiani fuggirono da Gheddafi. Le foto
16 febbraio 2015

http://www.rainews.it/dl/rainews/media/ ... tml#foto-1


L’esodo di massa degli italiani di Libia inizia subito dopo il 1 settembre 1969, giorno in cui il giovane Gheddafi conquista il potere con un colpo di Stato. Nei quattro mesi successivi partono almeno 800 italiani: alcuni senza nemmeno un visto, organizzando piani anche rischiosi per approdare il Sicilia. Il decreto ufficiale di espulsione arriva nell’estate del 1970: dei 44 mila italiani residenti nel 1948 ne restano meno di metà. Sbarcano a Napoli, vengono smistati nei campi profughi in Campania, Puglia e Lombardia. La Libia confisca 40 mila ettari di terra, 1700 case, 500 attività commerciali: in totale 200 miliardi di lire del 1970. La chiesa diventa moschea, i monumenti polvere. Il cimitero viene profanano e Roma rimpatria anche 20 mila salme di soldati. Quello di ieri è il terzo esodo degli italiani. Prima degli anni 70 c’erano state le espulsioni del 1951, dopo l’indipendenza della ex colonia italiana.


https://it.wikipedia.org/wiki/Libia_italiana


Protestano gli italiani cacciati dalla Libia "Il governo di Roma ci ha cancellati"
Gheddafi non vuole riceverli. Sono nati in Africa e sono stati espropriati dei loro beni e delle pensioni. Furono espulsi dopo la rivoluzione del 1969
di VINCENZO NIGRO
11 giugno 2009

http://www.repubblica.it/2009/06/sezion ... libia.html

Ha incontrato e incontrerà praticamente tutti. Con una sola eccezione: Mohammar Gheddafi in Italia non vuole ricevere gli italiani espulsi dopo la rivoluzione del 1969. Sabato, poche ore prima di lasciare Roma dopo 4 giorni di visita, accoglierà sono una delegazione di "italiani nati in Libia", che saranno praticamente le stesse persone che fanno parte della Airl (associazione rifugiati italiani dalla Libia), ma non porteranno l'insegna dell'associazione che da anni difende i diritti degli italiani espulsi ed espropriati.

Giovanna Ortu, da anni attivissima presidente dell'Airl, non critica il colonnello: "Possiamo capirlo, lui ha sempre provato a rimuovere noi e il problema che rappresentiamo. Il problema è il governo italiano. Berlusconi ha chiuso la pagina dei conti coloniali con la Libia, ha chiuso i conti dei libici pagando con i soldi degli italiani di oggi. Ma del nostro caso nessun interesse. Non perdoniamo al governo italiano che la sola parte della visita non inserita nel programma ufficiale sia stata la nostra: quella degli italiani espulsi dalla Libia, coloro i quali hanno sofferto, e di cui l'Italia di Berlusconi oggi si è completamente dimenticata.

La signora Ortu ricorda che la confisca dei beni degli italiani decisa da Tripoli il 21 luglio 1970 riguarda beni e conti in banca stimati allora per 400 miliardi di lire, attualmente pari a circa tre miliardi di euro. Il nuovo governo libico confiscò tutti i versamenti per le pensioni degli italiani che l'Inps di Tripoli aveva trasferito all'istituto libico corrispondente in seguito ad un accordo del 1956.

Solo dopo una battaglia dell'Airl nel 1983 venne approvata una legge che consentì il riscatto dei versamenti fino al 1956. Furono 20mila gli italiani espulsi dalla Libia nel 1970, cui si aggiungono circa altri 10mila che avevano lasciato il paese nei mesi precedenti.
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Re: All'Africa e agli africani non dobbiamo nulla

Messaggioda Berto » gio giu 22, 2017 6:10 am

Vedete questo rifugiato nigeriano? Tubi, cavi elettrici... Come torturava, stuprava e uccideva le sue vittime
21 Giugno 2017

http://www.liberoquotidiano.it/news/sfo ... g.facebook

È stato catturato Rambo, il trafficante di migranti e torturatore di origine nigeriana. La polizia di Agrigento ha eseguito il fermo emesso dalla Dda Di Palermo nei confronti del venticinquenne, individuato nel Cara S. Anna di Isola di Capo Rizzuto. L'uomo, che ora si trova nel carcere di Catanzaro, è sospettato di far parte di una associazione per delinquere di carattere transnazionale dedita a commettere più reati contro la persona e, in particolare, tratta di persone, sequestro di persona, violenza sessuale, omicidio aggravato e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Rambo è stato riconosciuto come uno dei responsabili di torture e sevizie perpetrati in Libia all'interno della Safe house di Alì il Libico, dove i migranti venivano privati della libertà personale prima di intraprendere la traversata in mare per le coste italiane. Drammatiche le testimonianze rese da alcuni migranti ai pubblici ministeri della Dda di Palermo: "Durante la mia permanenza all'interno di quel ghetto da dove era impossibile uscire - racconta uno di loro - ho sentito che l'uomo che si faceva chiamare Rambo ha ucciso un migrante. So che mio cugino e altri hanno provato a scappare e che sono stati ripresi e ridotti in fin di vita, a causa delle sevizie cui sono stati poi sottoposti".

"Le torture cui sono stato sottoposto sono innumerevoli - aggiunge un altro - Per esempio: sono stato torturato con i cavetti elettrici in tensione. Nell'occasione mi facevano mettere i piedi per terra dove precedentemente avevano versato dell'acqua. Poi provvedevano ad azionare la corrente elettrica per fare scaricare la tensione addosso a me. Subivo delle scariche elettriche violentissime. Questo avveniva circa due volte alla settimana. Altre volte mi picchiavano, in varie parti del corpo, con dei tubi. A volte mi legavano le braccia e poi mi appendeva in aria, per picchiarmi ripetutamente e violentemente". "Una volta, ho avuto modo di vedere che Rambo, il nigeriano, ha ucciso dopo averlo imbavagliato e torturato a lungo, un migrante nigeriano che si trovava lì con noi". E poi ancora: "Ho assistito personalmente al pestaggio sino alla morte di due persone, un nigeriano minorenne e un altro uomo ucciso da Rambo davanti al fratello della vittima". Ma John Ogais, questo il vero nome di Rambo, ha anche "ha violentato molte donne in Libia. Era uno dei più terribili, provava goduria nel torturare e veder soffrire la gente".
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Re: All'Africa e agli africani non dobbiamo nulla

Messaggioda Berto » gio giu 22, 2017 10:17 pm

COME I MUSULMANI TRATTAVANO I SICILIANI DOPO LA CONQUISTA DELLA SICILIA

https://www.facebook.com/groups/4485228 ... 8099509512


Documenti storici inoppugnabili illustrano la tipologia di convivenza e la tolleranza praticate dai Musulmani dopo l’occupazione definitiva della SICILIA ( 938 D.C.). MICHELE AMARI nella STORIA DEI MUSULMANI DI SICILIA nel capitolo XIII illustra le condizioni cui erano sottoposti i Siciliani cristiani ( che non si convertivano all’iislam) sottomessi e vinti, chiamati dagli Arabi “ dsimmi”.
“Ingiuriosi furono e molesti gli statuti di polizia civile. Vietato agli dsimmi di portare armi, montar cavalli, metter selle su' loro asini o muli, fabbricare case più alte o al ragguaglio di quelle dei Musulmani, prendere nomi proprii in uso appo i Musulmani e fin di adoperare suggelli con leggende arabiche. Proibivasi di più che bevessero vino in pubblico, accompagnassero i cadaveri alla sepoltura con pompe funebri e piagnistei; e alle donne loro di entrare nel bagno quando fosservi donne musulmane e rimanervi quando quelle sopravvenissero. E perché non si dimenticasse in alcuno istante la inferiorità loro, era ingiunto agli dsimmi di tenere un segno su le porte delle case, uno su le vestimenta, usare turbanti d'altra foggia e colore e sopratutto portare una cintura di cuoio o di lana. In strada eran costretti a cedere il passo ai Musulmani; stando in brigata, a levarsi in piè quando entrasse o uscisse uom della schiatta vincitrice .

Parrà mirabile dopo ciò la tolleranza dei regolamenti di polizia ecclesiastica, che limitavansi a vietare la costruzione di novelle chiese e monasteri, ma non già la restaurazione degli edifizii attuali". Del rimanente era lecito alle chiese di redare ; liberissimo lo esercizio de nei tempii e nelle case; ma si inibiva di far mostra di croci in pubblico, leggere il vangelo sì alto che lo sentissero i Musulmani, ragionare del Messia con costoro, e suonare furiosamente campane o tabelle. Non si intrometteano i Musulmani né punto né poco nelle materie di domma, culto, o disciplina, e proteggeano ugualmente i sudditi cristiani di qualsivoglia setta “



La Sicilia musulmana un paradiso in terra? Ecco cosa dice Ibn Hawqal

https://www.facebook.com/permalink.php? ... ry_index=0

Iniziamo con raccontarvi chi era il narratore della Sicilia musulmana. Ibn Haqwal fu un viaggiatore, geografo e mercante musulmano nato a Nisibis, l'attuale Nusaybin, nell'odierna Turchia orientale. Egli crebbe a Baghdad e nel 943 iniziò a girare il mondo islamico dell'epoca. Giunto in Sicilia nell'anno 973, quindi poco dopo la caduta delle ultime roccaforti cristiane del Val Demone, egli diede una descrizione che è una pietra miliare (anche perchè è l'unica fonte diretta) sulla vita quotidiana della Sicilia sotto gli emiri kalbiti. E l'impressione che se ne ricava non è delle più positive, insomma non pare proprio quel paradiso che ci raccontano.

Hawqal comincia a descriverci Palermo, il capoluogo dell'emirato siciliano, egli presenta così il ruolo della Sicilia: «è una marca contro l'Europa, una contrada che fa fronte al nemico: la guerra santa persiste continuamente e il richiamo alle armi vi resta costante da quando la Sicilia è stata conquistata».

Egli continua affermando che ogni paese bizantino conquistato dai berberi viene devastato: «quando un esercito berbero proveniente dal Maghreb penetra nei paesi bizantini (nel nostro caso appunto Sicilia, arcipelago maltese e isole minori), esso li devasta e li deruba» e continua parlando dei cugini calabresi «è così che i magrebini hanno imposto agli abitanti della Calabria un tributo annuo di parecchi denari che essi prevalevano su di loro».

Con queste iniziali, e non troppo ottimistiche, premesse continuiamo a rivivere il viaggio del geografo anatolico descrivendoci la Palermo kalbita: «vecchia chiesa cristiana» -
scrisse riguardo la gran moschea - «ho stimato che poteva contenere più di settemila persone».

Arriviamo ora al punto che esalta tutti gli arabofili siciliani, alle presunte trecento moschee che dimostrerebbero inequivocabilmente uno splendore aureo del capoluogo. Il suo discorso è in verità molto vago e dice: «non conosco altro luogo al mondo con una tale profusione di moschee, più di trecento moschee, la maggior parte in buone condizioni e solide sotto i loro letti». Letta così sembrerebbe che la Balarm fosse effettivamente una città molto grande e florida, ma ci sono molti punti che non tornano affatto: il discorso è molto vago e sembra si tratti perlopiù di moschee adibite ad uso familiare. Ma diamola per buona e diciamo che l'islam palermitano fosse molto sviluppato, ma a livello economico com'era messa l'isola sotto il giogo musulmano? Hawqal ci viene incontro anche qui:

«Per ciò che riguarda la fertilità del paese e la sua produzione agricola, la Sicilia è confrontabile alle contrade di cui noi abbiamo, all'inizio di questo libro vantato la fecondità e la prosperità nel passato sin dai tempi antichi». Ancora una volta la prosperità agricola della Sicilia non è altro che un lontano ricordo, la situazione dell'isola quindi è peggiorata. Che si riferiva per caso alla fecondità della Sicilia romana? o a quella bizantina? non a caso il paesaggio agrario siciliano era già stato ampiamente rivisto e rimodernato in età romea.

Completiamo il discorso parlando della fragilità economica siciliana scrivendo un altro passaggio del viaggiatore: «i loro interessi vitali dipendono dagli importatori, ed essi hanno un urgente bisogno che i commercianti li visitino. In effetti, riportandoci alla lista delle migliori risorse dei differenti paesi, quest'isola non produce che del grano, della lana, delle pelli di animali, del vino, delle quantità insignificanti di zucchero candito e qualche altro tessuto di lino». Quindi ricaviamo che l'economia siciliana non era affatto prospera come ci hanno raccontato (i giardini paradisiaci, le colture, gli agrumi ecc. dove sono citati?) ma nemmeno era indipendente, anzi dipendeva praticamente dalle importazioni esterne, segno evidente di debolezza economica. Debolezza che viene ancora più enfatizzata quando egli scrive: «persino quelle di cui si ha più bisogno».

E adesso proseguiamo col suo giudizio riguardo la popolazione che all'epoca viveva nell'isola, all'unanimità (in primis Amari) considerata avanzatissima culturalmente, con Hawqal invece si nota un profondo disprezzo se comparato al vero splendore del mondo islamico, cioè Baghdad, Damasco, La Mecca, Medina: «la conseguenza dell'abitudine di mangiare cipolle, è che in questa città, non si trovano più persone intelligenti, né abili, né competenti in un ramo qualsiasi delle scienze, né animati da sentimenti nobili e religiosi; anche la maggior parte della popolazione ha dei bassi istinti. Per la maggior parte sono della gente vile e senza valore, senza intedimento e senza una pietà reale. Sono per la maggior parte dei Barqajana e dei libertini che si aggrappano a un popólo che ha conquistato il paese ed è morto».

Sui maestri di scuola la sua denigrazione si fa ancora più forte: «I maestri di scuola sono abbondanti in quest'isola poiché ci sono scuole in ogni località. Sono di differenti categorie ed occupano differenti gradi nel campo dello squilibrio e dell'imbecillità, in tutti i modi superando la demenza dei maestri di tutti i paesi e degli imbecilli di ogni regione».

E per terminare il discorso parliamo della religiosità dell'isola: «Essi non fanno le preghiere, non si purificano, non danno l'elemosina legale, non fanno pellegrinaggi; ci sono coloro che osservano il digiuno del ramadam e che mentre digiunano, compiono la grande abluzione dopo un'impurità».

Fu dunque vera gloria?

Fonte: Abderrahman Tlili - La Sicilia descritta dalla penna di un autore del X secolo: Ibn Hawqal - Università di Alicante
Potete scaricare il testo da qui, cliccando sul documento PDF in basso:
http://www.cervantesvirtual.com/obra/la ... n-hawqal-0




Alberto Pento
Non erano arabi ma berberi; l'impero mussulmano dei berberi.


Nazismo maomettano = Islam = dhimmitudine = apartheid = razzismo = sterminio
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Re: All'Africa e agli africani non dobbiamo nulla

Messaggioda Berto » mer giu 28, 2017 3:26 pm

La civile terra della Kyenge

Donne e neonati sventrati. Cosa succede in Congo
giugno 28, 2017 Leone Grotti

http://www.tempi.it/neonati-fucilati-do ... VOtl-n-ujI

In nove mesi sono morte oltre 3.300 persone in scontri tra ribelli ed esercito. Il presidente Kabila continua a rinviare le elezioni per restare al potere
Hanno preso e massacrato l’intera popolazione del remoto villaggio di Cinq. Hanno ucciso donne, bambini e neonati con armi da fuoco, machete, perfino bruciandoli vivi. Hanno distrutto tutte le case e fatto irruzione in una clinica, sterminando medici e pazienti insieme. I crimini contro l’umanità di cui si sono macchiati il 24 aprile i miliziani di Bana Mura, in un contesto in cui è perfino difficile capire chi sono e per che cosa combattono, sono l’emblema della Repubblica democratica del Congo (RDC), un paese «sull’orlo della catastrofe» che sta per implodere a causa di gravissimi problemi politici, economici, etnici e sociali.

OLTRE 3.300 MORTI. Dall’ottobre del 2016 sono già morte più di 3.300 persone nella regione del Grande Kasai (che comprende tre province nel centro del paese) a causa degli scontri tra l’esercito congolese e i ribelli di Kamwina Nsapu. Il gruppo si sarebbe rivoltato già nel 2011, dopo il rifiuto da parte del governo di riconoscere l’autorità di Jean Pierre Mpandi, nuovo capo di un clan locale. Si pensa che il rifiuto sia stato dettato dalla mancata iscrizione di Mpandi al partito di governo. Quando nell’agosto del 2016 Mpandi è stato ucciso dalla polizia, le violenze sono deflagrate diffondendosi in modo incontrollato.

NEONATI FUCILATI. Secondo un rapporto diffuso settimana scorsa dalla Nunziatura apostolica a Kinshasa, capitale della RDC, migliaia di morti sono stati trovati in 42 fosse comuni, 20 villaggi completamente distrutti (almeno 10 dall’esercito) e tra le rovine di quasi 4 mila case rase al suolo. Le violenze confermate dall’Onu sono raccapriccianti: si parla di bambini di due anni a cui sono stati amputati gli arti con machete, neonati fucilati, donne incinte sventrate a metà con armi da taglio. Molti di questi crimini sono stati appunto commessi da Bana Mura, milizia che secondo l’Onu si è costituta da poco per combattere i ribelli di Kamwina Nsapu ed è armata e finanziata dall’esercito regolare congolese.

GLI SCONTRI SI ESTENDONO. A causa delle violenze 1,3 milioni di persone sono fuggite dal Grande Kasai e circa 400 mila bambini sono a rischio malnutrizione. Cattive notizie arrivano anche da Beni, nella provincia del Nord Kivu (est del paese) dove gruppi ribelli, spesso stranieri, interessati alle enormi risorse del paese (abbondano oro, legname, coltan, cassiterite) stanno approfittando del caos generale per conquistare terreno.

ATTACCO ALLA CHIESA CATTOLICA. Anche la Chiesa cattolica ha subito danni ingenti nella regione: quattro circoscrizioni ecclesiastiche sono state colpite, altre due diocesi marginalmente coinvolte, due vescovi sono stati costretti all’esilio dopo la distruzione delle sedi episcopali, 60 le parrocchie chiuse o danneggiate, 34 le case religiose chiuse o distrutte, 141 le scuole danneggiate, 31 le cliniche colpite, cinque i seminari abbandonati.
Se la Chiesa cattolica è stata colpita così duramente non è un caso, visto il ruolo che sta faticosamente svolgendo per risolvere la crisi politica che da anni destabilizza il paese e che è alla radice anche delle violenze dell’ultimo anno. La RDC infatti è dominata dalla famiglia Kabila fin dal 1997, quando Laurent Kabila è riuscito con un colpo di Stato a deporre il dittatore Mobutu Sese Seko. Assassinato nel 2001, a Laurent è succeduto il figlio Joseph Kabila, che governa da allora violando il limite massimo di mandati imposto dalla Costituzione.

ACCORDO DI SAN SILVESTRO. L’anno scorso Kabila ha accettato di abbandonare il potere e le elezioni erano inizialmente previste per novembre. Alla vigilia del voto, però, la commissione elettorale ha dichiarato di non potere indire le elezioni perché «il numero dei votanti è sconosciuto». Sono seguite violente proteste di piazza, che l’esercito ha cercato di spegnere facendo decine di morti, sedate infine grazie all’intervento dei vescovi che hanno supervisionato la firma tra governo e opposizione dell’Accordo di San Silvestro: il testo, siglato il 31 dicembre 2016, prevedeva la formazione di un governo di unità nazionale per portare il paese a votare entro la fine del 2017. A maggio però l’accordo ha subito un duro colpo: Kabila ha formato sì un governo, ma solo con una parte dell’opposizione, e a sei mesi dalla fine dell’anno non ha ancora fissato la data ufficiale delle elezioni generali.

EVASIONI DI MASSA. L’instabilità ha minato l’autorità e la funzionalità del governo. Non è un caso se a maggio sono riusciti a scappare da un carcere della capitale 4.000 detenuti, tra banditi e miliziani, la più grande fuga nella storia del paese. Due giorni dopo, altri 70 hanno infranto le sbarre di una seconda prigione. Sulle strade mal ridotte del paese si moltiplicano i posti di blocco illegali che costringono le auto a pagare pedaggi illegittimi nella più totale impunità. i principali dicasteri mancano di fondi e lo stato della corruzione già dilagante si è ulteriormente aggravato.

EVITARE LA GUERRA CIVILE. In questa situazione esplosiva, il popolo congolese ha preso una posizione chiara: secondo un recente sondaggio, l’83% vuole votare entro fine anno ma il timore è che il presidente Kabila stia fomentando gli scontri per rimanere al potere. «Gruppi stranieri stanno operando nel nostro paese», è la denuncia pubblicata dai vescovi lunedì al termine di un’Assemblea penaria. «I politici moltiplicano le iniziative per svuotare l’Accordo del suo contenuto, minando così la tenuta di elezioni libere, democratiche e pacifiche. Le recenti evasioni di massa restano tuttora dei grandi punti interrogativi», scrivono facendo intendere che potrebbe trattarsi di un piano funzionale a gettare nel caos il paese. Il 30 giugno la RDC festeggia l’anniversario dell’indipendenza nazionale e la Chiesa ha invitato fedeli e uomini di buona volontà «a una giornata di digiuno e preghiera per la nazione», per evitare che sprofondi in una nuova guerra civile.


Borghezio lancia l'allarme per il Congo. La Kyenge tace
1 Luglio 2017
di Andrea Morigi

http://www.liberoquotidiano.it/news/per ... congo.html

Migliaia di persone uccise e più di un milione di sfollati nella Repubblica Democratica del Congo fanno tornare lo spettro della guerra civile che fra il 1996 e il 2003 provocò la morte di 5 milioni di persone.

Assente la voce della deputata europea del Pd Cécile Kyenge, nonostante che sia nata nella provincia congolese del Katanga, l' unico a preoccuparsene sembra l' esponente politico forse più accusato di razzismo e xenofobia, Mario Borghezio. Il quale, in realtà, in gioventù aveva lavorato nell' allora Zaire, ricevendo anche un pubblico elogio dal presidente Joseph Desirè Mobutu per la sua opera nel Paese africano, fra i primi produttori mondiali di cobalto, oro, argento, nichel e diamanti. «È il Paese del cosiddetto "scandalo geologico", dove vi sono immense ricchezze, ma la popolazione sta morendo di fame, mentre la classe politica locale sta guadagnando dallo sfruttamento delle risorse minerarie del territorio.

La situazione», dichiara l' europarlamentare della Lega Nord, «diventa ogni giorno sempre più drammatica: da tempo le bande di ribelli stanno compiendo indisturbate massacri e devastazioni». La cronaca è quella di un conflitto ignorato dall' Unione Africana, tanto quanto dall' Unione Europea «che lascia incancrenire la situazione». L' allarme è ignorato, anche se «mentre nella regione centro-meridionale del Kasai, si contano a centinaia le vittime e i villaggi incendiati dai gruppi ribelli che vorrebbero occupare quella regione famosa per l' estrazione dei diamanti, altri gruppi sono in rivolta nel nord-est del paese, con uccisioni e profughi in fuga, per il controllo delle risorse del luogo, come le importantissime miniere di coltan».
Occorrerebbe una forza di interposizione internazionale per evitare un nuovo genocidio. Ma nessuno trova il coraggio di far cessare i combattimenti per non toccare i delicati equilibri fra gli interessi delle multinazionali che speculano sul sangue dei «negri».

Allora deve intervenire proprio Borghezio: «Di fronte a questa realtà tragica e foriera di nuovi lutti per quel paese, restiamo sbalorditi nell' apprendere dell' assoluta immobilità della missione Onu presente in forze sul territorio con ben 16mila uomini, mezzi blindati ed elicotteri che resta inspiegabilmente chiusa nelle caserme e non riesce neppure a garantire la sicurezza nei campi profughi».

«Una fra le missioni più grandi e costose delle Nazioni Unite (1,2 miliardi di dollari l' anno) - conclude Borghezio - resta totalmente inerte di fronte alla violenze, come già accadde in Rwanda e a Srebrenica. Sono in primo luogo le vittime a porre senza scusanti alla comunità internazionale questo interrogativo non più rimandabile: a cosa serve l' Onu ?».



Congo, Dal 2016 Sterminate 3.300 Persone
Neonati fucilati e bambini a cui sono stati amputati gli arti
Di Laura Porcu

http://www.oggitreviso.it/congo-dal-201 ... one-165733

Da ottobre 2016 sono morte in Congo 3.300 persone nella regione del Grande Kasai. Si tratta di un vero e proprio sterminio di massa. Secondo un rapporto pubblicato dalla Nunziatura apostolica a Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, sarebbero state ritrovate 42 fosse comuni con all’interno migliaia di morti e 20 villaggi completamente rasi al suolo. Secondo l’Onu, che conferma la notizia, sono state commesse violenze atroci nei confronti di donne e bambini. Si parla infatti di neonati fucilati e bambini a cui sono stati amputati gli arti con un machete, donne incinte sventrate e molto altro ancora. Secondo l’Onu si tratta di crimini e atrocità commessi da una milizia, Bana Mura, costituita per combattere i ribelli di Kamwina Nsapu e finanziata dall’esercito congolese.

La Repubblica Democratica del Congo sta infatti vivendo una crisi senza precedenti a causa di problemi politici, economici, etnici e sociali. A causa delle violenze è iniziata una migrazione che ha visto lo spostamento di 1,3 milioni di persone fuggite dal Gran Kasai. Ne derivano altrettanti rischi come il rischio malnutrizione per circa 400mila bambini. Anche la Chiesa cattolica ha subito attacchi da parte dei ribelli, quattro circoscrizioni hanno subito danni come chiese distrutte, vescovi costretti all’esilio, scuole e cliniche danneggiate e chiuse. Un colpo mirato visto il ruolo importante della Chiesa nel tentare di risolvere la crisi politica del paese che vede un presidente che non vuole rinunciare al potere. Già lo scorso anno, Kaliba aveva annunciato le elezioni che sembravano volersi realmente svolgere ma alla vigilia del voto la commissione elettorale ha annunciato di non poterle indire in quanto non a conoscenza del numero esatto dei votanti. Da quel momento sono iniziati violenti scontri che hanno visto numerosi morti causati dall’esercito.

Il 31 dicembre 2016 un accordo, nominato l’Accordo di San Silvestro, firmato da governo e opposizione, che prevedeva la formazione di un governo di unità nazionale per portare il paese a votare entro la fine del 2017. Da allora in Congo esiste si un governo ma formato da Kaliba e una piccola parte dell’opposizione. Ad oggi circa l’83 per cento della popolazione congolese chiede le elezioni democratiche e pacifiche ma si teme che le violenze siano causate e provocate dal presidente Kaliba al fine di gettare il paese nel caos. Il 30 giugno si è festeggiato l’anniversario dell’indipendenza del Congo e la Chiesa ha invitato i fedeli a “una giornata di digiuno e preghiera per la nazione” affinché simili atrocità possano finire una volta per tutte.
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Re: All'Africa e agli africani non dobbiamo nulla

Messaggioda Berto » mar lug 04, 2017 6:28 am

Veneti che credono ancora alle colpe e alle responsabilità degli europei e degli occidentali sulle cause delle migrazioni africane verso l'Europa e in Italia.


???

Prendo spunto dalla notizia apparsa sul sole 24 ore qualche giorno fa: “Sbarchi, 12mila arrivi in 48 ore. Mattarella: situazione ingestibile.”

Francesco Falezza
francesco.falezz@gmail.com
https://www.facebook.com/francesco.falezza

Adesso cercano di scaricare il problema sull’Europa, minacciano di chiudere i porti, ma la responsabilità di quando sta accadendo è soprattutto italiana. È vero che la situazione è ingestibile, ma era facilmente prevedibile, io l’avevo scritto più di due anni fa, l’ho ribadito un anno dopo, l’ho approfondito dopo sei mesi e lo riscrivo ora, perché veramente non se ne può più di questa tratta di essere umani , di questa deportazione di massa e di tutte le disgrazie conseguenti.

La prima cosa da chiarire è che andare a prenderli a poche miglia dalla costa africana e portarli in albergo in Italia o in Europa significa solo incentivare e promuovere l’esodo, che di conseguenza, sarà sempre più imponente e sempre più ingestibile! Vuol dire che sempre di più tenteranno la sorte in traversate impossibili sperando in un miracoloso, quanto improbabile salvataggio.

Ora andiamo a vedere quali sono i soggetti che vanno a prenderli, li chiamano volontari, ma visto che sono pagati è corretto chiamarli mercenari. Ce ne sono di diversi tipi, che vanno dalla guardia costiera, alle unità dell’agenzia europea Frontex, ai mezzi militari dell’operazione Eunavfor Med e della Marina Militare, fino alle O.N.G., le Organizzazioni Non Governative, che spendono un sacco di soldi e non si sa chi le finanzia. Tutti questi e i loro mandanti sono i veri responsabili di tutti questi morti e disgrazie, sono quelli che incentivano e promuovono questo esodo, perché più gente porteranno a destinazione, per effetto del passa parola, più gente partirà e, ovviamente, sempre più gente morirà. Tutto questo è talmente ovvio che quasi quasi mi vergogno a scriverlo, ma vista la disinformazione dilagante è sempre meglio specificarlo.

L’Italia adesso fa la voce grossa con l’Europa, ma le soluzioni proposte non possono che peggiorare la situazione; infatti il governo italiano vuole più soldi per andare a prenderli per poi sbolognare i migranti in Europa, ma, a quanto pare, i governanti europei non sono così fessi da cascarci, staremo a vedere. È ovvio che questa soluzione non farebbe altro che incrementare il flusso di migranti e conseguentemente il magna magna e i guadagni sulla pelle di questa povera gente. Abbiamo anche visto che si sono aperte diverse indagini penali su queste ONG per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ma non se ne sa più nulla, insabbiate?

Ma come mai il governo italiano, dopo il salvataggio, non vuole portarli da dove sono partiti? La scusa ufficiale è perché sulla costa africana non esistono posti sicuri (ma ci credete voi?), io penso invece che è perché non si vuole fermare questo flusso migratorio! È evidente che se si comincia a portarli indietro non partirebbe più nessuno. Solo il tempo che si sparga la voce e nessuno pagherebbe più i trafficanti per fare un viaggio di andata e ritorno, nessuno intraprenderebbe viaggi rischiosi sapendo già che andrà a finire col ritorno a casa. L’eventuale verifica dello status di profugo si può benissimo fare in terra africana o no?

Ovviamente contemporaneamente la comunità internazionale dovrebbe darsi da fare per risolvere i problemi che attanagliano l’Africa e non solo per destabilizzarla e portarle via le materie prime, ma di questo non parla quasi nessuno.

Ci vogliono far credere che non è possibile trovare un luogo sicuro sulla costa africana dove riportare i migranti salvati e quelli che sbarcano sulle isole più vicine alla costa libica? Ma vi pare possibile? Non c’è solo la Libia esistono tanti altri paesi con i quali si possono stringere accordi e poi non ci hanno detto che almeno mezza Libia è controllata da un governo filo europeo?

Cominciamo col riconoscere i veri mandanti e promotori di questo flusso! Proviamo ad individuare chi, non solo non fa nulla per fermare l’esodo, ma anzi continua a fare e proporre azioni che non fanno altro che incentivare e aumentare questo fenomeno migratorio. Il primo colpevole è il governo italiano coi partiti che lo sostengono, in primis il PD, ma anche Forza Italia che, non appena il governo è in difficoltà, fornisce il proprio sostegno.

E la misericordia dove la mettiamo? La misericordia va usata quando produce un beneficio, non un danno come in questo caso. Ci sono delle categorie di persone che non possono e non devono usare la misericordia perché produrrebbe solo danno. I medici misericordiosi, per esempio, portano il paziente alla tomba, dice un saggio proverbio, perché se la ferita non viene pulita e disinfettata bene certamente s’infetterà, i giudici non possono e non devono essere misericordiosi, ma giusti , ne severi e ne buoni, ma giusti. Anche i politici non dovrebbero essere misericordiosi, ma perseguire il bene comune senza se e senza ma, con un giusto equilibrio tra interessi locai e globali, e in questo senso e in questa logica dovrebbe essere presa la decisione di fermare questo flusso.

C’è qualche politico che si pone queste domande? Cosa facciamo fare a queste persone senza specializzazione quando sono qui? Visto che le fabbriche delocalizzano, il fenomeno dell’automazione e dell’informatizzazione unito alla crisi economica riducono drasticamente i posti di lavoro e l’età pensionabile è aumentata bloccando di fatto il turn over. Dove li facciamo lavorare? Dove sono i post di lavoro? Dove troveranno i soldi i servizi sociali per assistere tutte queste persone dato che il debito e la spesa pubblica sono già alle stelle e insostenibili? Che futuro diamo a queste persone? Che possibilità di integrazione c’è, visto che hanno una concezione della religione, della donna, della famiglia, dello stato e della vita che è come quella che avevamo noi nel medioevo? Abbiamo continui esempi da stati europei e non solo, che figli di terza generazione di immigrati non si sono ancora integrati, questo genera emarginazione, frustrazione e disadattamento che sfociano inevitabilmente nella violenza! Ci rendiamo conto che si sta creando tutto questo? Ci rendiamo che si sta producendo un mare di infelicità e di problemi?

Per queste ragioni non è possibile accogliere tutte queste persone. Arrivano convinti di migliorare il tenore di vita, ma cosa faranno quando scopriranno che l’eldorado non esiste, che un lavoro dignitoso non si trova e che i soldi dei servizi sociali per mantenerli sono a termine e fra poco non ci saranno più? O si vuole creare un’enorme richiesta di lavoro per abbassare ancore le paghe e i diritti sociali dei nostri lavoratori? Aiutiamoli seriamente a casa loro e così faremo veramente il loro e il nostro bene, il loro e il nostro interesse.

Le mille culture e diversità del mondo sono così belle e così preziose, preserviamole! Ognuna sul proprio territorio. Cerchiamo di non rovinare tutto, fermiamo queste deportazioni, fermiamo questo crimine contro l’umanità!
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Re: All'Africa e agli africani non dobbiamo nulla

Messaggioda Berto » dom lug 09, 2017 7:00 am

Sud Africa, caccia agli immigrati Scontri etnci: dodici morti - Dall'inizio di maggio è caccia ai disperati provenienti da Zimbabwe e Malawi
Neri contro neri. Mandela: "Ricordatevi da quali orrori veniamo"
di CRISTINA NADOTTI
(19 maggio 2008)

http://www.repubblica.it/2008/05/sezion ... frica.html

IN SUDAFRICA sembrano tornati i tempi dell'apartheid, ma questa volta a fare violenza sui neri sono altri neri.
Le township, dove una volta i bianchi avevano segregato la popolazione di colore, sono ora abitate dai tanti immigrati che arrivano dallo Zimbabwe, da Malawi, Mozambico e Somalia.
Dall'inizio di maggio, contro questi poveri disperati che fuggono da carestie e tumulti politici si è scatenata la rabbia dei sudafricani. Al grido di "cacciamo gli stranieri" anche ieri una folla inferocita ha razziato uno dei sobborghi di baracche alla periferia di Johannesburg: 12 persone sono state uccise, bruciate vive o bastonate fino alla morte, le donne sono state stuprate e le catapecchie date alle fiamme; almeno 50 sono i ricoverati in ospedale. Sono arrivati i blindati, che una volta il regime bianco mandava a disperdere le sommosse nelle township in rivolta contro l'apartheid, i poliziotti hanno cercato di mettere in fuga le gang armate di pistole e machete con i gas lacrimogeni e hanno arrestato centinaia di persone, ma soprattutto hanno cercato di portare via gli immigrati terrorizzati.

Già una settimana fa disordini simili erano scoppiati nella township di Alexandra e due uomini erano rimasti uccisi. Il Nobel per la pace Nelson Mandela, il leader della lotta contro l'apartheid, figura carismatica nel Paese, ha lanciato un appello: "Ricordate da quali orrori veniamo, non dimenticate mai la grandezza di un Paese che ha sconfitto le sue divisioni. Non ripiombiamo in una lotta distruttiva".

Il presidente Thabo Mbeki ieri ha condannato le violenze e annunciato una commissione di esperti per far luce su quanto sta accadendo, ma secondo la Bbc, che cita fonti della polizia, le forze dell'ordine non sono in grado di arginare gli attacchi agli immigrati.

Dalla fine dell'apartheid, 14 anni fa, il Sudafrica ha visto un costante ed enorme flusso migratorio dagli Stati confinanti, calcolato in circa 5 milioni di persone. Negli ultimi anni tuttavia l'economia, prima in costante crescita, ha cominciato a stagnare, sono cresciute disoccupazione e inflazione. I più poveri tra i sudafricani hanno visto negli immigrati la causa della perdita di posti di lavoro e ci sono stati attacchi xenofobi già nel 2005 e 2006. Nell'ultimo mese la situazione è peggiorata con l'arrivo dallo Zimbabwe di oltre 3000 persone in fuga dalle violenze seguite alle elezioni presidenziali.



Sudafrica, scontri durante le manifestazioni anti migranti
4 febbraio 2017

http://tg24.sky.it/mondo/photogallery/2 ... toria.html
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Re: All'Africa e agli africani non dobbiamo nulla

Messaggioda Berto » dom lug 09, 2017 9:12 am

???

“Numero chiuso sui migranti”. Bufera su Renzi: è come Salvini
fabio martini
2017/07/08

http://www.lastampa.it/2017/07/08/itali ... agina.html

«Aiutiamoli a casa loro» lasciando da parte «il buonismo» e i sensi di colpa: «Non possiamo accoglierli tutti noi», occorre «stabilire un tetto massimo di migranti». Firmato, il segretario del Pd, Matteo Renzi. Giovedì, nella direzione del partito, aveva fatto cenno al tema dell’immigrazione come quello che «ci accompagnerà per i prossimi dieci mesi di campagna elettorale»; ieri ha fatto pubblicare a «Democratica», il quotidiano on line dei dem, uno stralcio del suo libro, «Avanti», in uscita la settimana prossima, che, lui stesso ripeteva nei giorni scorsi, «farà molto discutere». Esattamente quello che è successo, dopo che alcuni brani vengono ripresi dall’ufficio stampa Pd e diffusi sui social network: attacchi da Sinistra italiana e Mdp («sei come Salvini»), rete che ribolle di polemiche e sfottò, post che viene rimosso e il segretario in persona su Facebook interviene tentando di spiegare meglio cosa intende.

«Vorrei che ci liberassimo da una sorta di senso di colpa. Noi non abbiamo il dovere morale di accogliere in Italia tutte le persone che stanno peggio. Se ciò avvenisse sarebbe un disastro etico, politico, sociale e alla fine anche economico - si legge nel volume in uscita -. Noi non abbiamo il dovere morale di accoglierli, ripetiamocelo. Ma abbiamo il dovere morale di aiutarli. E di aiutarli davvero a casa loro». In che modo, cerca di spiegarlo meglio dalla vetrina di Facebook, una volta che si rende conto che ripetere lo slogan della Lega di Salvini rischia di fare insorgere il popolo della sinistra: «Ho fatto una scommessa affascinante: parlare di cose serie sui social» senza «rincorrere i “mi piace”», invita quindi a non fermarsi ai titoli, aiutarli a casa loro «significa aumentare i denari per la cooperazione internazionale, noi lo abbiamo fatto», è «un progetto articolato, complessivo». Segue gragnuola di commenti, a cui Renzi risponde: tra cui militanti che minacciano di «strappare la tessera dem» o che lamentano una linea «che cambia dall’oggi al domani».

Ancora, «sostenere la necessità di controllare le frontiere non è un atto di razzismo, ma un dovere politico», scrive, e serve «un “numero chiuso”» perché «un eccesso di immigrazione non fa bene a nessuno»: frasi che spiazzano, eppure, dice Renzi «il controllo dell’immigrazione non è un atto di razzismo, ma di ragionevolezza», nonostante «il buonismo filosofico e l’utilitarismo universalista di certa classe dirigente e dei raffinati “ceti riflessivi” di alcune redazioni».

Una stretta nella linea del Pd sull’immigrazione, arrivata dopo le polemiche delle ultime settimane - la minaccia italiana di chiudere i porti seguita dalla sostanziale inerzia dei colleghi europei - che viene subito interpretata come uno spostamento a destra, una concessione al populismo e alle paure dell’opinione pubblica («diffidate dalle imitazioni, anche l’altro si chiama Matteo», scrive velenoso Pippo Civati alludendo a Salvini). Ma che Renzi prova a bilanciare con una posizione «di sinistra», sostenendo la riforma della cittadinanza, lo Ius soli temperato: «Un fatto di umanità, di giustizia».

Come giusto sarebbe che l’Europa si impegnasse nella gestione dei flussi: si taglino le risorse ai Paesi che non accolgono migranti, «loro bloccano i porti e noi blocchiamo i fondi», ripete nella rassegna stampa mattutina del Pd una proposta lanciata il giorno prima in Direzione. E proprio sulle scelte passate europee si apre un’altra polemica: «Aver accettato i due regolamenti di Dublino, come hanno fatto gli esecutivi del 2003 e del 2013 è stato un errore clamoroso», scrive Renzi, e cita Emma Bonino con l’intento di smentirla, visto che lei, nei giorni scorsi, aveva attribuito all’Italia governata da Renzi la richiesta di gestire gli sbarchi. Ma l’ex ministra insiste: è la missione Triton, inaugurata durante l’esecutivo del leader Pd, a prevedere «che tutti gli sbarchi debbano avvenire in Italia». E dal M5S attaccano: «Renzi, fino a che punto hai svenduto il nostro Paese?».


Alberto Pento
No, non solo non abiamo il dovere di accoglierli ma non abbiamo nemmeno il dovere di aiutarli a casa loro, se non possiamo e se ciò comporta un fanno per noi.
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Re: All'Africa e agli africani non dobbiamo nulla

Messaggioda Berto » lun lug 10, 2017 4:11 am

???

Milano, «ora basta scippi e rapine», gli immigrati salvati dal linciaggio
Andrea Galli
Milano, 9 luglio 2017 - 23:07
Accerchiati all’alba in corso Como da 50 persone. Tragedia sfiorata

http://milano.corriere.it/notizie/crona ... df49.shtml

Nella geografia dello spaccio e della microcriminalità, via Alessio di Tocqueville è una delle stradine «satelliti» di corso Como scelte dagli immigrati per vendere droga, borseggiare e scippare. Qui, ieri mattina alle cinque e trenta, una cinquantina di persone, italiane e reduci da una nottata di divertimenti tra locali e bar, ha accerchiato tre ventenni africani (due maliani e un senegalese). Con un unico obiettivo: linciarli e vendicarsi perché li riteneva colpevoli di una serie di «colpi». Non fosse arrivata in forze la polizia a salvare gli africani, sarebbe finita in tragedia. Ma il pericolo scampato, per merito della prontezza d’intervento degli agenti, non fa che confermare i problemi.


I 120 schedati

Non siamo in periferia ma in uno dei quartieri più affollati, pregiati e costosi. Eppure corso Como è, al momento, in cima alla lista delle priorità di Questura e Comando provinciale dei carabinieri, con la situazione ben nota al prefetto Luciana Lamorgese. Nessuno può mettere in dubbio la densità delle operazioni effettuate, e sintesi perfetta è l’elenco, corposo, dei 120 (centoventi) fotosegnalati dal commissariato Garibaldi-Venezia diretto da Massimo Cataldi, che da mesi dedica «approfondimenti» quotidiani. Se storicamente corso Como è luogo di spaccio, nuova è la degenerazione avvenuta nel corso delle notti. Con la progressiva trasformazione dei venditori di cocaina e marijuana in aggressori famelici e spietati.


La legge del branco

Prima infatti, nelle vicinanze dei locali e in tarda serata, gli africani spacciano; dopodiché, verso l’alba, approfittano della scarsa lucidità e dell’assenza di prontezza di riflessi dei loro stessi clienti per puntarli, accerchiarli e derubarli. Arraffano orologi, catenine, iPhone, ricorrendo a calci e pugni nei casi di eccessiva resistenza. Con questo metodo hanno colpito italiani come stranieri. Le forze dell’ordine, operando in contesti non facili (per forza debbono muoversi in borghese, in mezzo alla folla che invade corso Como) hanno inseguito e arrestato malviventi soltanto che, di frequente, se li sono ritrovati le settimane successive allo stesso identico posto perché magari quelli erano stati scarcerati. A memoria degli investigatori, l’episodio di ieri mattina è una novità e testimonia il livello (alto) di esasperazione e una pazienza forse ormai terminata. Dopodiché, per chi ama la giusta prospettiva rispetto ai fatti, è innegabile che gli spacciatori ci sono (peraltro smerciando roba di infima qualità, mischiata con altri veleni) in quanto c’è una massiccia e costante richiesta di droga. Un circolo vizioso, forse impossibile da stroncare definitivamente: ma se fino a poco tempo la presenza dei venditori di coca e marijuana era tollerata anche da chi non consuma, l’aumento del rischio di essere rapinati e picchiati ha mutato gli umori della piazza.


Capi e manovalanza

Ora, è possibile che i tre ragazzi che hanno evitato il linciaggio non abbiano alcuna colpa e siano stati scelti a caso: sono partiti gli accertamenti per riscontrare eventuali loro responsabilità. La folla inferocita, prima di disperdersi, ha sostenuto che avevano messo a segno sia furti a bordo di macchine sia rapine ai passanti. Più d’uno, in Questura, anche ai piani alti, rileggendo i report delle nottate di violenza in corso Como, ha ammesso che è stata pura fatalità se finora non c’è mai scappato il morto. Bisogna vedere fin quando durerà la buona sorte. Le presenze di africani sono cresciute e di molto. Qualcuno ipotizza che i «capi» vadano a pescare manovalanza anche nei giardini della stazione Centrale divenuti, specie sul lato di piazza Luigi di Savoia, un enorme campo profughi, ovviamente non autorizzato.


Non portarti la morte in casa, non hai colpe né responsabilità
viewtopic.php?f=194&t=2624
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