Le teorie sulla fine del mondo fanno parte del più ampio filone di cui sono parte anche le teorie catastrofiste e complottiste e sono tutte manipolazioni teologiche e ideologiche dogmatiche religiose, politiche e ambientali non scientifiche basate sulla paura innata dell'uomo e connaturata alla vita e all'esistere, alla precarietà relativa dell'essere e alla certezza assoluta di dover morire, all'esperienza del male e del dolore, all'incertezza insondabile sul futuro che dipende molto da fattori indipendenti dalla volontà umana propri di dio e/o della natura che sfuggono al controllo umano.Terrorismo psicologico, religioso, politico, ambientalista
Fine del mondohttps://it.wikipedia.org/wiki/Fine_del_mondo L'espressione fine del mondo viene usata in senso generico per indicare un possibile evento (o una serie di eventi) con conseguenze catastrofiche a livello globale, tali da causare la distruzione della Terra, della biosfera o della specie umana. Il tema della fine del mondo è presente soprattutto a livello escatologico in molte mitologie e religioni ed è inoltre ricorrente nella narrativa fantastica e fantascientifica e in misura minore anche in campo scientifico.
Fine dell'umanità - Estinzione dell'umanità.
Da un punto di vista antropocentrico, l'estinzione dell'uomo o la fine della sua civiltà equivarrebbero alla fine del mondo. Queste eventualità dal punto di vista scientifico potrebbero verificarsi per varie cause naturali e artificiali, come una pandemia estremamente letale, oppure la compromissione della biosfera a causa dell'inquinamento e della sovrappopolazione, o ancora il verificarsi di una guerra nucleare (come una terza guerra mondiale atomica).
La regressione della civiltà con perdita di buona parte della odierna tecnologia potrebbe inoltre avvenire per varie cause. Ad esempio una massiccia espulsione di massa coronale solare, colpendo l'atmosfera con particelle cariche, potrebbe provocare un potentissimo impulso elettromagnetico - del tipo che si verificò sul cielo del Québec nel 2000 e nell'intero nordamerica nel 1859, ma su una scala molto più ampia - tale da distruggere tutte le infrastrutture elettriche. Un evento di grande portata potrebbe causare l'esplosione di trasformatori della rete elettrica, con conseguente collasso della rete elettrica, seguita da tutti i possibili danni connessi alla mancanza di elettricità: perdita di refrigerazione degli alimenti, collasso del sistema di regolazione del transito stradale, collasso della rete dei cellulari, di telefoni, di internet e di tutti i computer, compromissione delle trasmissioni radiotelevisive, panico, disordini, atti di violenza generalizzata.
Catastrofismohttps://it.wikipedia.org/wiki/CatastrofismoIl catastrofismo o teoria delle catastrofi naturali è una teoria scientifica formulata dal naturalista francese Georges Cuvier agli inizi del XIX secolo e successivamente più volte rivisitata.
Secondo questa teoria la Terra sarebbe stata interessata nel corso della sua lunga storia da eventi catastrofici, di breve durata, di carattere violento ed eccezionale. Si opponeva quindi alla teoria dell'uniformitarismo, secondo la quale qualunque processo che si sia esercitato in un lontano passato continua ad agire anche nel presente. Georges Cuvier intendeva spiegare in questo modo l'esistenza dei fossili, che egli per primo riconobbe come appartenenti a specie estinte, cioè le specie scomparse nel corso degli eventi catastrofici. Cuvier basò la sua teoria principalmente su due osservazioni: l'evidenza di estinzioni di massa e l'assenza di forme graduali tra una specie e l'altra.
Teorie del complottohttps://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_del_complottoUna teoria del complotto o della cospirazione (talvolta anche nella forma aggettivale: teoria complottista o cospirativa) è una teoria che attribuisce la causa di un evento, o di una catena di eventi (in genere politici, sociali o talvolta anche naturali), a un complotto.
Si tratta in genere di teorie alternative più complesse ed elaborate rispetto alle versioni fornite dalle fonti ufficiali e critiche nei confronti del senso comune o della verità circa gli avvenimenti comunemente accettata dall'opinione pubblica. Tali ipotesi non sono provate per definizione, dal momento che cesserebbero di essere "teorie", e vengono spesso elaborate in occasione di eventi che suscitano forte impressione nell'opinione pubblica, come ad esempio eventi tragici legati alla morte di personaggi più o meno famosi o grandi disastri civili e ambientali, o atti terroristici, a volte anche per effetto dell'ampia diffusione e trattazione da parte dei mass media.
Il “populismo ambientalista” tra catastrofismo, culto della personalità e propagandaAlessandro Campi
25 Settembre 2019
https://www.istitutodipolitica.it/il-po ... ropaganda/ Le vie del populismo non sono infinite, ma certe molteplici e variegate, al punto che talvolta fatichiamo a riconoscerle. Prendiamo ad esempio il movimento politico e d’opinione che s’è creato su scala globale intorno alla giovane attività svedese Greta Thunberg.
La causa perorata da quest’ultima è certamente nobile e grandiosa: la salvaguardia del pianeta contro il rischio – dato come imminente – della sua distruzione causata dai cambiamenti climatici. Ma come definire, se non come tipicamente populiste, le modalità attraverso le quali Greta e i suoi seguaci stanno conducendo la loro battaglia? Basta una buona causa per giustificare un modo discutibile (se non in prospettiva pericoloso) di mobilitare le masse?
Se il populismo in sé – con la sua miscela di demagogia, culto del leader, manicheismo ideologico, settarismo, appello al popolo ed emotività di massa – rappresenta, come molti sostengono, un modello politico tendenzialmente ostile nei confronti della democrazia (delle sue procedure istituzionali e del suo costume) come è possibile non mostrarsi apertamente critici, o perlomeno criticamente scettici, nei confronti di questa sua variante che potremmo definire “populismo ambientalista”?
Gli stilemi tipici del populismo, se si guarda al modo con cui è cresciuto nel mondo il “fenomeno Greta” (sino a diventare qualcosa a metà tra una moda politico-mediatica che si fa forte della nostra cattiva coscienza e un movimento di massa che inclina verso il misticismo para-religioso), sono tutti facilmente riconoscibili. A partire dal più elementare e costitutivo d’ogni populismo: la divisione del mondo in buoni (i molti) e cattivi (i pochi). I primi sono gli abitanti del pianeta (il popolo inteso in questo caso come umanità), i secondo sono i capi di governo e gli esponenti dell’establishment finanziario e industriale mondiale.
I primi sono portatori di una visione politica che persegue la tolleranza, il benessere garantito a tutti, la pace e un sistema economico che non sia distruttivo della natura e dei suoi fragili equilibri. I secondi, insensibili ai destini del pianeta e privi di senso morale, rincorrono solo il profitto economico e lo sfruttamento delle risorse. A questi ultimi è concessa un’alternativa secca: pentirsi dinnanzi al mondo delle loro scelte sin qui scellerate (cambiando dunque radicalmente le loro decisioni) oppure sparire dalla scena lasciando il posto ad una nuova classe di politici-sapienti realmente in grado di porre fine al lento degrado dell’ambiente.
Si tratterebbe insomma di scegliere tra il bene assoluto (la salvezza dell’umanità) e il male assoluto (la distruzione del mondo): ma chi può ambire coscientemente a quest’ultimo obiettivo se non un nemico dell’umanità altrettanto assoluto per neutralizzare il quale ogni mezzo – dall’invettiva alla messa al bando legale – è dunque consentito? Peraltro a sollecitare la creazione di una nuova coscienza del mondo, in polemica generazionale contro i loro genitori sopraffatti dal mito della carriera e della ricchezza materiale, sono i giovani e giovanissimi: puri e giusti per definizione, non ancora corrotti dai falsi miti di un progresso che non vuole accettare limitazioni, avanguardia priva di colpe della futura umanità.
Ma ad accrescere l’impressione che ci troviamo in piena “estasi populista”, come l’ha definita qualche anno fa uno studioso, sono anche altri fattori. Ad esempio la natura stessa della leadership esercitata da Greta. Da lottatrice solitaria e anonima (le foto che la ritraggono seduta dinnanzi al Parlamento svedese mentre sciopera per il clima rinunciando ad andare a scuola) si è trasformata nell’interlocutore politico-morale dei potenti della Terra. Nei suoi confronti, i seguaci – sempre più numerosi – oscillano ormai tra un’incondizionata ammirazione, per la caparbietà con cui ha portato avanti la sua lotta, e una venerazione del tipo che di solito si riserva ai capi religiosi. Ogni sua parola è quasi un editto, che nessuno osa contestare. Tiene discorsi in tutti i consessi politici nazionali e mondiali, senza che nessuno osi pubblicamente replicarle nel timore di attirarsi contumelie o reprimende. In meno di un anno si è trasformata in un capo amato in modo quasi incondizionato, additato come esempio virtuoso e rivoluzionario alle nuove generazioni. Se non fosse per la causa che sostiene, una simile concentrazione di popolarità su scala mondiale dovrebbe persino fare un po’ paura, trattandosi del meccanismo fideistico e carismatico che di solito biasimiamo quando si parla del populismo e delle sue derive ultra-personalistiche.
Ma non bisogna trascurare anche altri elementi, che anch’essi ci portano dalle parti del populismo. Le posizioni che Greta sostiene in materia d’ambientalismo sono intrise, a dir poco, di un allarmismo che sconfina nel millenarismo di marca apocalittica. Se la terra brucia sino all’esito ultimo della sua devastazione, o peggio ancora se l’umanità rischia di estinguersi nel giro di un decennio, c’è davvero poco da stare a ragionare o a controbattere. Ogni discussione o confronto è inibito alla radice. Peraltro questa visione catastrofista e drammatizzante è stata ormai abbracciata in modo quasi acritico dalla gran parte del sistema mediatico mondiale, soprattutto quello che opera nella sfera occidentale, al punto tale da essersi convertito in un mantra propagandistico. Ma il martellamento di poche “verità” ripetute all’infinito, alle quali si può soltanto aderire in modo istintivo, non è esattamente tipico dello stile populista? Si tratta poi di un unanimismo che dovrebbe cominciare a destare qualche sospetto: se le grandi multinazionali giocano ormai a chi più rispetta l’ambiente è per salvarsi l’anima, è perché hanno compreso d’aver sbagliato o è perché in questo cambio del sentimento collettivo hanno già visto un’occasione per accrescere i loro profitti con in più il salvacondotto morale di ergersi a difensori del pianeta? È tipico della retorica populista inveire contro il Sistema, minacciare di sovvertirlo alla radice, per poi diventarne un puntello o una parte integrante.
Andiamo oltre. Continuiamo a dire, quando si tratta di criticare i populismi, che la paura alimentata in una chiave irrazionale può ingenerare forme d’azione individuale e collettiva che rischiano di diventare ingovernabili politicamente e socialmente distruttive. La paura non è mai una buona consigliera. Si possono realizzare politiche ambientali razionali ed efficaci, che per essere tali necessitano ovviamente di una accorta pianificazione (oltre a richiedere molto tempo per sortire i loro effetti), sotto l’incalzare della più grande e assoluta delle paure: la scomparsa dell’uomo dalla faccia della Terra?
Non parliamo poi della polarizzazione (largamente strumentale e anch’essa pericolosa) che il radicalismo cavalcato da Greta rischia di determinare: anche questo un aspetto che spesso viene rimproverato ai populismi. L’idea che chi non abbraccia la sua visione di un mondo sull’orlo dell’abisso sia ipso facto un nemico dell’umanità, che toglie ai giovani le loro speranze per il futuro, è davvero pericolosa per il fatto di mettere i governanti di tutto il mondo, in quanto tali, sul banco degli imputati (oltre a delegittimarli gli occhi delle rispettive opinioni pubbliche, come se non fossero dei leader democraticamente eletti capaci di perseguire il bene comune, ma degli usurpatori nemici del popolo-umanità). Ieri persino il presidente francese Macron, pure dichiaratamente in prima linea insieme alla Merkel nelle battaglie europee per l’ambiente, ha apertamente polemizzato contro Greta e il suo eccesso di manicheismo, che rischia di aumentare l’antagonismo sociale nel segno di un ambientalismo di stampo fondamentalista. Le invettive, magari con le lacrime agli occhi, possono servire per creare attenzione intorno ad un problema e per creare una mobilitazione collettiva sotto la spinta dell’emozione e della paura. Ma non sono una soluzione politica o una risposta razionale ai problemi che si vorrebbero risolvere.
Per chiudere, parafrasando l’indimenticabile Giorgio Gaber, non deve farci paura solo il populismo che è negli altri, ma il populismo che è in noi, spesso inconsapevolmente, anche quando ci si batte per una buona causa.
Il caso Shellenberger, l'ambientalista che dice: «Scusate per l'allarmismo»9 luglio 2020
https://www.tempi.it/caso-michael-shell ... climatico/Consulente dell’Ipcc e del Congresso Usa, l'”eroe” ecologista osa scrivere che i catastrofisti esagerano e il cambiamento climatico non è la fine del mondo. Ora «passerà anni a difendere il suo articolo»
Michael Shellenberger durante Cop 23, conferenza Onu sul cambiamento climatico
«Da parte degli ambientalisti di ogni dove, desidero chiedere formalmente perdono per il panico che abbiamo creato negli ultimi 30 anni sul clima. Il cambiamento climatico è reale. Solo che non è la fine del mondo. Non è nemmeno il più grave tra i problemi ambientali». Inizia così un interessante articolo di Michael Shellenberger che gira da poco più di una settimana su internet ed è diventato una specie di caso internazionale.
Che Shellenberger sia un ambientalista atipico è noto da tempo. Da prima che il Time nel 2008 lo inserisse nell’elenco degli “Eroi dell’ambiente”. Cofondatore del Breakthrough Institute e fondatore dell’Environmental Progress, due think tank di primo piano sui temi “green”, è considerato uno dei principali esponenti del cosiddetto ecopragmatismo: già nel 2004, anno di uscita del suo libro più discusso, The Death of Environmentalism (La morte dell’ambientalismo), accusava gli ambientalisti “mainstream” di non aver saputo produrre alcun risultato ecologico utile. Per intenderci: Shellenberger è un sostenitore dell’energia nucleare (si veda in proposito qui la sua intervista a Tempi su Fukushima).
Che cosa ha reso dunque un caso la sua recente uscita? Per leggere integralmente l’articolo, si può fare riferimento al sito dello Spectator, oppure a The Australian o ancora allo stesso Environmental Progress.
Tuttavia basta soffermarsi su alcuni passaggi del testo per capire che cosa ha fatto innervosire tanti lettori e avversari di Shelleberger. Per esempio:
«Sono un attivista del clima da 20 anni e un ambientalista da 30. Ma in qualità di esperto di energia chiamato a testimoniare davanti al Congresso americano, e invitato dall’Intergovernmental Panel on Climate Change [il famoso Ipcc dell’Onu premiato insieme ad Al Gore con il Nobel per la pace nel 2007, ndr] come revisore del suo prossimo rapporto di valutazione, sento il dovere di chiedere perdono per quanto gli ambientalisti hanno fuorviato l’opinione pubblica.
Ecco alcuni fatti che pochi conoscono:
– Gli uomini non stanno provocando una “sesta estinzione di massa”
– L’Amazzonia non è “il polmone del mondo”
– Il cambiamento climatico non aggrava i disastri naturali
– Dal 2003 gli incendi sono diminuiti in tutto il mondo del 25 per cento
– La quantità di terra che utilizziamo per la carne (l’utilizzo più esteso di terra fatto dall’umanità) è diminuita di una superficie quasi pari a quella dell’Alaska
– Sono l’accumulo di combustibili legnosi e la maggior presenza di case nei pressi delle foreste, non il cambiamento climatico, il motivo per cui in Australia e in California si verificano sempre più incendi, e sempre più pericolosi
– Le emissioni di anidride carbonica calano nella maggior parte delle nazioni ricche e in Gran Bretagna, Germania e Francia sono in diminuzione dalla metà degli anni Settanta
– L’Olanda si è arricchita, non impoverita, adattandosi a vivere al di sotto del livello del mare
– Produciamo il 25 per cento di cibo in più rispetto al nostro fabbisogno e i surplus di cibo continueranno ad aumentare con il riscaldamento del mondo
– La perdita di habitat e l’uccisione diretta di animali selvatici rappresentano per le specie minacce più gravi del cambiamento climatico
– Il combustibile legnoso è di gran lunga peggio dei combustibili fossili per le persone e la fauna selvatica
– La prevenzione nei confronti di future pandemie richiede più, non meno, agricoltura “industriale”.
Mi rendo conto che i fatti di cui sopra appariranno a molti come “negazionismo climatico”. Ma questo non fa che confermare il potere dell’allarmismo climatico. Per la verità, questi fatti sono tratti dai migliori studi scientifici a disposizione, tra i quali quelli condotti o accettati dall’Ipcc, dalla Fao, dalla International Union for the Conservation of Nature e da altri enti scientifici tra i più importanti».
Nella sua richiesta di scuse a nome degli ambientalisti, Shelleberger dedica ampio spazio a respingere il prevedibile sospetto di essere «una specie di anti-ambientalista di destra», e a raccontare tutte le missioni e collaborazioni portate avanti nel corso di una vita al fianco di personalità e ambienti insospettabilmente di sinistra e di sinistra progressista, compreso Obama.
Poi un altro affondo urticante:
«Ma fino all’anno scorso, ho per lo più evitato di esprimermi contro il panico climatico. In parte perché ero in imbarazzo. Dopo tutto, sono colpevole di allarmismo come qualunque altro ambientalista. Per anni, ho parlato del cambiamento climatico come di una minaccia “esistenziale” per la civiltà umana, chiamandolo “crisi”.
Soprattutto, però, avevo paura. Sono rimasto in silenzio davanti alla campagna di disinformazione sul clima perché temevo di perdere amici e finanziamenti. Le poche volte che sono riuscito a raccogliere il coraggio per difendere la scienza del clima da quanti ne abusavano, ho subìto dure ripercussioni. E così per lo più sono rimasto al mio posto e non ho fatto quasi nulla mentre i miei compagni ambientalisti terrorizzavano l’opinione pubblica».
A rendere la confessione di Shellenberger definitivamente un caso, comunque, è stata la decisione di Forbes (sul cui sito il pezzo è apparso per la prima volta) di rimuovere l’articolo. Così l’autore ha denunciato su Twitter la “censura” ed è partito il copia-incolla generale, per la gioia degli ambienti “ecoscettici” di tutto il mondo.
Il clamore della polemica ha attirato l’attenzione del Guardian, giornale indubbiamente capofila dell’ambientalismo allarmista denunciato da Shellenberger (ha perfino deciso di adottare ufficialmente un linguaggio catastrofista). E l’operazione del quotidiano britannico è una perfetta dimostrazione del pregiudizio ideologico che regna sull’ecologia.
Secondo il Guardian, infatti, Shellenberger non ha scritto niente di nuovo, le sue tesi sono note, e se Forbes ha deciso di cancellare il suo articolo è perché «violava le linee guida a riguardo dell’autopromozione».
Nell’articolo “censurato” in effetti Shellenberger parla del suo nuovo libro, Apocalypse Never. Ma lo stesso Guardian non dedica che poche righe a questa violazione delle linee guida di Forbes sull’autopromozione. Così come il punto non appare nemmeno contestare le tesi del libro presentato da Shellenberger (ovvero: «Ci sono prove schiaccianti che la nostra civiltà ad alta energia è meglio per le persone e per la natura rispetto alla civiltà a bassa energia a cui gli allarmisti vorrebbero farci tornare»).
Il vero peccato di Shellenberger è che il suo articolo «è stato apprezzato dai media conservatori». Il Guardian ha anche raccolto commenti degli autorevoli studiosi citati dallo stesso Shellenberger a supporto della qualità del suo libro. Uno è il climatologo Tom Wigley dell’Università di Adelaide:
«[Il professor Wigley] spiega al Guardian Australia di ritenere che il libro “può ben essere il libro più importante mai scritto sull’ambiente”. Ma dice che il modo in cui nel commento è esposta la questione del cambiamento climatico metterà Shellenberger in una posizione complicata. “Penso che Michael si sia spinto un po’ troppo in là e dovrà difendere questo articolo per molti anni. Nel frattempo, le sue parole potranno essere distorte da gente che non crede nel riscaldamento globale di origine antropica e questo potrà fare danni”, dice Wigley».
Insomma, Shellenberger la dirà anche giusta, avrà anche pubblicato il libro più importante mai scritto sull’ambiente, ma ha esagerato i toni, tanto è vero che il suo articolo piace ai conservatori “negazionisti” che mettono in dubbio la catastrofe in arrivo.
Il cortocircuito è servito. Perché gli ambientalisti in tutti questi anni non hanno forse esagerato con gli allarmi, come sostiene appunto Shallenberger? Ancora un passaggio dal suo articolo:
«Ha detto Alexandria Ocasio-Cortez: “Il mondo finirà entro 12 anni se non affrontiamo il cambiamento climatico”. E il gruppo ambientalista di maggior rilievo del Regno Unito ha dichiarato che “il cambiamento climatico uccide i bambini”».
E il Guardian si è preoccupato forse di indagare sui toni e sulle esagerazioni usati da Al Gore – solo per fare un esempio tra i tanti possibili – quando questi sostiene, rilanciato dal Guardian stesso, che «combattere il climate change è come combattere contro la schiavitù»? Fatto sta che adesso, a differenza di Al Gore, di Ocasio-Cortez, di Extinction Rebellion e dell’Ipcc, Shellenberger sarà costretto a «difendere questo articolo per molti anni» e a difendere se stesso dall’accusa di negazionismo. Chissà perché.
Ambientalismo catastrofistahttps://www.corriere.it/solferino/sever ... -26/07.spmCaro Beppe,
con riferimento alla lettera di Antonio Roccabianca (19 gennaio) sul rapporto "State of the World 2004" e alla tua risposta vorrei esprimere un parere controcorrente rispetto a questo (ahimè) diffuso sentire pregno di catastrofismo ambientale. I punti salienti sono: "si rischia il collasso ambientale del pianeta (Roccabianca/Wolrldwatch Institute), "l'industria produce in una settimana quello che nell'Ottocento produceva in quattro anni: non credo si possa andare di questo passo.
Mancano risporse e, soprattutto, spazio" (Severgnini). Innanzitutto lo sviluppo tecnologico-industriale dall'Ottocento ad oggi ha comportato lo sviluppo economico e dei consumi ma anche del benessere delle popolazioni di tutto il Pianeta. Oggi si vive più del doppio dell'Ottocento e il progresso (più richezza, più istruzione, meno ore i lavoro etc.) ha coinvolto tutti, anche i Paesi in via di sviluppo (e l'Occidente ha fatto da traino). Si pensi, tra l'altro, che la disponibilità di cibo è in continuo aumento e, conseguentemente, il costo delle derrate alimentari è in continuo calo, anche in stati come la Cina con un elevatissimo numero di bocche da sfamare.
Mancano risorse? Beppe, la disponibilità delle risorse continua ad aumentare perchè lo sviluppo tecnologico permette di sfruttare riserve sempre più povere (ricordi quando ci raccontavano che il petrolio sarebbe esaurito a momenti?): l'età della pietra non è finita per mancanza di pietre ma perchè lo sviluppo tecnologico ha permesso di disporre di alternative migliori. In conclusione, è evidentemente necessario mantenere un convinto atteggiamento ambientalista senza cadere però in inutili catastrofismi. Affermazioni del tipo "si rischia il collasso ambientale" o "non credo si possa andare avanti in questo modo" assomigliano alle previsioni astrologiche che si leggono in dicembre sui giornali -e mai confermate!- e non aiutano ad affrontare con consapevolezza e determinazione le sfide che la difesa dell'ambiente ci riserva.
Giovanni Straffelini
Catastrofismo ambientalista e fine del mondoVittorio Messori
21 gennaio 2011
https://www.lanuovabq.it/it/catastrofis ... -del-mondo Sul Web impazzano siti e blog apocalittici che parlano della fine del mondo. L'ideologia verde dà loro man forte. Ma il cristiano sa che non deve chiedere né il giorno né l'ora, e deve invece preparsi alla sua fine del mondo...
Scorazzando nella grande rete Web rimango impressionato da quanta voglia ci sia in giro di Apocalisse: nei blog, nei siti, un po’ dappertutto. Non si capisce bene se sia il timore o un recondito desiderio che attira l’uomo post-moderno verso queste prospettive.
In realtà quel terrore post-moderno ha caratterizzato molte epoche della nostra storia. Tante, tantissime volte l’uomo ha presentito la fine ormai vicina del mondo, di fronte a pestilenze o disastri naturali. Da Hiroshima in poi la mentalità apocalittica è stata segnata dall’equilibrio del terrore. Oggi, la tentazione catastrofista è rappresentata da un certo ambientalismo e “verdismo”.
Con il supporto di dati pseudo-scientifici riaffiora l’antica ossessione dell’Apocalisse. Negli anni Settanta – e lo ricordo bene perché li seguovo da cronista – la bufala ambientalista era quella del raffreddamento globale: si pensava che i poli si sarebbero via via estesi, che il mar Mediterraneo si sarebbe ghiacciato, che saremmo morti di freddo Quarant’anni dopo la bufala catastrofista, nonostante siano già tre, quattro inverni che battiamo i denti, ci parla del riscaldamento globale e dello scioglimento dei ghiacciai. Ci dicono anche che moriremo tutti avvelenati o asfiassiati.
Poi c’è il catastrofismo demografico, dicono che siamo in troppi, che soffocheremo, che non ci saranno risorse… Insomma, l’ambientalismo e il “verdismo” sono il volto moderno di un’ossessione che attraversa la storia. Il Web lo dimostra e m’impressiona constatare quante siano le persone che si lasciano coinvolgere.
Come guarda il cristiano a questo fenomeno? Innanzitutto ricordando i capitoli 24 e 25 del Vangelo di Matteo, là dove Gesù parla dei segni della fine dei tempi. Il Vangelo ci avverte che prima o poi il mondo finirà, ma noi dobbiamo riflettere su questo prima o poi. Gesù, infatti, in quel discorso apocalittico, dice di non stare a speculare sul giorno e sull’ora, perché non lo conoscono gli angeli del cielo e neppure il Figlio, solo il Padre lo sa. Affermazione sulla quale hanno molto dibattuto i teologi.
Lasciamo agli esperti di teologia questo problema, e rimaniamo al testo evangelico: Gesù ci raccomanda di vigilare, ma ci dice esplicitamente di non dedicarci a speculazioni più o meno attendibili per cercare di sapere quando e come la fine del mondo avverrà. Se volessimo sapere la data, andremmo contro l’insegnamento evangelico.
Non posso qui non citare i Testimoni di Geova, che già più volte hanno fornito queste date – rivelatesi ovviamente fasulle – e continuano ad aggiornarle spostando sempre più in là la fine del mondo da loro già preannunciata da almeno un secolo. Di fronte al dilagare dell’ossessione apocalittica e catastrofista, il cristiano deve meditare sl fatto che per ciascuno di noi la fine del mondo verrà, ed è il momento della morte, quando chiuderemo gli occhi per sempre e ci inoltreremo nell’aldilà. Questa la fine del mondo, stabilita per ciascuno di noi.