Clima, politica energetica US e Greta con i suoi gretini

Re: Clima, politica energetica US e Greta con i suoi gretini

Messaggioda Berto » lun gen 03, 2022 7:54 am

La Finlandia avvia il reattore nucleare dopo 12 anni di ritardo: è il più potente in Europa
Luca Fraioli
23 dicembre 2021

https://www.repubblica.it/green-and-blu ... 331315103/


Il nuovo reattore nucleare messo in funzione in Finlandia nella notte tra il 20 e il 21 dicembre, il più potente in Europa e il primo dopo 15 anni dall'ultima accensione, innescherà probabilmente una doppia reazione a catena. Da una parte i fautori dell'energia atomica, che vedranno nell'inaugurazione dell'impianto la prova della bontà della tecnologia per sostituire rapidamente i combustili fossili. Dall'altro gli oppositori, secondo i quali proprio la storia del reattore Olkiluoto 3 dovrà indurre a non avventurarsi in una nuova era nucleare.

Per ora, l'unica reazione a catena è quella di fissione degli atomi che sta producendo energia nella centrale di Rauma, 260 chilometri a nord-est di Helsinki. Si tratta di una fase sperimentale, con il reattore spinto fino al 25% del sua potenza di esercizio (a regime dovrebbe generare 1600 megawatt, pari al 15% del fabbisogno finlandese) e non ancora collegato alla rete di distribuzione. Nel mese di gennaio arriverà al 30% della potenza per poi crescere fino al 100% entro il prossimo giugno.


La tecnologia è francese: si tratta infatti di un Epr (European pressurized reactor) realizzato dalla transalpina Areva. D'altra parte quello di Parigi è l'unico governo europeo, e tra i pochi al mondo, ad aver continuato a investire nel nucleare, in patria e all'estero. E non a caso è proprio la Francia a spingere perché l'energia atomica venga inserita nella Tassonomia verde al vaglio della Commissione europea: un traguardo che pochi giorni fa sembrava alla portata del presidente Macron e che ora pare essersi allontanato per l'opposizione del nuovo governo tedesco, nel quale giocano un ruolo cruciale i Verdi del vicecancelliere Robert Habeck e della ministra degli Esteri Annalena Baerbock.

Il varo di Olkiluoto 3 potrebbe dare nuova energia a chi sostiene che solo il nucleare ci consentirà di rinunciare a carbone, gas e petrolio, abbattendo così le emissioni di CO2, in tempo per evitare la catastrofe climatica. Ma proprio ai tempi (oltre che ai costi di realizzazione e gestione) si appellano gli oppositori dell'atomo, che hanno sempre indicato nel nuovo reattore finlandese, la cui prima pietra è stata posata nel 2005, un esempio da non seguire: l'impianto che ha preso il via l'altra notte, avrebbe in realtà dovuto entrare in funzione dodici anni fa, nel 2009. E sarebbe dovuto costare 3,2 miliardi di euro, mentre a oggi il prezzo è lievitato a 8,5 miliardi. Una sorte analoga è toccata all'Epr di Flamanville, in Normandia, atteso per la fine del 2022, dopo rallentamenti che hanno fatto accumulare un ritardo di dieci anni e un costo più che triplicato.

L'altro ostacolo per un ritorno europeo al nucleare è rappresentato dalla percezione dell'opinione pubblica. Se Olkiluoto 3 è partito lo si deve anche al diffuso consenso che l'energia atomica riscuote tra i finlandesi: secondo un recente sondaggio commissionato da Finnish Energy, l'associazione che riunisce le compagnie energetiche del Paese nordico, circa il 50% della popolazione vorrebbe aumentare la quota di nucleare nella produzione di energia, circa il 25% trova adeguato il livello attuale, solo il 18% ridurrebbe la produzione nucleare. Numeri difficilmente riscontrabili in altre nazioni europee. A cominciare dall'Italia.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Clima, politica energetica US e Greta con i suoi gretini

Messaggioda Berto » mar gen 04, 2022 9:20 pm

L'auto elettrica - la più grande truffa che il mondo abbia mai visto?
Qualcuno ci ha pensato?

Ludmil BerovДачия Клуб България
21 dicembre 2021

https://www.facebook.com/franco.leonard ... 4540209338

L'auto elettrica - la più grande truffa che il mondo abbia mai visto?
Qualcuno ci ha pensato?

"Se tutte le auto fossero elettriche... e sarebbero rimasti bloccati in un ingorgo di tre ore.. Le batterie sono tutte scariche! E poi?
Senza contare che nell'auto elettrica praticamente non c'è riscaldamento.
Ed essere bloccato in strada tutta la notte, senza batteria, senza riscaldamento, senza tergicristalli, senza radio, senza GPS (batteria tutta scarica)!!!
Puoi provare a chiamare il 911 e proteggere le donne e i bambini!
Non possono venire ad aiutarti perché tutte le strade sono bloccate e probabilmente richiederanno che tutte le auto della polizia siano elettriche (se abbiamo ancora la polizia)!
E quando le strade sono bloccate, nessuno può muoversi! Le loro batterie si sono scaricate
Come vengono tassate migliaia di auto nel traffico? (Penso che questo sia un business che vorrei vedermi lavorare. Droni per consegnare batterie pesanti e qualcuno per togliere batterie vecchie e installarne di nuove. )
Lo stesso problema delle vacanze estive con blocchi chilometrici.
Non ci sarebbe praticamente l'aria condizionata in un'auto elettrica. Le tue batterie si scaricherebbero in un battito di ciglia. "
Naturalmente nessun politico o cronista ne parla!
Testo tradotto e ripreso da Marian Alaksin (Repubblica Ceca)
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Re: Clima, politica energetica US e Greta con i suoi gretini

Messaggioda Berto » sab gen 22, 2022 10:54 pm

L'auto elettrica - la più grande truffa che il mondo abbia mai visto?
Qualcuno ci ha pensato?

Ludmil BerovДачия Клуб България
21 dicembre 2021

https://www.facebook.com/franco.leonard ... 4540209338

L'auto elettrica - la più grande truffa che il mondo abbia mai visto?
Qualcuno ci ha pensato?

"Se tutte le auto fossero elettriche... e sarebbero rimasti bloccati in un ingorgo di tre ore.. Le batterie sono tutte scariche! E poi?
Senza contare che nell'auto elettrica praticamente non c'è riscaldamento.
Ed essere bloccato in strada tutta la notte, senza batteria, senza riscaldamento, senza tergicristalli, senza radio, senza GPS (batteria tutta scarica)!!!
Puoi provare a chiamare il 911 e proteggere le donne e i bambini!
Non possono venire ad aiutarti perché tutte le strade sono bloccate e probabilmente richiederanno che tutte le auto della polizia siano elettriche (se abbiamo ancora la polizia)!
E quando le strade sono bloccate, nessuno può muoversi! Le loro batterie si sono scaricate
Come vengono tassate migliaia di auto nel traffico? (Penso che questo sia un business che vorrei vedermi lavorare. Droni per consegnare batterie pesanti e qualcuno per togliere batterie vecchie e installarne di nuove. )
Lo stesso problema delle vacanze estive con blocchi chilometrici.
Non ci sarebbe praticamente l'aria condizionata in un'auto elettrica. Le tue batterie si scaricherebbero in un battito di ciglia. "
Naturalmente nessun politico o cronista ne parla!
Testo tradotto e ripreso da Marian Alaksin (Repubblica Ceca)






Il Ceo di Gruppo Volkswagen: “In Europa impossibile dire addio alle endotermiche”
Omar Abu Eideh
19 gennaio 2022

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/0 ... 1642614983

Nella stessa giornata in cui la stampa internazionale riporta le parole di Carlos Tavares, ad di Stellantis, sull’elettrificazione della mobilità, a suo dire “imposta” dalla politica, il numero uno del gruppo Volkswagen, Herbert Diess, lancia una serie di considerazioni inequivocabili alle Istituzioni: per il numero uno del colosso tedesco, infatti, immaginare di dire addio ai veicoli con motore termico “è semplicemente impossibile”. Parole che arrivano dal massimo rappresentante del gruppo automobilistico europeo più impegnato nell’elettrificazione.

In un’intervista concessa al podcast di Nilay Patel, direttore del sito di tecnologie The Verge, Diess ha affermato che “la transizione verso i veicoli elettrici ha alcuni vincoli” e che “il piano per arrivare al 50% di EV entro il 2030 è estremamente ambizioso. In Europa, abbiamo una quota di mercato di circa il 20%: affinché questa quota sostenga l’obiettivo del 50% di veicoli elettrici, abbiamo bisogno di sei “gigafactory” (ovvero, le maxi fabbriche di batterie, ndr.). Queste fabbriche dovrebbero essere operative entro il 2027 o il 2028 per consentire di raggiungere il nostro obiettivo per il 2030. È quasi impossibile farlo”.

L’ad ha poi sottolineato le difficoltà di allestimento di queste maxi fabbriche, ivi comprese l’assunzione del personale (e relativo addestramento) e l’approvvigionamento delle materie prime. “Noi siamo solo il 20% del mercato, quindi sei stabilimenti. L’Europa ha bisogno di 30 di questi impianti. Ogni impianto è di due chilometri per uno. Devono essere spostate enormi quantità di materie prime. Sarà impegnativo. Quindi, passare dal 50% al 100% sarà una sfida tremenda. Non si tratta solo di dire ‘spegniamo le auto endotermiche’. È semplicemente impossibile”.

Diess ha inoltre toccato un nodo importante, espresso anche da altri boss dell’automotive, in primis Akio Toyoda, Presidente della Toyota: “Le auto elettriche hanno senso solo se l’energia è rinnovabile. In nazioni che basano la produzione di energia elettrica sul carbone, non ha senso vendere veicoli elettrici. Si pensi alla Polonia. Prima di vendere auto elettriche, dobbiamo convertire il settore primario alle energie rinnovabili al 100%”.

Ecco perché, per il manager tedesco, i costruttori che hanno calendarizzato l’addio definitivo alle endotermiche sbagliano: “È una decisione che una casa automobilistica non può prendere da sola” perché “il lancio dei veicoli elettrici dipenderà dalla legislazione e dall’aumento delle energie rinnovabili, e ciò deriverà dalle politiche statali e da una politica globale, non dalle decisioni individuali dei produttori di automobili”. In definitiva, quindi, “non ha senso elettrizzare il mondo della mobilità se prima non rendiamo neutrale dalla CO2 il settore primario. Il mondo non è lo stesso. In Francia hanno sette grammi di CO2 per kilowattora perché è tutto nucleare. In Polonia hanno 1.000 grammi perché è tutto a base di carbone. Lo stesso accade in Sud Africa. I lanci di elettriche devono essere scaglionati”.



C'è vita per il Diesel in Stellantis, a Pratola Serra nascerà un Euro 7

https://www.auto.it/news/attualita/2022 ... _un_euro_7

Carlos Tavares annuncia lo sviluppo del nuovo motore a gasolio per auto e mezzi commerciali

C’è vita per il Diesel in casa Stellantis. Il prossimo 1° marzo quando Carlos Tavares illustrerà il piano industriale del Gruppo nato da PSA e FCA se ne saprà di più del futuro della elettrificazione e di cosa resterà dei motori endotermici.

Tavares intanto non molla la presa. Dopo i dubbi espressi sulle decisioni dei legislatori di forzare il passaggio alle auto a batteria, il manager, in visita allo stabilimento di Pratola Serra, in provincia di Avellino, ha confermato che il sito produrrà un motore a gasolio.

Un Diesel per tutti

Atteso per la primavera del 2023, si tratterà di un diesel sovralimentato a iniziazione diretta. Un quattro cilindri omologato Euro 7, realizzato per auto e veicoli commerciali di tutti i Marchi di Stellantis.

Tavares, che ha visitato anche la fabbrica di Termoli, ha comunque confermato che tutti gli impianti di Stellantis produrranno auto elettrificate e ogni brand avrà almeno una full electric a breve termine.

In sostanza ha confermato un approccio differenziato, con proposte di motori di ogni tipo, anche se l’investimento principale non è min discussione. “Da oggi al 2035 saranno stanziati 30 miliardi di euro per lo sviluppo della gamma di auto elettrificate. Siamo il quarto gruppo mondiale, la nostra ambizione è quella di primeggiare nella classifica dei grandi costruttori di autoveicoli”. Non si torna più indietro, ma le strade potrebbero essere più di una.




Ora l'auto elettrica fa paura: in Italia 500 aziende a rischio
Pierluigi Bonora
30 gennaio 2022

https://www.ilgiornale.it/news/economia ... 1643525600

Sono tra 450 e 500 le imprese italiane della componentistica (circa 70mila lavoratori) operanti nelle motorizzazioni tradizionali che la svolta verso l'auto elettrica potrebbe costringere alla resa. Tutte aziende che non possono riconvertirsi dall'oggi al domani, per di più in assenza di un piano nazionale predisposto da un governo che, solo a parole fino a ora, sostiene che la sostenibilità ambientale non debba pregiudicare quella sociale. «Nei prossimi mesi, senza interventi decisi e sostanziosi, lo scenario è solo destinato a peggiorare», puntualizza una fonte industriale.

Bosch e i 700 esuberi nella fabbrica di Modugno (Bari) e la pisana Vitesco (750 i lavoratori dichiarati in eccedenza) rappresentano solo la punta dell'iceberg di una situazione ormai incandescente. C'è poi Marelli (550 gli addetti in uscita) che alle difficoltà interne del momento (riorganizzazione in corso; debito pesante da ripagare dopo l'acquisizione che nel 2019 ha portato l'azienda da Fca a CK Holdings; asset in vendita, come quello che produce ammortizzatori e sospensioni) vede unirsi la «tempesta perfetta» tra crisi dei chip, transizione green improvvisata, caro energia e materie prime.

Intanto, si fa sempre più concreta la profezia che Alberto Bombassei, ora presidente onorario di Brembo, ha fatto nel 2019: «Con l'auto elettrica sono a rischio un milione di occupati in Europa». Tutte persone soprattutto impegnate nell'indotto, «visto che i costruttori, tra la realizzazione di Gigafactory (per la produzione di batterie per le auto elettriche) e portando all'interno alcune produzioni, riuscirebbero a gestire meglio il problema», spiega la stessa fonte.

È comunque singolare come l'attenzione sia delle istituzioni sia di Acea, l'associazione europea dei costruttori, sia per lo più focalizzata sulla necessità di accelerare la capillarizzazione delle infrastrutture di ricarica, mentre il tema industriale comincia a prendere corpo solo quando un'azienda dichiara esuberi e fa trasparire licenziamenti.

Massimiliano Salini, eurodeputato di Forza Italia (Ppe), afferma che «la messa al bando dei motori endotermici dal 2035 consegnerà, di fatto, la filiera europea dell'automotive alla dipendenza dalla Cina, che produce l'80% delle batterie mondiali». E precisa: «Anche dando il massimo sostegno ai progetti delle nuove Gigafactory europee, secondo stime della Commissione arriveremmo nel 2035 a coprire in modo autonomo solo il 7% del fabbisogno Ue di batterie. Chiediamo pertanto di procedere con la neutralità tecnologica, includendo nel pacchetto climatico anche gli investimenti nei combustibili alternativi». «È scoppiata alla Bosch di Bari la prima crisi aziendale in Italia causata dal passaggio all'auto elettrica», ha tagliato corto nei giorni scorsi il presidente di Confindustria Puglia, Sergio Fontana.

Stando così le cose aumentano le probabilità che la Fiom-Cgil proclami una manifestazione nazionale di protesta del settore affinché Palazzo Chigi intervenga prima che la situazione degeneri. «È il momento di affrontare le criticità di tutto quanto sta accadendo in un settore tradizionalmente molto forte in Italia, ma che rischia di essere spazzato via da una trasformazione che allo stato attuale non è governata», rincara la dose Roberto Benaglia (Fim-Cisl).

«I rischi a breve termine di una transizione mal gestita o, peggio, non gestita, non possono essere ignorati - interviene Marco Piccitto, senior partner di McKinsey -; raggiungere l'obiettivo delle zero emissioni nette dipenderà dall'impegno di imprese, governi e singoli individui in tutto il mondo. E richiederà un cambio di mentalità a 360°, che comprenda anche il modo in cui ci si prepara ad affrontare le incertezze e i rischi a breve, ad agire in maniera più decisa, facendo fronte comune e utilizzando l'ingegno, oltre ad ampliare gli orizzonti di pianificazione e di investimento». La transizione verso un futuro a emissioni zero, secondo uno studio di McKinsey, se ben gestita potrebbe portare a un saldo positivo di 15 milioni di nuovi occupati entro il 2050. È l'altra faccia della medaglia, ma bisogna creare fin da ora le condizioni.


Nuovo diesel Euro 7 Stellantis: come e dove potrebbe essere utilizzato
Quattroruote.it
Andrea Stassano
28 gennaio 2022

https://www.quattroruote.it/news/indust ... 2860632549

In un’epoca in cui si parla prevalentemente di lanci d’inediti modelli a corrente, fa notizia l’annuncio di un nuovo motore diesel omologato Euro 7, italiano, da realizzare nello stabilimento di Pratola Serra (Avellino). A svelarlo è stato il gran capo di Stellantis in persona, Carlos Tavares, in occasione di una visita presso l’impianto campano. Un progetto tecnico che vedrà la luce nel giro di 14-15 mesi e potrebbe aprire tutta una serie di prospettive commerciali inaspettate in quest’era di programmi quasi interamente incentrati sulla propulsione elettrica. Siamo nel campo delle ipotesi, perché non è ancora trapelato nulla di ufficiale da parte di Stellantis circa le opportunità d’impiego di questo Euro 7 sulle auto del gruppo. Ma resta il fatto che il tanto (da alcuni) vituperato diesel, in versione rinnovata e ancora più pulita, può tornare sotto i riflettori e dare il suo contributo alla riduzione delle emissioni nocive, “allungando” così la vita dell’intero comparto “tradizionale”. La notizia qui implica un cambio di strategia non tanto nella pianificazione prodotto, perché questo propulsore è stato evidentemente deliberato tempo fa, quanto nella comunicazione: il diesel può uscire dal limbo, può tornare ad avere un ruolo nell’agenda dei grandi gruppi, senza vergogna e senza censura. Il resto lo dirà il mercato.

Diesel, strada aperta. Detto ciò, cerchiamo di capire qualcosa in più di questo motore a gasolio Euro 7 in arrivo nel corso del 2023. Lo ripetiamo: non è stato ancora confermato ufficialmente il possibile utilizzo di questa unità nel comparto automobilistico del gruppo franco-italiano. Dunque, possiamo solo fare dei ragionamenti, che andranno poi sottoposti alla prova dei fatti. Intanto, però, il progetto c’è, e potrebbe far ben sperare chi, nel frattempo, continua a macinare tanta strada ogni giorno, senza aver trovato sul mercato nessuna alternativa al caro, “vecchio” diesel.

Minori emissioni. Il nuovo “Euro 7” avrà, di base, alcuni punti di convergenza con l’attuale, doppia produzione di Pratola Serra: ci riferiamo ai recentissimi 2.2 a gasolio omologati Euro 6d-Final destinati ai veicoli commerciali e a quelli di analoga cilindrata, ma diversi per struttura e alcuni particolari, in dotazione alle Alfa Romeo Giulia e Stelvio. In comune con tutti questi propulsori, la nuova unità avrebbe alcune caratteristiche di fondo, come il tipo di frazionamento a quattro cilindri, la cubatura di 2.2 litri (anche se leggermente più elevata da quella di oggi: cioè, 2.184 cm3 contro 2.143), mentre le parti in movimento e gli accessori dovrebbero essere nuovi o profondamente evoluti. Una serie di modifiche e un aggiornamento così corposo, da far parlare, sì, di discendenza, come pure di un’unità completamente nuova.

Dal Ducato in avanti. Il motore con cui l’inedito Euro 7 condividerebbe più cose, comunque, dovrebbe essere il recentissimo propulsore a gasolio che equipaggia l’ultima evoluzione del Fiat Ducato: il 2.2 Multijet3, di 2.184 cm3 appunto, che si presenta come un bel passo avanti rispetto al precedente 2.3, continuamente evoluto, ma ormai di origine lontana (Sofim/Fpt). Il 2.2 commerciale viene offerto con diversi livelli di potenza (120, 140, 160 e 180 CV) e alcune soluzioni interessanti, come la doppia iniezione di AdBlue, la valvola Low pressure Egr e il Wcac (Water charge air cooler). Ricordiamolo, questa nuova famiglia di motori a gasolio è dotata di basamento di ghisa, mentre i 2.2 che equipaggiano le Alfa Romeo Giulia e Stelvio presentano quello di alluminio. Insomma, nello stabilimento di Pratola Serra sono già presenti tutti gli “elementi” e il know-how per realizzare, se così sarà deciso, un’unità rinnovata Euro 7 che potrebbe essere destinata anche alle vetture. Forte di misure simili, nel campo delle dimensioni e dell’interasse cilindri, che lo renderebbero “compatibile” alla produzione sulle stesse linee in cui ora vengono assemblati i propulsori del furgone Fiat Ducato e delle vetture Alfa Romeo.

Soluzione ancora valida. Dicevamo del diesel pulito. Lo è già oggi, come non mai, anche perché l’evoluzione di questo tipo di motore non si è mai fermata e il livello di efficienza raggiunto (oltre che di prestazioni) è davvero elevato (sul tema, vi consigliamo il seguente articolo Q Premium). Le Case lo sanno bene e infatti alcune di esse hanno continuato a investire molti denari sui motori a gasolio (nonostante la campagna denigratoria di cui è oggetto e le iniziative di bando alla circolazione di alcune metropoli europee). Senza fare, però, pubblicità alla cosa. Insomma, se fino a oggi le Case hanno sottolineato il loro impegno sul fronte dell’elettrificazione, adesso i riscontri tiepidi del mercato e i prolungati effetti della pandemia sommati a quelli della crisi dei microchip hanno indotto i quartieri generali dell’automotive a rivedere le proprie strategie di comunicazione, troppo incentrate su un’unica strada: il full electric. In un mercato che vedrà, con ogni probabilità, uno slittamento dei piani di diffusione di massa delle vetture a corrente – perché quello delle Bev resta comunque l’obiettivo finale, unico per tutti – non si possono più escludere dal tavolo quelle alimentazioni endotermiche, ulteriormente rinnovate, che il mercato ancora chiede.

Più indizi... Insomma, quello del diesel Euro 7 di Pratola Serra potrebbe essere un segnale forte che si somma ad altri – come quello, per esempio, che viene della Volkswagen sull’utilizzo di carburanti sintetici sui motori TDI di ultima generazione –, indicando una cosa: c’è ancora vita per le motorizzazioni tradizionali, in tante forme. Staremo a vedere. Senza dimenticare una cosa: se si deciderà, per esempio, di destinare questo diesel Euro 7 anche alle vetture del gruppo Stellantis, si confermerà una risposta adeguata a un’esigenza di mercato ancora consistente in Italia e in alcuni Paesi del Vecchio Continente, seppur in forte calo rispetto agli anni d’oro.





Svolta europea: gas e nucleare diventano green. Ma per l'Italia cambierà poco

Gian Maria De Francesco
3 gennaio 2022

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1643871122


Gas e nucleare da ieri fanno parte delle fonti energetiche finanziabili dalla Commissione europea nell'ottica della transizione green. L'esecutivo comunitario guidato da Ursula von der Leyen ha, infatti, approvato le modifiche all'atto delegato sulla «sostenibilità» del finanziamento di progetti nel settore energia.

L'inclusione delle due fonti, che sono profondamente avversate dagli ambientalisti, ha scatenato polemiche anche a Bruxelles. Tant'è vero che il passaggio in Commissione non è stato indolore. Nel collegio dei commissari europei un vicepresidente e due commissari hanno votato contro. Si tratta dell'Alto rappresentante e vicepresidente Josep Borrell, spagnolo (S&D), e dei commissari agli Affari regionali Elisa Ferreira (Portogallo, S&D) e al Bilancio, Johannes Hahn (Austria, Ppe). Il Lussemburgo e l'Austria hanno preannunciato nuovi ricorsi alla Corte di Giustizia Ue. Il commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni, ha invece contestato il metodo adottato che, a suo dire, rischierebbe di presentare gas e nucleare come «fonti sostenibili».

In ogni caso, il testo normativo non è più emendabile e l'ultimo scoglio da superare è quello del Parlamento europeo. L'ampia maggioranza che sostiene von der Leyen potrebbe sfaldarsi: gli eurodeputati Pd hanno annunciato voto contrario coerentemente con l'orientamento del gruppo S&D. Il via libera è atteso entro la prossima estate: l'iter legislativo di un atto delegato, infatti, dura quattro mesi che possono essere estesi a un semestre. La Germania, tramite il portavoce del cancelliere Scholz, ha ribadito la propria contrarietà allo schema della tassonomia ma non ha opposto nessun veto in Consiglio (sarebbe stata necessaria la maggioranza di 20 Paesi e del 65% della popolazione). È chiaro che nel medio termine la questione potrebbe creare problemi di consenso a esecutivi di sinistra come quelli di Berlino, Madrid e Lisbona. Per ora, si può dire che abbia vinto la Francia che produce con il nucleare la maggior parte della propria elettricità, mentre l'Italia può far «pesare» sia a Bruxelles che a Parigi l'aver affrontato la materia con senso di responsabilità.

La tassonomia green, purtroppo, è destinata a cambiare poco o nulla per l'Italia. I criteri adottati dalla Commissione per l'ammissibilità del co-finanziamento Ue sono stringenti. In primo luogo, è previsto che il gas naturale rappresenterà il 22% del consumo interno lordo di energia nel 2030 e il 9% nel 2050. Qualsiasi gas naturale nel 2050 dovrà essere ridotto, mentre a quella data rimarrà una quota di nucleare (attualmente al 25%). In secondo luogo, la legge delegata prevede che un progetto di centrale elettrica a metano deve sostituire una centrale elettrica a carbone, emettendo meno di 270 grammi di CO2 per chilowattora (oppure 550 chili di CO2 l'anno per chilowatt installato), ma dal 2030 le emissioni dovranno scendere sotto i 100 grammi per chilowattora prodotto. «La tassonomia verde europea adottata oggi rischia di penalizzare pesantemente il nostro sistema energetico nazionale perché rischia di escludere gli impianti attivi nonché gli investimenti previsti in futuro», ha commentato Utilitalia (che riunisce le aziende energetiche). Idem per il nucleare: ammesso che l'Italia si facesse «illuminare dalla razionalità» sulla via di Damasco, sarebbe necessario avere già il Deposito nazionale per le scorie il cui sito è lungi dall'essere individuato per non scatenare le solite proteste.

In ogni caso, per il centrodestra di governo e di opposizione è stata una buona giornata. «Sosteniamo l'inserimento di gas e nucleare nella tassonomia europea perché può rendere più stabili i Paesi europei, a partire dal nostro che tanto soffre per il caro energia, e anche più autonomi», ha commentato Erica Mazzetti, deputata di Forza Italia in commissione Ambiente. «Avanti con la ricerca. Il progresso e la scienza sono i migliori alleati dell'ambiente», ha sottolineato il sottosegretario alla Transizione ecologica, Vannia Gava (Lega). Soddisfatto anche l'eurodeputato Fdi, Nicola Procaccini, che però ha criticato «l'assenza del governo italiano, in balia delle sinistre, sulla rimozione dei gravi limiti all'estrazione di gas naturale dai nostri giacimenti». M5s «contrasterà questa decisione in tutte le sedi», ha promesso il leader pentastellato Giuseppe Conte. La battaglia, quindi, è appena iniziata.









Auto a benzina, dopo lo stop arriva l’allarme dei produttori: «Impossibile in 13 anni». E il governo studia incentivi

Giorgio Ursicino
11 giugno 2022

https://www.ilmessaggero.it/economia/ne ... 45701.html

Potrebbe sembrare semplice, ma non lo è affatto. Una data o una percentuale, che diventeranno attuali alla metà del prossimo decennio, possono scaldare così tanto gli animi? In fondo, c’è tempo per agire, di prepararsi al meglio. Mancano 13 anni. Gli esperti, però, dicono: niente affatto. Per certe complesse tecnologie e per processi tanto ingarbugliati il lungo “countdown” è insufficiente. Abbiamo chiesto il loro punto di vista a due autentiche autorità del settore. Paolo Scudieri, presidente dell’Anfia e regista di Adler Group, una delle aziende di riferimento nel settore della componentistica, non solo italiana. E Michele Crisci, stesso ruolo nell’Unrae e numero uno di Volvo Italia. Fra i due c’è grande stima reciproca ed una collaborazione costante.


PUNTI DI VISTA DIVERSI

Le posizioni, però, non sono perfettamente allineate, ognuna rappresenta una certa fetta dell’automotive con esigenze diverse. Scudieri rappresenta la filiera dei componenti, anche quelli più raffinati e sofisticati, Crisci i costruttori che le parti base le comprano e sono già un pezzo avanti. Scudieri parla chiaro: «Così come è andata è un mezzo disastro, ma la nostra politica è disposta a lottare fino in fondo. È dalla nostra parte. I tempi sono troppo stretti, la percentuale del 100% nel 2035 una follia. Rischiamo veramente di perdere decine di migliaia di posti di lavoro e di mettere in crisi un comparto determinante per il nostro Pil». Ma 13 anni è tempo adeguato. «No. Non è solo l’Italia in ritardo, è tutta l’Europa che deve recuperare. Certi business li abbiamo lasciati in mano ad alcune zone del pianeta e non è affatto facile risalire la china. Non parlo solo dei motori elettrici e delle Gigafactory, quelle si fanno. Parlo di tutto il processo produttivo, partendo dalla materie prime anche rare. Molti di questi passaggi sono in mano ai cinesi e, accelerando sull’elettrico, gli daremo un bell’assist».



La soluzione? «Serve più tempo e la possibilità di usare altri schemi che rispettino la neutralità tecnologica. Dobbiamo almeno recuperare il tempo perso con la pandemia ed ora con la guerra». Il presidente dei costruttori in Italia è più ottimista: «Mi sembra di lottare contro i mulini a vento. Il dado è tratto. Scudieri ha ragione che ci sono dei rischi per i fornitori di componenti, ma se il nostro paese non fa tutto quello che è necessario. La transizione deve essere accompagnata con impegno e determinazione. Per quello che dicono i costruttori operanti in Europa, temo che nel 2035 non ci saranno più molti acquirenti di componenti per auto termiche. I nostri piani prevedono fra due anni la produzione dell’ultimo diesel, la stessa fine farà dopo poco il benzina. Entro fine decennio anche i plug in che, ora vanno per la maggiore, verranno pensionati. Forse stiamo dando troppa importanza al voto europeo».

Benzina sale ancora, al self a 2,018 euro al litro. Gasolio fino a 1,953 al litro. Possibile proroga taglio accise per tutta l'estate


SVILUPPI FUTURI

Il governo sarebbe già all’opera per individuare incentivi alle imprese che favoriscano la transizione. Cosa servirebbe? «Un piano articolato e a lunga scadenza, abbiamo visto come certi processi vadano guidati in anticipo - ribadisce Crisci - Deve essere aiutata l’industria, non c’è dubbio, ma anche interventi sul mercato potrebbero portare benefici ai protagonisti che non sono solo i costruttori. La nuova mobilità sostenibile va oltre le “zero emission”, porta anche altri risvolti. La commercializzazione cambierà profondamente. Abbiamo un rapporto continuo con l’esecutivo, ci sono ampi margine di intervento. Gli ecobonus possono essere tarati meglio, bisogna allargarli anche alle aziende e non solo alle persone fisiche. Poi c’è la tassazione delle vetture delle società, una detrazione più consona, almeno per quelle che emettono pochi grammi di CO2, potrebbe essere un’ulteriore spinta». Intanto ieri i sindacati hanno chiesto la convocazione di un tavolo urgente al Mise per trattare l’argomento.



Bando delle endotermiche - Scudieri (Anfia): "Colpiti da un macigno, vogliono devastare l'Europa"
Industria e Finanza
9 giugno 2022

https://www.quattroruote.it/news/indust ... ropa_.html

Paolo Scudieri è il proprietario di uno dei principali produttori italiani di componentistica per l'auto (Adler) e ricopre la carica di presidente dell'Anfia, l'associazione che riunisce la filiera automobilistica italiana. Dalla sua posizione ha più volte lanciato allarmi sulle conseguenze del bando delle endotermiche dal 2035 e oggi, all'indomani del via libera del Parlamento europeo, non esita a definire lo stop alla vendita dei motori a combustione "un macigno capace di devastare l'Europa", foriero di pesanti "tensioni sociali". Lo fa in un'intervista a Quattroruote, che riportiamo integralmente.

Innanzitutto, un commento a freddo sul voto dell'Europarlamento.
È un commento a freddo, ma sempre caldo: è qualcosa che ci ha colpito come un macigno. Speravamo di evitarlo, non tanto nella sua importanza, quanto per una questione di tempistiche: dare alle imprese più tempo doveva essere un imperativo assolutamente irrinunciabile; dare una visione più ampia della transizione, quindi comprendendo anche altre tecnologie, era un fattore essenziale sia per la competitività dell'Europa, sia per la democrazia industriale. Tutti questi fattori ci hanno lasciato esterrefatti. Di fatto, si evince una visione estremamente ideologica, demagogica di un qualcosa che è gestito da chi, evidentemente, non conosce nulla di pianificazione e politica industriale. Io sono anche preoccupato del fatto che non si è compresa quanto l'Europa non sia preparata per gestire le fasi a monte delle gigafactory, ossia la capacità estrattiva e mineraria e quella di trasformazione industriale, cioè la chimica usata, dopo l'estrazione, per preparare i minerali e le materie prime per gli accumulatori. Dunque, c'è una visione che tende palesemente a colpire elettori che spero abbiano la saggezza per poter comprendere cosa sia l'utopia e cosa sia la realtà.

Ora partono le trattative tra gli Stati membri. Si aspetta ci siano margini di manovra per un ripensamento? Oppure tutto è ormai deciso?
Io credo che bisogna continuare - e noi lo faremo- a esporre le tesi per cui la strada intrapresa è estremamente pericolosa perché azzera tutta la nostra cultura: è come se chiedessero a noi italiani di cancellare il Rinascimento dalla nostra storia. Non c'è un motivo perchè la transizione sia solo elettrica, è questo quello che contestiamo. Mi sembra un'affezione a lobby che sostengono la tesi dell'elettrico più che a fattori scientifici e industriali.

Ritiene che le conseguenze economiche della guerra in Ucraina possano spingere a più miti consigli durante le trattative?
Noi continueremo a sostenere le nostre posizioni: la guerra ha palesato le dipendenze e le connessioni di un mondo globale che ha bisogno di una pace riconosciuta per poter approvvigionarsi e per consentire alle aziende di collocarsi dove è più opportuno produrre. Cè bisogno anche di recuperare i fattori tecnologici, di cui oggi non disponiamo, per la trasformazione delle materie prime in componenti per le batterie. Ragion per cui la scelta delle istituzioni europee è una corsa in avanti dove non abbiamo capacità industriali e che non tiene neanche conto dell'infrastrutturazione necessaria per far funzionare, con adeguata potenza, le vetture elettriche.

Ieri, tra le altre cose, non è stato approvato il Cbam (Carbon border adjustment mechanism), il meccanismo di dazi volto a proteggere l'industria europea da prodotti non soggetti agli standard comunitari. Secondo lei, la Cina ne approfitterà?
Quando parlo di lobby che spingono, in modo forte e veemente, su alcune posizioni, mi riferisco a componenti della società che tengono in considerazione solo le potenzialità di una parte del mondo e ignora la storia e l'attualità dei mezzi di trasporto, tra cui l'automobile. Quindi, è tutto incanalato verso una dipendenza sproporzionata. Per questo parlo di democrazia industriale. Se si va avanti così, qualcuno deciderà se noi possiamo continuare a produrre auto o se queste debbano essere prodotte esclusivamente in altri luoghi del mondo.

Ci ricorda le vostre stime sulle perdite di posti di lavoro?
Abbiamo dichiarato più volte che il 40% della parte industriale della nostra filiera è direttamente legata alla tecnologia dell'endotermico. Quindi, si tratta di circa 70 mila posti di lavoro. Evidentemente, questi ultimi verranno rimpiazzati dalle nuove tecnologie, ma solo per 6 mila posizioni. Dunque, la perdita è enorme. Non solo. Si determineranno condizioni di precarietà nella società civile, che a sua volta alimenteranno odi sociali, instabilità. Evidentemente, anche questo è un pezzo della strategia: devastare l'Europa nel settore più importante per la sua economia e scatenare tensioni sociali. Ai sindacati, che dovrebbero essere quelli più attenti alle forze del lavoro (e noi lo siamo allo stesso, modo, perché per noi il capitale umano è indispensabile), ricorderò per chi votare e chi è - evidentemente - l'autore di questo disastro.

Il commissario al mercato interno, Thierry Breton, pensa che l'Europa possa mantenere una produzione di motori per esportarli in aree geografiche in ritardo sull'elettrificazione. Si può fare qualcosa del genere? La filiera dovrà convertirsi integralmente all'elettrico o manterrà una piccola produzione tradizionale?
Guardi, si produrranno motori endotermici laddove converrà costruirli. L'Italia è ben posizionata, ma sicuramente le aree del mondo dove l'endotermico continuerà a essere utilizzato saranno quelle che produrranno anche le componenti per l'endotermico. Quindi non vedo assolutamente possibilità per l'Europa di continuare a produrre motori a scoppio. Anzi, i prodotti europei non potranno trovare collocazione sui mercati internazionali. Quindi, noi produrremo solamente per l'Europa e tutte le aziende oggi presenti nel Vecchio continente, a partire dai carmaker, sono evidentemente sovrabbondanti perchè non potranno esportare i propri prodotti e dovranno guardare solo a una lotta interna.

Quindi, la filiera si dovrà per forza convertire? Non ci sono margini di manovra?
Per carità, non c'è proprio nulla. Io inviterò i lavoratori a recarsi per pranzo a casa di Frans Timmermans, il vicepresidente della Commissione europea: li dovrà adottare e dar loro un pasto e un ricovero.
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Re: Clima, politica energetica US e Greta con i suoi gretini

Messaggioda Berto » dom lug 17, 2022 7:27 pm

Un paese fallito a causa dell'utopia ecologista
Giulio Meotti
15 luglio 2022

https://meotti.substack.com/p/un-paese- ... dellutopia

Il Venezuela è caduto per il socialismo chavista. L’Afghanistan dopo il ritorno al potere dei Talebani. Lo Sri Lanka per l’ambientalismo estremista, racconta Michael Shellenberger.

Decine di migliaia di manifestanti nei giorni scorsi hanno preso d'assalto il palazzo presidenziale. Hanno nuotato nella piscina del presidente e si sono fatti una grigliata sul prato, mentre il presidente veniva portato via su una nave della marina al largo della costa dello Sri Lanka. Lo avrebbero linciato. La nazione asiatica è in bancarotta nella peggiore crisi finanziaria degli ultimi decenni. Milioni di persone non hanno più i mezzi per comprare cibo, medicine e carburante. Tra giugno 2021 e giugno 2022, i prezzi dei generi alimentari sono aumentati dell'80 per cento. Il mese scorso, l'inflazione ha raggiunto il 55 per cento. Dall'inizio della pandemia, mezzo milione di persone è caduto in povertà.

“Il crollo dello Sri Lanka, da una delle economie asiatiche in più rapida crescita all'orrore politico, economico e umanitario, sembra aver colto tutti di sorpresa” scrive Matt Ridley sul Telegraph. A Glasgow per il vertice sul clima dell'anno scorso, il presidente dello Sri Lanka si vantava che la sua politica agricola era "sincronizzata con la natura". "Uniamoci tutti per mano con lo Sri Lanka", twittava la paladina degli ambientalisti radicali V’andava Shiva , "facendo passi verso un mondo #PoisonFree #PoisonCartelFree per la nostra salute e la salute del pianeta".

I giornali italiani in questi giorni si sono ben guardati dallo scrivere la verità. Eppure era sufficiente aprire anche un giornale liberal come Foreign Policy: “Nello Sri Lanka, l'agricoltura biologica è andata in modo catastrofico. Un esperimento nazionale viene abbandonato dopo aver prodotto solo miseria”.

Non parliamo di un povero paese africano. Lo Sri Lanka, dopo decenni di guerra civile e autoritarismo, si era messo nella strada giusta. Ma l’ex presidente Maithripala Sirisena e il suo successore, il deposto Gotabaya Rajapaksa, erano caduti sotto l'incantesimo delle élite verdi occidentali che vendevano “agricoltura biologica” e "ESG", che si riferisce agli investimenti secondo criteri ambientali, sociali e di governance più elevati. Lo Sri Lanka aveva ricevuto un punteggio ESG quasi perfetto di 98, superiore a Svezia (96) e Stati Uniti (51).

Scrive Shellenberger: “Cosa significa avere un punteggio ESG così alto? In breve, significava che i due milioni di agricoltori dello Sri Lanka erano stati costretti a smettere di usare fertilizzanti e pesticidi, devastando il settore agricolo vitale. Lo Sri Lanka ha accumulato un enorme debito estero, con la Cina che ha prestato miliardi di dollari al paese come parte della sua iniziativa ‘Belt and Road’. I costi di trasporto sono aumentati del 128 per cento da maggio a causa dell'aumento dei prezzi del petrolio”.

Un terzo dei terreni agricoli dello Sri Lanka era inattivo nel 2021 a causa del divieto di fertilizzanti. Oltre il 90 per cento degli agricoltori aveva utilizzato fertilizzanti chimici prima che fossero banditi. Dopo essere stati banditi, l’85 per cento ha subito perdite di raccolto. La produzione di riso è diminuita del 20 per cento e i prezzi sono saliti alle stelle del 50 per cento in soli sei mesi. Lo Sri Lanka ha così dovuto importare riso per 450 milioni di dollari, nonostante fosse autosufficiente solo pochi mesi prima. Il prezzo di carote e pomodori è aumentato di cinque volte. Tutto ciò ha avuto un impatto drammatico sugli oltre 15 milioni di persone dei 22 milioni del Paese che dipendono dall'agricoltura.

Nella regione di Rajanganaya, dove la maggior parte degli agricoltori gestisce lotti di due acri e mezzo, le famiglie hanno riportato una riduzione del raccolto dal 50 al 60 per cento. "Prima del divieto, questo era uno dei mercati più grandi del paese, con tonnellate e tonnellate di riso e verdure", ha detto un agricoltore all'inizio di quest'anno. “Ma dopo il divieto, è diventato quasi zero. Se parli con le risaie, non hanno scorte perché il raccolto è diminuito. Il reddito di tutta questa comunità è sceso a un livello estremamente basso”.

Anche il danno al tè è stato la chiave della rovina dello Sri Lanka. Prima del 2021, la produzione di tè generava 1,3 miliardi di dollari di esportazioni all'anno. Le esportazioni di tè hanno pagato il 71 per cento delle importazioni di cibo della nazione prima del 2021. Il divieto sui fertilizzanti, a partire da aprile 2021, ha cambiato tutto. Quattro mesi dopo l'entrata in vigore del divieto, il presidente, rendendosi conto che le cose non stavano andando secondo i piani, ha revocato il divieto di importazione di fertilizzanti chimici e poi, due giorni dopo, lo ha ripristinato. I risultati sono stati devastanti e ampiamente previsti dai coltivatori di tè, con le esportazioni che sono crollate del 18 per cento tra novembre 2021 e febbraio 2022, raggiungendo il livello più basso in oltre due decenni.

A maggio, lo Sri Lanka non è riuscito a pagare 77 milioni di dollari di debito estero. L'inadempienza ha reso difficile per lo Sri Lanka prendere in prestito altro denaro. Quindi, il paese ha svalutato la moneta nazionale, l'inflazione è aumentata del 30 per cento e il governo ha esaurito i contanti necessari per importare carburante, cibo e medicinali. Non solo. Lo scorso autunno la Cina aveva dovuto riprendersi indietro una nave che portava 50 milioni di fertilizzante organico perché infetto. E pensare che lo Sri Lanka aveva annunciato di voler diventare il “primo paese 100 per cento bio”.

Dopo la Seconda guerra mondiale, lo Sri Lanka, come molte nazioni povere, ha sovvenzionato gli agricoltori per la transizione dai biofertilizzanti, come il letame, ai fertilizzanti chimici in quella che è nota come la “Rivoluzione Verde” di Norman Borlaug, l'agronomo vincitore del Premio Nobel. I raccolti di riso sono aumentati rapidamente e la nazione ha superato la carenza cronica di cibo e ha iniziato a guadagnare entrate dall'estero attraverso l'esportazione di gomma e tè. Con l'aumento dei raccolti, i giovani sono stati in grado di trovare lavoro nelle città. Gli stipendi sono aumentati, tanto che lo Sri Lanka era diventato una nazione a reddito medio. Poi l’harakiri ideologico verde, la fame e il caos. Esattamente vent’anni fa a Borlaug fu chiesto: "Cosa ne pensa dell'agricoltura biologica? Molte persone affermano che è migliore per la salute umana e l'ambiente". Borlaug rispose: "È ridicolo. Questo non dovrebbe nemmeno essere un dibattito. Anche se potessi usare tutto il materiale organico che hai - i concimi animali, i rifiuti umani, i residui di piante - e riportarli sul suolo, non potresti sfamare più di quattro miliardi di persone. Inoltre, se tutta l'agricoltura fosse biologica, dovresti aumentare notevolmente la superficie coltivata, abbattendo milioni di acri di foreste. . .Se le persone vogliono credere che il cibo biologico abbia un valore nutritivo migliore, spetta a loro prendere quella decisione sciocca. Se alcuni consumatori credono che sia meglio dal punto di vista della loro salute avere cibo biologico, Dio li benedica. Lascia che lo comprino. Lascia che paghino un po' di più. È una società libera. Ma non dire al mondo che possiamo nutrire la popolazione senza fertilizzanti chimici. È allora che la disinformazione diventa distruttiva”.

Quell’umile agricoltore dell’Iowa che vinse il Nobel aveva previsto molte sciagure.

“La rivoluzione verde di Norman Borlaug, l'agronomo americano che ha fatto per sfamare il mondo più di qualsiasi altro uomo prima o dopo, ha avviato lo Sri Lanka sulla strada dell'abbondanza agricola nel 1970” commenta oggi il Wall Street Journal. “È stato costruito attorno a fertilizzanti chimici e colture resistenti alle malattie. Cinquantadue anni dopo, lo Sri Lanka ha messo in atto una rivoluzione ‘antiverde’ in senso moderno, rovesciando il suo presidente, Gotabaya Rajapaksa. In una rivolta che ha le sue radici nella decisione imperiosa di Rajapaksa di imporre l'agricoltura biologica nell'intero paese, che ha portato a una fame diffusa dopo il crollo dell'economia agricola, il popolo dello Sri Lanka ha condotto la prima rivolta nazionale contro il biologico nella storia”.

Come disse Borlaug, “oggi ci sono 6,6 miliardi di persone sul pianeta. Con l’agricoltura biologica potremmo sfamarne solo 4 miliardi. Chi sono i 2 miliardi di volontari che si offrono di morire?”. Ma andrebbe riformulata così: chi sono i 2 miliardi di persone che Greenpeace, il WWF e tutto l’esercito della salvezza green offrono come “volontari” per morire? Ai cingalesi non andava di fare ancora da cavia ecologista e si sono presi il Palazzo.
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Re: Clima, politica energetica US e Greta con i suoi gretini

Messaggioda Berto » dom ago 07, 2022 3:34 pm

La vera catastrofe è il catastrofismo climatico
Luigi Mariani
5 agosto 2022

https://lanuovabq.it/it/la-vera-catastr ... -climatico

I cambiamenti climatici non sono una novità e hanno elementi positivi, non solo negativi. È la realtà dimenticata dagli allarmisti che, naturalmente, attribuiscono all'uomo la colpa del calore e della siccità. Non è capace di far piovere ma è colpevole della mancata pioggia: ecco l'altra faccia dell'illusione prometeica.

Ho particolarmente apprezzato l’articolo di Stefano Chiappalone dedicato all’illusione prometeica sconfitta dalla nostra incapacità di far piovere risolvendo una siccità con mezzi tecnologici. A tali considerazioni mi viene da aggiungere che oggi è molto diffuso un ulteriore tipo di illusione prometeica, e cioè quella per cui “non piove per colpa dell’uomo che ha alterato in modo irreparabile il clima”. È questo il catastrofismo climatico, che fiacca le coscienze e rende succubi e pronti a "marciare" e ad accettare l’idea che per salvare il pianeta sia necessario distruggere quel che si è costruito in secoli di sacrifici.

Come nasce l’idea odierna di catastrofe climatica
Ogni civiltà ha partorito una propria idea di catastrofe climatica: chi l’ha associata al diluvio e chi all’avanzata dei ghiacci. L’idea di catastrofe associata al riscaldamento globale è tuttavia un unicum, partorito dalla nostra civiltà, postindustriale e globalizzata.
Per comprendere come si sia giunti a concepire l’idea di catastrofe climatica nei termini correntemente usati – vedi l’intervista alla fisica del clima Judith Curry – e fatti ad esempio propri dai giovani dei “Friday for future” o dalle nostre stesse classi politiche, occorre considerare che fino agli anni ’70 del XX secolo, al culmine di una fase di raffreddamento iniziata si negli anni ’50, andava per la maggiore la teoria secondo cui si fosse ormai superato il culmine del periodo caldo interglaciale e che il clima si avviasse inesorabilmente verso una nuova glaciazione. Alla fine degli anni ’70 le temperature globali iniziarono però a risalire, secondo una tendenza che è tuttora in atto. A quel punto alcuni modellisti iniziarono ad applicare in modo massiccio modelli climatici globali (alias GCM) basati sui comuni modelli matematici con cui si fanno le previsioni del tempo, cui venne aggiunta la dinamica degli oceani e di ghiacci. Con tali modelli si ottennero importanti acquisizioni conoscitive (per esempio: cosa succederebbe se il pianeta fosse tutto coperto di ghiacci o se i ghiacci scomparissero o se l’effetto serra fosse assente). Non paghi di ciò si iniziò a spingere tali modelli verso il futuro per delineare scenari previsionali a 50-100 anni, con ciò trascurando i limiti intrinseci di tale tecnologia, che tutt’oggi non è in grado ad esempio di prevedere la variabilità della copertura nuvolosa e dell’attività solare, l’attività vulcanica o alcune grandi ciclicità climatiche che hanno radici negli oceani (da quelle di brevissimo periodo come El Nino a quelle di più lungo periodo fino a quelle glaciali). Tali effetti, che i modelli descrivono in modo inaccurato, vanno sotto il nome di componente naturale del cambiamento climatico, che va ad aggiungersi alla componente antropica legata ad esempio all’emissione di gas ad effetto serra e di aerosol e agli imponenti cambiamenti di uso del suolo legati all’agricoltura e all’urbanizzazione.
È chiaro che l’effetto antropico ha la sua impronta nell’aumento delle temperature globali che con alti e bassi sono complessivamente cresciute di 1,2°C dal 1850 ad oggi, così come è chiaro che il clima è cambiato anche prima che l’azione dell’uomo assumesse un peso significativo. A ciò si deve aggiungere che il dibattito scientifico è tutt’ora aperto – e a mio avviso è bene che rimanga aperto fintanto che tutti i dubbi non verranno chiariti – con riferimento al peso relativo della componente naturale e della componente antropica (se i GCM sono inaccurati anche la loro stima del peso di tali componenti è inaccurata) e sull’idea, diffusa a piena mani dai media, che il cambiamento climatico stia conducendo a una catastrofe climatica.

La catastrofica idea di “catastrofe climatica”
L’idea di essere alla vigilia di una catastrofe climatica può rivelarsi essa stessa catastrofica in quanto spinge a indirizzare tutte le risorse disponibili verso tecniche di mitigazione del cambiamento climatico (in primis le tecniche di decarbonizzazione come la CCS – Cattura e sequestro del carbonio) sulla cui reale sostenibilità permangono forti dubbi. Meglio sarebbe investire le nostre limitate risorse in tecniche di adattamento al clima che cambia, come ci dimostrano tre dati di fatto da cui non si può in alcun modo prescindere e cioè che: (a) la mortalità globale per eventi meteorologici estremi è diminuita del 99% in 100 anni, (b) i costi globali per eventi meteorologici estremi sono diminuiti del 26% negli ultimi 28 anni e (c) la vulnerabilità agli eventi meteorologici estremi è di gran lunga più elevata nei paesi in via di sviluppo rispetto ai paesi sviluppati.
Da questi dati a mio avviso si desume che le strategie di adattamento al clima che cambia sono vincenti e che l’adattamento si ottiene in primis aumentando i livelli di benessere delle popolazione mondiale, in quanto una popolazione più ricca è meno vulnerabile agli eventi estremi. In questa chiave assumerebbe un ruolo determinante investire risorse economiche nel trasferimento tecnologico verso i Paesi in via di sviluppo, in modo da aumentare la loro capacità di produrre cibo e il loro tenore di vita.
L’economista ambientale Bjorn Lomborg scrive in un suo articolo scientifico del 2020 (*) che mentre le politiche di adattamento sono una priorità assoluta, le politiche di mitigazione basate sul contenimento dei livelli atmosferici di CO2 dovrebbero essere attuate solo a seguito di un piano di investimenti in ricerca e sviluppo che renda la “decarbonizzazione” molto più economica rispetto ai costi odierni. E il fatto che tali costi siano oggi esorbitanti lo dimostrano le stime dello stesso Lomborg, secondo le quali la piena attuazione degli accordi di Parigi del dicembre 2015 miranti al contenimento dei livelli atmosferici di CO2 porterà ad una spesa globale annua che per il 2030 è su valori compresi fra 819 e 1890 miliardi di dollari, a fronte di un risultato irrisorio: le emissioni si ridurranno solo dell'1% rispetto a quanto necessario per limitare l'aumento della temperatura media globale a 1,5°C.

Cibo, acqua e energia
Ma verso cosa orientare le attività di adattamento? Cibo, acqua ed energia sono i tre elementi oggi più critici per l’umanità a livello globale il che ci consente di individuare altrettante vie maestre su cui indirizzare le azioni di adattamento. Circa il cibo occorrerebbe mirare a un’agricoltura più resiliente rispetto agli effetti negativi del cambiamento climatico. Su questo abbiamo già fatto passi da gigante se si considera che le principali colture che nutrono il mondo (frumento, riso, mais e soia, responsabili del soddisfacimento del 64% del fabbisogno calorico umano globale) stanno aumentando le proprie rese in modo molto rilevante ma passiamo sicuramente fare meglio, adottando nuove varietà e nuove tecniche colturali più efficienti nell’uso dei fattori di produzione (acqua, nutrienti, fitofarmaci, ecc.). Fra tali tecniche ricordo le tecniche di agricoltura conservativa e di agricoltura di precisione.
In tema poi di risorse idriche sappiamo che se l’acqua piovana è in eccesso è generatrice di frane e alluvioni mentre se è in difetto porta siccità. Le frane e le alluvioni vanno prevenute con azioni a livello territoriale ben note a idrologi, geologi e agronomi e volte ad esempio a regolare il deflusso delle acque in eccesso. Circa poi la siccità, oggi più che mai all’ordine del giorno nel Nord Italia, esistono svariati strumenti per contrastarla come la realizzazione e gestione razionale degli invasi artificiali e le tecniche di agricoltura conservativa (pacciamatura, minima lavorazione del suolo, semina su sodo, ecc.) che consentono di ridurre il consumo idrico per unità di prodotto agricolo. Molti più dubbi sussistono invece rispetto all’idea di inseminare le nubi per stimolare la pioggia, una tecnologia che ha ancora molti elementi di incertezza ad iniziare dal fatto che se non ci sono nubi di una certa entità non si può applicare. Per l’Italia escluderei anche l’adozione generalizzata di metodi di dissalazione dell’acqua marina, adatti ad aree pre-desertiche come gran parte di Israele (sul Negev piovono 150-200 mm l’anno) e non a un Paese come l’Italia in cui ogni anno a seconda delle zone piovono dai 450 ai 3300 millimetri (o se preferite litri di pioggia per metro quadrato). L’adattamento dell’agricoltura alla siccità passa poi per la selezione, anche con tecniche genetiche innovative, di varietà meno sensibili agli eventi meteorologici estremi. In tal senso segnalo il recente annuncio della messa in commercio in Argentina di un grano OGM resistente alla siccità, e qui ricordo con grande rammarico che in Italia sull’utilizzo di moderne biotecnologie nel miglioramento genetico in agricoltura vige da decenni la fatwa degli ambientalisti.
Circa poi l’energia occorre giungere a un mix di fonti energetiche il più possibile oculato e nel quale dovrebbe trovare una propria collocazione anche il nucleare di nuova generazione, se non altro per il fatto che non emette CO2.
In sintesi dunque politiche climatiche più efficaci e basate prioritariamente sull’adattamento possono ridurre la vulnerabilità al cambiamento climatico mentre l'attuale approccio sta portando a politiche climatiche dispendiose e inefficaci, distogliendo i fondi e l’attenzione della collettività dai modi più efficaci per migliorare il nostro mondo.
Tutto questo per dire che sarebbe oggi necessario abbandonare l’atteggiamento culturale millenaristico per un visione più serena ed equilibrata del cambiamento climatico e che ne colga non solo gli aspetti negativi (in primis il maggior numero di ondate di calore) ma anche gli elementi positivi, fra cui ricordo le minori spese per riscaldamento (confermate per l’Europa da una recente indagine di Eurostat) e la riduzione della mortalità da freddo, che secondo recentissimi studi scientifici è ancora di gran lunga prevalente rispetto a quella da caldo.
Come vedete ho sviluppato un altro filone dell’illusione prometeica, parallelo a quello su cui ha così efficacemente riflettuto Stefano Chiappalone, con il quale concordo sul fatto il figlio di Prometeo è in realtà oggi più che mai figlio di Adamo, indifeso abitante di un universo che le sue mani non possono dominare appieno.

Ringraziamenti
L’autore ringrazia gli amici Gianluca Alimonti e franco Zavatti per la lettura critica preliminare del testo.

(*) Bjorn Lomborg, 2020. Welfare in the 21st century: Increasing development, reducing inequality, the impact of climate change, and the cost of climate policies,Technological Forecasting & Social Change 156 (2020) 119981
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